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Sommario del 19/11/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Pace e valore delle culture africane al centro dell'incontro tra il Papa e il presidente del Benin
  • Altre udienze e nomine
  • P. Cantalamessa: la "fine del mondo" non è paura di false profezie, ma speranza in Cristo
  • Aperto in Vaticano il 23.mo Congresso Mondiale dell’Apostolato del Mare
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Raid israeliani a Gaza: oltre 90 morti. Continuano i lanci di razzi di Hamas
  • Appello della Caritas: ospedali di Gaza al collasso, servono aiuti urgenti
  • Obama in Myanmar: Aung San Suu Kyi "icona di democrazia"
  • A Cuba nuova tornata di colloqui tra le Farc ed il governo colombiano
  • Francia. Manifestazioni pro famiglia. Mons. Jordy: cattolici e non, uniti in difesa della ragione
  • "Senza dignità": Antigone presenta il IX Rapporto sulla situazione nelle carceri
  • Raccolta fondi per la ricostruzione delle Chiese di Mantova colpite dal sisma
  • Diagnosi preimpianto. Carlo Casini: governo rispetti impegno di ricorrere contro Corte Ue
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Gaza: dalla parrocchia cattolica "l'apostolato delle chiamate"
  • Giornata di preghiera e di impegno per i bambini vittime di guerra
  • Myanmar: per i vescovi la visita di Obama dà speranza a democrazia e libertà religiosa
  • Congo. Nord Kivu: ribelli alle porte di Goma. Panico nella città
  • Sierra Leone: forte affluenza alle urne. Si aspettano i risultati del voto
  • Morto il vescovo cinese Guo Chuanzhen, ai lavori forzati durante la Rivoluzione culturale
  • Anglicani: domani il voto per le donne vescovo. Mons. Nichols: seguiamo con attenzione
  • Spagna: al via la 100.ma Assemblea plenaria dei vescovi
  • Vertice Iberoamericano: da Cadice impegni per una nuova cooperazione
  • Guatemala: documento dei vescovi sulla situazione nel Paese
  • Messico: oltre 11 milioni di persone vivono in condizioni di povertà estrema
  • Bolivia: la Chiesa invita a rispondere al censimento nazionale
  • Kenya: nella “piccola Mogadiscio” di Nairobi segnali inquietanti alla vigilia del voto
  • Nigeria: violenze nello Stato di Taraba. Gli sfollati sono migliaia
  • Mali: si concude oggi il 42.mo pellegrinaggio annuale al Santuario mariano di Kita
  • Mozambico: nuovo Centro di riabilitazione per disabili dell'Opera don Orione
  • Roma: alla stazione Termini nuova versione della statua di Papa Wojtyla
  • Il Papa e la Santa Sede



    Pace e valore delle culture africane al centro dell'incontro tra il Papa e il presidente del Benin

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto oggi in Vaticano il presidente del Benin, Thomas Boni Yayi, che poi ha incontrato il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, accompagnato da mons. Ettore Balestrero, sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati.

    “Durante i cordiali colloqui – riferisce la Sala Stampa vaticana, si è espresso compiacimento per le buone relazioni esistenti tra la Santa Sede e il Benin, evocando in particolare il viaggio apostolico del Santo Padre dello scorso anno, ed è stato ricordato il contributo positivo della Chiesa cattolica allo sviluppo del Paese”. Ci si è quindi soffermati “sul tema del valore delle culture locali in Africa e sull’importanza della Chiesa nell’educazione alla pace ed alla riconciliazione. Si sono, infine, passate in rassegna alcune sfide regionali che attualmente interessano il Continente, seguite dal capo dello Stato in qualità di presidente dell’Unione Africana”.

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    Altre udienze e nomine

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, un gruppo di presuli della Conferenza episcopale di Francia, in visita ad Limina, e l’arcivescovo Guido Pozzo, elemosiniere di Sua Santità.

    Il Papa ha nominato ausiliare dell’Eparchia di Mukachevo di rito bizantino padre Nil Yuriy Lushchak, dei Francescani Minori, docente di Filosofia nel Seminario Maggiore di Užhorod, assegnandogli la sede titolare vescovile di Flenucleta. Il neo presule è nato il 22 maggio 1973 a Užhorod, nell’Eparchia di Mukachevo di rito bizantino. Ha ricevuto la formazione al Sacerdozio nel Seminario eparchiale a Užhorod, ed è stato ordinato Sacerdote il 2 luglio 1996. Ha svolto il ministero pastorale in varie parrocchie dell’Eparchia. Dal 2004 al 2008 è stato alunno del Pontificio Collegio Ucraino di San Giosafat ed ha compiuto gli studi presso la Pontificia Università Urbaniana, dove ha conseguito la Licenza in Filosofia. Nel 2009 ha iniziato il noviziato presso l’Ordine dei Frati Minori, dove ha emesso i voti temporanei nel 2010. Dal 2010 è docente di Filosofia presso il Seminario Maggiore di Užhorod.

    Domenica 25 novembre 2012, alle ore 19, il cardinale Dominik Duka, arcivescovo di Praha, prenderà possesso del Titolo della chiesa romana dei Santi Marcellino e Pietro, Via Labicana, 1.

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    P. Cantalamessa: la "fine del mondo" non è paura di false profezie, ma speranza in Cristo

    ◊   La conclusione della storia e il glorioso ritorno di Cristo sulla terra: il Vangelo letto ieri nelle Chiese di ogni Paese – oggetto di riflessione da parte del Papa all’Angelus – tocca uno dei punti più sensibili per l’uomo di ogni epoca: quello della fine della vita e del mondo. Un concetto che evoca paure antiche, oggi spesso alimentate da condizionamenti mediatici, che però nulla hanno a che fare con la visione cristiana improntata alla speranza, ribadita ieri da Benedetto XVI. Alessandro De Carolis ne ha parlato con il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa:

    R. – A me pare che il Papa abbia proprio centrato il problema – come fa sempre, del resto. Gesù non vuole rispondere a “quando” avverranno queste cose, ma al “come” bisogna prepararsi. Come dice il Papa, non vuole fomentare la curiosità sulle date, le scadenze… E’ curioso che Gesù dica che nel momento preciso in cui ciò avverrà, chiamiamola “fine del mondo”, neppure gli angeli del cielo lo sapranno, e che invece periodicamente sorgano profeti o veggenti che annunciano – quando non addirittura con una data precisa – la fine del mondo. Adesso stiamo andando verso il 21 dicembre 2012, che secondo alcuni sarebbe la data della fine del mondo perché nei calendari Maya ciò indicherebbe il termine di un ciclo. Come giustamente afferma il Papa, Gesù vuole dare un fondamento alla nostra esistenza e, a questo proposito, il Vangelo di ieri è veramente splendido. Ci dice che, a differenza della visione ateo-scientistica, secondo cui il mondo non ha un Creatore, non ha un senso, non ha uno scopo e quando saranno esauriti i processi chimici e fisici in atto finirà o nel gelo eterno o in fuoco cosmico, il messaggio fondamentale contenuto in questi discorsi escatologici è invece di un’estrema speranza. Ci dice che noi stiamo andando verso "Uno" che ci viene incontro, che viene ogni giorno a noi nell’Eucaristia. Quindi, come temere "Uno" che è già nostro compagno di viaggio?

    D. – Di fronte alla parola “apocalisse”, molto spesso si fa confusione, soprattutto perché il termine è diventato, nel tempo, sinonimo di “catastrofe”. Qual è il suo vero significato?

    R. – Apokálypsis in greco significa semplicemente “rivelazione”, e voleva essere nel titolo del libro di Giovanni, la rivelazione non di date precise, di scadenze storiche come spesso è stato fatto, ma un linguaggio profetico che mettesse in luce i principi fondamentali che sarebbero stati alla base dello sviluppo della storia: le forze del male che lotteranno sempre contro le forze del bene, ma alla fine il trionfo sarà dell’Agnello. Questo è il senso fondamentale dell’Apocalisse. Ma a causa del linguaggio che parla di stelle che cadono, di fuoco che scende sulla terra, si è finito – come in molti film – con il fare della parola apocalisse sempre delle storie di calamità, al di sopra dell’immaginazione umana.

    D. – Lei prima ha citato la presunta profezia dei Maya sulla fine del mondo. I millenarismi hanno sempre attraversato la storia umana. Perché – secondo lei – l’uomo ha questo periodico bisogno di evocare la fine del mondo?

    R. – Quando noi oggi parliamo della fine del mondo, ne parliamo in termini globali, cioè la fine assoluta dopo la quale c’è solo l’eternità. Gli antichi, soprattutto nella Bibbia, parlavano con termini relativi e quindi spesso, nella Bibbia, non si parla di fine del mondo, ma della fine di un mondo. Infatti, Gesù proprio nel Vangelo diceva: “Non passerà questa generazione prima che tutto ciò avvenga”: di fatto, non passò la generazione senza che un mondo finisse, quello ebraico-giudaico, con la distruzione di Gerusalemme. Nel 410, dopo il “Sacco di Roma”, alcuni Padri della Chiesa pensarono che fosse arrivata la fine del mondo, perché identificavano il mondo con l’assetto dell’Impero romano che credevano definitivo. Nel Vangelo, spesso si intrecciano questi due piani: il piano della fine di un mondo con la fine del mondo. Credo che Gesù volesse fare del primo un simbolo, un richiamo, dell’ultimo: cioè, prendere queste catastrofi, questi avvenimenti più grandi di noi, come un invito a non attaccarci a questa terra, così come mi pare sottolineasse anche il Papa ieri.

    D. – Al di là della fine dei tempi, c’è comunque una fine alla quale ogni essere umano è chiamato a un certo punto della sua vita, che per un cristiano è l’inizio dell’altra vita. Come si può radicare questo pensiero nella nostra epoca, che è così allergica a tutto ciò che non riguarda il presente?

    R. – E’ stolto affannarsi a voler scrutare quando sarà la fine del mondo, quando per ciascuno di noi la fine del mondo può essere stasera, o domani, perché la morte per ciascun individuo è la fine di questo mondo. Quindi, c’è un richiamo fortissimo che, purtroppo, lo sappiamo bene, non ci entra facilmente nelle orecchie, a noi uomini, ed è il richiamo che Gesù fa quando dice: “Vigilate”. Se avessimo davanti un’ora precisa, alla quale ognuno di noi sapesse di dover morire, inizierebbe un conteggio alla rovescia che sarebbe il parossismo dell’angoscia. Quindi, ha fatto bene Dio a tener nascosta sia l’ora della nostra fine, sia quella della fine del mondo.

