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Sommario del 14/11/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all’udienza generale: mondo, uomo e fede vie per aprire i cuori alla conoscenza di Dio
  • Il Papa nomina mons. Bettencourt capo del Protocollo della Segreteria di Stato
  • Il Papa e gli anziani. Commenti di Mangano dell’Auser e di Marazziti di Sant’Egidio
  • Il 20 novembre presentazione del libro del Papa sull'infanzia di Gesù
  • Dieci anni fa Giovanni Paolo a Montecitorio. Il Papa: dal cristianesimo risorse per il bene comune
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: per Damasco il riconoscimento dell'opposizione è una dichiarazione di guerra
  • L'attivista siriana Hanadi Zalhout: appoggio la nuova Coalizione nazionale
  • Cina. Chiuso il 18.mo congresso del Partito comunista. Al via l’era di Xi Jinping
  • L'Europa si mobilita contro la crisi. Manifestazioni di piazza in 23 Paesi
  • “Mercati di guerra”: in un volume, conflitti dimenticati e legami tra finanza e povertà
  • Regolamento Imu: preoccupazione dal mondo del no profit
  • Gli stranieri fanno più impresa degli italiani. Unioncamere presenta il progetto "Start it up"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Colombia: processo di pace Governo-Farc il 19 novembre
  • Australia: sì dei vescovi a Commissione d’inchiesta del governo sul fenomeno degli abusi
  • Siria: famiglie e soprattutto bambini nel campo profughi di Atmeh al confine con la Turchia
  • Pakistan. Concluso il processo Rimsha: attesa per il verdetto
  • Pakistan: appello per cristiano condannato a morte per blasfemia, in carcere da sette anni
  • India: resta in carcere il medico degli aborti illegali di feti femminili
  • Rwanda: al via a Kigali il Pellegrinaggio di Taizè di fiducia sulla terra
  • Zambia: la pressione dei vescovi dietro la revoca dell'espulsione del sacerdote dei poveri
  • Guinea Bissau. Epidemia di colera: mancano strutture sanitarie e impianti idrici
  • Panama: la Chiesa aprirà l'Anno Giubilare per i 500 anni della prima diocesi in America
  • Cardinale Betori: no al cristianesimo come "relilgione civile"
  • Russia. Hilarion al primate anglicano Welby: donne vescovo e unioni gay "ci allontanano"
  • Albania: a Tirana l'Assemblea generale dei vescovi
  • Spagna: aperta a Madrid la XIX Assemblea generale della Conferenza dei religiosi
  • Turchia: decisa la demolizione dell'antica chiesa ortodossa di San Nicola a Bodrun
  • Gmg Rio 2013: i pellegrini non pagheranno il visto di entrata in Brasile
  • Paura a Roma per l'ondata di piena del Tevere
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all’udienza generale: mondo, uomo e fede vie per aprire i cuori alla conoscenza di Dio

    ◊   Il mondo, l’uomo e la fede “sono le vie che possono aprire il cuore alla conoscenza di Dio”, che ci orienta “rispettando sempre la nostra libertà”. E’ quanto ha detto il Papa all’udienza generale, nell’Aula Paolo VI, ricordando che “Dio non si stanca mai di cercarci”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    L’uomo rischia di essere abbagliato dai “luccichii della mondanità” e di non percorrere le vie che conducono al Signore. Certe mentalità diffuse - sottolinea Benedetto XVI - rendono “più difficile alla Chiesa e al cristiano comunicare la gioia del Vangelo ad ogni creatura”:

    “Dio, però non si stanca di cercarci, è fedele all’uomo che ha creato e redento, rimane vicino alla nostra vita, perché ci ama”.

    Di fronte oggi alle difficoltà e alle prove per la fede, “spesso poco compresa, contestata, rifiutata”, si deve recuperare l’esortazione di San Pietro ad essere pronti a rispondere “con dolcezza e rispetto” a chi chiede conto della speranza nel cuore del cristiano. Il secolo scorso ha conosciuto un forte “processo di secolarismo”. “Oscurando il riferimento a Dio - ricorda il Pontefice - si è oscurato anche l’orizzonte etico, per lasciare spazio al relativismo”. Nei nostri tempi, "prevale una forma di ateismo ‘pratico’ in cui “non si negano le verità della fede”, ma semplicemente si ritengono “irrilevanti per l’esistenza quotidiana”. Quali risposte allora, si è chiesto Benedetto XVI, è chiamata a dare la fede “con dolcezza e rispetto”, all’ateismo, allo scetticismo, all’indifferenza affinché l’uomo possa continuare ad interrogarsi sull’"esistenza di Dio?":

    “La prima: il mondo. (…) Penso che dobbiamo recuperare e far recuperare all’uomo di oggi la capacità di contemplare la creazione, la sua bellezza, la sua struttura. Il mondo non è un magma informe, ma più lo conosciamo e più ne scopriamo i meravigliosi meccanismi, più vediamo un disegno, vediamo che c’è un’intelligenza creatrice”.

    “Una prima via, quindi, che conduce alla scoperta di Dio è il contemplare con occhi attenti la creazione”. La seconda via – spiega il Santo Padre – è l’uomo. “Nell’uomo interiore – diceva Sant’Agostino – abita la verità”:

    “Questo è un altro aspetto che noi rischiamo di smarrire nel mondo rumoroso e dispersivo in cui viviamo: la capacità di fermarci e di guardare in profondità in noi stessi e leggere questa sete di infinito che portiamo dentro, che ci spinge ad andare oltre e rinvia a Qualcuno che la possa colmare”.

    La terza via che conduce all’incontro con Dio è la fede. Non si tratta – ricorda il Santo Padre – di “un mero sistema di credenze e di valori”. “Chi crede è unito a Dio, è aperto alla sua grazia, alla forza della carità”. E la sua esistenza diventa “testimonianza non di se stesso, ma del Risorto”:

    “La fede, infatti, è incontro con Dio che parla e opera nella storia e che converte la nostra vita quotidiana, trasformando in noi mentalità, giudizi di valore, scelte e azioni concrete. Non è illusione, fuga dalla realtà, comodo rifugio, sentimentalismo, ma è coinvolgimento di tutta la vita ed è annuncio del Vangelo, Buona Notizia capace di liberare tutto l’uomo”.

