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Sommario del 21/11/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Medio Oriente. Appello del Papa: odio e violenza non risolvono i problemi, sì a tregua e negoziato
  • Udienza generale. Il Papa: la fede è ragionevole e aiuta la scienza per il bene dell'uomo
  • Giornata per le claustrali. Il Papa: sostenere i monasteri, la loro preghiera aiuta il mondo
  • Altre udienze, rinunce e nomine
  • Da oggi nelle librerie la nuova opera del Papa su "L'infanzia di Gesù". Paolo Mieli: pagine emozionanti
  • Colloquio cattolici-musulmani sulla giustizia. Il Papa: proseguire in un dialogo autentico
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Esplosione in un bus a Tel Aviv, numerosi feriti. Nuovi raid israeliani. Tregua più lontana
  • Siria: oltre 100 le vittime nelle ultime 24 ore. Cresce l'emergenza profughi
  • Crisi. Ue divisa sugli aiuti alla Grecia, Parigi ottimista: l'accordo ci sarà
  • Educare all'incontro: una sfida che investe la Chiesa. Se ne parla ad un Convegno di Migrantes
  • Giornata mondiale Tv. Mons. Viganò: no linguaggi violenti, informare con equilibrio
  • Cinema. Presentato il Tertio Millennio Film Fest: "Tra cielo e terra"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Congo: dopo la caduta di Goma in mano ai ribelli, rabbia e timori nel Paese
  • Strasburgo: il cardinale Turkson sulla libertà religiosa "pilastro essenziale per la pace"
  • Pakistan: dopo Rimsha, altri 36 casi fra condannati a morte o all’ergastolo per blasfemia
  • Colombia: prosegue il negoziato di pace ma la tregua sarebbe stata violata
  • Porto Rico: ricordato l’arrivo del primo vescovo nel continente americano
  • Nepal: cristiani, musulmani, indù e buddisti contro aborto e violenze sui minori
  • Pakistan: a Faisalabad appello di cristiani e musulmani contro terrorismo e violenza
  • India: la Caritas forma leader tribali e musulmani per portare la pace in Assam
  • Bangladesh: la tragedia dei bambini di strada di Dhaka
  • Kenya: non si spara più a Garissa, ma continuano le violenze dell’esercito
  • Curia Milano: dolore per l’arresto del cappellano di San Vittore per abusi sessuali su detenuti
  • Etiopia: nuovo Centro medico materno-infantile a Soddo
  • Cuba: Lettera del cardinale Ortega per l'Anno della Fede
  • Sud Corea: Messaggio dell'arcivescovo di Seoul per l'Anno della Fede
  • Colombia: la pastorale della Chiesa per le persone affette da Aids
  • Serbia-Croazia: Chiese locali su assoluzione di ex generali croati accusati di crimini di guerra
  • Il Papa e la Santa Sede



    Medio Oriente. Appello del Papa: odio e violenza non risolvono i problemi, sì a tregua e negoziato

    ◊   Il Papa, all’udienza generale di stamani, ha lanciato un appello per la fine delle violenze in Medio Oriente. “Seguo con grave preoccupazione – ha detto - l'aggravarsi della violenza tra gli Israeliani e i Palestinesi della Striscia di Gaza. Insieme al ricordo orante per le vittime e per coloro che soffrono, sento il dovere di ribadire ancora una volta che l'odio e la violenza non sono la soluzione dei problemi. Inoltre – ha affermato - incoraggio le iniziative e gli sforzi di quanti stanno cercando di ottenere una tregua e di promuovere il negoziato. Esorto – ha concluso - anche le Autorità di entrambe le Parti ad adottare decisioni coraggiose in favore della pace e a porre fine a un conflitto con ripercussioni negative in tutta la Regione medio-orientale, travagliata da troppi scontri e bisognosa di pace e di riconciliazione”.

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    Udienza generale. Il Papa: la fede è ragionevole e aiuta la scienza per il bene dell'uomo

    ◊   Prima di concludere l’udienza generale in Aula Paolo VI con l’appello per Gaza, Benedetto XVI aveva sviluppato una intensa catechesi sul tema della “ragionevolezza della fede”, ribadendo fra l’altro che essa non è contro la scienza, ma al contrario la sostiene nella sua ricerca “per il bene di tutti”. Dando “l’assenso” alla fede, ha affermato il Papa, la ragione umana non viene “avvilita”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    La questione ha visto nei secoli dibattere i più grandi ingegni della cristianità. Benedetto XVI – maestro di fede in tempi in cui essa ha bisogno di essere incisivamente riannunciata – ha riproposto la domanda di sempre: il credere ha a che fare con la ragione umana? E in particolare con la scienza? Ciò che hanno ascoltato i presenti in Aula Paolo VI è stata una riflessione di rara densità:

    “La fede porta a scoprire che l’incontro con Dio valorizza, perfeziona ed eleva quanto di vero, di buono e di bello c’è nell’uomo (...): è un “sàpere”, cioè un conoscere che dona sapore alla vita, un gusto nuovo d’esistere, un modo gioioso di stare al mondo (...) E’ la conoscenza di Dio-Amore, grazie al suo stesso amore. L’amore di Dio poi fa vedere, apre gli occhi, permette di conoscere tutta la realtà, oltre le prospettive anguste dell’individualismo e del soggettivismo che disorientano le coscienze”.

    Dunque, la fede porta a conoscere Dio anzitutto attraverso un incontro d’amore, “vitale”, con Lui. Non è, ha affermato il Papa, un fatto “solo intellettuale”. Eppure, ha proseguito, la “ragionevolezza” della fede non è un controsenso. Il cattolico, ha messo in chiaro, non è mai colui che crede “contro” la ragione. E la formula “credo perché è assurdo”, ha soggiunto, non è propria della fede della Chiesa:

    “Dio, infatti, non è assurdo, semmai è mistero. Il mistero, a sua volta, non è irrazionale, ma sovrabbondanza di senso, di significato, di verità. Se, guardando al mistero, la ragione vede buio, non è perché nel mistero non ci sia luce, ma piuttosto perché ce n’è troppa. Così come quando gli occhi dell’uomo si dirigono direttamente al sole per guardarlo, vedono solo tenebra; ma chi direbbe che il sole non è luminoso, anzi la fonte della luce?”.

    Dio che “illumina” la fede “con la sua grazia” schiude, ha proseguito Benedetto XVI, degli orizzonti nuovi e “infiniti” da esplorare. Per questo, ha detto, “la fede costituisce uno stimolo a cercare sempre, a non fermarsi mai”:

    “E’ falso il pregiudizio di certi pensatori moderni, secondo i quali la ragione umana verrebbe come bloccata dai dogmi della fede. E’ vero esattamente il contrario, come i grandi maestri della tradizione cattolica hanno dimostrato (...) Intelletto e fede, dinanzi alla divina Rivelazione non sono estranei o antagonisti, ma sono ambedue condizioni per comprenderne il senso, per recepirne il messaggio autentico, accostandosi alla soglia del mistero”.

    “La fede cattolica è dunque ragionevole e nutre fiducia anche nella ragione umana”: è l’approdo cui giunge Benedetto XVI, il quale, citando via via alcune tra le più note asserzioni di pensatori cristiani – da San Paolo a Giovanni Paolo II passando per Sant’Agostino – arriva a toccare l’altro punto nevralgico: il rapporto tra fede e scienza. Anch’essa assetata di saperi e verità che sono tali, ha ribadito, solo se aperti “al vero bene dell’umanità”, per esempio alla difesa della vita e della salute:

    “Importanti sono anche le indagini volte a scoprire i segreti del nostro pianeta e dell’universo, nella consapevolezza che l’uomo è al vertice della creazione non per sfruttarla insensatamente, ma per custodirla e renderla abitabile. Così la fede, vissuta realmente, non entra in conflitto con la scienza, piuttosto coopera con essa, offrendo criteri basilari perché promuova il bene di tutti, chiedendole di rinunciare solo a quei tentativi che - opponendosi al progetto originario di Dio - possono produrre effetti che si ritorcono contro l’uomo stesso”.

    E da qui, ha sostenuto il Papa, si evince un altro punto a favore del fatto che credere “è ragionevole”: perché se la fede considera la scienza “una preziosa alleata” per comprendere il disegno di Dio nell’universo, la fede da parte sua “permette al progresso scientifico di realizzarsi sempre per il bene e per la verità dell’uomo, restando fedele a questo stesso disegno”:

    “Senza Dio, infatti, l’uomo smarrisce se stesso. Le testimonianze di quanti ci hanno preceduto e hanno dedicato la loro vita al Vangelo lo confermano per sempre. E’ ragionevole credere, è in gioco la nostra esistenza. Vale la pena di spendersi per Cristo, Lui solo appaga i desideri di verità e di bene radicati nell’anima di ogni uomo”.

    Al termine delle catechesi in sintesi nelle altre lingue, Benedetto XVI ha ricordato la solennità di domenica prossima, Cristo Re dell’universo, l’ultima del Tempo ordinario, esortando i giovani, gli ammalati e i nuovi sposi a fare di Gesù il “centro” della vita, dal quale ricevere “coraggio in ogni scelta quotidiana”, aiuto nel “comprendere il valore redentivo della sofferenza vissuta in unione con Lui” e sostegno nel “riconoscere la presenza del Signore” nel cammino matrimoniale, “così da partecipare alla costruzione del suo Regno di amore e di pace”.