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    Aperto in Vaticano il 23.mo Congresso Mondiale dell’Apostolato del Mare

    ◊   Si è aperto questa mattina in Vaticano il 23.mo Congresso Mondiale dell’Apostolato del Mare organizzato dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti sul tema della nuova evangelizzazione nel mondo marittimo: fino al 23 novembre i partecipanti rifletteranno sui nuovi mezzi e strumenti per proclamare la Buona Novella in questo ambito. Ad inaugurare l’evento, il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del dicastero, che ha ricordato come questo sia il più grande Congresso Mondiale mai organizzato nella storia dell’Apostolato del Mare: sono infatti riuniti oltre 400 delegati provenienti da 70 Paesi. L’appuntamento vuole anche ricordare il 90.mo anniversario dell'approvazione delle prime Costituzioni e della benedizione di questo nuovo Apostolato da parte di Pio XI.

    “Lo sviluppo tecnologico dell’industria marittima, i crescenti problemi riguardanti la vita e il lavoro dei marittimi, le sfide poste dalle nuove e spesso restrittive normative e la crisi economica mondiale – ha rilevato il porporato - fanno sì che l’Apostolato del Mare debba evangelizzare in condizioni piuttosto difficili. Nonostante tutte queste difficoltà, il mondo marittimo è un terreno fertile per l'evangelizzazione. Le navi, infatti, navigano sui sette mari del mondo sostando da un porto all’altro trasportando non solo merci, ma anche equipaggi di diversa cultura, tradizione e religione e creando, per le persone di etnie diverse, l’opportunità di incontrarsi e apprezzare le differenze. Equipaggi multinazionali – ha proseguito il cardinale Vegliò - vivono e lavorano nello spazio molto ristretto delle navi, lontani per mesi dalle loro famiglie e comunità cristiane, senza nutrimento per la loro fede, che è spesso come un ‘lucignolo fumante’. La Nuova Evangelizzazione e l'Anno della Fede invitano ogni cappellano e volontario dell’Apostolato del Mare ad approfondire la propria fede, a credere nel messaggio evangelico e ad andare avanti per proclamare il Vangelo a coloro che non lo conoscono e riaccendere così quel ‘lucignolo fumante’ con la testimonianza cristiana".

    "Questa testimonianza cristiana - ha aggiunto il cardinale Vegliò - deve essere realizzata attraverso un ministero di presenza, servizio e solidarietà continui. Per i marittimi che arrivano in porti stranieri, lontano dalla città, la presenza di un centro dell’Apostolato del Mare con il cappellano e i volontari è sempre un faro di luce per loro che hanno navigato per settimane solo in compagnia di se stessi. Il servizio costante reso con amore per rispondere alle esigenze di tutti gli equipaggi, a prescindere da credo e nazionalità, porta speranza nei momenti di scoraggiamento. La solidarietà verso i marittimi sfruttati e abbandonati – ha concluso il porporato - è espressione dell'amore di Cristo per tutti. Con la vostra vita, spesso senza dire una parola, voi siete operatori di evangelizzazione! La Chiesa apprezza il vostro lavoro, e vi è grata per quello fate”.

    Da parte sua, mons. Joseph Kalathiparambil, segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, ha voluto ricordare nel suo intervento che mercoledì prossimo ricorre la Giornata Mondiale della Pesca. “Per tale occasione e in spirito di solidarietà – ha detto - uniamo la nostra voce a quella di tante comunità di pescatori per invitare le Organizzazioni internazionali e i Governi a sviluppare norme che garantiscano un lavoro dignitoso, sicuro e produttivo. Soprattutto rivolgiamo un accorato appello affinché sia ratificata la Convenzione sul Lavoro nella Pesca, 2007 (n. 188) volta ad assicurare condizioni lavorative sicure e protezione sociale”.

    Venerdì prossimo a mezzogiorno ci sarà poi l’incontro con il Papa. “Sarà un momento spirituale molto importante e profondo – ha sottolineato mons. Kalathiparambil - Novant’anni dopo l’approvazione delle prime Costituzioni e della benedizione di questo apostolato da parte di Pio XI, Papa Benedetto XVI riconfermerà il sostegno della Chiesa a questo nostro ministero missionario ed evangelizzatore, tanto essenziale per la gente del mare”. Durante l’udienza il Papa benedirà una nuova immagine di Maria Stella Maris, dipinta con sembianze asiatiche dal pittore taiwanese Cheen Sheen.

    Le statistiche indicano un popolo di oltre 1.200.000 marittimi, di cui circa 400.000 provenienti dalle Filippine, ma la nuova realtà è rappresentata dai circa 200.000 marittimi originari di Russia e Ucraina che, da sola, ne fornisce oltre 80.000. I marittimi cristiani rappresentano circa il 60% di tutti i marittimi. Circa il 64% dei marittimi che sono a bordo di una nave non possono scendere a terra quando la nave è in porto per diversi motivi: lavoro, sicurezza, soste troppo brevi, porti lontani dalle città.
    Nel settore della pesca non esistono statistiche precise. Se includiamo i pescatori a tempo parziale e quanti sono impegnati nella pesca di acqua dolce e nell'acquicoltura, il numero si aggira sui 36 milioni (FAO). Si stima che circa 15 milioni di pescatori siano impiegati nell'industria della pesca. Il 98% di loro lavora su navi di lunghezza inferiore a 24 metri. Ogni anno, sono soggetti a infortuni il 25% dei pescatori. Gli incidenti sono più comuni per chi lavora da più tempo, e il rischio aumenta di tre volte se il pescatore ha più di dieci anni di esperienza. Il lavoro nella pesca è considerato tra i più pericolosi al mondo, e la pesca è al vertice o quasi delle statistiche di mortalità.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il vero avvenimento: all'Angelus il Papa parla del discorso di Gesù sugli ultimi tempi.

    Per crescere nella comunione e nella testimonianza: la lettera del Papa per l'insediamento di Tawadros II.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, la visita di Obama in Myanmar.

    La Chiesa di tutti i concili è la stessa: in cultura, il cardinale Walter Kasper sui cinquant'anni dall'apertura del Vaticano II.

    Liturgia e cultura: Keith F. Pecklers sul culto cristiano e le risposte alla sfide lanciate dalla postmodernità tra dialogo e critica.

    Riconosciamo insieme le nostre colpe: il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristriani (in un'intervista a Mario Galgano per la Radio Vaticana) sui cinquecento anni della Riforma.

    Non paga la svolta d'autore: Emilio Ranzato sulle deludenti pellicole in concorso al Festival internazionale del film di Roma, con una riflessione di Gaetano Vallini dal titolo "E se si evitasse la gara?".

    Nell'informazione religiosa, un articolo sulla richiesta dei rappresentanti religiosi, in Francia, di un ampio confronto sul cosiddetto "matrimonio per tutti".

    Presenza, servizio e solidarietà: il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, apre il XXIII congresso mondiale dell'apostolato del mare.

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    Oggi in Primo Piano



    Raid israeliani a Gaza: oltre 90 morti. Continuano i lanci di razzi di Hamas

    ◊   Decine di raid aerei in poche ore, oltre mille obiettivi di Hamas colpiti, oltre 90 palestinesi uccisi, tra i quali molti bambini, in sei giorni di operazioni. Questi i numeri delle incursioni israeliane su Gaza. Tre le vittime israeliane dei razzi lanciati da Hamas. Una situazione che preoccupa la diplomazia internazionale, impegnata febbrilmente nella ricerca di una soluzione all’intricata vicenda. In prima linea la Lega Araba, che domani invierà nella Striscia una delegazione di ministri degli Esteri di 7 Paesi arabi, accompagnati dal collega turco Davutoglu. Una presenza, quest’ultima, che evidenzia il ruolo di primo piano assunto da Ankara; il premier turco Erdogan è intervenuto in prima persona, parlando di “atti di terrorismo” compiuti da Israele. Ma quale può essere, arrivati a questo punto, la giusta via di uscita da una crisi che rischia davvero di deflagrare e fare da miccia per l’intero Medio Oriente? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Ennio Di Nolfo, docente emerito di Relazioni Internazionali presso l’Università di Firenze:

    R. - Mi pare che l’unica via di uscita attuale sia o il successo della mediazione turca ed egiziana o il successo - se così si può dire - di un’azione militare limitata di Israele nella Striscia di Gaza. Ovviamente, tra le due, c’è una differenza fondamentale!

    D. - Gli Stati Uniti hanno assunto - anche in questo caso - una posizione un po’ defilata: la stessa che ha caratterizzato i primi quattro anni di amministrazione Obama. Ora quali potrebbero essere le mosse della Casa Bianca?

    R. - Io credo che la Casa Bianca abbia due possibilità di azione. La prima è sostenere fino in fondo il governo turco, che è uno dei principali alleati della Nato; l’altra, non far mancare - a causa dei sospetti recenti - il proprio appoggio sia all’Egitto, sia ad Israele, ma segnalare anche ai palestinesi i rischi che un eccesso di intransigenza può provocare.

    D. - Sono in molti a ritenere che dietro l’attacco a Gaza ci sia l’intenzione di muovere, da parte di Israele, un attacco a Teheran. Ma senza l’appoggio di Washington, questo ovviamente sarebbe molto difficile…

    R. - Credo che nessuno voglia la guerra nell’area in questo momento: qualsiasi conflitto provocherebbe una catastrofe, nella quale lo stesso Israele finirebbe per essere travolto da quello che può accadere. Mi pare, quindi, che Washington debba e possa soltanto intervenire nella maniera orientata verso la pacificazione.

    D. - Lei ha parlato dell’Egitto, un Paese che esce da una rivoluzione come quella delle “primavere arabe”: ci possiamo attendere qualche sorpresa, in questo momento? Il presidente Morsi si gioca la sua credibilità e gioca il ruolo del suo Paese a livello internazionale…

    R. - Certo, però a mio parere esiste un aspetto della situazione che pochi valutano e cioè il fatto che tra Egitto ed Israele vi sia un elemento di contiguità e di interesse comune, che costringe quindi i due Paesi non a combattersi, ma a mettersi d’accordo. Questo elemento è rappresentato dalla situazione della Penisola del Sinai che, dal punto di vista della sovranità, è egiziana, ma che di fatto è percorsa da gruppi islamisti, estremisti, qaedisti e quindi sfugge al controllo del governo egiziano. E’ interesse di entrambi ricondurre questa regione sotto un controllo stabile.