    Rivolgendosi ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai gruppi parrocchiali, alle associazioni e agli studenti, Benedetto XVI ha salutato i partecipanti al Forum organizzato da Caritas Internationalis e i missionari, sacerdoti e laici, che prendono parte al corso organizzato dalla Pontificia Università Salesiana. “La visita alla Sede di Pietro – ha affermato il Santo Padre - favorisca in tutti il rinnovamento spirituale e l’impegno nell’evangelizzazione”. Il Papa ha ricordato infine che domani si celebrerà la memoria di Sant’Alberto Magno, patrono dei cultori delle scienze naturali. “Cari giovani – ha detto il Pontefice - sappiate conciliare lo studio rigoroso con le esigenze della fede; cari ammalati, confidate nell’aiuto della medicina, ma in misura ancora maggiore nella misericordia di Dio; e voi, cari sposi novelli, con l’amore e la stima reciproca testimoniate la bellezza del Sacramento ricevuto”.

    Al termine dell’udienza, poi, in una saletta dell’Aula Paolo VI, Bendetto XVI si è intrattenuto a coloquio con l'ex primo ministro libanese, Saad Hariri, in visita da ieri in Vaticano. Successivamente, Hariri ha avuto un incontro anche con il segretario per i Rapporti con gli Stati, mons. Dominique Mamberti.

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    Il Papa nomina mons. Bettencourt capo del Protocollo della Segreteria di Stato

    ◊   Benedetto XVI ha nominato capo del Protocollo della Segreteria di Stato mons. José Avelino Bettencourt, consigliere di Nunziatura. Nato nelle Azzorre (Portogallo) il 23 maggio 1962, è stato ordinato Sacerdote il 29 giugno 1993. Incardinato a Ottawa, in Canada, ha conseguito la laurea in Diritto Canonico per poi entrare nel Servizio diplomatico della Santa Sede nel 1999. Ha prestato la propria opera presso la Nunziatura Apostolica nella Repubblica Democratica del Congo e presso la Sezione Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato. Parla l’inglese, il francese, l’italiano, il portoghese e lo spagnolo.

    In Brasile, i ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Aparecida p. Darci José Nicioli, della Congregazione dei Redentoristi, finora rettore del Santuario Nazionale di Aparecida, assegnandogli la sede titolare vescovile di Fico. Mons. Nicioli è nato il primo maggio 1959 nella città di Jacutinga, arcidiocesi di Pouso Alegre, nello Stato di Minas Gerais. Come Membro della Congregazione del Santissimo Redentore (Redentoristi), ha emesso la prima professione il 31 gennaio 1982 ed è stato ordinato sacerdote l’8 marzo 1986. Ha compiuto gli studi di Filosofia presso la Pontificia Università Cattolica di Campinas (1977-1980) e quelli di Teologia presso l’ITESP – “Instituto Teológico São Paulo” (1982-1985). Inoltre ha conseguito la Licenza in Teologia Sacramentaria presso il “Pontificio Ateneo Sant’Anselmo” a Roma (1986-1988). Nel corso del suo ministero ha ricoperto gli incarichi seguenti: Vicario Parrocchiale della Parrocchia “Nossa Senhora do Perpétuo Socorro”, a São Paulo (1988-1989); Professore di Teologia presso l’Instituto Teológico São Paulo” (ITESP), Facoltà di Teologia “Nossa Senhora da Assunção” e l’Istituto di Teologia e Scienze Religiose della Pontificia Università Cattolica di Campinas (1989-1990); Rettore del Seminario di Filosofia a Campinas (1989-1996); Vicario Parrocchiale della Parrocchia “São José Operário”, a Campinas (1990-1996); Superiore della Comunità religiosa di Campinas (1996); Amministratore del Santuario Nazionale di Aparecida (1997-2005); Consigliere Provinciale della Provincia Redentorista di São Paulo (2003); Superiore della Casa Generalizia della Congregazione a Roma (2005-2008). Attualmente è Rettore e Amministratore del Santuario Nazionale di “Nossa Senhora da Conceição Aparecida”, nell’arcidiocesi di Aparecida, Superiore della Comunità religiosa locale e Vice-Provinciale Redentorista.

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    Il Papa e gli anziani. Commenti di Mangano dell’Auser e di Marazziti di Sant’Egidio

    ◊   Ancora forte l’emozione per gli ospiti della Casa famiglia “Viva gli anziani”, gestita a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio, visitata lunedì scorso dal Papa. Benedetto XVI ha esortato famiglie e istituzioni a fare in modo che gli anziani possano rimanere nelle loro case. Amedeo Lomonaco ha raccolto il commento di Michele Mangano, presidente nazionale dell’Auser, associazione impegnata nel favorire l’invecchiamento attivo:

    R. – Accogliamo con una grande fiducia, con grande speranza, queste parole di Sua Santità, perché per noi è molto importante che ci sia una forte attenzione delle istituzioni, del governo, delle forze politiche sul tema appunto delle persone anziane, soprattutto quelle non autosufficienti, che vivono da sole.

    D. – Cosa occorre in Italia, da un punto di vista legislativo, per dare agli anziani, soprattutto non autosufficienti, un’assistenza adeguata?

    R. – Occorre definire una legge nazionale sulla non autosufficienza, non solo per finanziare il fondo che è stato azzerato, ma nello stesso tempo per creare una legge quadro in cui si costruisca un intervento, basato sul sistema a rete di servizi, dove lo Stato deve garantire almeno quei livelli essenziali, come per esempio l’assistenza domiciliare integrata; ci può essere anche l’intervento del sistema delle autonomie locali sulla domiciliarità sociale e, infine, anche il ruolo del terzo settore, del volontariato, delle famiglie, che completano un intervento integrato nella direzione appunto del sostegno alla persona non autosufficiente e alla sua famiglia.

    D. – Il Papa ha esortato famiglie e istituzioni a fare in modo che gli anziani restino in casa...

    R. – Gli over 65 non autosufficienti in Italia sono 1 milione 700 mila circa. Da questo punto di vista, allora, è importante non puntare solo sull’unico strumento su cui, al momento attuale, può contare la persona autosufficiente, soprattutto quando c’è una disabilità totale, che è quella dell’indennità di accompagnamento. Bisogna costruire, rinnovare, riformare l’indennità di accompagnamento, costruendo un servizio a reti per l’intervento, i cui costi ovviamente non possono che oscillare intorno ai 10 miliardi di euro l’anno. E’ un intervento che prevede la prevenzione, la cura, la riabilitazione, l’intervento domiciliare. Quindi, su questo terreno occorre ovviamente che ci sia un impegno graduale per raggiungere questi obiettivi. D’altra parte, anche in altri Paesi europei, si sono costruite leggi sulla non autosufficienza, che hanno affrontato il tema in modo graduale, anche con la compartecipazione delle famiglie, in relazione al reddito. Quindi, è un processo complesso, che deve vedere veramente una politica di intervento organica.

