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Sommario del 17/11/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI: la salute non sia merce o bene riservato a pochi
  • Il Papa ai vescovi francesi: la Chiesa faccia sentire la sua voce su bene comune, vita e famiglia
  • Credenti e non credenti affermino insieme il valore della vita: così il Papa al Cortile dei Gentili in Portogallo
  • Benedetto XVI nomina mons. Pezzuto nunzio apostolico in Bosnia-Erzegovina
  • Argentina. Il card. Amato beatifica Maria Crescenzia Pérez, "Suor Dolcezza" per i poveri
  • Il card. Koch: perdono reciproco con i luterani per il Giubileo della Riforma
  • Il Papa e la bellezza della vecchiaia: editoriale di padre Lombardi
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Gaza. Distrutto quartier generale di Hamas: morti oltre 40 palestinesi, feriti 4 soldati israeliani
  • Bono in Vaticano: grazie alla Chiesa, capofila della campagna per la riduzione del debito dei Paesi poveri
  • A Mazara del Vallo riuniti i vescovi del Nord Africa. Intervista con mons. Mogavero
  • Il card. Scola: necessario rifondare la politica, importante il ruolo delle religioni
  • Il parroco anticamorra, don Manganiello, presenta a Roma l'Associazione "Ultimi"
  • "La fabbrica delle malattie": un libro sul rapporto tra bambini e psicofarmaci
  • Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Una religiosa da Gaza: restiamo accanto alla gente
  • Proteste in Giordania. L'arcivescovo Lahham: slogan simili alle altre rivolte arabe
  • Strage in Egitto, treno travolge un pullman: morti 47 bambini
  • L’impegno della Caritas per elezioni democratiche in Sierra Leone
  • Nel mondo 15 milioni di neonati prematuri l’anno a causa di malattie ed età avanzata
  • I vescovi campani sui roghi tossici: sono un dramma umanitario
  • Arezzo. Convegno nel 50.mo della "Pacem in Terris": pace dono e compito
  • Lateranense: convegno su pace e Dottrina sociale della Chiesa
  • A Roma congresso dei medici cattolici italiani ed europei sul fine vita
  • Roma: rassegna fotografica “Spezziamo le catene, mostra anti schiavitù”
  • Russia, a Novgorod la prima “chiesa universitaria” ortodossa
  • Famiglie italiane sempre più hi-tech
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI: la salute non sia merce o bene riservato a pochi

    ◊   La salute è “un bene universale da assicurare e difendere” e non deve essere sottoposto alle leggi del mercato. Il Papa incontra i membri del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, riuniti in questi giorni in conferenza, e denuncia la tendenza nella società a perdere la capacità di prendersi cura con amore del sofferente. Il servizio di Fausta Speranza:

    “Se da un lato, a motivo dei progressi nel campo tecnico-scientifico, aumenta la capacità di guarire fisicamente chi è malato, dall’altro appare indebolirsi la capacità di «prendersi cura» della persona sofferente, considerata nella sua integralità e unicità”.

    Il Papa parla di “tempi di crisi economica che sottrae risorse alla tutela della salute”. E ribadisce: “non può mai essere dimenticata l’attenzione particolare dovuta alla dignità della persona sofferente”. E denuncia:

    "Proprio in tale contesto, ospedali e strutture di assistenza debbono ripensare il proprio ruolo per evitare che la salute, anziché un bene universale da assicurare e difendere, diventi una semplice «merce» sottoposta alle leggi del mercato, quindi un bene riservato a pochi”.

    “Sembrano quindi offuscarsi gli orizzonti etici della scienza medica – afferma il Papa - che rischia di dimenticare come la sua vocazione sia servire ogni uomo e tutto l’uomo, nelle diverse fasi della sua esistenza.” Spiega che “a chi sceglie di lavorare nel mondo della sofferenza vivendo la propria attività come una «missione umana e spirituale» è richiesta una competenza ulteriore, che va al di là dei titoli accademici”. Benedetto XVI si rivolge ai “professionisti e volontari della sanità” e parla di “singolare vocazione, che necessita di studio, di sensibilità e di esperienza”. Con le parole del Concilio Vaticano II, ricorda che la Chiesa “non ha il potere di procurare la salute corporale ma può solo abbracciare quella che definisce la “scienza cristiana della sofferenza”:

    “Il Cristo non ha soppresso la sofferenza; non ha neppure voluto svelarcene interamente il mistero: l’ha presa su di sé, e questo basta perché ne comprendiamo tutto il valore”.

    “Il vostro essere cattolici – dice il Papa a medici e volontari – vi dà una maggiore responsabilità nell’ambito della società e della Chiesa”. Ribadisce che si tratta di una vocazione di fronte ai malati ai quali – sottolinea – il Concilio ha detto: “non siete né abbandonati né inutili”. E cita “figure esemplari”: San Giuseppe Moscati, San Riccardo Pampuri, Santa Gianna Beretta Molla, Santa Anna Schäffer e il Servo di Dio Jérôme Lejeune.

    “…si può concepire l’ospedale come «luogo in cui la relazione di cura non è mestiere, ma missione; dove la carità del Buon Samaritano è la prima cattedra e il volto dell’uomo sofferente il Volto stesso di Cristo»”.

    Il Papa afferma: “Dove la Chiesa si fa veicolo della presenza di Dio diventa al tempo stesso strumento di una vera umanizzazione dell’uomo e del mondo”:

    “E’ auspicabile che il linguaggio della «scienza cristiana della sofferenza» - cui appartengono la compassione, la solidarietà, la condivisione, l’abnegazione, la gratuità, il dono di sé - diventi il lessico universale di quanti operano nel campo dell’assistenza sanitaria.”

    “È il linguaggio del Buon Samaritano della parabola evangelica”, spiega Benedetto XVI per poi ricordare che, secondo il Beato Papa Giovanni Paolo II, “può essere considerata «una delle componenti essenziali della cultura morale e della civiltà universalmente umana»”:

    “Ora più che mai la nostra società ha bisogno di «buoni samaritani» dal cuore generoso e dalle braccia spalancate a tutti, nella consapevolezza che «la misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente»”.

    E il Papa assicura:

    “Nessuna lacrima, né di chi soffre, né di chi gli sta vicino, va perduta davanti a Dio”.

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    Il Papa ai vescovi francesi: la Chiesa faccia sentire la sua voce su bene comune, vita e famiglia

    ◊   I cristiani si impegnino per il bene comune, difendendo la famiglia e la vita: è l’esortazione che Benedetto XVI ha rivolto ad un gruppo di vescovi francesi, ricevuti stamani in occasione della visita ad Limina. Nel suo discorso, il Papa ha sottolineato che l’Anno della fede è un’occasione importante per impegnarsi nella trasmissione dei valori cristiani alle nuove generazioni. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Nel confronto sulle questioni importanti della società, ha sottolineato il Papa, “la Chiesa deve far ascoltare la sua voce senza sosta e con determinazione”. E questo, pur nel rispetto “della tradizione francese in materia di distinzione tra le sfere di competenza della Chiesa e dello Stato”:

    “Le message du Christ et de son Eglise…”
    “Il messaggio di Cristo e della sua Chiesa – ha ribadito – non è solamente portatore di un’identità religiosa”, ma offre una “saggezza che permette di indicare rettamente delle risposte alle questioni concrete” e spesso angoscianti dei nostri tempi. C’è, ha soggiunto, “l’enorme sfida a vivere in una società che non condivide sempre gli insegnamenti di Cristo e che a volte tenta di ridicolizzare o marginalizzare la Chiesa”, cercando di “confinarla unicamente nella sfera privata”. Per rispondere a queste immense sfide, è stata dunque la sua esortazione, la Chiesa “ha bisogno di testimoni credibili”. E’ necessaria, ha aggiunto, “una testimonianza cristiana radicata in Cristo e vissuta nella coerenza della vita” e “senza schemi preconcetti”:

    “Avec les Eveques ils auront à coeur…”
    Il Pontefice ha quindi invitato i vescovi assieme ai fedeli ad essere attenti “a quei progetti di legge” che minacciano “la protezione del matrimonio tra un uomo e una donna, la salvaguardia della vita dal concepimento alla morte e il giusto orientamento della bioetica nella fedeltà ai documenti del Magistero”. E’ sempre più necessario, ha avvertito, che “molti cristiani intraprendano il cammino del servizio al bene comune, approfondendo la Dottrina sociale della Chiesa”. Ed ha aggiunto che i fedeli “devono sentire che la loro fede li coinvolge, che è per loro liberazione e non fardello”. Il Papa ha quindi messo l’accento sull’importanza della trasmissione della fede alle nuove generazioni, un compito a cui sono chiamate le famiglie, che vanno dunque sostenute:

    “La responsabilité des parents…”
    “La responsabilità dei genitori in questo campo – ha detto – è un bene prezioso che la Chiesa difende e promuove” come una “dimensione inalienabile e fondamentale del bene comune di ogni società, come anche un’esigenza della dignità della persona e della famiglia”. Ricordando poi il suo storico discorso al Collège des Bernardins di Parigi, nel 2008, il Papa ha quindi messo l’accento sull’importanza della vita religiosa al “servizio esclusivo dell’opera di Dio”. Tutta la società, non solo la Chiesa, ha affermato, “è grandemente arricchita da questa testimonianza”. Infine, si è soffermato sulla centralità della liturgia, “testimonianza dell’amore di Dio” per l’umanità. La bellezza delle celebrazioni ben più “delle innovazioni e degli accomodamenti soggettivi”, ha detto, rendono “durevole ed efficace” l’opera di evangelizzazione.

