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Sommario del 22/11/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa alle amministrazioni penitenziarie: impegnarsi per il reinserimento sociale del detenuto
  • Benedetto XVI riceve il presidente di Haiti, Michel Joseph Martelly
  • L'artista, testimone della bellezza della fede: così il Papa nel messaggio alle Pontificie Accademie
  • Altre udienze
  • Apostolato del Mare: cappellani in missione in un mondo spesso dimenticato
  • Oggi su "L'Osservaotre Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Regge la tregua tra israeliani e palestinesi. L'Onu: si dia spazio ai negoziati
  • Siria. I ribelli conquistano base strategica. Si aggrava l'emergenza profughi
  • Congo: continuano le ostilità nel Kivu, i ribelli di M23 non si ritirano da Goma
  • Mons. Mogavero: i vescovi del Mediterraneo impegnati per la pace e l’accoglienza
  • Vivere una guerra o subirla attraverso i media: le ricadute psicologiche sui bambini
  • Aumentano i baristi anti-slot machine di fronte ai drammi dei giocatori d'azzardo
  • Presentato BeWeb: il portale dei beni artistici della Chiesa italiana
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Il patriarca Twal a Gaza il 16 dicembre per celebrare il Natale
  • Israele: sollievo del parroco della comunità cattolica di Beer Sheva per l'inizio della tregua
  • Siria. Mons. Roham ai belligeranti: “Risparmiate le città di Kamishly e Hassaké”
  • Siria: a Qara restituiti gli arredi sacri dopo la profanazione di una chiesa
  • Iraq: appello di mons. Sako per la pace e il dialogo a Kirkuk
  • India: nel Karnataka nazionalisti indù demoliscono una chiesa pentecostale
  • Croazia: al via l'incontro dei vescovi cattolici di rito orientale
  • Slovacchia: rammarico dei vescovi per la rimozione dei simboli religiosi sulla moneta per i Santi Cirillo e Metodio
  • Il cardinale Reinard Marx: la felicità degli europei è anche nell'essere uniti
  • Colombia: prime tensioni al negoziato di pace a L'Avana
  • Nicaragua: i vescovi preparano una Lettera sulla famiglia
  • Brasile: popoli indigeni “protagonisti della propria storia"
  • Uganda: migliaia di famiglie gravemente danneggiate dalle inondazioni
  • Thailandia: l'Anno della Fede per rilanciare i valori cristiani della carità e della solidarietà
  • Vietnam: nell'Anno della Fede un nuovo ospedale per i lebbrosi
  • India: il Giubileo della diocesi di Chanda nel segno dell'evangelizzazione
  • Marocco: migliaia di bambini lavoratori subiscono abusi verbali e fisici, nonostante le leggi
  • Padre Gazzola è il nuovo superiore generale degli Scalabriniani
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa alle amministrazioni penitenziarie: impegnarsi per il reinserimento sociale del detenuto

    ◊   La detenzione in carcere deve “assolvere alla sua funzione rieducativa” e non puntare solo alla punizione del colpevole. E’ l’esortazione che Benedetto XVI ha rivolto, stamani in Vaticano, ai partecipanti alla 17.ma Conferenza dei direttori delle amministrazioni penitenziarie del Consiglio d’Europa. Il Papa ha quindi esortato gli operatori penitenziari ad avere sempre un profondo rispetto della persona, ancor più oggi vista la crescente presenza di detenuti stranieri in situazioni di grande difficoltà. Nel suo indirizzo d’omaggio al Papa, il ministro della Giustizia italiano, Paola Severino, ha affermato che sta tentando con “tenacia” di completare la riforma carceraria, puntando in particolare sulle misure alternative alla detenzione. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    La giustizia penale non può essere ridotta alla questione della disciplina dei reati, ma deve sempre guardare al rispetto della dignità dell’uomo. E’ uno dei passaggi chiave del discorso di Benedetto XVI alle amministrazioni penitenziarie europee. Un intervento nel quale il Papa ha, innanzitutto, esortato a far sì che il carcere assolva alla sua funzione rieducativa del detenuto:

    “A concrete commitment is needed, not just…”
    “Occorre – ha detto – impegnarsi, in concreto e non solo come affermazione di principio, per una effettiva rieducazione della persona, richiesta sia in funzione della dignità sua propria, sia in vista del suo reinserimento sociale”. Il Papa, che ha sottolineato come “le differenze economiche e sociali ed il crescente individualismo” alimentino “le radici della criminalità”, ha quindi aggiunto:

    “The prisoner’s personal need to undergo in prison…”
    “L’esigenza personale del detenuto di vivere nel carcere un tempo di riabilitazione e maturazione è – ha detto – esigenza della stessa società, sia per recuperare una persona che possa validamente contribuire al bene di tutti, sia per depotenziarne la tendenza a delinquere e la pericolosità sociale”. Ed ha sottolineato come non si tratti solo di una questione di adeguate risorse finanziarie “per rendere più dignitosi gli ambienti carcerari”, ma occorra anche una “crescita della mentalità” per il pieno rispetto dei diritti umani dei carcerati. La funzione rieducativa della pena, ha ribadito, “non sia considerata un aspetto accessorio e secondario del sistema penale, ma, al contrario momento culminante e qualificante”:

    “In order to practice justice, it is not enough…”
    “Al fine di fare giustizia – ha avvertito – non basta cioè che colui che è riconosciuto colpevole di un reato venga semplicemente punito”. Occorre che “nel punirlo si faccia tutto ciò che è possibile per correggere e migliorare l’uomo”. Quando ciò non accade, è stato il suo monito, “la giustizia non è realizzata in senso integrale”. Il Papa non ha così mancato di rendere omaggio a quanti, nelle amministrazioni penitenziarie, si adoperano “con grande serietà e dedizione”:

    “Profound respect for persons, commitment…”
    “Il profondo rispetto della persona – ha detto – l’operare per la riabilitazione del carcerato, il creare una vera comunità educativa, si rendono ancora più urgenti considerando anche la crescente presenza di ‘detenuti stranieri’ spesso in situazioni difficili e di fragilità”. Del resto, ha osservato, al ruolo delle istituzioni penitenziarie deve corrispondere la “disponibilità del detenuto a vivere un tempo di formazione”. Una risposta positiva ha, però affermato, non va solo auspicata ma pure “sollecitata con iniziative e proposte capaci” di “spezzare la solitudine in cui spesso i detenuti restano confinati”:

    “Particularly important in this regard…”
    “Molto importante in questo senso – ha affermato – è la promozione di attività di evangelizzazione e di assistenza spirituale”, capaci di risvegliare nel detenuto “l’entusiasmo per la vita e il desiderio di bellezza propri di chi riscopre di portare impressa in sé, in modo indelebile, l’immagine di Dio”.

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    Benedetto XVI riceve il presidente di Haiti, Michel Joseph Martelly

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto stamani il presidente di Haiti, Michel Joseph Martelly, che poi ha incontrato il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, accompagnato da mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. “Durante i cordiali colloqui – riferisce la Sala Stampa vaticana - sono state passate in rassegna le buone relazioni esistenti fra la Santa Sede e lo Stato. Si è quindi ricordato il particolare contributo offerto dalla Chiesa, tramite le sue istituzioni educative, sociali e caritative, particolarmente durante il terremoto che ha colpito il popolo haitiano e nella fase di ricostruzione del Paese. Nel corso della conversazione ci si è infine soffermati sull’importanza di continuare a collaborare per lo sviluppo armonico della società haitiana”.

    Haiti, tra i Paesi più poveri al mondo, colpito da innumerevoli calamità, resta sovente in ombra sulla scena politica internazionale. Ma quali sono le condizioni attuali della popolazione dopo il terremoto del gennaio 2010, l’insorgere dell’epidemia di colera ed il passaggio dell’uragano Sandy nell’ottobre scorso? Roberta Gisotti ha intervistato Luca Guerneri, responsabile di Terre des Hommes per i Progetti in aiuto di Haiti:

    R. – La situazione dopo il terremoto è enormemente cambiata perché effettivamente non si vedono macerie. Si vedono anche opere che hanno fatto le Ong e le organizzazioni internazionali per quanto riguarda la capitale. Purtroppo permane un problema gravissimo, quello del dissesto idrogeologico, per cui qualsiasi elemento naturale - che può essere una pioggia forte, o una nuova scossa di terremoto, o anche movimenti dei fronti delle montagne - fa sì che ci si trovi perennemente in emergenza. Per cui le case crollano, le popolazioni devono cambiare zona di residenza e, soprattutto, si assiste ad una mancanza piuttosto accentuata di interesse per ciò che attiene alla prevenzione di queste continue emergenze ad Haiti.

    D. - Le autorità che cosa fanno e che cosa fanno anche le presenze internazionali?

    R. – Purtroppo si registra uno Stato che, non posso dire sia del tutto assente, ma senz’altro, è uno Stato molto debole. La storia di Haiti, con tutta una serie di colpi di Stato e di ministri che durano il lasso di una stagione, ha portato a far sì che la comunità internazionale abbia supplito molto spesso nella pianificazione degli interventi e abbia deciso chi, come e dove eseguire gli interventi, senza che ci sia stata una regia. Per cui, c’è effettivamente una sorta di distribuzione a pioggia degli aiuti ma che assolutamente non aiuta il Paese a cambiare marcia e a cambiare registro.

    D. - Quindi manca un coordinamento?

    R . – Assolutamente sì.

    D. - E forse manca un intervento più decisivo ad eliminare le cause di tanta distruzione?

    R. - La causa che forse sarebbe da affrontare con maggiore energia riguarda le zone rurali, dove purtroppo, oltre al dissesto idrogeologico, si registra una mancanza di strade ed una mancanza di possibilità per le famiglie di avere servizi e scuole. Per cui la gente è portata ad inurbarsi - ormai l’area urbana di Port-au-Prince raccoglie il 33 per cento della popolazione haitiana - e questo fa sì che si concentrino aiuti nella città di Port-au-Prince ma nello stesso tempo non viene affrontato il nodo della povertà rurale, che è quella che poi genere un ulteriore impoverimento e pressione delle bande criminali sulla capitale.

    D. - Per quanto riguarda la diffusione del colera?

    R. – Purtroppo il colera è tutt’altro che un’emergenza, è una pandemia che è destinata a rimanere nel Paese fino a che non verranno affrontati le cause a monte. Per quanto attiene all’area urbana di Port-au-Prince, abbiamo “slum” che riuniscono mezzo milione persone che sono senza latrine. Questo è un caso che abbiamo seguito molto bene, la famosa municipalità Cité Soleil, che viene molto spesso tirata in ballo, perché è un coacervo di malessere, di criminalità e di povertà. In questa comunità ci sono 200 blocchi di latrine comunitarie che non funzionano. Contrastare il colera senza poi dare alla gente la possibilità di gestire il ciclo delle acque reflue e il ciclo dei rifiuti umani porta a non risolvere il problema sul lungo periodo. Per cui ci si limita molto spesso, con tanto coraggio, con tanto buon cuore, a fare interventi sanitari di aiuto alle popolazioni, ma non si affronta la prevenzione che è quello che dovrebbe portare poi il Paese a liberarsi di questo tipo di malattia.