    Sulla visita del Papa nella Casa famiglia “Viva gli anziani”, si sofferma anche il portavoce della Comunità di Sant’Egidio, Mario Marazziti, intervistato da Fabio Colagrande:

    R. – Gli anziani sembrano il tema più dimenticato oggi nella nostra società, nel dibattito culturale, o il tema più evitato. Il Papa dà un messaggio su quale sia la soglia di civiltà. La soglia, per la nostra civiltà postmoderna, è come si vedono e come riusciamo a trattare gli anziani. Il Papa ha detto in maniera chiara, anche alla società civile, che è importante lavorare perché gli anziani possano rimanere a casa. Questo è un cambiamento a 360 gradi delle attuali politiche sociali e sanitarie, che investono tutto nell’istituzionalizzazione, anche in buona fede, ma ormai con una qualità della vita molto bassa. Invece, occorre ripensare anche al nostro modello di vita, aiutando chi è anziano quanto più possibile a rimanere quanto più a lungo in casa propria.

    D. – Tra l’altro, il Papa ha detto: “Voglio ribadire che gli anziani sono un valore per la società e soprattutto per i giovani”...

    R. – Come Comunità di Sant’Egidio, è parte della nostra formazione quella di stare con gli anziani, anche quando si è ragazzi, quando si è giovani, perché c’è un ponte da creare e da ricreare, da cui dipende proprio la qualità della vita, del nostro presente e del nostro futuro.

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    Il 20 novembre presentazione del libro del Papa sull'infanzia di Gesù

    ◊   Tra sei giorni, il prossimo 20 novembre, il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, presiederà alla presentazione del terzo e atteso volume di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI su Gesù di Nazaret, dedicato a “L’infanzia di Gesù”. La presentazione dell'opera - edita dalla Libreria Editrice Vaticana e dalla Rizzoli - avverrà a Roma, nella Sala Pio X, con inizio alle ore 11. Oltre al cardinale Ravasi, sono previsti gli interventi di Maria Clara Bingemer, docente di teologia alla Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro, del direttore della Lev, don Giuseppe Costa, e di Paolo Mieli, presidente di Rcs Libri. Moderatore sarà padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana.

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    Dieci anni fa Giovanni Paolo a Montecitorio. Il Papa: dal cristianesimo risorse per il bene comune

    ◊   Occorre ''rinnovare l'invito ad attingere alla linfa del cristianesimo''. E’ quanto afferma Benedetto XVI in un messaggio che il Segretario di Stato Vaticano, Cardinale Tarcisio Bertone, ha inviato per la cerimonia di oggi a Montecitorio a dieci anni dalla visita di Giovanni Paolo II al Parlamento italiano. La cronaca dell'inviato, Alessandro Guarasci:

    Fu la prima visita di un Papa a Montecitorio. Un evento storico e che ha rafforzato i rapporti tra Italia e Santa Sede. Nel messaggio di Benedetto XVI, letto nella cerimonia di questa mattina alla Camera, mons. Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, ricorda le radici cristiane, il patrimonio spirituale dell’Italia:

    “Questo patrimonio spirituale ed etico può sempre offrire, anche nei momenti difficili, risorse adeguate per il rinnovamento delle coscienze e per il concorde orientamento al bene comune, innanzitutto da parte di coloro che sono chiamati a far parte di codesto Parlamento”.

    Il relativismo etico è un male sempre in agguato. Il presidente della Camera, Gianfranco Fini afferma che “la visita di Giovanni Paolo II al Parlamento deve essere ricordata oggi come un solenne punto di arrivo e, nello stesso tempo, come un luminoso punto di partenza”. Fini ribadisce come il Pontefice chiese di legare maggiormente politica ed etica:

    “Una democrazia senza valori può facilmente convertirsi in un totalitarismo aperto oppure subdolo. Sono parole che scuotono, che devono indurre profonde riflessioni, perché il comune nemico della democrazia politica e della fede religiosa è davvero rappresentato, ancora oggi, non meno che nei periodi più bui e tragici del ‘900, dal relativismo etico e dal nichilismo”.

    Un principio che vale ancora oggi. Il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Angelo Bagnasco:

    “Senza un ordine etico, quindi senza valori morali veri, fondati sulla natura umana, e senza le virtù morali, le leggi hanno poca incisività. Quindi, non bastano le leggi, che devono essere giuste: è necessaria una coscienza morale e virtù morali”.

    Per il cardinale Bagnasco, “la politica deve impegnarsi a difendere la famiglia fondata sul matrimonio e a sostenerla economicamente, in particolare in merito all'educazione dei figli”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Dalla linfa vitale del cristianesimo: Benedetto XVI per il decimo anniversario di Giovanni Paolo II al Parlamento italiano (all'interno l'intervento del cardinale Angelo Bagnasco alla cerimonia di commemorazione). All'udienza generale il Papa invita a rispondere con dolcezza e rispetto all'ateismo pratico.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, la sempre più difficile situazione della Grecia: aiuti o sarà fallimento.

    Distrutti o salvati, ovvero l'arduo compito di scegliere: in cultura, Riccarda Leopardi e Micol Forti in occasione di un convegno ai Musei Vaticani e alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna sugli sforzi internazionali per la protezione delle opere d'arte durante la seconda guerra mondiale.

    Quella porta aperta a attraversare: Eugénia Tomaz su Chiesa e cultura in Portogallo.

    La cassetta delle lettere: l'inviato Giulia Galeotti, intervista, a Trosly-Breuil, Jean Vanier, sulla vita quotidiana - straordinaria e normale - dell'Arca.

    Musica restaurata: Ambrogio M. Piazzoni sul progetto fra Biblioteca Apostolica Vaticana e la fondazione belga Alamire.

