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Sommario del 24/11/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Concistoro. Il Papa ai nuovi cardinali: la Chiesa è cattolica perché Gesù abbraccia tutta l’umanità
  • Il neocardinale Onaiyekan: rispondere alle violenze anticristiane con l'amore e la ragione
  • Udienze e nomine
  • Ecuadór: beatificazione di suor Maria Troncatti, "Madrecita" degli indios
  • Un libro una promessa: editoriale di padre Lombardi
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Egitto in piazza contro Morsi. Il Consiglio dei giudici: attacco all'indipendenza della magistratura
  • Nessun accordo al vertice Ue sul bilancio 2014-2020
  • Embrioni crioconservati. Quale futuro? Scienza e Vita si interroga sulla possibilità di adottarli
  • "Libera la domenica": domani la raccolta firme sui sagrati delle chiese italiane
  • L'Italia celebra la Giornata Onu contro la violenza sulle donne
  • Colletta alimentare nei supermercati italiani
  • Giornata nazionale del Parkinson: 250mila i malati in Italia
  • Percorsi comuni per la famiglia: musulmani e cristiani del Nord Italia s’incontrano domani a Brescia
  • Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Kinshasa: i vescovi di 34 Paesi africani “indignati e scioccati per la violenza nell’est del Congo”
  • Egitto: la posizione dei copti davanti alle nuove rivolte al Cairo
  • Siria: appello dei vescovi per scongiurare la catastrofe che incombe sui cristiani dell'alta Mesopotamia
  • Spagna: nota dei vescovi sulla legislazione familiare e la crisi
  • Zagabria: l'intervento del card. Bozanic alla Conferenza dei vescovi cattolici di rito orientale
  • Bruxelles: gli episcopati europei di fronte alla crisi si appellano all’unità
  • Sierra Leone: appello alla calma del vescovo di Freetown dopo le tensioni post-elettorali
  • Abu Dhabi: i giovani cattolici pronti ad approfondire la fede
  • America Latina: ancora decine di milioni di persone soffrono la fame
  • Bolivia. In marcia per la vita: “no” della popolazione all’aborto
  • Costa Rica: preoccupano le forti precipitazioni che si stanno abbattendo sul Paese
  • Cile: messaggio dei vescovi su partecipazione politica e abusi sui minori
  • Madagascar: i vescovi denunciano l'avidità dei partiti e impunità
  • Indonesia. A Sumatra islamisti fomentano la “cristianofobia”: nel mirino scuole, chiese e negozi
  • India: gli anglicani sostengono le proteste anti-nucleari di Kudankulam
  • Padre José Rodriguez Carballo è il nuovo presidente del Consiglio dell'Unione dei Superiori Generali
  • Il Papa e la Santa Sede



    Concistoro. Il Papa ai nuovi cardinali: la Chiesa è cattolica perché Gesù abbraccia tutta l’umanità

    ◊   Alla vigilia della Solennità di Cristo Re, il Papa ha nominato stamani 6 nuovi cardinali nel Concistoro in Basilica Vaticana. Durante la solenne cerimonia, Benedetto XVI si è soffermato sulla dimensione cattolica della Chiesa ed ha ribadito l’universalità della missione di Gesù. I nuovi porporati provengono da America, Africa ed Asia. Si tratta di mons. James Michael Harvey, finora prefetto della Casa Pontificia, nominato ieri arciprete della Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura, del Patriarca maronita Béchara Boutros Raï, dell’arcivescovo maggiore siro-malankarese di Trivandrum Baselios Cleemis Thottunkal, dell’arcivescovo di Abuja, John Olorunfemi Onaiyekan, dell’arcivescovo di Bogotà, mons. Rubén Salazar Gómez e dell’arcivescovo di Manila, Luis Antonio Tagle. Con il Concistoro di stamani, il Collegio cardinalizio è ora composto da 211 porporati, di cui 120 elettori e 91 non elettori. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Unità e universalità: è il binomio che ha contraddistinto l’odierno Concistoro per la creazione di sei nuovi porporati. Una cerimonia suggestiva nella quale ogni simbolo, dall’anello alla berretta cardinalizia, ha richiamato il significato profondo della nuova missione che questi sei pastori sono chiamati a compiere. All’ingresso del Pontefice in Basilica, il coro ha intonato il “Tu es Petrus” a sottolineare la missione affidata da Cristo a Pietro e ai suoi Successori: “Su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa”. E nella sua allocuzione, Benedetto XVI si è proprio soffermato sulla missione della Chiesa ed in particolare sul termine “cattolica” che ne indica un “tratto essenziale”. La Chiesa, ha detto, “è cattolica perché Cristo abbraccia nella sua missione di salvezza tutta l’umanità”. Ed ha indicato che questa prospettiva “universalistica” affiora quando Gesù presenta se stesso come “Figlio dell’uomo”:

    “Gesù si serve di questa espressione ricca e complessa e la riferisce a Se stesso per manifestare il vero carattere del suo messianesimo, come missione destinata a tutto l’uomo e ad ogni uomo, superando ogni particolarismo etnico, nazionale e religioso”.

    Proprio alla sequela di Gesù, ha aggiunto, si entra nel “nuovo regno che la Chiesa annuncia e anticipa e che vince frammentazione e dispersione”. Gesù, ha detto ancora, invia la sua Chiesa “non ad un gruppo, ma alla totalità del genere umano per radunarlo, nella fede, in un unico popolo al fine di salvarlo":

    “L’universalità della Chiesa attinge quindi all’universalità dell’unico disegno divino di salvezza del mondo. Tale carattere universale emerge con chiarezza il giorno della Pentecoste, quando lo Spirito Santo ricolma della sua presenza la prima comunità cristiana, perché il Vangelo si estenda a tutte le nazioni e faccia crescere in tutti i popoli l’unico Popolo di Dio”.

    Così, ha osservato, la Chiesa “fin dai suoi inizi” abbraccia “tutto l’universo”. La sua missione universale, ha poi affermato, non “sale dal basso, ma scende dall’alto, dallo Spirito Santo”:

    “Non è tanto una comunità locale che si allarga e si espande lentamente, ma è come un lievito che è orientato all’universale, al tutto, e che porta in se stesso l’universalità”.

    Non a caso, ha sottolineato, “intorno agli Apostoli fioriscono le comunità cristiane, ma esse sono ‘la’ Chiesa, che, a Gerusalemme, ad Antiochia o a Roma, è sempre la stessa, una e universale”:

    “E quando gli Apostoli parlano di Chiesa, non parlano di una propria comunità, parlando della Chiesa di Cristo, e insistono su questa identità unica, universale e totale della Catholica, che si realizza in ogni Chiesa locale. La Chiesa è una, santa, cattolica e apostolica, riflette in se stessa la sorgente della sua vita e del suo cammino: l’unità e la comunione della Trinità”.

    Il Papa ha, quindi, rivolto un pensiero al Collegio Cardinalizio che, ha detto, “presenta una varietà di volti, in quanto esprime il volto della Chiesa universale”. E infatti i nuovi porporati provengono da tre continenti e sei Paesi diversi: Stati Uniti, Libano, India, Nigeria, Colombia e Filippine:

    “Attraverso questo Concistoro, in modo particolare, desidero porre in risalto che la Chiesa è Chiesa di tutti i popoli, e pertanto si esprime nelle varie culture dei diversi continenti. E’ la Chiesa di Pentecoste, che nella polifonia delle voci innalza un unico canto armonioso al Dio vivente”.

    E’ stata dunque la volta del rito di creazione dei nuovi cardinali nel quale è stato anche annunciato l’ordine presbiteriale o diaconale al quale i porporati sono stati assegnati come pure l’assegnazione di un titolo o diaconia della Chiesa dell’Urbe:

    "…hos Venerabiles Fratres creamus…
    “Creiamo e proclamiamo solennemente – ha detto il Papa nella formula in latino – cardinali di Santa Romana Chiesa questi nostri fratelli…”. E’ dunque seguito il giuramento dei nuovi porporati, la consegna dell’anello cardinalizio e l’imposizione della berretta, affinché si rafforzi il loro l’amore e la loro fedeltà verso la Chiesa. Il Papa ha auspicato, in particolare, che i nuovi porporati siano suoi “preziosi cooperatori” anche mediante la “collaborazione con i dicasteri della Curia Romana”. E li ha esortati “a rendere coraggiosa testimonianza a Cristo”.

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    Il neocardinale Onaiyekan: rispondere alle violenze anticristiane con l'amore e la ragione

    ◊   Tra i neocardinali c’è anche l’arcivescovo nigeriano di Abuja, John Olorunfemi Onaiyekan. Il collega Moses Amungole gli ha chiesto cosa significhi per lui questo importante incarico:

    R. – Obviously, I feel a sense of responsibility; I also consider it an honour …
    Chiaramente, implica per me una ancor maggiore responsabilità. Per il mio Paese, la Nigeria, lo considero un grande onore. E’ una buona notizia per il Paese: cristiani e musulmani saranno contenti, ora che hanno un altro cardinale! Credo che questo sia un bene.

    D. – Lei ha fatto il possibile per trovare una soluzione ai conflitti che colpiscono il suo Paese, in particolare a causa degli integralisti islamici di Boko Haram. Questa nomina le offrirà una possibilità in più?

    R. – Well, let me put it this way: …
    Diciamola così: i miei sforzi in realtà non sono rivolti sostanzialmente a risolvere il problema di Boko Haram, quanto piuttosto a cercare di conservare tra i nigeriani il senso della famiglia e dell’unità, affinché non permettano nemmeno a Boko Haram di distruggere questo valore. Io credo che sia possibile isolare quei pochi che chiaramente rappresentano un’anomalia, perché i musulmani nigeriani non sono i Boko Haram. Boko Haram è composto da poche persone, mentre la grande maggioranza di musulmani con cui abbiamo a che fare ogni giorno non coltiva le stesse idee. Quindi, noi continuiamo, come cristiani convinti della nostra fede, ad annunciare il Vangelo agli altri, riconoscendo pur sempre che ci sono altre persone che hanno la loro fede che desiderano sia rispettata e con le quali possiamo collaborare, perché abbiamo molte cose in comune: a prescindere dai valori spirituali che cristiani e musulmani condividono, c’è il fatto che siamo cittadini dello stesso Paese e dobbiamo affrontare gli stessi problemi, le stesse sfide. Per questo, dovremmo unire i nostri sforzi, anche intellettuali, per risolvere questi problemi. Così non saremo avversari e nemmeno concorrenti, ma alleati. Sono sicuro che così facendo, daremo impulso al Vangelo.

    D. – Il conflitto si è esteso anche al Kenya: i cristiani potrebbero dire di essere stanchi di porgere ancora l’altra guancia …

    R. – Well, talking of cheeks … We cannot rewrite to the Gospel, but …
    Parlando di guance … Non possiamo riscrivere il Vangelo, e allo stesso tempo dobbiamo leggerlo con realismo e ricordare sempre alla nostra gente che Gesù che ci ha chiesto di porgere l’altra guancia, a sua volta ricevette uno schiaffo, ma invece di porgere l’altra guancia, chiese: “Se ho detto qualcosa di sbagliato, dimmelo. Altrimenti, perché mi hai schiaffeggiato?”. Da questo episodio io ho imparato la mia lezione, ed è questa: se qualcuno ci maltratta, la risposta giusta non è quella di rispondere allo stesso modo, ma di chiedere: “Perché lo stai facendo?”, opponendo al male la forza dell’amore e della ragione. Perché questo è esattamente quello che ha fatto Gesù. Coloro che dicono di essersi stancati di porgere l’altra guancia e che quindi risponderanno alla violenza con la violenza, hanno perso di vista il filo rosso della fede cristiana. Nel momento in cui un cristiano dice: “Sono stanco di perdonare”, non è più un cristiano. E io credo che sia giusta questa affermazione: infatti, nel nostro Paese siamo stati schiaffeggiati molte volte, ma sappiamo anche che restituire lo schiaffo non risolverà il problema. Soprattutto quando non sai chi stai schiaffeggiando! Una bomba esplode davanti alla tua chiesa e i giovani vanno ad incendiare le case dei musulmani, che non hanno nulla a che fare con quella bomba! Quindi, colpiremo persone innocenti, perché noi siamo stati colpiti ed eravamo innocenti … Questo certamente non è cristiano, per non parlare del fatto che non è nemmeno un modo umano di affrontare le situazioni. Per questo, il mio suggerimento alle persone che in Kenya si trovano a subire questo genere di attacchi terroristici è di prendersi per mano, con la comunità musulmana, perché questa stessa comunità musulmana è vittima di quegli attacchi terroristici. Fate in modo che i cristiani si prendano per mano con i musulmani per affrontare questi criminali. Loro possono chiamarsi in qualunque modo, Boko Haram o altro, e anche se rivendicassero di uccidere nel nome di Dio, noi che crediamo in Dio, che sappiamo chi è Dio, sappiamo che stanno mentendo. Se faremo questo, vi dico che questa gente non avrà terreno su cui proliferare. Questo, ovviamente, non esime il governo dal fare il suo dovere, che è quello di garantire la sicurezza dei cittadini. Questo aspetto rientra in una pura questione di sicurezza, e non ci sono alternative. Il governo deve intervenire con la polizia, con l’intelligence per affrontare questo gruppo.