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    Credenti e non credenti affermino insieme il valore della vita: così il Papa al Cortile dei Gentili in Portogallo

    ◊   Benedetto XVI ha indirizzato un messaggio ai partecipanti alla sessione portoghese del Cortile dei Gentili, che si è svolta ieri e oggi a Guimaraes e a Braga. L’evento, dal titolo “O valor da vida”, è organizzato per riflettere sulla vita nelle sue rivelazioni e nei suoi misteri, e mostrare come gli uomini si relazionino con essa. Il servizio è di Davide Maggiore:

    La consapevolezza della sacralità della vita, scrive il Papa, “appartiene all’eredità morale dell’umanità”. La vita non è “qualcosa di cui si possa disporre liberamente, ma un dono da custodire” in maniera fedele, ha aggiunto il Pontefice, rivolgendosi ai credenti e non credenti riuniti in Portogallo “con l’aspirazione comune di affermare il valore della vita umana sulla marea crescente della cultura della morte”. La ragione, spiega Benedetto XVI, può afferrare il valore della vita, ma solo l’amore infinito e onnipotente di Dio dona la vita eterna. “Questa è la certezza che la Chiesa annuncia”, scrive il Papa, richiamandosi al Vangelo secondo Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”. Dio, prosegue Benedetto XVI, “ama ogni persona” che dunque è “incondizionatamente degna di vivere”. Nell’età moderna, però, l’uomo ha voluto “sottrarsi allo sguardo creatore e redentore del Padre, appoggiandosi su sé stesso" e non su Dio, come se avesse voluto chiudersi in un edificio senza finestre e provvedere da sé al clima e alla luce. “C’è bisogno – scrive invece il Papa – di aprire di nuovo le finestre, di guardare la vastità del mondo, il cielo e la terra, e di imparare a usare tutto questo nel modo giusto”. “Di fatto - chiarisce ancora il Pontefice, - il valore della vita risulta evidente solo se Dio esiste”. Di qui l’invito rivolto anche ai non credenti a vivere “come se Dio esistesse”, anche se non si ha “la forza per credere”. Nessun problema può essere completamente risolto “se Dio non è posto al centro”, se non tornerà ad essere “visibile nel mondo e determinante nella nostra vita”. Chi si apre a Dio, conclude Benedetto XVI “non si estrania dal mondo e dagli uomini ma incontra fratelli”, e in Dio cade ogni “muro di separazione”.

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    Benedetto XVI nomina mons. Pezzuto nunzio apostolico in Bosnia-Erzegovina

    ◊   Benedetto XVI ha nominato nunzio apostolico in Bosnia ed Erzegovina e in Montenegro l'arcivescovo Luigi Pezzuto, finora nunzio apostolico in El Salvador e in Belize.

    In Italia, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi metropolitana di Ravenna-Cervia, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Giuseppe Verucchi. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Lorenzo Ghizzoni, trasferendolo dall’incarico di ausiliare di Reggio Emilia-Guastalla. Mons. Lorenzo Ghizzoni è nato a Cognento, diocesi di Reggio Emilia-Guastalla e nel Comune di Campagnola (RE), il 3 aprile 1955. Entrato in Seminario da ragazzo, ha frequentato gli studi classici al liceo pubblico cittadino. Dopo l’esame di maturità ha studiato Teologia nello Studio Teologico Interdiocesano, conseguendo il Baccellierato. È stato ordinato presbitero il 14 settembre 1979 ed incardinato nella diocesi di Reggio Emilia-Guastalla. Dal 1979 al 1984 ha frequentato la Pontificia Università Gregoriana conseguendo la Licenza in Diritto canonico e in Psicologia. È iscritto all’Albo degli Psicologi dell’Emilia-Romagna. Dal 1984 ha svolto l’incarico di Docente di Diritto canonico nel Seminario diocesano di Reggio Emilia e di Psicologia nell’Istituto di Scienze Religiose; dal 1984 al 1994 è stato Vice Cancelliere della Curia diocesana; dal 1986 al 1996 è stato Direttore del Servizio diocesano Vocazioni; dal 1987 è Perito psicologo e Difensore del vincolo per le questioni matrimoniali e nelle cause matrimoniali del Tribunale Ecclesiastico e Docente all’Istituto Superiore per Formatori sponsorizzato dalla Pontificia Università Gregoriana; dal 1992 al 2006 è stato Vice Direttore del Centro Nazionale Vocazioni; dal 1994 al 2006 è stato Rettore del Seminario vescovile di Reggio Emilia; dal 1998 al 2006 Assistente diocesano dei Giuristi Cattolici; Responsabile della conduzione e pubblicazione del Seminario di formazione sulla Direzione Spirituale a servizio dell’orientamento vocazionale; ideatore e conduttore dei convegni nazionali del Centro Nazionale Vocazioni e membro del Gruppo Redazionale della Rivista del medesimo centro. Il 17 febbraio 2006 è stato nominato Vescovo titolare di Ottana e Ausiliare di Reggio Emilia-Guastalla. Ha ricevuto la consacrazione episcopale il 29 aprile 2006. Durante il suo servizio di Ausiliare è stato al tempo stesso Vicario Generale della medesima diocesi. Ha pubblicato molti articoli su varie riviste e contributi in opere di autori vari, soprattutto di argomento vocazionale e psicologico.

    In Polonia, il Pontefice ha nominato ausiliare di Białystok mons. Henryk Ciereszko, del clero della medesima arcidiocesi, finora docente nel Seminario Maggiore e padre spirituale diocesano. Mons. Henryk Ciereszko è nato il 9 settembre 1955 a Hermanówka. Superati gli esami di maturità, nel 1975 è stato ammesso al Seminario maggiore. È stato ordinato sacerdote il 14 giugno 1981 per l’arcidiocesi di Białystok. Dopo l’ordinazione sacerdotale è stato Vicario parrocchiale a Mońki (1981-1983). Negli anni 1983-1988 ha studiato presso l’Università Cattolica di Lublino, dove ha ottenuto il Dottorato in Teologia fondamentale, sostenendo la tesi: "Metodo apologetico di Paolo Svetlov". Dopo gli studi, per due anni è stato Vicario parrocchiale di San Rocco a Białystok. Dal 1990 al 1995 è stato Prefetto di disciplina presso il Seminario maggiore a Białystok e poi per tre anni Padre spirituale nello stesso Seminario. Negli anni 1998-2008 è stato Vice Postulatore nel processo del beato Michał Sopoćko. Dal 2001 al 2008 Padre spirituale nel Seminario maggiore di Białystok. Attualmente è Docente presso il Seminario maggiore, Padre Spirituale del clero dell’arcidiocesi, Promotore di giustizia presso il Tribunale metropolitano, membro del Consiglio presbiterale e istruttore nelle questioni riguardanti le richieste di riduzione allo stato laicale.

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    Argentina. Il card. Amato beatifica Maria Crescenzia Pérez, "Suor Dolcezza" per i poveri

    ◊   Una suora che “aveva il cuore in cielo”. Così viene ricordata ancora oggi suor Maria Angelica Peréz, al secolo Maria Crescenzia, la religiosa argentina delle Figlie di Maria Santissima dell’Orto, che oggi viene beatificata a Pergamino, in provincia di Buenos Aires, dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Un ritratto della religiosa nel servizio di Alessandro De Carolis:

    La schiena piegata sotto il sole della pampa e sui libri di scuola. Nasce così e sboccia la fede di Maria Angelica Pérez. Famiglia semplice, religiosità limpida e poi quel suo tratto d’indole che darà il timbro al suo essere cristiana: la bontà. “Sor Dulzura”, “Suor Dolcezza”, sarà il nome carico d’affetto che la accompagnerà nella sua vita di religiosa, insieme a quello che assumerà da consacrata, suor Maria Crescenzia. Lo ricorda il cardinale Angelo Amato, al microfono di Roberto Piermarini:

    “La testimonianze dicono che tutte le suore erano buone, ma Suor Crescenzia era eccezionale. Sembrava che la sua persona fosse fatta solo di bontà, pazienza, gentilezza, gioia, amabilità. Questa sua esistenza buona era nutrita di fede viva, incrollabile, operativa. Da questa fede scaturiva la sua laboriosità e il suo intenso apostolato. Aveva il cuore in cielo - afferma una testimone”.

    Si può essere dolci e amorevoli e pure con un coraggio granitico, quello che solo la fede è in grado di temprare. Suor Crescenzia ha un fisico minuto e presto vede suo papà e poi le sue sorelle falcidiate dalla tubercolosi. Ma lei è una maestra, diplomata in lavori domestici, e non si tira indietro quando il suo servizio la porta tra i bambini affetti da Tbc di un sanatorio di Mar della Plata. E così la malattia colpisce aggredisce anche lei. Suor Crescenzia viene inviata in un ospedale in Cile, a Vallenar, dove la salute deperisce a vista d’occhio, ma non deprime la fiamma della sua carità:

    “Era generosa verso i piccoli e i poveri. Non maltrattava nessuno, anzi, a chi non poteva pagare, regalava cibo e vestiti. Alle mamme che non avevano medicine per i bambini rispondeva: ‘Figlia mia, non devi niente, te lo do io’. Spesso diceva: ‘Abbiamo latte in abbondanza per gli ammalati, perché non ne diamo un poco anche ai poveri?’.

    Suor Crescenzia muore a 35 anni. È il 20 maggio 1932 ed è tale la devozione della gente di Vallenar per “Suor Dolcezza”, che per 34 anni la traslazione della salma viene impedita. La semplice sepoltura viene poi smarrita tra le altre e quando nel 1966 viene nuovamente individuata, la traslazione ne rivela il corpo incorrotto. Dal 1983, le spoglie riposano nella Cappella del “Collegio dell’Orto”, a Pergamino, dove tutto per lei era iniziato.