    D. - Per quanto riguarda, invece, la Turchia che gioca un ruolo importantissimo in questa crisi, forse bisognerebbe riflettere sul fatto che si lascia il destino del Medio Oriente in mano ad un Paese che arabo non è...

    R. - Questa cosa è molto importante! In realtà la Turchia è un Paese cerniera, ma non dobbiamo dimenticare che è anche il Paese che contende all’Italia il dominio del Mediterraneo. La Turchia è legata all’Alleanza Atlantica dal 1952, ma in realtà dal ’47 con la Dottrina Truman, e ha un vincolo che non può essere tagliato, perché tagliarlo significherebbe distruggere le possibilità di manovra che ha la Turchia sia verso il continente europeo, sia verso il Medio Oriente.

    D. - A proposito dell’Europa, non crede che questa sia l’occasione per far sentire il suo peso diplomatico e strategico? Dopotutto il Medio Oriente è, per il vecchio continente, davvero dietro l’angolo…

    R. - Lo sarebbe se l’Europa avesse una politica estera, ma purtroppo la politica estera europea è divisa tra gli orientamenti non convergenti dei vari Paesi e tra la volontà di primato di qualche Paese sugli altri.

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    Appello della Caritas: ospedali di Gaza al collasso, servono aiuti urgenti

    ◊   La Mezzaluna rossa ha chiesto l’apertura di un corridoio umanitario per portare aiuti e medicine alla popolazione civile di Gaza. Oltre 900 sono i feriti che si trovano negli ospedali della Striscia, tra di loro 225 bambini. Continui i black out elettrici che impediscono le operazioni chirurgiche. A denunciare la grave emergenza sanitaria anche Caritas Gerusalemme, Benedetta Capelli ha intervistato la direttrice Claudette Habesch:

    R. – The situation in Gaza has become very difficult. …
    La situazione a Gaza è diventata molto difficile. Si continuano ad uccidere esseri umani, e questo senza motivo! C’è un’altra soluzione, c’è un’altra via: non la guerra a Gaza!

    D. – Qual è l’impegno di Caritas Gerusalemme in questa zona ormai segnata dal conflitto?

    R. – Caritas is very busy now, contacting the hospitals. …
    La Caritas, in questo momento, è impegnata a mantenere il contatto con gli ospedali. Abbiamo un centro medico a Gaza, una clinica mobile in grado di raggiungere sei zone diverse di Gaza. Gli ospedali, insieme al nostro centro medico, hanno lanciato un appello per chiedere medicine, disinfettanti perché ci sono centinaia di feriti già ricoverati negli ospedali. Le strutture sono stracolme di feriti, ma noi dobbiamo poter fornire agli ospedali il materiale di cui hanno bisogno. Abbiamo già comprato gran parte dei medicinali necessari che abbiamo potuto trovare a Gaza; nel frattempo, la Caritas ha lanciato un appello d’emergenza a tutta la rete Caritas, affinché si possa continuare a Gaza la nostra importante opera.

    D. – Negli ultimi giorni c’è stata questa grande offensiva e purtroppo tra le vittime ci sono tanti bambini. C’è un progetto preciso a cui Caritas Gerusalemme sta pensando per aiutare quei bambini che sono rimasti traumatizzati dai bombardamenti?

    R. – Our children have been traumatized all through, not only today. …
    I nostri bambini sono traumatizzati da sempre, non è cosa di oggi. Purtroppo, oggi ancora di più perché i bombardamenti non fanno differenza tra un bambino, una donna e gli esseri umani in generale. Sì, i nostri bambini sono traumatizzati ma la Caritas ha già avviato un programma sociale a Gaza per assisterli; abbiamo intenzione di impegnare ancora più assistenti. Il problema più grande che abbiamo incontrato in questi ultimi due-tre anni con i bambini traumatizzati è stato raggiungere quei bambini ai quali sono stati amputati gli arti. Lavoriamo in stretto contatto con un’organizzazione che produce le protesi appositamente per loro. La Caritas sostiene questi bambini non solo perché procura loro le protesi, ma anche perché attraverso i suoi assistenti sociali accompagna i bambini e le mamme, a loro volta profondamente colpite.

    D. – Lei è una cristiana palestinese. Cosa sente di dire in questo momento di grande difficoltà del suo popolo?

    R. – I am a Palestinian, I am very proud of my identity as Palestinian, and I am …
    Sono palestinese. Sono orgogliosa della mia identità palestinese, e sono cristiana in Terra Santa, sono cristiana della Chiesa madre e sono molto orgogliosa della mia identità di cristiana. Ma non bisogna dimenticare che noi siamo un popolo unico, e noi cristiani siamo parte integrante della popolazione palestinese. Quello che colpisce il mio fratello musulmano, colpisce anche me, che sono cristiana; colpisce l’intera popolazione. Ma noi come cristiani sappiamo anche di avere un ruolo particolare, quello di testimoniare il messaggio di Cristo, il messaggio di amore e di perdono. E questa è la ragione per cui quando rendiamo un servizio, lo rendiamo a tutti i figli di Dio, senza alcuna discriminazione.

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    Obama in Myanmar: Aung San Suu Kyi "icona di democrazia"

    ◊   Sono qui per porgere una mano di amicizia. Così si è espresso oggi il presidente statunitense, Barack Obama, nel discorso all’Università di Rangoon, in Myanmar. Il capo della Casa Bianca ha poi definito "icona di democrazia" la leader dell’opposizione e Premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, quindi ha auspicato che continui nel Paese la via delle riforme. Sul significato di questo viaggio in Myanmar, il primo di un presidente americano, Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Francesco Montessoro, docente di Storia dell’Asia presso l’Università Statale di Milano:

    R. – Il viaggio in Myanmar è veramente importante, perché il presidente degli Stati Uniti arriva in un Paese che fino a ieri è stato fuori dalla comunità internazionale per la natura del regime militare e per le caratteristiche della sua storia negli ultimi 20 anni. Oggi, noi abbiamo un quadro politico completamente mutato per la possibilità di elezioni suppletive, per l’ingresso di Aung San Suu Kyi nel parlamento birmano, per la liberazione di centinaia di oppositori in prigione da anni...

    D. – Proprio Obama nel suo discorso di oggi ha parlato di un Paese, sì isolato, ma che può comunque dimostrare che riforme e sviluppo possono andare avanti di pari passo…

    R. – Si tratta di un Paese dotato di grandi prospettive. Alle radici dell’apertura internazionale di questi mesi, vi è precisamente l’integrazione in un’area che è in rapido sviluppo. Non bisogna dimenticare che il Myanmar, ormai da parecchi anni, è membro dell’Asean, dell’Associazione dei Paesi dell’Asia sudorientale, vale a dire di un’area che è comunque estremamente dinamica.

    D. – Dunque, molto è cambiato da quando le sanzioni internazionali sul Myanmar si sono alleggerite?

    R. – Certo. Il Myanmar è dotato di risorse non trascurabili, è dotato di una posizione strategica di tutto rilievo in un contesto molto propulsivo.

    D. - Nei suoi discorsi, Aung San Suu Kyi ha più volte ribadito: la strada verso la democrazia è ancora lunga e il processo non è ancora irreversibile…

    R. – Diciamo che non c’è la certezza di un mutamento di classe dirigente, in termini generali. Bisognerà attendere il 2015, quando si effettueranno nuove elezioni. Nel frattempo, c’è un processo aperto che è estremamente positivo e la presenza di Obama, oggi, ha un valore straordinario non solo dal punto di vista americano. In questo modo, infatti, il Myanmar diventa pedina di una strategia americana di avvicinamento all’Asia, anche in relazione al contenimento della Cina. E soprattutto, è la garanzia internazionale di un processo che è in corso e che non pare avere limitazioni vere al proprio interno.

    D. - Questo anche se nel Paese la situazione rimane difficile: nell’ovest, ci sono gli scontri tra buddhisti e musulmani, parliamo di oltre 180 persone morte e di oltre 100 mila che sono state costrette a fuggire dalle loro case…

    R. - Quando si parla di vite umane non c’è mai nulla di marginale. Tuttavia, in termini politici la questione delle minoranze musulmane non ha un carattere strategico. Sono i rapporti con le minoranze delle montagne, con Kachin, Shan, Karenni…

    D. - Gli autonomisti?

    R. – Esatto, e questi hanno un valore strategico. Il destino della Birmania si gioca sugli equilibri tra i gruppi etnici birmani e sulla forte presenza di gruppi etnici minoritari che sono dotati anche di propri eserciti.

    D. – Il cambiamento che sta avvenendo sul fronte politico-democratico potrebbe aiutare l’unità del Paese anche nei confronti di chi vanta autonomie?

    R. – E’ un elemento centrale. Se il Myanmar accompagna la sua marcia verso la democrazia a un rapporto nuovo con le minoranze del nord, ci sono buone speranze per un mutamento sostanziale.

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    A Cuba nuova tornata di colloqui tra le Farc ed il governo colombiano

    ◊   Prendono avvio oggi a Cuba i negoziati di pace tra il governo colombiano e i guerriglieri delle Farc. I più scettici guardano a questa nuova fase di conciliazione con una certa diffidenza: sarebbero poche le speranze di risolvere un conflitto che dura ormai da più di 50 anni. L’isola caraibica, insieme al Venezuela, ha deciso di assumere un ruolo importante nel processo di pace. Lucia Fiore ha chiesto un'opinione ad Andrea Amato, esperto di questioni latinoamericane, sulle effettive possibilità di riuscita del confronto:

    R. – Sicuramente, Cuba ne gioverebbe perché è stata parte in causa di questa possibile pace e quindi avrebbe nuovi alleati. Mentre, invece, il Venezuela con Chavez sicuramente ne verrebbe indebolito: Chavez infattio è stato da sempre uno dei primi sostenitori delle Farc e un avversario, non solo politico, del governo colombiano. Quindi, le due posizioni sono distinte. Chi sicuramente andrebbe a perderci sarebbero dunque Chavez e il Venezuela.