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    L'artista, testimone della bellezza della fede: così il Papa nel messaggio alle Pontificie Accademie

    ◊   L’artista è un testimone della bellezza della fede. Così il Papa in un messaggio inviato al cardinale Gianfranco Ravasi , presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, in occasione della XVII seduta pubblica delle Pontificie Accademie, riunitasi ieri pomeriggio presso l’Aula Magna del Palazzo San Pio X sul tema “Pulchritudinis fidei testis. L’artista, come la Chiesa, testimone della bellezza della fede”. Il titolo richiama l’incipit del Motu Proprio col quale Benedetto XVI ha voluto recentemente unire la Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa al Pontificio Consiglio della Cultura. “La bellezza della fede – spiega il Santo Padre - non può mai essere ostacolo alla creazione della bellezza artistica, perché ne costituisce in qualche modo la linfa vitale e l’orizzonte ultimo”.

    “Il vero artista – prosegue Benedetto XVI citando il Messaggio del Concilio Vaticano II agli artisti – è custode della bellezza del mondo e grazie alla sua particolare sensibilità estetica e al suo intuito può cogliere e accogliere più in profondità di altri la bellezza propria della fede, e quindi riesprimerla e comunicarla con il suo stesso linguaggio”. “Egli può partecipare, con il proprio specifico e originale contributo, alla stessa vocazione e missione della Chiesa, in particolare quando, nelle diverse espressioni dell’arte, voglia o sia chiamato a realizzare opere d’arte direttamente collegate all’esperienza di fede e al culto, all’azione liturgica della Chiesa, la cui centralità venne definita dal Concilio Vaticano II con la nota espressione “fons et culmen”.

    Infine il Papa cita un saggio scritto nel 1931 dall’allora sacerdote Giovanni Battista Montini, nel quale il futuro Paolo VI esortava chi era chiamato all’arte sacra ad esprimere l’ineffabile», iniziandosi alla mistica, per “raggiungere con l’esperienza dei sensi qualche riverbero, qualche palpito della Luce invisibile”. Benedetto XVI conclude il messaggio invitando gli artisti, all’inizio dell’Anno della fede, a far sì che il loro percorso artistico possa diventare come un itinerario integrale, in cui tutte le dimensioni dell’esistenza umana siano coinvolte, così da testimoniare efficacemente la bellezza della fede in Cristo Gesù, immagine della gloria di Dio che illumina la storia dell'umanità.

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    Altre udienze

    ◊   Nella mattinata, il Papa ha ricevuto in udienza un gruppo di presuli della Conferenza Episcopale di Francia, in Visita “ad Limina Apostolorum”.

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    Apostolato del Mare: cappellani in missione in un mondo spesso dimenticato

    ◊   Penultima giornata del XXIII Congresso mondiale dell’Apostolato del Mare in corso in Vaticano. Durante i lavori si è parlato molto della difficile situazione dei pescatori: sono oltre 36 milioni le persone che lavorano nella pesca, uno dei settori ai vertici delle statistiche di mortalità. Sulla peculiare missione dei cappellani delle famiglie di pescatori, si sofferma al microfono di Amedeo Lomonaco, don Giacomo Martino, consultore del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti:

    R. - E’ una vita è molto dura: non c’è un giorno di riposo, si lavora continuamente, a ritmo serrato e questo anche nei Mari del Nord, dove la temperatura e il clima non favoriscono un momento di riposo, qualora ci fosse.

    D. - Quindi un ruolo, quello del cappellano, che va anche oltre la dimensione spirituale. E' anche un compagno, un amico, un confidente…

    R. - Indubbiamente, il cappellano deve tentare di creare un ponte fra il mare e la terra, cercando di dare almeno la certezza a queste persone, a questi pescatori, che hanno nel settore della pesca uno dei rischi più alti, sia di incidenti sia di mortalità, che c’è qualcuno che si interessa della propria famiglia, quindi una famiglia a cui tornare, e una chiesa che, nonostante le distanze, sanno che li ama.

    D. - Al centro dei lavori del convegno anche la Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) - la numero 188...

    R. - Pensare che non sia stata ancora ratificata, quindi accettata dagli Stati appartenenti dell’Ilo, ci fa capire quanto sia ancora indietro il settore della giustizia. Questa Convenzione parla di minimi storici che ancora non sono stati accettati dai Paesi che riguardano circa 36 milioni di pescatori nel mondo. E' strano che queste cose - cominciando dall’assistenza sanitaria, un minimo di ore di riposo, al salario minimo, che è oltretutto assolutamente insufficiente per chi vive, ad esempio, in Europa - il mondo ancora non le abbia accettate. Si deve continuare ancora a spingere affinché vengano ratificate e rese legge universale.

    D. - Un luogo, il mare, che presenta molte criticità, ma forse anche un luogo privilegiato nel rapporto con Dio…

    R. - Chi vive questa dimensione del silenzio, dell’’immensità del mare ed anche della sua criticità, sente tutta l’umiltà: la nostra condizione di piccoli esserini, che non sono nelle mani di una natura cattiva o di un destino perverso, ma che sono nelle mani di un Dio che continua a volergli bene.

    D. - Un ruolo, quello dei cappellani, che porta il cappellano a dare molto ai pescatori, ma anche - penso - altrettanto a ricevere…

    R. - Da 23 anni sono nel mondo del mare e il mare mi ha dato tutto. Il mare mi ha dato questa conoscenza di una realtà di persone, che sanno che cos’è la vera tolleranza e che riescono veramente a comprendere gli altri. E’ un mondo che mi ha insegnato a capire che ciò che è diverso, è meravigliosamente diverso e quindi non mi fa paura; un mondo, forse, in cui le persone sono anche molto dirette, ma sono assolutamente senza alcuna maschera. E’ un mondo che io continuo ad amare e che spero di continuare a vivere in un modo o nell’altro.

    “Gesù in persona si accostò e si mise a camminare con loro”. Questo il tema dell’intervento di padre Emmanuele Iovanella, cappellano a bordo di navi da crociera, che al microfono di Amedeo Lomonaco ricorda la specificità di questa missione:

    R. - Siamo a nome della Chiesa sulle navi. Lo specifico è di condividere la vita dei marittimi a bordo. Condividiamo non solo il tempo, lo spazio, ma anche il lavoro con questa gente. Ovviamente si tratta di comunità multietniche, perché su una nave da crociera di 4 mila passeggeri più mille di equipaggio si compone addirittura, per quanto riguarda l'equipaggio, di 35 comunità, rappresentanti di 35 Paesi del mondo. La Chiesa si rende presente in questo luogo, perché la nave possa diventare - ed è - tempo, luogo e spazio teologale dell’incontro con Dio.

    D. - Dunque un tempo, un luogo e una missione segnati dalla condivisione, anche per colmare certe distanze che scandiscono la vita dei marittimi…

    R. - Vorrei presentare un’immagine evangelica, quella dell’apparizione di Gesù ad Emmaus. L’evangelista sottolinea: “si accostò a loro, camminava con loro” e, forse, questa frase può dire tutto il significato e il senso della presenza dei cappellani a bordo. Questo Gesù che, attraverso i cappellani, si accosta ad ogni uomo - in questo caso ai marittimi - per camminare con loro e ovviamente per navigare con loro. Il Servo di Dio, don Tonino Bello, in un suo libro, dice: la barca non può rimanere ormeggiata e trastullarsi, perché così non vive l’ebbrezza dell’Oceano; occorre che la nave si sganci e parta, quell’andare di Abramo ‘lascia la tua terra e va, dove io ti indicherò’. Ecco, la Chiesa è Chiesa quando si rende prossima agli altri.

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    Oggi su "L'Osservaotre Romano"

    ◊   Il discorso di Benedetto XVI ai direttori delle amministrazioni penitenziarie europee.

    Testimoni della bellezza della fede: il messaggio del Papa alle Pontificie Accademie.

    Nell'informazione internazionale, in primo piano la crisi di Gaza: raggiunta una tregua tra Israele e Hamas.

    Serviva una donna per sorprendere l'Uomo: in cultura, stralci della relazione di Annamaria Tassone Bernardi nel convegno alla Gregoriana dedicato a Teilhard de Chardin.

    Tutto un mondo da scoprire accanto a Michelangelo e a Raffaello: Nicola Mapelli sul primo catalogo generale del Museo Etnologico Vaticano.

    Ponti possibili: Eugénia Tomaz traccia un bilancio della tappa portoghese del Cortile dei gentili.

    Giulia Galeotti sull'ultimo romanzo di Toni Morrison.

    Chi sale e chi scende a Capitol Hill: nel servizio religioso, un articolo sulla rappresentanza per fedi nel Congresso americano.

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    Oggi in Primo Piano



    Regge la tregua tra israeliani e palestinesi. L'Onu: si dia spazio ai negoziati

    ◊   Continua a reggere la tregua tra Israele e i fondamentalisti palestinesi di Hamas nella Striscia di Gaza. L’accordo è stato raggiunto ieri sera a conclusione di una febbrile giornata di tentativi diplomatici. In evidenza il ruolo di mediatori dell’Egitto e degli Stati Uniti, che hanno inviato in Medio Oriente il segretario di Stato, Hillary Clinton. Il servizio di Giancarlo La Vella:

    Stamani si è pensato alla ripresa delle ostilità quando è stato udito l’allarme, nella zona meridionale israeliana di Ashqelon. Le sirene hanno suonato, segnalando il possibile arrivo di missili palestinesi. Poi si è capito che si trattava di un falso allarme, segno che la tregua tiene almeno in queste prime ore. Dopo una settimana di violenze, costate la vita a 162 palestinesi e 5 israeliani, la comunità internazionale guarda con soddisfazione a questo piccolo ma importante passo avanti, raggiunto grazie alla mediazione di Lega Araba, Egitto e Stati Uniti, al quale deve necessariamente seguire un’azione diplomatica incessante tesa alla pace. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, chiede con forza che ora si dia spazio ai negoziati. Sulla tregua raggiunta e sui passi ancora da fare, abbiamo sentito padre Ibrahim Faltas, economo della Custodia francescana di Terra Santa:

    R. - E’ importante, la tregua, ma dobbiamo chiederci perché è successo tutto questo. In questi anni, veramente non si è fatto più nulla, non c’è stato più alcun dialogo, né trattative per risolvere la questione mediorientale. E’ come se questa terra fosse stata dimenticata da tutti. E per questo, quando non c’è dialogo, quando non c’è incontro tra le parti, succedono queste cose. In otto giorni abbiamo visto violenza, morti, abbiamo assistito ad una situazione terribile, soprattutto all’uccisione di tantissimi bambini! Penso che dobbiamo aiutare i due governi a sedersi ad un tavolo di dialogo, di riprendere le trattative per trovare una soluzione che consenta ad entrambe le popolazioni di vivere una situazione di pace, di sicurezza e di dignità. Deve intervenire tutta la comunità internazionale!

