Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 20/11/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Presentato il libro del Papa "L'infanzia di Gesù": da Betlemme l'uomo e la storia sono nuova realtà
  • Presentato libro del Papa. Il card. Ravasi: Joseph Ratzinger ci coinvolge intensamente nella vita di Gesù
  • Libro del Papa. Quando il cardinale Ratzinger pensò di scriverlo
  • Nomine
  • I 20 anni del Catechismo. P. Kowalczyk: la Rivelazione di Dio è l'incontro con Gesù
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Israele: nessuna operazione di terra a Gaza. Diplomazia al lavoro per risolvere la crisi
  • Pakistan. Archiviate le accuse contro Rimsha. Paul Bhatti: segno di giustizia e speranza
  • Moody's declassa la Francia. L'Eurogruppo decide nuova tranche di aiuti alla Grecia
  • Pedofilia: scoperto il più grande archivio web. Don Di Noto: la grande stampa lo ignora
  • Giornata mondiale dell’infanzia: nel mondo cresce divario tra bambini ricchi e poveri
  • Nel mondo un miliardo di bambini coinvolti in conflitti armati
  • Colloquio internazionale alla Lateranense. Prof. Felice: serve una vocazione e una cultura di pace
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Congo: incontro di vescovi a Kinshasa sull'identità della missione in Africa
  • Irlanda. I vescovi sul caso 'Savita': "Madre e figlio hanno pari diritto alla vita"
  • Profughi siriani: temperature più rigide peggiorano il quadro umanitario
  • Kenya. La preoccupazione dei vescovi per gli attacchi degli Shabaab somali
  • Nigeria: violenze nello Stato di Taraba. In vigore il coprifuoco
  • Usa: sostegno dei vescovi per la ricostruzione e 160 progetti pastorali in America Latina
  • Egitto: prima intervista di Tawadros II, nuovo Patriarca copto ortodosso
  • India: suore cattoliche riscattano le “prostitute sacre” del Karnataka
  • Bulgaria: Messaggio del presidente dei vescovi per l'Anno della Fede
  • Napoli: il cardinale Sepe su nuova evangelizzazione ed ecumenismo
  • Il Papa e la Santa Sede



    Presentato il libro del Papa "L'infanzia di Gesù": da Betlemme l'uomo e la storia sono nuova realtà

    ◊   Interpretare, in dialogo con esegeti del passato e del presente, ciò che Matteo e Luca raccontano all’inizio dei loro Vangeli sull’infanzia di Gesù, alla luce di due interrogativi: “Che cosa intendevano dire?”. E poi: “E’ vero? E in che modo mi riguarda?”. Sono le domande che Benedetto XVI premette al suo nuovo libro intitolato "L’infanzia di Gesù", spiegando le linee-guida con la speranza che, scrive, molte persone ne traggano aiuto nel loro cammino verso Gesù. Stamattina la presentazione del volume in vaticano, e al termine, l'udienza di Benedetto XVI concessa agli editori del volume, la Rizzoli e la Libreria Editrice Vaticana. Sfogliamo alcune pagine del libro, nel servizio di Gabriella Ceraso:

    E’ la sala d’ingresso all’intera trilogia su Gesù, il libro sulla sua infanzia, secondo l’autore, che inizia con una riflessione sull’origine del Salvatore dalla domanda inaspettata che Pilato fa a Gesù: ”Di dove sei tu?”- domanda circa l’essere e la missione, scrive il Papa. Messe in luce le differenza tra le genealogie nelle versioni di Matteo e di Luca, Benedetto XVI ne rivela il medesimo senso teologico-simbolico: “Il suo essere intrecciato nelle vie storiche della promessa, e il nuovo inizio che, paradossalmente, insieme con la continuità dell’agire storico di Dio, caratterizza l’origine di Gesù”. Gesù dunque è creazione dello Spirito Santo, anche se la genealogia rimane importante. Così scrive il Papa:

    “Giuseppe è giuridicamente il padre di Gesù. Mediante lui egli appartiene, secondo la legge, legalmente alla tribù di Davide. E tuttavia, viene da altrove, ‘dall’alto’, da Dio stesso. Il mistero del ‘di dove’, della duplice origine ci viene incontro in modo molto concreto: la sua origine è determinabile e tuttavia è un mistero. Solo Dio è nel senso proprio il padre suo. La genealogia degli uomini ha la sua importanza riguardo alla storia del mondo, e ciò nonostante, alla fine, è Maria – l’umile Vergine di Nazareth – colei in cui avviene un nuovo inizio, ricomincia in modo nuovo l’essere persona umana”.

    Tema del secondo e più ampio capitolo è l’annuncio a Zaccaria della nascita di Giovanni Battista e l’Annunciazione a Maria, messe a confronto dal Papa e presentate come adempimento di antiche profezie, fino a quel momento storico in attesa del loro vero protagonista. Joseph Ratzinger si sofferma sui vari aspetti delle reazioni di Giuseppe e soprattutto di Maria al messaggio inaspettato: turbamento, pensosità, coraggio, grande interiorità tratteggiano la figura delle Vergine nella parole del Papa. Rileggendo il dialogo tra Maria e l’Angelo, secondo il Vangelo di Luca, Benedetto XVI spiega che attraverso una donna “Dio cerca un nuovo ingresso nel mondo”, dopo il fallimento dei progenitori. “Bussa alla porta di Maria. Ha bisogno della libertà umana” scrive il Papa, citando Bernardo di Chiaravalle:

    “Non può redimere l’uomo, creato libero, senza un libero ‘sì’ alla sua volontà. Creando la libertà Dio, in un certo modo, si è reso dipendente dall’uomo: il suo potere è legato al ‘sì’ non forzato di una persona umana”.

    Maria diventa Madre attraverso il suo “sì”. E’ questo il momento decisivo: “Attraverso la sua obbedienza – prosegue – la Parola è entrata in lei e in lei è diventata feconda”.

    Al centro del terzo capitolo l’evento di Betlemme: la nascita di Gesù in un preciso contesto storico-universale, che Benedetto XVI mette in luce sottolineando il clima dell’età di Augusto Imperatore romano:

    “Solo in questo momento, in cui esiste una comunione di diritti e di beni su larga scala, ed una lingua universale permette ad una comunità culturale l’intesa nel pensiero e nell’agire, un messaggio universale di salvezza, un universale portatore di salvezza può entrare nel mondo: è, di fatti, la pienezza dei tempi”.

    Gesù – precisa il Papa – non è nato nell’imprecisato “una volta” del mito:

    “Egli appartiene ad un tempo esattamente databile e ad un ambiente geografico esattamente indicato: l’universale e il concreto si toccano a vicenda. In lui, il logos, la ragione creatrice di tutte le cose, è entrato nel mondo, il logos eterno si è fatto uomo. E di questo fa parte il contesto di luogo e tempo”.

    Nella prospettiva di una lettura del Vangelo, secondo l’esegesi canonica, Benedetto XVI spiega poi, il significato di tanti particolari della narrazione della nascita, che da semplici fatti esteriori diventano parte della grande realtà in cui si attua in modo misterioso la redenzione degli uomini. In particolare, nel passo dedicato alla presentazione di Gesù al Tempio, si sottolinea come questa redenzione “non sia bagno di autocompiacimento ma una liberazione dall’essere compressi nel proprio io", che ha come costo la sofferenza della Croce. “Alla teologia della Gloria”, scrive il Papa “è inscindibilmente legata la teologia della Croce”.

    Ai magi sapienti e alla fuga in Egitto, infine, è dedicato il quarto capitolo, dove con una ricca gamma di informazioni storico-linguistiche scientifiche, il Papa delinea i Magi e conclude che essi rappresentano non solo le persone che hanno trovato la via fino a Cristo, ma “l’attesa interiore dello Spirito umano, il movimento delle religioni e della ragione umana incontro a Cristo”. Una processione che, scrive Benedetto XVI, percorre l’intera storia. E anche nelle riflessioni su altri spunti del racconto – la natura della stella, la sosta dei magi a Gerusalemme fino alla fuga in Egitto e alla strage degli innocenti – Benedetto XVI oltre i semplici fatti, allarga l’orizzonte del lettore al grande progetto d’amore di Dio: la salvezza eterna offerta alla libertà dell’uomo. Scrive infatti il Papa:

    “Con la fuga in Egitto e con il suo ritorno nella terra promessa, Gesù dona l’esodo definitivo: egli è veramente il Figlio; egli non se ne andrà via per allontanarsi dal Padre: egli ritorna a casa e conduce verso casa. Sempre egli è in cammino verso Dio e con ciò conduce dall’alienazione alla Patria, a ciò che è essenziale e proprio”.

    In questo senso il breve epilogo con il racconto – secondo il Vangelo di Luca – di Gesù dodicenne che discute con i dottori al Tempio e poi si confronta con i genitori, in cui si manifesta il mistero della sua natura di vero Dio e insieme vero Uomo, è in certo modo il coronamento dell’opera e “apre la porta verso il tutto della sua figura, che poi”, scrive il Papa, “ci viene raccontato dai Vangeli”.

    inizio pagina

    Presentato libro del Papa. Il card. Ravasi: Joseph Ratzinger ci coinvolge intensamente nella vita di Gesù

    ◊   Il libro del Papa sull’infanzia di Gesù è stato presentato stamani nella Sala Pio X, in Vaticano. Alla conferenza stampa, presieduta da padre Federico Lombardi, sono intervenuti il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del dicastero vaticano della Cultura e la teologa brasiliana, Maria Clara Bingemer. Con loro anche don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana e Paolo Mieli, presidente di RCS libri. Il volume esce domani in contemporanea in 9 lingue e 50 Paesi con una tiratura di oltre un milione di copie. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Benedetto XVI ha "mantenuto la promessa" e ha regalato a tutto il popolo di Dio un dono prezioso di fede e cultura. Nella conferenza stampa, tutti i relatori hanno messo l’accento sullo straordinario sforzo che Joseph Ratzinger ha compiuto per completare la trilogia sulla vita di Gesù di Nazareth. Un’opera iniziata otto anni fa e che il Papa ha portato avanti con intensità, nella consapevolezza che fosse un’urgenza per tutti i fedeli. La riflessione di padre Federico Lombardi:

    “Solo un grande coraggio e una grande passione potevano permettere di arrivare in porto in anni in cui gli impegni del governo della Chiesa universale sono così grandi. Per molti di noi, che il Papa vi sia riuscito ha dell’incredibile e suscita grande ammirazione e grandissima gratitudine. Il piccolo libro, oggi, è nelle nostre mani: forse è piccolo fisicamente, ma non così piccolo come significato”.