    D. – Alla luce dei negoziati avviati ad Oslo, cosa c’è da attendersi concretamente?

    R. – Il trattato di pace sembrerebbe molto ben avviato. C’è da dire, però, che le Farc, in modo tattico, chiedono di intervenire all’interno delle scelte politiche del presidente Santos e quindi della politica colombiana, che invece tiene le Farc assolutamente fuori da queste decisioni. Recentemente, il presidente ha dichiarato che si sta discutendo di un trattato di pace sul disarmo dei guerriglieri. Non si parla dunque di politica estera, nè di politica economica e di trattati internazionali con alleati economici per la Colombia: quello è un discorso che riguarda esclusivamente il governo colombiano. Santos, rivolgendosi alle Farc, ha detto: “Il giorno dopo che avrete abbandonato le armi, potrete partecipare al dibattito politico e democratico di questo Paese. Fino ad allora, non accoglieremo le vostre tesi sulla gestione dello Stato”.

    D. – Quali i punti che dividono o avvicinano il governo e le Farc?

    R. – In realtà, il punto principale che divide è interno alle Farc. Sostanzialmente, le Farc sono nate negli anni '60 da un gruppo di campesinos marxisti, che in seguito hanno sviluppato confuse teorie marxiste-maoiste e bolivariane. Ma in realtà, non hanno un progetto politico democratico, non sono un partito con un’idea democratica e politica ben precisa. Il loro collante è sempre stata la guerriglia e questo un po’ preoccupa. Infatti, difficilmente entrando in un processo democratico e politico riuscirebbero ad avere un’influenza in caso di eventuali elezioni. Questo è ciò che più spaventa le Farc: potrebbero sparire dallo scenario colombiano.

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    Francia. Manifestazioni pro famiglia. Mons. Jordy: cattolici e non, uniti in difesa della ragione

    ◊   Oltre centomila persone sono scese in piazza anche ieri a Parigi e nelle più grandi città della Francia per protestare contro il progetto di legge sulle nozze e adozioni gay. Per la seconda giornata consecutiva i manifestanti, cattolici e non, si sono radunati per difendere la famiglia e il diritto dei bambini ad avere un papà e una mamma. Il progetto di legge, approvato dal governo socialista del presidente Hollande il 7 novembre scorso, deve affrontare ora il voto del Parlamento. Netta l’opposizione della Conferenza episcopale francese. Xavier Sartre ha intervistato il vescovo di Saint-Claude, Vincent Jordy:

    R. – Si vous regardez attentivement l’ensemble des prises de parole des évêques …
    Se esamina attentamente l’insieme delle prese di posizioni dei vescovi di Francia, si renderà conto del fatto che gli argomenti che utilizziamo sono argomenti che si fondano sulla ragione, sono in primo luogo argomenti che ricordano che si andrà a cambiare la definizione di matrimonio, e questo è assolutamente allucinante! La definizione di matrimonio verrà cambiata solo per il 2,5 per cento della popolazione. In secondo luogo, si aprirebbero discriminazioni assolutamente intollerabili. In base a quale criterio, ad esempio, si deciderà che i bambini siano adottati da due uomini, da due donne, da un uomo e una donna? Come si deciderà? E quale potrà essere la reazione dei bambini quando, tra i dieci e i dodici anni, quando si sviluppa la consapevolezza di sé, si renderanno conto che sia stato scelto per loro un tipo di coppia piuttosto che un altro? Riesce a pensare ai problemi che ne nasceranno? E non parlo nemmeno dei problemi di carattere psicologico, che già sono stati evidenziati dagli psichiatri infantili, ma molto più semplicemente nell’ambito del diritto. Penso, insomma, che sia necessario essere estremamente prudenti.

    D. – Dunque, i vescovi francesi si sono opposti al progetto di legge essenzialmente con motivi razionali …

    R. – Ce qui me parait tout à fait pertinent aujourd’hui c’est que …
    Quello che oggi mi sembra molto pertinente è che la Chiesa è forse l’ultima istituzione in Occidente a difendere la ragione. E non è per caso che non ci ritroviamo soli, in questo dibattito, perché si potrebbe pensare che la Chiesa cattolica sia scesa in campo da sola. Altre religioni sono con noi, ma penso anche ad altre realtà: la “Caisse d’allocation familiale” (Fondo per il sostegno alle famiglie) ha espresso parere contrario; l’Associazione degli adottati di Francia ha detto di no … Questo significa che non siamo un fronte di religiosi o di religioni, né un fronte biblico, ma sono innanzitutto il buon senso e la ragione che ci spingono ad esprimerci in questo modo. Come diceva Cartesio, il buon senso è la cosa più condivisa al mondo. Non è sufficiente, però, solo avere buon senso: bisogna anche saperlo utilizzare. E’ l’inizio del discorso sul metodo cartesiano, che ad alcuni farebbe bene rileggere …

    D. – Queste manifestazioni non sono state organizzate dai vescovi …

    R. – Les évêques n’ont pas rien fait. Pratiquement, 70 évêques …
    I vescovi non hanno fatto niente. Praticamente, una settantina di vescovi hanno rilasciato dichiarazioni su questa legge, dicendo il loro disaccordo e anche il perché del loro disaccordo, chiedendo un dibattito più ampio, chiedendo anche di prendere in considerazione l’insieme della problematica che questa legge implica e pone … Quindi, in un certo senso, quello che il cardinale Vingt-Trois e noi vescovi abbiamo detto è che noi abbiamo fatto quello che dovevamo fare: noi siamo i pastori e quindi abbiamo chiarito e dobbiamo chiarire, abbiamo voluto aiutare a riflettere, abbiamo invitato a pregare … La Chiesa non è dei vescovi, non è dei preti, non è dei diaconi permanenti: la Chiesa è l’insieme dei battezzati cattolici che si riconoscono nella fede che proclamano, e questa è una fede operativa. Siamo nell’anno della “Diaconia 2013”, e diaconia significa servizio ai più deboli e ai più poveri, significa risvegliare l’attenzione della società su questioni così importanti. Anche questo significa diaconia: il servizio alle persone. Quindi, esiste la possibilità di manifestare, esiste la possibilità di scrivere ai politici, c’è la possibilità di scrivere sulla stampa, esiste un’opinione pubblica cattolica che ha il dovere di manifestarsi.

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    "Senza dignità": Antigone presenta il IX Rapporto sulla situazione nelle carceri

    ◊   E’ del 142,5% il tasso del sovraffollamento delle carceri in Italia che, in Europa, si conferma il peggior Paese per la condizione degli Istituti. Lo stabilisce ancora una volta l’annuale monitoraggio dell’Associazione Antigone, che oggi ha presentato il suo IX Rapporto nazionale sulle condizoini di detenzione intitolato “Senza dignità”. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    In meno di tre anni, i detenuti sono cresciuti di 1.894 unità. Nel 2010, è stato dichiarato lo stato di emergenza per il sovraffollamento carcerario, ma ancora oggi nelle carceri della Penisola vi sono oltre 140 detenuti ogni 100 posti letto. Patrizio Gonnella, presidente di Antigone:

    "Non ha funzionato né il piano carceri puramente edilizio, né le leggi definite enfaticamente 'svuota carceri' o 'salva carceri'. Ci vuole un intervento d’urto per ridurre la popolazione detenuta, facendo uscire persone che non sono un pericolo per la sicurezza sociale. Bisogna intervenire in modo determinato sulla custodia cautelare e sulla legge sulle droghe - almeno queste - e poi sulla legge sulla recidiva. Da questo bisogna partire. Ovvio, che se ci sono 66 mila persone in carcere a fronte di 45 mila posti letto, se le persone vengono tenute 20 ore su 24 in cella, in una situazione in cui oziano e guardano la televisione, avendo a disposizione due metri, due metri e mezzo a testa, questo è un fallimento, perché significa destinarle alla recidiva. Oggi, nelle carceri, i detenuti - e molte volte anche gli operatori insieme a loro - vivono in una condizione di assenza di dignità".

    Attualmente, i detenuti sono 66.685 distribuiti nei 206 istituti penitenziari con una capienza totale di 46.479 posti. Il sovraffollamento si registra in tutte le regioni italiane, ai primi tre posti Liguria, Puglia e Veneto. E il più delle volte conduce ad una violazione dei diritti umani. Ancora Gonnella:

    "Questo non si spiega, non è ammissibile. Il sovraffollamento deve essere contrastato: non è una calamità naturale, ma è frutto di politiche penali. Detto questo, la parte più strettamente amministrativa deve farsi carico di far stare le persone in carcere conformemente a quanto prevede la legge. Le persone non possono essere ammassate in quel modo: dentro ci sono persone che hanno compiuto reati gravi, ma ci sono anche presunti innocenti. Il 40% dei detenuti nelle carceri italiani è in custodia cautelare, non è stato cioè ancora giudicato e sta lì ad aspettare che arrivi il processo: una percentuale quasi doppia rispetto a quella dei Paesi europei, cui amiamo confrontarci. E’ una questione di risorse, ma è una questione anche di volontà".

    Antigone nel suo rapporto denuncia non solo i troppi detenuti, ma anche una cronica carenza di personale. A fronte di un aumento numerico dei carcerati, si è anche registrato un evidente calo delle risorse economiche destinate all’amministrazione penitenziaria:

    "Con l’amministrazione penitenziaria devo dire che, negli anni, c’è sempre stato un dialogo. Ovviamente, è un sistema - come tutto il sistema italiano - a macchia di leopardo: punti di riferimento positivi in un territorio e meno positivi o silenti in un altro territorio. Per quanto riguarda l’aspetto più politico, dopo tanti anni di assenza di comunicazione e di dialogo, di assenza di consapevolezza, c’è stata una presa in carico del problema. Io penso che ci debba essere adesso qualcosa di più che solo la consapevolezza che il problema esista: ci deve essere veramente un intervento di restituzione di dignità. Bisogna avere il coraggio di interventi pragmatici e non ideologici. Prendiamo la questione delle droghe: è possibile che in Italia ci sia più narcotraffico e più tossicodipendenza? Può essere che ce ne sia più che in Inghilterra, in Germania, in Francia e in Spagna? Ovviamente, non è così! E’ che abbiamo una delle leggi più severe e repressive dell’impianto europeo. Bisogna capire che le politiche di riduzione del danno vanno fatte anche dentro le carceri, perché non ci si può bendare gli occhi che in carcere ci sono i tossicodipendenti; non ci si può bendare gli occhi che in carcere i tossicodipendenti passano le giornate assumendo psicofarmaci e tagliandosi… Tutto questo va detto, va raccontato e bisogna intervenire".