    Quali i rischi di una situazione ancora difficile e che potrebbe precipitare nuovamente? Lo abbiamo chiesto a Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle Relazioni Internazionali all’Università di Firenze:

    R. - Questa è una tregua breve. Può essere un primo passo verso qualcosa, ma non va dimenticato che Israele e Hamas non si riconoscono e che tutta questa settimana di guerra tra questi due soggetti ha messo in ombra l’unico soggetto dei palestinesi con cui si dovrebbe davvero avere un dialogo, perché c’è già un riconoscimento effettivo e cioè l’Autorità palestinesi di Abu Mazen.

    D. - Si parla, comunque, di successo diplomatico, raggiunto grazie all’Egitto e alla presenza di Hillary Clinton nella regione…
    R. - L’Egitto è un grande Paese e Gaza sta appiccicata all’Egitto: è logico, quindi, che l’Egitto intervenga. Lo ha fatto molto bene e soprattutto l’ha fatto non da solo, ma assieme alla Turchia di Erdogan e altri partner arabi, come la Tunisia e il Qatar. Quindi l’Egitto dei fratelli musulmani, in realtà, è un elemento di stabilità nell’area.

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    Siria. I ribelli conquistano base strategica. Si aggrava l'emergenza profughi

    ◊   La guerra in Siria non conosce sosta. I ribelli hanno conquistato questa mattina la località strategica di Mayadin, nell’Est del Paese, assumendo così il controllo della frontiera siriano-irachena. Decine le vittime negli scontri. Da parte loro le forze governative affermano di aver ucciso decine di cosiddetti ''terroristi'' nei pressi di Damasco. Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, basato a Londra, sarebbe salito a oltre 40 mila morti il bilancio del conflitto, iniziato 20 mesi fa: i civili uccisi sono oltre 28 mila. Intanto, si fa sempre più grave l’emergenza profughi, come sottolinea Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, al microfono di Silvia Koch:

    R. – La situazione in Siria sta peggiorando sempre di più. All’interno della Siria ci sono oltre 2 milioni e mezzo di sfollati, cioè gente che ha lasciato la propria abitazione e ha trovato rifugio in altre città, presso parenti e amici. In più, ci sono oltre 430 mila rifugiati nei Paesi confinanti, che vivono sotto le tende, che vivono anche loro presso parenti, presso amici, in edifici pubblici in disuso. Quindi, una situazione che, dal punto di vista umanitario, è sicuramente grave. Noi abbiamo fatto un appello di 488 milioni di dollari, per portare avanti le attività umanitarie, per portare soccorso solo nei Paesi confinanti, dove si trovano i 430 mila rifugiati, e ad oggi abbiamo ricevuto il 35 per cento di questo appello. La stessa cosa sta succedendo per l’appello che abbiamo rivolto per aiutare gli sfollati all’interno della Siria: ad oggi siamo a meno del 40 per cento dei soldi richiesti. Per questo, quindi, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati si rivolge anche ai privati, alle aziende, alle fondazioni. Ed anche la campagna che abbiamo lanciato in questi giorni, intitolata “Routine is Fantastic”, è mirata proprio a far sì che i bambini non debbano rinunciare anche alla scuola, perché questa è una componente essenziale della normalità della vita di un bambino.

    D. – La Siria è, dunque, uno dei Paesi beneficiari di questa campagna dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Avete portato, ad esempio, la vita nel campo rifugiati Zaatari in Giordania, che accoglie in questo periodo numerosissimi sfollati...

    R. – Nel campo di Zaatari vivono circa 30 mila persone, gente che come noi prima abitava in appartamenti confortevoli, pieni di ogni servizio, quindi con un certo benessere, e che purtroppo dall’oggi al domani invece sono stati costretti ad andarsene, lasciando tutto. Abbiamo incontrato persone che ci facevano vedere le chiavi della loro casa in Siria, come unica cosa che avevano portato con sé. Una cosa inutile, visto che in molti casi non c’era neanche più quella casa, essendo stata bombardata. Una situazione difficile, dunque, per gente che si ritrova adesso nel mezzo del deserto - perché Zaatari è nel mezzo del deserto - a vivere sotto una tenda. Nonostante gli sforzi dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati e di tutte le altre agenzie ed associazioni che lavorano è una situazione molto difficile. E’ vero, quattro mesi e mezzo fa non c’era niente in quel deserto e abbiamo portato l’acqua, abbiamo portato la luce, abbiamo impiantato ospedali e, dunque, è stato fatto molto, ma è chiaro che, comunque, non è sufficiente per dare delle condizioni minimamente paragonabili a quelle cui erano abituati i siriani.

    D. – Nonostante il messaggio che spesso purtroppo passa anche sui canali mediatici e negli ambienti politici, in Siria, come in altre situazioni di conflitto, sostanzialmente l’emergenza si verifica all’interno del Paese e si ferma soprattutto ai Paesi confinanti. Qual è il rapporto tra i richiedenti asilo nei Paesi limitrofi alla Siria, rispetto a quelli che invece sono arrivati in Europa e in Italia, in particolar modo?

    R. – Questa è una buona domanda. Per quanto riguarda ad esempio i siriani, in Italia ne sono arrivati 369. Quindi, un numero veramente esiguo se si pensa che nei Paesi confinanti ce ne sono 430 mila. In una sola notte, tra l’8 e il 9 novembre, 10 mila siriani sono stati costretti ad attraversare il confine verso la Turchia e la Giordania. Diecimila è anche il numero delle persone che sono arrivate via mare in Italia in questo anno. Per dire, quindi, che quella che da noi viene sempre descritta come un’emergenza, come se l’Italia fosse l’unico Paese a farsi carico, in questi Paesi invece viene vissuta come qualcosa di quasi doveroso. La politica della porta aperta è stata adottata da tutti i Paesi circostanti, ma non si può pensare che questi Paesi possano da soli farsi carico dell’onere che questo implica. Bisogna, quindi, sostenerli economicamente e finanziariamente. Non si può accettare l’idea che si crei uno stallo, anche a livello umanitario, così come invece sta avvenendo a livello politico. Il nostro auspicio, dunque, è quello che ci sia una risposta più sentita da parte della comunità internazionale.

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    Congo: continuano le ostilità nel Kivu, i ribelli di M23 non si ritirano da Goma

    ◊   Nella Repubblica Democratica del Congo, continua la crisi politica e militare nella regione orientale del Kivu. Un appello a fermare le ostilità e a rispettare l’integrità territoriale del Congo è arrivato dai vescovi di 34 Paesi africani, riuniti in questi giorni a Kinshasa. “Siamo scandalizzati e sconvolti per la crescente violenza armata” che ancora una volta sta provocando “una enorme tragedia umana”, scrivono i presuli, ricordando anche le migliaia di uomini, donne e bambini colpiti dal conflitto. Un appello a favore dei bambini rimasti orfani a causa dei combattimenti è arrivato anche dalla Ong “Sos Villaggi dei Bambini”, che definisce “disastrosa” la condizione dei minori, specificando che “la Repubblica Democratica del Congo continua ad essere il Paese africano con il più alto tasso di bambini soldato”. Intanto i ribelli del movimento M23, che nei giorni scorsi hanno conquistato l’importante città di Goma, hanno respinto la richiesta di ritirarsi, che era arrivata da un vertice regionale tra Uganda, Rwanda e autorità congolesi. Il servizio è di Davide Maggiore:

    “Resteremo a Goma, aspettando i negoziati”, ha detto il leader politico dei ribelli, Jean Marie Runiga, che ha ribadito di non aver intenzione di fermare l’avanzata ancora in corso dei miliziani. Ieri, i ribelli avevano minacciato di marciare sulla capitale Kinshasa. Runiga ha spiegato che l’inizio dei colloqui con il presidente congolese Joseph Kabila è “la premessa” per qualsiasi altra decisione. Peggiora intanto la situazione umanitaria: l’Onu parla di esecuzioni sommarie ad opera dei guerriglieri e a Goma mancherebbero, secondo alcune testimonianze, acqua potabile ed elettricità. Le congregazioni missionarie presenti in città hanno però deciso di restare accanto alla popolazione, come ha riferito uno di loro all’agenzia Misna. Non si ferma, invece, la fuga dei civili verso la città di Bukavu, teatro ieri di proteste. A descrivere la situazione è padre Justin Nkunzi, direttore della commissione "Giustizia e Pace" dell’arcidiocesi di Bukavu, contattato telefonicamente da Marie Duhamel, della redazione francese della nostra emittente:

    R. – Ce matin, Bukavu s’est bien réveillé ; tout le monde est au travail …
    Questa mattina, Bukavu si è svegliata bene: tutti sono andati al lavoro – anch’io sono venuto a lavorare; il centro della città è aperto, la circolazione a tuttora è ancora normale ... Ma soprattutto ieri, la gente era in fermento: hanno alzato le barricate per le strade, hanno fatto delle manifestazioni …

    In città si attende ora di capire quale impatto avrà l’arrivo dei profughi, che la Caritas di Goma ha stimato in circa 100 mila. Ancora padre Nkunzi:

    R. – Nous sommes en train de compter beaucoup sur la solidarité des gens, …
    Facciamo grande affidamento sulla solidarietà della gente, sull’impegno ad evitare azioni inutili, pronti ad affrontare ogni eventualità con serenità … Abbiamo fiducia nelle nostre istituzioni ; speriamo che la situazione possa essere ancora recuperabile : non tutto è ancora perduto. Vedremo cosa succederà …

    E sull’avanzata dei ribelli, Paolo Ondarza ha sentito Luciano Scalettari, giornalista di "Famiglia Cristiana" esperto dell’area:

    R. – Se i ribelli dell’M23 non si fermano - perché hanno annunciato di voler andare avanti - arriveranno a Bukavu, capitale del sud Kivu. Qualora questo avvenisse, significa che tutta la fascia di confine con il Rwanda e il Burundi viene presa da questo movimento ribelle. Consideriamo che si tratta di una fascia molto ricca, la cui presa di possesso da parte dei ribelli comporterebbe uno spostamento di equilibri nel controllo sulle risorse.