    Nell'informazione religiosa, anticipazione dell'intervento del cardinale Angelo Scola, a Londra, sulla questione della verità nella società plurale.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: per Damasco il riconoscimento dell'opposizione è una dichiarazione di guerra

    ◊   Mentre cresce il fronte dei Paesi che stanno riconoscendo la Coalizione dell’opposizione siriana, uscita dalla riunione di Doha, una dura presa di posizione arriva dal governo di Assad. Ci riferisce Benedetta Capelli:

    "Una dichiarazione di guerra". Lapidaria e forte la presa di posizione del vice ministro siriano degli Esteri, Mekdad, chiamato a esprimersi sull’opposizione uscita compatta dalla riunione di Doha, in Qatar. Ieri, la Francia l’ha riconosciuta come unica autorità legittima del Paese, seguendo l’Unione Europea e la Lega Araba. “Un segno positivo l’unificazione dell’opposizione”, ha detto all’agenzia Fides il nunzio apostolico a Damasco, mons. Mario Zenari, “a patto che tale iniziativa serva a trovare una soluzione politica al conflitto”.

    Per il 30 novembre è previsto un summit in Giappone degli “Amici del popolo siriano”, 150 i delegati che vi prenderanno parte in rappresentanza di una sessantina di Paesi. Un modo – ha fatto sapere Tokyo – per far pressione sul presidente Assad. Nessuna partecipazione dell’opposizione invece al vertice convocato dall’Iran per la prossima settimana. Teheran – dicono i ribelli – è troppo vicina al regime che ha commesso “crimini di guerra e contro l'umanità”. Giornata all’insegna della violenza quella di oggi, esplosioni si sono udite ad Aleppo e a Damasco mentre l’aviazione siriana ha nuovamente bombardato la città di Ras al-Ain, vicino al confine turco, aerei di Ankara si sono levati in volo sulla zona, elevato lo stato di allerta delle Forze armate per le prossime 24 ore.

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    L'attivista siriana Hanadi Zalhout: appoggio la nuova Coalizione nazionale

    ◊   “Dall’inizio delle rivolte in Medio Oriente e Nordafrica migliaia di donne hanno messo a repentaglio la loro vita, sfidando vecchi e nuovi regimi repressivi”. Lo ricorda Amnesty International che ieri a Roma, nell’ambio della Settimana Premio Sakharov 2012 del Parlamento europeo, ha organizzato un convegno dedicato alle "primavere arabe" e alle loro protagoniste. A partecipare anche un’attivista per i diritti delle donne in Siria. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    La Coalizione nazionale siriana ha incassato finora il riconoscimento di Francia e Stati Uniti, ma ad appoggiare la nuova alleanza e il suo capo, l’ex imam sunnita Ahmed Moaz el Khatib è soprattutto la dissidenza siriana. L’attivista Hanadi Zahlout, in questi giorni a Roma, è molto fiduciosa:

    "Sono molto ottimista, perché mi fido tanto del dott. Moaz el Khatib: è un uomo di religione, ma a titolo personale, a livello sociale e pubblico è una persona molto moderata, è un uomo laico ed anche un uomo d’onore. Sono ottimista sul fatto che almeno tutti i segmenti dell’opposizione in questo modo siano uniti, è ovviamente molto meglio che essere divisi".

    Hanadi Zahlout, nata nel 1982 a Latakia, è entrata a far parte di una rete di comitati incaricati di organizzare e pianificare le manifestazioni contro il governo del presidente al-Assad. All'inizio della rivolta siriana, con lo pseudonimo di "Hiam la bella", ha diffuso attraverso Facebook i video girati dagli attivisti per documentare le violenze perpetrate dalle forze governative contro la popolazione civile. Scoperta dalle autorità è stata arrestata tre volte, l’ultima nell’aprile scorso, e sempre con l’accusa di aver attentato alla sicurezza nazionale diffondendo informazioni segrete o false. Nelle sue parole, la dura esperienza nelle carceri siriane:

    "Sono un’attivista nel campo dei diritti umani, dei diritti dei prigionieri politici e di coscienza. Scrivevo report giornalistici. Era importante costruire una rete e informare la gente dei numeri dei caduti, dei martiri, degli scomparsi, dell’andamento della rivoluzione, delle manifestazioni. Io facevo parte di questo gruppo. Era lotta giornalistica, lotta di pensiero, non era lotta armata. La prima volta che sono stata arrestata sono rimasta 50 giorni in isolamento, in una cella di 2 metri per 1 metro, dopo di che sono stata trasportata alla prigione centrale di Adra, dove sono rimasta per due mesi. Ho subito violenza fisica una volta, però ho subito una violenza psicologica continua: non mi era permesso di dormire, dovevo addormentarmi molto tardi e mi facevano svegliare molto presto. Usavano tutti i metodi psicologici di tortura, oltre al terrorismo psicologico, al ricatto psicologico, strumentalizzando la famiglia, i vicini e così via".

    Oggi, Hanadi è riparata in Francia, la sua lotta la porta avanti da lì, è in contatto con l’opposizione fuori dalla Siria e con chi si trova ancora all’interno del Paese. Continua a scrivere i suoi articoli, racconta la sua esperienza in Siria e ciò che ora fa a Parigi. Ed ecco come risponde a chi chiede del rischio di islamizzazione della rivolta:

    "Le manifestazioni sono cominciate in maniera pacifica, ma la grande repressione da parte del regime nel soffocare queste manifestazioni pacifiche ha fatto sì che la gente cominciasse a vedere come unica soluzione per abbattere questo regime una rivoluzione armata. La soluzione ora è la caduta veloce del regime. Noi dobbiamo fare in modo che il regime cada il prima possibile, in modo da evitare al Paese un’islamizzazione, perché più dura il regime, più i segmenti fondamentalisti all’interno dell’Esercito libero siriano diventano più forti. Tutto questo non è nell’interesse del futuro del Paese. Però c’è il rischio, perché quelli che sostengono materialmente, finanziariamente, l’Esercito libero siriano sono i Paesi islamici. L’unico colpevole, però, è il regime. E la soluzione per limitare la crescente corrente islamica è che il regime cada il prima possibile".

    Fino al 25 novembre, con un sms solidale di due euro al numero 45509, sarà possibile contribuire alla campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi di Amnesty International “Io sono la voce”, per i diritti delle donne in Medio Oriente e in Africa del Nord.

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    Cina. Chiuso il 18.mo congresso del Partito comunista. Al via l’era di Xi Jinping

    ◊   Si è chiuso, con l'elezione del nuovo Comitato centrale, il 18.mo congresso del Partito comunista cinese. L'assise ha dato il via al ricambio di tutto il gruppo dirigente. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    Xi Jinping, destinato ad essere eletto nelle prossime ore segretario generale del partito comunista al posto di Hu Jintao, e il suo vice Li Keqiang, sono saliti tra gli applausi, questa mattina, sull'enorme palco allestito nella Sala dell' Assemblea del Popolo, a Pechino, per la chiusura dei lavori del congresso del Partito comunista.