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    Udienze e nomine

    ◊   Benedetto XVI riceve oggi pomeriggio il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

    Il Papa ha nominato Vescovo di Cloyne (Irlanda) il Rev.do Canonico William Crean, del clero della diocesi di Kerry, finora Parroco di Cahersiveen e Vicario foraneo. Il Rev.do Canonico William Crean è nato a Tralee, il 16 dicembre 1951. Dopo gli studi classici compiuti al St Brendan's College, Killarney, ha compiuto la formazione al sacerdozio con lo studio della Teologia nel St. Patrick's College, Maynooth. È stato ordinato sacerdote, per la diocesi di Kerry, il 20 giugno 1976. Ha poi conseguito la licenza in S. Teologia presso l'Università Gregoriana a Roma. Tornato in Patria, è stato dapprima insegnante di religione a Killorglin, poi Curato a Glenbeigh (1980-1983), Cappellano alla Tarbet Comprehensive school (1983-1986), Direttore diocesano per l’educazione religiosa nelle scuole post elementari della diocesi di Kerry e Direttore del Centro pastorale John Paul II (1987-1996). Dal 1988 al 1996 è stato Direttore diocesano per l'educazione religiosa degli adulti. Quindi è tornato alla diretta cura d'anime, come Parroco, prima a Killorglin (1996-1998), poi a Castlegregory (1999-2006), ed infine, dal 2006, a Cahersiveen, ove svolge anche la funzione di Vicario foraneo.

    Il Papa ha nominato Vescovo Ausiliare di Gniezno (Polonia) il Rev.do Mons. Krzysztof Jakub Wętkowski, del clero di Gniezno, finora Vicario generale della medesima arcidiocesi, assegnandogli la sede titolare di Glavinizza. Il Rev.do Mons. Krzysztof Jakub Wętkowski è nato il 12 agosto 1963 a Gniezno. Superati gli esami di maturità, nel 1982 è stato ammesso al Seminario Primaziale di Gniezno e il 4 giugno 1988 ha ricevuto l’ordinazione sacerdote per l’arcidiocesi di Gniezno. Dopo l’ordinazione sacerdotale è stato vicario parrocchiale della Parrocchia di San Martino e San Nicola a Bydgoszcz (1988-1989). Negli anni 1989-1994 ha fatto gli studi presso l’Università Cattolica di Lublino, dove nel 1995 ha conseguito il dottorato in Diritto Canonico, sostenendo la tesi: "L’attività legislativa del Cardinale Stefan Wyszyński, come Arcivescovo di Gniezno 1948-1981". Dal 1995 è Docente di Diritto Canonico presso il Seminario Primaziale a Gniezno e dal 2008 è Professore aggregato di Diritto Canonico all’Università "Adam Mickiewicz" in Poznań. Ha ricoperto inoltre i seguenti incarichi: Cerimoniere della Cattedrale (1995-2008), Giudice del Tribunale metropolitano (2000-2011) e Cancelliere della Curia (1995-2012). Ha pubblicato alcuni libri e articoli di carattere scientifico e divulgativo. Inoltre, è collaboratore permanente del settimanale cattolico Przewodnik katolicki. Attualmente è Vicario generale e moderatore della Curia, membro del Consiglio presbiterale e del Collegio dei consultori.

    Il Santo Padre ha nominato Membri del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi l’Em.mo Card. Fernando FILONI, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, e l’Ecc. Mons. Gerhard Ludwig MÜLLER, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

    Il Papa ha nominato Membri del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali l’Em.mo Card. Francisco ROBLES ORTEGA, Arcivescovo di Guadalajara (Messico), e l’Ecc.mo Mons. José Horacio GÓMEZ, Arcivescovo di Los Angeles (Stati Uniti d’America).

    Il Santo Padre ha nominato Capo Ufficio nella Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti il Rev.do Padre Abate Dom Michael John Zielinski, O.S.B. Oliv.

    Il Papa ha nominato Capo Ufficio nell’Ufficio Editoriale della Libreria Editrice Vaticana il Rev.do Padre Edmondo Caruana, O. Carm., Officiale della medesima Libreria.

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    Ecuadór: beatificazione di suor Maria Troncatti, "Madrecita" degli indios

    ◊   Si apre oggi una nuova pagina luminosa della santità latinoamericana: a Macas, in Ecuadór, viene beatificata suor Maria Troncatti, religiosa professa delle Figlie di Maria Ausiliatrice, originaria di Córteno, Brescia. Crocerossina durante la guerra, poi missionaria salesiana, in Amazzonia, suor Maria era "la donna del sì“: un sì tutto donato a Dio. Alla celebrazione, in rappresentanza del Santo Padre, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il servizio è di Roberta Barbi:

    "È morta una Santa... non c’è più la nostra mamita!“. Così gli indios delle comunità Shuar apprendono, il 25 agosto 1969, la notizia della scomparsa di suor Maria Troncatti, la missionaria salesiana che da 40 anni per loro era medico, infermiera, catechista e amica, rimasta uccisa in un incidente aereo a Sucúa. La piccola religiosa bresciana dalle tranquille montagne della Val Camónica era arrivata sulle inospitali Ande nel 1922 e da lì, al seguito del vescovo missionario mons. Comin, si era addentrata nella foresta amazzonica per non riemergerne mai più. Gli indigeni di Chunchi e del vicariato apostolico di Méndez saranno da allora in poi la sua gente, i suoi figli che la chiameranno "Madrecita“, come ricorda al microfono di Roberto Piermarini il cardinale Angelo Amato:

    "Aveva un innato atteggiamento materno verso tutti. Ai malati come ai bambini da lei assistiti non faceva mancare nulla e li circondava di ogni attenzione. Visitava gli infermi anche lontani, attraversando la selva e navigando per i fiumi. Era vista come un angelo. Aveva un atteggiamento profondamente protettivo verso tutti gli Shuar, da lei affettuosamente chiamati mis jibaritos. Con l’ammirevole apostolato della Beata e delle altre Consorelle verso i nativi, la missione salesiana ha potuto presentare all'Ecuador e al mondo intero una serie di meravigliose realizzazioni, e alla Chiesa un popolo pieno di vita cristiana“.

    In Amazzonia costruì il primo campo di aviazione e un ospedale; promosse corsi di infermieristica e si spese per gli orfani, ma soprattutto seppe conquistare i cuori di tutti e approfondire l’opera di evangelizzazione con una scuola e un internato. Tra i frutti meravigliosi che vide fiorire, ci furono le prime famiglie cristiane, formate per la prima volta sulla libera scelta degli sposi. Il suo cuore delicato si era affinato nel contatto con la sofferenza che la toccò prestissimo: la morte di otto fratelli, ma soprattutto l’esperienza in guerra come crocerossina. La forza che la sosteneva si radicava nel colloquio continuo con il Signore che – diceva – si realizza attraverso due forme: l’obbedienza e la preghiera. Questa la caretteristica della piccola suora dei poveri, secondo il cardinale Amato:

    "Una fede immensa. Pregava e faceva pregare molto. Come da tradizione salesiana, aveva un affetto particolare per il Santo Padre e rispetto e venerazione per i vescovi e i sacerdoti. Eccelleva in una caratteristica abituale per i salesiani e per le figlie di Maria Ausiliatrice: il lavoro. Suor Maria lavorava 16-17 ore al giorno“.

    La potenza della figura di suor Maria Troncatti sta nell’aver orientato tutte le sue azioni a Dio solo e di averlo fatto sempre con entusiasmo e irruenza: da bambina, infatti, il padre la chiamava in dialetto "il mio piccolo terremoto“. Un’irruenza che si tramutò presto in ansia di portare Dio a chi non lo conosce ancora, in un sogno di partire per terre lontane nato tra le pagine del Bollettino missionario salesiano che la maestra elementare le faceva leggere a integrazione del programma scolastico. Una forte impronta di missionarietà che è il suo principale insegnamento agli uomini di oggi. Ancora il cardinale Amato:

    "Come consacrata, Suor Maria ci ricorda che ancora oggi il Signore chiama i giovani a donare la propria vita con cuore indiviso a lui e al suo regno di amore e di pace. Come salesiana, la nostra Beata ricorda alle Consorelle di vivere in pieno il carisma proprio dell'educazione della gioventù. Come missionaria, suor Maria richiama il grande dovere di tutti di essere intrepidi evangelizzatori e araldi del Vangelo nel mondo“.

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    Un libro una promessa: editoriale di padre Lombardi

    ◊   E’ uscito in questi giorni il nuovo libro di Benedetto XVI intitolato "L’infanzia di Gesù". Il volume, tradotto per il momento in 9 lingue, è nelle librerie di 50 Paesi con una tiratura globale che supera il milione di copie. Ascoltiamo in proposito il nostro direttore, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per Octava Dies, il Settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:

    Il nuovo libro del Papa sull’infanzia di Gesù arriva nelle nostre mani in tempo per accompagnarci spiritualmente nel periodo dell’Avvento e del Natale, denso di cultura biblica, di riflessione teologica e di spiritualità. E’ il compimento di una promessa, che egli ci aveva fatto fin dalla pubblicazione del volume sulla vita pubblica di Gesù, e che aveva ripetuto pubblicando il secondo sulla Passione e la Risurrezione. Anche se ci aveva detto chiaramente che l’obiettivo della sua opera “intesa a comprendere la figura di Gesù, la sua parola e il suo agire” non comprendeva direttamente lo studio dei capitoli dei Vangeli sull’infanzia di Gesù (crf Premessa al 2° volume), non ha voluto negarci questa “piccola sala d’ingresso” alla lettura dei libri precedenti. Ce la presenta con la sua consueta umiltà: “Sono ben consapevole che questo colloquio fra passato, presente e futuro non potrà mai essere compiuto…Spero che questo piccolo libro, nonostante i suoi limiti, possa aiutare molte persone nel loro cammino verso e con Gesù”. Come Papa Wojtyla anziano aveva esposto con grande coraggio il suo intimo nella meditazione poetica del “Trittico romano”, così Papa Ratzinger, con non minore coraggio, ha esposto se stesso e la sua intima ricerca del volto del Signore e dell’incontro con lui. Sapeva benissimo di andare incontro ad obiezioni, a volte pretestuose a volte legittime, ma l’intreccio fra lo studio della Scrittura, la riflessione teologica, la cultura umana, la tensione spirituale personale è comunque straordinario e affascinante. Joseph Ratzinger ha vissuto in prima persona e come Papa il dramma dello “strappo fra il Gesù storico e il Cristo della fede” e si è impegnato a guidare ognuno di noi, e quindi la Chiesa a superarlo, per ridarci il gusto sereno e profondo dell’amicizia personale con Gesù. E questo è un servizio più fondamentale e più urgente di molti altri nel governo della Chiesa. Perché egli è anzitutto responsabile della fede della Chiesa. Lo ringraziamo dunque di quanto ha compiuto, concludendo l’opera dopo nove anni di non facile impegno. E’ proprio vero ciò che diceva il card. Martini concludendo la sua presentazione del primo volume: “Il libro è molto bello e ci fa comprendere meglio sia Gesù Figlio di Dio, sia la grande fede dell’Autore”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Quel volto della Chiesa universale: concistoro ordinario pubblico presieduto dal Papa per la creazione di sei nuovi cardinali.