    Il cardinale Gianfranco Ravasi ha così “riletto” il libro di Benedetto XVI secondo delle chiavi di lettura come il binomio storia-fede e autore-lettore. Il porporato ha innanzitutto evidenziato che i Vangeli dell’infanzia di Gesù non sono solo un testo informativo, ma performativo. E’ un libro, quello del Papa, che ci coinvolge perché si confronta con una storia sempre attuale:

    “Io penso al grido delle madri nella strage degli innocenti, che è un grido perenne, perpetuo. E' un grido universale, che risuona ancora ai nostri giorni. Muoiono i bambini a Gaza e il grido delle madri è il continuo grido... Vedete, il racconto non è finito là, in quel contesto storico”.

    Questo libro, ha poi aggiunto, pur concentrandosi sull’infanzia di Gesù non si può ridurre ad una semplice strenna natalizia:

    “Perché c’è un bambino non vuol dire che si tratta di retorica sentimentale; incartare questo libro e queste pagine nella carta per i regali natalizi, con le stelline... No, è un libro: le pagine dei Vangeli dell’infanzia sono per adulti, adulti nella fede”.

    Del resto, ha concluso il cardinale Ravasi, il libro sull’infanzia di Gesù ha il pregio di poter essere letto da tutti. Un libro chiaro e scritto con grande umiltà:

    “Ecco, questo libro non ha quell’autoreferenzialità oracolare esoterica che hanno certe pagine teologiche o filosofiche illeggibili. Benedetto XVI ha messo in pratica quello che un filosofo importante del linguaggio del secolo scorso ha dichiarato, ma non ha mai messo in pratica: tutto quello che si può dire, si può dire chiaramente”.

    Sulla dimensione del dono che questo libro rappresenta per tutti i fedeli, e invero anche per i non credenti, si è soffermata la teologa Maria Clara Bingemer:

    “Il Papa ci invita dunque, attraverso il suo libro, ad aprire uno spazio. Preparandoci a celebrare la grande festa del Natale, questo libro può aiutarci in modo molto profondo ad aprire in noi uno spazio affinché il Salvatore possa nascere e manifestarsi, in un mondo come il nostro che ha tanto bisogno del suo Vangelo”.

    E’ stata dunque la volta del direttore della Lev, don Giuseppe Costa, che ha ricordato il grande impegno editoriale che tutta l’opera di Ratzinger su Gesù ha rappresentato. Quindi, ha offerto un suo pensiero sul significato più profondo di questo volume:

    “In questo libro troviamo con il mattino di Gesù e di Maria, anche quello della nostra fede”.

    Dal canto suo, Paolo Mieli ha affermato che questo volume non è solo l’opera di un Papa ma anche di un uomo, come Joseph Ratzinger, che è tra le figure più importanti della cultura europea. Quindi, il presidente della Rizzoli ha indicato in Maria la figura fondamentale del libro assieme al Suo bambino:

    “E’ singolare, perché al centro c'è la figura di un bambino e di una donna. E’ un libro sulla donna: tutta la parte di Maria che riceve l’Annunciazione, la libertà di Maria, quello è un punto importantissimo: di accettare, di partecipare, di farsi protagonista della nascita di Gesù”.

    Padre Lombardi ha, quindi, concluso la conferenza stampa citando il cardinale Carlo Maria Martini riguardo al primo libro su Gesù di Joseph Ratzinger. Un libro, aveva scritto l’arcivescovo di Milano, che gli aveva dato gioia nella lettura. Di qui, l’augurio di padre Lombardi:

    “Auguriamo grande gioia nel leggere questi volumi e in particolare questo, che ci prepara al Natale”.

    inizio pagina

    Libro del Papa. Quando il cardinale Ratzinger pensò di scriverlo

    ◊   Nell’introdurre questa mattina la presentazione del libro del Papa, il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, ha citato una intervista della Radio Vaticana di 10 anni fa, nella quale l’allora cardinale Jospeh Ratzinger confidava il desiderio di scrivere un libro sulla figura di Gesù. Alessandro De Carolis ripropone nel suo servizio quelle parole:

    “Was mir aber besonders am Herzen läge, wäre…
    Ciò che mi sta particolarmente a cuore sarebbe di scrivere ancora un libro su Gesù Cristo. Se mi fosse fatto questo dono, sarebbe il compimento del mio desiderio più grande. E a questo desiderio si unisce anche quello di avere abbastanza tempo e libertà per riuscire a portarlo a compimento”.

    Tempo gli è stato concesso, al cardinale Ratzinger. Anzi, gli è stato concesso molto più che questo. E quella che sarebbe stata la riflessione di un eminente teologo, è oggi diffusa in milioni di copie nel mondo con la firma del capo della Chiesa universale. Un desiderio pienamente realizzato, dunque, ma – e questo Benedetto XVI lo ha precisato fin dal primo volume nel 2007 – ad aver intrapreso un viaggio nella più grande storia mai raccontata è stato sempre e solo Joseph Ratzinger. “È unicamente espressione della mia ricerca personale del volto del Signore. Perciò – disse – ognuno è libero di contraddirmi. Chiedo alle lettrici ed ai lettori solo quel tanto di beneficio di simpatia, senza la quale non può esistere la comprensione”. E allora, chi è Gesù per Joseph Ratzinger-Benedetto XVI? Ecco una sua risposta dopo la pubblicazione del primo libro:

    Christus wird auf Jesus reduziert, auf einen…
    Il Cristo viene ridotto a Gesù, a un uomo esemplare, sul quale poi le opinioni sono molto diverse, e la questione di Dio viene ampiamente messa da parte. Rimangono soltanto esempi umani, a Dio non ci si arriva nemmeno … e così oggi la domanda è diventata: ‘Ma c’è forse qualcosa di più? Forse questo Gesù è qualcosa di più degli esempi che ci sono stati mostrati? E in lui, riusciamo veramente a raggiungere Dio?’. Solo se risponderemo a queste domande, potremo far fronte alla sfida che ci pone il presente”.

    Viaggio dell’anima. È un’espressione usata e talvolta abusata. Per l’Autore di “Gesù di Nazareth”, è una verità inoppugnabile. Basta addentrarsi nelle pagine, sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda della sua fede esperta e scoprire di Gesù aspetti forse mai considerati:

    Er ist der Gewaltlose, der Friedensstifter, der Arme…
    “Lui è il non violento, il portatore di pace, il povero, e così via. Se leggiamo la biografia di Cristo a partire dal Discorso della Montagna, vediamo che in realtà quello che conta non sono tanto i particolari (...), perché il principio contenuto è proprio questo: avvicinarsi a Cristo ed esprimere nella propria vita la comunione con Lui e da questa lasciarsi guidare e determinare nella propria vita”.

    inizio pagina

    Nomine

    ◊   In Messico, il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare di Antequera, Oaxaca il Reverendo Gonzalo Alonso Calzada Guerrero, rettore del Seminario Maggiore della diocesi di Celaya, assegnandogli la sede titolare di Cissa”.

    In Slovacchia, il Santo Padre ha nominato Vescovo di Banská Bystrica, Sua Eccellenza Reverendissima Marián Chovanec, Segretario Generale della Conferenza Episcopale Slovacca, trasferendolo dalla sede titolare di Massita e dall’Ufficio di Ausiliare di Nitra.

    inizio pagina

    I 20 anni del Catechismo. P. Kowalczyk: la Rivelazione di Dio è l'incontro con Gesù

    ◊   L’uomo non può sforzarsi di conoscere Dio, ma è Dio che si fa conoscere rivelandosi, “incontrando” l’uomo. È la verità della fede cristiana, che il Catechismo della Chiesa Cattolica mette bene in risalto nelle sue pagine dedicate alla Rivelazione. Sul punto, si sofferma il gesuita, padre Dariusz Kowalczyk, nella sua rubrica settimanale dedicata alla rilettura del Catechismo, a 20 anni dalla sua pubblicazione:

    La settimana scorsa abbiamo detto – seguendo il Catechismo a partire dal numero 31 – che un Dio personale può essere “conosciuto con certezza con il lume naturale della ragione umana partendo dalle cose create” (n. 36). Questa possibilità però non sempre si realizza. Il Papa Pio XII afferma che l’uomo incontra molte difficoltà nel conoscere Dio, tra l’altro “a causa delle tendenze malsane nate dal peccato originale” (n. 37).

    Non solo per questa ragione però abbiamo bisogno che Dio ci si riveli. La conoscenza naturale dell’Assoluto, anche se è possibile, è limitata, e non ci indica qual è il progetto di Dio nei confronti dell’uomo. Le tre verità fondamentali della nostra fede, cioè la Trinità, l’Incarnazione e la Grazia, non possono essere dedotte dalla creazione. Solo Dio ce le può rivelare.

    La fede cristiana non è una religione nata dallo sforzo umano di conoscere Dio. E' invece una risposta a Dio che ha voluto liberamente rivelarsi all’uomo. Il Catechismo ci insegna che la Rivelazione non è soltanto l’insieme delle verità formulate e trasmesse a noi, ma prima di tutto consiste nell’incontro con la Persona di Gesù Cristo.