    La cosiddetta “quarta generazione” di leader, che per dieci anni ha guidato il Paese insieme a Hu Jintao, quindi lascia la scena politica. Se tutto andrà come previsto, in primavera, Xi sostituirà Hu Jintao anche come presidente della Repubblica popolare.

    Il nuovo Comitato centrale ha da oggi 204 nuovi membri effettivi, 170 quelli supplenti scelti da 2270 delegati. Adesso si terrà l’elezione del nuovo Ufficio politico, che sceglierà i membri del proprio Comitato permanente, considerato il vero attore del potere politico della seconda economia al mondo.

    Ma chi è Xi Jinping? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Battista Adornino, docente di relazioni internazionali all’Università di Torino, esperto di storia, istituzioni e politica della Cina:

    R. – Xi Jinping è un funzionario del Partito comunista cinese, con grande esperienza di governo a livello locale; è per così dire un figlio d’arte, nel senso che suo padre è stato uno dei grandi che hanno fatto la rivoluzione con Mao: in questo senso viene definito un “principe rosso”, cioè l’erede di una famiglia di potere, inserita nei gangli vitali del funzionamento del Partito della Repubblica popolare dagli anni ’30, quindi prima ancora che Mao riuscisse a prendere il potere. In questo vediamo una tendenza, che è importante rilevare, cioè come la progenie di grandi veterani della rivoluzione che portò Mao al potere, che portò il partito al potere, ora rappresenti una forza non coesa, perché lottano tra di loro, ma predominante all'interno del sistema politico cinese.

    D. – Quali sono i cambiamenti tra l’era Hu Jintao e quella di Xi Jinping?

    R. – Hu Jintao ha svolto un’attività di consolidamento. La precedente gestione, che era del presidente Jiang Zemin, era stata una gestione che ha portato, fino al 2002, una fortissima crescita economica. Hu Jintano e Wen Jiabao sono riusciti a portare avanti questa crescita economica tra il 2002 e il 2012, in due mandati da cinque anni. Quello che però non hanno saputo, o forse non hanno voluto fare, è stato avviare delle dinamiche di evoluzione del sistema politico, che lo rendessero più trasparente, più partecipativo e quindi più stabile. Ora, quello che ci si attende è che Xi Jinping avvii un processo di riforme delle istituzioni e del sistema politico. Il fatto però che Xi Jinping erediti un’economia un po’ meno forte, in un contesto internazionale molto compromesso, non renderà semplice iniziare un percorso di riforme, perché le riforme sono tanto più agevoli quanto più il contesto è favorevole.

    D. – Negli ultimi mesi, si sono viste delle contestazioni nelle piazze cinesi: chi sono queste persone?

    R. – Vediamo molte proteste, sì, nelle piazze locali o nelle aree rurali, su problemi contingenti: la terra, la costruzione di una nuova strada, di un impianto chimico e così via. Non vediamo grandi proteste anti-sistema.

    D. – C’è chi dice che in piazza ci sia anche la classe media: è così?

    R. – No. La classe media, come la chiamiamo noi, è oggi introiettata dentro il partito. All’inizio degli anni 2000, con un’operazione che, per una realtà che ancora si chiama Partito comunista fu straordinaria, Jiang Zemin modificò i principi di rappresentanza, che una volta portava contadini, soldati, operai, mentre da quel momento in poi si aprì anche a quelle che vengono chiamate “le istanze avanzate dell’economia”, ovvero gli imprenditori. Il Partito, con questa operazione, volle far sì che gli imprenditori non fossero un potenziale luogo di opposizione, ma invece fossero leali ad un partito che li rappresentava. Quindi, in realtà, questa “classe media” emergente o ceto medio è, di fatto, un vincitore, dalla gestione del partito. Chi ha perso sono i 200 milioni di lavoratori emigranti, che devono cercare lavoro e lasciare casa. Chi ha perso sono gli uomini giovani che non trovano mogli, perché la politica del figlio unico ha creato una dinamica demografica a sfavore delle ragazze. Chi ha perso sono i contadini che hanno un tenore di vita molto basso e non possono lasciare la terra, perché sono ancorati legalmente a strumenti di residenza, che non consentono loro di andarsene. Tutti costoro non stanno nelle piazze e per la verità non stanno neanche nelle città. E il partito questo lo sa.

    D. – Quali sono quindi le sfide principali che il Paese dovrà affrontare?

    R. – Alcune sono sfide supercontingenti. Noi abbiamo un’economia europea che va rallentando: tenete presente che l’Unione Europea è il primo mercato di esportazione per la Cina. Anche gli Stati Uniti hanno una crescita molto modesta e sono un altro mercato fondamentale. La domanda quindi è: a chi vendono i prodotto cinesi, se gli europei e gli americani non li comprano? Quindi - primo punto - la Cina ha come sfida quella di modificare l’impianto del suo sistema economico, meno orientato alle esportazioni e più orientato al consumo all’interno. Secondo: la Cina ha bisogno di continuare a essere un attore internazionale rassicurante e in questo momento i segnali sono diversi, perché la crescita dell’acquisto agli armamenti è enorme, perché le tensioni con il Giappone, con le Filippine, nel Sudest asiatico sono diventate più gravi. Inoltre, se la Cina deve essere un Paese davvero “stakeholder” di questo sistema internazionale, deve attingere alle sue forze intellettuali profonde, molte delle quali in questo momento sono tacitate, perché il partito teme la loro capacità critica. Quando Liu Xiaobo vinse il Premio Nobel per la pace – io ero là – i cinesi mi chiesero, mentre parlavo con funzionari governativi di alto livello: “Cosa ne pensi”? E io dissi: “Tenete presente che il giorno che voi riuscirete come popolo a sprigionare le vostre energie intellettuali più liberamente, farete una seconda trasformazione del mondo, così come sprigionando le vostre energie economiche ne avete fatta una prima”.