    Rispetto dell’ambiente e dell’intera famiglia umana: nell’informazione internazionale, intervento della Santa Sede a Ginevra.

    Lui incapace di accettare l’emancipazione: Giulia Galeotti sulla Giornata mondiale contro la violenza sulle donne.

    In cultura, un articolo di Timothy Verdon dal titolo “Con Michelangelo entrò in scena il Cristo divino”: prima del “Gudizio” nella Cappella Sistina era presente solo il Gesù uomo.

    L’angelo d’oro e il mistero del tempo: Manuel Nin sul tema della simultaneità eternamente presente di Dio in Agostino e Origene.

    Cristiani sulla via della giustizia: nell’informazione religiosa, Riccardo Burigana su un incontro, in Canada, del World Council of Churches in vista dell’assemblea generale del 2013.

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    Oggi in Primo Piano



    Egitto in piazza contro Morsi. Il Consiglio dei giudici: attacco all'indipendenza della magistratura

    ◊   In Egitto non si fermano proteste e sit-in dopo la decisione del capo dello Stato, Mohamed Morsi, di rafforzare i suoi poteri, indebolendo la magistratura e blindando l'Assemblea costituente. Forte la protesta del Consiglio dei giudici, che accusa: è un attacco contro l'indipendenza della magistratura. Massimiliano Menichetti:

    L’Egitto torna in piazza con manifestazioni e slogan contro il presidente in carica Mohamed Morsi. Il capo di Stato, due giorni fa, con un decreto ha aumentato i suoi poteri a scapito della magistratura e blindando l'Assemblea che sta riscrivendo la nuova Costituzione del Paese. In queste ore piazza Tahrir, al Cairo, luogo simbolo delle proteste che hanno portato alla fine del regime di Mubarak, è pressata dalle forze dell’ordine che hanno lanciato lacrimogeni contro i contestatori, i quali, a loro volta, hanno confermato l’occupazione che durerà almeno una settimana. ''Lavoro per la stabilità economica e sociale, sono il presidente di tutti gli egiziani” ha detto ieri lo stesso Morsi, precisando che il decreto è necessario per la riapertura dei processi a carico dell’ex presidente Mubarak e quello nei confronti dei responsabili della dura repressione in piazza Tahrir, un anno fa. E proprio in questa sede, ieri, si sono registrati tafferugli tra oppositori e sostenitori del presidente in carica, oltre cinquanta i feriti. Incendiate le sedi degli uffici del partito dei Fratelli Musulmani - movimento di provenienza del capo dello Stato - ad Alessandria, Port Suez e Ismailyia, anche qui cinquanta feriti. In questo scenario si collocano le preoccupazioni dell’Onu per le “conseguenze sui diritti umani e la possibile instabilità che potrebbe innescarsi nella regione”.

    Sulla situazione in Egitto abbiamo raccolto il commento di Massimo Campanini, docente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento:

    R. - Indubbiamente Morsi sta forzando la mano alla situazione. Si sente legittimato dal voto popolare e soprattutto è sicuro che attraverso una concentrazione dei poteri nelle sue mani, potrà imprimere all’Egitto una svolta decisiva; perché sostiene che questa sua presa di potere, risulterà utile per realizzare gli obiettivi della rivoluzione del febbraio 2011.

    D. - Quindi stiamo assistendo ad un processo democratico oppure ad un’islamizzazione?

    R. - Penso che il processo in corso sia comunque un processo democratico, perché mette in circolazione molte forze di diversi orientamenti che potranno collaborare - seppure scontrandosi - al delinearsi del futuro del Paese. Secondo me, il problema dell’islamizzazione è un problema a lungo termine.

    D. - La piazza che vediamo oggi che continuità ha con la piazza che un anno fa fece cadere il regime Mubarak?

    R. - È completamente diversa quella di un anno fa, la quale esprimeva una sorta di democrazia dal basso. Qui c’è un’aggregazione di forze politiche che si oppongono a Morsi presentando potenzialmente un piano alternativo, però non vedo nelle forze laiche e di sinistra quel sostegno popolare che hanno invece i Fratelli Musulmani.

    D. - C’è il rischio di una profonda spaccatura?

    R. - Il rischio indubbiamente c’è. La società egiziana è molto composita, c’è una base comune di identità nazionale, di coscienza e auto percezione islamica, questo fornirà il background di riferimento per i prossimi movimenti istituzionali e costituzionali. Questa identità popolare è plasmata dalla religione e in qualche modo la religione stessa avrà la possibilità di giocare un ruolo sempre più importante nell’evoluzione del futuro dell’Egitto.

    D. - Questo vuole dire anche che il futuro dei copti sarà messo a dura prova?

    R. - Indubbiamente il problema delle tensioni religiose all’interno dell’Egitto è importante. Però, non bisogna dimenticare che alla base delle tensioni fra copti e musulmani ci sono anche ragioni di tipo politico ed economico. Inoltre non bisogna dimenticare nemmeno che alcune recenti aggressioni contro i copti, sembrano essere state fomentate da elementi incontrollati che volevano far fallire il processo rivoluzionario mettendo a rischio la pace interna del Paese.

    D. - A livello internazionale, Egitto e Stati Uniti hanno avuto un ruolo centrale per ricomporre, almeno in questi giorni, la frattura fra Israeliani e palestinesi…

    R. - Credo che l’Egitto stia recuperando il ruolo che gli spetta all’interno della politica internazionale. Questo è un merito di Morsi. L’attivismo diplomatico egiziano va visto come foriero di una ricostruzione dei rapporti di forza, degli equilibri dell’intero quadro mediorientale.

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    Nessun accordo al vertice Ue sul bilancio 2014-2020

    ◊   Nulla di fatto al vertice straordinario di ieri a Bruxelles fra i 27 Paesi dell’Unione Europea sul bilancio 2014-2020. Ci sono ancora forti divergenze sull’importo totale e l’equa distribuzione fra Paesi, spiega il presidente della Commissione Ue Barroso. Sia il premier italiano Monti sia il presidente del Consiglio Ue, Van Rompuy, pensano si possa trovare un accordo all’inizio del prossimo anno. Da Bruxelles, ci riferisce Laura Serassio:

    A una nuova rottura con Londra si è preferito un rinvio. Troppo intransigenti le posizioni del Premier David Cameron, che chiede ulteriori tagli al budget e lo status quo sullo storico sconto britannico – quella parte del contributo all’Unione che torna nelle casse inglesi, meccanismo che i partner vorrebbero rivedere. La Germania, a spiegarlo il presidente francese François Hollande, non voleva isolare Londra. Berlino di fatto conferma: “bisogna puntare a un’intesa a 27”, dice la cancelliera Angela Merkel. All’Italia va meglio che nel 2005, recupera terreno sui fondi al Mezzogiorno, si dovrà lavorare invece sull’agricoltura, e la partita è ancora tutta aperta. Agli Stati che insistono sui tagli, il premier italiano Mario Monti dice: “Demagogico fustigare il bilancio. E anche incoerente, viste le tante competenze in più date all’Unione proprio dagli Stati”. Sulla Grecia, non all’ordine del giorno, in tanti auspicano un accordo all’Eurogruppo di lunedì, mentre Hollande lo dà praticamente per fatto e spiega: “Ridaremo al Paese parte di quanto guadagnato con i titoli ellenici”.

    L’impasse sul bilancio europeo nasce in primo luogo dal no britannico a un aumento dei fondi da stanziare. Per il premier di Londra Cameron, Bruxelles "vive in un universo parallelo" e per questo non si poteva accettare "un accordo ad ogni costo". Alessandro Guarasci ha sentito il parere dell’economista Angelo Baglioni:

    R. – Il bilancio europeo va approvato all’unanimità. Quindi bisogna per forza trovare un accordo. E’ chiaro che ci sia uno scontro molto difficile da risolvere tra alcuni Paesi del Nord, in particolare la Gran Bretagna, che vogliono ridurre sostanzialmente il bilancio dell’Unione Europea, e, viceversa, alcuni Paesi, come Francia ed Italia, che vorrebbero almeno mantenerlo, se non incrementarlo leggermente, con la Germania che si trova nel mezzo a fare da mediatore. Al momento la soluzione non è stata trovata e probabilmente occorre ancora un mese, o anche di più, di negoziazioni.

    D. – Una politica di bilancio “corretta” passa essenzialmente anche tramite un forte contributo agli investimenti per far ripartire l’occupazione in Europa?

    R. – Sì, diciamo che in particolare l’attacco da parte inglese al fondo di coesione, per cercare di ridurre questo fondo, che in qualche modo va a finanziare l’attività d’investimento, è particolarmente criticabile. D’altronde, mi sembra che su questa materia, sul bilancio come altri argomenti, continui ad emergere il contrasto di fondo tra alcuni Paesi: quelli dell’Europa continentale, che fanno parte dell’area euro, e, viceversa, l’Inghilterra, che è fuori dall’area euro e che non ha questo interesse. Questo è un contrasto di fondo che è destinato a pesare molto sull’Europa.

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    Embrioni crioconservati. Quale futuro? Scienza e Vita si interroga sulla possibilità di adottarli

    ◊   Solo nel 2010 sono stati oltre 113 mila gli embrioni formati attraverso tecniche di procreazione medicalmente assistita: di questi, 16.280 sono stati crioconservati. Il numero di queste “vite in stand-by” è destinato ad aumentare dopo che nel 2009 la Corte Costituzionale ha, di fatto, abolito il limite di tre embrioni a impianto previsto dalla legge 40, proponendo la creazione di un “numero di embrioni” non superiore a quello “strettamente necessario”. Di questo si è parlato, ieri e oggi, a Roma nel corso del Congresso nazionale di "Scienza e Vita" dal titolo “Embrioni crioconservati. Quale futuro?”. Paolo Ondarza ha chiesto al presidente dell’associazione, Lucio Romano, se è possibile quantificare il numero totale di embrioni crioconservati oggi in Italia:

    R. – Non abbiamo un dato ufficiale in merito al numero totale di embrioni crioconservati, ma certamente sta aumentando in maniera esponenziale e si pone il grande problema di questi embrioni: quale destino avranno poi un domani quando, ineluttabilmente, non verranno impiantati? E in questo ambito, “Scienza e Vita” si pone il grande interrogativo di analizzare tutte le varie possibilità ed in particolare in maniera chiara ed inequivocabilmente ufficiale, si dichiara contraria all’uso degli embrioni per la sperimentazione perché - sappiamo benissimo - che in questa ottica gli embrioni andranno a morire. Poi c’è l’ipotesi di proseguire la crioconservazione; ma il tema principale che noi affrontiamo è quello dell’adozione degli embrioni crioconservati.

    D. – Siete favorevoli a questa possibilità?

    R. – E’ un tema, questo, molto delicato. La nostra posizione è quella di affrontare questa tematica, in quanto l’adozione implica il concetto chiaro ed inequivocabile che l’embrione ha uno statuto personale. Di fronte alla crescita del numero di embrioni crioconservati, dobbiamo evitare quel criterio convenzionale, che in alcuni Stati è stato ratificato, secondo il quale dopo un certo numero di anni gli embrioni possono essere distrutti. Questo è un criterio completamente inesatto. Noi abbiamo dati di gravidanze avute dopo 20 anni – 19 anni e sette mesi – di crioconservazione degli embrioni.