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    Giornata per le claustrali. Il Papa: sostenere i monasteri, la loro preghiera aiuta il mondo

    ◊   Oggi, memoria liturgica della Presentazione della Beata Vergine Maria al Tempio, si celebra la Giornata per le Claustrali. Il Papa, al termine dell’udienza generale, ha espresso la sua vicinanza e di tutta la comunità ecclesiale alle sorelle chiamate dal Signore alla vita contemplativa. Ha quindi rinnovato l’invito a tutti i cristiani “affinché non facciano mancare ai monasteri di clausura il necessario sostegno spirituale e materiale. Tanto dobbiamo – ha sottolineato - a queste persone che si consacrano interamente alla preghiera per la Chiesa e per il mondo!”. A Roma, stamattina, nella Basilica di Santa Cecilia, il cardinale Joao Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per la Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, ha presieduto nell’occasione una solenne celebrazione eucaristica. Nei giorni scorsi la Basilica ha ospitato degli incontri sul tema “… in memoria del Concilio Vaticano II. Speranza per il futuro…”. Tiziana Campisi ha chiesto alla badessa del monastero benedettino di Santa Cecilia, madre Maria Giovanna Valenziano, in che modo oggi i laici possono guardare quanti vivono nei monasteri come speranza per il futuro:

    R. - Nella misura in cui viviamo la speranza nei monasteri. Abbiamo anche una parola chiave nella prima Lettera di Pietro: “Adorate il Signore Cristo nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”. E penso che il mondo di oggi ci domanda ragione della speranza che è in noi più che mai, dati i travagli, i problemi, la disperazione crescente. Quindi la nostra vita claustrale deve testimoniare ad ogni uomo afflitto ed angustiato, che - ad esempio - è possibile sopportare con somma pazienza le infermità fisiche e morali dei fratelli. Penso che il compito delle comunità monastiche sia anche quello di indicare all’uomo moderno nuove possibilità, nuovi modi e ritmi di vita.

    D. - Quali sono queste modalità che possono essere suggerite ai laici?

    R. - Le modalità dell’accoglienza, dell’ascolto reciproco e della Parola. Noi nella nostra comunità viviamo un’esperienza di comunità internazionale, i cui membri provengono da quattro continenti. Siamo quindi diversi per età, cultura e lingue, però riusciamo a vivere insieme come una grande famiglia, accettandoci così come siamo e sforzandoci di crescere insieme nell’accoglienza. Quindi vogliamo dire questo: è un’esperienza arricchente ed estremamente educativa - certo è anche faticosa - in quanto si impara a mettere insieme i doni che ognuno ha, ed anche ciò che si è, perché ne scaturisca un’armonia sempre maggiore.

    D. - In che modo la vostra vita incontra quella della gente comune?

    R. - Diciamo che, anche se in un modo particolare, noi siamo in ascolto del mondo. Non dobbiamo mai dimenticarci che la nostra preghiera - che è l’essenza della nostra vita - deve essere interprete del sacrificio, delle sofferenze fisiche e morali, delle fatiche, delle speranze dell’umanità che unita al sacrificio di Cristo offriamo con Lui, per Lui e al Padre. Poi ogni monastero deve offrire a chiunque bussi alla porta una parola di salvezza, un augurio di pace e di gioia che al giorno d’oggi è tanto necessario. Chiunque deve poter trovare nel monastero una persona disponibile all’ascolto, capace di accogliere il suo bagaglio di sofferenza, di incomprensioni, di delusioni, anche di gioie...

    D. - Oggi, come monaca di clausura, cosa vorrebbe dire in particolare alla collettività cristiana?

    R. - Vorrei invitare ad avere speranza e ad essere testimoni di speranza. “L’amore di Cristo ci spinge”, diceva San Paolo ai Corinzi: questa è una Parola che dobbiamo sentire attualissima. Ad un mondo travagliato, lacerato, deluso che pare tendere all’autodistruzione, noi dobbiamo dire, gridare con convinzione che oggi Dio è presente, e la sua presenza è presenza che vuole salvi tutti.

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    Altre udienze, rinunce e nomine

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto ieri sera in udienza il cardinale Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.

    In India, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Madras and Mylapore, presentata per raggiunti limiti di età da mons. A. Malayappan Chinnappa, della Congregazione dei Salesiani. Al suo posto, ha nominato l’arcivescovo George Antonysamy, finora nunzio apostolico in Liberia, Gambia e Sierra Leone.

    Il Pontefice ha nominato capi ufficio nella Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli i monsignori Lorenzo Piva e Camillus Nimalan Johnpillai, officiali del medesimo Dicastero.

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    Da oggi nelle librerie la nuova opera del Papa su "L'infanzia di Gesù". Paolo Mieli: pagine emozionanti

    ◊   E’ da oggi nelle librerie il nuovo volume di Benedetto XVI intitolato "L’infanzia di Gesù". Edito da Rizzoli e Libreria Editrice Vaticana, il libro esce in contemporanea in 9 lingue (italiano, brasiliano, croato, francese, inglese, portoghese, spagnolo, polacco e tedesco) e in 50 Paesi: la tiratura globale della prima edizione supera il milione di copie. Nei prossimi mesi, il volume sarà tradotto in 20 lingue per la pubblicazione in 72 Paesi. Antonella Palermo ha chiesto a Paolo Mieli, presidente di Rizzoli, il significato di questo libro:

    R. - Ha un significato grande: di continuità, di omaggio ad un’opera che è destinata a restare - al di là di chi l’ha scritta, ovvero, il Papa – nella storia culturale di questo inizio millennio. È una storia di una ricostruzione, filologicamente molto appropriata, della vita, della persona di Gesù “storico”, cioè: Gesù come persona realmente esistita nella storia e, attraverso la vivisezione, attraverso un approfondimento dei vari passaggi della vita di Gesù, si arriva ad un approfondimento della sua figura. Passaggi che, in questo caso, sono stati riportati da brevissime parole tramandate e, quindi, è ancora più speciale, perché si tratta di qualcosa che non ha lunghi testi su cui soffermarsi ed approfondire. Direi, quindi, che Benedetto XVI ha parlato della vita giovanile di Gesù, esaminando quello che ci è stato lasciato, parola per parola.

    D. – Quali pagine l’hanno più colpita?

    R. – Le pagine su Maria e quelle sui Magi. Le pagine su Maria, in particolare, perché è stata approfondita una cosa che mi ha sempre affascinato: la libertà di Maria nell’accettare di diventare madre, diventare madre per opera dello Spirito Santo, e di dare alla luce Qualcuno che è suo figlio – il mistero della maternità – e nello stesso tempo di staccarsi da quel Figlio, perché quel Figlio era Figlio del vero Padre: Dio. Queste sono pagine emozionanti, oltre ad essere molto profonde.

    D. – Il cardinale Ravasi ha parlato di uno stile limpido ed essenziale, incisivo ed umile…

    R. – Questo libro funziona perché è stato scritto affinché lo potessero leggere anche le persone semplici. E penso che sarà un libro letto soprattutto dalle persone semplici, che si accosteranno in questo modo - leggendo l’infanzia di Gesù - a una delle parti più belle della vita di Gesù. Allo stesso tempo, questo libro può essere letto come un testo molto erudito, molto sofisticato.

    D. – Siamo agli inizi dell’Anno della Fede, voluto proprio da Papa Benedetto XVI: secondo lei oggi, la fede, la spiritualità, da cosa è messa maggiormente a rischio?

    R. – Dal dubbio, dall’incertezza, dalla crisi, nel senso che questi sono anni in cui tutti sono portati a dubitare delle certezze che hanno dentro e un libro come questo aiuta a ricongiungerci a quelle antiche certezze. La fede non è qualcosa che si alimenta attraverso credenze tramandate; la fede è qualcosa che si rinnova e si rialimenta, di giorno in giorno e la lettura di libri come questo, la lettura di questo libro è un momento importante per capire la necessità di questo ricongiungimento, che può dare forza nell’affrontare – come lei diceva – un periodo come questo.

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    Colloquio cattolici-musulmani sulla giustizia. Il Papa: proseguire in un dialogo autentico

    ◊   “Proseguire sulla via di un dialogo autentico e fruttuoso”: l’incoraggiamento di Benedetto XVI in un Messaggio chiusura stamani dell’VIII Colloquio tra il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e il Centro islamico per il dialogo interreligioso (Cid) dell’Organizzazione per le relazioni e la cultura islamica (Icro). L’incontro - sul tema “Cooperazione cattolica e musulmana nella promozione della giustizia nel mondo contemporaneo” - si è svolto sotto la presidenza del cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del competente dicastero vaticano, e del dott. Mohammad Bagher Korramshad, presidente dell’Icro. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Un “terreno comune” per agire in positivo e “valori condivisi”. Si è svolto in un “clima amichevole” l’incontro tra personalità cattoliche e musulmane, che in una nota finale esprimono la loro “consapevolezza e preoccupazione per le sfide attuali, incluse le crisi economiche, la questione ambientale, l’indebolimento della famiglia quale istituzione fondamentale della società e le minacce alla pace mondiale”. Sottolinea la nota “la responsabilità dei leader religiosi, delle istituzioni, e in realtà, di ogni credente, nel denunciare ingiustizia ed oppressione in tutte le loro forme e nel promuovere giustizia in tutto il mondo.” “Giustizia come virtù basata sulla dignità umana”. “Noi crediamo – scrivono i partecipanti al Colloquio – che le nostre religioni posseggano risorse che possono ispirare i popoli a lavorare per rendere una realtà la giustizia e la pace”. E per questo chiedono che “musulmani e cristiani continuino ad approfondire la conoscenza gli uni degli altri attraverso il dialogo costante e la cooperazione”. Raccomandano infine “la necessità” di raccogliere i frutti del Colloquio e portarli “ai popoli delle rispettive comunità e società cosicché possano avere un reale effetto nel mondo”. Appuntamento in Iran per il prossimo Colloquio previsto tra due anni a Teheran.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Decisioni coraggiose per la pace: il Papa preoccupato per l'aggravarsi della violenza tra israeliani e palestinesi.

    La Chiesa non predica nel deserto: in prima pagina, Patrice de Plunkett sulla sorprendente protesta, in Francia, contro il progetto del "matrimonio omosessuale".

    E il Dante Alighieri dell'architettura: in cultura, il cardinale Lluis Martinez Sistach, arcivescovo di Barcellona, ricorda Antoni Gaudi nel secondo anniversario della dedicazione della Sagrada Familia, con un'intervista dell'inviato Silvia Guidi all'architetto Jordi Fauli, nuovo architetto capo della basilica.

    Il latino è morto, viva il latino: Ivano Dionigi sulla nuova Accademia pontificia.

    Nell'informazione religiosa, un articolo sugli anglicani che dicono no alle donne vescovo: i laici determinanti nel voto al Sinodo generale della Church of England.