    Antigone oggi ha inoltre presentato “Inside carceri”, un webdoc d’inchiesta realizzato assieme a Next New Media, da oggi visibile gratuitamente all’indirizzo: decine di video e centinaia di immagini che documentano per la prima volta la vita in 25 istituti detentivi italiani.

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    Raccolta fondi per la ricostruzione delle Chiese di Mantova colpite dal sisma

    ◊   Per una comunità, perdere la chiesa non è solo perdere il luogo della fede, ma anche una parte della propria identità. Lo ricorda la campagna di raccolta fondi “Le nostre chiese, la storia di tutti”, presentata oggi nella Curia arcivescovile di Milano. L’obiettivo è di recuperare gli edifici di culto della diocesi di Mantova, per il 42% inagibili dopo le scosse di terremoto del 20 e del 29 maggio scorsi. Sono 83 le chiese attualmente lesionate: tra queste, alcune presentano una situazione estremamente grave, come sottolinea al microfono di Fabio Colagrande il vescovo di Mantova, mons. Roberto Busti:

    R. – C’è bisogno di molti fondi, perché abbiamo più di 20 chiese - che noi chiamiamo quelle di “codice rosso” - cioè che sono o cadute quasi totalmente o con danni enormi. Queste rappresentano la ferita ancora più grave, proprio una ferita visibile. Adesso, sono stati messi in sicurezza le pareti e i tetti, ma il guardare avanti rimane ancora un grande punto di domanda, proprio perché, quando affronteremo anche il problema di queste chiese, le cifre diventeranno enormi.

    D. – La campagna di cui stiamo parlando ha anche un titolo: “Le nostre chiese, la storia di tutti”, che allude all’importanza che un edificio di culto può avere proprio per la vita civile, quindi anche per i non credenti. Davvero è così?

    R. – E’ così. Proprio nei momenti di maggiore difficoltà, dopo le due tremende scosse e le altre che sono arrivate, ho visto tutti preoccupati per questo, indipendentemente non solo dalla fede ma anche dalla frequenza. Ho visto quasi un coro di persone che, nonostante le difficoltà, assieme alle persone preposte per questo hanno lavorato, anche nel rischio, per cercare di recuperare almeno i beni mobili che c’erano nella chiesa: quadri, tabernacoli, qualcosa da mettere in salvo per non vedere distrutto tutto. E ho visto le lacrime di tante persone che mi dicevano: ci manca qualcosa, ci manca qualcosa di troppo importante adesso, per cui ci troviamo in qualche modo, nonostante tutto, uniti insieme.

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    Diagnosi preimpianto. Carlo Casini: governo rispetti impegno di ricorrere contro Corte Ue

    ◊   In occasione dell’anniversario della Convenzione per i diritti dell’infanzia, firmata il 20 novembre 1989, questa mattina a Roma presso la Sala Stampa della Camera è stato presentato il libro “Noi non li dimentichiamo” scritto da Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita italiano ed europarlamentare. Il testo vuole ricordare che i diritti dei minori e i doveri degli adulti riguardano tutti i bambini, anche quelli non ancora nati. Alla presentazione c’era per noi Paolo Ondarza:

    Era il 10 dicembre 1979: nel ricevere il Premio Nobel per la pace, Madre Teresa di Calcutta definiva l’aborto come il “principio che mette in pericolo la pace nel mondo”. Dieci anni dopo, veniva redatta la Convenzione sui diritti dell’infanzia, nella quale si stabiliva il dovere di tutelare i fanciulli nel periodo precedente e seguente la nascita. Celebrando l’anniversario, il libro di Carlo Casini intende colmare un vuoto, come spiega l’autore:

    “Il vuoto è che nella cultura moderna, e quindi anche nella Convenzione sui diritti dei bambini, che è stata firmata da tutti i popoli della Terra il 20 novembre dell’89: si parla dei bambini, si definiscono uguali tra loro, ma oggi i bambini non ancora nati non vengono mai, mai, mai ricordati. Quindi, questo libro pensa di dare una mano alla modernità, dicendo: ‘Siete per l’uguaglianza, allora siatelo fino in fondo”.

    Il testo di Casini cita tutti i passaggi nei quali la legge italiana così come quella internazionale riconoscono il concepito come una persona. Un assunto che, nella prassi, viene però troppo spesso dimenticato. E a farne le spese sono i più deboli, coloro che non hanno voce se non quella di chi li riconosce come esseri umani. Ancora Casini:

    “Che la legge italiana consenta, anzi imponga, di riconoscere il concepito come un essere umano e come una persona conta poco rispetto alla pressione dei centri di potere che, a loro volta, producono effetti sui giudici. Questa è la verità.”

    L’embrione non è un grumo di cellule, ma un essere umano a pieno titolo. Lo confermano le tante teorie di scienziati, giuristi, filosofi citate da Carlo Casini. Ma la testimonianza più eloquente è senz’altro quella delle madri eroiche – da Gianna Beretta Molla a Chiara Corbella Petrillo, morta nel giugno scorso – che hanno donato la loro vita per salvare quella del bambino nel loro grembo:

    “Certo, questa è una prova. Ma non è tanto l’eroismo delle madri, quando il fatto che di fronte a queste donne coraggiose anche il mio amico Marco Pannella e anche la mia amica Emma Bonino tacciano: non dicono che queste donne sono pazze, stupide, che hanno fatto una follia. Queste donne hanno lasciato il marito, i figli per che cosa? Per un grumo di cellule? Loro affermano che è un grumo di cellule, però poi ammirano queste donne eroiche. Non è eroe colui che muore per una stupidaggine”.

    La presentazione del libro ha dato occasione all’autore di ricordare che a breve scadrà il termine dato al governo italiano per ricorrere contro la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, che ha bocciato il "no" della Legge 40 alla diagnosi preimpianto:

    "Proprio alla Radio Vaticana, il ministro della Salute Balduzzi disse che aveva intenzione di fare ricorso. Il ricorso è già stato preparato, ma sembra non sia stato presentato. È l’ora di adempiere a un dovere, che è anche giuridico, perché di fronte ad una questione così grave deve pronunciarsi la Grande Camera".

    “La civiltà di un popolo si vede da come esso tutela un bambino”, spiega Antonio Baldassarre, presidente emerito della Corte Costituzionale, che definisce quella del riconoscimento giuridico del nascituro non solo una questione di fede, ma di ragione:

    “Credo che impostarlo come problema razionale sia fondamentale proprio per confrontarsi con gli altri e trovare possibilmente un punto di incontro. Razionalmente, è difficile trovare una soluzione diversa dal concepimento come origine del processo di formazione della persona umana: voglio sentire quali obiezioni gli altri mi fanno sul piano della ragione, e sinceramente è difficile trovarne”.

    Il testo di Carlo Casini invita a riflettere sul fatto che la vita umana non ha inizio con quella che comunemente chiamiamo “nascita”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Gaza: dalla parrocchia cattolica "l'apostolato delle chiamate"

    ◊   Una telefonata per avere notizie e offrire aiuto e vicinanza. È “l’apostolato delle chiamate” che i religiosi e le religiose dell’Istituto del Verbo incarnato, che guidano la parrocchia latina della Striscia di Gaza (200 fedeli), hanno avviato da sabato pomeriggio per tenere uniti i fedeli e cercare di venire incontro alle loro necessità. È quanto emerge dalla testimonianza di padre Pablo De Santo, collaboratore del parroco padre Jorge Hernandez che ieri, al quinto giorno di bombardamenti, è rientrato dall’Argentina, dove si trovava per motivi familiari, a Gaza, dai suoi parrocchiani “per non lasciarli soli un giorno in più”. Dalla testimonianza, resa nota dal Patriarcato latino di Gerusalemme e ripresa dall'agenzia Sir, si apprende che la comunità locale sta bene anche se “la notte tra sabato e domenica è stata la più difficile, fino ad ora. Anche se si era sentito parlare di una tregua, i missili hanno iniziato a fischiare alle 23, e hanno continuato fino alle 7 del mattino. Questa volta, i missili sono caduti anche vicino a dove viviamo. Non ci sono stati danni materiali alla parrocchia o alle case delle suore”. Da sabato pomeriggio “le suore hanno iniziato "l’apostolato delle chiamate": hanno cercato di raggiungere telefonicamente i parrocchiani per chiedere loro come stavano e se avevano bisogno di qualcosa, mettendosi a loro disposizione. La maggior parte delle persone si trova in casa e cerca di uscire il meno possibile. Quelli con cui abbiamo parlato sono molto spaventati e non riescono a dormire la notte”. (R.P.)

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    Giornata di preghiera e di impegno per i bambini vittime di guerra

    ◊   In occasione della Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia, promossa nell’anniversario della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, domani, 20 novembre, si celebrerà la “Giornata di preghiera e di azione per i bambini”, lanciata nel 2008. L’iniziativa è fortemente sostenuta dall’Ufficio internazionale cattolico dell’infanzia (Bice), che ha proposto di dedicare il 2012 ai bambini vittime dei conflitti armati. E’ importante il contributo di tutti ed è possibile partecipare inviando intenzioni di preghiera dedicate ai piccoli, all’indirizzo email contact@bice.org, o a quello postale Bice, 70 Bd de Magenta, 75010 Paris. Le intenzioni verranno raccolte durante la Messa di domenica prossima, 24 novembre, celebrata a Parigi, dopo la quale si terrà la conferenza “I bambini sono le prime vittime dei conflitti” presieduta da padre Olivier Poquillon, delegato permanente dei Domenicani presso le Nazioni Unite e Direttore della Commissione Domenicana di Giustizia e Pace. Padre Olivier è stato a lungo impegnato in diverse zone di guerra di Africa e Medio Oriente. In un comunicato giunto all’agenzia Fides il Domenicano afferma che “nei periodi di guerra, i bambini sono quelli che soffrono di più: costituiscono la maggior parte dei morti, dei feriti e dei traumatizzati. Attori o vittime dei combattimenti, continuano a soffrire anche quando le ostilità sono finite. Sebbene siano totalmente vittime, i bambini sono paradossalmente anche portatori di speranza, perché l’attenzione per il bambino è l’ultima cosa che rimane quando tutto il resto è crollato. Essi mostrano anche una capacità di recupero straordinaria che può influenzare positivamente le loro comunità. Si tratta di una grande ingiustizia nei loro confronti, ma anche della loro forza” conclude padre Poquillon. (R.P.)