    D. – Approvare l’adozione per nascita potrebbe legittimare in qualche modo la fecondazione eterologa, o comunque aprire a questa strada, che voi da sempre avete contestato?

    R. – Non credo che legittimare l’adozione degli embrioni possa legittimare la fecondazione artificiale eterologa. Poiché il procedimento di fecondazione artificiale eterologa è già avvenuto: si tratta di dare una possibilità di vita ad embrioni che sono stati pensati per nascere. Noi siamo contro l’uso del termine donazione di embrioni, perché con la donazione si contempla tutta una serie di procedimenti che non ha nulla a che vedere con l’adozione stessa.

    D. – Il termine adozione, invece, implica una visione antropologica, che riconosce il valore di persona all’embrione e non vede nell’embrione solo un “grumo di cellule” …

    R. – L’adozione si riferisce sempre ad una persona. Io non posso adottare un oggetto: posso adottare soltanto un soggetto. Ecco perché alcune componenti, soprattutto i laicisti – se possiamo dire così – cercano di svolgere un’azione di ostracismo nei confronti dell’adozione stessa, perché hanno capito perfettamente che in questo modo si acquisirebbe in maniera ufficiale una verità oggettiva, cioè quella dello statuto ontologico, e quindi di conseguenza anche giuridico, della dignità di persona all’embrione stesso.

    D. – Riflettere sull’adozione per la nascita degli embrioni crioconservati, implica un percorso lungo: a che punto siete in questa riflessione, anche per dare eventualmente una risposta a quelle coppie che sarebbero interessate a questa possibilità?

    R. – Certo, affrontiamo il tema con grande prudenza, per le eventuali ripercussioni che ne potrebbero conseguire. Ma è sicuramente un’apertura di speranza. Oltre ad essere un’apertura di speranza per le donne che potrebbero adottare questi embrioni, io dico che è un’apertura di speranza per gli embrioni.

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    "Libera la domenica": domani la raccolta firme sui sagrati delle chiese italiane

    ◊   “Non perdete il senso del giorno del Signore” ha sottolineato più volte il Papa,” Non è indifferente sacrificare il tempo all’economia” ha ripetuto la Cei. E’ in questo quadro di riferimento che domani sui sagrati delle Chiese italiane si svolgerà la raccolta firme per l’iniziativa Libera la domenica. Voluta da Confesercenti e Federstrade con l’appoggio della Conferenza episcopale, ha l’obiettivo di abolire, con una proposta di legge di iniziativa popolare, la liberalizzazione delle aperture degli esercizi commerciali, restituendo la disciplina alle Regioni in base a esigenze specifiche. Una richiesta che ha motivazioni etiche, sociali ma anche economiche, come è emerso da un incontro voluto dalla Diocesi di Padova e aperto a tutti. Gabriella Ceraso ne ha parlato con don Marco Càgol, delegato vescovile per la Pastorale sociale e del lavoro:

    R. – Il primo dato che è emerso, soprattutto dai rappresentanti dei commercianti e dei lavoratori, è che quello che si era proposto come soluzione per rilanciare il consumo e quindi far girare meglio l’economia, in realtà non è avvenuto. Anche l’occupazione che è stata generata è un’occupazione di tipo precario. Il gradimento di questa esperienza, dunque, è molto relativo anche rispetto al costo che ha.

    D. – Accanto al discorso del lavoro, dell’occupazione, dell’economia nella questione intervengono, però, anche gli altri aspetti, che sono quelli che più interessano invece la Chiesa, pur senza costituire una sorta di crociata, no?

    R. – No, anche perché non è nello stile della Chiesa fare crociate su questi temi. Certamente, però, dal nostro punto di vista, la domenica ha un valore profondo, perché è il giorno del Signore, il giorno della Resurrezione. Noi crediamo, però, che la particolarità di questo giorno sia un dato antropologico sociale, relazionale, fondamentale, per cui affermarlo non è affermare un valore strettamente confessionale, ma qualcosa che fa bene a tutta la società.

    D. – A livello sociale, voi addirittura nell’analisi di questa questione siete andati anche molto più in là...

    R. – Ci interessa andare dentro questo fenomeno, per vedere quali sono le ingiustizie che si perpetuano nei confronti, per esempio, delle commesse, che sono molto spesso mamme di famiglia e non hanno nemmeno la turnazione sulla domenica, ma anche per vedere su cosa fanno leva gli interessi dei centri commerciali. Lo abbiamo visto come un sintomo di una fatica, di un disagio delle relazioni. E’ triste che una famiglia non abbia alternative che andare al centro commerciale!

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    L'Italia celebra la Giornata Onu contro la violenza sulle donne

    ◊   Si ratifichi presto la convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne e intrafamiliare. E’ l’appello soprattutto delle donne italiane di diversi schieramenti politici, in occasione del 25 novembre, giornata Onu contro la violenza sulle donne. In Italia è un problema molto grave. Negli ultimi mesi si sono moltiplicati i casi di femminicidio, per non parlare di stupri e aggressioni fisiche. Nella maggior parte dei casi ad opera di uomini vicini alle vittime. Francesca Sabatinelli ha intervistato l’avvocato Susanna Pisano, coordinatrice della Commissione Pari Opportunità del Consiglio Nazionale Forense, che ha lavorato ad un progetto di formazione di giovani avvocati finalizzata alla difesa delle donne:

    R. - Le donne sono sempre state fatte oggetto di violenza - e questo lo dobbiamo dire - da parte purtroppo del genere maschile e in particolare proprio di quegli uomini più vicini a loro, di cui si dovrebbero fidare. Sicuramente, da qualche tempo a questa parte, c’è un’attenzione diversa rispetto a questi problemi, che certamente vengono alla luce con più facilità. Questo, però, per un semplice motivo: è vero che, da una parte, le donne denunciano di più, ma dall’altra - purtroppo - si è passati dalle più variegate forme di violenza - da quella psicologica a quella fisica - all’omicidio e in maniera ripetuta, se teniamo conto che l’anno scorso avevamo la morte di una donna, legata a violenza da parte di un uomo cui era legata, ogni tre giorni; quest’anno siamo saliti ad una ogni due giorni.

    D. - Avvocato Pisano, lo accennava ma io vorrei ripeterlo: la percentuale più alta degli autori della violenza sulle donne sono uomini a loro vicini…

    R. - Sì, assolutamente sì! La percentuale è molto alta, purtroppo è aumentata e oscilla intorno all’80 per cento, di quanto ovviamente viene alla luce, e nella maggior parte sono ad opera di ex partner, di ex fidanzati abbandonati o dell’attuale marito. Soltanto una parte molto residuale è derivante da violenza portata da estranei. Lì ci fermiamo essenzialmente alla violenza sessuale: la violenza che sfocia nell’uccisione della donna è una violenza che proviene da un rapporto preesistente, normalmente un rapporto sentimentale o un rapporto affettivo, quando non sono i padri piuttosto che i fratelli.

    D. - Ci sono nuove forme di violenza?

    R. - Sicuramente sì, a parte ovviamente lo stalking che è un reato recentissimo, che peraltro è sempre esistito. Dobbiamo tener conto soprattutto di tutti i nuovi reati che la grande emigrazione sta portando anche nel nostro Paese: il reato, ad esempio, di tratta o il reato relativo alle mutilazioni genitali. Reati, questi, di cui si parla molto poco, ma che si stanno ormai moltiplicando.

    D. - Per quanto riguarda la situazione in Italia, si può parlare di situazione di emergenza?

    R. - Sicuramente è una situazione grave: io non so se sia emergenza o se sia una situazione sistemica, che dovrebbe essere affrontata con un approccio sistemico. Sicuramente è una situazione che non può rimanere inascoltata e che non può non trovare soluzioni. La maggior parte di questi femminicidi è anticipata da una serie di comportamenti, che lasciano presagire un possibile sviluppo in termini, appunto, di femminicidio e spesso vengono sottovalutati. Le donne che li denunciano vengono spesso tacciate di essere se non visionare, comunque soggetti che amplificano i fatti. Quando poi si arriva all’uccisione, un percorso è stato fatto e spesso avrebbe potuto avere degli interventi che avrebbero potuto evitare il peggio. Quello che probabilmente manca è proprio un approccio di sistema: il problema è quello di una formazione che sia sì culturale, ma anche tecnico-giuridica per i soggetti che hanno a che fare con questi casi, che sono di una difficoltà estrema, perché riuscire a farsi raccontare dalle donne cosa succede nelle mura di casa è estremamente difficile. E’ quindi necessario che si impegnino risorse nella formazione. Noi, come Consiglio nazionale forense, abbiamo realizzato un primo corso e abbiamo formato 80 giovani avvocati, con meno di cinque anni di professione e di iscrizione all’albo: li abbiamo formati in tutte queste materie, che vanno dalla psicologia alla tecnica giuridica, per cercare di incominciare - almeno nelle nuove generazioni - a sviluppare più competenze. Abbiamo iniziato un percorso, che vogliamo riuscire a portare nel resto dell’Italia, per dare proprio una risposta di sistema.

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    Colletta alimentare nei supermercati italiani

    ◊   Oltre 130.000 volontari della Fondazione Banco Alimentare Onlus, in 9.000 supermercati italiani, invitano per tutta la giornata a donare alimenti che verranno distribuiti a più di 8.600 strutture caritative, mense, comunità per minori, banchi di solidarietà, centri d’accoglienza, strutture che assistono 1.700.000 persone in condizione di povertà. La Giornata nazionale della Colletta Alimentare che si celebra oggi si svolge sotto l’alto patronato della Presidenza della Repubblica e trova la collaborazione dell’Esercito Italiano, oltre alla partecipazione di decine di migliaia di volontari aderenti all’Associazione Nazionale Alpini, alla Società di San Vincenzo De' Paoli e alla Compagnia delle Opere. Luca Collodi ha chiesto al presidente della Fondazione Banco Alimentare Onlus, Andrea Giussani, il senso di questa iniziativa:

    R. – E’ il 16.mo anno e, quindi, la prima ragione è la fedeltà al gesto che accomuna milioni di persone. Si stima, infatti, che oggi siano cinque milioni i consumatori che noi incontriamo, che vediamo nei supermercati il sabato, durante la giornata della colletta. Una ragione di fedeltà a che cosa? A un gesto di dono. Donare, ce l’hanno detto in molti, anche qualche Papa, è un moto dell’animo incontenibile, ineliminabile, però molto spesso nella nostra vita non abbiamo occasioni per donare o non le vediamo, oppure talvolta non ci fidiamo di chi ci propone questa opportunità. Per noi la colletta è diventato il modo per proporre a tutti gli italiani di fare un piccolo gesto di donazione, perché l’alimento donato forse è la cosa più bella che rende visibile l’incontro con una persona.

    D. – Come avviene questa colletta?

    R. - In tutti i punti vendita ci sono i volontari. Danno un piccolo volantino che spiega cosa acquistare…

    D. – I punti vendita sono i supermercati, chiaramente...

    R. – Sì, i supermercati, ipermercati, Cash&Carry, discount, c’è un po’ di tutto. Anche piccoli negozi. Dipende un po’ dalla disponibilità dei volontari nella zona. Per ognuno è possibile vedere anticipatamente nel nostro sito www.bancoalimentare.it dove si trova l’elenco, dov’è l’indirizzo del supermercato più vicino. I volontari danno qualche indicazione, soprattutto alimenti per bambini, omogeneizzati perché nella nostra attività, durante tutto l’anno, questi sono gli alimenti che mancano di più.

    D. - Ricordiamo questi alimenti servono per combattere anche questo tipo di povertà dovuta alla eccedenza alimentare: può sembrare quasi una contraddizione in termini quello che stiamo dicendo…

    R. – Sì, perché durante l’anno il Banco alimentare raccoglie circa 40mila tonnellate di eccedenze alimentari ancora assolutamente commestibili e, infine, c’è la colletta alimentare, che non è un eccedenza, come dicevamo prima: è una donazione, in questo caso. Le une più le altre, con circa 70mila tonnellate raccolte durante l’anno, coprono un bisogno di povertà alimentare, cioè di persone, di famiglie a cui in una settimana accade più di una volta di non avere un pasto al giorno.