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    Il card. Koch: perdono reciproco con i luterani per il Giubileo della Riforma

    ◊   Si è conclusa ieri a Roma la plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani che si è svolta sul tema dell’importanza dell’ecumenismo per la nuova evangelizzazione. Al termine dei lavori, il cardinale Kurt Koch, presidente del dicastero, ha parlato anche del dialogo con le Chiese riformate che stanno preparando le celebrazioni del 2017 per i 500 anni dalla Riforma. A questo proposito ascoltiamo lo stesso cardinale Kurt Koch al microfono di Mario Galgano:

    R. – Auf der einen Seite hat Martin Luther sehr viel Positives gebracht. …
    Da un lato, Martin Lutero ha introdotto aspetti molto positivi: lui era appassionatamente alla ricerca di Dio, era totalmente dedito a Cristo … Eppure, Martin Lutero non voleva una divisione, ma un rinnovamento dell’intera Chiesa e questo – va detto – non gli è riuscito. In questo senso, il teologo ed ecumenista Wolfhart Pannenberg afferma che la Riforma ha fallito e il risultato di questo fallimento sono state le sanguinose guerre di religione nel XVI e nel XVII secolo. Ora, voler riunire il desiderio positivo di Martin Lutero e le conseguenze terribili della Riforma nella stessa celebrazione festosa, mi sembra molto difficile.

    D. – Come celebrare allora quest’evento cercando di curare le ferite?

    R. – Das könnte in einem Buβgottesdienst …
    Per esempio, con una celebrazione penitenziale comune nella quale riconosciamo insieme le nostre colpe, perché il fatto che la Riforma non abbia raggiunto il suo scopo, e cioè il rinnovamento della Chiesa, ricade nelle responsabilità di entrambe le parti: le ragioni sono di ordine teologico e politico. Riconoscerlo e perdonarsi vicendevolmente per tutto questo, trovo che sarebbe un gran bel gesto.

    D. – In effetti, esiste già una forte collaborazione tra la Chiesa cattolica e la Federazione mondiale luterana …

    R. – Die internationale Kommission für den Dialog zwischen dem Lutherischen …
    La Commissione internazionale per il dialogo tra la Federazione mondiale luterana e il Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, quindi con la Chiesa cattolica romana, hanno reso noto, dopo una lunga elaborazione, un documento comune che si chiama “Dal conflitto alla comunione”, e in questo si rivaluta il significato di questi 500 anni di Riforma, ma anche quello che è stato fatto nei 50 anni da quando questa Commissione è stata istituita, e quali punti in comune sono stati riconosciuti. Credo che questo titolo – “Dal conflitto alla comunione” – indichi nel migliore dei modi l’orientamento che il documento vuole dare e può rappresentare un ottimo punto di partenza per il cammino del futuro.

    D. – Durante la plenaria avete incontrato anche il Papa; c’è da dire che una delle priorità del Pontificato di Benedetto XVI è proprio l’ecumenismo …

    R. – Es ist dieses große Interesse, das der Heilige Vater an den ökumenischen …
    E’ grande l’interesse che il Santo Padre ha per il dialogo ecumenico: lo rilevo ogni volta che ho occasione di parlare con lui. Il suo è un indubbio impegno per l’ecumenismo, laddove non si tratta di un ecumenismo che si muove su un puro piano filantropico e di rapporti interpersonali, ma ha piuttosto un fondamento cristologico. E’ per questo che il Santo Padre non si stanca di ripetere che l’ecumenismo presuppone da parte nostra l’approfondimento della fede e l’impegno per raggiungere un’unità visibile. Così viene a crearsi anche un profondo collegamento tra il tema principale di questa assemblea plenaria e l’Anno della Fede: infatti, l’ecumenismo e l’unità si ottengono solo sulla base della fede. E il Santo Padre ha espresso, con poche parole, questo concetto in un contesto più ampio, e questo è stato per tutti i membri e consultori del Pontificio Consiglio di grande incoraggiamento.

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    Il Papa e la bellezza della vecchiaia: editoriale di padre Lombardi

    ◊   “È bello essere anziani”. La frase pronunciata a inizio settimana da Benedetto XVI nella Casa “Viva gli anziani” della Comunità di Sant’Egidio è un manifesto di una dignità oggi spesso negata a chi vive la condizione di un’età non più verde. È stato dunque un autentico elogio della vecchiaia, quello del Papa, e di quelle ricchezze di cui è portatrice questa particolare stagione della vita. Lo sottolinea il nostro direttore, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per “Octava dies”, il settimanale d’informazione del Centro Televisivo Vaticano:

    La visita del Papa a una casa per anziani lunedì scorso è certamente uno di quei momenti felici in cui un gran numero di persone capisce facilmente che i gesti e le parole del Santo Padre sono un prezioso messaggio per loro e non solo per il piccolo gruppo di privilegiati che lo hanno potuto incontrare personalmente. Anziano fra gli anziani, Benedetto XVI si è rivolto con spontaneità ai suoi coetanei dicendo che “conosce bene le difficoltà, i problemi e i limiti di questa età”. A differenza del suo predecessore, egli non condivide la situazione dell’anziano malato e impedito, ma quella dell’anziano sì, e spiega il valore specifico di questa età della vita come la serena e paziente accettazione dei limiti della vecchiaia continuando a sapersi amati da Dio, e come la condivisione con gli altri della “sapienza di vita”: “Essere come un libro aperto in cui le giovani generazioni possono trovare preziose indicazioni per il cammino della vita”.

    Non si tratta dunque di cercare artificiosamente di riempire il tempo della vecchiaia di cose da fare, ma di comunicare una sapienza del cuore che sa distinguere l’essenziale dal secondario, ciò che dura da ciò che passa. Naturalmente, questo non si improvvisa, perché in certo senso – soprattutto quando si soffre per davvero - la vecchiaia è il momento della verità, quello in cui – come scriveva Romano Guardini – “il contingente lascia trasparire l’assoluto”. L’attesa si può colmare di preghiera di orizzonti larghissimi: il Papa chiede agli anziani di pregare per i poveri, per la pace, perché cessi la violenza, per la Chiesa, per lui… Ed è una preghiera potente, perché l’anziano che crede e spera sa di essere più vicino al Signore e ai Santi, più familiare con loro; la linea di passaggio si fa sempre più trasparente. Di questi anziani abbiamo un grandissimo bisogno e sappiamo che sono una ricchezza grandissima. Per questo dobbiamo tenerli con amore in mezzo a noi, cosicché tutti possiamo dire con verità, insieme al Papa: “E’ bello essere anziani!”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La voce della Chiesa: Benedetto XVI a vescovi della conferenza episcopale francese in visita “ad limina”.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, gli sforzi diplomatici diretti a favorire il dialogo tra Israele e Hamas.

    Quel perdono che non è solo una parola: in cultura, Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sul Risorto e la consegna dello Spirito ai suoi discepoli.

    Un articolo di Cinzia Leone dal titolo “Ma tu sei ebreo? Veramente io sono Iacopo”: la comunità di Roma, la più antica della diaspora, raccontata in un film documentario.

    Con tanti fan ma sempre più soli: Cristian Martini Grimaldi sull’Uomo gatto e la “chirurgia” dei profili su internet.

    Fiori dal fango di una città: Claudio Toscani sull’opera poetica di Giuseppe Gioacchino Belli in un libro di Pietro Gibellini.

    Un gioiello nella stagione bizantina: Fabrizio Bisconti su Ravenna e i suoi mosaici.

    La scienza cristiana della sofferenza: nell’informazione vaticana, Benedetto XVI ai partecipanti alla conferenza internazionale del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari.

    Quell’edificio di cemento senza finestre: il messaggio del Papa al Cortile dei Gentili in Portogallo, in cui ribadisce il valore della vita umana.

    Accanto ai poveri a nome del Papa: il cardinale segretario di Stato per l’ordinazione dell’arcivescovo Guido Pozzo, elemosiniere di Sua Santità.

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    Oggi in Primo Piano



    Gaza. Distrutto quartier generale di Hamas: morti oltre 40 palestinesi, feriti 4 soldati israeliani

    ◊   Mattinata di violenze nella Striscia di Gaza e contro Israele. Un ultimo bilancio, da parte palestinese, parla di oltre 40 vittime, tra cui 8 bambini. Quattro i soldati israeliani rimasti feriti dal lancio di un razzo. A preoccupare anche le dichiarazioni del ministro iraniano della Difesa Vahidi che ha invitato il mondo islamico ad azioni di rappresaglia contro Israele. Benedetta Capelli:

    E’ un continuo botta e risposta tra israeliani e palestinesi. Ieri sera ma anche stamani sono proseguiti i raid israeliani nella Striscia di Gaza, nel mirino 85 siti "terroristici", completamente distrutto il quartier generale di Hamas. “Un attacco – replica il numero uno del movimento Haniyeh – che non ci indebolirà, restiamo sulle nostre posizioni e accanto al popolo”. Un altro raid ha colpito la casa del ministro dell'Interno palestinese Salah nel campo profughi di Jabalya, nel nord della Striscia, causando almeno 35 feriti. Oltre una quarantina i morti – dicono fonti mediche palestinesi – 350 i feriti. Un razzo ha colpito anche 4 soldati dello Stato ebraico, ferendoli leggermente. Sono 20mila i riservisti israeliani, dei 75mila convocati, che già sono arrivati nelle loro basi, sarebbe imminente un attacco di terra che, per gli esperti, dovrebbe durare 7 settimane. A livello diplomatico è atteso nell’area il segretario generale dell’Onu mentre a Gaza, dopo la visita ieri del premier egiziano Kandil, oggi è giunto il ministro degli Esteri tunisino Abdessalem. In una telefonata il presidente americano Obama ha incoraggiato e invitato l'Egitto a mediare ma al premier israeliano Nethaniau ha ribadito il diritto all’autodifesa invocato da Israele. “Il mondo islamico si mobiliti contro lo Stato ebraico”: il pericoloso appello dell’Iran.