    D. – Ma chi sono i ribelli dell’M23 che puntano a marciare su Kinshasa?

    R. – Questi sono ex-disertori, ex-militari, ex-generali, con interessi forti proprio nell’ambito del commercio delle materie prime e del controllo delle miniere di coltan, oro, diamanti. C’è di tutto in quella zona. Prendono queste ricchezze, le vendono e, con il ricavato, si riforniscono di armi. Di per sé è un processo che è inarrestabile finché non interviene un agente esterno che riesca, in qualche modo, a mettere sotto controllo la zona. L’insofferenza della popolazione nei confronti dell’Onu nasce proprio da questo: cioè questo unico agente esterno che potrebbe essere un intervento Onu, un intervento super partes, non arriva mai.

    D. – Tra l’altro l’M23 sembra godere dell’appoggio del Rwanda nonostante le autorità del Paese neghino ogni loro coinvolgimento…

    R. – I Paesi confinanti con quella zona, sono tre: Uganda, Rwanda e Burundi. Il Burundi ha già troppi problemi per sé per occuparsene. Tuttavia, l’M23 viene descritto come una forza con apparati di comunicazione sofisticati, armamento decisamente superiore a quello delle forze armate congolesi: queste armi da qualche parte dovranno pure arrivare! Questo va precisato per andare oltre il “balletto” delle smentite.

    D. - Intanto, la situazione umanitaria degenera, la popolazione è allo stremo, manca l’acqua potabile…

    R. – La popolazione congolese in quella zona, per la stragrande maggioranza, non ha riserve. L’emergenza si crea nel giro di 72 ore: non ci sono frigoriferi, gran parte della gente non li ha e la fame inizia a farsi sentire dopo due giorni in cui non ci si riesce a procurare cibo nel mercato locale. In questo momento il problema è proprio la fame, la sete. E’ una zona di altipiano, c’è il freddo notturno, e quindi si diffondono malattie polmonari, malattie dei bambini... Nell’immediato il problema è assistere la popolazione. Ci arrivano notizie dal centro dei salesiani di Ngangi dove da settemila adesso i rifugiati accolti sono diventati diecimila. Io ho visto il centro e mi chiedo dove potranno trovare spazio diecimila persone! Tutte le altre realtà missionarie presenti che hanno spazi, che hanno luoghi, stanno accogliendo persone, stanno fornendo cibo, però è chiaro che i missionari hanno un po’ di riserva in magazzino, ma non per diecimila persone, è un numero veramente imponente. Credo che nell’immediato ci sia bisogno di una risposta in termini puramente umanitari, ammesso che i militari, l’M23, l’esercito, consentano il passaggio degli aiuti. Poi, come dicevo, occorrerà un intervento delle Nazioni Unite e dell’Unione Aricana, che metta la parola fine a decenni di sofferenze di quest’area del pianeta che è veramente una delle più frustrate e vessate al mondo.

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    Mons. Mogavero: i vescovi del Mediterraneo impegnati per la pace e l’accoglienza

    ◊   Si è conclusa, ieri in Sicilia, l’Assemblea generale dei vescovi della Conferenza episcopale regionale del Nord Africa, la Cerna, ospiti della diocesi italiana di Mazara del Vallo, in provincia di Trapani. La presenza dei vescovi di Libia, Marocco, Algeria e Tunisia a Mazara è nata grazie all’invito del vescovo locale, mons. Domenico Mogavero, per rafforzare il dialogo su tematiche pastorali comuni a partire dall’immigrazione e sostenere i cristiani che vivono in un contesto sociale musulmano. Al centro dei lavori della Cerna, la rinnovata collaborazione tra le Chiese delle due sponde del Mare Mediterraneo per la convivenza tra uomini di fedi e culture diverse. Luca Collodi ha intervistato proprio il vescovo di Mazara del Vallo, mons. Mogavero:

    R. – C’è stata una grande sintonia sulle questioni più urgenti e più significative di questo momento, e appunto sulla centralità di questo mare che non è un mare periferico, ma è un mare attraversato da mille contraddizioni ma anche da mille aspirazioni, tendenze e impegno per l’incontro tra i popoli, per l’incontro tra le culture e le religioni: per la pace, in una parola!

    D. – Sul tema dell’immigrazione, che forme di collaborazione avete avviato?

    R. – Intanto, una conoscenza più approfondita del fenomeno, al di là delle emergenze che ci vengono presentate pressoché quotidianamente dalla cronaca. Questi nostri confratelli hanno veramente potuto registrare il diverso atteggiamento che c’è nelle chiese in Italia rispetto alla configurazione del quadro normativo dettato fondamentalmente dalla politica dei respingimenti, pur nel rispetto delle leggi e delle limitazioni necessarie, perché questo fenomeno non debordi del tutto.

    D. – Quando si parla di immigrazione, il pensiero va alla Libia. La situazione qual è?

    R. – Abbiamo avuto testimonianze dirette, di prima mano. Possiamo dire che la situazione, in questo momento, è abbastanza confusa, soprattutto perché non c’è ancora una presenza forte dello Stato unitario, c’è ancora molta gente che gira armata, che “scorrazza” per le strade di notte e di giorno intimorendo gli altri cittadini. Però, in tutto questo, quello che caratterizza l’atteggiamento fondamentale dei vescovi è la loro serenità in queste realtà così problematiche. Non hanno paure particolari, piuttosto atteggiamenti prudenziali. Però, loro sono lì, al loro posto, accanto ai loro cristiani ma anche accanto a tutta la gente che chiede il loro aiuto, anche se non di religione cristiana.

    D. – I vescovi del Nord Africa come guardano alla cosiddetta “Primavera araba”?

    R. – Sicuramente, con grande attenzione e con un atteggiamento collaborativo e partecipativo. Al di là di alcuni aspetti che possono essere piuttosto di tipo mediatico-propagandistico, quello che loro evidenziano è il fatto che la “Primavera araba” sia stata una rivolta di popolo che abbia inteso portare in quei Paesi libertà e diritti. In questo contesto di rivendicazione di libertà e diritti fondamentali, i vescovi vedono una prospettiva per potere chiedere l’attuazione del diritto alla libertà religiosa e alla libertà di coscienza, complementari alla libertà di culto che in questi Paesi esiste. Non pensiamo che siano Paesi in cui la Chiesa vive un regime di persecuzione, ma certamente non vive un regime di libertà che le consenta di poter diffondere pubblicamente il suo messaggio.

    D. – Ieri, all’udienza generale, l’appello del Papa per il Medio Oriente: ha invitato israeliani e palestinesi al coraggio per la pace. I vescovi del Nord Africa come guardano a questa situazione in Terra Santa e nel Medio Oriente?

    R. – Guardano con estrema preoccupazione a questa ripresa di ostilità tra Israele e i palestinesi. Loro sono sicuramente per un riconoscimento del diritto all’esistenza dello Stato d’Israele, ma anche per il riconoscimento di uno Stato palestinese con confini certi, che possa garantire ai palestinesi arabi, islamici e cristiani l’esercizio della loro libertà nel riconoscimento dei diritti fondamentali della persona.


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    Vivere una guerra o subirla attraverso i media: le ricadute psicologiche sui bambini

    ◊   Guerra e bambini, un triste binomio, messo in evidenza negli ultimi tempi dai conflitti in Siria e a Gaza; ma la storia è costellata, purtroppo da centinaia di guerre che hanno avuto come vittime i minori, piccole pedine di un gioco che ha come protagonista assoluta l’incomprensibile violenza degli adulti. I bambini che vivono in prima persona una guerra, che danni hanno dal punto di vista psicologico? Salvatore Sabatino lo ha chiesto ad Antonio Tundo, direttore dell’Istituto di Psicopatologia di Roma:

    R. – I danni possono essere molto importanti, perché i bambini non sono come gli adulti che poi hanno la capacità di razionalizzare, di riflettere; sono delle spugne che assorbono completamente sia l’impatto emotivo pesante, sia la violenza stessa.

    D. – I bambini di oggi saranno ovviamente gli adulti di domani: esperienze così traumatiche influiscono dunque in maniera indelebile sulla crescita?

    R. – Diciamo che non possiamo trarre conclusioni definitive; sicuramente, i bambini esposti alla violenza tendono ad identificarsi con questa, e quindi c’è un rischio che possano a loro volta riprodurre da adulti quegli stessi atteggiamenti violenti che hanno osservato.

    D. – Esiste poi l’altro fenomeno, quello dei bambini che non vivono la guerra in prima persona ma che, attraverso la tv, entrano in contatto con realtà terribili. E’ pericoloso anche in questo caso?

    R. – E’ pericoloso per due motivi: uno, perché queste scene danno al bambino l’idea di un mondo negativo, violento, di una percezione pessimistica della realtà che si porteranno dietro nella crescita. E poi, perché comunque i bambini, non avendo strumenti di difesa razionale, finiscono con l’assorbire e quindi possono rischiare di sviluppare delle paure, delle ansie.

    D. – Nei social network, che sono molto frequentati dai minori, c’è stata – soprattutto negli ultimi giorni – una moltiplicazione di immagini cruente che mostravano i bambini uccisi a Gaza. Entrare in contatto con la morte violenta, in maniera così diretta, senza filtri, è molto pericoloso …

    R. – E’ pericoloso perché può far sviluppare una sorta di trauma e quindi creare insonnia, agitazione, fobie… Dipende anche dalla predisposizione del bambino: i bambini più sensibili, più apprensivi possono non riuscire più a dormire di notte, avere queste immagini che si ripetono nella loro mente, vivere quindi con grande angoscia e sviluppare veri e propri grandi timori.

    D. – A tal proposito, esistono dei campanelli d’allarme che possono far comprendere ad un genitore che il figlio ha subito un trauma da visioni di immagini cruente?

    R. – Sì: il bambino più sensibile diventa più insicuro, ha paura di dormire da solo, chiede spiegazioni, chiede di essere maggiormente rassicurato … Quando vediamo che dopo l’esposizione a questo tipo di immagini emergono questi comportamenti, allora è importante stare vicini emotivamente al bambino, rassicurarlo, provare in qualche modo ad accompagnarlo razionalmente nel percorso di uscita, di superamento di questa fobia.

    D. – E se non ci riescono, a chi possono rivolgersi?

    R. – Se non ci riescono significa o che ciò che è successo li ha colpiti in profondità, oppure che hanno “latentizzato” un timore: allora, in questo caso, l’aiuto psicologico di persone esperte, anche per breve durata, può essere fondamentale.