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    Giornata nazionale del Parkinson: 250mila i malati in Italia

    ◊   Ricorre oggi la Giornata nazionale della malattia di Parkinson, descritta per la prima volta da James Parkinson, un farmacista chirurgo londinese del XIX secolo, nel suo documento "Trattato sulla paralisi agitante”. In Italia, i malati sono circa 250 mila. Contrariamente a quanto si possa pensare, non è una patologia prerogativa dell’anziano. Nel 10% dei casi esordisce sotto i 40 anni. La Limpe, Lega italiana per la lotta contro il Parkinson, avvia uno studio per prevenire le cadute delle persone affette da Parkinson, dovute al loro instabile equilibrio ed esorta a inviare un sms al 45596 per sostenere le ricerche su questa patologia. Partecipa allo studio anche il Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma. La dottoressa Anna Rita Bentivoglio, illustra il progetto e gli obiettivi della ricerca. L'ntervista è di Eliana Astorri:

    R. – La malattia di Parkinson è una malattia che colpisce il sistema nervoso centrale e in particolare colpisce alcuni nuclei nella profondità del cervello, che sono particolarmente coinvolti nel controllo dei movimenti. E’ come se alcune cellule invecchiassero prima delle altre in modo selettivo.

    D. – E si conoscono le cause?

    R. – In una piccola parte dei pazienti ci sono delle cause genetiche note e nella gran parte dei pazienti, però, questa è una malattia che si presenta non in forma familiare, ma in forma cosiddetta sporadica. Ci sono molte ipotesi sia sui fattori ambientali che sui fattori di predisposizione genetica, ma una causa precisa per le forme più frequenti di Parkinson, che sono quelle della persona in età medio avanzata e che non ha familiarità per la malattia, ancora non è nota.

    D. – La ricerca farmacologica, sostenuta anche da iniziative come quella della Giornata nazionale, è volta verso quali obiettivi?

    R. – Quello che sarebbe il nostro sogno è di trovare delle strategie terapeutiche, che possano fermare il processo degenerativo o almeno rallentarlo in modo significativo. Ad oggi esistono delle sostanze interessanti che, usandole in laboratorio, hanno dato risultati straordinari e che noi somministriamo anche nella pratica clinica, vedendo che i nostri pazienti stanno meglio. Quello che dovremmo fare, però, nel prossimo futuro sarà senz’altro trovare delle sostanze che interferiscano con il processo di degenerazione cellulare e questo, certo, non solamente per il Parkinson, ma anche per le altre malattie neurodegenerative. Non ci dimentichiamo poi che, oltre alle strategie farmacologiche, che riguardano la stragrande maggioranza dei pazienti, esistono anche terapie chirurgiche, che noi possiamo mettere in atto per pazienti selezionati che abbiano dei problemi particolari. Tra questi due estremi – terapie farmacologiche per bocca e terapie neurochirurgiche – esistono strategie per il paziente con sintomi di una certa importanza e quadri particolarmente complessi, in cui possiamo mettere pompe da infusione con un rilascio continuo di farmaci direttamente nell’intestino oppure altri farmaci, che possono essere somministrati attraverso pompe per infusione sottocutanea. Un po’ come fanno le persone affette da diabete con le pompe da insulina.

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    Percorsi comuni per la famiglia: musulmani e cristiani del Nord Italia s’incontrano domani a Brescia

    ◊   Una giornata-laboratorio sul tema della famiglia a cui sono attese circa 2000 persone, cristiane e musulmane, provenienti da tutto il Nord Italia: è ciò che si vivrà domani a Brescia. L’iniziativa, frutto di una rete di rapporti e di amicizie maturate negli anni, è co-promossa dal Movimento dei Focolari e da varie organizzazioni islamiche. Il servizio di Adriana Masotti:

    Una nuova tappa di reciproco riconoscimento e di dialogo della vita che attinge all’ideale di fraternità universale a cui si ispirano i Focolari e persone di fede islamica appartenenti a diverse comunità in Italia. Sulla Giornata di Brescia, intitolata “Percorsi comuni per la famiglia”, così l’imam Kamel Layachi, responsabile del dipartimento formazione e dialogo interreligioso nel Crii e imam delle comunità islamiche del Veneto:

    “‘Percorsi comuni per la famiglia’ è una tappa che si inserisce all’interno di un progetto più ampio. Brescia 2012 coinvolgerà 50 città del Nord Italia, ma in contemporanea ci sono preparativi in corso in altre regioni d’Italia per far fare questa esperienza a famiglie musulmane e famiglie cristiane del Movimento dei Focolari, e dopo però prendere un impegno per costruire qualcosa di buono nelle proprie città”.

    Ma perché la scelta di costruire un percorso comune proprio a partire dalla realtà della famiglia? Sentiamo Youssef Sbai, imam di Massa Carrara e vicepresidente nazionale Ucoii:

    “Per noi, la famiglia è il nucleo essenziale nella costruzione della società. La società, per andare avanti, ha bisogno della famiglia, della famiglia che ha figli, della famiglia che dia una buona educazione ai figli affinché diventino buoni cittadini per questo Paese. Secondo me non c’è tanta differenza tra le problematiche che vive la famiglia musulmana e quelle che vive la famiglia cristiana. Per questo noi, secondo me, stiamo dando una grande lezione alle famiglie che saranno presenti, dimostrando che possono collaborare tra di loro, anche per aiutarsi nell’educazione dei figli. Penso che la mancanza del sentimento della presenza di Dio nella famiglia è un valore che manca nella famiglia e che, a volte, crea crisi all’interno di essa. Spesso le crisi si risolvono quando si torna alla spiritualità della famiglia”.

    Brescia 2012 come punto d’arrivo, ma che già guarda a un evento nazionale a Roma nel maggio 2013, per continuare a costruire un futuro che è comune. Roberto Catalano, corresponsabile per il dialogo interreligioso del Movimento dei Focolari:

    “La giornata di Brescia è un punto d’arrivo di un lavoro di dialogo che si è fatto in questi anni, in Italia, a diversi livelli. Il dialogo del Movimento è nato e si è sviluppato per anni proprio a livello di dialogo della vita, quindi nel quotidiano. Ed è sulla base di questi tipi di rapporti che si è sviluppato tutto questo movimento di dialogo tra Focolari e comunità islamiche e che ha portato a questo evento di Brescia. Sarà un momento di valutazione, di confronto e di prospettiva futura. E’ stata scelta la famiglia perché la famiglia è forse l’istituzione che all’interno dell’islam e all’interno del cristianesimo, sebbene in prospettive diverse, attraversa un momento particolarmente delicato. Quindi, c’è l’interesse da entrambe le parti ad un approfondimento della problematica della famiglia, forse anche di un arricchimento reciproco che si potrebbe trovare. Se viviamo questo momento come un momento di comunione, può essere veramente un momento di integrazione. L’integrazione è sempre reciproca, non è mai unilaterale …”.

    Lavorare insieme per il bene comune: in che modo questo impegno coinvolge le comunità islamiche residenti in Italia? Ancora l’imam Layachi:

    “Ma senz’altro ci coinvolge, perché oggi l’Italia la sentiamo il nostro Paese, il nostro secondo Paese. E’ il Paese dove i nostri figli stanno crescendo, dove vanno a scuola e noi abbiamo il dovere di creare le condizioni per un’Italia migliore. Noi abbiamo questo compito, abbiamo questa responsabilità. Dobbiamo farlo assieme, perché insieme si lavora meglio e si va in profondità ai problemi veri della società. Per questo noi abbiamo avuto sempre un grande interesse a trovare quei momenti di sintesi con l’Ente pubblico, con la società civile, con il no-profit: appunto per risolvere i problemi che riguardavano l’integrazione. Abbiamo diffuso all’interno delle nostre comunità un concetto chiaro: noi non vogliamo sentirci vittime, nemmeno quando i toni si alzano, quando ci sono polemiche sui giornali. Noi cerchiamo di essere propositivi, abbiamo deciso di passare dalla protesta alla proposta. E quindi, lavorare per progetti significa anche mettersi in rete con gli attori, pubblici e privati, dei contesti in cui ci troviamo a vivere”.

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    Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica

    ◊   Nella Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, la liturgia ci propone il passo del Vangelo in cui Pilato interroga Gesù: vuole sapere se sia il re dei Giudei. Gesù gli risponde:

    «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

    Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente emerito di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:

    Non è molto solenne questa scena evangelica con cui si chiude l’anno liturgico: un governatore che presume di tenere stretto in pugno un rabbì malmesso, mite e vestito in modo rabberciato, con un manto rosso che lo rende strano. Un dialogo fra loro che sembra non portare a nulla: Pilato nervoso e scettico, che non sa spiegarsi che tipo sia quello che gli sta davanti; Gesù che dice di essere re e di avere un regno, ma non in questo mondo, non alla maniera che pensa Pilato. E si passa dal regno alla verità, dall’immaginario della forza a quello della testimonianza per una verità che non opprime né inganna, ma cerca cuori che ascoltano, servitori che non pensano di perdere la dignità dando la precedenza agli altri, insegnando solidarietà, abbracciando lebbrosi e bambini. Questa icona finale che chiude l’anno liturgico è sigillo di quanto abbiamo celebrato di domenica in domenica: abbiamo onorato e amato un re che non ha armate e non ha successo; abbiamo ascoltato un maestro che ha chiesto interiorità pulita e mani solidali; abbiamo condiviso con lui pane e speranza, abbiamo da lui imparato a conoscere e amare Dio Padre, che ha mandato il Figlio per donarci amore. Signore, venga il tuo Regno!

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Kinshasa: i vescovi di 34 Paesi africani “indignati e scioccati per la violenza nell’est del Congo”

    ◊   “Siamo indignati e scioccati nel constatare come la guerra scatenata da qualche mese nell’est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) stia per estendersi, causando un nuovo dramma umano” afferma il comunicato, inviato all’agenzia Fides, con la firma dei “vescovi presidenti di Conferenze episcopali africane e Presidenti di Caritas africane”, riuniti a Kinshasa per l’incontro sulla missione e l’identità della Caritas. Il meeting, al quale hanno partecipato presuli provenienti da 34 Paesi africani, si è svolto dal 20 al 22 novembre. L’offensiva nel nord Kivu da parte del gruppo di guerriglia M23, culminata con la conquista del suo capoluogo, Goma, viene biasimata in questo modo dai vescovi africani: “ Migliaia di uomini, donne e bambini, vittime delle violenze di una guerra che è stata loro imposta, sono sconvolti e gettati ancora una volta nella miseria più profonda a Goma e dintorni. Sono alla mercé delle intemperie, della fame, degli stupri e di ogni sorta di violenza, compreso l’arruolamento dei bambini. Si tratta di un’offesa alla dignità di queste persone come esseri umani e figli di Dio”. I vescovi riaffermano il loro convincimento “che la nostra non è più l’epoca delle guerre né delle conquiste territoriali, ma della collaborazione”, e denunciano “lo sfruttamento illegale delle risorse naturali, che è la principale causa di questa guerra”. Per questo i firmatari del documento chiedono a Onu, Unione Africana, Unione Europea e ai governi della Rdc e dei Paesi “implicati in qualche modo nella guerra”, oltre alle multinazionali del settore minerario, di trovare “una soluzione giusta e concertata, per mettere fine definitivamente alle sofferenze delle popolazioni civili dell’est della Rdc, evitando di gettarle nelle disperazione e nella violenza”. I vescovi lanciano infine un appello alla solidarietà cristiana, in particolare attraverso le reti Caritas del mondo. (R.P.)