    Dio rivela se stesso così come Egli è da sempre, cioè come la comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito, e vuole renderci capaci di rispondergli e di amarlo. Dio quindi non ci comunica soltanto la conoscenza delle cose, ma – come leggiamo nel Catechismo – “vuole comunicare la propria vita divina agli uomini, per farne figli adottivi” (n. 52). Così la fede non consiste nell’affermare che Dio esiste, ma nella fiducia che l’amore di Dio ci faccia partecipi della sua vita eterna. I Padri della Chiesa dicevano: “Dio si è fatto uomo, perché l’uomo diventasse Dio”. Non come lo prometteva Satana nel paradiso, ma per grazia di Dio.

    inizio pagina

    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La protesta dei magi: in prima pagina, un editoriale del direttore sul libro del Papa "L'infanzia di Gesù", che da domani esce in cinquanta Paesi; in cultura, un articolo del cardinale Gianfranco Ravasi e la cronaca di Silvia Guidi della conferenza stampa di presentazione.

    La clausura e la fede: in prima pagina, il vice direttore sulla Giornata Pro Claustrali che si celebra domani in corrispondenza con la memoria liturgica della presentazione di Maria al Tempio. Nell'informazione religiosa, gli articoli di Clara Floridea Marceddu, del monastero Santa Maria degli Angeli, Cartago, Costa Rica; del monastero della visitazione di Santa Maria, Palermo, e di Claudine Felisilda, del monastero Mother of Good Counsel, San Josè del Monte, Filippine. E un articolo di Manuel Nin sull'iconografia e innografia della presentazione nell'ambito della tradizione bizantina.

    L'impegno internazionale per una soluzione diplomatica alla crisi di Gaza.

    Quella singolare comunità di lavoro: nell'informazione vaticana, a trent'anni dalla lettera di Giovanni Paolo II a quanti prestano la loro opera in Vaticano, intervista di Mario Ponzi al vescovo Giorgio Corbelllini, presidente dell'Ufficio del Lavoro nella Sede Apostolica (Ulsa).

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Israele: nessuna operazione di terra a Gaza. Diplomazia al lavoro per risolvere la crisi

    ◊   Ancora raid israeliani sulla Striscia di Gaza e lanci di razzi verso Israele. Il bilancio di oggi è di almeno quattro palestinesi uccisi. Mentre la diplomazia internazionale è al lavoro per cercare una tregua, Israele ha congelato l’ipotesi di un’invasione di terra. Benedetta Capelli:

    Prosegue il botta e risposta tra la Striscia di Gaza ed Israele. Si è sfiorata una strage a Beer Sheva, nel Neghev, dove un missile palestinese ha centrato un autobus, poco prima i passeggeri erano fuggiti dal mezzo. Caduto un razzo alla periferia di Gerusalemme, dove sono risuonate le sirene d'allarme, bersagliata pure la città di Ashqelon, mentre oltre un milione di persone nel sud di Israele restano in prossimità dei rifugi. A Gaza, la situazione è drammatica – ha detto il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon – gli ospedali sono pieni e le scuole chiuse. Israele ha annunciato di non voler compiere operazioni di terra, ma se continuerà il lancio di razzi nel suo territorio “allora – ha riferito un alto dirigente – saremo costretti a farlo”. Tel Aviv sta vagliando la proposta di tregua egiziana. Intanto, però, uno dei capi di Hamas ha usato toni minacciosi: “Il nemico pagherà caro”. Parole pesanti pure dal premier turco, Erdogan, che ha accusato Israele di “pulizia etnica” nella Striscia di Gaza. Incessante l’attività diplomatica: dopo lo stallo del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, Ban Ki-moon ha iniziato un tour nella regione. A Gaza è in visita anche una delegazione dei ministri degli Esteri della Lega Araba, mentre in serata è previsto l'arrivo a Gerusalemme del segretario di Stato americano, Hillary Clinton. Successivamente, la Clinton andrà nei Territori palestinesi e in Egitto. Infine, Amnesty International ha chiesto l’embargo internazionale sulle armi e l’immediato dispiegamento di osservatori internazionali di fronte all’escalation di violenze.

    Barack Obama ha dunque inviato il segretario di Stato, Hillary Clinton, in Israele e nei Territori palestinesi per cercare di fermare la violenza. Qual è il peso degli Stati Uniti, oggi, in una crisi che rischia loro di esplodere tra le mani? Salvatore Sabatino lo ha chiesto all’analista internazionale Stefano Torelli:

    R. - Lo stesso presidente Obama ha lanciato un messaggio che, a mio avviso, sembra essere abbastanza esplicativo di quella che è l’azione statunitense nell’area: nel momento in cui Israele ha dichiarato che, almeno per il momento, non avrebbe più intenzione di muovere anche le truppe sin dentro la Striscia di Gaza e contestualmente il segretario di Stato, Hillary Clinton, viene inviato nell’area, Obama ha rilasciato una dichiarazione dicendo che questa decisione di Netanyahu di non portare le truppe dentro Gaza non è stata una decisione assunta a seguito di una richiesta degli Stati Uniti, in quanto gli Stati Uniti non hanno alcun tipo di influenza su quelle che sono le decisioni strategiche israeliane. Quindi, è evidente, già da qualche anno, questa tendenza di Israele ad agire sostanzialmente senza neanche più consultare Washington, spesso anche in maniera - diciamo - contraria a quelli che sono gli auspici di Washington.

    D. - Dal canto loro, le Nazioni Unite sono paralizzate sul classico gioco di veti incrociati: così com’è successo per la Siria, anche per Gaza possiamo prevedere un’impasse?

    R. - Direi di sì. Le Nazioni Unite, soprattutto nel teatro mediorientale, risultano abbastanza immobilizzate da questa situazione, che si basa sui vari veti incrociati, per cui - come ha giustamente sottolineato - in Siria stiamo assistendo a uno stallo vero e proprio dell’azione diplomatica delle Nazioni Unite, per effetto di un veto di Russia e di Cina soprattutto. Dall’altra parte, ogni volta che le Nazioni Unite hanno cercato - negli ultimi decenni - di promuovere azioni anche soltanto semplicemente di condanna allo Stato di Israele, vi è sempre stata l’opposizione abbastanza forte e significativa degli Stati Uniti, che pur avendo una politica in questo contingente che non va proprio d’accordo con il governo israeliano, a livello poi più strutturale continuano a manifestare la propria vicinanza politica e la propria solidarietà allo Stato ebraico.

    D. - Dall’altra parte, c’è la Lega Araba che continua, invece, ad assumere un ruolo sempre più importante…

    R. - Sì, la Lega Araba sembra stia godendo di una rinnovata se non credibilità, almeno spinta propulsiva, proattiva dal punto di vista dell’’azione diplomatica. Le ha giovato la posizione che lo stesso Egitto ha assunto nell’area, come nuova forza potenzialmente in grado di arrivare ad una mediazione soprattutto con la parte palestinese, cosa che invece con il governo Mubarak non era stata possibile; sicuramente il Cairo offre uno spiraglio e una possibilità in più per tutta la Lega Araba di poter agire come nuovo attore di mediazione.

    inizio pagina

    Pakistan. Archiviate le accuse contro Rimsha. Paul Bhatti: segno di giustizia e speranza

    ◊   “E’ una delle più belle notizie della mia carriera”. Così Paul Bhatti, consigliere del ministro pakistano per l’armonia, dopo la decisione dell’Alta Corte di Islamabad di archiviare le accuse contro Rimsha Masih, la ragazza cristiana, affetta da sindrome di Down, accusata di blasfemia per aver bruciato pagine con frasi del Corano. Lo ricordiamo: l’imam che l’ha accusata è tuttora in carcere, sospettato di aver manipolato le prove. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    La luce della verità brilla oggi su Islamabad, in Pakistan, per la decisione dell’Alta Corte di archiviare il caso di Rimsha Masih, “perché nessun testimone può confermare le accuse dell’imam”, che tuttora è in carcere sospettato di aver inquinato le prove. Tutto inizia il 17 agosto scorso quando la guida religiosa musulmana di Mehrabadi, il villaggio di Rimsha, punta il dito contro la giovane adolescente cristiana, affetta da sindrome di Down. Secondo l’uomo, ha bruciato pagine di un libro contenente frasi del Corano. S’innesca la ritorsione: Rimsha viene strappata dalla folla che vuole linciarla. Arrestata, per la legge sulla blasfemia, rischia la pena di morte. Intanto, circa 600 persone di Mehrabadi, tutti cristiani, scappano per paura di ritorsioni. La vicenda giudiziaria, seguita da tutto il mondo, è complessa. Rimsha è scarcerata su cauzione il 7 settembre, viene portata in un luogo segreto sotto la protezione personale del cristiano Paul Bhatti, consigliere del ministro per l’Armonia e leader di “All Pakistan Minorities Alliance”. Con la giovane, si sono schierati i cristiani del mondo intero, che hanno accompagnato con la preghiera le mobilitazioni delle comunità locali. In prima linea anche il vescovo di Islamabad, mons. Rufin Antony e diverse personalità musulmane. Oggi la Conferenza episcopale pakistana, dopo la decisione presa dai giudici, parla di contributo per la pace, la giustizia e l’armonia religiosa nel Paese. I presuli sottolineano che più voci della società civile, tra cui cristiani e musulmani, si sono ritrovate dalla stessa parte, in sintonia a difendere gli stessi valori di civiltà, verità, legalità e giustizia, condannando gli abusi della legge sulla blasfemia. Grande la gioia dunque oggi, nel giorno in cui il pensiero va anche ad Asia Bibi la donna cristiana madre di 5 figli in carcere, sempre con l’accusa di blasfemia, che aspetta dal 2010 di essere ascoltata dai giudici.