    Cattolici e musulmani per promuovere la giustizia: ottavo colloquio tra il dicastero per il dialogo interreligioso e il centro di cultura islamica.

    Il vescovo guida e maestro sulla via del rinnovamento: nell'informazione vaticana, la prefazione dell'arcivescovo Gerhard Ludwig Muller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, al libro di Fabio Fabene edito dalla Libreria Editrice Vaticana.

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    Oggi in Primo Piano



    Esplosione in un bus a Tel Aviv, numerosi feriti. Nuovi raid israeliani. Tregua più lontana

    ◊   Non cessa il conflitto israelo-palestinese. L’esplosione avvenuta su un autobus di Tel Aviv ha provocato oltre 15 feriti, alcuni gravi. Vittime anche tra i palestinesi per i raid israeliani su Gaza nelal giornata di oggi. Un’escalation che allontana la tregua. Ce ne parla Benedetta Capelli:

    Giornata segnata dalla violenza sia nella Striscia di Gaza che in Israele. Nel cuore di Tel Aviv, un’esplosione avvenuta su un autobus ha provocato oltre 15 feriti. Un attacco terroristico, secondo la polizia israeliana, che ha arrestato un sospetto. Poco dopo, le Brigate Al-Aqsa, ala militare della Jiahad islamica, hanno rivendicato l'azione, mentre Hamas si è felicitata per l’attentato, conseguenza - afferma - dei raid israeliani che ancora oggi hanno causato nuove vittime tra i palestinesi a Gaza. Violenze che sembrano allontanare sempre più la tregua, già saltata ieri, e che arrivano in un momento delicato con la diplomazia internazionale al lavoro. Stamani a Ramallah, il presidente Abu Mazen ha incontrato il segretario di Stato americano Clinton – da poco giunta in Egitto - che ha chiesto di posticipare la data, fissata per il 29 novembre, del riconoscimento della Palestina come Stato non membro dell’Assemblea Generale dell’Onu. Richiesta bocciata dal capo negoziatore dell'Olp Erekat. Poco prima, Abu Mazen aveva visto il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon che aveva lanciato un appello per la fine immediata dei raid israeliani e del lancio di razzi palestinesi. L’ultimo bilancio delle violenze parla di 139 morti, 4 le vittime israeliane. Infine l’Iran ha ammesso di aver appoggiato militarmente Gaza, invitando gli altri Paesi arabi a fare altrettanto.

    La diplomazia, dunque, è al lavoro: importante il ruolo del governo egiziano, espressione dei movimenti che hanno infiammato la primavera araba. Una situazione molto diversa rispetto al passato come sottolinea al microfono di Benedetta Capelli, il prof. Massimiliano Cricco, docente di Storia dell'Europa orientale all'Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo" ed esperto di Medio Oriente:

    R. - La situazione - come sempre - è molto complessa. Oggi vediamo che il panorama politico internazionale è cambiato molto rispetto - ad esempio - al periodo dell’Operazione Piombo fuso del 2009: ci sono i nuovi governi arabi emersi dalle rivoluzioni della cosiddetta Primavera araba. In più vediamo i Paesi africani come l’Egitto o il nuovo governo libico - naturalmente si tratta sempre di Paesi del Golfo dove l’Islam sunnita è prevalente – che stanno giocando un ruolo molto più importante rispetto a prima. Da un lato i nuovi regimi arabi come quello di Morsi, hanno un forte bisogno di aiuti internazionali così come hanno bisogno di accreditarsi sulla scena politica mondiale proprio con un volto moderato e equilibrato. Ma, è chiaro, che proprio per la loro stessa natura di partiti, movimenti, gruppi islamici, non possono dialogare partendo da quelle che sono le volontà di Israele. Di sicuro, trovare un mediatore in Morsi, potrebbe essere un elemento molto positivo perché da un lato Morsi gode del favore degli americani e soprattutto del rieletto presidente Obama; dall’altro può costituire un valido interlocutore con la fazione più moderata di Hamas con cui, per forza di cose, si dovrà venire a patti nei prossimi anni perché i votanti palestinesi, soprattutto a Gaza, sono pro-Hamas piuttosto che pro-Abu Mazen e quindi della vecchia dirigenza dell’Anp.

    D. - Questo nuovo fronte che si è creato può dare linfa nuova al negoziato di pace tra israeliani e palestinesi?

    R. - Si spera. Si spera perché da queste rivoluzioni arabe sono nati dei governi islamici "moderati", e quindi si spera che possano - in un certo senso - valorizzare quello che è il discorso del negoziato rispetto all’intransigenza dell’integralismo islamico. La novità è che rispetto alle posizioni precedenti, soprattutto degli americani che cercavano come interlocutore piuttosto Abu Mazen e la vecchia Anp, oggi Hamas e l'Olp giocheranno un ruolo sempre più importante perché le nuove dirigenze dei Paesi arabi - sottolineo i sunniti, perché in questo momento l’Iran appare molto isolato nel panorama stesso delle dirigenze islamiche - stanno cercando di portare avanti un discorso di avvicinamento ad Hamas, e quindi in un certo senso, gli Stati Uniti dovranno perseguire questa politica nella misura in cui naturalmente Hamas è disposta a dialogare senza utilizzare mezzi bellici.

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    Siria: oltre 100 le vittime nelle ultime 24 ore. Cresce l'emergenza profughi

    ◊   Resta incandescente il versante siriano. Nelle ultime 24 ore, oltre cento morti, tra cui diversi bambini, si sono registrati durante scontri in varie parti del Paese tra esercito e ribelli. Pesante l’offensiva dei lealisti alle porte di Damasco, nel quartiere delle ambasciate. Bombe anche su Daraya, mentre con il “sì” della Gran Bretagna si allarga il fronte diplomatico che riconosce la neonata Coalizione Siriana dell’opposizione. Resta alta poi l’emergenza umanitaria, migliaia anche oggi i profughi al confine con la Turchia. Una crisi che non deve essere privata del diritto di cronaca, come ribadisce Dina Taddìa, responsabile in Medio Oriente del "Gruppo di volontariato civile" (Gvc), una ong che opera nel Paese. Cecilia Seppia l’ha intervistata:

    R. – Noi che lavoriamo come organizzazione degli aiuti umanitari ci rendiamo conto come, in queste ultime settimane, da una parte sia stato dato giustamente rilievo a quanto sta succedendo nella Striscia di Gaza, in Israele e Palestina, mentre dall’altra è caduto quasi nel dimenticatoio quanto sta succedendo in Siria.

    D. – Pensiamo proprio ai rifugiati e agli sfollati. Sono oltre un milione e mezzo le persone costrette a lasciare le loro case, mentre due milioni e mezzo sono quelli che subiscono in prima persona le conseguenze di una guerra civile che porta fame, povertà, violazione dei diritti umani. Una situazione ampiamente preoccupante...

    R. – Estremamente preoccupante e che sta chiaramente peggiorando con l’arrivo dell’inverno. Noi, come Gvc, stiamo lavorando in Libano con i profughi siriani, che si stanno ammassando al confine libanese, e ci rendiamo conto di come nel corso degli ultimi mesi la situazione sia peggiorata. Fino a qualche mese fa, lo stare in tenda poteva in qualche maniera essere accettabile. Adesso, con l’arrivo dell’inverno, ci vediamo costretti a fornire stufe, materassi, coperte, vestiti, perché queste persone sono fuggite senza nulla o con quanto avevano addosso. E’, quindi, una situazione estremamente preoccupante, che chiaramente avrà delle ripercussioni anche sul piano della salute, soprattutto per i bambini ma anche persone anziane e moltissime donne incinte.

    D. – Dal punto di vista degli aiuti umanitari, riuscite a soddisfare le richieste della popolazione e comunque ad entrare nelle zone più colpite, più a rischio, e a portare soccorso?

    R. – Noi come tante altre ong e la comunità internazionale stiamo cercando di fare quanto possibile per queste persone, anche se in questo momento l’accesso degli aiuti umanitari è particolarmente complesso. La situazione, infatti, non è semplice, anche nel capire dove e con chi relazionarsi. Sarebbe, comunque, importante fare molto di più e che ci fossero più fondi e la possibilità di un impegno anche politico maggiore, per fare in modo che questo conflitto interno possa finire al più presto.

    D. – Accanto alla situazione e a questa emergenza profughi c’è la questione dell’insicurezza alimentare. Proprio le Nazioni Unite e la Fao, in particolare, parlano di tre milioni di persone a rischio di insicurezza alimentare. In che senso? Manca il cibo oppure il cibo che c’è non è sicuro?

    R. – In Siria, dopo un anno di conflitto, la situazione rispetto alla mobilità delle merci, alle coltivazioni è particolarmente danneggiata. Nelle città, in particolar modo, è difficile trovare alcuni generi di prima necessità, perché la situazione fa sì che vi sia un movimento locale ridotto al massimo per motivi di sicurezza e che dunque scarseggino gli approvvigionamenti di cibo sufficienti per i bisogni di tutti. Senza considerare il fatto che l’aumento della disoccupazione è anche fonte dell’embargo della Lega Araba e quindi anche delle diminuzioni dei flussi finanziari dall’estero. Ciò fa sì che molte persone non siano più in grado di acquistare il cibo sul mercato, il quale negli ultimi mesi è salito nuovamente di prezzo, diventando per molti inaccessibile.

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    Crisi. Ue divisa sugli aiuti alla Grecia, Parigi ottimista: l'accordo ci sarà

    ◊   “Senza un accordo per la Grecia è a rischio la stabilità di tutta la zona euro”. Così il premier greco Samaras mette in guardia i Paesi europei e il Fondo monetario internazionale (Fmi) all’indomani del vertice dell’Eurogruppo a Bruxelles, che ha bocciato lo sblocco di 44 miliardi di euro destinati ad Atene per far fronte al proprio debito. Alla base della decisione, rinviata a lunedì prossimo, le perplessità della Germania sull’entità dell’impegno che pesa sui partner europei e del Fmi, contrario ad una dilazione di due anni per la restituzione degli aiuti. Più ottimista la Francia, secondo la quale un accordo con Atene sarebbe vicinissimo. Giancarlo La Vella ne ha parlato con l’economista Angelo Baglioni, docente all’Università Cattolica di Milano:

    R. - È chiaro che le tensioni che si erano un po’ assopite sono destinate a riacutizzarsi a meno che non si arrivi a un accordo. Rispetto a qualche mese fa, ora c’è la rete di sicurezza che è stata stesa dalla Banca centrale europea con la disponibilità a intervenire in acquisto di titoli di Stato degli altri Paesi periferici europei. Quindi, il rischio di contagio ad altri Paesi come Spagna ed Italia è molto minore rispetto al passato.