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    L'Europa si mobilita contro la crisi. Manifestazioni di piazza in 23 Paesi

    ◊   L'Europa scende in piazza contro le politiche di austerity dei governi, dando vita al primo sciopero generale pan-europeo. Centinaia le manifestazioni in corso in 23 Paesi, dal Regno Unito al Belgio, dalla Spagna al Portogallo dalla Grecia all’Italia. Una mobilitazione che evidenza le grandi difficoltà che un intero continente sta vivendo, proprio in seguito alla crisi. Non sono mancati momenti di tensione a Roma e Madrid, dove sono avvenuti scontri di piazza con le forze dell’ordine. Salvatore Sabatino ha chiesto un’analisi su questa situazione al sociologo Nadio Delai:

    R. - C’è una tensione tra i popoli e le loro classi dirigenti politiche, ma anche economiche, sociali e culturali. Quando vince quello che io chiamo il "pensiero-gregge", cioè tutti la pensano alla stessa maniera, la situazione si fa difficile. Prima, il pensiero-gregge cantava le lodi dello sviluppo e della globalizzazione, adesso canta quelle del rigore. Questo passaggio unitario dalle due parti, senza considerare che alla base ci sono le economie e le società reali, provoca le tensioni in oggetto.

    D. - Può essere anche un segnale di scollamento rispetto alla politica che ha agito senza tener conto delle istanze della popolazione, quindi della quotidianità dei problemi reali?

    R. - C’è un indicatore forte di questa frattura che, ripeto, è nei confronti della politica in primo luogo, ma anche delle altri classi dirigenti: vicino alla "bolla" finanziaria, è scoppiata la bolla delle attese sociali crescenti. Tutti speravamo di andare meglio e anche le nostre classi dirigenti ci raccontavano che domani sarebbe stato meglio di oggi e dopodomani meglio di domani. Non basta dire, quando si gira il ciclo, "è finita la festa". Una classe dirigente ha l’onere di inventarsi un’apertura verso il futuro, a costo di sbagliare.

    D. - Insomma, il soggetto che manca in questo momento è la speranza…

    R. - E’ l’atteggiamento condiviso tra popolo e classe dirigente, o meglio tra classe dirigente e popolo, che è un onere fondamentale, sempre. Essere in sintonia al rialzo, non al ribasso, con i propri popoli. Quindi, si deve inventare con realismo, e anche con rischio, dove si può andare insieme, suscitando speranza e voglia di farcela. Se non c’è questo, e c’è solo la parte "rigore e finanza", è chiaro che i Paesi reali vanno da un’altra parte, pericolosamente e suscitando anche le ondate di populismo di oggi e forse di domani.

    D. - E quale potrebbe essere la ricetta per far incontrare nuovamente le classi dirigenti con la popolazione?

    R. - Temo che non ci siano ricette finali, perché questa è una consapevolezza fondamentale che devono assumersi tutte le classi dirigenti, senza passare sempre solo il "cerino" alla politica perché le altre hanno lo stesso problema. Bisogna interrogarsi e guardarsi allo specchio e sapere che una delle funzioni fondamentali delle classi dirigenti è quella di interpretare il mondo come va, ma poi è quella di far proposte e quando fai proposte e susciti speranze, è chiaro che una cosa la indovini e due le sbagli. Quindi questo rischio c’è, come diceva Zagrebelsky, quando presentai il primo rapporto sulla classe dirigente: c’è poca classe dirigente e molta classe gerente. Eravamo immediatamente prima della crisi. Credo che questo sia un commento adeguato per la situazione che viviamo.

    D. - Una cosa positiva forse c’è: queste manifestazioni danno comunque il senso di una società, quella europea, ancora vivace e capace di reagire…

    R. - Voglio sperare di sì, nel senso che è un problema di sentimenti. Io ho fatto tante indagini: tendono a prevalere i sentimenti bassi, cioè paura, timore, rabbia, indignazione, ma ci sono anche, contemporaneamente, sentimenti di speranza e di futuro. Ecco perché la sintonia al rialzo è compito di tutte le classi dirigenti: risvegliare, inseguire, sollecitare quella parte di sentimenti di ripartenza di cui abbiamo bisogno quando un ciclo si chiude, un ciclo economico, politico persino geo-economico, e se ne apre un altro. Lì si gioca la nuova classe dirigente che deve intuire il nuovo e lanciare il cuore oltre l’ostacolo.

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    “Mercati di guerra”: in un volume, conflitti dimenticati e legami tra finanza e povertà

    ◊   Nonostante continui a crescere il numero delle vittime civili e militari in Afghanistan, il 46% degli italiani non ricorda che nel Paese asiatico ancora si combatte. E solo il 10% degli interpellati sa che prosegue la guerra in Siria. Sono dati contenuti nel IV Rapporto sui conflitti dimenticati realizzato da Caritas italiana, in collaborazione con Famiglia cristiana e Il Regno, e pubblicato da Il Mulino. A presentarlo, stamane a Roma, c’erano i rispettivi direttori: don Francesco Soddu, di Caritas, don Antonio Sciortino, di Famiglia Cristiana, e Gianfranco Brunelli, de Il Regno. Il servizio dell'inviata, Fausta Speranza:

    Trecentottantotto conflitti armati nel solo 2011 nel mondo. Il Rapporto fotografa le situazioni di guerra ma poi cerca anche di capire cause e scenari: cerca di indagare le connessioni tra finanza e povertà, ambiente e conflitti. Paolo Beccegato, responsabile dell’area internazionale della Caritas italiana:

    “Certamente, i dati sono un po’ sconfortanti: tutta una serie di rapporti, non solo il nostro, ci dicono che stiamo raggiungendo un picco di crisi umanitarie nel mondo dovute non solo alla situazione geopolitica internazionale, al degenerarsi delle 'primavere arabe', ma anche ai disastri naturali. Per esempio, assistiamo anche qui in Italia a cosa significhi tutto questo. Di fronte a uno scenario complessivamente più grave, purtroppo i nostri media - soprattutto quelli in mainstream italiani - un po’ tutti nel mondo, ma quelli italiani, ahimè, sono i peggiori - hanno un atteggiamento di silenzio o di superficialità”.