    Paul Bhatti ha, oggi, dedicato la sentenza che chiude la vicenda Rimsha al fratello, Shahbaz Bhatti, ministro pakistano per le minoranze religiose, ucciso con 30 colpi di pistola da estremisti islamici il 2 marzo 2011. Ai nostri microfoni lo stesso Paul Bhatti:

    R. – E’ una delle più belle notizie che io possa avere avuto. Mi ha dato forza e speranza che in questo Paese esiste una possibilità di giustizia, di convivenza con altre religioni, senza divisioni e rancori. Aspettavamo da tempo questa decisione e oggi abbiamo due messaggi importanti: il primo è che si è dimostrato che questa legge sulla blasfemia, in diversi casi, è usata per vendette personali e per fini personali. Il secondo messaggio forte è che le persone che usano in maniera scorretta questa legge, possano essere punite. Questi due aspetti sono molto importanti, vanno tenuti nel giusto conto e possono produrre un cambiamento importante. E anche se non sono determinanti per cambiare la legge, danno ugualmente un messaggio positivo.

    D. – Ha avuto modo di parlare con Rimsha e con la sua famiglia? Come stanno?

    R. – Ci parlo quasi ogni giorno. La famiglia è sotto la mia custodia. Rimsha sta benissimo e anche la famiglia. Per ragioni di sicurezza, si trovano in un posto segreto, e non possono esporsi molto …

    D. – Adesso tornerà nel suo villaggio di Mehrabadi? Ricordiamo che tante persone lo hanno lasciato dopo le minacce e per paura di ritorsioni …

    R. – In quel villaggio, il 95 per cento dei cristiani erano in affitto, non erano proprietari di casa ed i rapporti tra cristiani e musulmani erano diventati difficili, ma adesso moltissimi sono tornati lì. Io stesso ho creato un comitato di 20 persone, composto da un sacerdote, un parroco di Islamabad, un parroco della chiesa protestante, due religiosi musulmani e alcuni volontari. Il compito di queste persone è stato di andare in questa comunità, esaminare i problemi e cercarne le soluzioni, con lo scopo anche di dare protezione o cercare un posto alternativo dove stare, in caso di necessità.

    D. – Il caso di Rimsha, comunque, non fa dimenticare quello di Asia Bibi, anche lei in carcere in attesa di giudizio dal 2010. Qual è il punto su questa vicenda?

    R. – Certamente ci sta a cuore e noi vogliamo seguirla. Però dopo l’assassinio di mio fratello, questo caso ha preso una piega molto diversa. Tantissime organizzazioni hanno iniziato a speculare. Non vogliono che nessuno intervenga perché altrimenti si interromperebbe il sostegno che stanno ottenendo. Più di una volta io ho protestato per questo, l’ho detto chiaramente …

    D. – Quindi c’è qualcuno che ha interesse affinché Asia Bibi rimanga in carcere?

    R. – Esatto. Secondo me, sì. Più volte ho offerto il mio aiuto, ma ci sono due-tre Ong che si stanno occupando della vicenda che mi hanno detto: “No, no, stiamo facendo, ci lasci stare” … Però, a noi non interessa l’effetto mediatico: a noi interessa che Asia Bibi esca di prigione.

    D. – La cronaca in questi mesi ha raccontato di violenze e uccisioni nei confronti di cristiani, indipendentemente dal fatto che fossero adulti o bambini. Qual è la situazione in Pakistan?

    R. – Il Pakistan attualmente sta vivendo una fase molto difficile e delicata per via della instabilità e della sua situazione politica. Quello che accade non è solo un’azione contro le minoranze, si sta verificando un’ondata di terrorismo che sta creando instabilità in tutto il Paese.

    D. – Che tipo di terrorismo è quello che sta fronteggiando il Pakistan?

    R. – Una sorta di estremismo … Parte da Karachi dove non ci sono divisioni religiose, il problema lì, a volte, è dato dalla differenza linguistica, dall’etnia, dai partiti, dalle sette … Lo stesso accade nella zona del Balochistan dove ci sono divisioni anche tra i vari gruppi musulmani … Questa instabilità nel Paese, insomma, non fa riferimento ad un volto specifico, anche se le minoranze ovviamente sono le più deboli.

    inizio pagina

    Moody's declassa la Francia. L'Eurogruppo decide nuova tranche di aiuti alla Grecia

    ◊   "Nonostante il declassamento del rating da parte di Moody’s, che ha tolto la tripla A dei Paesi più virtuosi alla Francia, la valutazione del nostro debito resta tra le migliori del mondo". Così, il ministro dell’economia francese, Moscovici, che commentando la decisione dell'agenzia americana ribadisce: servono riforme, ma non ci sarà alcuna perdita di fiducia tra Parigi e Berlino. Intanto, cresce l’attesa per il pacchetto di aiuti internazionali da 31,4 miliardi di euro alla Grecia, che dovrebbe essere varato oggi a Bruxelles dall’Eurogruppo. Per un’analisi, Cecilia Seppia ha intervistato Carlo Altomonte, docente di Politica economica europea all’Università Bocconi di Milano:

    R. – Sostanzialmente, è una cosa che sapevamo già dalle agenzie di analisi, nel senso che la Francia stava scontando un gap di competitività importante. Certo, questo ci pone il problema che la crisi non è solo quella crisi dei Paesi, periferici, cattivi, del sud Europa, ma è una crisi europea e come tale necessita di soluzioni europee.

    D. – A monte di questa decisione di Moody’s il fatto che le riforme annunciate dal presidente francese Hollande non siano ritenute sufficienti a ritrovare la competitività perduta. Questo è vero e se è vero come cambiano ora i rapporti con Berlino, ci sarà una perdita di credibilità della Francia a livello europeo?

    R. - Nei fatti, la Francia negli ultimi due o tre anni, è sempre stata subordinata in qualche modo alle decisioni della Germania. Solo, soprattutto, Sarkozy era molto in linea con i dettami della Signora Merkel. Hollande ha provato un po’ a rialzare la testa, imponendo una sua agenda, ma evidentemente poi si è dovuto scontrare con la realtà dei fatti e questi ultimi avvenimenti dimostrano questa cosa. Quindi, di fatto, la Germania è l’unico Paese nel cuore dell’area euro che ha fatto le riforme nel mercato del lavoro che gli consentono di guadagnare in produttività e quindi presentarsi agli occhi del mondo come un Paese forte e competitivo, in grado di esportare in tutto il resto del mondo la sua tecnologia.

    D. – Di fatto, alla base c’è sempre la stessa contrapposizione: da un lato, la Merkel che sostiene più austerità e, dall’altra, La Francia e Paesi come la Francia che chiedono invece più sviluppo… Si dovrebbe trovare il giusto equilibrio?

    R. - Evidentemente, sull’austerità possiamo in qualche modo modulare bene i termini della questione: è evidente a tutti che non ha alcun senso fare l’austerità in una situazione di profonda recessione perché non facciamo altro che peggiorare la situazione. Questo è il primo punto. Il secondo punto è che però, contrariamente, la Germania può dire queste cose perché ha già un sistema produttivo al suo interno che è adeguato ai tempi moderni, Francia e Italia no.

    D. – Altro nodo la Grecia. Oggi, l’Eurogruppo deciderà la nuova tranche di aiuti. Il premier Samaras ha chiesto più coordinamento nell’esecutivo. Soprattutto, per fronteggiare questo spettro dell’uscita dall’euro. Resta aperta la questione della ricapitalizzazione delle banche greche, la pressione fiscale è alle stelle e poi c’è la scure sul mercato del lavoro, sulle pensioni: questo preoccupa dal punto di vista anche del disagio sociale…

    R. – Sì, torniamo al punto di prima: chiedere austerità in maniera cieca e ossessiva ormai non ha più senso. Se noi sappiamo che tra un anno dovremo dare uno sconto importante ai debiti greci, non si capisce perché dobbiamo infliggere ulteriori costi sociali alla Grecia, se non per salvare la credibilità della cancelliera tedesca. Il governo greco questo lo sa benissimo e quindi tenta di negoziare fino all’ultimo, solo per evitare di imporre inutili costi sui cittadini. Detto questo, però, è altrettanto importante distinguere l’austerità e il lato della domanda, la spesa pubblica, i tagli, che possiamo modulare con le necessità di fare riforme strutturali: è inutile ammorbidire la domanda oggi, se domani non creiamo le condizioni per crescere di più. Quindi, io se fossi nei panni del governo greco, piuttosto chiederei sconti sui tagli, sull’austerità, sulle pensioni, sui salari, ma andrei con la mano pesante sulla produttività, sull’evasione fiscale, sulla privatizzazione: cioè, approfitterei dell’occasione per cambiare la pelle al Paese e farlo presentare agli occhi del mondo con condizioni competitive molto diverse.

    inizio pagina

    Pedofilia: scoperto il più grande archivio web. Don Di Noto: la grande stampa lo ignora

    ◊   Scandalo pedofilia in Italia: scoperto su Internet il più grande archivio pedopornografico mai rinvenuto dalla Polizia postale, che ha condotto le indagini per 10 mesi, a partire dalla segnalazione di una ragazza salernitana che, scaricando dei file musicali di Edith Piaf, si è ritrovata il computer inondato da materiale racappricciante. Dieci le persone indagate in varie regioni d’Italia. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Cinque milioni di file, tra immagini e video, organizzati per categorie: "soft" con bambini nudi, "hard" con minori violentati, "hurtcore" con violenze sessuali e torture e "death" con piccole vittime abusate e apparentemente uccise. Immagini aberranti che hanno scioccato anche gli investigatori, rinvenute nel cosiddetto deep web. Che cos’è, lo chiediamo a don Fortunato Di Noto, fondatore dell’associazione Meter, in primo piano nella lotta alla pedofilia on line:

    R. - E’ il mondo sommerso del web. Uno spazio vastissimo che vive sotto il web conosciuto, dove nell’anonimato si compiono i traffici più illeciti del mondo: traffico di esseri umani, di mafia, di camorra, di terrorismo, traffico di droga. Da alcuni anni, sia le Forze dell’ordine internazionali, oltre a quelle italiane, sia anche le associazioni che nello specifico, come Meter, si occupano di pedopornografia e di pedocriminalità, cercano di monitorare questo sommerso per far sì che questi criminali vengano fermati.