    D. - Lunedì prossimo ci sarà un nuovo vertice dell’Eurogruppo. In pochi giorni, si riusciranno a superare le perplessità mostrate soprattutto dalla Germania e dal Fondo monetario internazionale?

    R. - L’ipotesi prevalente è che alla fine si trovi un accordo. A me sembra che la Grecia abbia mostrato di avere fatto grossi sforzi anche nelle ultime settimane, approvando l’ennesimo piano di austerità. Mi sembra quindi che abbia fatto la sua parte, seppure con ritardi, ma la traiettoria di debito sul Pil della Grecia sarà peggiore di quello che si immaginava qualche tempo fa, perché la recessione nel Paese è più grave di quello che si prevedeva. Però, credo che alla fine si troverà un accordo.

    D. - Sarebbe critica per l’Eurozona l’esigenza di dover aiutare, dopo la Grecia, un altro Paese che dovesse trovarsi nelle medesime condizioni?

    R. - Sì. Sono richieste che pongono ai Paesi partner dei costi notevoli. D’altronde, la posta in gioco è molto alta perché riguarda la tenuta della stessa unione monetaria. C’è anche da dire che da agosto in avanti, è stato messo sul piatto un altro strumento molto potente oltre agli aiuti dai governi tramite il Fondo di stabilità europeo. Quest’arma in più è costituita dagli interventi della Banca centrale europea, strumento che finora è stato solo annunciato perché, come noto, l’attuazione è poi subordinata al fatto che un Paese chieda e riceva gli aiuti dal fondo di stabilità europeo. Comunque, già il fatto di avere disponibile, almeno sulla carta, questo strumento in più, aumenta l’ammontare delle risorse complessivamente utilizzabili per dare stabilità finanziaria ai governi che eventualmente ne facciano richiesta e quindi all’area Euro nel suo complesso.

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    Educare all'incontro: una sfida che investe la Chiesa. Se ne parla ad un Convegno di Migrantes

    ◊   “Educare all’incontro” per “non cedere alla sfiducia e alla paura”. E’ la sollecitazione rivolta ieri da mons. Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, al Convegno nazionale della Fondazione Migrantes in corso a Roma e promosso nel suo 25° anniversario. Fino a domani, vede riuniti i direttori regionali, diocesani e i collaboratori dei vari ambiti pastorali della mobilità umana. La migrazione è sentita da molti come una minaccia, ha affermato mons. Paolo Schiavon, presidente della Migrantes, in apertura dei lavori, ma “è un'occasione provvidenziale di promozione umana” ed è “una questione morale che occupa e preoccupa la Chiesa”. Adriana Masotti ne ha parlato con mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione:

    R. – Preoccupa la Chiesa perché è una sfida educativa, la sfida appunto dell’incontro con persone di 198 nazionalità diverse. E’ una sfida non facile ed è una sfida morale, perché significa mettere a confronto anche stili di vita e quindi ripensare la nostra vita a partire da altre esperienze: esperienze culturali, esperienze religiose ecc… In questo senso allora l’immigrazione diventa una questione non solo nazionale, ma anche una questione della Chiesa italiana.

    D. – Il Papa nel messaggio per la prossima Giornata mondiale del migrante dice che la pastorale migratoria della Chiesa non è mero assistenzialismo, ma è promuovere soprattutto l’autentica integrazione. Voi con il vostro lavoro, in questi 25 anni, è questo che cercate di fare?

    R. – Certamente. La caratteristica di Migrantes è proprio un’azione pastorale centrata sull’incontro tra persone, sulla capacità di un’accoglienza che parte dal valore della persona. Tante volte noi li vediamo come i poveri, li vediamo come i criminali e in questa maniera falsiamo la realtà e l’identità di un immigrato, che invece prima di tutto è una persona, una famiglia di lavoratori. E’ da tutto questo che invece noi partiamo per costruire integrazione, per costruire una relazione nuova dentro le nostre città e dentro le nostre comunità.

    D. – Questa disposizione, quest’apertura della mente, non solo del cuore, quanto è diffusa nella comunità ecclesiale?

    R. – Io credo che ci siano bellissime esperienze nelle nostre diocesi che lavorano in questa direzione e che stanno trasformando le nostre comunità proprio in laboratori in cui costruire integrazione. Anche nelle nostre comunità tante volte si respira aria di diffidenza e di paura. I vescovi italiani ricordano il tema della paura come uno degli aspetti su cui effettivamente occorre lavorare per costruire una Chiesa differente e capace di incontri. E’ un lavoro culturale, oltre che pastorale, importante, cui dobbiamo abituarci nelle nostre comunità.

    D. – Ricordando che il tema del vostro convegno è “La salvezza è sempre altrove. Educare all’incontro”, mons Crociata, ha dato alcune indicazioni di percorsi educativi. Che cosa pensa di questo? E’ vero che ci vuole anche una “strategia”, per questa educazione?

    R. – Certamente, i percorsi pastorali che mons. Crociata ha indicato vanno proprio nella direzione di ripensare la pastorale, a partire dall’incontro e dalla valorizzazione degli altri, dove negli altri oggi ci sono soprattutto persone che provengono da altri Paesi. In questo incontro con gli altri, dobbiamo riuscire a riconoscere un’identità differente, riconoscere la capacità di un nuovo dialogo ecumenico, interreligioso, la capacità di esperienze di inclusione, dentro le nostre realtà pastorali, di persone che arrivano con una ricchezza culturale e religiosa. Quindi, l’apertura dei Consigli pastorali, dell’associazionismo, dei movimenti a queste esperienze degli immigrati, facendoli diventare un valore aggiunto da accompagnare gradualmente perché siano protagonisti nel cammino delle nostre Chiese.

    D. – La Fondazione Migrantes compie 25 anni. Ci può tracciare un breve bilancio? So poi che, in questi giorni, presenterete anche un nuovo statuto...

    R. – Sì, sono stati 25 anni in cui sostanzialmente Migrantes ha accompagnato questa storia dell’immigrazione in Italia e l’accoglienza di percorsi pastorali nel mondo dello spettacolo viaggiante - i circensi, i fieranti, il mondo dei rom e dei sinti - quindi l’attenzione alle minoranze. Credo che questa storia di 25 anni abbia reso anche più belle le nostre chiese, perché le hanno aperte all’accoglienza, e il futuro riparte da questa parola.

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    Giornata mondiale Tv. Mons. Viganò: no linguaggi violenti, informare con equilibrio

    ◊   Ogni giorno accompagna la nostra vita in ogni angolo del pianeta e tutt’ora rappresenta il principale mezzo di comunicazione di massa. Nell’odierna Giornata mondiale della televisione, l’Onu richiama la responsabilità di questo media nel diffondere contenuti ispirati alla pace e all’integrazione sociale. Roberta Gisotti ha intervistato mons. Dario Edoardo Viganò, docente di Comunicazione alla Pontificia Università Lateranense:

    Di fronte alla tv, ancora oggi vi è un numero maggiore di spettatori rispetto a ogni altro media. A livello mondiale, il consumo televisivo supera le quattro ore al giorno, rispetto ai circa 30 minuti di Internet e ai 15 minuti dei social network. Inoltre, i contenuti televisivi sono maggioritari nella Rete, dove navigano soprattutto i giovani. Insomma, la Tv messa alla porta dal web è rientrata dagli schermi di pc, tablet e smarthphone. Mons. Mons. Viganò, la Tv può giocare un ruolo formidabile nel promuovere valori positivi ma anche negativi a chi spetta vigilare?

    R. - Prima della vigilanza, io credo spetti alla coscienza dei professionisti. Troppo spesso, ad esempio, la televisione - dai talk show ai dibattiti, ma anche negli stessi telegiornali - fa un uso sconsiderato di una grammatica troppo violenta: qualunque cosa diventa una catastrofe, qualunque elemento di dibattito diventa uno scontro. Io credo che, anzitutto da parte dei professionisti, ci voglia la consapevolezza che le parole hanno un peso e questo è importante. Ci vuole una professionalità decisamente superiore di quella che oggi è continuamente esposta nel piccolo schermo, che tenga conto che il linguaggio è la forma propria del racconto della propria identità e della propria società. Secondo aspetto, la vigilanza: una vigilanza che sia capace da una parte di non eludere posizioni differenti da quelle maggioritarie e che dall'altra dia libera cittadinanza a visioni anche diverse, nel rispetto però delle regole democratiche e nel rispetto delle singole persone.

    D. - Sappiamo che la tv è potente veicolo di omologazione di stili di vita e tendenze al consumo attraverso format, reality, pubblicità dove lo spettatore piuttosto che avere un’identità di cittadino, viene considerato un consumatore quando non una merce da vendere…

    R. - Purtroppo, che il cittadino più che titolare di diritti sociali diventi un consumatore si è visto anche soprattutto in queste ultime settimane nei dibattiti politici e questa è una deformazione. Ciascuno di noi è prima di tutto una persona con una dignità, con una necessità di legami sociali e con dei diritti, perché questi legami sociali vengano mantenuti coesi e a questi venga data la possibilità di essere espressi.

    D. - Si chiede più responsabilità agli operatori televisivi a tutti i livelli, ma anche forse responsabilità del pubblico a rivendicare oppure ad avere coscienza dei propri diritti comunicativi…

    R. – Sì, non è sufficiente che qualcuno eserciti il diritto di informazione, ma è necessario che il pubblico reclami il diritto di un’informazione "buona", un’informazione adeguata, proporzionale con un linguaggio capace di esprimere la gradualità delle situazioni. Ad esempio, un dibattito politico non è uno "scontro": utilizziamo troppo linguaggio tipico della guerra e questo non va bene.