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    Aumentano i baristi anti-slot machine di fronte ai drammi dei giocatori d'azzardo

    ◊   Nel 2012 gli italiani hanno speso 11 miliardi nel gioco d’azzardo, prevalentemente attraverso web e slot machine. E’ quanto emerge da un convegno sul tema organizzato oggi a Roma. Intanto dopo la barista di Cremona che ha staccato la spina alle slot del suo locale, aumentano i gestori che denunciano la diffusione della ludopatia tra i loro clienti chiedendo un intervento dello Stato. Solo di ieri la notizia del maxi condono da 98 miliardi ottenuto dai concessionari dei giochi su una penale che dovevano all’Erario. Il servizio è di Paolo Ondarza:

    Avevano trasgredito il dovere di collegare le slot machine alla rete telematica dello Stato; per questo i concessionari del gioco avrebbero dovuto pagare cento miliardi di penale, ma forse ne pagheranno appena due. “La condotta illecita viene premiata. Il messaggio che passa è inaccettabile” spiega Maurizio Fiasco della Consulta Nazionale Antiusura:

    R. - L’integrale applicazione della sanzione avrebbe comportato la scomparsa delle 420mila slot machine disseminate nel territorio nazonale.

    D. - Sembra essersi risvegliata una coscienza tra i baristi: alcuni di loro di fronte al dramma della dipendenza da gioco d’azzardo stanno decidendo di eliminare le slot machine dai loro locali. Questo è senz’altro un segno positivo per il contrasto della ludopatia. D’altro canto va detto anche che i gestori possono andare incontro a problemi visto che avevano stipulato un contratto con i concessionari di questi apparecchi…

    R. – Questa è una cosa da studiare dal punto di vista giuridico perché indubbiamente le clausole che hanno firmato questi esercenti, spesso senza neanche rendersene conto, sono piuttosto pesanti e risulta difficile per loro “uscire dal gioco”. Finalmente però comincia a diffondersi una coscienza di una situazione insostenibile.

    Di fronte alla gravità del fenomeno il presidente della categoria dei baristi dell’Ascom Bergamo, Giorgio Beltrami, chiede un intervento dello Stato:

    R. - Quando negli anni 2000 le macchinette prima di essere legalizzate erano irregolari lo Stato è intervenuto rendendole regolari. Il timore è che lo Stato non sia intervenuto, per salvaguardare la salute dei suoi cittadini ma, per introitare un po’ di denaro. E’ lo Stato che ha il peccato originale. C’è un problema sociale ed è lo Stato che deve affrontarlo.

    D. – Due slot machine in un locale possono portare ad un incasso di cinquantamila euro mensili. Quanto guadagna lo Stato? Si parla del 60 per cento degli introiti…

    R. – Sì, la grossa fetta va allo Stato, non va né al gestore che prende circa il 5-6 per cento, né al noleggiatore.

    D. - I bar comunque guadagno sulle slot…

    R. – Limitatamente. Certo ce ne sono alcuni che hanno molte macchinette e percentualmente l’introito rappresenta indispensabile per poter rimanere sul mercato.

    D. – A Bolzano il comune vuole obbligare i baristi a rimuovere le slot entro metà dicembre…

    R. – In linea generale non possiamo che essere d’accordo. Poi tra questo e la salvaguardia della categoria dobbiamo trovare un compromesso, è evidente. Il tutto deve avvenire, con gradualità. Dobbiamo dare il tempo a quelle attività che vivono principalmente dell’introito delle slot machine di ritrovare un’alternativa perché altrimenti le buttiamo sul lastrico.

    Secondo gli esperti la soluzione dell’emergenza non è procrastinabile. La ludopatia è una malattia compulsiva che mette in ginocchio intere famiglie: un quinto dei 15 milioni di giocatori in Italia è a rischio.

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    Presentato BeWeb: il portale dei beni artistici della Chiesa italiana

    ◊   Nasce BeWeb il primo portale di beni culturali ecclesiastici dell’Italia. Dipinti, suppellettili sacre e statue: in tutto sono oltre 3 milioni gli oggetti catalogati sul sito. A presentare stamani l’iniziativa presso la nostra emittente, mons. Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, e mons. Stefano Russo, direttore dell’Ufficio Nazionale per i Beni culturali ecclesiastici. A seguirla per noi Debora Donnini:

    Una vetrina sull’immenso patrimonio artistico ecclesiastico presente in Italia. Questo e molto altro è BeWeb: sul sito www.chiesacattolica.it/beweb, il visitatore può accedere a inestimabili capolavori dell’arte quali pale d’altare, amboni marmorei e lignei, ostensori fino a semplici manufatti artigianali, come ci spiega mons. Stefano Russo:

    “Troviamo dipinti che possono essere considerati veri e propri capolavori artistici e così anche suppellettili di carattere sacro, meno importanti dal punto di vista storico artistico, magari di carattere artigianale, che però hanno un grande valore rispetto al legame che hanno con la devozione popolare. Quindi, ritroviamo opere che possono essere riferite anche ai più grandi autori e artisti del passato ma anche opere di autori sconosciuti che però sono molto importanti per quella comunità locale che li ha partoriti e che ancora oggi li custodisce e che in alcuni casi continua ad utilizzarli, ad esempio, per le liturgie”.

    Diversi, dunque, i percorsi che si possono seguire sul portale: da quelli di carattere storico e artistico a quelli connessi al vissuto di fede delle comunità cristiane. BeWeb permette inoltre di restituire in una visione integrata gli istituti culturali ecclesiastici presenti sul territorio: musei, archivi, biblioteche. Mons. Mariano Crociata:

    “Permette di mettere in evidenza il patrimonio enorme di cui disponiamo, di renderlo fruibile alla conoscenza, alla valorizzazione anche pastorale, non solo informativa, delle diocesi. E’ un servizio anche per tutta la collettività perché permette di prendere coscienza dell’enorme patrimonio, dello sforzo straordinario che la Chiesa ha fatto e sta facendo, naturalmente in sinergia con le istituzioni statali competenti. Quindi, la possibilità di interagire con una società e un Paese in cui il patrimonio culturale è una delle risorse fondamentali sia dal punto di vista della coscienza culturale, della storia, della tradizione, sia dal punto di vista economico come potenzialità di patrimonio da conoscere e da far conoscere in Italia e un po’ in tutto il mondo, vista la consistenza del tutto unica di questo patrimonio rispetto a tanti altri Paesi”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Il patriarca Twal a Gaza il 16 dicembre per celebrare il Natale

    ◊   Il 16 dicembre prossimo il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, sarà a Gaza per festeggiare il Natale con la piccola parrocchia locale, composta da 200 anime. Una visita pastorale tradizionale che quest’anno assume un significato particolare alla luce della grave crisi in atto tra Israele e Hamas, che governa la Striscia. La conferma alla comunità ecclesiale l’ha data lo stesso patriarca in una telefonata al parroco, padre Jorge Hernandez. Sulla crisi a Gaza, secondo quanto riporta il Patriarcato Latino, il patriarca ha ribadito che “la guerra non porta assolutamente niente di buono per nessuno. Da una parte i palestinesi a Gaza che soffrono gli attacchi aerei sproporzionati di Israele, dall’altra gli israeliani sono angosciati dai razzi provenienti da Gaza”. Per quanto la tregua sia necessaria, secondo mons. Twal, essa “non è la soluzione migliore. Ci vuole una soluzione giusta e duratura. Bisogna capire che la situazione nella Striscia di Gaza equivale ad una prigione a cielo aperto e che per questo motivo gli abitanti disperati sono ben lungi dall’avere una vita normale”. Il patriarca latino di Gerusalemme, spera negli sforzi diplomatici della Lega Araba, dell’Egitto e di Israele per raggiungere la pace e ricorda che "una guerra non è mai santa. Rivolge un appello a tutte le persone di buona volontà e a coloro che hanno nelle mani i destini dei loro popoli". (R.P.)

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    Israele: sollievo del parroco della comunità cattolica di Beer Sheva per l'inizio della tregua

    ◊   “Abbiamo vissuto giorni molto difficili, pieni di paura, in modo particolare quest’ultima settimana durante la quale più e più missili cadevano sulla città. L’ultimo lancio è stato giusto un minuto prima dell’inizio del cessate il fuoco. Ora siamo piuttosto tranquilli”. “Con sollievo”, è don Gioele Salvaterra, parroco della comunità di Beer Sheva, capitale del Neghev, sud di Israele, a raccontare all'agenzia Sir i “drammatici giorni” vissuti sotto i missili lanciati per mesi da Hamas dalla Striscia di Gaza. “Difficile e pericoloso per le persone è stato uscire di casa e muoversi” spiega padre Salvaterra che per celebrare la messa in questo periodo ha scelto la zona più riparata della canonica. “Dai racconti dei miei parrocchiani si capisce quanto grande sia stata la loro paura e preoccupazione soprattutto per i bambini e le persone anziane ma ora - dice il sacerdote originario della diocesi di Bolzano - con questa tregua spero si possa tornare a vivere con più tranquillità”. La speranza di don Salvaterra è anche quella che “il cessate il fuoco sia duraturo e non debole come in passato. Abbiamo bisogno di pace e tranquillità per tornare alla nostra vita”. La comunità di Beer Sheva è composta da circa 150 persone: tra loro ebrei ed arabi israeliani, immigrati dalla Russia, dalla Romania, dalla Polonia, dall’India ma anche francesi, italiani, portoghesi, olandesi ed americani. (R.P.)

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    Siria. Mons. Roham ai belligeranti: “Risparmiate le città di Kamishly e Hassaké”

    ◊   Migliaia di civili innocenti e di famiglie di profughi, fra i quali donne, anziani bambini, sono rifugiati nella città di Kamishly e di Hassaké, nella Siria orientale, che vanno assolutamente “preservate e risparmiate dal conflitto, per evitare una catastrofe umanitaria”: è l’appello lanciato tramite l’agenzia Fides da mons. Eustathius Matta Roham, arcivescovo siro-ortodosso della diocesi di Jazirah ed Eufrate, che copre territori della Siria orientale. Raccontando, in un messaggio inviato all'agenzia Fides, la situazione nella sua diocesi, mons. Matta Roham la definisce “confusa” e descrive la gente “piena di paura, specialmente a Kamishly e Hassaké. Ci sono oltre 400.000 abitanti in ciascuna di queste due grandi città – spiega – e i cristiani sono circa il 20% in ognuna. Inoltre migliaia di famiglie sfollate sono giunte a Kamishly e Hassaké dopo aver lasciato le loro case in rovina in altre parti del Paese. Se un giorno, Dio non voglia, la guerra arriverà in queste due città, ci sarà un vero e proprio grande disastro per migliaia di famiglie e di civili innocenti”. Per questo l’arcivescovo rivolge un accorato appello agli organismi internazionali e a tutte le parti in lotta perchè “questa regione possa essere risparmiata e possa rimanere un rifugio sicuro per tutti, al fine di salvare la vita di migliaia di famiglie, ed evitare una distruzione definitiva”. Nel messaggio inviato a Fides, l’arcivescovo, guardando la distruzione di tanti luoghi e infrastrutture in Siria, afferma con amarezza che “ci vorranno molti anni per ricostruire sia le anime e sia gli edifici nel nostro Paese. Prego che la giustizia e la pace prevalgano su questa situazione di caos”. “La guerra in Siria - prosegue - ha provocato divisione tra le comunità in molti luoghi e la distruzione di molte aree urbane. D'altra parte, ha creato solidarietà tra la maggioranza delle persone, che rifiutano la lotta e cercano di prendersi cura delle famiglie che soffrono”. Mons. Matta Roham prega il Signore perché “nella sua sapienza possa condurre le parti verso una soluzione pacifica del conflitto”. (R.P.)