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    Egitto: la posizione dei copti davanti alle nuove rivolte al Cairo

    ◊   L'appuntamento è fissato per martedì 27 novembre. Quel giorno, una delegazione delle Chiese cattoliche in Egitto si recherà in visita al Patriarca Tawadros II, incoronato Papa dei copti ortodossi domenica 18 novembre. “In quell'occasione” assicura all'agenzia Fides il vescovo di Assiut Kyrillos William, vicario patriarcale dei copti cattolici - ci consulteremo e coordineremo le nostre iniziative davanti all'emergenza che sta attraversando il nostro Paese”. I decreti costituzionali con cui il presidente Morsi ha ampliato i propri poteri continuano a sollevare proteste e agitazioni nel grande Paese nord-africano. Piazza Tahrir si è di nuovo riempita di manifestanti contro quello che viene percepito come un attentato alla nascente democrazia egiziana. “I seguaci di Morsi” spiega a Fides il vescovo Kyrillos “sostengono che questi provvedimenti sono necessari proprio per salvaguardare il cammino della rivoluzione. Ma tutti gli altri parlano di deriva verso la dittatura e dicono che il presidente Morsi vuole diventare un nuovo faraone”. La scorsa settimana i rappresentanti delle comunità cristiane hanno confermato il proprio ritiro dalla Assemblea costituente, come risposta alle pressioni in atto per orientare in senso islamista la carta costituzionale egiziana. Ieri ha suscitato clamore anche il forfait annunciato dal consigliere presidenziale copto Shamir Morcos, considerato finora un intermediario prezioso tra la Presidenza Morsi e la comunità copta. “Morcos” ricorda a Fides il vescovo Kyrillos ”era assistente del Presidente per la democratizzazione del Paese. Le motivazioni del suo ritiro sono eloquenti: Morcos ha dichiarato che gli ultimi decreti del Presidente, adottati senza alcuna consultazione, hanno sabotato proprio quel processo di sviluppo della democrazia che lui avrebbe dovuto monitorare, riducendo il suo incarico a una funzione puramente decorativa. (R.P.)

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    Siria: appello dei vescovi per scongiurare la catastrofe che incombe sui cristiani dell'alta Mesopotamia

    ◊   Un appello urgente al Papa, al Segretario dell'Onu e a tutti i Capi di Stato affinché sia evitata la catastrofe che incombe sulle popolazioni siriane dell'alta Mesopotamia, tra il Tigri e l'Eufrate. Lo lanciano, attraverso l'agenzia Fides, tre vescovi della regione, alla fine dei tre giorni di digiuno con cui i cristiani dell'area hanno chiesto al Signore il dono della pace. L'arcivescovo Jacques Behnan Hindo, titolare della arcieparchia siro-cattolica di Hassaké-Nisibi, dalla parrocchia dei Santi Pietro e Paolo a Kamishly descrive a Fides una situazione sull'orlo del baratro: “Nei giorni scorsi i gruppi salafiti sono entrati a Ras al Ain. Da lì sono fuggite 30mila persone, che si sono aggiunte ai 400mila profughi già provenienti da Deir el Zor, Homs e Aleppo. Adesso loro e quelli del Free Syrian Army, dislocati alla frontiera turca, potrebbero puntare alla provincia di Jazira, ai centri urbani di Hassakè e Kamishly. Se lo faranno, l'esercito di Assad bombarderà, come è successo a Ras al Ain. Sarà una carneficina, e ci saranno altre 800mila persone costrette a fuggire, senza sapere dove”. L'arcivescovo, in coordinamento con gli altri vescovi – il siro-ortodosso e l'assiro – e con i leader locali delle altre comunità etniche e religiose, è impegnato in iniziative febbrili di mediazione per evitare nuove tragedie alla sua gente. “Noi cristiani - racconta a Fides mons. Hindo - insieme a tutte le altre componenti arabe e curde, abbiamo inviato lettere sia a quelli del Free Syrian Army che ai gruppi salafiti, chiedendo di non iniziare la loro offensiva. La loro risposta finora è stata: aspettiamo gli ordini dei nostri capi. Per scongiurare tutto questo, abbiamo inviato il nostro appello urgente a Benedetto XVI e ai Capi delle nazioni, chiedendo che facciano pressione affinchè i gruppi armati non entrino nella nostra regione. Le strade che collegavano l'alta Mesopotamia a Damasco, Homs e Aleppo, sono interrotte. Nelle città anche l'elettricità va e viene. In questa condizione sospesa, le componenti locali hanno creato comitati popolari per mantenere la sicurezza nei quartieri e gestire i forni che producono il pane per i profughi. L'arcivescovo Hindo conferma a Fides che i comitati popolari hanno finora rifiutato di armarsi e di trasformarsi in milizie di autodifesa. “Anche a me - racconta mons. Hindo - hanno proposto di far distribuire 700 armi a Hassakè e mille a Kamishly. Io ho rifiutato categoricamente, come tutti i cristiani di qui. I comitati popolari non sono armati e non hanno niente a che fare con il governo”. (R.P.)

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    Spagna: nota dei vescovi sulla legislazione familiare e la crisi

    ◊   Si è conclusa ieri con un pellegrinaggio a Montilla (Córdoba) la 100.ma Assemblea plenaria della Conferenza episcopale spagnola. A Montilla, infatti, dallo scorso 12 ottobre si celebra l’Anno giubilare montillano, in occasione della dichiarazione di san Giovanni d’Avila dottore della Chiesa universale. Nella città dell‘Andalusia - riferisce l'agenzia Sir - sono andati in pellegrinaggio 76 vescovi e tra loro tre cardinali: l’arcivescovo di Madrid e presidente della Conferenza episcopale spagnola, cardinale Antonio Mª Rouco Varela; il cardinale Carlos Amigo Vallejo, arcivescovo emerito di Siviglia, e il cardinale Antonio Cañizares Llovera, prefetto della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti. Ieri mattina, dopo una processione nelle strade di Montilla, il cardinale Rouco ha presieduto la messa nella basilica pontificia dove si custodisce la tomba di san Giovanni d’Avila. Ieri sera i presuli hanno condiviso una cena di fraternità ed hanno visitato la casa del nuovo dottore della Chiesa e il monastero di Santa Chiara. Durante l’Assemblea plenaria i vescovi spagnoli hanno approvato una “Nota sulla legislazione familiare e la crisi economica”: “L’Assemblea plenaria della Conferenza episcopale spagnola - si legge nel documento - di fronte alla sentenza del Tribunale costituzionale dello scorso 6 novembre, si sente in dovere di ricordare che l’attuale legislazione spagnola sul matrimonio è molto ingiusta. Lo è - spiegano i vescovi spagnoli - perché non riconosce in modo netto l’istituzione del matrimonio nella sua specificità e non protegge il diritto dei contraenti a essere riconosciuti nell’ordinamento giuridico come 'marito’ e 'moglie’; né garantisce il diritto dei bambini e dei giovani a essere educati come 'mariti’ e 'mogli’ del futuro; né il diritto dei bambini a godere di un padre e una madre nel seno di una famiglia stabile. Non sono leggi giuste quelle che non riconoscono né proteggono questi diritti tanto basilari senza restrizione alcuna”. Perciò, per i presuli spagnoli, “è urgente la riforma della nostra legislazione sul matrimonio”. Di qui il richiamo ai politici affinché “si assumano le loro responsabilità. La retta ragione esige che, in questa materia così decisiva, tutti agiscano secondo la propria coscienza, al di là di qualsiasi ordine di partito”. “Nessuno - proseguono i vescovi - può convalidare con il suo voto leggi che danneggiano così gravemente le strutture fondamentali della società. I cattolici, in particolare, debbono tener presente che, come servitori del bene comune, devono essere anche coerenti con la loro fede”. “Senza la famiglia, senza la protezione del matrimonio e della natalità, non ci sarà un’uscita duratura dalla crisi”, conclude la nota. (R.P.)

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    Zagabria: l'intervento del card. Bozanic alla Conferenza dei vescovi cattolici di rito orientale

    ◊   Con una Messa secondo il rito latino presieduta dal cardinale Josip Bozanić, arcivescovo di Zagabria, 40 vescovi cattolici di rito orientale in Europa, hanno iniziato, giovedì sera, nella capitale croata il loro incontro annuale. “Vogliamo con ciò dimostrare l’Una, Santa, Cattolica e Apostolica Chiesa, con a capo il Papa di Roma”, ha acclamato mons. Nikola Kekić, vescovo di Križevci, che ospita l’incontro. Nella sua omelia, il cardinale Bozanić ha ricordato come “le circostanze odierne, caratterizzate da nuove espressioni ideologiche, richiedono nuove tipi di testimonianze radicali”. E prosegue: “Nell’anno della fede siamo chiamati a rinnovare i doni che abbiamo ricevuto e che ci hanno rafforzato nella sequela di Cristo”. A sottolineare il legame che unisce la Croazia con le altre tradizioni orientali dell’Europa è stato l’uso, nella parte centrale della Messa, dell’antica lingua croata-glagolitica, una forma di vetero-croato apparentato al più antico alfabeto slavo creato dai santi fratelli missionari Cirillo e Metodio che nel corso del IX secolo convertirono numerosi popoli slavi. L’incontro si svolge quest’anno in Croazia in occasione dei 400 anni dell’Unione della Chiesa greco-cattolica croata con Roma. Ieri mattina, dopo i saluti di mons. Kekić che si è soffermato sulla storia della Chiesa greco cattolica croata, e del nunzio apostolico in Croazia, mons. Alessandro D’Errico, è stato dato lettura del messaggio che il cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest e presidente del Ccee ha voluto indirizzare ai partecipanti. In esso, il presidente del Ccee ha ricordato come “in Europa oggi i nostri concittadini, anche se non sempre pienamente coscienti, sentono molto il bisogno di Dio, dei valori spirituali e di una nuova concezione di vita che non guardi soltanto ai beni materiali”. Per il presidente della Ccee, i cittadini europei “hanno quindi bisogno di conoscere confessori della fede e gente che non separano la fede dalla vita quotidiana”. I lavori prevedono gli interventi del vescovo responsabile per i cattolici di rito bizantino in Grecia, mons. Dimitrios Salachas, quello di Sua Beatitudine Sviatoslav Schevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, e quello di mons. Cyril Vasil’, Segretario della Congregazione per le Chiese Orientali della Santa Sede.
    Nel corso dell’incontro, è previsto anche uno scambio d’informazioni circa le attività messe in atto dai vescovi cattolici di rito orientale per l’Anno della fede ed una comunicazione sul recente Sinodo dei vescovi sulla Nuova Evangelizzazione da parte di mons. Virgil Bercea, vescovo di Oradea-Mare. (L.Z.)

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    Bruxelles: gli episcopati europei di fronte alla crisi si appellano all’unità

    ◊   “La nostra chance è essere uniti”: questo l'appello del cardinale Marx, presidente della Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea) all’Assemblea plenaria autunnale dei vescovi della Comece, che si è conclusa ieri a Bruxelles. “Di fronte alla crisi attuale – si legge nel comunicato diffuso al termine dei lavori – i vescovi della Comece sono consapevoli del fatto che le riforme intraprese da numerosi Stati della zona euro sono un mezzo, per l’Europa, di conservare il proprio ruolo nel XXI secolo”. Tuttavia, ribadiscono i presuli, “i sacrifici imposti dai governi alle popolazioni non dovrebbero andare contro la giustizia sociale”. Di qui, il richiamo forte a tutti i cittadini affinché restino “uniti e solidali di fronte alla crisi”. Per sottolineare ulteriormente la necessità di solidarietà, i vescovi della Comece hanno stabilito di riflettere nei prossimi mesi, insieme a Caritas Europa, sul “rafforzamento dell’aiuto intra-europeo della Chiesa”. E per testimoniare anche la solidarietà spirituale, si è pensato a come elaborare “un’iniziativa di preghiera per l’Europa che coinvolga i cristiani di tutti i Paesi e di tutte le comunità religiose del continente”. Un ulteriore approfondimento su un’unità che “vada al di là delle divergenze nazionali e culturali”, continua la nota, potrà scaturire dalla riflessione sull’Esortazione apostolica post-sinodale “Ecclesia in Europa”, siglata da Giovanni Paolo II il 28 giugno 2003 e della quale l’anno prossimo ricorrerà il decimo anniversario. Per l’occasione, la Comece ha in programma una serie di eventi celebrativi, con l’obiettivo di “promuovere la consapevolezza di appartenere ad una sola ed unica Chiesa in Europa”. Infine, la Commissione degli episcopati europei ha designato un nuovo segretario generale per i prossimi tre anni: si tratta di padre Patrick Daly, 61 anni, sacerdote della diocesi di Birmingham, nel Regno Unito, che assumerà il nuovo incarico a gennaio 2013, subentrando al segretario uscente padre Piotr Mazurkiewicz. (I.P.)