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    Cinema. Presentato il Tertio Millennio Film Fest: "Tra cielo e terra"

    ◊   E’ stato presentato a Roma, presso il Pontificio Consiglio della Cultura, il XVI Tertio Millennio Film Fest, cui partecipa anche il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, manifestazione cinematografica che si svolgerà presso il Cinema Trevi di Roma dal 4 al 9 dicembre. Tema della nuova edizione: “Tra cielo e terra. Il paradosso della realtà: storie di ordinaria grandezza nel cinema contemporaneo”. Il servizio di Luca Pellegrini:

    Fedele allo spirito che lo ha accompagnato nei suoi sedici anni di vita, il Tertio Millennio Film Fest propone ancora una volta, nella sua originale articolazione, una riflessione sui problemi e gli avvenimenti del mondo contemporaneo e una serie di domande che il pubblico non può più permettersi di eludere. Quest’anno l’attenzione è rivolta soprattutto a quello giovane, rappresentato dal Premio Rivelazione dell’anno, consegnato a Tea Falco, intensa interprete dell’ultimo film di Bernardo Bertolucci, Io e Te, dal vescovo Carlos Azevedo, delegato ai Beni culturali del dicastero, il quale ha ribadito come proprio il cinema è capace di consegnare loro una riflessione profonda sull’esistenza:

    R. - Il cinema riesce ad avere un linguaggio più universale per lo stile narrativo, lo stile simbolico che riesce a comunicare molto più facilmente che altri linguaggi e per questo, quando il cinema passa valori attraverso la storia e fa domande sulle questioni più importanti della vita, aiuta i giovani ad interrogarsi e a porsi domande essenziali. D’altra parte si possono anche rivedere, in questo tema dell’io e del tu, nei loro problemi e fare una riflessione più profonda sul loro futuro e sul loro destino.

    D. - Secondo lei, il giovane considera il cinema soltanto come uno strumento di evasione o, in base alle scelte, riesce anche a coglierne gli aspetti più profondi per riflettere sul presente e il futuro?

    R. - Penso che, per quello che conosco, molti giovani hanno una capacità critica e di riflettere che noi molte volte non pensiamo perché li riteniamo superficiali … invece oggi comincia ad esserci una generazione di giovani che di fronte alle difficoltà del lavoro, ai problemi della vita riflettono sul futuro e diventano critici nei confronti della politica.

    Mons. Dario Edoardo Viganò, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo che organizza il festival, ha scelto un tema efficace per esprimere le inquietudini del nostro tempo.

    D. - Che cosa scopre il cinema in quello spazio di mezzo che esiste tra il cielo e la terra?

    R. - Scopre la natura: cioè, il filo rosso che ci ha condotto nella scelta dei film di quest’anno, di questa sedicesima edizione, è proprio quello di vedere come il mondo non è semplicemente la duplicazione simulacrale di se stesso, la derealizzazione, il cyber-capitalismo, ma presenta con forza un fascino che è un fascino anche terribile e temibile insieme della natura. La natura è magmatica, inquieta, a volte accogliente, a volte respingente; abbiamo quindi dei film che riflettono esattamente il cammino di alcuni giovani che ad esempio si disperdono in un bosco, e quindi c’è un rito di passaggio all’età adulta e questo rito è appunto faticoso, problematico, pauroso ma insieme segna un passaggio, segna una conquista; poi ci sono altri film dove abbiamo gli incubi e le inquietudini di visioni apocalittiche, che non sono semplicemente segni di follia di un individuo ma a volte anche reale percezione di dove sta andando il mondo. Quindi la natura, la natura magmatica, inquieta, diventa la metafora della comprensione dell’esistenza.

    D. - Dire cielo e terra significa anche dire fede e uomo …

    R. - Sì, perché la natura è quella natura nella quale io trovo nostalgia e fascino e insieme però non ne comprendo le ragioni e le logiche fino in fondo; ed è proprio per questo che sono chiamato a un atto di fede e di fiducia: in chi? In Colui che ha generato l’ordine creativo dell’universo. In questo senso è un po’ come l’esperienza di Teresa di Lisieux che è assolutamente affascinata da una vicenda che è quella della terra, vivendola però in maniera esodica, come l’ha vissuta Gesù: cioè da esiliata sulla terra. Perché? Perché guarda con nostalgia il cielo, come al uogo dell’armonia generatrice di ogni cosa.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Congo: dopo la caduta di Goma in mano ai ribelli, rabbia e timori nel Paese

    ◊   Mentre i ribelli del Movimento del 23 marzo (M23) hanno preso il controllo di Goma, capoluogo della ricca e remota provincia del Nord-Kivu, l’onda lunga del conflitto nell’Est ha già raggiunto altre città della Repubblica Democratica del Congo. A Kinshasa, che dista circa 1500 chilometri, un gruppo di individui non meglio identificati ha cercato di introdursi con la forza nelle ambasciate del Rwanda e dell’Uganda. Nella capitale ma anche a Kisangani, capoluogo della provincia Orientale che a sud confina con il Nord-Kivu - riferisce l'agenzia Misna - migliaia di studenti universitari e liceali sono scesi in piazza in segno di protesta per “l’aggressione subita”. Edifici pubblici e privati sono stati danneggiati, tra cui alcune sedi del Partito del popolo per la ricostruzione e la democrazia (Pprd, presidenziale) e del Movimento sociale per un rinnovamento (Msr, maggioranza). A Bunia, capoluogo dell’Ituri nella provincia Orientale, gruppi di giovani hanno invece attaccato il quartiere generale della locale missione Onu, la Monusco, scandendo slogan contro l’Onu e il governo congolese. A Bukavu, capoluogo della provincia ‘sorella’ del Sud-Kivu, fonti locali della Misna riferiscono di un clima di “incertezza” e di “delusione diffusa tra la gente che si sente abbandonata dai governanti”. Nelle ultime ore, ad accrescere i timori di una possibile ‘discesa’ verso sud dei ribelli del M23, è stata la circolazione di “notizie molto preoccupanti sul piano militare nazionale ed internazionale” ha dichiarato l’analista politico Jean-Jacques Wondo, al sito della diaspora congolese ‘Ingeto’. Mettendo il comando delle Fardc (esercito congolese) davanti al fatto compiuto, il presidente Kabila avrebbe dato l’ordine alla forza aerea di lasciare Goma e dintorni per ritirarsi a Bukavu; tre elicotteri si troverebbero già al locale aeroporto. “Una mossa incomprensibile che annienta l’efficacia delle operazioni congiunte aeree Fardc-Monusco le uniche che negli ultimi tempi sono riuscite a infierire un duro colpo ai ribelli e al suo alleato ruandese mentre le unità di terra sono mal equipaggiate, disorganizzate e poco motivate” ha sottolineato Wondo. Le truppe di terra, ritiratesi da Goma, o respinte sulla base di un’altra versione dei fatti, si sarebbero riposizionate a Sake (Nord-Kivu) e Minova (Sud-Kivu). Stamani fonti di stampa belga scrivono che “gli insorti starebbero avanzando anche sulla strada che porta a Bukavu”. A Goma, i ribelli del M23 sembrano avere già ottenuto i primi risultati concreti dopo l’ultimatum di 24 ore lanciato ieri ai militari: quello di consegnarsi, farsi identificare e arruolarsi tra le loro fila. Immagini pubblicate dall’emittente panaraba Al Jazeera documentano la resa di centinaia di soldati e agenti di polizia congolesi, raggruppati nello stadio del capoluogo. Alla luce delle nuove incognite che ha aperto lo scenario della caduta di Goma, oggi gli occhi dei congolesi saranno anche puntati verso il Consiglio di sicurezza dell’Onu, chiamato a pronunciarsi su una possibile revisione del mandato della Monusco e un dispiegamento di altre truppe a sostegno dei 1500 Caschi blu ancora presenti nel capoluogo del Nord-Kivu. (R.P.)

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    Strasburgo: il cardinale Turkson sulla libertà religiosa "pilastro essenziale per la pace"

    ◊   Un’Europa che, “fedele alle sue radici cristiane, si impegna per il rispetto della libertà religiosa per ogni essere umano”, invia un segnale positivo e di speranza a tutto il mondo. Il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, rivolgendosi agli eurodeputati a Strasburgo, segnala il “ruolo centrale” della difesa dei diritti e delle libertà fondamentali, “fra cui quella religiosa”, intesa come un “pilastro” della convivenza civile in una società pluralista come quella europea. Il cardinale ghanese - riferisce l'agenzia Sir - era stato invitato dal gruppo di lavoro paneuropeo a trattare, nel tardo pomeriggio di ieri, della libertà religiosa e delle discriminazioni subite dai cristiani nel mondo. Il porporato - accompagnato da mons. Aldo Giordano, osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa - ha affrontato quattro punti principali: lo sviluppo storico e attuale dei diritti umani; come la Chiesa cattolica intende i diritti umani e la stessa libertà religiosa; come essa concepisce la responsabilità delle istituzioni politiche verso la libertà religiosa; la difesa e promozione della libertà religiosa nel mondo. “La libertà di religione è una questione di giustizia” ed “è legata allo sviluppo dei diritti inalienabili dell’uomo” nella storia e in ogni continente, ha affermato il porporato. Nella sua esposizione, il cardinale Turkson ha fatto riferimento alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e ai documenti del Concilio Vaticano II; ha citato Benedetto XVI e Jacques Maritain. “La libertà di credo e di culto sono diritti per ogni essere umano e devono valere ovunque. Nessuno può privare altri di tali diritti”. “Essi non dipendono da una legge, da un voto o da un consenso, perché, come diritti fondamentali” sono inscritti nel dna umano e precedono le stesse istituzioni umane. Il porporato ha quindi denunciato le numerose violazioni della libertà religiosa e le discriminazioni subite dai cristiani in numerosi Paesi. Il presidente del Consiglio giustizia e pace vaticano ha quindi affermato che “nelle nostre società pluraliste occorre che la libertà religiosa si accordi con gli altri diritti essenziali”. Tale diritto è anche un pilastro necessario per “la costruzione della pace”. Turkson ha insistito sul dialogo e il rispetto reciproco tra le fedi religiose e sul dialogo tra le religioni e le istituzioni politiche, come ad esempio è sancito dal Trattato di Lisbona (dialogo strutturato tra Ue e comunità religiose). Il cardinale ha quindi dedicato una parte della sua riflessione all’impegno dei credenti nella realtà sociale e politica: “La presenza dei cristiani nello spazio pubblico va intesa quale contribuito alla costruzione del bene comune a vantaggio di tutti”. (R.P.)