    D. – Ma come si entra in questo deep web? Si scaricano dei programmi, costosi o meno?

    R. – Non sono affatto programmi costosi, si scaricano facilmente e gli addetti ai lavori del web conoscono benissimo i programmi software per navigare all’interno di questo mondo. Per fortuna, anche le Forze dell’ordine conoscono quei software per navigare in quello spazio. Comunque, già il web – quello conosciuto – è difficile da controllare nella sua totalità; immaginate il deep web, che è un mondo veramente sommerso.

    D. – Questa notizia di quest’ultimo scandalo-pedofilia oggi trova pochissimo o nessuno spazio nei giornali, che non ha trovato spazio sull'edizione cartacea di “Repubblica” e “Corriere della Sera”. Distrazione, resistenze culturali o altro?

    R. – A me impressiona quando quotidiani così rinomati e importanti magari pubblicano quattro-cinque pagine di gossip, e non informano la gente su questi fenomeni aberranti, così gravi. Io non credo che oggi la società non sappia contenere queste notizie, non sappia gestirle emotivamente, ma di certo non parlarne favorisce ancora di più la diffusione di una mentalità che quasi tende sempre più a normalizzare il fenomeno. Qui, stiamo parlando di un’operazione importante che ha permesso il sequestro di cinque milioni di file, con cartelle che contengono immagini di neonati violentati e si suppone forse anche uccisi. Allora, se tutto questo non ci indigna e non crea una motivazione per contrastare anche culturalmente il fenomeno, io credo che ci sia da interrogarsi. Noi dobbiamo dire che la pedofilia è un crimine: non possiamo pensare che sia un fenomeno marginale. E’ veramente un fenomeno per cui i criminali si nutrono della carne e dell’innocenza dei bambini. Non riesco a capire perché di conseguenza moltissimi quotidiani poi non ne parlano: questa veramente è un’omissione di soccorso, un’omissione di informazione.

    D. – Perché i nomi, non dico dei sospettati di pedofilia, ma anche di chi viene arrestato in flagranza di reato, perfino dei condannati per questo odiosissimo reato non vengono in genere resi noti, e solo in qualche caso pubblicate le iniziali?

    R. – Il concetto è sempre, al solito, la garanzia della privacy. Ma qui stiamo parlando di tipi di reati che qualcuno – come noi – definisce crimini contro l’umanità! Cioè, le persone che compiono reati contro i bambini non possono essere tutelate nella loro privacy! Capisco la tutela per evitare il far-west, per evitare azioni che possano arrecare ulteriore danno a chi è stato abusatore, predatore di bambini; però è anche vero che la conoscenza del nome permetterebbe due cose: uno, sarebbe un elemento deterrente perché questi soggetti potrebbero così essere individuati e – perché no? – la società potrebbe proteggersi da ulteriori attacchi. Dall’altra parte, forse anche per il soggetto l’essere conosciuto potrebbe diventare un deterrente per fare meno danni. Certamente, anche qui la discussione è apertissima: se arriva la condanna definitiva, in terzo grado, se la condanna è definita penso che non dovrebbe esserci alcun problema nell’indicare nome e cognome.

    D. – Anche perché non c’è tutela della privacy per i condannati di altri reati …

    R. – Precisamente. Ma il problema è anche un altro: spesso si ha una condanna più pesante per chi ruba galline di quanto per chi commette questo tipo di reato. Per fortuna, con la ratifica della Convenzione di Lanzarote le cose sono un po’ cambiate per quanto riguarda i livelli di prescrizione del reato: si può arrivare – dipende dalla gravità del reato commesso nei confronti dei minori – anche a 28 anni di prescrizione. Forse, bisogna fare di più, forse bisogna applicare di più applicare di più, forse bisogna che la giustizia sia più celere di quanto non lo sia oggi. Normalmente, in un processo per abuso sessuale su bambini, per avere un primo grado, possono passare anche cinque-sei anni. Figuratevi quanto può passare per avere una condanna definitiva in Cassazione.

    inizio pagina

    Giornata mondiale dell’infanzia: nel mondo cresce divario tra bambini ricchi e poveri

    ◊   Si celebra oggi la Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Nel mondo, sono più di 61 milioni i minori che non vanno a scuola, circa 200 milioni quelli che devono lavorare per sopravvivere. A livello globale – si ricorda nel rapporto “Nati Uguali” di Save the Children con dati relativi a 32 Paesi – il gap tra i bambini poveri e quelli ricchi è cresciuto del 35% rispetto al 1990. Le disparità continuano dunque ad aumentare, come sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco il direttore generale di Save the Children Italia, Valerio Neri:

    R. – La differenza del 35% ricorda un dato mondiale, ma in alcuni Paesi, tipo il Perù, la differenza è diventata abissale - + 179% - e così in Ghana, in Bolivia, in Colombia e in Camerun. Quindi, ci sono effettivamente Paesi in cui la differenza dei diritti tra un bambino nato ricco, o comunque in una famiglia benestante, e un bambino povero sono oltre ogni limite di accettabilità. Quindi, la Carta dei diritti infantili che oggi, 20 novembre, si ricorda a livello mondiale è carta straccia quando si guardano questi Paesi.

    D. – Come agire allora per rendere questo scenario meno drammatico?
    R. – Che cosa fare? Il mondo dovrebbe automaticamente "mettersi le mani in tasca", magari rendersi conto che i problemi dell’economia globale si risolvono o si affrontano anche facendo emergere dalla povertà estrema i tanti altri Paesi che, invece, vi permangono. Quindi, guardare un po' nel medio periodo, e non solo nel breve periodo, alla soluzione dei problemi economici dei Paesi ricchi. Guardare nel medio periodo alla soluzione dei problemi economici di tutta l’area mondiale: questo permetterebbe uno sviluppo molto forte dei popoli oggi più deboli. Lì, bisogna fare leggi e rinforzare i governi, che sono pronti ad aiutare le fasce più deboli della popolazione, purtroppo milioni e milioni di bambini.

    D. – E guardare anche a singole realtà molto problematiche: perché se è vero che la povertà a livello globale è scesa da due miliardi di persone, nel 1990, a 1,3 miliardi, è anche vero però che ci sono Paesi in cui queste distanze aumentano...

    R. – C’è tutta la fascia subsahariana che continua a essere una delle fasce dove nascere è veramente una "lotteria" drammatica. Ricordo che, ancora oggi, sono circa 7 milioni i bambini che muoiono nella fascia di età da zero a cinque anni. Sono sette milioni all’anno, uno ogni cinque secondi. Ma non muoiono perché hanno delle malformazioni cardiache, genetiche, che non possono essere sopportate: muoiono perché sono sottonutriti, muoiono perché hanno una diarrea banalissima, che non c’è neonato che non abbia, muoiono per un pizzico di zanzara. Si muore in questi Paesi da 0 a 5 anni per cause facilmente evitabili. Credete che sia una cosa facile nascere in Afghanistan? L’Afghanistan oggi è il Paese, per via della guerra endemica, con la mortalità infantile più alta al mondo. Quindi, ci sono dei Paesi in cui, al di là dei diritti dell’infanzia, che oggi si ricordano, non c’è neanche il diritto basilare alla vita, alla sopravvivenza al momento della nascita. Questo è il mondo in cui continuiamo a vivere, un mondo in cui continuiamo a non guardare dei Paesi dove la gente soffre e muore in maniera inumana.

    D. – Un diritto alla vita, che si può in qualche modo tutelare anche promuovendo il diritto all’istruzione...

    R. – Ad oggi sono ancora 61 milioni i bambini che non vanno affatto a scuola, cioè non hanno nessuna possibilità di accedere all’istruzione. Di questi milioni sicuramente oltre la metà sono bambine. E perché è così importante istruire le bambine? Perché le bambine, ovviamente, saranno le mamme del domani. Una mamma alfabetizzata, che sa quindi avere una microeconomia domestica, che sa parlare, che sa leggere, che sa interagire nella sua società, pur difficile che questa sia, è una mamma che obiettivamente riesce a dare maggiori speranze di vita ai propri figli.

    D. – Anche nei Paesi ricchi ci sono grandi disparità...

    R. – Assolutamente. Guardiamo anche all’Italia. Purtroppo in Italia la forbice tra bambini che hanno la fortuna di vivere in una famiglia abbiente, se non proprio ricca almeno serena, e i bambini in povertà relativa o addirittura assoluta, sta aumentando. Intanto sta aumentando il numero dei bambini in povertà assoluta: siamo oltre i 100 mila oggi, ma arriviamo a due milioni, due milioni e mezzo se allarghiamo il concetto di povertà a quello di povertà relativa. Quindi, anche in Paesi ricchi come l’Italia - Stati coscienti, Paesi che hanno una sensibilità alla solidarietà maggiore di altri - la situazione tra bambini ricchi e bambini poveri si va aggravando. Anche nei Paesi ricchi, Stati Uniti compresi, la povertà infantile sta aumentando. E’ meglio tuttavia nascere povero in Italia che nascere povero in India o in Bangladesh, perché anche la povertà non è uguale a seconda dei Paesi. A volte si ha l’impressione che non ci sia fondo al male.