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    Myanmar: per i vescovi la visita di Obama dà speranza a democrazia e libertà religiosa

    ◊   “La visita del Presidente Obama è sicuramente un segno molto positivo per il Paese e sarà un incoraggiamento a proseguire sulla strada delle riforme, verso la democrazia e la piena libertà religiosa”: è quanto dice all’agenzia Fides mons. Charles Bo, arcivescovo di Yangon e segretario generale della Conferenza episcopale del Myanmar, commentando il tour asiatico del Presidente Usa, Barak Obama, oggi in Myanmar. L’arcivescovo, che è anche presidente delle Commissioni episcopali per la Formazione e per il Dialogo interreligioso, esprime “le grandi speranza dei vescovi e di tutti i cristiani del Myanmar soprattutto riguardo alle libertà”, dopo una storica visita che nel Paese ha registrato grande successo di pubblico. Il Presidente Obama ha incontrato sia il capo del Governo, Thein Sein, sia la leader dell’opposizione, Aung San Suu Kyi. L’arcivescovo dichiara a Fides: “La visita è stata molto amichevole. La folla era festante. Credo che l’evento sia una nota molto positiva nel processo di sviluppo verso la democrazia. Per alcuni il Presidente Obama doveva aspettare ancora un po’ prima di fare questo passo. Ma siamo sicuri che si avranno effetti positivi a livello sociale e politico per la popolazione, anche nel campo dell’istruzione e dell’assistenza sanitaria”. Un effetto sperato è quello relativo alla libertà religiosa: “Sul terreno ci sono situazioni diverse – spiega l’arcivescovo a Fides – ma l’orientamento generale è positivo. Obama ha parlato di libertà di culto, che è propedeutica alla piena libertà religiosa. Come vescovi siamo pieni di speranze. Credo che il governo si stia muovendo nella giusta direzione sul delicato tema delle libertà. In occasione della visita, ha concesso l’amnistia per 518 prigionieri, dando un segnale di buona volontà”. La visita cade mentre il Paese è attraversato da gravi conflitti etnici, come quello fra l’esercito e i ribelli kachin (nel nord del Paese) o quello fra gruppi buddisti e musulmani Rohingya nello stato di Rakhine. “Per tali spinose questioni, non credo che la visita di Obama potrà avere un impatto diretto e immediato: ci vuole più tempo, siamo di fronte a situazioni complesse, nelle quali la parola d’ordine, più che mai necessaria, è riconciliazione: da qui bisogna ripartire per sanare queste ferite ancora sanguinanti e pacificare il Paese”. (R.P.)

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    Congo. Nord Kivu: ribelli alle porte di Goma. Panico nella città

    ◊   “Dalle prime ore del giorno la situazione è calma. Nella notte abbiamo ancora sentito colpi d’arma da fuoco ma nulla di paragonabile rispetto a ieri. E’ stato un continuo di detonazioni di artiglieria pesante. La popolazione è in preda al panico, anche perché non siamo informati su quanto stia realmente accadendo. Sappiamo solo che i ribelli sono ormai alle porte di Goma, a soli tre chilometri da noi” dice all'agenzia Misna Maman Gogo, presidente del Collettivo delle associazioni femminili per lo sviluppo (Cafed) nel capoluogo della provincia del Nord-Kivu. “Stamani in città negozi e uffici sono rimasti chiusi, i mezzi di trasporto pubblici non sono in servizio. Ai punti nevralgici ci sono blindati dell’esercito e soldati, ma pochi. La gente ha cominciato a uscire per le strade, cerca di farsi coraggio a vicenda e si interroga – prosegue l’attivista – Qui ci sentiamo abbandonati a noi stessi e non capiamo come sia possibile che Goma venga consegnata ai ribelli senza opporre resistenza”. La città, affacciata sul Lago Kivu, è un importante crocevia commerciale al confine con il Rwanda; negli ultimi mesi in diverse occasioni i ribelli avevano minacciato di compiere un assalto ‘finale’. Il conflitto riaccesosi dallo scorso aprile nel Nord-Kivu sta precipitando. Dopo settimane di tregua, giovedì scorso i ribelli del Movimento del 23 marzo (M23) e l’esercito regolare congolese (Fardc) hanno ripreso a combattere nei pressi di Kibumba, 30 chilometri a nord di Goma. Da allora i miliziani hanno continuato ad avanzare in direzione del capoluogo: dopo aver raggiunto Kibati (a 17 chilometri) sono arrivati a Munigi e ieri all’aeroporto di Goma, a circa tre chilometri dal centro. “A vivere le ore più difficili sono state le migliaia di sfollati del campo di Kanyarucinya (che ospita 57.000 persone arrivate in ondate successive a partire dallo scorso luglio), collocato proprio nella zona degli scontri. Sono stati costretti a lasciare la struttura e sotto la pioggia hanno percorso chilometri a piedi per mettersi al riparo nel campo di Mugunga, ad ovest di Goma” aggiunge la presidente del ‘Cafed’. In città sono anche arrivate centinaia di persone, soprattutto donne e bambini, in fuga da Munigi, ma anche militari regolari che si sono ritirati dalle proprie posizioni, ha riferito l’emittente locale ‘Radio Okapi’. Ad alimentare la paura e l’incertezza nelle ultime ore ha senz’altro contribuito “la decisione dei responsabili Onu di raggruppare tutto il suo personale come per procedere a un’imminente evacuazione” prosegue l’attivista, confermando che stamani “le forze della locale missione Onu (Monusco) sono ancora presenti a Goma”. Rassicurazioni agli abitanti del capoluogo dell’instabile provincia dell’Est sono giunte dal governatore del Nord-Kivu. Mentre intensi scontri erano in atto sul terreno, da New York il Consiglio di sicurezza ha condannato la progressione dei ribelli verso Goma e chiesto la fine di ogni “sostegno esterno” fornito ai ribelli. Dalla nascita della nuova ribellione del M23, sette mesi fa, diversi rapporti dell’Onu hanno evidenziato la responsabilità diretta del Rwanda e dell’Uganda, paesi confinanti con l’Est congolese, che fornirebbero sostegno politico, militare e logistico agli insorti. A giorni il Comitato delle sanzioni delle Nazioni Unite dovrebbe varare misure individuali ai danni di responsabili ruandesi e ugandesi. Tra questi potrebbero esserci il ministro della Difesa di Kigali, James Kabarebe, e il capo di stato maggiore dell’esercito ruandese Charles Kanyonga. Il Movimento del 23 marzo è stato costituito da ex ribelli del Congresso nazionale di difesa del popolo (Cndp, tutsi) integrati nell’esercito nel 2009 dal quale hanno disertato sette mesi fa. (R.P.)

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    Sierra Leone: forte affluenza alle urne. Si aspettano i risultati del voto

    ◊   Pacifiche, ordinate e caratterizzate da una forte partecipazione: missionari saveriani da anni in Sierra Leone descrivono in questi termini all'agenzia Misna le elezioni presidenziali, legislative e amministrative che si sono svolte sabato, dieci anni dopo la fine della guerra civile nel piccolo paese dell’Africa occidentale. “Questo fine-settimana ha fatto onore alla Sierra Leone” dice alla Misna padre Luigi Brioni, un missionario saveriano che dirige l’emittente Radio Maria a Makeni, la principale città del nord del Paese. “Al di là di alcune contestazioni relative a casi specifici e molto locali – sottolinea padre Brioni – durante lo scrutinio e poi ancora ieri non ci sono stati momenti di difficoltà: la gente ha votato in modo ordinato, in un clima sereno”. Il giudizio dei missionari coincide nella sostanza con quello espresso dagli osservatori stranieri e dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. “L’affluenza alle urne e la calma in tutto il Paese – ha sottolineato in una nota Ban Ki-moon – sono una dimostrazione chiara del desiderio di pace, democrazia e sviluppo dei sierraleonesi”. Come già annunciato prima del voto, per i risultati bisognerà attendere giorni, forse addirittura una settimana. Un fatto previsto, sottolineano i missionari saveriani, ma che rende necessaria una cautela particolare. “È fondamentale – dice padre Brioni – che di fronte al diffondersi di voci e proclami di vittoria non confortati da dati ufficiali prevalga ancora il rispetto reciproco e il senso del bene comune”. Sabato circa due milioni e 600.000 aventi diritto sono stati chiamati alle urne per rinnovare il parlamento e i consigli comunali. Il voto più importante, però, riguarda la massima carica dello Stato. Il presidente Ernest Bai Koroma, candidato dell’All People’s Congress (Apc), cerca un secondo e ultimo mandato. Lo sfidante principale è Julius Maada Bio, ex capo di Stato che rappresenta il Sierra Leone People’s Party (Slpp). Un ruolo potrebbe avere anche Charles Francis Margai, figlio di un ex primo ministro che corre con il People’s Movement for Democratic Change (Pmdc). Se nessuno dei candidati alla presidenza avesse ottenuto il 55% dei voti sarebbe necessario un ballottaggio, come avvenne nel 2007. (R.P.)