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    Siria: a Qara restituiti gli arredi sacri dopo la profanazione di una chiesa

    ◊   Un atto di vandalismo, poi le scuse e la riconciliazione. E’ accaduto a Qara, nella diocesi di Homs, dove lunedì scorso l’antica chiesa dei santi Sergio e Bacco, del VI secolo, è stata profanata da vandali che hanno forzato la porta. I vandali hanno rubato oltre 20 icone (del XVIII e XIX sec), antichi manoscritti e arredi sacri. Hanno profanato l'altare e hanno cercato di rubare un famoso affresco del XII sec, la “Madonna del latte”. Per cercare di staccarlo, lo hanno rovinato, provocando due tagli alla figura della Vergine. Appena la notizia si è diffusa a Qara, cittadina sotto il pieno controllo dell’opposizione siriana, si è sviluppato un forte movimento di solidarietà in tutte le comunità. Capi delle famiglie, leader delle tribù, capi musulmani e di altri confessioni sono venuti a visitare la chiesa e a manifestare amarezza e solidarietà al sacerdote greco cattolico padre Georges Luis che, con un prete greco-ortodosso, continua a celebrare la Messa per le poche famiglie cristiane di Qara, tenendo accesa la fiammella della fede. Il patriarca greco-ortodosso Ignazio IV Hazim e il patriarca greco-cattolico Gregorios III Laham sono stati avvisati e hanno esortato sia il governo sia l'opposizione a garantire la sicurezza nel Paese che, hanno detto, “sta sprofondando nel caos”, visti gli atti di banditismo, sequestri, aggressioni, massacri, bombardamenti di aree residenziali. I fedeli cristiani e musulmani di Qara si sono riuniti in veglie di preghiera. Ieri, festa della Presentazione della Vergine al Tempio, è accaduto quello che la comunità locale definisce “un miracolo”. Al mattino un camion con uomini dal volto coperto è giunto alla chiesa. Il gruppo ha chiesto di incontrare padre Georges. Come riferito a Fides dal sacerdote, gli uomini gli hanno detto: “Non apprezziamo quanto hanno fatto i nostri compagni. Vi preghiamo di perdonarci. Noi siamo una comunità, un solo popolo, una nazione. La vostra sicurezza è la nostra. Voi siete sotto la nostra responsabilità”. La maggior parte degli oggetti rubati – altrimenti destinati al mercato di contrabbando – sono stati restituiti, con grande gioia e sollievo per tutti. (R.P.)

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    Iraq: appello di mons. Sako per la pace e il dialogo a Kirkuk

    ◊   Si inasprisce la disputa fra il governo centrale irakeno e l'amministrazione regionale del Kurdistan per il controllo della città di Kirkuk, nel nord del Paese, e della sua immensa ricchezza petrolifera, i giacimenti e le riserve quantificate - secondo stime recenti - in 10 miliardi di barili. Essa è un mosaico di etnie, lingue e religioni, con una popolazione pari a 1,3 milioni di abitanti suddivisi fra musulmani, curdi arabi e turcomanni. Per questo - riferisce l'agenzia AsiaNews - l'arcivescovo locale, mons. Louis Sako, lancia un invito per la "pace e dialogo" a tutte le fazioni in lotta. Il governo centrale, a maggioranza sciita e guidato da Nouri al-Maliki, cerca di imporre la sua autorità sulla città settentrionale, disponendo l'invio dell'esercito per mantenere il controllo e limitare la presenza curda attraverso le milizie peshmerga, il fronte autonomista combattente. La fazione curda è contraria all'intervento di Baghdad e non sono mancati scontri: uno di questi è avvenuto a Tuzkhurmato, circa 50 km a sud di Kirkuk. La città vive un momento di fortissima tensione; la gente teme un'escalation delle violenze e ha paura di un conflitto per la conquista del territorio e la supremazia di una delle fazioni in lotta. Si ripetono le minacce e gli avvertimenti reciproci fra il premier irakeno e la leadership curda della regione. Per scongiurare un nuovo bagno di sangue, l'arcivescovo di Kirkuk ha inviato a tutte le parti in causa un appello alla calma e al dialogo, mirato a salvaguardare la salute della popolazione civile, che si mostra sempre più sfiduciata e non crede alle promesse di "stabilità e sicurezza". Nel suo intervento, mons. Louis Sako sottolinea che "gli iracheni hanno sofferto molto, i loro occhi sono stanchi di aspettare giorni migliori, non hanno la capacità né la forza di subire nuovi conflitti". Il prelato aggiunge che "la loro preoccupazione, la loro speranza e la loro preghiera sono quelle di vivere in tutta sicurezza e stabilità". In qualità di irakeno e di cittadino di Kirkuk, continua l'arcivescovo, "vorrei unire la mia voce alle voci di molti uomini e donne i di Kirkuk" e di "tanti imam musulmani, per chiedere a tutti i partiti politici e al governo centrale e regionale del Kurdistan, di calmare la situazione e sedersi attorno a un tavolo per negoziare e dialogare in modo sincero". Perché, spiega ancora il prelato, "non c'è pace senza dialogo". L'obiettivo è dar vita a "un ambiente più sicuro, in cui vige la giustizia, in cui ci sono dignità e gioia". Ed è compito degli amministratori e dei politici, conclude mons. Sako, "essere messaggeri di pace" e "il cielo benedirà tutti i loro sforzi". (R.P.)

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    India: nel Karnataka nazionalisti indù demoliscono una chiesa pentecostale

    ◊   Nazionalisti indù del Sangh Parivar hanno demolito una chiesa pentecostale del Karnataka. Lo riporta all'agenzia AsiaNews il Global Council of Indian Christians (Gcic), che sta fornendo assistenza legale ai cristiani colpiti. Il fatto è avvenuto nella tarda serata di martedì scorso. La chiesa era la Blessing Youth Mission del villaggio Chippagiri Gowtown (distretto di Karwar), ed esisteva da 15 anni. Il rev. Suresh Kithan Siddi ha denunciato il fatto alla stazione di polizia, e un ufficiale ha promesso che i colpevoli verranno trovati e assicurati alla giustizia. Intorno alle 22:30 (ora locale), un gruppo di nazionalisti indù ha chiuso a chiave nelle loro case i 30 fedeli della comunità pentecostale, minacciandoli di morte se avessero tentato di uscire. Intorno alle 23, gli aggressori hanno iniziato a demolire la chiesa. Per raderla al suolo, hanno appiccato il fuoco. Secondo le ricostruzioni del pastore, gli aggressori sono membri della fazione locale del Sangh Parivar, movimento nazionalista indù che raccoglie e raccorda sotto il suo ombrello gruppi radicali come la Rashtriya Sawayamsevak Sangh (Rss), il Vishwa Hindu Prishad (Vhp) e il Bajrang Dal. Un mese fa, alcuni di questi attivisti indù avevano accusato il rev. Suresh di praticare conversioni forzate, minacciandolo di "gravi conseguenze" se non si fosse fermato. "I fedeli della chiesa - sottolinea Sajan George, presidente del Gcic - sono per lo più lavoratori giornalieri. La Costituzione indiana garantisce la libertà religiosa. Eppure, con la complicità delle amministrazioni, gli estremisti del Sangh Parivar tormentano, picchiano e rivolgono false accuse di conversioni forzate contro i cristiani. E, a volte, arrivano anche a demolire le chiese". (R.P.)

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    Croazia: al via l'incontro dei vescovi cattolici di rito orientale

    ◊   Si apre oggi a Zagabria-Krievci, in Croazia l’incontro annuale dei vescovi cattolici di rito orientale in occasione dei 400 anni dell’Unione della Chiesa greco-cattolica croata con Roma. I vescovi rappresentanti 14 chiese cattoliche di rito orientale in Europa - riferisce l'agenzia Zenit - affronteranno i seguenti temi: il Concilio Vaticano II e le Chiese cattoliche orientali; il catechismo della Chiesa greco cattolica ucraina; Il codice di diritto canonico orientale e le celebrazioni in programma per l’Anno della fede nelle Chiese cattoliche orientali. Sabato prossimo i partecipanti incontreranno il Presidente della Repubblica di Croazia, Ivo Josipović. Successivamente si recheranno in pellegrinaggio presso il santuario nazionale della “Madre di Dio” a Marija Bistrica. I lavori si concluderanno domenica 25, con la messa secondo il rito orientale nella cattedrale greco-cattolica della Santa Trinità a Krievci, che sarà trasmessa in diretta dalla Televisione Nazionale Croata. All’incontro, organizzato da mons. Nikola Kekić, vescovo di Krievci con il patrocinio del Ccee, parteciperanno tra l’altro il cardinale Josip Bozanić, arcivescovo di Zagabria, mons. Svjatislav Ševčuk, arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica d’Ucraina, e l’arcivescovo segretario della Congregazione per le Chiese Orientali della Santa Sede, mons. Cyril Vasyl’. L’incontro è a porte chiuse e solo le celebrazioni liturgiche sono aperte al pubblico. Il primo incontro delle Chiese cattoliche di rito orientale in Europa si svolse nel 1997 nella diocesi ungherese di Hajdúdorog e fu promosso dal cardinale Achille Silvestrini, allora Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, che volle creare uno spazio dove i vescovi di quelle Chiese, che erano state particolarmente colpite dal regime ateo, “trovino con sempre maggiore chiarezza - affermò il porporato - il loro ruolo nell’Europa di oggi e siano amate e stimate per la loro storia di fedeltà alla Chiesa e al Papa, pagata a caro prezzo”. (R.P.)