    Come abbiamo sentito tra le vittime ci sono anche dei bambini. Un appello alla loro tutela è stato lanciato dall’Unicef. Al microfono di Benedetta Capelli, Andrea Iacomini portavoce dell’organismo delle Nazioni Unite:

    R. - In queste ore, siamo molto preoccupati dell’escalation del conflitto. Siamo preoccupati soprattutto perché a farne le spese sono sempre i bambini. La Striscia di Gaza è una zona chiusa da cui geograficamente è molto difficile uscire. Dall’altra parte, alcuni bambini israeliani - quelli che frequentano le scuole proprio a pochi chilometri dalla Striscia di Gaza - sono stati costretti a rimanere nelle loro case. Quindi la situazione è complessivamente allarmante. L’Unicef ha lanciato un appello a livello mondiale affinché le parti in causa cerchino in tutti i modi di evitare a questi bambini delle condizioni psicologiche traumatiche dovute agli esiti di questo conflitto. Naturalmente l’appello è affinché queste vite vengano risparmiate. Non poco lontano da questa zona sappiamo come la violenza colpisca anche la Siria. Anche lì muore più di un bambino al giorno. Quindi, il quadro della situazione mediorientale ci rende davvero molto preoccupati. Ci auguriamo – davvero - che tra i palestinesi e gli israeliani prevalga il buon senso. Non dimentichiamoci che proprio qualche anno fa, durante loperazione Piombo fuso, l’Unicef è intervenuta immediatamente non solo perché c’erano stati feriti - c’erano stati bambini morti -, ma perché molti di loro erano risultati profondamente violati dagli esiti del conflitto; per violati si intende psicologicamente provati. Ecco perché è importante un intervento a 360 gradi che non sia solamente basato sull’assistenza, ma che intenda aiutare questi bambini nel loro percorso psicologico.

    D. - Che tipo di intervento c’è stato da parte dell’Unicef allora con l’operazione Piombo fuso? C’è ancora un intervento in particolar modo sulla Striscia di Gaza?

    R. - L’Unicef sulla Striscia di Gaza si è occupata di ricostruire - all’epoca dell’operazione Piombo fuso - le condizioni minime di accesso all’istruzione. Si è cercato di dare ai bambini un quadro che fosse il più possibile vicino alla normalità; quindi i bambini andavano a scuola, sono stati messi nelle condizioni di poter - insieme alle loro famiglie – essere ascoltati da psicologi, da specialisti anche per esempio attraverso disegni e attraverso il loro modo di esprimersi. Spesso, questi bambini hanno voluto esternare il loro modo di sentirsi rispetto a quello che stava accadendo, rispetto alle bombe che gli piovevano in testa. L’Unicef cerca di comprendere così queste situazioni, cerca di assistere questi bambini, di parlare con le loro famiglie. E lo abbiamo fatto già al tempo dell’operazione Piombo fuso con un programma molto forte incentrato sia sulla parte scolastica – quindi provvedendo anche a fornire il necessario, il famoso kit scolastico che l’Unicef normalmente fornisce in queste situazioni – sia sulla parte che riguarda una forte assistenza dal punto di vista psicologico con degli esperti, cioè con delle persone formate e pronte - anche in loco - proprio per intervenire in questi casi. Poi, naturalmente a quell’epoca c’era stato anche un forte intervento umanitario, che in questo caso, noi ci auguriamo non debba avvenire.

    E razzi a media gittata in questi giorni sono caduti anche alle porte della città costiera israeliana di Tel Aviv. Per precauzione il sindaco ha deciso la riapertura di rifugi pubblici, inutilizzati dal 1960 e installato un nuovo Iron Dome, un sistema di difesa antimissile. Per una testimonianza su quello che stanno vivendo i cittadini, Cecilia Seppia ha raggiunto telefonicamente a Tel Aviv David Di Tivoli, editore italiano che vive lì con la sua famiglia:

    R. - Ovviamente qui viviamo continuamente in apprensione. Non è cosa comune, perché non si ricevevano razzi a Tel Aviv da molti anni, ma il clima di tensione, comunque, si respira continuamente.

    D. - Ci sono soldati schierati, per esempio, per le strade? Il clima è quello effettivamente di un conflitto reale?

    R. - C’è ovviamente una maggiore attenzione - questo sì - per quanto riguarda i luoghi pubblici, i centri commerciali, che è ovvio sono considerati sensibili e quindi a rischio di eventuali attentati e c’è meno gente in giro.

    D. - Avete ricevuto indicazioni particolari dalle autorità, attraverso - ad esempio - sms?

    R. - Sì, ci danno delle indicazioni attraverso siti web, attraverso sms, ma anche tramite la radio e la televisione. Nel momento in cui suona una sirena - che è un suono che non auguro a nessuno di ascoltare proprio per quel che rappresenta - devi correre a ripararti! Fortunatamente, a differenza degli abitanti del sud di Israele, noi abbiamo un pochino di tempo in più: loro in 15 secondi devono correre a ripararsi, mentre noi ce la facciamo in circa un minuto, perché dopo un minuto senti l’esplosione fortissima del missile. Comunque dobbiamo rifugiarci all’interno del Mamad, che è una specie di bunker, che dovrebbe avere ogni palazzo. Ci sono molti palazzi vecchi, però, che non ce l’hanno: per questo ci sono anche dei bunker pubblici che proprio in questi giorni sono stati riaperti. Ma come dicevo, quando si ha un minuto, non si ha neanche il tempo di correre e di andarsi a rinchiudere… In molti si fermano nella tromba delle scale e ci consigliano di restare tra il secondo e il terzo piano, perché - se dovessero collassare i piani superiori - sembra che questi potrebbero reggere un po’ di più.

    D. - Come accade sempre in questi momenti, immagino anche ci sia molta solidarietà tra i cittadini…

    R. - C’è una solidarietà pazzesca, che è veramente incredibile. Io ho conosciuto, finalmente, i miei vicini di casa in questa maniera: dopo la prima sirena, ci siamo ritrovati sul mio piano.

    D. - Tu accennavi prima a questa decisione del sindaco di Tel Aviv che ha disposto l’apertura di rifugi pubblici ed era dal 1960 che questo non accadeva. Senz’altro, quindi, una decisione per tutelarvi, ma anche il segno che il conflitto sta diventando più forte. Qual è la percezione della gente?

    R. - Più che la sensazione che il conflitto stia diventano più forte, credo che non ci si aspettassero razzi su Tel Aviv, perché in teoria i razzi che si sono lanciati in questi mesi a Tel Aviv non sono mai arrivati. Si credeva che avessero una gettata più corta… Quindi è determinato soprattutto da questo: gli abitanti di Tel Aviv, che sono meno abituati di quelli del sud, in questo momento hanno più paura e hanno più bisogno di garanzie sia a livello pratico, sia a livello anche psicologico. Queste sono tutte disposizioni per alleviare quella che è la nostra attuale situazione. Tra l’altro, pare, che questa notte abbiano istallato un nuovo Iron Dome, che è un sistema di difesa missilistica, proprio qui alle porte di Tel Aviv e questo perché - se ho capito bene - la guerra dovrebbe proseguire per circa 7 settimane. Quindi o ci si abitua o si va via da qui o si rimane chiusi in casa per 7 settimane. Io mi auguro che finisca prima, ma il rischio che vada avanti ancora per un po’, c’è.

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    Bono in Vaticano: grazie alla Chiesa, capofila della campagna per la riduzione del debito dei Paesi poveri

    ◊   E’ tornato in Vaticano per ringraziare la Chiesa per il ruolo svolto nella campagna mondiale per la riduzione del debito estero dei Paesi poveri: si tratta di Bono, cantante degli U2, che ieri ha incontrato il cardinale Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Bono aveva già incontrato Giovanni Paolo II nel 1999. Philippa Hitchen lo ha intervistato:

    R. – Well, we just were encouraging His Grace to get across to the …
    Bè, noi volevamo chiedere a Sua Eminenza di riferire a tutti coloro che in massa si sono mossi con manifestazioni e campagne in tutti questi anni per l’eliminazione del debito (Drop the Debt), del grande successo che ha avuto questo movimento: ora, infatti, secondo i dati della Banca Mondiale, ci sono altri 52 milioni di bambini che vanno a scuola e che senza questa campagna non avrebbero potuto farlo. Siamo venuti anche per sapere cosa la Chiesa intende fare prossimamente, per questa stessa causa.

    D. – Questa campagna ha avuto dunque un grandissimo successo. Qual è stato il contributo della Chiesa?

    R. – The Church led it, and they deserve incredible credit for being on the …
    La Chiesa è stata capofila di questo movimento e questo le deve essere altamente riconosciuto; è stata all’avanguardia di un movimento che è anche interreligioso e inter-disciplinare, perché si sono impegnati sacerdoti e suore, musicisti, gente dello sport, calciatori … una folta rappresentanza di categorie. La Chiesa c’era; ma credo che quello che la Chiesa debba fare adesso è comunicare i risultati ottenuti: ecco, siamo venuti per studiare insieme il modo migliore per farlo.

    D. – Certo, il riscontro è importante. Lei venne, a suo tempo, in visita da Giovanni Paolo II, quando si trattava di mettere in moto questo movimento. Ora spera di poter incontrare Benedetto XVI?

    R. – Yes. I still wear what Pope John Paul gave to me …
    Sì, certamente. Ancora indosso quello che Papa Giovanni Paolo II mi donò, all’epoca: un piccolo crocifisso d’argento.