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    Pakistan: dopo Rimsha, altri 36 casi fra condannati a morte o all’ergastolo per blasfemia

    ◊   Se un caso, quello di Rimsha Masih, è stato risolto con un esito felice, vi sono tanti altri casi di presunta blasfemia in cui vittime innocenti soffrono in carcere e sono sottoposte a un lungo calvario legale. Come riferito all'agenzia Fides da fonti locali, oggi in Pakistan 16 persone sono nel braccio della morte, in attesa di esecuzione, per blasfemia; altri 20 imputati stanno scontando l’ergastolo, molti altri sono in attesa di processo o hanno fatto appello dopo una condanna in primo grado. “Nel 95% dei casi, le accuse sono false”, dice a Fides un avvocato musulmano che chiede l’anonimato. Per questo l’esito del caso di Rimsha Masih, la minorenne cristiana assolta ieri dall’Alta Corte di Islamabad, riporta all’attenzione la controversa legge sulla blasfemia, composta da due articoli del Codice Penale, il 295b e il 295c, che puniscono con l’ergastolo o con la pena di morte il vilipendio al Corano o al Profeta Maometto. Parlando a Fides, Naeem Shakir, avvocato cattolico che difende molte vittime di blasfemia, nota che “la legge è così vaga che è facilmente usata per regolamenti di conti personali. L'abuso di questa legge terrorizza le minoranze religiose, in particolare, costringendole a lasciare il paese in quanto non si sentono più al sicuro”. Secondo Wilson Chaudry, leader della “British Pakistan Christian Association”, “la sentenza pro Rimsha non porterà un immediato cambiamento. La volatilità e l'instabilità all'interno della società pakistana non consentono l'abrogazione della legge sulla blasfemia, utilizzata come strumento per discriminare le minoranze e per la persecuzione. Questa legge – nota Chaudry a Fides – è ancora fortemente sostenuta dalla maggioranza dei musulmani e necessita di una riforma graduale. Vittime come Asia Bibi e Younis Masih sono ancora in carcere per false accuse di blasfemia, e mostrano i numerosi fallimenti del sistema giudiziario in Pakistan”. In un comunicato inviato a Fides, la Commissione Usa per la Libertà Religiosa, elogia la decisione del tribunale su Rimsha come “risultato positivo per affrontare la cultura dell'impunità e intolleranza che affligge il Pakistan e dare risalto all'importanza dello Stato di diritto”. Ricorda però che la legge sulla blasfemia è usata per “abusare della libertà religiosa o eseguire vendette private”. Per questo il caso Rimsha “segnala la necessità di riformare o annullare la legge sulla blasfemia, che alimenta l'estremismo religioso e minaccia la libertà di religione e i diritti umani per tutti in Pakistan”. In una nota inviata a Fides l’Ong “Christian Solidarity Worldwide” (Csw) ricorda le ombre tuttora presenti: “Una sentenza della Corte non garantisce la sicurezza personale di Rimsha e della sua famiglia”, inoltre “questa decisione può ancora essere messa in discussione” con un ricorso alla Corte Suprema. Resta da vedere se l'uomo accusato di aver incastrato Rimsha, l’imam Khalid Jadoon Chishti, sarà ritenuto responsabile. “Se lo sarà – afferma Csw – sarà un segno del progresso compiuto dal Pakistan”. (R.P.)

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    Colombia: prosegue il negoziato di pace ma la tregua sarebbe stata violata

    ◊   Le trattative tra governo e Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) avviate lunedì a L’Avana “procedono con buon ritmo”: lo ha detto il comandante guerrigliero Jesús Santrich dalla capitale cubana dove i colloqui, ospitati nel Palacio de las Convenciones, proseguiranno anche oggi a porte chiuse. “Stiamo facendo in modo che vi sia la piena partecipazione popolare in questo processo di costruzione della pace” ha aggiunto Santrich. In un clima di stretto riserbo, più ermetici si sono mostrati i negoziatori del governo guidati dal vice presidente Humberto de la Calle, che non hanno rilasciato commenti sull’andamento del negoziato. Dalla Colombia, tuttavia, sono giunte nelle ultime ore le prime accuse di violazione della tregua unilaterale dichiarata dalle Farc da ieri, fino al prossimo 20 gennaio. Secondo fonti dell’esercito, un gruppo di ribelli avrebbe attaccato un plotone di soldati nei pressi del comune di Caloto, sulle montagne del dipartimento sud-occidentale del Cauca, ingaggiando intensi combattimenti durati ore ma conclusi senza vittime. All’episodio sarebbe seguita l’attivazione di un campo minato al passaggio di uno squadrone di militari nei pressi del villaggio di Huasanó, sempre nel Cauca, attribuita alle Farc; anche in questo caso non ci sarebbero state vittime. Con lo slogan “niente è concordato fino a quando tutto non è concordato”, le parti hanno cominciato a discutere della questione agraria, una delle cause alla radice del conflitto che si protrae da quasi mezzo secolo in un paese in cui il 52% delle terre coltivabili è in mano ad appena l’1,15% della popolazione (in totale, 42 milioni di persone, di cui il 32% vive nelle aree rurali). (R.P.)

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    Porto Rico: ricordato l’arrivo del primo vescovo nel continente americano

    ◊   L'arcivescovo emerito di Siviglia, il cardinale Carlos Amigo Vallejo, Inviato Speciale di Papa Benedetto XVI, ha presieduto una solenne Eucaristia domenica scorsa, davanti a migliaia di cattolici arrivati da tutto il paese, nel Palazzo dello Sport José Miguel Agrelot, per celebrare il quinto centenario dell'arrivo del primo vescovo della Chiesa cattolica nelle Americhe. “La nave della Chiesa di Porto Rico è di legno fragile, ma i marinai, i cristiani che la portano avanti, sono di ferro” ha detto il cardinale nell'omelia, poi ha proseguito: “E' una Chiesa molto libera perché la Parola di Dio non è mai incatenata. E’ una Chiesa viva”. I presenti hanno applaudito e acclamato a lungo quando il cardinale ha detto che il Beato Carlos Manuel Santiago è “un bel frutto della santità ‘boricua’ (portoricana)”. Nella nota inviata all'Agenzia Fides si informa che l'arcivescovo di San Juan, mons. Roberto Gonzalez Nieves, ha presentato il cardinale Amigo Vallejo e ha sottolineato il motivo della celebrazione: ringraziare il Signore per l'arrivo sull’isola del primo Vescovo, Alonso Manso, il 25 dicembre 1512. Con questo evento ha avuto inizio la strutturazione della Chiesa nel Nuovo Mondo. “E' stato il primo di tutta l'America - ha detto l'arcivescovo González Nieves -. Ma ciò che è veramente importante non è rendere grazie per un fatto remoto, anche se siamo comunque orgogliosi di poter dire che è stato qui, nella ‘tierra del Coqui’, che la Chiesa cattolica ebbe la sua prima sede, ma che, sebbene abbia compiuto 500 anni, è ancora una Chiesa giovane”. L'arcivescovo di San Juan ha sottolineato che la Chiesa sostiene la difesa della vita, il matrimonio tra un uomo e una donna, e promuove la pace e la giustizia. “La fede ci fa vedere il mondo con gioia e speranza” ha detto l'arcivescovo. La cerimonia è durata circa 4 ore, arricchita dalla partecipazione del coro della diocesi di Mayagüez, e conclusa dall’atto di venerazione alla Madonna davanti alla statua della Virgen Nuestra Señora de la Divina Providencia, patrona di Puerto Rico, del secolo XIX. (R.P.)

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    Nepal: cristiani, musulmani, indù e buddisti contro aborto e violenze sui minori

    ◊   "No all'aborto, allo sfruttamento dei minori e alle spose bambine". È l'appello lanciato da cristiani, musulmani, indù, buddisti e bahai per la Giornata internazionale dei bambini, celebrata ieri nella Syambhunath stupa, uno dei più importanti santuari buddisti della capitale Kathmandù. Organizzata dall'Alliance for Peace Education and Development Nepal - riporta l'agenzia AsiaNews - la Giornata di preghiera ha riunito i rappresentanti delle più importanti organizzazioni religiose e caritative del Paese. Per i leader religiosi le violenze contro i minori e la pratica dell'aborto sono una vera piaga per il Paese. Secondo i dati forniti dagli ambulatori statali la popolazione ricorre sempre di più all'aborto. In un giorno si registrano circa 200 operazioni, che si aggiungono alle centinaia di interventi illegali praticati soprattutto nelle regioni più povere. Allarmanti sono anche le statistiche sui matrimoni fra uomini adulti e ragazze adolescenti. Negli ultimi anni il numero di ragazze costrette dalle famiglie a sposarsi prima dei 15 anni è salito a 3 milioni. Il Nepal Children Network denuncia invece lo sfruttamento di circa 1,8 milioni di bambini, impiegati in fabbriche di mattoni, commercio e prostituzione. Di questi circa il 21% non frenquenta nessuna scuola. L'associazione segnala anche l'aumento delle denunce di violenze sessuale su giovani minori di 18 anni, vittime di circa il 49% dei casi di stupro, abusi e mercato del sesso. Nella preghiera comune tenutasi nella Syambhunath stupa, i rappresentanti delle varie fedi presenti in Nepal hanno voluto mostrare la loro vicinanza ai questi "piccoli emarginati dalla società" e alle madri costrette ad abortire. Il loro appello è un segno dell'impegno delle religioni alla costruzione della società, che a causa del maoismo del governo, relega nel privato qualsiasi forma di credo. Nazrul Hussein, ex leader dell'Islamic Feration Nepal, sottolinea che "musulmani, cristiani, indù si sono riuniti per lanciare un messaggio a tutto il mondo contro la violenza sui minori e per ribadire la sacralità della vita". Chirendra Satayal, rappresentante della Chiesa cattolica nepalese, afferma che i leader religiosi "pregano per i bambini che vivono nella povertà, senza cibo, costretti a dormire in strada; per le tutte le vittime di violenze; per i diritti dei non nati e per tutte le madri costrette ad abortire dai propri mariti e familiari". Durante la cerimonia i rappresentanti religiosi hanno condannato la morte per assideramento di cinque bambini avvenuta nei giorni scorsi in Cina. Essi hanno anche pregato per tutti i giovani vittime della guerra e dell'odio interreligioso in Siria e a Gaza. (R.P.)