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    Slovacchia: rammarico dei vescovi per la rimozione dei simboli religiosi sulla moneta per i Santi Cirillo e Metodio

    ◊   La Banca nazionale slovacca emetterà una moneta commemorativa in occasione del 1150° anniversario dell’arrivo dei santi Cirillo e Metodio nella regione della Grande Moravia. Ciò nonostante il disegno iniziale subirà una modifica in quanto l’aureola che circonda i volti dei santi, così come il simbolo della croce sul loro pallio, dovranno essere rimossi su richiesta della Commissione europea e di alcuni Stati membri che rivendicano l’applicazione del “principio di neutralità religiosa”. La Conferenza episcopale slovacca - riferisce l'agenzia Sir - ha accettato la decisione con rammarico. “La rimozione dei simboli essenziali dei santi Cirillo e Metodio dalla moneta commemorativa è indice di una svolta culturale e di una mancanza di rispetto nei confronti della storia”, ha affermato il direttore della sala stampa della Conferenza episcopale, Jozef Kovácik, aggiungendo che “il libero utilizzo degli attributi dei santi Cirillo e Metodio dimostra che il totalitarismo è stato sconfitto ed è un simbolo di libertà. Se stiamo perdendo importanti simboli direttamente connessi alla libertà della nazione slovacca è anche colpa delle istituzioni slovacche responsabili”. La moneta commemorativa verrà emessa a maggio del 2013. (R.P.)

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    Il cardinale Reinard Marx: la felicità degli europei è anche nell'essere uniti

    ◊   Una analisi scrupolosa dei problemi dell’Unione europea alla luce della situazione sociale, economica e politica. L’ha fatta il cardinal Reinard Marx, presidente della Comece (Commissione episcopati comunità europea) aprendo ieri sera a Bruxelles un dibattito sulle sfide dell’Ue e il contributo dei cristiani. Il cardinale - riferisce l'agenzia Sir - ha evidenziato come “la felicità” degli europei sia dovuta anche alla loro “fortuna di essere uniti, e questa è stata la parola d’ordine rivolta ai cittadini europei dai Capi di Stato dei 27 Paesi Membri in occasione della dichiarazione di Berlino nel marzo del 2007” ma “quattro anni dopo lo scoppio di una crisi economica mondiale il cui centro è posto oggi in Europa lo scetticismo è ancora grande”. In questa situazione, secondo il cardinale, il ruolo dei cristiani deve essere quello di “partecipare al progetto europeo, che in qualche modo, mette in carico ad ogni generazione di reinventarlo”. “Noi - ha commentato il card. Marx - manchiamo di fiducia nei giovani per la riuscita di un futuro comune non solo in termini di coesione politica della Ue o nel campo dell’economia”. "Nobel per la pace: una sveglia per tutti I cittadini?” era il titolo del discorso di ieri sera del cardinale Marx che ha affermato: “Tu Felix Europa. È vero e il premio Nobel è innanzitutto un ringraziamento a coloro che hanno posto le basi per la felicità. Ma - ha aggiunto - l’Unione europea deve affrontare oggi anche sfide immense, non solo politiche ed economiche ma anche morali. Nei prossimi anni, essa dovrà rafforzarsi e ridefinirsi come comunità di Stati democratici e di liberi cittadini, affinché l’Europa unificatasi nella pace possa aspirare alla felicità e al benessere per se stessa e per il mondo intero”. Il cardinale ha fatto riferimento al Concilio Ecumenico Vaticano II che, a suo avviso, rappresenta “non solo un forte impulso etico e l’appello a una maggior giustizia sociale in tempi di grande crisi economica” ma offre “anche punti di riferimento per uno sviluppo ulteriore dell’Unione Europea a livello politico indicando le condizioni necessarie di qualsiasi azione politica costruttiva”. Condizioni che, ha ribadito, sono “fiducia e speranza”. Concludendo il suo discorso il cardinale Marx ha confermato che “la Comece ha oggi più che mai il compito di essere non solo un’istanza delle Conferenze episcopali ma anche di essere europea nel suo insieme”. Richiamandosi a quanto già prefigurato da Giovanni Paolo II nel 1982, quando aveva previsto che l’Europa sarebbe stata unita, il cardinale ha detto: “Le sfide per l’Europa e la Chiesa possono essere riassunte in una frase: ciascuna a suo modo, devono essere segni di speranza per un mondo migliore. Se possiamo essere in grado di dare questo contributo di speranza, se la fede cristiana possa essere dare ancora un influsso sostanziale all’Europa, se l’Europa ha ancora la forza di cooperare a livello globale per creare un mondo migliore: queste sono le domande che dobbiamo farci apertamente e sulle quali dobbiamo discutere”. (R.P.)

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    Colombia: prime tensioni al negoziato di pace a L'Avana

    ◊   “Voglio dirvi che stiamo lavorando duramente per la pace. Stiamo usando un’arma potente che è la verità, pura e limpida, è la migliore maniera di persuadere”. Luciano Marín Arango, alias Iván Márques, numero 2 delle Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) lo ha detto dall’Avana al termine del terzo giorno dei colloqui avviati lunedì con il governo. Per il terzo giorno la squadra di negoziatori dell’esecutivo ha scelto di non parlare con la stampa mentre le Farc lo hanno fatto anche per denunciare “ricatti” e “pressioni” della polizia contro i familiari di una guerrigliera del Blocco occidentale che porta il nome del loro capo ucciso, Alfonso Cano, affinché riveli il nascondiglio del comandante ribelle della zona. Le Farc - riporta l'agenzia Misna - hanno colto l’occasione anche per criticare il progetto di riforma costituzionale per ampliare la giurisdizione penale militare del Paese. Il primo tema nell’agenda dell’atteso negoziato è la riforma agraria, “ma lo tratteremo con calma”, ha precisato un’altra fonte delle Farc. Sui colloqui dell’Avana pesano le accuse dell’esercito secondo cui le Farc avrebbero già violato ripetutamente la tregua decretata unilateralmente dal 20 novembre al 20 gennaio come gesto di “buona volontà”. Il ministro della Difesa, Juan Carlos Pinzón, ha accusato le Farc di “doppia morale”: da una parte, ha detto, “si comportano come celebrità di fronte alla stampa, mentre costringono molto ragazzi a vivere in condizioni terribili e negano i crimini che hanno commesso”. Pinzón non ha confermato, tuttavia, la rottura della tregua denunciata dai militari. (R.P.)

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    Nicaragua: i vescovi preparano una Lettera sulla famiglia

    ◊   Si è conclusa ieri, l'Assemblea annuale della Conferenza episcopale del Nicaragua (Cen), durante la quale sono stati trattati diversi temi, tra cui la situazione pastorale, politica e sociale del Paese; la sentenza definitiva del Tribunale de La Haya che ha riconosciuto i diritti marittimi del Nicaragua, finora sotto la custodia della Colombia; la richiesta delle autorità del governo di dichiarare "La Griteria", festa religiosa del Nicaragua a carattere locale, come “patrimonio storico e culturale dell'umanità”; l’Anno della Fede. Secondo la nota inviata dalla Conferenza episcopale all’agenzia Fides, l’incontro dei vescovi è iniziato lunedì scorso a San Marcos, con una riflessione di mons. Sócrates René Sándigo Jirón, Vescovo della diocesis di Juigalpa, presidente della Conferenza episcopale, che ha partecipato al Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione. Proprio sulle conclusioni del Sinodo, i vescovi hanno ascoltato la testimonianza di mons. Sándigo Jirón, ed hanno poi riflettuto su come applicarle alle diverse realtà della Chiesa locale. Il tema centrale dell’Assemblea è stato la famiglia: su questo argomento i vescovi stanno preparando una Lettera pastorale, che sarà pubblicata alla fine di dicembre, e che nel dettaglio affronterà difficoltà e sfide della famiglia nella realtà nazionale, alla luce del Magistero della Chiesa, per fortificare i valori che devono essere alla base di tutte le famiglie cristiane. Il sottosegretario della Cen, padre Herling Hernández, parlando alla stampa al termine dei lavori, ha sottolineato il contributo dei vescovi alla riforma del Codice sulla famiglia, in discussione da parte dei gruppi sociali, che hanno proposto di "ampliare il concetto di famiglia". Padre Hernández, in qualità di portavoce dei vescovi, ha sottolineato che "la Chiesa difende il concetto di famiglia secondo il Magistero della Chiesa, e il valore della famiglia proposto dal modello di Dio". (R.P.)

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    Brasile: popoli indigeni “protagonisti della propria storia"

    ◊   “L'identità del Cimi è l'alleanza con i popoli indigeni, perché questi non perdano la propria identità”: lo ha dichiarato il presidente del Consiglio Indigenista Missionario (Cimi), il vescovo della prelatura di Xingu, mons. Erwin Krautler, durante la Messa di apertura del Congresso che celebra i 40 anni dell'organizzazione, a Luziânia, in Brasile. Iniziato martedì scorso, il Congresso raduna 250 persone da tutto il Paese, per trattare il tema "Radici, Identità, Missione", ricordando la storia del Cimi, organismo della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb ). Secondo mons. Erwin, la cosa peggiore che possa capitare ad un popolo è perdere la propria identità, proprio per questo motivo nei suoi 40 anni di esistenza il Cimi ha aiutato le popolazioni indigene a preservare la propria identità. Il presidente ha aggiunto che, in questo periodo, il Cimi ha imparato molto dagli indigeni: “Sono finiti i tempi in cui abbiamo lavorato a favore delle popolazioni indigene, senza includerle nel nostro cammino. Non sono oggetto della nostra carità, ma protagonisti della propria storia, e noi siamo il loro alleato". La nota inviata dal Cimi all'agenzia Fides riferisce anche la risposta di mons. Erwin alle critiche rivolte al Cimi: “Non ci siamo mai affiliati ad alcuna fazione o partito politico. La nostra bandiera è la vita delle popolazioni indigene. Così abbiamo il coraggio di affrontare una politica anti-indigena, che rimane ancora in vigore nel Paese". Il programma del Congresso, che si concluderà domani, comprende alcuni momenti dedicati al ricordo dei 40 anni di vita del Cimi. Oggi è prevista la partecipazione del vescovo emerito di Goiás, mons. Tomas Balduino, uno dei fondatori del Cimi, che sarà festeggiato per i suoi 90 anni. La cerimonia di chiusura prevede l’approvazione di un "Manifesto dei 40 anni del CIMI". (R.P.)

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    Uganda: migliaia di famiglie gravemente danneggiate dalle inondazioni

    ◊   Nel corso di quest’anno in Uganda c’è stato un avvicendarsi di disastri e situazioni di emergenza come conflitti tribali, di frontiera, lotte per il territorio, spostamenti di popolazione da altri Paesi, incendi boschivi, di scuole, grandinate, frane, epidemie di colera, ebola e morbo di Marburg, oltre a focolai di altre malattie. A tutte queste tragedie si aggiungono un totale di 34.372 persone, 8.903 famiglie, che sono state colpite da alluvioni e smottamenti di acqua in diverse parti e hanno urgente bisogno di aiuti. Da gennaio 2012 - riferisce l'agenzia Fides - le tante emergenze hanno afflitto 192.094 persone in tutto il Paese, di queste 74.227 hanno ricevuto aiuti dall’Uganda Red Cross Society (Urcs). I distretti andati distrutti sono quello di Soroti, Amuria, Katakwi, Nakapiripirit, Kween, Tororo, Kapchorwa, Lira, Ntoroko, Moroto, Nebbi, Kibale e Kotido. Otuke, che si trova in quello di Lira, è il più danneggiato, con 6.225 persone coinvolte. Dal mese di marzo le inondazioni hanno devastato l’Uganda in alcune zone come Amuria, Katakwi, Nakapiripirit, Kween. In tutti i distretti in cui è intervenuta l’Urcs ha portato aiuti a 17.390 vittime con kit di materiali per la casa. Tuttavia i 20 mila kit di emergenza annuali forniti dall’Urcs alle famiglie non sono sufficienti per soddisfare il crescente bisogno di aiuti del Paese. (R.P.)