    In Italia, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ricorda nel messaggio inviato in occasione dell'incontro ‘I diritti dei bambini al tempo della crisi’, promosso per la Giornata nazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che “la difesa dei minori costituisce un impegno prioritario per le forze politiche e sociali”. Una priorità soprattutto nell'attuale periodo di recessione economica “che li vede maggiormente esposti all'abbandono, alla povertà e al rischio di esclusione sociale”. “Si deve compiere ogni sforzo – aggiunge Napolitano - perché non venga meno la tutela delle famiglie più vulnerabili e venga sostenuto il ruolo centrale della scuola e dei servizi per l'infanzia, affinché siano in grado di fronteggiare con sempre maggiore efficacia tutte le situazioni di difficoltà ed emarginazione”. La Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza è anche un’occasione per ricordare il 20 novembre del 1989. In quella data venne infatti approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite la Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia. E’ stata ratificata da tutti i Paesi del mondo, ad eccezione di Somalia e Stati Uniti.

    inizio pagina

    Nel mondo un miliardo di bambini coinvolti in conflitti armati

    ◊   I conflitti in atto nel mondo fanno riflettere, nell'odierna Giornata mondiale per i diritti dell’infanzia alla condizione di tutti i bambini e ragazzi coinvolti in conflitti armati. Per loro si pregherà sabato prossimo a Parigi per iniziativa dell’Ufficio internazionale cattolico dell’infanzia (Bice), durante la Messa alle ore 18 nel Convento dell’Annunciazione, cui seguirà una conferenza sul tema. Ma quanti sono i minori nel mondo a patire per l’odio, la follia, la violenza cieca degli adulti in guerra? Roberta Gisotti lo ha chiesto ad Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef Italia:

    R. – Purtroppo, sono ancora moltissimi. Un recente studio afferma che i conflitti nel mondo sono 388 e che ci sono un miliardo di bambini che sono spettatori di questi conflitti in ogni parte del pianeta. E’ un dato davvero impressionante, se si pensa che gran parte di questo numero – cioè del miliardo – sono bambini sotto i cinque anni. E in questa Giornata così importante - nella quale ricorre l’anniversario della ratifica da parte dell’Assemblea delle Nazioni Unite, il 20 novembre 1989, della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza – siamo qui a registrare ancora come i bambini purtroppo siano vittime innocenti di conflitti in ogni parte del Pianeta. Non parlo soltanto della Siria o di Gaza, che sono aree critiche del momento, ma anche di situazioni molto gravi che si registrano nel Sudan oppure nel Mali, dove a giorni – forse – ci sarà anche un intervento armato. Ecco perché l’Unicef ha lanciato un appello a 360 gradi, in tutto il mondo, affinché cessino le violenze e soprattutto affinché i bambini non vi siano coinvolti, in alcuna maniera.

    D. – In quest'anno hanno preoccupato gravemente le condizioni dei bambini nel Medio Oriente, in Siria ed ora nella Striscia di Gaza, dove sono sotto il mirino delle armi. Ci sono iniziative della comunità internazionale per proteggerli?

    R. – Noi ci auguriamo che la comunità internazionale trovi uno sbocco a queste situazioni di conflitto e che si lavori per la pace: questo vale per Gaza come vale per la Siria, dove ci sono oltre 400 mila profughi, dove ci sono 1,2 milioni di bambini colpiti dal conflitto siriano. Poi, non possiamo dimenticare Gaza dove i bambini vivono in una situazione di terrore. Il dato che emerge, al di là purtroppo del numero dei decessi, che è orribile, sono le conseguenze psicologiche che questi bambini sono costretti a subire. La guerra, in qualsiasi forma essa sia o si manifesti, causa a bambini innocenti drammi talmente forti, a livello psicologico e morale, che bisogna intervenire. E gran parte dell’azione dell’Unicef è rivolta proprio a questo: cioè a intervenire per assistere questi bambini che sono vittime di un conflitto. Quello che sta succedendo tra Israele e Gaza naturalmente preoccupa moltissimo l’Unicef, che ha rivolto un appello a entrambe le parti affinché cessino le ostilità e affinché vengano protetti i bambini – così come chiede la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia – in qualsiasi luogo essi si trovino: perché hanno il diritto a vivere la vita come gli altri bambini del mondo occidentale, che vivono in pace.

    D. – Se guardassimo ai diritti dei bambini, lavoreremmo per la pace?

    R. – Sì, lavoreremmo per la pace perché tutti i Paesi – tranne gli Stati Uniti e la Somalia – hanno ratificato la Convenzione sui diritti dell’infanzia del 1989, quindi è interesse di ciascuno Stato proteggere i propri figli ed i propri bambini. Spesso prevalgono interessi nazionali, spesso prevalgono odii che vengono da molto lontano. Ma questo "da molto lontano" non può in alcuna maniera coinvolgere i bambini, che non hanno colore, nazionalità, nulla che possa convincerci del fatto che debbano essere uccisi per le motivazioni che ho appena elencato. I bambini sono tutti uguali e vanno protetti. Ecco perché noi ci appelliamo ancora una volta a tutte le parti in conflitto sia nel Medio Oriente, sia nelle altre parti del mondo - dove sono, ripeto, 388 i conflitti - affinché nel momento in cui si lavora per la pace, si lavori per proteggere i bambini.

    inizio pagina

    Colloquio internazionale alla Lateranense. Prof. Felice: serve una vocazione e una cultura di pace

    ◊   “Se vuoi la pace costruisci istituzioni di pace”. È il tema del Colloquio annuale promosso dall'Area Internazionale di Ricerca "Caritas in Veritate" della Lateranense, che si terrà domani e il 22 novembre presso l'Aula Paolo VI dell'ateneo pontificio. Su cosa si intenda per stituzioni di pace nella Dottrina Sociale della Chiesa, Alessandro Gisotti ha intervistato il prof. Flavio Felice, direttore dell’Area di ricerca “Caritas in Veritate”:

    R. - Si intende la capacità che l’uomo ha, con la propria intelligenza, con la propria capacità, di relazionarsi con altri uomini, di dar vita a realtà che siano associative, istituzionali, che siano le leggi, la cultura, in grado di favorire quelle istituzioni attraverso le quali e nelle quali gli uomini riescono a risolvere le controversie locali, nazionali e internazionali, che poi sfociano in situazioni di guerra. Io, personalmente, sono molto attratto dall’esperienza e dall’esperimento che i padri fondatori dell’Unione europea hanno avviato all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. Anche in quel caso, eravamo di fronte ad una situazione di guerra, alcuni uomini - Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi e Robert Schuman - hanno pensato bene di risolvere le controversie non tanto appellandosi retoricamente alla pace, quanto dando vita a istituzioni che hanno consentito a questo continente di iniziare un percorso di pace che dura ancora oggi.

    D. – Che cosa oggi la Dottrina Sociale della Chiesa può dare agli sforzi delle persone di buona volontà per la pace?

    R. – Partendo dalla riflessione sulla Pacem in terris, io credo in primis il collegamento tra la pace e una cultura di pace, una cultura della pace. E’ vero che la pace si realizza mediante le istituzioni ma è altrettanto vero che solo uomini di pace, votati alla pace e che hanno scelto di rispondere positivamente a una vocazione di pace, saranno in grado di dar vita a quelle istituzioni. La Dottrina Sociale della Chiesa ci insegna che il vivere sociale, il relazionarsi tra gli uomini, è un relazionarsi tra figli nel comune Padre, quindi tra fratelli, e questi figli nel comune Padre condividono una comune vocazione realizzando il proprio disegno, in ordine alla felicità, alla libertà, alla giustizia. Io credo che la Dottrina Sociale della Chiesa offra in modo particolare una prospettiva, un’idea di uomo inconciliabile con qualsiasi soluzione di guerra.

    inizio pagina

    Nella Chiesa e nel mondo



    Congo: incontro di vescovi a Kinshasa sull'identità della missione in Africa

    ◊   Un’occasione per chiarire e riaffermare il carattere eminentemente ecclesiale della Caritas e il suo stretto vincolo con le Chiese locali. Questo il principale obiettivo dell’incontro di vescovi africani che da oggi al 22 novembre, si ritroveranno nella capitale della Repubblica Democratica del Congo su iniziativa congiunta di Caritas Africa e del Pontificio Consiglio «Cor Unum». Tema dell’appuntamento sarà, appunto, l’identità e la missione della Caritas alla luce dell’enciclica 'Deus caritas est'. Tra i partecipanti - riporta L'Osservatore Romano - insieme ai cardinali Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, e Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, presidente di Caritas Internationalis, sono attesi circa sessanta presuli provenienti da una quarantina di Paesi africani. Il tema dell’identità della Caritas è da qualche tempo al centro del dibattito ecclesiale. Nel continente africano il susseguirsi di nuove emergenze umanitarie si somma ad antiche, e mai sanate, situazioni di povertà estrema che richiedono ingenti sforzi e interventi di promozione umana e spirituale. Tanto che l’argomento è già stato affrontato in almeno altre due conferenze regionali organizzate da Caritas Africa, nel 2002 a Kigali e nel 2006 a Libreville. Si tratta di sottolineare con chiarezza, soprattutto alla luce della 'Deus caritas est' di Benedetto XVI, si osserva in un comunicato di Caritas Africa, che il servizio della carità appartiene alla natura stessa della Chiesa. Un servizio a cui essa non può rinunciare. L’attività e l’organizzazione della Caritas intendono, e devono essere un segno privilegiato della manifestazione dell’amore di Dio per l’umanità e una delle dimensioni essenziali della missione evangelizzatrice della Chiesa. Del resto, si sottolinea nel comunicato, sia il riconoscimento della personalità giuridica canonica di Caritas Internationalis stabilito da Giovanni Paolo II nel 2004, che la recente approvazione, nel maggio del 2012, del suo nuovo statuto riconoscono come questa confederazione di organizzazioni cattoliche agisca sotto l’autorità del Pontefice e dei pastori della Chiesa che sono i vescovi. L’incontro di Kinshasa, è spiegato, sarà «l’occasione per affermare ancora una volta la dimensione evangelica, spirituale, teologica ed ecclesiale dell’impegno caritativo di tutto il popolo di Dio. Tutti i cristiani, a livello parrocchiale, diocesano e nazionale, devono mobilitare la loro generosità per organizzare e vivere la carità in favore dei bisognosi, dei poveri e di coloro che hanno fame e sete di Dio e della sua Parola». In questa prospettiva, è diventata “urgente” la necessità di animare, nel rispetto del principio di sussidiarietà, l’opera dei cattolici e di tutte le donne e gli uomini di buona volontà per «suscitare solidarietà e condivisione con i poveri, in nome di Cristo». Più in particolare, l’incontro intende offrire la possibilità di riflettere con i vescovi sui modi per rafforzare l’identità ecclesiale della Caritas e della sua opera nell’ambito delle Chiese locali. Speciale attenzione — viene annunciato — sarà riservata anche all’esame di quelle teorie e ideologie contemporanee che costituiscono una sfida all’identità e alla missione della Chiesa. Soprattutto con l’obiettivo di stabilire in maniera più chiara il rapporto tra i vari livelli della Caritas e la gerarchia ecclesiastica per affrontare correttamente questioni specifiche relative ai partenariati, alla mobilitazione e gestione delle risorse, alla destinazione degli aiuti di emergenza. Insomma, su come fare perché la Caritas, in effettiva comunione con i vescovi locali, diventi il «reale braccio della carità pastorale della Chiesa». In questa ottica, verranno anche illustrate le esperienze positive in corso in alcuni Paesi africani. (L.Z.)