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    Pakistan: a Faisalabad appello di cristiani e musulmani contro terrorismo e violenza

    ◊   Il governo deve prendere "provvedimenti decisi" nei confronti dei terroristi e degli estremisti, che seminano divisioni, conflitto, odio e panico nella società. È questo l'appello congiunto lanciato da cristiani e musulmani, nel corso di un seminario intitolato "Imparare a vivere insieme, tra diversità e differenze" organizzato a Faisalabad in concomitanza con il mese sacro islamico di Muharram-ul-Haram. Scopo dell'iniziativa comune, in concomitanza con la festività musulmana, è promuovere la tolleranza, il rispetto, il dialogo e la cooperazione fra comunità pakistane, trascurando i punti che dividono per rafforzare gli elementi in comune. In previsione della festività della Ashura (10° giorno del mese di Muharram, che cade il 24 novembre) nella quale i musulmani - con sfumature diverse fra sciiti e sunniti - celebrano il lutto e il digiuno, La Peace and Human Development (Phd Foundation) e il Christian Study Center (Csc) hanno promosso un incontro interreligioso. Esso si è svolto il 18 novembre scorso presso la Tma Hall di Tandlinawala, un sotto-distretto di Faisalabad e ha visto la partecipazione di attivisti, leader religiosi ed esponenti delle due comunità. L'attivista cristiana Fahmida Saleem sottolinea le "affinità" fra cristiani e musulmani, che sono tali da permettere una "coesistenza pacifica" e per questo le due comunità devono "lavorare insieme nella stessa direzione", piuttosto che restare separate. La donna - riferisce l'agenzia AsiaNews - lancia anche un appello a "combattere gli elementi violenti e intolleranti, che mirano solo a distruggere la cultura della pace in Pakistan". Le fa eco il leader musulmano Molana Syed Jaffar Hussain Naqvi, secondo cui pace e armonia vanno promosse "non solo a parole, ma vanno accompagnate da azioni di pace concrete". Per la promozione di un modello di pace, l'assistente sociale musulmano Tahir Iqbal cita due esempi: il discorso finale del profeta Maometto e il primo intervento di Muhammad Ali Jinnah, padre fondatore del moderno Pakistan, l'11 agosto 1947 all'atto di costituzione del nuovo Stato. "Sono fra i migliori documenti - afferma - per la promozione dell'armonia interconfessionale". Il collega cristiano Yousaf Adnan, ricordando il periodo di festa islamico, aggiunge che "il Pakistan ha registrato violenze interconfessionali e intolleranza" anche in questi giorni, nonostante "il divieto di combattere nel mese sacro di Muharram-ul-Haram". "La violenza compiuta in nome della religione deve finire - conclude l'attivista - per evitare ulteriori e più profonde fratture fra la gente". (R.P.)

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    India: la Caritas forma leader tribali e musulmani per portare la pace in Assam

    ◊   Un corso di formazione rivolto a 100 leader tribali e islamici dell'Assam, per stabilire armonia e pace dopo i violenti scontri etnici dello scorso luglio. Il progetto è della Caritas India, che sin dall'inizio dei disordini è stata in prima linea per prestare soccorso alle vittime, senza distinzioni religiose, etniche o di casta. "Una volta formati - spiega Patrick, un membro dell'organizzazione - questi leader potranno ispirare le rispettive comunità, per favorire una pacifica convivenza e il ritorno della gente nei loro villaggi". Le violenze tra tribali Bodo e coloni musulmani dell'Assam - riferisce l'agenzia AsiaNews - hanno provocato 88 morti e la fuga di circa 400mila persone, di entrambe le comunità. In collaborazione con la Bongaigaon Social Service Society della diocesi di Bongaigaon, la Caritas ha distribuito zanzariere e 60 quintali di riso alle 2mila famiglie che popolano 10 campi profughi nella zona. I membri dell'associazione hanno fornito anche assistenza sanitaria di base e creato delle aree di gioco per i bambini. Per il momento, la situazione è ancora lontana dalla normalità. Alcuni campi profughi accolgono più di 6mila persone, e non tutti sono registrati. I campi "regolari" ricevono aiuti da parte dello Stato, mentre quelli non registrati (la maggior parte) dipendono dalle donazioni. Intanto, la gente ha perso case, terreni e proprietà. Le rivolte sono esplose nella notte tra il 21 e il 22 luglio scorsi, quando uomini armati non identificati hanno ucciso quattro giovani nel distretto di Kokrajhar, area popolata da Bodo. Per vendetta, alcuni tribali avrebbero attaccato dei musulmani, sospettandoli di essere i responsabili dell'uccisione. Le violenze sono esplose poi in modo incontrollabile, con gruppi diversi che hanno dato fuoco ad auto, case e scuole, sparando contro persone e in luoghi affollati. (R.P.)

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    Bangladesh: la tragedia dei bambini di strada di Dhaka

    ◊   I bambini di strada di Dhaka sono conosciuti come Pothoshishu. La strada è il luogo dove essi si guadagnano da vivere. In Bangladesh sono circa 400 mila. Quasi la metà vivono a Dhaka, la maggior parte sono bambine, spesso esposte ad abusi e sfruttamento. In uno studio pubblicato a marzo 2012 e ripreso dall'agenzia Fides, è emerso che delle piccole che vivono in strada il 37,50%, vende fiori per vivere; il 18,80% è costretto a prostituirsi; il 6,25% lavora nell’industria dell’abbigliamento; il 6.25% diventa indigente; il 12,50% inizia a lavorare nel commercio e il 6,25% sono venditrici ambulanti. Quasi il 45% di queste bambine non riceve alcuna assistenza sanitaria dalle strutture del governo o dalle cliniche. Inoltre 3 su 10 non sono mai state iscritte a nessun tipo di istituto scolastico. La maggior parte delle donne del paese sono vittime di violenze, omicidi, abusi collegati con la dote e sfregi con l’acido. Per le bambine di strada che passano l’infanzia sotto il cielo aperto di Dhaka questi sono rischi quotidiani. (R.P.)

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    Kenya: non si spara più a Garissa, ma continuano le violenze dell’esercito

    ◊   “Non si spara più, ma la tensione rimane alta perché la popolazione è irritata per come l’esercito è intervenuto. Alcune pattuglie militari sono state fatte oggetto del lancio di pietre da parte degli abitanti. Speriamo che presto la tensione si plachi” dice all’agenzia Fides mons. Paul Darmanin, vescovo di Garissa, nell’est del Kenya, al confine con la Somalia, ieri al centro di combattimenti tra l’esercito keniano e un gruppo armato responsabile di un attentato che ha provocato la morte di 3 militari. Si suppone che i responsabili dell’attentato siano legati agli Shabaab somali. “Ora si può uscire di casa, infatti in questo momento sto tornando da una parrocchia fuori Garissa dove dovevo recarmi domenica 18 novembre per amministrare le Cresime, ma poi ero stato costretto a rinunciare a causa dei combattimenti” spiega il vescovo. Secondo testimonianze riprese da agenzie internazionali, i militari keniani avrebbero sparato a casaccio contro la popolazione di Garissa, che è in gran parte somala. Il mercato della città sarebbe stato bruciato dai militari. Un portavoce dell’esercito ha però smentito che l’esercito si sia reso responsabile di questi crimini. Un ex deputato della regione ha affermato che i keniani di etnia somala sono visti con sospetto dalle forze di sicurezza e dalla popolazione non somala, perché considerati potenziali sostenitori degli Shabaab, contro i quali l’esercito keniano sta conducendo un’operazione militare nel sud della Somalia. L’approssimarsi delle elezioni presidenziali e politiche del marzo 2013 accresce il rischio di un uso politico delle tensioni sociali ed etniche. (R.P.)

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    Curia Milano: dolore per l’arresto del cappellano di San Vittore per abusi sessuali su detenuti

    ◊   Il cappellano del carcere di San Vittore, Don Alberto Barin, è stato arrestato con l'accusa di violenza sessuale su sei detenuti e per il reato di concussione. L'ordinanza di custodia cautelare è stata eseguita dagli uomini della Polizia Penitenziaria di Milano e della Squadra Mobile. Agli atti dell'inchiesta ci sarebbero anche alcuni filmati che proverebbero gli abusi sui detenuti. Questi ultimi hanno messo a verbale davanti agli inquirenti che sarebbero stati costretti a cedere al 'ricatto sessuale', a causa del loro stato di bisogno. Dolore e sconcerto della Chiesa ambrosiana sono stati espressi dal responsabile comunicazione, don Davide Milani, che ha affermato: "La Curia di Milano esprime il proprio sconcerto e il dolore per l’arresto di don Alberto Barin e per i fatti che al cappellano della Casa circondariale di san Vittore sono contestati. Fin da ora manifesta la massima fiducia nel lavoro degli inquirenti e la disponibilità alla collaborazione per le indagini".