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    Thailandia: l'Anno della Fede per rilanciare i valori cristiani della carità e della solidarietà

    ◊   I valori cristiani di "giustizia, carità e solidarietà" sono la risposta al crescente materialismo che contraddistingue le società moderne, compresa quella thai, un tempo famosa per il suo carattere "spirituale, pacifico. È il monito lanciato da mons. Philip Banchong Chaiyara, presidente della Commissione episcopale giustizia e pace. In occasione della Giornata nazionale per i diritti umani celebrata nei giorni scorsi dalla Chiesa thailandese, invitando fedeli (e non) a riportare lo sguardo verso l'uomo e la natura, mettendo da parte quel senso crescente di "individualismo" che sta portando alla disgregazione dei valori tradizionali. Con un richiamo alla produzione sostenibile e a politiche "verdi" capaci di tutelare l'ambiente, mons. Philip sottolinea come "carità e solidarietà" stiano "lentamente, ma inesorabilmente scomparendo dalla società". Il problema - riporta l'agenzia AsiaNews - riguarda soprattutto le grandi città, dove trionfano "l'egoismo causato da cambiamenti troppo rapidi" e un crescente "materialismo". Esso è alimentato da "pubblicità e strategie di marketing" ed è concentrato sui prodotti ad alta tecnologia come cellulari e social network che favoriscono "forme di individualismo esasperato" anche all'interno della famiglia. Per tutti i cattolici della Thailandia, l'Anno della Fede e le celebrazioni per i 60 anni del Concilio Vaticano II, ha aggiunto il presule sono "una grandissima opportunità per rilanciare la dottrina sociale della Chiesa". In particolare, l'Enciclica "Gaudium et Spes" rinnova l'invito a "guardare attorno a noi, ai nostri vicini" aiutando "quanti sono in difficoltà, i più sfortunati, i negletti" dalla società. Fra questi vi sono gli anziani, i lavoratori immigrati, i neonati abbandonati, gli affamati e, in genere, quanti "hanno fame di amore". In conclusione l’invito a tutti i fedeli di Cristo “a trovare momenti di calma, di distacco dalla vita materiale e dalle ansie di ogni giorno" e un pensiero particolare "alla famiglia cristiana", che sia sempre "costruttrice di pace nella società", promotrice di "fratellanza" perché vi sia davvero un mondo "di pace". (L.Z.)

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    Vietnam: nell'Anno della Fede un nuovo ospedale per i lebbrosi

    ◊   Già il nome è sintomatico del cambio radicale di paradigma: da lebbrosario a “ospedale dermatologico”. E' l'opera che ha preso il via a Thai Binh, villaggio a 250 km a nord di Hanoi, dove i missionari francescani hanno dato slancio alla “missione fra gli ultimi”, uno degli obiettivi prioritari nell'Anno della Fede. Come San Francesco abbracciò il lebbroso – episodio che sancì l'inizio del suo cammino di conversione – i Frati minori Conventuali, in una missione nascente nel Paese asiatico, hanno realizzato un progetto di assistenza che intende rivalutare e restituire dignità a oltre 900 lebbrosi, per anni segregati in un’area ghettizzata, nel lebbrosario di Van Mon. Fra loro - riferisce l'agenzia Fides - circa 60 bambini, dai 2 ai 14 anni, figli e nipoti di lebbrosi, del tutto sani ma condannati all'emarginazione solo perché parenti di persone malate, segnati dallo stigma del pregiudizio. L'opera è stata inaugurata nel settembre scorso dal vescovo diocesano, mons. Peter De Van Nguyen, alla presenza di fra Valentino Maragno, direttore della Caritas Antoniana, e di frà Giorgio Abram, responsabile della realizzazione del progetto. Oggi l'ospedale dermatologico funziona a pieno ritmo, sotto la guida del frate vietnamita Martin Mai, che coordina uno staff di suore e operatori laici. Padre Giorgio Abram spiega a Fides: “Il nuovo ospedale pian piano prosciugherà l'antico lebbrosario, curando i lebbrosi con modalità e tecniche moderne. La costruzione inoltre ospita i 60 ragazzi sani, che vengono istruiti e poi reinseriti nel tessuto sociale. Il progetto di un ospedale serve anche all'Ordine francescano per avere il riconoscimento ufficiale dal governo vietnamita, che lo concede solo se l'ordine si impegna in un progetto di tipo sociale. I nostri frati e le nuova vocazioni nasceranno proprio attorno a questa a missione fra gli emarginati". (R.P.)

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    India: il Giubileo della diocesi di Chanda nel segno dell'evangelizzazione

    ◊   “La Chiesa Siro-malabarese ha dato un contributo straordinario non solo all’evangelizzazione dell’India, ma anche a quella di altri Paesi”. Lo ha ricordato mons. Salvatore Pennacchio, nunzio apostolico in India e Nepal rivolgendosi agli oltre seimila fedeli siro-malabaresi convenuti in questi giorni da tutta l’India a New Delhi per festeggiare il 50° anniversario dell’allora Missione di Chanda, la prima di questa Chiesa di rito orientale fuori dal Kerala, che ha segnato l’inizio dell’evangelizzazione del nord del Paese ad opera dei missionari keralesi. Parlando a un incontro al termine della Messa giubilare celebrata il 18 novembre, mons. Pennacchio ha espresso parole di elogio per la grande vitalità missionaria della Chiesa siro-malabarese: “Migliaia di vostri missionari – ha detto - lavorano al servizio dei bisognosi, condividendo la meravigliosa eredità lasciata da San Tommaso Apostolo” (alla cui predicazione nel 52 dopo Cristo si fa risalire l’origine della Chiesa siro-malabarese) . “Possa l’intercessione di San Tommaso aiutarvi nel vostro cammino di fede qui e altrove”, ha quindi concluso il nunzio. All’incontro – riporta l’agenzia Cns - era presente anche mons. John Kozar, presidente del “Catholic Near East Welfare Association”, l’agenzia pontificia della Congregazione per le Chiese Orientali che assiste i cristiani in Medio Oriente e oltre, intervenuto il giorno precedente a un seminario sul “Ruolo della Chiesa siro-malabarese nella costruzione della Nazione”. Nel suo intervento il presule ha rimarcato la straordinaria presenza del clero e dei religiosi siro-malabaresi nella vita di tutta la Chiesa in India, ricordando che 24 vescovi siro-malabaresi sono attualmente in servizio nelle diocesi latine in India, mentre dalla Chiesa siro-malabarese provengono il 40% dei sacerdoti e il 60% dei religiosi e delle religiose operanti in queste diocesi. Attualmente la Chiesa siro-malabarese conta più di 70mila religiose e sacerdoti e 4, 2 milioni di fedeli solo in India. (L.Z.)

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    Marocco: migliaia di bambini lavoratori subiscono abusi verbali e fisici, nonostante le leggi

    ◊   Sono tanti i bambini, a volte di appena 8 anni, che subiscono abusi fisici e trascorrono intere giornate al lavoro come domestici per una ricompensa irrisoria. Ad offrire un panorama di questa sconcertante realtà - riferisce l'agenzia Fides - è il recente rapporto curato dall’organizzazione internazionale Human Rights Watch Lonely Servitude: Child Domestic Labor in Morocco, dal quale emerge che alcuni minori, per la maggior parte bambine, che lavorano come domestici sono impegnati per oltre 12 ore al giorno, tutti i giorni della settimana, spesso per solo 11 dollari al mese. Alcune subiscono maltrattamenti fisici e verbali da parte degli stessi datori di lavoro, oltre ad essere loro preclusa la possibilità di andare a scuola e mangiare in maniera adeguata. Nel corso dell’ultimo decennio il governo del Marocco ha ridotto gli indici del lavoro infantile ed è riuscito ad aumentare il tasso di scolarizzazione. Nonostante ciò, è ancora carente il controllo sull’attuazione delle leggi che vietano l'impiego di bambini sotto i 15 anni per il servizio domestico e l'applicazione di sanzioni ai datori di lavoro che facilitano il reclutamento. Il rapporto dell’Ong è basato su una ricerca di mercato fatta nei mesi di aprile, maggio e luglio 2012 a Casablanca, Rabat, Marrakech e nella regione di Imintanoute, provincia di Chichaoua. La maggior parte delle bambine intervistate provenivano da zone rurali povere. Alcune hanno riferito di lavorare 100 ore alla settimana, e solo 8 su 20 avevano un giorno di riposo settimanale. Nessuna di queste è mai andata a scuola mentre lavorava come domestica. Diversi studi del 2001 riportano tra 66 mila e 86 mila minori di 15 anni impiegati come domestici in tutto il Paese, compresi circa 13.500 solo nella periferia di Casablanca. (R.P.)

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    Padre Gazzola è il nuovo superiore generale degli Scalabriniani

    ◊   Padre Alessandro Gazzola è il nuovo superiore generale dei Missionari di San Carlo Barromeo, meglio noti come Scalabriniani. È stato eletto ieri dal Capitolo generale in corso a Turcifal, in Portogallo. Nato a Bassano del Grappa (Vi), don Gazzola è stato ordinato nel 1982. Ha svolto il servizio prevalentemente nei seminari d’Italia, con una parentesi come parroco della Parrocchia SS. Redentore a Valmelaina di Roma. Nella Provincia Sacro Cuore - riferisce l'agenzia Sir - ha ricoperto gli uffici di consigliere e di vicario provinciale. Dal 2006 è stato rettore dell’Istituto Teologico internazionale scalabriniano di Roma. Ha ricoperto fino ad ora anche l’incarico di vicario della Regione Beato Giovanni Battista Scalabrini Africa ed Europa. La Congregazione dei Missionari di San Carlo è una comunità internazionale di religiosi che, in 30 Paesi dei 5 continenti, seguono i migranti di varia cultura, fede ed etnia. È stata fondata il 28 novembre 1887 dal beato Giovanni Battista Scalabrini, vescovo di Piacenza. Era l‘epoca della grande emigrazione dall‘Italia e dall‘Europa verso le Americhe. Attualmente la Congregazione è composta da circa 700 religiosi in tutte le parti del mondo. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 327

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.