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    Sierra Leone: appello alla calma del vescovo di Freetown dopo le tensioni post-elettorali

    ◊   “Prego perché nel caso di contestazioni tutti i partiti rifiutino qualsiasi forma di violenza e rispettino la legge” dice all'agenzia Misna mons. Edward Tamba Charles, l’arcivescovo di Freetown, dopo l’annuncio di un parziale riconteggio dei voti da parte delle Commissione elettorale a seguito di accuse di irregolarità. Secondo il presidente dell’organismo, Christiana Thorpe, il riconteggio riguarderà circa il 10% delle schede. Non è chiaro se la decisione consentirà di pubblicare i risultati delle elezioni presidenziali e legislative entro lunedì, come previsto dalla legge. “Sia durante lo scrutinio che nei giorni successivi – sottolinea mons. Charles – l’atmosfera in Sierra Leone è rimasta nel complesso tranquilla”. Alla Misna lo conferma padre Giuseppe Berton, un missionario saveriano da oltre 40 anni in questo piccolo paese dell’Africa occidentale. “Non sembrano pesare molto – dice padre Berton – nemmeno le accuse di irregolarità mosse da Julius Maada Bio, il principale candidato dell’opposizione alla presidenza”. Sabato circa due milioni e 600.000 aventi diritto sono stati chiamati alle urne per rinnovare il parlamento e i consigli comunali e soprattutto eleggere il presidente. Il capo di Stato Ernest Bai Koroma, candidato dell’All People’s Congress (Apc), cerca un secondo e ultimo mandato. Julius Maada Bio, ex capo di Stato, rappresenta il Sierra Leone People’s Party (Slpp). Un ruolo potrebbe avere anche Charles Francis Margai, figlio di un ex primo ministro che corre con il People’s Movement for Democratic Change (Pmdc). Se nessuno dei candidati alla presidenza avesse ottenuto il 55% dei voti sarebbe necessario un ballottaggio, come avvenne nel 2007. (R.P.)

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    Abu Dhabi: i giovani cattolici pronti ad approfondire la fede

    ◊   Nell’Anno della Fede i giovani cattolici nella penisola arabica approfondiranno la fede e ne studieranno i contenuti grazie a “Youcat”, lo speciale catechismo per i giovani, disponibile in inglese ma anche in arabo. E’ quanto riferisce all’agenzia Fides mons. Camillo Ballin, vicario apostolico dell’Arabia del Nord, parlando di come le comunità locali vivono l’Anno della Fede. La Chiesa locale ha cercato di dare un impulso soprattutto alla gioventù, tramite il grande raduno dei giovani cattolici della penisola tenutosi ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi, dal 15 al 17 novembre. “Il raduno – spiega il Vicario – è stato un momento per ritrovare slancio nella fede. Vi hanno preso parte oltre 2.500 giovani cattolici, perlopiù asiatici (indiani, bengalesi, filippini, srilankesi che vivono stabilmente nella penisola arabica) ma anche arabi. I giovani hanno risposto con entusiasmo, accostandosi ai Sacramenti come la Riconciliazione e l’Eucarestia”. Oltre 600 giovani sono andati a confessarsi, nei tre giorni di raduno, e molti altri sono stati “profondamente ispirati e colpiti dai colloqui e dalle catechesi”, mentre più di 5.000 persone hanno assistito al concerto finale del raduno. Mons. Ballin nota: “Il messaggio finale è un messaggio di gioia, l’invito a non avere paura e ad essere una forza per società, per la Chiesa, per il mondo”. Anche mons. Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabi del Sud, intervenendo al congresso, ha esortato i giovani a “credere che tutto è possibile, basandosi sul messaggio di Gesù nel Vangelo”, ricordando a tutti i partecipanti che “hanno una missione da compiere”. Nei prossimi mesi, per dare continuità all’evento, nell’Anno della Fede, i giovani della penisola arabica studieranno e mediteranno i contenuti della fede tramite “You Cat”, il catechismo pensato per loro. Inoltre il vicario apostolico dell’Arabia del Nord, che ha sede in Kwait, ha inviato all’intera popolazione cattolica del suo territorio (circa 300mila fedeli), una speciale Lettera Pastorale che commenta il “Credo” e che sarà oggetto di studio, riflessione e revisione di vita negli incontri assembleari, durante l’Anno della Fede. A settembre 2012 si è tenuto in Kwait uno speciale “Congresso Unitario” della Chiesa locale, un sorta di “piccolo sinodo”, con oltre 400 partecipanti, dedicato al tema della fede. (R.P.)

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    America Latina: ancora decine di milioni di persone soffrono la fame

    ◊   Sono 49 milioni gli abitanti America Latina e Caraibi che hanno sofferto la fame fra il 2010 e il 2012, numero di poco inferiore (-2%) rispetto al triennio precedente attribuito alla cattiva distribuzione della ricchezza e all’effetto della crisi. Secondo il ‘Panorama della sicurezza alimentare e nutrizionale’ della regione stilato dalla Fao (organizzazione dell’Onu per l’alimentazione e l’agricoltura), ciò implica che l’8,3% della popolazione complessiva non ingerisce calorie sufficienti a condurre una vita sana. In cima alla lista dei Paesi più pregiudicati - riferisce l'agenzia Misna - figurano Haiti, Guatemala, Paraguay, Bolivia e Nicaragua. Sebbene le persone colpite da malnutrizione continui a scendere – nel periodo 2004-2006 erano 54 milioni; fra il 2007-2009 si sono ridotti a 50 milioni – il trend ha subito un chiaro rallentamento. “Nel 2012, l’impulso alla crescita che hanno registrato le economie regionali – quest’anno pari al 3,2% – non si è tradotto in una diminuzione della vulnerabilità a cui è esposta una parte della popolazione” ha osservato il rappresentante regionale della Fao, Raúl Benítez. Nonostante nell’ultimo decennio America Latina e Caraibi abbiano vissuto un periodo dinamico di crescita economica e diminuzione della povertà, a fronte dell’aumento del reddito, persistono forti indici di disuguaglianza. Il nodo della questione, per quanto riguarda il cibo, non è rappresentato da problemi di produzione o rifornimento “ma dalla mancanza di accesso agli alimenti da parte di un settore importante della popolazione che non ha entrate sufficienti per acquistarli”. Su tutto pesa la minaccia rappresentata anche dal costante aumento dei prezzi degli alimenti: solo tra giugno e agosto di quest’anno, ricorda la Fao, il prezzo del mais è salito in media del 25%, la soia del 20% e il grano del 26%. (R.P.)

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    Bolivia. In marcia per la vita: “no” della popolazione all’aborto

    ◊   “Io amo la vita”: riunendosi attorno a questo slogna, la popolazione di Santa Cruz ha partecipato in massa alla “Marcia per la Vita” che si è svolta ieri, organizzata da oltre 300 istituzioni come il Consiglio Regionale della Gioventù, la Chiesa Cattolica e il Comitato Civico Femminile, tra le altre. Come riferito a Fides dalla Chiesa locale, l’iniziativa ha voluto manifestare pubblicamente il totale disaccordo verso progetti di legge che propongono di legalizzare l'aborto nel paese. L'arcivescovo coadiutore di Santa Cruz de la Sierra, mons. Sergio Gualberti, aveva invitato tutta la popolazione a “partecipare in modo massiccio e con entusiasmo alla Marcia per la vita, e così rifiutare l'aborto e l'eutanasia che vogliono imporre gruppi con ideologie straniere”, ha detto in una nota ufficiale, pervenuta a Fides. “Dinanzi questa situazione, come cattolici vogliamo esprimere pubblicamente la nostra fede nel Dio della vita, vita inviolabile dal primo momento della concezione fino alla morte naturale”, ha aggiunto. Nella nota inviata all’agenzia Fides, Edwin Bazan, portavoce della Chiesa cattolica locale, rimarca che proposte di legge di questo tipo mirano a far sì che “la cultura della morte”, spesso accettata in modo acritico dai politici, “metta radici in Bolivia”. Attraverso la marcia la Chiesa ha voluto ricordare loro che devono promuovere una legislazione a favore della vita: “Vogliamo dire ai politici che noi, persone che hanno dato il voto per loro, siamo un popolo che vuole la vita e non vogliamo progetti di morte. Noi crediamo che la vita è un dono di Dio e che deve essere rispettata. E' ora d'accompagnare le nostre preghiere con atti: la marcia è un messaggio chiaro alla classe politica”, ha detto il portavoce della Chiesa cattolica. Agustin Aguilera, vice presidente dell'Associazione nazionale degli evangelici della Bolivia, che hanno partecipato alla marcia, ha definito la legalizzazione dell'aborto “un omicidio”. “L'aborto è una parola morbida per dire ‘diritto a uccidere’, perché quando una persona è concepita ha già il diritto di vivere”, ha rimarcato. (R.P.)

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    Costa Rica: preoccupano le forti precipitazioni che si stanno abbattendo sul Paese

    ◊   Inondazioni e smottamenti del terreno stanno continuando a verificarsi in Costa Rica dalla scorsa settimana. Secondo la Comisión Nacional de Emergencia (Cne), le zone costiere caraibiche sono quelle più colpite. A Matina, 80 chilometri ad est della capitale San José, le forti piogge stanno danneggiando gravemente le abitazioni e diverse strade di accesso ai villaggi. A causa delle frane - riferisce l'agenzia Fides - è stata chiusa una delle strade principali che collegano la capitale e la città orientale di Limón. Inoltre, la Cne controlla gli affluenti di almeno sei fiumi straripati e mantiene tutto il territorio sotto osservazione. L’Istituto Meteorologico Nazionale ha previsto precipitazioni nella zona dei Caraibi e nel nord del Paese, oltre a precipitazioni isolate nelle regioni centrali e a piogge scarse sulle coste del Pacifico. Le piogge e i forti venti, fino a 90 chilometri all’ora, tuteleranno dal passaggio della massa di aria fredda sul territorio e manterranno il loro influsso fino al weekend. Le autorità chiedono maggiore vigilanza nelle zone più colpite, e mettono in guardia su possibili turbolenze pericolose per gli aerei. (R.P.)