    Scarsa conoscenza delle guerre nel mondo e responsabilità dell’informazione: di “informazione addomesticata o silente” ce n’è tanta, sottolinea don Antonio Sciortino nel suo intervento, ricordando che tutto ciò aiuta le guerre. I veri giornalisti sono il nemico numero uno dei conflitti: infatti – aggiunge il direttore di Famiglia Cristiana – in Siria non ne permettono l’ingresso. Ma il giornalismo deve essere asservito solo alla verità ovunque, non solo negli scenari di guerra, e don Sciortino ricorda che, per esempio, “i pregiudizi alimentati dai media sugli stranieri non servono la pace”. Al nostro microfono, don Sciortino parla di cause dei conflitti e di Magistero della Chiesa:

    R. - Le cause vanno al di là delle mire politiche e si comincia a prendere coscienza che oggi le guerre possono scoppiare per il controllo delle energie, per il controllo delle fonti dell’acqua… Ma la cosa che sta emergendo è che molte nazioni, impoverite per l’aumento dei prezzi del cibo e altro, creano davvero un clima in cui il terreno diventa fertile per i conflitti. Come diceva Papa Giovanni Paolo II, l’altro nome della pace è la giustizia. Oggi, il mondo è globalizzato e nessuno può dire: non mi interessa quello che succede, anche se è lontano dalla propria terra. Purtroppo, si tende anche a fare l’abitudine alle notizie di guerra, oppure le notizie che trovano la prima pagina sui nostri media sono quelle che vengono un po’ più spettacolarizzate. Bisogna far crescere questa consapevolezza: abbiamo un’informazione, una coscienza, ancora abbastanza debole. Credo che l’informazione possa e debba aiutare a prendere coscienza di questi eventi e aiutare anche il tema della pace. Come gli autori della guerra sanno che il loro principale nemico sono i giornalisti, così coloro che fanno informazione a favore della pace devono essere più presenti. In questo Rapporto, emerge che una percentuale sempre più alta di persone considera la guerra non più qualcosa di inevitabile cui rassegnarsi, ma qualcosa che si può evitare. Questa percentuale è un fatto positivo ed è uno dei dati di luce tra le tante ombre che emerge da questo quarto Rapporto della Caritas con Famiglia Cristiana e Il Regno.

    D. – La Chiesa, nel secolo scorso, ha rilanciato proprio questo messaggio: la pace non solo è doverosa ma è possibile…

    R. – La Chiesa in questo ha fatto tantissimo e soprattutto i documenti degli ultimi Papi, a cominciare dalla Pacem in terris di Giovanni XXIII alla Populorum progressio di Paolo VI. Hanno detto cose molto importanti per quanto riguarda la pace. Purtroppo, da questa ricerca emerge che la voce della Chiesa, in questi ultimi tempi, è stata oscurata nei media per tante altre vicende che non hanno nulla a che fare con un tema così importante come quello della pace. Tutte le vicende legate al Vaticano hanno distolto l’attenzione e l’impegno da temi fondamentali come quelli della pace.

    Per offrire anche informazione online, oltre al rapporto, Caritas italiana e Pax Christi curano il sito: www.conflittidimenticati.it

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    Regolamento Imu: preoccupazione dal mondo del no profit

    ◊   Il Consiglio di Stato ha espresso parere favorevole, con osservazioni, al regolamento del governo per l'applicazione dell'Imu sugli immobili delle organizzazioni non lucrative, compresa la Chiesa, destinati a usi commerciali. Le osservazioni riguardano il criterio di "retta simbolica" previsto dal regolamento sull'Imu agli enti non lucrativi, dalle scuole agli ospedali, alle attività di tipo ricettivo. Viene chiesta un’integrazione sulla base dei requisiti di carattere economico definiti dal diritto dell'Ue. Forte la preoccupazione dal mondo del non profit, già provato dai tagli del governo, come spiega al microfono di Paolo Ondarza, Sergio Marelli, esperto del settore:

    R. - Abbiamo grandissima preoccupazione, perché questa eventuale misura sarebbe l’ennesima che va ad aggiungersi a una serie che ha aggravato oltremodo la crisi, già pesante anche sul settore del no profit in Italia. Quella delle attività commerciali, ancorché residuali per le associazioni no profit, è una delle poche soluzioni che restano e una delle poche vie di uscita al drastico taglio dei finanziamenti pubblici, alla riduzione delle donazioni da parte dei privati cittadini, vista la crisi che stanno soffrendo i redditi familiari. Colpire eventualmente anche questa, potrebbe rischiare di essere veramente il colpo finale. Non per questo, bisogna lesinare nell’indagare in quelle realtà che si nascondono dietro il no profit, mentre invece sono vere e proprie attività lucrative. Diverso invece, è sparare nel mucchio e fare di tutta l’erba un fascio, apponendo l’ennesimo aggravio fiscale - in questo caso comunque economico - su di un settore già duramente provato dalla crisi economica, ma anche dalle innumerevoli misure che, in questo ultimo anno, il governo ha preso nei suoi confronti.

    D. - A rischio c’è tutto il mondo delle ong?

    R. - Sì, assolutamente: tutto il mondo delle ong e tutto il variegato arcipelago delle Onlus – le organizzazioni senza fine di lucro – in Italia. Quindi, questa non è solamente - anche se sarebbe già grave di per sé - una misura che va ad abbattersi sugli enti ecclesiali, ma è una misura che avrebbe una conseguenza su una galassia di decine di migliaia di organizzazioni, che oggi garantiscono quel poco di servizio che rimane ai cittadini, proprio attraverso il loro lavoro sussidiario, rispetto ad uno Stato sempre più disimpegnato e sempre più impossibilitato a garantire i servizi e i diritti per tutti.

    D. - Eppure l’attenzione pare puntata esclusivamente - parlo di attenzione mediatica - sull’Imu e la Chiesa…

    R. - Mi sembra che, già negli ultimi anni, abbiamo assistito a questo fenomeno. Ogni appiglio è buono per sparare incondizionatamente sui presupposti privilegi della Chiesa cattolica in Italia, senza avere una lente di ingrandimento e guardare obiettivamente quali sono i fenomeni in atto. Queste misure, questi fenomeni riguardano tutto il mondo delle organizzazioni della società civile, dentro le quali, certamente, quelle di appartenenza ecclesiale e di ispirazione cattolica sono sicuramente una parte molto significativa.