    inizio pagina

    Irlanda. I vescovi sul caso 'Savita': "Madre e figlio hanno pari diritto alla vita"

    ◊   “La Chiesa cattolica non ha mai insegnato che la vita di un bambino nel grembo materno andrebbe preferita alla vita di una madre. In virtù della loro comune umanità, una madre e il suo bambino non ancora nato sono entrambi sacri con lo stesso diritto alla vita”. È quanto i vescovi irlandesi scrivono in una nota diffusa ieri sera e ripresa dall'agenzia Sir, in cui per la prima volta e in maniera ufficiale la Chiesa cattolica di Irlanda si pronuncia sul caso di Savita Halappanavar, la donna irlandese di origini indiane, morta il 28 ottobre nell’ospedale universitario di Galway per setticemia, dopo che i dottori le avevano negato un’interruzione di gravidanza alla 17ª settimana. La morte della donna aveva riacceso in Irlanda un acceso dibattito sull’aborto, considerato illegale nel Paese. I vescovi non si erano fino ad oggi pubblicamente espressi sul caso, in attesa dei risultati di due inchieste avviate dalle autorità per accertare errori e responsabilità nel caso. Ma ieri, a conclusione del Consiglio permanente della Conferenze episcopale irlandese, è stato pubblicato un comunicato per “esprimere solidarietà” alla famiglia della donna e per “ribadire alcuni aspetti della dottrina morale cattolica”. La morte della signora Savita Halappanavar e del suo bambino - scrivono i vescovi - “è stata una tragedia devastante personale per il marito e la sua famiglia”. “Quando una donna in stato di gravidanza e gravemente malata - spiegano i vescovi - ha bisogno di cure mediche che possono mettere a rischio la vita del suo bambino, tali trattamenti sono eticamente permessi a patto che sia stato fatto ogni sforzo per salvare la vita sia della madre che del suo bambino. Considerando che l‘aborto è la distruzione diretta e intenzionale di un bambino non ancora nato ed è gravemente immorale in tutte le circostanze, questo è diverso da trattamenti medici che non sono direttamente e intenzionalmente finalizzati a porre fine alla vita del bambino non ancora nato”. Secondo i vescovi “la legislazione vigente e le linee-guida mediche in Irlanda permettono ad infermieri e medici negli ospedali irlandesi di applicare questa distinzione fondamentale, nella pratica, nel rispetto del pari diritto alla vita sia di una madre che del suo bambino non ancora nato”. Sostenere questo diritto “uguale e inalienabile alla vita” aiuta a “garantire che le donne ed i bambini ricevono i più alti standard di cura e protezione durante la gravidanza. Infatti - sottolineano i vescovi - le statistiche internazionali confermano che l‘Irlanda, senza l‘aborto, rimane uno dei Paesi più sicuri al mondo in cui essere incinta e partorire”. (R.P.)

    inizio pagina

    Profughi siriani: temperature più rigide peggiorano il quadro umanitario

    ◊   L’abbassamento delle temperature sta avendo primi effetti sulle condizioni di vita all’interno dei campi profughi allestiti nei paesi confinanti della Siria. Ospitati soprattutto in tende, i 423.000 rifugiati ufficialmente registrati dall’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Acnur) stanno cominciando a risentire del clima invernale. Proprio ieri l’Acnur ha ricevuto 1500 roulotte dall’Arabia Saudita che andranno a sostituire altrettante tende del campo profughi di Zaatari, nel nord della Giordania. La popolazione dei campi allestiti in Giordania, Libano, Turchia e Iraq - riporta l'agenzia Misna - è costituita in prevalenza da donne e minori e ciò ha spinto alcune organizzazioni umanitarie internazionali a sollevare la questione dell’irrigidirsi delle temperature e delle conseguenze per le fasce più vulnerabili. Più difficile è invece avere una valutazione oggettiva della situazione degli sfollati interni in Siria che, secondo alcune stime, ammontano ad almeno due milioni di persone. Una parte di queste ha finora trovato rifugio in luoghi pubblici all’aperto e risente direttamente, come il resto della popolazione, dei continui combattimenti. Preoccupazioni sul deterioramento della situazione umanitaria sono state espresse ieri anche dall’Unione Europea. Riuniti a Bruxelles, i ministri degli Esteri dell’Unione hanno promesso di aumentare gli aiuti destinati all’assistenza dei profughi. (R.P.)

    inizio pagina

    Kenya. La preoccupazione dei vescovi per gli attacchi degli Shabaab somali

    ◊   “Garissa è completamente bloccata, mentre continuano gli scontri. Tutta la popolazione è chiusa in casa e non può uscire per comprare i beni necessari, nessuno può entrare o uscire dalla città” dice all’agenzia Fides mons. Paul Darmanin, vescovo di Garissa, nell’est del Kenya, al confine con la Somalia. “Gli scontri - spiega il vescovo - sono scoppiati ieri, quando un gruppo armato ha ucciso tre soldati che stavano percorrendo le vie della città”. Secondo la stampa keniana, i tre militari facevano parte del contingente dell’esercito keniano che opera in Somalia. “L’esercito ha immediatamente circondato un’ampia zona della città alla ricerca dei colpevoli. Ne è nata una battaglia che dura ancora, nel corso della quale è stato incendiato il mercato cittadino e diversi negozi” prosegue mons. Darmanin. “Gli Shabaab somali avevano promesso che avrebbero portato la guerra in Kenya, e sembra che stiano tentando di farlo” dice mons. Darmanin. A Nairobi, nel quartiere abitato in maggioranza da somali, rimane alta la tensione per gli scontri scoppiati a seguito dell’attentato al bus dove hanno perso la vita almeno 9 persone, secondo l’ultimo bilancio. Mons. Darmanin sottolinea che a fare le spese di queste tensioni “sono i somali di cittadinanza keniana, che sono visti dagli altri keniani come sostenitori degli Shabaab. La situazione è molto complicata e chiedo la preghiera di tutti” conclude Mons. Darmanin. (R.P.)

    inizio pagina

    Nigeria: violenze nello Stato di Taraba. In vigore il coprifuoco

    ◊   È stato introdotto il coprifuoco a Ibi, la città della Nigeria orientale teatro di violenze che in pochi giorni hanno provocato almeno dieci vittime e costretto a lasciare le loro case migliaia di persone: lo dice all'agenzia Misna il parroco, padre Salomon Dankaro. “Rispetto a ieri – sottolinea il sacerdote - la situazione appare migliorata: l’esercito sta garantendo il rispetto del coprifuoco e le violenze sembrano essersi fermate”. Il parroco parla da Wukari, una cittadina dello Stato di Taraba distante una ventina di chilometri da Ibi, dove dopo l’inizio degli scontri si è rifugiato insieme con migliaia di persone. “I medici dell’ospedale di Wukari – sottolinea padre Salomon – sono in grande difficoltà e non riescono a garantire assistenza a tutti i feriti”. Secondo il quotidiano This Day, ieri l’esercito ha effettuato arresti e sequestrato una notevole quantità di armi. Le violenze erano cominciate domenica mattina quando alcuni giovani, pare di religione musulmana, avevano cercato di rimuovere posti di blocco eretti nel timore che anche a Ibi si verificassero attentati contro chiese come avvenuto negli ultimi mesi in altre zone della Nigeria. Secondo padre Salomon, le violenze avrebbero costretto a lasciare la città soprattutto famiglie igbo, per lo più dedite ai commerci. (R.P.)

    inizio pagina

    Usa: sostegno dei vescovi per la ricostruzione e 160 progetti pastorali in America Latina

    ◊   La Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti d’America (Usccb) ha stanziato 4,9 milioni di dollari per vari progetti in America Latina e nei Caraibi. La sottocommissione della Usccb per la Chiesa in America Latina informa che durante l’ultima riunione tenuta a Baltimora, nel Maryland, è stato approvato lo stanziamento di 2,3 milioni di dollari per 160 progetti pastorali nella regione e di 2,6 milioni per la ricostruzione di una scuola e di una chiesa ad Haiti. “Il sostegno ai progetti pastorali è parte della solidarietà verso i nostri fratelli e sorelle dell’America Latina” ha detto il presidente della sottocommissione, l'arcivescovo di Los Angeles, mons. José H. Gomez. “Abbiamo lavorato diligentemente per sostenere anche la Chiesa di Haiti, del Cile e ora di Cuba, nella ricostruzione delle infrastrutture delle comunità religiose colpite da gravi terremoti e uragani" ha osservato l’arcivescovo. Nella nota inviata all’agenzia Fides si legge che il presidente del gruppo dei consulenti della sottocommissione, l'arcivescovo di Miami, mons. Thomas Wenski, ha detto di essersi preso del tempo per individuare i meccanismi più efficaci per la ricostruzione, ma ora è giunto il momento di dare il via alla fase concreta. La sottocommissione ha inoltre approvato l’assegnazione di fondi per la ricostruzione di diverse chiese a Cuba, danneggiate dall'uragano Sandy, che ha colpito lo scorso ottobre l'isola caraibica. (R.P.)