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    Cile: messaggio dei vescovi su partecipazione politica e abusi sui minori

    ◊   “Con onestà e autocritica abbiamo esaminato il nostro agire di fronte a queste situazioni e le sue conseguenze” hanno dichiarato i vescovi cileni riguardo alle nuove denuncie di abusi sessuali sui minori che hanno coinvolto un sacerdote e un vescovo. Nel messaggio finale dell’Assemblea plenaria della Conferenza episcopale cilena, i prelati hanno rassicurato i fedeli sulla loro volontà di “affrontare questa realtà dalla radice facendo enfasi sull’attenzione e sollecitudine verso le vittime”. La chiesa cilena ha rinnovato la loro gratitudine al Consiglio nazionale di Prevenzione di abusi sui minori e accompagnamento delle vittime, creato dopo la Assemblea plenaria dell’episcopato, ad aprile dell’anno scorso, insieme a un gruppo di professionisti nella materia. La Lettera pastorale intitolata “Umanizzare e condividere con equità lo sviluppo del Cile” presentata a settembre scorso, è stata il tema del messaggio dei vescovi cileni che hanno chiesto alle comunità ecclesiali di riflettere sul loro contributo come cattolici “nella costruzione di una cultura del dono, della gratuità e della solidarietà dalla persona e dal messaggio di Cristo”. In questo senso, i vescovi ricordano che “partecipare nella vita pubblica e nei processi elettorali è un dovere per i cristiani” manifestando così la loro preoccupazione per l’alto indice di astensionismo nei recenti comizi municipali. “ Solo a partire di una democrazia reale e partecipativa - aggiungono - il nostro Paese potrà superare le iniquità e le ingiustizie che persistono in materie come la salute, l’educazione, il lavoro, la promozione della famiglia e la situazione dei popoli indigeni. Il messaggio della plenaria dell’episcopato cileno è stato anche occasione per riflettere sull’Anno della Fede che raggiungerà un traguardo importante a giugno del 2013 con la II Assemblea ecclesiale che permetterà ai vescovi ascoltare dalle comunità parrocchiali, ai movimenti apostolici, dai religiosi ai rappresentanti delle università e delle scuole cattoliche, per elaborare gli Orientamenti pastorali dei prossimi anni. “Oggi più che mai evangelizzare significa dare testimonio di una vita nuova trasformata da Dio” affermano i prelati e chiedono affinchè “la vita nuova in Cristo permetta a tutti superare questi tempi d’inquietudini e d’incertezze”. Infine, il messaggio della plenaria si fa eco dell’entusiasmo di migliaia di giovani che partecipano attivamente nella “Mision Joven” e preparano il Congresso nazionale di Pastorale Giovanile di gennaio, a Concepciòn, come un tempo di speranza e d’incontro con Gesù”. (A cura di Alina Tufani)

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    Madagascar: i vescovi denunciano l'avidità dei partiti e impunità

    ◊   “In Madagascar finora abbiamo avuto quattro costituzioni. In generale i capi di Stato sono arrivati al potere in seguito a sollevazioni popolari ma ciascuno ha fatto votare una costituzione di sua convenienza per conservare il potere e farne approfittare amici e parenti. Per lo più hanno tenuto conto di interessi personali e degli interessi di nazioni amiche piuttosto che di quelli del nostro Paese. La storia andrà avanti così fin quando non verrà creato un sistema adeguato che protegga l’interesse del popolo e promuova il bene comune”: è senza appello il verdetto dei vescovi del Madagascar, contenuto in una lettera intitolata “La verità vi renderà liberi (Jn 8,32). Che la pace di Cristo sia con voi”, pubblicata dalla stampa locale a pochi giorni da un incontro nazionale tenutosi ad Antananarivo, la capitale. Dicendosi “preoccupati per la situazione che prevale nel paese”, 26 arcivescovi e vescovi, hanno deplorato “la mancata indipendenza del Madagasikara” nonostante siano passati 54 anni dalla fine dell’occupazione francese. Dalla destituzione dell’ex presidente Marc Ravalomanana nel marzo 2009, a cui è succeduto il giovane Andry Rajoelina sostenuto da una parte della popolazione e dall’esercito, la grande isola africana dell’Oceano Indiano sta vivendo una transizione politica infinita con ripercussioni negative sulla vita socio-economica di cittadini già poveri. “Ogni giorno constatiamo la mancata indipendenza del nostro Paese. Le prove sono tante: spoliazione delle risorse nazionali – ferro, pietre preziose, legname pregiato, petrolio – tramite contratti di sfruttamento non equi e confisca di terreni. Poi ci sono gli agenti di sicurezza al servizio dello Stato che approfittano del loro potere per massacrare povera gente” aggiungono i firmatari della lettera, sottolineando che “è tutt’ora il regno della corruzione, di una giustizia a due velocità e della cultura dell’impunità che ostacolano il raggiungimento di un clima di pace”. Sulla carta, dopo la firma di un accordo di transizione tra le principali correnti politiche, elezioni presidenziali sono in agenda a maggio del prossimo anno. Guardando al futuro i vescovi esortano i dirigenti malgasci a “preservare l’unità della nazione”, “a difendere unicamente l’interesse del popolo investendo su istruzione e sanità”, “a conquistare indipendenza nei rapporti con altri Paesi” ma soprattutto a “far prevalere la verità e la giustizia”. Nelle ultime ore a finire al centro di pesanti accuse – esecuzioni sommarie di civili, violenze indiscriminate, distruzione di villaggi – sono state le forze di sicurezza impegnate da settembre nell’operazione ‘Tandroka’ per lottare contro il furto di zebù nella regione meridionale di Anosy. Secondo un rapporto pubblicato dall’organizzazione Amnesty International le ‘forze di intervento speciale’ si sarebbero rese responsabili dell’uccisione di 11 civili e della distruzione di 95 abitazioni nel comune Elonty mentre nella zona di Fort-Dauphin dall’inizio dell’anno 250 persone hanno perso la vita in circostanze oscure. Richard Ravalomanana, comandante della gendarmeria, ha respinto le conclusioni di un “rapporto poco credibile, frutto di un’inchiesta svolta in fretta e senza andare sul terreno”. (R.P.)

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    Indonesia. A Sumatra islamisti fomentano la “cristianofobia”: nel mirino scuole, chiese e negozi

    ◊   Nel distretto di West Pasaman, provincia indonesiana di West Sumatra, contraddistinta da una forte componente islamica estremista, alcuni gruppi locali - sostenuti dai vertici dell'amministrazione - hanno lanciato una violenta campagna anti-cristiana. Il vescovo di Padang, preoccupato dalla crescente "cristianofobia", cerca di mediare mantenendo "buoni rapporti" con i diversi gruppi e rappresentanze di cittadini, compresa l'ala musulmana moderata. L'ondata di "cristianofobia" nella terza isola per grandezza dell'arcipelago indonesiano - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha assunto contorni preoccupanti nei giorni scorsi, quando hanno iniziato a montare le proteste di piazza. Il 19 novembre una folla ha marciato per le vie del distretto di West Pasaman, per manifestare contro "la crescente presenza" di "istituti scolastici cattolici e protestanti" nella regione. In testa ai cortei vi erano esponenti e leader di gruppi estremisti islamici, che hanno lanciato slogan e urla contro scuole, chiese ed edifici commerciali di proprietà della minoranza religiosa. Tra i molti cartelli che campeggiavano fra la folla, uno ricordava che è "moralmente obbligatorio per le famiglie musulmane, non mandare i propri figli a scuola in istituti cristiani e cattolici". Un'altra scritta inneggiava alla chiusura "di caffè e negozi cristiani". E il timore concreto è che la campagna di odio e di ostracismo possa assumere contorni ancor più foschi e violenti. Fra gli obiettivi dei manifestanti vi era anche la chiesa cattolica di Sumber Karya, a West Pasaman; per questo i responsabili locali hanno preferito annullare i lavori di ampliamento e ristrutturazione, per scongiurare nuove tensioni. Fra i motivi alla base dell'attacco all'edificio, la presunta mancanza del permesso di costruzione - il famigerato Izin Mendirikan Bangunan (Imb) - un pretesto più volte usato per colpire opere, centri e luoghi di culto cristiani in Indonesia. Un sacerdote della zona spiega ad AsiaNews che sono state adempiute tutte le procedure per ottenere il permesso, ma le autorità oppongono resistenze. Dopo Aceh, la sola in cui vige la Sharia, la provincia di West Sumatra è la seconda del Paese per numero di musulmani in rapporto alla popolazione e presenta molte affinità con la prima, fra cui il riferimento a pratiche e a norme che si ispirano all'islam e al Corano. (R.P.)

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    India: gli anglicani sostengono le proteste anti-nucleari di Kudankulam

    ◊   Leader protestanti dell'India meridionale sostengono la protesta contro la centrale nucleare di Kudankulam (Tamil Nadu). In un messaggio ufficiale, delegati della Church of South India (Csi, anglicana) esprimono "piena solidarietà alla lotta delle comunità di Idinthikarai e di Kudankulam, la cui sopravvivenza è incompatibile con il progetto nucleare indo-russo". Il comunicato è stato presentato durante un seminario organizzato dal Department of Ecumenical Relations and Ecological Concerns della Csi, il 20 novembre scorso. Firmato nel 1988 ma avviato solo nel 1997, il progetto indo-russo di Kudankulam è da tempo al centro di forti proteste, che ne hanno causato diversi rinvii. Secondo la popolazione locale, gli scarichi dei reattori uccideranno i pesci e distruggeranno l'ecosistema marino della Baia del Bengala, prima fonte di reddito per i tanti piccoli pescatori della zona. Secondo i leader protestanti, l'India dovrebbe commissionare tutte le centrali del Paese fino al loro completo spegnimento, e puntare sulle energie rinnovabili. In particolare, essi suggeriscono di puntare sull'energia solare, rendendo obbligatoria l'applicazione di pannelli sui tetti di grandi edifici e fabbriche. Inoltre, villaggi e città dovrebbero ridurre l'inquinamento, e avviare programmi di riciclo per convertire i rifiuti solidi in energia. Proprio in questi giorni, l'International Atomic Energy Agency (Iaea), l'organismo di controllo sul nucleare delle Nazioni Unite, ha stabilito che i reattori indiani sono tra "i migliori e i più sicuri" del mondo. Funzionari dell'Aiea hanno visitato l'impianto del Rajashtan, i cui due reattori "possono fronteggiare un incidente come quello di Fukushima". Per gli analisti, l'appoggio dell'ente Onu dovrebbe aiutare a placare le voci anti-nucleare, come quella di Kudankulam. Altri giudicano in modo positivo le dichiarazioni dell'Iaea, ma credono che l'India dovrebbe verificare la centrale di Tarapur, la più antica, costruita nel 1969 dalla General Electric. Secondo A. Gopalakrishnan, ex presidente dell'Atomic Energy Regulatory Board, "i due reattori di Tarapur non sono affatto sicuri e avrebbero dovuto essere chiusi molto tempo fa. Essi, infatti, sono simili a quelli esplosi uno dopo l'altro a Fukushima. (R.P.)

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    Padre José Rodriguez Carballo è il nuovo presidente del Consiglio dell'Unione dei Superiori Generali

    ◊   Con la presentazione dei neoeletti presidente, vicepresidente e membri del Consiglio esecutivo, si sono chiusi ieri a Roma, i lavori dell’Assemblea Generale dell’Unione dei Superiori Generali (Usg). Al vertice dell’Usg per il prossimo triennio ci sarà padre José Rodriguez Carballo, Ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori, che prende il posto di Don Pascual Chávez, Rettor Maggiore dei salesiani. L’elezione del nuovo presidente è avvenuta giovedì pomeriggio. L’Assemblea Generale dell’Usg – seguita all’Assemblea semestrale – ha eletto a larga maggioranza padre Rodriguez Carballo, spagnolo, di 59 anni. Il religioso è francescano dal 1971 ed è stato ordinato sacerdote da Papa Paolo VI nel 1977. Il 5 giugno 2003 è stato eletto per la prima volta Ministro generale dei Frati minori e il 4 giugno 2009 è stato riconfermato nell’incarico. “La Vita religiosa è viva e per questo possiamo affrontare con umiltà e fiducia le sfide che ci attendono. Vogliamo riaffermarci come testimoni e operatori della Nuova Evangelizzazione, nei vari ambiti della vita e secondo i rispettivi carismi” ha detto il neopresidente nel saluto di presentazione. E ha anche aggiunto. “Voglio esprimere la mia personale gratitudine, sicuro di interpretare anche il vostro pensiero, nei confronti di Don Pascual Chávez per i 6 anni del suo incarico”. Nella giornata di ieri sono stati eletti il vicepresidente e gli altri membri del Consiglio. Per il primo incarico è stato nominato padre Adolfo Nicolás Pachón, Preposito generale della Compagnia di Gesù. Anch’egli spagnolo, è Superiore della Società di Gesù dal 2008. (A.T.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 329

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.