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    A Mazara del Vallo riuniti i vescovi del Nord Africa. Intervista con mons. Mogavero

    ◊   Al via oggi a Mazara del Vallo, in Sicilia, l'Assemblea generale della Cerna, la Conferenza episcopale regionale del Nord Africa. La singolare trasferta punta a una collaborazione ecclesiale tra le due sponde del Mediterraneo, come spiega, al microfono di Debora Donnini, mons. Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo:

    R. – Innanzitutto, si vuole puntare su un cammino di Chiese condivise, perché ci sono problemi che, almeno nella Chiesa di Mazara del Vallo, possono essere simili o velatamente analoghi a quelli che vivono queste Chiese. Loro sono immersi in un contesto quasi esclusivamente islamico, mentre noi abbiamo delle consistenti comunità di magrebini, di religione islamica. Quindi, la loro esperienza può esserci di aiuto nel contatto con le comunità che vivono da noi. Vivono in un clima di pacifica convivenza con la nostra gente e il dialogo con loro, pur con le difficoltà che comporta il rapporto tra islam e cristianesimo, può esserci molto utile. Per non parlare poi dei problemi legati alle migrazioni che, soprattutto nel 2011, sono state drammatiche. Adesso, lo sono un po’ meno, ma certamente è un problema che non è stato assolutamente risolto in maniera adeguata.

    D. – Lei cosa pensa della "primavera araba"?

    R. – Io della "primavera araba" penso solo bene, come valutazione dell’ideale, perché ha dimostrato come si possano abbattere regimi dittatoriali senza partire da motivazioni di carattere ideologico. È stata la vittoria della spontaneità, innestata sulla rivendicazione di libertà e di diritti da conquistare proprio con una partecipazione diretta. È stata una rivoluzione di massa, veicolata dai network, che ha raccolto soprattutto fasce non protagoniste del mondo arabo, come i giovani e le donne, che sono stati il motore che ha spinto queste rivoluzioni. Certamente, adesso – dopo le fiammate degli ideali del 2011 – c’è l’impatto con i problemi reali: c’è da costruire un sistema istituzionale, la Carta costituzionale, un sistema parlamentare, la partecipazione dei cittadini, e tutto questo ha dei costi. Ha dei costi anche di carattere economico, aggravati dalla situazione internazionale, da un’economia globalizzata.

    D. – Voi, comunque, vedete una possibilità di collaborazione con le Chiese della sponda Nord del Mediterraneo, su emigrazione e nuova evangelizzazione?

    R. – Sicuramente, soprattutto sul piano della testimonianza della carità. Anche perché questa – come ribadisce costantemente Benedetto XVI nel suo magistero ordinario e quotidiano – è il miglior modo per spianare la via a una evangelizzazione della vita e delle opere.

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    Il card. Scola: necessario rifondare la politica, importante il ruolo delle religioni

    ◊   “Le religioni sono soggetti pubblici che vivono ogni giorno nella società civile e tengono insieme uomini e donne che cercano una prospettiva di vita”. Lo ha detto il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, presentando nei giorni scorsi a Londra l’esperienza della Fondazione internazionale Oasis, da lui fondata e presieduta, in un seminario a Westminster, sede della Camera del Parlamento britannico, e in un incontro all’Università di Londra, davanti a politici, uomini di cultura e rappresentanti della società civile sui temi delle religioni, bene comune in società caratterizzate da fedi e culture diverse. Luca Collodi ha chiesto al cardinale Angelo Scola, quale sia l’importanza del ruolo delle religioni nella crisi politica ed economica dei nostri giorni:

    R. – E’ necessario rifondare la politica, trovare una nuova cultura della politica, e da dove questa può venire? Prendendo spunto dalla visione che Giovanni Paolo II aveva della cultura: l’uomo è per sua natura inserito nella cultura; la cultura è l’esperienza della vita, degli affetti, del lavoro, del riposo che tutti gli uomini e le donne hanno in comune. Quindi, bisogna ripartire da lì. Le religioni sono dei soggetti pubblici che vivono ogni giorno nella società civile, che tengono insieme uomini e donne che cercano un senso ed una prospettiva di vita. Da questo punto di vista, il dialogo interreligioso diventa decisivo, non soltanto per la verità della fede, ma anche per l’edificazione di una vita buona dentro la società civile, che sia la base anche per un rinnovamento della politica.

    D. – Il confronto tra fedi e culture, in particolare in Medio Oriente, rappresenta sempre una sfida…

    R. – Certo, la situazione in quella regione resta terribilmente grave. Tuttavia, proprio questa tragedia ci fa capire che ovunque noi siamo, finché ci troviamo di fronte ad un volto chiaro, ad un profilo netto, non dobbiamo rassegnarci e dobbiamo comunicare gli uni con gli altri, conoscerci, andare verso il dialogo in senso stretto - a partire dalle grandi questioni antropologiche, sociali e di rapporto con il Creato – perché altrimenti sarà ancora più difficile che questa terribile situazione mediorientale trovi risposta. Perciò, c’è un nesso – ovviamente, si tratta di un sottile filo - che lega questo piccolo gesto di una realtà molto modesta come “Oasis” e la grande tragedia a cui stiamo assistendo: ed è che la pace è un compito che sta davanti a ciascuno di noi ed ognuno, nel suo ambito, deve ogni giorno darsi da fare per costruire questa pace.

    D. – Guardando all’Europa e guardando anche all’Italia, la sensazione è che oggi questo dialogo non riesca a mantenere forte la democrazia rispetto alla società civile …

    R. – Ha ragione ed è il motivo per cui tutti dobbiamo prendere coscienza del momento molto delicato che stiamo attraversando, nel Paese, e dobbiamo guardare a questo momento con il desiderio di costruire. Abbiamo bisogno di una nuova cultura della politica: abbiamo ridotto la politica ad una cosa di profilo troppo basso, di corto respiro e, evidentemente, il popolo – che per giunta è toccato gravemente, sulla sua pelle, da questa crisi economica, che è anche espressione di un travaglio sociale più grande – rischia di perdere la speranza e, pressato da fatiche, contraddizioni ed insofferenze, rischia di togliere fiducia alla democrazia. Perciò, bisogna che tutti noi – e, nella nostra società civile, non mancano frammenti positivi – cerchiamo di costruire una cultura politica che, partendo dai bisogni - perché bisogna sempre partire dai bisogni – tuttavia, riesce ad immettere in questi bisogni i grandi temi che l’uomo non può ignorare: il tema della fede, la grande questione di Dio, il tema della dignità dell’uomo, il tema della libertà religiosa, della libertà di coscienza; ma tutte queste libertà devono diventare libertà realizzate. Perciò dobbiamo darci da fare tutti per questo rinnovamento della cultura della politica. Io, però, ho speranza.

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    Il parroco anticamorra, don Manganiello, presenta a Roma l'Associazione "Ultimi"

    ◊   “Noi dobbiamo sconfiggere l’idea che la lotta all’illegalità va confinata solo all’ eroe di turno, ma è una cosa che riguarda tutti, l’importante è far trovare alle mafie un territorio compatto solo così le potremo battere”. Così, ieri pomeriggio a Roma presso il liceo Mamiani, ha spiegato il presidente della provincia di Roma Nicola Zingaretti, alla presentazione dell'Associazione "Ultimi" fondata da don Aniello Manganiello, ex parroco di Scampia dove per molti anni ha lottato contro la camorra. Scopo del gruppo, dare un’aiuto concreto a coloro che vivono nell’indigenza estrema. Ma ascoltiamo don Manganiello, al microfono di Marina Tomarro:

    R. - Questa Associazione nasce come proseguo di una storia bella ma difficile, com’è stata quella della mia esperienza di parroco a Scampia per 16 anni. Quell’esperienza così forte, che mi è entrata nel sangue, nelle vene, attraverso anche i pianti della gente oppressa dalla camorra, mi ha spinto a fare qualcosa. Di fronte a queste sofferenze, di fronte al silenzio imposto sulla gente, ho sempre pensato che quella giustizia non potesse essere saziata in Paradiso, ma che fosse necessario già qui dare delle risposte.

    D. - In che modo si aiutano coloro che hanno fame e sete di giustizia?
    R. - L’Associazione ha individuato alcune finalità. Prevede una presenza forte nelle scuole: quindi accompagnare i ragazzi a scoprire la bellezza della legalità come elemento per fare comunione, per condividere insieme dei progetti per il bene comune. L’altra finalità principale è chiedere che i beni confiscati alle mafie siano utilizzati per realizzare strutture e iniziative di accoglienza per gli ultimi della società, per coloro che non hanno nulla. L’amore può diventare un termine astratto, ma l’associazione “Ultimi” vuole farlo diventare una concretezza nella società per dare speranza a chi la speranza l’ha persa già da tempo o la sta perdendo.

    D. - Tornando alla sua esperienza di Scampia, in che modo ha cercato di dare aiuto a coloro che si sono rivolti a lei?

    R. - Ho cercato di essere un prete di strada, di stare tra la gente, di essere cordiale anche con i camorristi… Questo mio stare per strada mi ha consentito anche di conoscerli e se ho negato i Sacramenti molte volte è perché sapevo chi mi trovavo davanti: negare per proporre percorsi di conversione, di cambiamento e alcuni ce ne sono stati. Quindi l’ascolto, ma anche la condivisione delle battaglie per i loro diritti e la vicinanza ai bisogni concreti. Abbiamo messo in cantiere, con la comunità, una serie di iniziative e grazie a Dio siamo riusciti a fare tanto: a livello di bollette, di aiuti economici consistenti, di viveri. Questo sicuramente, in quell’arco di 16 anni, ha impedito a tanti che si trovavano in necessità di ricorrere alla camorra, che lì è un ammortizzatore sociale. Questa è la battaglia che abbiamo portato avanti, la lotta al disagio sociale: più si dà una risposta ai bisogni materiali, più si impedisce alla camorra di essere una organizzazione che risponde ai bisogni, anche materiali e primari della gente.