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    Morto il vescovo cinese Guo Chuanzhen, ai lavori forzati durante la Rivoluzione culturale

    ◊   La comunità cattolica cinese piange la morte di mons. Samuele Guo Chuanzhen, dei Frati Minori, vescovo ausiliare emerito dell’Arcidiocesi di Jinan, nella provincia di Shandong (Cina Continentale) scomparso il 6 novembre scorso: aveva 94 anni e viveva ritirato presso la chiesa dell’Immacolata Concezione di Jinan. Il presule era nato il 14 aprile 1918 nella città di Jinan. Nel 1931, dopo aver frequentato la scuola media, era entrato in seminario per lo studio della letteratura, della filosofia e della teologia. Ordinato sacerdote l’8 dicembre 1944, nel 1945 intraprende gli studi universitari in Storia presso l’Università cattolica Furen di Pechino, ma nel 1949, con l’avvento della Repubblica Popolare Cinese, è obbligato a tornare in Diocesi, dove diventa parroco di Zhengjuesijie e insegnante nel seminario minore. A partire dal 1963, con la chiusura forzata di tutte le attività religiose, lavora come vice-direttore in un’industria alimentare. Durante il periodo della Rivoluzione Culturale è costretto ai lavori forzati e agli arresti domiciliari per 16 anni. Nel 1982 gli viene consentito di operare come sacerdote cattolico. Nel 1983 fonda l’Holy Spirit Seminary dello Shandong, del quale diventa rettore. Il 24 aprile 1988 è ordinato vescovo per l’arcidiocesi di Jinan. Stretto nella morsa della Rivoluzione culturale, conserva e difende la fede cattolica. Gli viene riconosciuta, con gratitudine, l’istituzione del Seminario diocesano, nel quale si è formata gran parte dei sacerdoti attualmente operanti nella provincia di Shandong. La salma di Mons. Guo ha ottenuto il tributo dei fedeli presso l’attuale Cattedrale di Hongjialou, dove, l’8 novembre, mons. Giuseppe Zhang Xianwang, arcivescovo di Jinan, ha celebrato i funerali. I resti mortali del presule sono stati, quindi, trasferiti nel cimitero diocesano del suo villaggio natale di Huzhuang. L’arcidiocesi di Jinan conta attualmente 30.000 cattolici.

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    Anglicani: domani il voto per le donne vescovo. Mons. Nichols: seguiamo con attenzione

    ◊   “Il processo attraverso il quale la Chiesa d’Inghilterra sta arrivando a una decisione sulla questione dell’ordinazione delle donne vescovo è qualcosa che seguiamo con attenzione e un po’ di preoccupazione”. Così il primate cattolico d’Inghilterra e Galles, mons. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster, descrive all'agenzia Sir l’atteggiamento con cui la Chiesa cattolica attende il voto domani, con il quale gli anglicani inglesi potrebbero dire il sì definitivo alle donne vescovo. La legislazione, sulla quale la Chiesa d’Inghilterra lavora da vent’anni, deve ottenere la maggioranza dei due terzi in ciascuna delle tre case del Sinodo - laici, pastori e vescovi - ed è stata rimandata ai vescovi lo scorso luglio perché la formula trovata per accomodare i contrari non soddisfaceva gli anglocattolici, che non vogliono allontanarsi ulteriormente da Roma, gli evangelici conservatori e anche il movimento delle donne. Da allora i vescovi anglicani hanno trovato una nuova soluzione che prevede che alcune parrocchie, contrarie alle donne, possono chiedere di essere seguite da un vescovo uomo: questa formula potrebbe soddisfare tutte le fazioni della Chiesa nel voto di domani. “Ci sono già donne vescovo nella Comunione anglicana”, afferma il primate Nichols. In questo senso, “la posizione fondamentale della Comunione anglicana è molto chiara. Non penso che la decisione cambierà il livello di dialogo e cooperazione tra di noi in modo radicale. Tuttavia, genererà un senso ulteriore di un’identità, nella Chiesa d’Inghilterra, che è meno vicina alla tradizione cattolica. Continueremo a parlare, ma certo questo è un passo molto significativo che la Chiesa sta per prendere”. L’arcivescovo di Westminster commenta anche il nuovo interesse che il mondo della politica e della finanza britannica ha per la dottrina sociale cattolica alla quale ministri e uomini d’affari ricorrono come a un punto di riferimento e a una via d’uscita dalla crisi economica. Ricordando che all’argomento la Bbc ha dedicato una puntata del suo programma di approfondimento “Analysis”, il primate cattolico si dice “personalmente incoraggiato dal fatto che leader del mondo del business mi hanno avvicinato chiedendomi se potevo aiutarli a esplorare alcuni dei problemi che si trovano ad affrontare, problemi di crisi di fiducia, di ricerca di un significato nel mondo del business e di un equilibrio tra profitto e servizio alla società”. (R.P.)

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    Spagna: al via la 100.ma Assemblea plenaria dei vescovi

    ◊   E’ iniziata questa mattina a Madrid l’Assemblea plenaria della Conferenza episcopale spagnola numero 100, da quando è stata creata nel 1966, secondo le istruzioni del Concilio Vaticano II. Nel suo discorso, il presidente della Conferenza, il cardinale Antonio M. Rouco Varela, arcivescovo di Madrid, ha messo in risalto gli interventi più importanti della Conferenza episcopale nello sviluppo e lo spirito del Concilio Vaticano II. Nella seconda parte del suo intervento il cardinale Rouco ha affrontato alcune questioni concrete alla luce del Piano Pastorale approvato nell’ultima Assemblea. Ha affermato che l’attuale legislazione spagnola sul matrimonio “è gravemente ingiusta”. Ed ha aggiunto che è urgente la riforma dell’attuale legge. Per il mese d’ottobre del 2013 si prevede la beatificazione di circa 500 martiri della guerra civile spagnola, per la quale spetta ai vescovi precisare il luogo della celebrazione. Sulla crisi attuale ha ricordato la dichiarazione approvata dalla commissione permanente dei vescovi lo scorso 3 ottobre. Infine, oltre ad altri argomenti, il cardinale Rouco si é soffermato sull’attualità e l’importanza della nuova evangelizzazione ricordando i tre campi di azione segnalati da Benedetto XVI alla chiusura dell’ultimo Sinodo: la formazione dei battezzati, la missione a quanti non hanno ricevuto il messaggio cristiano, e la specifica pastorale con quanti si sono allontanati dalla Chiesa. Ha preso poi la parola il nunzio apostolico in Spagna mons. Renzo Fratini che ha sottolineato l’importanza di alcuni tra gli argomenti che si affronteranno in Assemblea quali: il catechismo per l’infanzia, la formazione dei preti stranieri che esercitano il loro sacerdozio in Spagna ed i rapporti tra i vescovi e gli istituti religiosi. L’Assemblea dei vescovi che è iniziata oggi, si concluderà giovedì prossimo. Venerdì, i vescovi si trasferiranno a Montilla (Cordoba) dove si trova il sepolcro del Beato Juan de Avila proclamato dottore della Chiesa. (Dalla Spagna: padre Ignacio Arregui)

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    Vertice Iberoamericano: da Cadice impegni per una nuova cooperazione

    ◊   “Lo sviluppo economico al servizio della cittadinanza”: è l’obiettivo che si sono prefissati i capi di Stato e di governo al XXII Summit Iberoamericano chiuso nel fine-settimana a Cadice. Nella dichiarazione che porta il nome della città spagnola, i 22 Stati del blocco hanno rilanciato la cooperazione nel segno del “rinnovamento”, impegnandosi in particolare nella promozione delle infrastrutture – settori in cui le aziende spagnole sono leader mondiali – ma anche delle piccole e medie imprese e del “lavoro dignitoso”. “Rafforzare regole chiare, stabili e prevedibili che aiutino a spingere gli investimenti produttivi nazionali e stranieri, in base alle leggi di ciascun paese” è un altro punto contenuto nella dichiarazione in cui si riconosce allo stesso tempo “il diritto sovrano sulle risorse naturali basato sulle rispettive legislazioni nazionali, nel pieno rispetto degli strumenti del diritto internazionale”. I Paesi firmatari si sono impegnati inoltre a sottoscrivere accordi commerciali e di sviluppo “orientati a evitare il protezionismo”, aderendo all’iniziativa promossa da decine di organizzazioni imprenditoriali e collegi di avvocati per istituire un Centro iberoamericano di arbitraggio per la risoluzione delle controversie tra imprese. Non è mancato un riferimento al mercato delle droghe: su richiesta di Messico e Centroamerica è stato raggiunto un consenso per “analizzare le conseguenze politiche, economiche e sociali delle misure che sono state adottate o si stanno adottando in alcuni paesi per legalizzare il consumo di talune droghe”. Parere favorevole è stato dato alla convocazione, entro il 2015, di una sessione speciale dell’Assemblea generale dell’Onu sul narcotraffico e la violenza ad esso collegata. (R.P.)

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    Guatemala: documento dei vescovi sulla situazione nel Paese

    ◊   “Che cosa dobbiamo fare?” (Lc 3,10) è il titolo del documento ripreso dall’agenzia Fides, firmato dal presidente della Conferenza episcopale del Guatemala, mons. Rodolfo Valenzuela Nuñez, vescovo di Verapaz, e dal segretario della Conferenza, mons. Bernabé Sagastume, vescovo di Santa Rosa, in cui i vescovi presentano una riflessione sulla situazione del Paese dopo gli ultimi eventi catastrofici e nel clima perdurante di conflitto e di violenza. Dopo il terremoto, siamo chiamati alla solidarietà, scrivono i vescovi: “Questa tragedia ci unisce nel dolore, ma dobbiamo vederla come una chiamata alla generosità e alla solidarietà tra fratelli, per reagire uniti nella speranza”. Quindi il documento si sofferma a descrivere la situazione generale: “Siamo testimoni dei timori in cui vive la totalità della popolazione: il rischio di perdere la vita, di essere derubati, della disoccupazione, di soffrire le malattie senza poterle curare, di perdere i figli che prendono una brutta strada. C'è una violenza imperante e anche la nostra reazione è violenta. I conflitti che vive il Paese ancora sono irrisolti. Vediamo che è apparso un nuovo conflitto: lo Stato non è capace di gestire gli investimenti dei privati per il bene comune. I più poveri, gli indigeni, i contadini, sono i grandi dimenticati dal sistema”. I vescovi si domandano “Cosa fare dinanzi a questa situazione di conflitto?” e suggeriscono: “Incrementare lo Stato di diritto, l'istituzione deve guadagnarsi la fiducia con azioni concrete a favore del bene comune. Chiediamo disponibilità da parte di tutti per lavorare per il Paese. Il governo deve rinforzare i processi democratici e togliere ogni sospetto sulla possibilità che diventi un governo militarista. Promuovere una dinamica di nazionalità fondata sulla fraternità”. Il testo si conclude così: “con la benedizione della Madonna, riusciremo nel compito di superare i conflitti sociali”. (R.P.)