    inizio pagina

    Egitto: prima intervista di Tawadros II, nuovo Patriarca copto ortodosso

    ◊   Libertà di costruzione delle chiese, dialogo fra musulmani e cristiani, incremento della sharia nella costituzione, fuga dei copti all'estero ed educazione dei giovani, sono alcune delle tematiche toccate da Tawadros II nella sua prima intervista rilasciata il 14 novembre scorso al quotidiano egiziano Daily News Egypt. Il successore di Shenouda III - riferisce l'agenzia AsiaNews - sottolinea la sua preoccupazione per una deriva islamista dello Stato, vista come un pericolo non solo per i cristiani, ma per tutti i cittadini egiziani, che dovranno sottostare al volere di una minoranza della società. Ciò si evince dalla composizione dell'Assemblea costituente, di recente boicottata dalla Chiesa copta ortodossa e da altri partiti democratici a causa del monopolio di Fratelli musulmani e salafiti. Il nuovo patriarca insiste sul ruolo dei giovani autori della Rivoluzione dei gelsomini, che hanno demolito il muro di isolamento e di paura in cui erano rinchiusi i copti da decenni. Il loro desiderio di verità e di giustizia va però colmato testimoniando loro che la vera risposta risiede in Dio. Eletto lo scorso 5 novembre, Tawadros II si è stato ufficialmente insediato domenica scorsa come patriarca nella cattedrale di S. Marco al Cairo. La cerimonia in tre lingue (arabo, inglese e francese) si è svolta davanti a centinaia di fedeli e decine fra autorità civili e religiose. Assente il presidente Morsi, che ha inviato il suo Primo ministro Hisham Qandil. (R.P.)

    inizio pagina

    India: suore cattoliche riscattano le “prostitute sacre” del Karnataka

    ◊   Liberare le devadasi, le "prostitute sacre" dell'induismo, da sfruttamento, oppressione ed emarginazione, insegnando dei mestieri e mandando i loro bambini a scuola. È la missione intrapresa da un gruppo di suore della Croce di Chavanod in Karnataka. Le religiose - riporta l'agenzia AsiaNews - si sono occupate di 10 villaggi, dove hanno creato delle classi per 50 bambine, e altri centri di supporto e attività che accolgono circa 500 bambini. "Per il momento - spiega suor T. Jose - siamo riuscite a convincere un gruppo di donne a lasciare questa 'professione', e anche altre appaiono motivate". Il sistema delle devadasi è una pratica indù, secondo la quale una ragazza è "dedicata" a una divinità del tempio. Dal sanscrito deva, "dio", e dasi, "schiava", in origine queste ragazze erano una sorta di sacerdotesse: una volta diventate devadasi non potevano sposarsi, dovevano compiere danze rituali e restare nel tempio come "cortigiane" degli dei. Nel tempo queste giovani sono diventate vere e proprie prostitute, anche se nel 1988 tale pratica è diventata illegale in tutta l'India. "Oggi - sottolinea la religiosa - non è nient'altro che prostituzione. Le devadasi non vivono più nei templi, ma in capanne. Il problema del traffico di donne e bambini a scopo sessuale ha assunto una proporzione ancora più grande, a causa dello stigma sociale che ricade su di loro". Secondo una ricerca del Dipartimento per donne e bambini del Karnataka, nel 2008 vi erano 5.051 devadasi nel solo distretto di Riachur. I fattori che alimentano questo sistema sono la povertà (50%); l'assenza di un maschio in famiglia (11,3%); l'influenza dei leader del villaggio (15,4%); l'esistenza di altre devadasi in casa (40%); superstizioni, come avere i capelli arruffati sulla sommità della testa o una malattia prolungata (2,3%). In genere, genitori o nonni decidono che le loro figlie diventeranno delle devadasi quando sono ancora molto piccole. Il voto avviene in segreto non appena le giovani hanno raggiunto la pubertà. Oggi, le devadasi e i loro figli vivono in grande povertà, perché non hanno delle entrate fisse. Le offerte dei clienti sono magre e irregolari, perché in quanto "prostitute sacre" esse non possono chiedere dei soldi. Alcune sono costrette a mendicare, o a svolgere lavoretti giornalieri. È alta la diffusione dell'Hiv/Aids, che spesso uccide le donne lasciando orfani i loro figli. Proprio i più piccoli sperimentano i problemi peggiori: stigmatizzati dalla società; senza un padre che dia loro il nome, né un sostegno economico; non possono andare a scuola. Per le bambine, quasi sempre la vita ha in serbo un futuro da devadasi, come le loro madri. Nella loro missione, le suore hanno organizzato una vera e propria rete di iniziative, volte alla prevenzione, alla sensibilizzazione e alla riabilitazione di queste donne in società. Le religiose sono riuscite a coinvolgere l'intera comunità. "L'autostima dei bambini - sottolinea suor Jose - è cresciuta, e aver insegnato dei mestieri alle loro madri ha rafforzato le loro possibilità di trovare un lavoro e guadagnarsi da vivere in altro modo". (R.P.)

    inizio pagina

    Bulgaria: Messaggio del presidente dei vescovi per l'Anno della Fede

    ◊   Come viviamo la nostra fede? È la domanda che pone mons. Hristo Proykov, esarca apostolico dei cattolici di rito bizantino in Bulgaria e presidente della Conferenza episcopale bulgara, nel suo messaggio in occasione dell'Anno della fede. “La fede – scrive il presule ripreso dall’agenzia Sir – deve parlare alla persona che ci sta accanto, essa è salvezza, verità, felicità ed il mondo ha bisogno di essa”. Mons. Proykov paragona la fede ad “un regalo prezioso ricevuto e messo in un posto dove si vede spesso per ricordarci l'attenzione della persona che ce l'ha donato.” “Quanto più allora dobbiamo custodire e ricordarci della nostra fede – prosegue l'esarca apostolico – il dono più grande che Dio ci ha fatto.” Mons. Proykov mette in guardia dal fenomeno dell'indifferenza religiosa “che genera superstizioni e misfatti che illudono le persone”, e ricorda coloro che hanno ricevuto la fede ma “oggi non conoscono più la strada che porta alla Chiesa.” “La fede - scrive - deve essere condivisa. Dio non ci chiede una fede di abitudine, ma una fede forte e matura che diventa senso della vita e legge del nostro modo di comportamento per poter arrivare all'altro.” Così si giunge alla carità “che dona la forza alla fede”. Il presule esorta i cattolici di rito bizantino della Bulgaria ad essere “degni della loro fede”, proponendo una preghiera speciale da pronunciare al termine di ogni liturgia. (L.Z.)

    inizio pagina

    Napoli: il cardinale Sepe su nuova evangelizzazione ed ecumenismo

    ◊   “È iniziato con il Concilio, per la Chiesa cattolica ma anche per le altre Chiese, un cammino irreversibile. E sulla sua irreversibilità non può esserci alcun dubbio. Il Santo Padre Benedetto XVI ha fatto di questo uno degli impegni prioritari del suo pontificato”. Lo ha detto ieri sera il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, intervenendo al convegno promosso dall’Ufficio nazionale per il dialogo interreligioso e l’ecumenismo della Cei, nel capoluogo partenopeo, su “La nuova evangelizzazione e l’ecumenismo”. “Per la Chiesa cattolica - ha proseguito il porporato - l’obiettivo dell’ecumenismo è un processo di riconciliazione nel quale le varie Chiese, dopo aver rielaborato e superato tutte le divergenze che sono fonte di divisione, possano finalmente riconoscersi come l’unica Chiesa di Gesù Cristo e dare una forma visibile a questa unità”. Per il cardinale - riferisce l'agenzia Sir - “gli sforzi ecumenici non possono certamente perdere di vista le diverse identità”, ma “occorre andare oltre le identità. E soprattutto le identità non possono definirsi attraverso la contrapposizione. Si tratta di 'gareggiare’ nello stimarsi a vicenda, per citare l’Apostolo San Paolo, e nella testimonianza”. A chi parla di inverno ecumenico, il cardinale Sepe risponde che “ciò che ci unisce è molto di più di quello che ci divide” e “questa coscienza deve irrobustirsi, se si vuole continuare il dialogo tra i cristiani”. Per il cardinale, “è oggi indispensabile un ecumenismo di popolo. Oggi viviamo insieme, anche in Italia, anche a Napoli, cristiani di diverse confessioni. A Napoli, come in tante altre città italiane, oggi vivono numerose e vive comunità di cristiani ortodossi ed evangelici. Abbiamo fatto tutti gli sforzi possibili per l’accoglienza della comunità e anche per il sostegno del clero. Non ci sentiamo in concorrenza con loro, ma crediamo di dovere al contrario sostenere la loro fede anche con la solidarietà concreta”. E qui a Napoli gli esempi sono tanti, come il “dono delle nostre chiese in disuso alle comunità ortodosse del Patriarcato di Mosca, di Costantinopoli e della Romania” o la “pubblicazione di un Direttorio regionale sull’ecumenismo elaborato e firmato da tutte le denominazioni cristiane in Campania”. Insomma sono tante le “iniziative che tendono a trasformare una vicinanza in reale convivenza e in comune testimonianza di amore”, “non ostacolandosi ma aiutandosi a vicenda nella testimonianza, gareggiando nelle buone opere. Perché il compito che abbiamo davanti è vastissimo: anche le terre cristiane sono da evangelizzare nuovamente”. Ma questo, secondo il porporato, “non è una disgrazia! Ogni generazione va evangelizzata. Ma oggi abbiamo accanto a noi tanti fratelli e sorelle, credenti in Cristo, con cui possiamo dare una comune testimonianza di fede, di speranza e di carità”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 325

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.