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    "La fabbrica delle malattie": un libro sul rapporto tra bambini e psicofarmaci

    ◊   Bambini. Psicofarmaci sì, psicofarmaci no. Torna, ciclicamente, l’attenzione sul problema del trattamento farmacologico di questo tipo ai bambini. In allarme, genitori e associazioni che proteggono la salute dei minori. In Italia, la legge e le direttive dell'Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) e dell'Istituto Superiore di Sanità prevedono particolare prudenza nella somministrazione di psicofarmaci ai bambini, in considerazione dei pericoli derivanti dall’assunzione di questi prodotti e degli effetti collaterali a lungo termine. Particolare attenzione su Ritalin, Strattèra e Prozac, per il trattamento dell’Adhd, disturbo da iperattività e deficit di attenzione. Negli Stati Uniti, il numero di minori trattati è aumentato e oggi sono 11 milioni i bambini e gli adolescenti che fanno uso di psicofarmaci. Sotto accusa, le multinazionali che producono questi farmaci. Al microfoni di Eliana Astorri, la giornalista e autrice del libro “La fabbrica delle malattie”, Rita Dalla Rosa, parla di questo fenomeno e della situazione in Italia:

    R. – L’Italia, per fortuna, finora non è arrivata ai livelli degli Stati Uniti o anche di altri Paesi europei, come l’Inghilterra, l’Olanda o la Germania. Questo anche perché, fin da subito, c’è stata una forte attenzione da parte di alcune associazioni, che tutelano i bambini. In Italia, dopo una lunga battaglia, è stato istituito un registro nazionale, presso l’Istituto Superiore di Sanità, che tiene sotto controllo i bambini cui vengono dati questi psicofarmaci.

    D. – Ma la soluzione non sono gli psicofarmaci?

    R. – Gli psicofarmaci non sono mai la soluzione, per nessun tipo di disturbo o di disagio mentale, perché intervengono sui sintomi. Possono aiutare ad attenuare dei sintomi e rendere più gestibile il bambino, in modo che la psicoterapia, o comunque le varie terapie della parola, che possono davvero andare a toccare le cause di certi disagi, possano fare il loro lavoro. Che l’Adhd sia un disturbo biologico, fisico, genetico, su questo il mondo scientifico ancora discute e il dibattito è aperto. Per questo è molto, molto importante andare con i piedi di piombo, perché i sintomi che vengono attribuiti all’Adhd, in base al manuale diagnostico, stilato dai pediatri americani, sono sintomi molto vari e possono trovarsi in presenza di mille cause. Questa Adhd, quindi, sta diventando una “moda” e per questo noi parliamo di “fabbrica delle malattie”.

    D. – Perché è vero che questi bambini trattati si calmano: ma ci sono anche degli effetti collaterali nella loro crescita, delle conseguenze?

    R. – Com’è facilmente intuibile, uno psicofarmaco che va ad agire su quella delicatissima chimica che è il nostro cervello, e soprattutto in un cervello che è in evoluzione, chiaramente crea dei problemi, dei disturbi. Questi farmaci, poi – ormai è stato accertato, perché sono state riscontrate molte occorrenze in tanti pazienti – hanno degli effetti collaterali molto forti, ad esempio sul cuore, sul miocardio – ci sono stati casi di infarto in bambini che prendevano questo tipo di psicofarmaci – oppure sul fegato, oppure quello che può sembrare un miglioramento nei sintomi, perché il bambino sta più calmo, diventa più attento, si focalizza sul compito che sta facendo, può invece essere una spia di un inizio di una psicosi, perché a quel punto il bambino diventa maniacale e la psicosi è molto più grave della sindrome Adhd.

    D. – E’ il momento di parlare di chi ha tutto l’interesse a divulgare l’uso degli psicofarmaci a bambini adolescenti...

    R. – Noi puntiamo il dito contro le multinazionali del farmaco, che per certi versi sono benemerite – perché chiaramente i farmaci sono importanti e nessuno ne mette in dubbio l’utilizzo – ma che, soprattutto in questo campo, esercitano una eccessiva pressione. Negli Stati Uniti, ci sono dei procedimenti giudiziari, in cui alcune case farmaceutiche sono state chiamate in causa proprio perché avevano tenuto nascosta tutta una serie di effetti collaterali, che determinati farmaci potevano dare. Un genitore, non conoscendo gli effetti collaterali, dà più tranquillamente lo psicofarmaco al bambino e lo stesso medico, a cui non viene detto che ci sono determinati pericoli, può prescriverlo in maniera più tranquilla.

    D. – Il libro si conclude con consigli pratici per genitori, insegnanti e poi con siti utili...

    R. – Il consiglio più importante è proprio quello di informarsi. Per questo, noi abbiamo dato i siti sia di “Giù le mani dai bambini” sia dell’Istituto Superiore di Sanità sia di un altro centro per la famiglia. Può essere utile, inoltre, non fermarsi al primo parere del primo psichiatra, ma chiedere il parere di un altro psichiatra.

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    Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica

    ◊   In questa 33.ma Domenica del Tempo ordinario la liturgia ci propone il passo del Vangelo in cui Gesù parla ai discepoli degli ultimi tempi: il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Quindi aggiunge:

    “Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo”.

    Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente emerito di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:

    Siamo ormai verso la fine dell’anno liturgico, e nel Vangelo di oggi Gesù sembra provare gusto a parlare di stelle che si spengono e cadono, di cieli sconvolti e di sole nero che tutto oscura. È quello strano modo di parlare, abbastanza frequente nella Bibbia, che si chiama linguaggio apocalittico: parlando in questo modo non si vuole spaventare la gente, ma allertarla, perché non dimentichi che la storia non è infinita, ma verrà il tempo della chiusura, del giudizio e della manifestazione finale di Dio. È proprio su questa venuta sulle nubi del Figlio dell’uomo che Gesù insiste. Non una venuta per spaventare e annientare, ma per donare pienezza ad ogni germoglio di bene e di speranza che avremo coltivato. Gli angeli raduneranno gli eletti dai quattro venti, dice Gesù; e Daniele (nella prima lettura) spiega meglio: saggi e giusti saranno come stelle nel cielo. Il cielo dell’umanità santa non sarà vuoto né svuotato, ma sarà popolato di cuori che hanno trepidato e amato, di gente solidale che non ha perso la speranza, di veggenti che hanno saputo vedere e credere al compiersi della promessa. Liberiamoci dall’immaginario della paura e attendiamo fiduciosi il Signore che viene!

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Una religiosa da Gaza: restiamo accanto alla gente

    ◊   “Da domenica scorsa viviamo dei momenti di tensione nella striscia di Gaza, una situazione che si è aggravata dal pomeriggio di mercoledì scorso. Gli attacchi e le risposte sono stati pressoché continui. Le attività si sono interrotte. La gente ha paura”. Questa la testimonianza – pubblicata dal sito del Patriarcato latino di Gerusalemme e ripresa dal Sir – di madre Maria di Nazaret, religiosa della Famiglia del Verbo Incarnato, Istituto da quattro anni impegnato nel servizio pastorale alla piccola comunità cattolica (circa 200 persone) della parrocchia latina di Gaza. “I cristiani – spiega la religiosa – ci chiedono a volte se abbiamo paura di essere qui e ci invitano a rimanere nelle loro case”. “Molti cristiani – aggiunge – ci telefonano per chiederci se abbiamo bisogno di qualcosa, si rendono disponibili”. “Ringraziamo tutti per la loro vicinanza e chiediamo la preghiera”. “Siamo in attesa di vedere cosa succederà nelle prossime ore. Il nostro desiderio è di rimanere vicini a tanta gente, a tanti civili che soffrono innocentemente le conseguenze di questa situazione”. “La nostra missione consiste adesso soprattutto nell’accompagnarli da vicino, nell’offrire delle parole di conforto e di speranza. Vogliamo anche aiutarli a ricorrere a Dio, insegnare il perdono e il valore della sofferenza vissuta con Cristo”. Accorata e toccante la preghiera della religiosa: “Nostro Signore Gesù Cristo, Principe della Pace, accoglie le preghiere che si levano da Gaza e per Gaza. Che Egli possa donare a tutti l’amore per la giustizia, la pace e la riconciliazione. Che possa consolare tutti coloro che soffrono, curare i feriti… allora cesserà il rumore di ogni aggressione. Infine che conceda una pace giusta tra Israeliani e Palestinesi. Ciò che sembra impossibile agli uomini non lo è per Dio. Che Egli possa toccare il cuore di tutti, affinché un giorno – non troppo lontano, speriamo – tutti gli abitanti di questa Terra Santa possano vivere come fratelli. Ossia come Dio voleva”. La Famiglia Religiosa del Verbo incarnato è da quasi quattro anni presente in maniera permanente nella striscia di Gaza. I cattolici sono circa 200. (A.L.)

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    Proteste in Giordania. L'arcivescovo Lahham: slogan simili alle altre rivolte arabe

    ◊   Gli slogan che ieri in Giordania chiedevano l’abbattimento del governo sono “le stesse parole d'ordine che, di Paese in Paese, hanno segnato l'inizio delle rivolte in tutto il mondo arabo”. A tracciare il parallelo, parlando all’agenzia Fides, è l'arcivescovo Maroun Lahham, vicario patriarcale per la Giordania del Patriarcato latino di Gerusalemme. “Qui da noi – prosegue il presule - la richiesta di abbattere la monarchia hashemita fino a qualche tempo fa era una cosa impensabile. Come una linea rossa che finora nessuno aveva osato varcare”. A scatenare le proteste di ieri è stato l'aumento del prezzo della benzina e dei combustibili, ultimo effetto di una crisi economica che sta portando anche la classe media sotto i limiti della soglia di povertà. Gli scontri tra manifestanti e polizia hanno provocato almeno due morti. Finora il Re Abadallah II “non si è pronunciato pubblicamente sugli ultimi avvenimenti”, spiega mons. Lahham, che sottolinea anche come, a differenza di quanto avvenuto in altri Paesi arabi, i Fratelli musulmani in Giordania abbiano svolto da subito un ruolo chiave nelle proteste, “cavalcando il malessere sociale”. L’auspicio del presule è che “le cose non precipitino verso conflitti e violenze”. Ad ottobre Re Abdallah aveva sciolto il parlamento e nominato un governo provvisorio per gestire il Paese fino alle prossime elezioni parlamentari, fissate per il 23 gennaio 2013. I Fratelli Musulmani hanno sempre confermato la loro decisione di boicottare l'appuntamento elettorale, chiedendone il rinvio. (D.M.)