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    Messico: oltre 11 milioni di persone vivono in condizioni di povertà estrema

    ◊   Sono 11 milioni (su una popolazione di circa 110 milioni di abitanti) i messicani che vivono in condizioni di povertà estrema. Questi dati sono riportati in un rapporto recentemente presentato dal Segretario generale del Consiglio nazionale per la valutazione della politica di sviluppo sociale (Coneval). Pur riconoscendo alcuni progressi fatti nell’ambito dei servizi alla popolazione in generale, nel rapporto sono evidenziati i problemi legati al reddito, all’alimentazione e ai prezzi dei generi alimentari. Le basse entrate economiche e l’alimentazione precaria della popolazione sono da attribuire in buona parte alla crisi economica mondiale e all’aumento dei prezzi. Alcuni passi avanti sono stati registrati per l’accesso all’acqua potabile, le abitazioni in cemento, l’accesso all’istruzione e ai servizi sanitari. (R.P.)

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    Bolivia: la Chiesa invita a rispondere al censimento nazionale

    ◊   La Chiesa cattolica invita la popolazione boliviana a partecipare al Censimento nazionale, perché è un "dovere civico", e invita autorità e popolazione a fare ogni sforzo per questo importante appuntamento. “Come ha manifestato diverse volte, la Chiesa cattolica incoraggia la popolazione boliviana a partecipare attivamente alla giornata del censimento il prossimo 21 novembre, visto che è uno strumento per lo sviluppo della nostra società” si legge nel comunicato inviato all'agenzia Fides. “Respingiamo ogni tentativo di boicottare questa Giornata da parte di alcuni gruppi” ha sottolineato mons. Eugenio Scarpellini, vescovo ausiliare di El Alto, segretario generale della Conferenza episcopale boliviana nella presentazione del comunicato. Anche mons. Sergio Gualberti, Vescovo coadiutore di Santa Cruz, ha trasmesso il messaggio del cardinale Julio Terrazas, che ha chiesto alla popolazione di partecipare al Censimento fornendo dati reali e senza mentire. Mons. Gualberti, ha anche chiesto alle autorità di utilizzare questi dati in modo trasparente. Ha poi aggiunto che il censimento è "un mezzo molto importante che ci dà l'opportunità di saperne di più, oggettivamente, sulla realtà del nostro Paese, delle nostre regioni, città e paesini, a 11 anni dall'ultimo censimento”. "Solo se lo facciamo con libertà, possiamo aspettarci che i risultati ci aiuteranno a realizzare le politiche pubbliche per rispondere e soddisfare le esigenze di tutti i boliviani" ha concluso. (R.P.)

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    Kenya: nella “piccola Mogadiscio” di Nairobi segnali inquietanti alla vigilia del voto

    ◊   Sono scoppiati nuovi scontri intercomunitari a Nairobi, nel quartiere Eastleigh, dopo l’attentato di ieri che ha provocato 7 morti e diversi feriti. Un ordigno è esploso su un bus che transitava nel quartiere, soprannominato “Piccola Mogadiscio” per la presenza di una folta comunità somala. Sono proprio i somali ad essere oggetto della rabbia della popolazione, perché accusati di proteggere gli attentatori che si suppone siano legati agli estremisti Shabaab. “È il secondo attentato che avviene nella stessa zona, dopo quello che ha colpito un luogo di culto cristiano e la gente ora si ribella. Subito dopo l’attentato, la popolazione ha attaccato i somali (che sono in maggioranza di nazionalità keniana), ma la polizia ha fatto il possibile per difenderli e riportare la calma” dice all’agenzia Fides, don Alfonso Poppi, missionario della Fraternità sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo, che da anni vive e lavora in Kenya. Il missionario nota che “quando si avvicinano le elezioni si verificano scontri che alzano la tensione. Ricordiamo la recente uccisione dei 40 poliziotti nella zona di Baragoi e il massacro a settembre di più di 100 persone nel Distretto del Fiume Tana”. “La pace è a rischio” sottolinea il missionario. “In diversi casi le violenze non nascono dal popolo ma sono provocate da politici con pochi scrupoli che manovrano gente poco istruita per seminare il caos”. Le elezioni presidenziali si terranno nel marzo 2013. “Anche la morte di più di 40 poliziotti lascia molto perplessi” dice don Alfonso. “È vero che ci sono da tempo tensioni tra le tribù di pastori della zona, ma queste non avevano mai attaccato la polizia in quel modo. Sui giornali keniani si afferma che i poliziotti, molti dei quali erano reclute inesperte, sono stati colpiti da tiratori scelti che sparavano da 2 km di distanza, mentre le loro vittime stavano attraversando una valle allo scoperto”. “Sono tutti segnali inquietanti sulla presenza di forze organizzate, pronte a seminare caos e tensione. È una situazione molto fluida e occorre pregare molto. Non stiamo facendo un’opera di educazione della gente alla riconciliazione e alla pace” conclude don Alfonso. (R.P.)

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    Nigeria: violenze nello Stato di Taraba. Gli sfollati sono migliaia

    ◊   Migliaia di persone sono state costrette ad abbandonare una città della Nigeria orientale dove da ieri sono in corso violenze di carattere sociale: lo dice all'agenzia Misna il parroco, padre Salomon Dankaro, che riferisce di diverse vittime e della distruzione di luoghi di culto. “L’intervento dell’esercito – sottolinea padre Salomon – è stato tardivo e il numero delle vittime potrebbe aumentare di molto”. L’epicentro delle violenze è Ibi, una cittadina estremamente varia da un punto di vista etnico, dove convivono hausa immigrati dal nord e igbo originari dell’est e del sud-est della Nigeria. Secondo padre Salomon, le violenze sono cominciate ieri mattina, mentre nella sua parrocchia si stava celebrando la messa. Alcuni giovani, di religione musulmana, avrebbero cercato di rimuovere posti di blocco eretti nel timore che anche a Ibi si verificassero attentati contro chiese come avvenuto negli ultimi mesi in altre zone della Nigeria. Stando al parroco, le violenze avrebbero costretto a lasciare la città soprattutto famiglie igbo, per lo più dedite ai commerci. L’esodo starebbe ora creando tensioni a Wukari, una cittadina distante una ventina di chilometri da Ibi dove si è rifugiato lo stesso padre Salomon. Secondo il quotidiano nigeriano Daily Trust, gli scontri hanno causato almeno quattro vittime, provocando la distruzione di chiese e moschee. Padre Salomon conferma che due chiese pentecostali sono state date alle fiamme, mentre l’unica chiesa cattolica della città sarebbe “ancora in piedi”. Secondo il parroco, al conflitto potrebbe aver contribuito una lotta per il potere politico a livello locale. (R.P.)

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    Mali: si concude oggi il 42.mo pellegrinaggio annuale al Santuario mariano di Kita

    ◊   Si concude oggi il 42° pellegrinaggio nazionale annuale al Santuario mariano di Kita, in Mali. Circa 7mila pellegrini maliani, ma anche da Paesi limitrofi - riferisce l’agenzia Apic - hanno partecipato all’evento, che quest’anno si svolge in un momento drammatico per il Paese dove il Nord continua ad essere occupato dai gruppi armati islamisti e tuareg. Il Santuario di Nostra Signora del Mali sorge nella più antica parrocchia del Paese fondata nel 1888 dai Missionari Spiritani e dalla quale partì l’evangelizzazione del territorio, allora colonia francese. A uno di questi, fratel Isaac, si deve la realizzazione della statua in terracotta della Vergine alla quale i vescovi maliani conferirono il titolo di “Nostra Signora del Mali” quando, al termine del Concilio Vaticano II, decisero di fare di Kita un luogo di pellegrinaggio nazionale. Il primo risale al 1966. Il pellegrinaggio, che inizialmente si teneva nel periodo pasquale, è stato successivamente spostato al week-end più vicino al 20 novembre, data dell’anniversario dell’arrivo dei primi missionari. Per accogliere il crescente flusso di pellegrini, nel 1990 i vescovi maliani hanno deciso di erigere un nuovo più grande santuario che è stato inaugurato il 20 novembre 1994 dall’allora Decano del Collegio cardinalizio cardinale Bernardin Gantin, scomparso nel 2008. Paese a netta maggioranza musulmana, il Mali conta circa 330mila cattolici su una popolazione di quasi 15 milioni di abitanti. (L.Z.)

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    Mozambico: nuovo Centro di riabilitazione per disabili dell'Opera don Orione

    ◊   “Quest’opera è un miracolo di carità e di intraprendenza. La povertà è grande, ma è grande anche il cuore di tante persone”. Così don Flavio Peloso, superiore generale dell’Opera don Orione, ha inaugurato a Zimpeto, nella periferia di Maputo capitale del Mozambico, un nuovo Centro di riabilitazione psicomotoria. La struttura - riferisce l'agenzia Sir - va a completare il Villaggio don Orione che da tre anni accoglie bambini con gravi disabilità fisiche e mentali. La nuova struttura riabilitativa è sorta e si sosterrà con la collaborazione di volontari italiani che, spiegano i promotori, “offrono cuore, competenza e anche denaro”. Il Villaggio don Orione sta sviluppando un servizio ad ampio raggio per le molte persone disabili del tutto abbandonate “al loro destino di sofferenza ed emarginazione”. Oltre ai bambini residenti, il Centro di riabilitazione è destinato alle altre persone disabili della regione coinvolgendo la collaborazione delle famiglie. “Questo Villaggio - osserva don Peloso - è divenuto un segno di speranza per molte famiglie che altrimenti non avrebbero avuto la possibilità di curare i propri figli e di dare loro un futuro. Il Mozambico e tutta l’Africa hanno bisogno di essere aiutati nel campo educativo e assistenziale. In un contesto di difficoltà economiche e di povertà le persone disabili vengono dimenticate e lasciate per ultime; per loro ci sono solo le briciole di quanto resta nella povera tavola delle famiglie come dello Stato”. (R.P.)

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    Roma: alla stazione Termini nuova versione della statua di Papa Wojtyla

    ◊   E' stata scoperta questa mattina, al termine dei lavori di risistemazione, la statua dedicata al beato Giovanni Paolo II in piazza dei Cinquecento, alla stazione Termini di Roma. I lavori - riporta l'agenzia Ansa - non hanno comportato nuove spese perche' gia' compresi nei costi iniziali per la realizzazione dell'opera dell'artista Oliviero Rainaldi. La prima versione del monumento infatti, era stata oggetto di molte critiche. I lavori di risistemazione hanno rinnovato la posizione della testa e l'espressione del volto di papa Wojtyla, l'apertura del mantello leggermente piu' ripiegato su se stesso e un nuovo basamento in cemento corredato dalla modifica dell'illuminazione. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 324

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.