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    Etiopia: nuovo Centro medico materno-infantile a Soddo

    ◊   Esposta a carestie ed epidemie ricorrenti, la popolazione etiope vive sulla propria pelle la terribile contraddizione di una crescita demografica fra le più vistose di tutto il continente africano e di una mortalità, specie infantile, fra le più drammatiche, agevolata dalla assoluta mancanza di prospettive alimentari certe e di strutture sanitarie adeguate. La zona del Wolayta si trova nella parte meridionale dell’Etiopia. Ha una popolazione di più di 1 milione e mezzo di abitanti costituita per il 50,3% da donne. L’83% dei residenti sono contadini. L’intera zona - riferisce l'agenzia Fides - è servita da un solo ospedale pubblico, a Soddo, capitale della regione, privo di acqua corrente, costruito più di 40 anni fa, quando il numero di abitanti era molto inferiore rispetto ad oggi. L’ospedale fornisce cure a donne e bambini con una sala operatoria funzionante e un’altra parzialmente funzionante. La sala operatoria è condivisa con il reparto chirurgico e una madre può dover attendere che si liberi la sala operatoria in caso debba essere sottoposta a cesareo; ha solo una sala travaglio e parto, così le donne in travaglio devono stare nella stessa sala destinata al parto; ci sono solo 11 stanze, ognuna con un letto, destinate sia alla maternità sia alla ginecologia e non c’è un reparto dedicato ai bambini che sono trattati insieme agli adulti. Per far fronte a questa emergenza, il Centro Aiuti per l’Etiopia, associazione onlus con lo scopo di promuovere iniziative per l’educazione, l'istruzione, l'assistenza sociale e sanitaria a favore delle popolazioni di Etiopia ed Eritrea, intende fare funzionare i servizi dell’attuale ospedale costruendo un nuovo Centro medico interamente destinato alle cure materno-infantili. Il nuovo Centro si svilupperà su due piani, per un totale di circa 1.700 mq con un centinaio di posti letto, parte dei quali dedicati al reparto pediatrico, e sarà dotato di sale radiografiche e di una tac che servirà tutta l’Etiopia del Sud. Attualmente i lavori edili sono stati conclusi e si stanno completando le finiture interne e gli impianti. (R.P.)

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    Cuba: Lettera del cardinale Ortega per l'Anno della Fede

    ◊   “Questa è la nostra fede” è il titolo della lettera pastorale del cardinale Jaime Ortega Alamino, Arcivescovo de La Habana con motivo dell’Anno della Fede, nella quale riflette sulle caratteristiche e necessità in questo momento della storia di Cuba, approfondendo sulla fede del popolo in Cristo. Nel testo, il porporato cubano analizza alcune cause dell’attuale crisi etica nel mondo segnalando come detonante “silenzioso e profondo” l’assenza di Dio nell’orizzonte umano. Il cardinale Ortega afferma che davanti all’assenza di riferimenti sul Creatore, l’uomo di oggi resta da solo davanti alla propria coscienza e in mezzo a un mondo deturpato dal relativismo. “Si pretende creare un’etica nuova o meglio innovativa che, avvolta nel silenzio su Dio, risulta imprecisa e variabile”- si legge nella lettera pastorale che è stata consegnata ai fedeli alla fine della celebrazione eucaristica di apertura dell’Anno della Fede nella Cattedrale de La Habana. Il porporato insiste nella necessità di professare una fede che si faccia accompagnare dalla ragione, perche altrimenti diventerebbe un “fideismo volontario”, una realtà che si può costatare oggi “nell’uso che alcuni gruppi fanno della religione per incoraggiare la violenza e il terrore o nella proliferazione di sette veramente fanatiche”. A Cuba, dove la fede in Cristo Gesù è stata perseguitata e silenziata -scrive l’arcivescovo de La Habana, è importante per il cubano, che vive in mezzo all’incertezza e la frustrazione, poter realizzare l’incontro con Dio. Il ruolo del cristianesimo nella società civile- spiega il cardinale Ortega- è fare in modo che l’uomo e la donna possano raggiungere la felicità personale e contribuire a edificare un mondo integralmente migliore. “Per fare questo – afferma, ci vuole altro che le grandi scoperte scientifiche o la parziale soddisfazione materiale, ma la crescita spirituale capace di dare un significato alla vita e trovare la strada della giustizia e della speranza”. Il porporato cubano ha incoraggiato i fedeli a intraprendere la Nuova Evangelizzazione che “è indirizzata ai cattolici di tutte le comunità perché ci sono riferimenti a Cristo e alla sua Chiesa, tante volte imperfetti, confuse o cancellate dalla storia di famiglie e popoli per il materialismo, per le sette, per gruppi religiosi sincretici, e per il cattivo esempio di tanti cristiani”. Infine, l’arcivescovo de La Habana ha ricordato che l’incontro con Gesù è sempre sconvolgente dato che la persona cambia di prospettiva e di mentalità, per “nascere di nuovo”. (A cura di Alina Tufani)

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    Sud Corea: Messaggio dell'arcivescovo di Seoul per l'Anno della Fede

    ◊   La crisi nella fede dei cattolici coreani "nasce dalle deboli fondamenta della promozione del messaggio cristiano. Spero e chiedo a tutti voi di rilanciare programmi fattuali che, per l'Anno della Fede, promuovano una rinascita del nostro impegno comune". Lo scrive l'arcivescovo di Seoul, mons. Andrew Yeom Soo-jung, nella lettera episcopale che accompagna "Introduzione all'Anno della Fede", un libretto inviato dall'arcidiocesi a tutte le parrocchie. La lettera - riferisce l'agenzia AsiaNews - si intitola "Camminiamo sulla strada della fede con gli occhi fissi su Cristo, che ci guida verso la pienezza". Nel testo, il presule scrive: "Dovreste tutti provare la gioia della fede anche attraverso il 'servizio dell'amore', un servizio che porta sempre frutti. Inoltre dovrebbero essere frequenti la lettura e la meditazione della Bibbia, la preghiera incessante, l'ascolto degli insegnamenti della Chiesa e la partecipazione devota alla messa". Il libro è stato preparato per i fedeli, pensato per "rendere più fruttuosa questa grande esperienza dell'Anno della Fede". Invita i parroci e i religiosi a portare avanti "programmi concreti" per una maggiore partecipazione della comunità agli eventi cattolici e contiene la Lettera apostolica Porta Fidei e una spiegazione dei cinque motti scelti dall'arcidiocesi per la celebrazione di questo Anno, voluto da Benedetto XVI. (R.P.)

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    Colombia: la pastorale della Chiesa per le persone affette da Aids

    ◊   Promuovere una pastorale inclusiva per sconfiggere la discriminazione, il rifiuto e i pregiudizi dei quali sono vittime le comunità di persone affette da Aids o da Hiv è l’obiettivo del secondo Incontro di responsabili della Pastorale Sociale delle diocesi della regione caraibica, il 23 e 24 novembre, nell’Arcidiocesi di Barranquilla. “Non c’è niente che riguardi l’umanità che sia straneo al cuore della Chiesa” è il motto della riunione per riflettere sulle azioni e iniziative della chiesa cattolica per dare risposte alle comunità di persone affette da questa sindrome. Mons. Jairo Jaramillo, arcivescovo di Barranquilla ha affermato che è necessario mettere da parte la “subcultura dell’esclusione” che è il comportamento disumano di una società che se esprime con il rifiuto, l’assenza di dialogo, le paure, i pregiudizi e le limitazioni personali impedendo l’avvicinamento e l’accompagnamento delle persone portatrici da Hiv. “Il problema non è solo l’uso di un linguaggio inadeguato- ha detto il prelato- ma la totale esclusione della persona dalla propria realtà sociale”. L’iniziativa è nata dall’Incontro sulla Pastorale della Salute promosso dal Consiglio Episcopale Latinoamericano (Celam) a Bogotà, nel 2004, nel quale hanno partecipato le delegazioni di 18 paesi dell’America Latina e il Caraibi, con l’obbiettivo di riflettere sulla pandemia dell'Aids ed elaborare un documento della Chiesa a livello continentale. Nel primo incontro, la chiesa colombiana ha sviluppato un piano di azioni di sensibilizzazione e informazione sulla malattia, mentre in questa edizione si propone tracciare delle linee guida per l’accompagnamento, comprensivo e misericordioso delle persone che vivono con la sindrome da Hiv, ad esempio, la prevenzione e la formazione e l’educazione ai valori. (A.T.)

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    Serbia-Croazia: Chiese locali su assoluzione di ex generali croati accusati di crimini di guerra

    ◊   Ha suscitato - come prevedibile - reazioni opposte anche nelle Chiese in Serbia e Croazia la sentenza di assoluzione emessa nei giorni scorsi dal Tribunale Penale Internazionale dell’Aja nei confronti degli ex generali croati Ante Gotovina e Mladen Markac, condannati in prima istanza per crimini di guerra e contro l’umanità durante il conflitto nella ex Jugoslavia. I due militari in primo grado erano stati condannati rispettivamente a 24 e 18 anni di prigione. Le accuse formulate nei loro confronti riguardavano in particolare la cosiddetta operazione “Tempesta”, condotta dall'esercito croato nel 1995 contro i serbi che vivevano nelle regioni di Dalmazia e Slavonia, che attualmente fanno parte della Croazia. I giudici avevano stabilito che i generali fecero parte di un complotto guidato dall'ex Presidente croato Franjo Tudjman per espellere serbi che vivevano in Croazia. Secondo i giudici di appello, invece , un simile complotto non è mai esistito. La sentenza è stata festeggiata come un’importante vittoria in Croazia, che ha sempre negato le accuse che il proprio esercito sia stato impegnato durante la guerra in operazioni di pulizia etnica contro la minoranza serba. Durissima invece la reazione del governo di Belgrado che ha annunciato la “riduzione a livello tecnico” della sua cooperazione con il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia. Allineati con le posizioni dei rispettivi governi e opinioni pubbliche, l’episcopato croato, da una parte, e la Chiesa ortodossa serba, dall’altra. Il presidente della Conferenza episcopale croata, mons. Želimir Puljić, arcivescovo di Zara, ha espresso, a nome dei vescovi, “gioia” perché “giustizia e verità hanno finalmente vinto”. Di segno opposto il giudizio del Santo Santo Sinodo della Chiesa ortodossa serba. In una nota esso afferma di avere accolto con “incredulità e costernazione” il verdetto , definito “vergognoso” e che - afferma – getta discredito sul Tribunale dell’Aja e allontana la riconciliazione in questa parte dell’Europa. (A cura di Lisa Zengarini)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 326

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.