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    Strage in Egitto, treno travolge un pullman: morti 47 bambini

    ◊   Quarantasette bambini e due adulti sono morti in Egitto, in seguito alla collisione del pullman, su cui viaggiavano, contro un treno. La disgrazia è avvenuta a Manfalut, nella provincia di Assiut. Fonti locali riferiscono che, al momento dell'incidente, l'addetto al passaggio al livello stava dormendo. L’uomo è stato arrestato. L'impatto è stato violentissimo e il bilancio delle vittime potrebbe salire. I feriti sono almeno 28. Tra questi, 27 sono bambini. Dopo l’incidente, il ministro dei Trasporti egiziano, Rachad al Metini, e il capo dell'Autorità per le ferrovie hanno rassegnato le dimissioni. Il presidente egiziano, Mohamed Morsi, ha chiesto al primo ministro, ai ministri della Difesa e della Salute e al governatore della provincia di Assiut “di offrire tutta l'assistenza possibile alle famiglie delle vittime”. Morsi ha anche ordinato un'inchiesta rapida sull'incidente. All'inizio di novembre si era verificato un altro incidente ferroviario in Egitto. In quell'occasione, due treni si erano scontrati nel governatorato di Fayyum, 85 chilometri a sud del Cairo, provocando quattro morti. Il peggior disastro ferroviario, nel Paese, rimane quello del febbraio 2002, quando in un incendio morirono oltre 300 persone. (A.L.)

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    L’impegno della Caritas per elezioni democratiche in Sierra Leone

    ◊   Si svolgono a partire da oggi in Sierra Leone le seconde elezioni democratiche dalla fine del conflitto civile che ha insanguinato il Paese per undici anni, dal 1991 al 2002: un momento storico e delicato per il paese sulla strada della stabilità democratica. La Caritas Italiana opera da tempo nel paese africano, collaborando in particolare con la Diocesi di Makeni, prima nell’assistenza ai bambini soldato rilasciati dai ribelli e, a partire dal 2004, con il sostegno alle attività della Commissione diocesana Giustizia, Pace e Diritti umani. La Chiesa locale è fortemente impegnata perché si svolgano elezioni libere, trasparenti e pacifiche e numerose sono le iniziative intraprese da molto tempo per una sensibilizzazione dei cittadini ad esercitare coscientemente il proprio ruolo di elettori e ad impegnarsi nella vita politica del paese. La Conferenza Episcopale della Sierra Leone già nel mese di luglio ha pubblicato una lettera pastorale sull’importanza di elezioni. Il Consiglio Interreligioso, in collaborazione con la Commissione Giustizia Pace e Diritti Umani nazionale e l’Università di Makeni, ha organizzato numerosi incontri per sensibilizzare al voto corretto e pacifico sia la popolazione che le autorità civili e tradizionali, chiedendo in particolare a quest’ultime - molto rispettate a livello locale - un impegno formale alla nonviolenza e all’imparzialità. Attualmente sono presenti in Sierra Leone due giovani volontarie in servizio civile, operanti nel progetto "Caschi Bianchi", che saranno anche osservatori del processo elettorale proprio con la Commissione Giustizia, Pace e Diritti Umani della Diocesi di Makeni. “In un Paese come la Sierra Leone - scrivono le due volontarie -, che solo 10 anni fa ha vissuto uno dei conflitti civili più cruenti e sanguinosi della storia africana, notiamo che le elezioni hanno un’importanza fondamentale, un valore profondo e denotano differenze rilevanti con la democrazia “occidentale”. Ci ha stupito in particolare l’incalzante campagna alla nonviolenza, il continuo invito alle donne a recarsi alle urne e il fatto che i manifesti dei diversi partiti politici non siano lo specchio di valori e ideali, ma piuttosto tentativi di rispondere ai bisogni concreti della popolazione”. (A.L.)

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    Nel mondo 15 milioni di neonati prematuri l’anno a causa di malattie ed età avanzata

    ◊   Sono circa 15 milioni i neonati che ogni anno nascono prematuri. Si tratta di più di un bambino su 10 in tutto il mondo. Il dato emerge alla vigilia della Giornata mondiale del neonato pretermine, che si celebrerà domani. L’obiettivo è di sensibilizzare l'opinione pubblica su un fenomeno concentrato in una decina di Paesi e in crescita ovunque. Le cause principali sono in parte patologiche. Tra queste, ipertensione, diabete, infezioni. Nei Paesi più sviluppati le cause sono soprattutto legate all'età sempre più avanzata delle mamme e al ricorso sempre più frequente alle tecniche della procreazione assistita. Secondo Costantino Romagnoli, presidente della Società italiana di neonatologia, "si tratta di un'emergenza dimenticata". "Il fenomeno – spiega – è in crescita ed è diventato un problema di salute pubblica, che va considerato in termini di prevenzione, cura e assistenza”. Il 60% delle nascite premature del mondo si concentra in soli dieci Paesi, la maggior parte dei quali nell'Africa subsahariana o in Asia. Il primato è della Repubblica Democratica del Congo con 341.400 nati prematuri all'anno. (A.L.)

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    I vescovi campani sui roghi tossici: sono un dramma umanitario

    ◊   “I territori campani a Nord di Napoli e a Sud di Caserta sono stati in questi anni terribilmente e incredibilmente feriti e violentati da milioni di tonnellate di rifiuti industriali, altamente tossici, interrati o dati alle fiamme. Criminali senza scrupoli hanno avvelenato la terra, l’acqua, l’aria. Il disastro ambientale ben presto si è trasformato in un vero dramma umanitario. In questa striscia di terra, dove vive più di un milione e mezzo di persone, infatti, si riscontra un tasso di patologie tumorali più alto che in altre parti d’Italia”. Questa denuncia si legge nel documento dei vescovi della “Terra dei fuochi” (Aversa, Caserta, Capua, Acerra, Nola, Pozzuoli, Napoli) sui roghi tossici, reso noto ieri sera e ripreso dal Sir. “Noi vescovi di questo territorio – si legge nel documento – siamo seriamente preoccupati e perplessi per la sorte del popolo affidato alle nostre cure pastorali. I rifiuti industriali provenienti dal Nord Italia o anche dalle tante fabbriche campane che lavorano in regime di evasione fiscale e senza alcun rispetto per l’ambiente, distruggono la sana economia. I prodotti di qualità della nostra agricoltura oggi vengono respinti per paura o pregiudizi. Tanti giovani, inoltre, scelgono di emigrare per non condannare i figli a vivere in una terra avvelenata che ruba loro speranza, futuro e anni di vita”. Per i vescovi, “questa autentica sciagura chiama in causa non solo le istituzioni locali – che mai riusciranno a risolvere il problema se lasciate sole – ma l’intera nazione”. Infatti, “i responsabili di tanto scempio sono da ricercare nella sfrenata corsa al denaro da parte della criminalità organizzata e di imprenditori imbroglioni e vili, assecondati da una scarsa azione di sorveglianza. Il fatto che più ci angoscia è che nelle nostre diocesi il cancro miete vittime innocenti più che altrove. E’ una vera ecatombe. Siamo davanti a una ingiustizia somma”. Eppure, “i campani della ‘Terra dei fuochi’ sono italiani ed europei e reclamano gli stessi diritti dei loro connazionali”. “Ci rincuora non poco assistere – affermano i vescovi – a un vero e proprio risveglio di civiltà e impegno da parte di tantissimi cittadini, in particolare giovani, che sono scesi in campo con coraggio per dire ‘basta’. “Tantissimi comitati sono nati spontaneamente in quasi tutti i paesi interessati, lanciando un grido che non è rimasto inascoltato”. “Le nostre Chiese – ricordano infine i presuli – con i parroci e i vescovi li sostengono e li incoraggiano, impegnandosi fortemente nella formazione e diffusione di una cultura della legalità e del bene comune”. Per questo, “fanno proprio il loro grido invitando tutti all’impegno e alla denuncia”. (A.L.)

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    Arezzo. Convegno nel 50.mo della "Pacem in Terris": pace dono e compito

    ◊   Pace e guerra tra le nazioni a 50 anni dalla Pacem in Terris”: è il tema del convegno, che si è chiuso oggi ad Arezzo, organizzato congiuntamente dall’associazione “Rondine Cittadella della pace” e dall’istituto internazionale “Jacques Maritain”. L’attualità del tema non poteva non tenere in debito conto la situazione a Gaza. “Affiancare la diplomazia popolare a quella istituzionale e politica per trovare soluzione ai conflitti in atto nel mondo”: è priorità indicata da Franco Vaccari, presidente dell’associazione Rondine Cittadella della pace. “Davanti al conflitto a Gaza – ha dichiarato al Sir – si rafforza “la scelta di ripartire dalla persona e dalle relazioni concrete”. “Tutto il resto si rivela fragile. Rafforzare le ragioni dell’amicizia per indebolire ed eliminare quelle dell’inimicizia. Sono relazioni nuove che si costruiscono negli anni, per cui bisogna avere visioni di lungo termine”. “Fatti di oggi, come quelli di Gaza – aggiunge Vaccari – si evitano con un profondo lavoro culturale da portare avanti sin dall’adolescenza, educando i giovani all’amicizia sin da piccoli”. Rondine Cittadella della pace vive l’esperienza della diplomazia popolare, l’amicizia che contagia e che chiama le Istituzioni politiche, economiche e civili a dare risposte importanti alle crisi. “Diplomazia popolare e ufficiale – sottolinea Vaccari – devono per questo camminare di pari passo e lavorare in sinergia. Dove fallisce l’una può riuscire l’altra, perché l’amicizia sogna e vuole il futuro”. Sulla pace come “dono e compito” si è soffermato poi mons. Ettore Balestrero, sottosegretario vaticano per i rapporti con gli Stati, in un messaggio inviato agli organizzatori e letto al convegno. La Pacem in terris – sottolinea mons. Balestrero - é “un punto di partenza” e “laddove papa Roncalli indicava che la pace sorge dal rispetto per l’ordine costituito da Dio, sembrava profeticamente prefigurare una delle attuali minacce alla pace, il relativismo”. “La pace – osserva – è dono e compito. Dono perché non è un’opera umana ma proviene da Dio, compito perché esige la risposta libera e consapevole di ciascuno nel rispetto di quella grammatica inscritta nel cuore dell’uomo dal suo Creatore”. (A.L.)

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    Lateranense: convegno su pace e Dottrina sociale della Chiesa

    ◊   “Se vuoi la pace costruisci istituzioni di pace”. È il tema del Colloquio annuale promosso dall’Area internazionale di ricerca Caritas in Veritate, presieduta dal prof. Flavio Felice, che si terrà il 21 e il 22 novembre presso l’aula Paolo VI della Pontificia Università Lateranense. La due giorni, organizzata con il contributo della Fondazione Roma, sarà strutturata in quattro aree tematiche articolate lungo sessioni mattutine e pomeridiane. La prima – che avrà inizio alle ore 9.15 di mercoledì prossimo e sarà introdotta dai saluti del rettore magnifico dell’Università Lateranense, il vescovo Enrico dal Covolo – ruoterà intorno alla tematica dello “spazio politico della Dottrina Sociale della Chiesa nel mondo globalizzato”. A seguire, dalle ore 14.30, la seconda sessione sarà dedicata all’approfondimento in chiave economica delle prospettive di pace e risoluzione dei conflitti “per una governance sussidiaria dei processi economici”. Giovedì 22, poi, durante la sessione mattutina si parlerà del ruolo della “Dottrina Sociale della Chiesa di fronte alle sfide dell’interdipendenza globale”. Nel pomeriggio, la sessione conclusiva si concentrerà sulle principali questioni più strettamente legate all’“educazione alla pace”. “Con questo colloquio – afferma il rettore dal Covolo – tentiamo di rispondere alla richiesta pressante dello sviluppo autentico di un ordinamento che garantisca cammini di pace e libertà conformi alla dignità della persona umana”. (A.G.)

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    A Roma congresso dei medici cattolici italiani ed europei sul fine vita

    ◊   Un confronto tra le legislazioni europee sul fine vita. Questo l’obiettivo del congresso, in corso a Roma fino a domani presso l’Università Cattolica, promosso dall’Associazione dei Medici Cattolici Italiani (Amci) e dalla Federazione Europea delle Associazioni Mediche Cattoliche incentrato sul tema “Bioetica ed Europa cristiana”. “I Paesi del Benelux, che hanno legalizzato l’eutanasia – ha detto il giurista francese Yves Maria Doublet – raggiungono 28 milioni di abitanti, a fronte degli oltre 400 milioni che non ce l’hanno”. Le tendenze che si sono manifestate dal 2005 riguardano la “costituzione di un quadro giuridico sui trattamenti in fase terminale, l’accento posto sulle cure palliative, il rafforzamento dell’espressione della volontà del paziente, il mantenimento della proibizione dell’eutanasia”. C’è un “background comune”, costituito dalle indicazioni del Consiglio d’Europa, basato sull’armonia tra “decisione medica e decisioni prese in anticipo” e il “volere del paziente”. “La popolazione di non autosufficienti nel 2040 – ha aggiunto l’esperto francese Christian Brégeon – sarà raddoppiata”. Una simile tendenza, ricorda il Sir, riguarderà anche la spesa sanitaria: “L’uso delle cure palliative – ha osservato Brégeon – diventerà una priorità, insieme all’utilizzo di metodi per controllare il dolore e dare assistenza psicologica e spirituale ancor prima delle cure terminali”. A fronte di un forte “sovraccarico fiscale” che “peserà sui cinquantenni”, i rapporti familiari saranno “fortemente stressati” e andrebbero, pertanto, “tutelati”, anche perché il contesto “sarà meno solidale che nel passato”. Rispetto al fine vita, la “rivoluzione demografica” farà sì che “non si rifiuteranno più sistematicamente a un anziano i vantaggi tecnologici, dalle protesi articolari alla chemioterapia”, sviluppando così una “nuova popolazione di persone molto anziane”, stabilizzate ma “senza prospettiva di cura”. (A.L.)

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    Roma: rassegna fotografica “Spezziamo le catene, mostra anti schiavitù”

    ◊   “Nei soli anni ’80 del secolo scorso, sono stati ridotti in schiavitù dai trafficanti asiatici più donne e bambini di tutti gli schiavi africani nei 400 anni di storia della tratta negriera”. Lo ha ricordato suor Maggi Kennedy, delle Soeurs Missionnaires de Notre-Dame d'Afrique, nella sua relazione dal titolo “La tratta degli esseri umani: un’epidemia silenziosa del 21.mo secolo” tenuta nell’ambito della presentazione della mostra fotografica “Spezziamo le catene, mostra anti schiavitù”, che si è aperta a Roma l’8 novembre. La mostra – ricorda l’agenzia Fides – vuole ricordare la campagna antischiavista lanciata nel 1888 dal Cardinale Charles Martial Allemand Lavigerie, fondatore dei Missionari d’Africa (Padri Bianchi e Suore Bianche). “Il Kenya, dove lavoro, è una fonte, un luogo di transito e di destinazione della tratta di esseri umani”, ha denunciato la religiosa. “La situazione è terribile. È una epidemia silenziosa e in crescita soprattutto a Nairobi e a Mombasa, veri e propri punti caldi a causa del turismo”. Oltre che per lo sfruttamento sessuale, gli esseri umani vengono trafficati e venduti per scopi ancora più sinistri. “In Africa, l’asportazione di parti del corpo è una pratica comune soprattutto per compiere atti di stregoneria”, ha affermato suor Maggi. “Le ragazze giovani sono violentate come una ‘cura’ contro l'Hiv/Aids o sono costrette a rimanere incinte e il bambino viene venduto al miglior offerente. Vi sono poi i bambini soldato, che rimangono traumatizzati e segnati per la vita”. Suor Maggi ricorda l’impegno profuso dalla Chiesa, e in particolare dagli istituti missionari, per combattere questo crimine, e ha proposto alcune misure concrete al riguardo. Tra queste, la creazione di strutture di coordinamento diocesano nelle zone dell’Africa e del resto del mondo, dove le persone più vulnerabili sono facili prede dei trafficanti, e la creazione di reti informative che colleghino le diverse diocesi per sensibilizzarle sul grave problema. (A.L.)

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    Russia, a Novgorod la prima “chiesa universitaria” ortodossa

    ◊   Sarà a Novgorod, a nord di Mosca, la prima "chiesa ortodossa universitaria". L’ateneo locale ha restituito al Patriarcato ortodosso la chiesa della Presentazione del Signore, che dagli anni ’30 ospitava la palestra per gli studenti. L'università – rende noto AsiaNews – ha già annunciato una colletta per il lavoro di restauro e riparazione dell'ex luogo di culto. Dopo oltre 80 anni di chiusura, in seguito alla sua confisca da parte del regime sovietico, la chiesa verrà restituita al Patriarcato di Mosca. Esempio dell'architettura dell'antica Russia, costruita tra il 1533 e il 1535, la chiesa è stata chiusa negli anni '30 del secolo scorso, quando ha iniziato a ospitare la palestra dell'Università statale di Novgorod. La prima funzione, dopo decenni, si terrà il 7 dicembre, in occasione del Giorno dedicato alla memoria del principe Jaroslav il Saggio, che nel XI secolo unificò tutta la terra russa. (A.L.)

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    Famiglie italiane sempre più hi-tech

    ◊   “Smartphone, cellulari, tablet, lettori mp3, navigatori satellitari e altri strumenti elettronici portatili sono diventati delle vere e proprie appendici. In casa o in ufficio, al lavoro o nel tempo libero, per accedere a servizi, fare shopping e soprattutto per fare pagamenti senza più ricorrere al denaro contante”. E’ quanto emerge da un’indagine del Censis presentata ieri dall’Abi e dal Consorzio Bancomat- che ha fotografato gli usi, i costumi e le tendenze della nuova Italia-digitale. La vita delle famiglie italiane è sempre più hi-tech. Dalla ricerca emerge, in particolare, che “oggi naviga abitualmente su internet il 62% della popolazione nazionale. Le famiglie italiane usano la rete per le attività più diverse, come cercare luoghi e strade (30,6%), ascoltare musica (23,1%) o guardare un film (11,5%). Ma sono soprattutto i vantaggi e la praticità dell’e-commerce ad attirare un numero sempre maggiore di italiani, che sempre più spesso scelgono il web per fare shopping (15%) o prenotare viaggi (11,5%)”. “Cresce sensibilmente anche il numero di coloro che preferiscono operare online con la propria banca, comodamente seduti davanti al computer di casa o dell’ufficio, o in mobilità da smartphone e tablet. Alla domanda per cosa usa di più interne», la percentuale di italiani che ha risposto consultare il conto corrente, comprare e vendere titoli, fare bonifici e pagamenti e così via è cresciuta dal 17% del 2011 al 20% del 2012. Meno diffuso invece è il ricorso alla burocrazia digitale, visto che solo il 6,1% degli utenti ha sbrigato le proprie pratiche con gli uffici della pubblica amministrazione via internet”. (A.L.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 322

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.