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    Gli stranieri fanno più impresa degli italiani. Unioncamere presenta il progetto "Start it up"

    ◊   Cresce in Italia il numero di imprese gestite dagli stranieri. Sono oramai 364 mila, pari al 6% del totale delle aziende totali. Lo rileva Unioncamere, che ieri a Roma ha presentato i dati sull'imprenditorialità straniera e i risultati del progetto “Start it up. Nuove imprese di cittadini stranieri”. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Gli stranieri fanno sempre più impresa in Italia e sembrano risentire in maniera meno accentuata della crisi. Nel terzo trimestre del 2012, le aziende di questo tipo sono infatti aumentate sette volte in più della media. Lombardia e Lazio le regioni dove sono più presenti. I titolari per lo più marocchini o cinesi. Per il sottosegretario al lavoro, Maria Cecilia Guerra, le risorse dell'imprenditoria immigrata ''sono un valore aggiunto per l'intero Paese”. D’accordo il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello:

    “Io credo in ogni angolo del Paese ci sia una presenza che può essere incentivata e che può aiutarci, tutto sommato, a sopperire a questi momenti di difficoltà che vive il Paese”.

    Unioncamere ha dato assistenza a 434 imprenditori nell'appertura della loro azienda. Maribel Villalonga Alfaro, colombiana, importa lana e cotone di prima qualità. Anche un piano d’azienda in questo modo diventa un ostacolo sormontabile:

    “Se hai uno che ti aiuta a fare tutte queste cose, quindi non per aprire e chiudere dopo un po’, credo si possa fare”.

    L’albanese Bylykbashi Blerian ha invece brevettato un apparecchio elettrico:

    “Siamo pronti a entrare nel mercato italiano. E’ un prodotto che serve alle famiglie, serve alle imprese - in negozi bar e ristoranti - per stabilizzare la corrente elettrica e rifasare la corrente, dando un risparmio che arriva fino al 50%”.

    Insomma, la burocrazia italiana può essere superata.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Colombia: processo di pace Governo-Farc il 19 novembre

    ◊   Si aprirà lunedì 19 novembre (e non giovedì 15 come previsto in precedenza) il dialogo per la pace nella capitale cubana a L'Avana, tra il governo del Presidente colombiano Santos e le Farc. I garanti sono Cuba e la Norvegia mentre i Paesi testimoni sono Cile e Venezuela. Commentando la ripresa del negoziato, l'arcivescovo di Bogotá, Rubén Salazar Gomez, che riceverà la berretta cardinalizia nel prossimo Concistoro, intervistato dal giornale colombiano El Tiempo ha detto che “il processo di pace è un processo necessario. In Colombia è molto difficile conseguire una vittoria militare, non perché il nostro esercito non sia sufficientemente preparato, ma per le condizioni geografiche e per gli stessi guerriglieri, che sono diventati un gruppo terroristico”. Oltre che presidente della Conferenza episcopale, mons. Salazar Gomez è stato anche presidente della Commissione per la Riconciliazione, quindi alla domanda se le Farc (Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane) siano state portate al dialogo anche dai colpi inferti dall’esercito, risponde: “Indubbiamente. Questo è stato un fattore decisivo. Ma ancora c'è la loro presenza. Quando parlo con i vescovi delle zone periferiche, come Orinoquia, Nariño, Putumayo, mi confermano la forte presenza dei guerriglieri. Non si può continuare sempre ad ucciderci, pensando solo a distruggerci. Tutto ciò - riferisce l'agenzia Fides che riprende alcuni stralci dell’intervista al prossimo porporato - è costato al Paese troppe vittime, troppe lacrime, troppi dolori. Fa orrore che la Colombia abbia cinque milioni di sfollati!” L’arcivescovo di Bogotà aggiunge: “il problema principale dei nostri guerriglieri è che hanno perso il senso della realtà. Vivono in un altro mondo. Vivono ancora negli anni '60, quando Che Guevara e Fidel erano guerriglieri e c'era un contesto politico mondiale completamente diverso. Forse vivere nella giungla ha impedito loro di sentire le notizie o di comprendere il loro significato”. Riguardo al diffuso fenomeno della corruzione, il prossimo cardinale la definisce “il cancro che sta mangiando il Paese, di dimensioni senza precedenti” e ritiene che la crisi della giustizia dipenda dal fatto che “non è realmente giustizia, perché è lenta, non arriva o arriva distorta. Non ferma il crimine e non riabilita il criminale”. (R.P.)

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    Australia: sì dei vescovi a Commissione d’inchiesta del governo sul fenomeno degli abusi

    ◊   I vescovi australiani salutano positivamente la decisione annunciata dal Premier Julia Gillard di istituire una Commissione d’inchiesta nazionale per fare luce sui casi della pedofilia nel Paese. “La Royal Commission – afferma una nota della Conferenza episcopale (Acbc) - permetterà di esaminare il problema degli abusisui minori a livello nazionale e di individuare le misure necessarie per meglio prevenire e rispondere a questo fenomeno nella nostra società”. L’annuncio dell’iniziativa è arrivato pochi giorni dopo l’apertura di un’indagine nel Nuovo Galles del Sud che ha coinvolto i vertici della Chiesa cattolica locale, accusati da un ispettore di polizia di avere insabbiato abusi commessi da alcuni sacerdoti. L’inchiesta - ha precisato il Primo Ministro – non prenderà di mira solo la Chiesa, ma sarà ad ampio raggio. Una scelta condivisa dalla Conferenza episcopale che nella nota osserva come la piaga della pedofilia non riguarda esclusivamente le Chiese, ma anche “le famiglie, le comunità , le scuole e altre organizzazioni”, e respinge come “infondata” la tesi secondo cui esso sarebbe un “problema sistemico” nella Chiesa cattolica. Se è vero che in passato sono stati commessi gravi errori, affermano i vescovi australiani, essa ha compiuto notevoli passi per contrastare il fenomeno al suo interno, a cominciare da una più stretta collaborazione con le autorità di polizia. La dichiarazione ricorda in particolare l’impegno intrapreso dall’episcopato in questi ultimi venti anni per proteggere i bambini e aiutare le vittime. I presuli australiani si dicono quindi pronti a collaborare con la nuova Commissione, in particolare nell’inchiesta sui casi emersi nel Nuovo Galles del Sud, chiedendo, da parte loro, alle autorità preposte di tenere più informato il pubblico sulle indagini in corso. Un’inchiesta simile a quella avviata nel Nuovo Galles del Sud è in corso nello Stato di Vittoria, dove la Chiesa cattolica ha ammesso lo scorso settembre che almeno 620 bambini sono stati abusati dai sacerdoti a partire dagli anni ’30. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Siria: famiglie e soprattutto bambini nel campo profughi di Atmeh al confine con la Turchia

    ◊   Sono tanti i bambini sfuggiti alla sanguinosa guerra civile in corso in Siria e rappresentano la maggior parte degli sfollati nelle tende del campo profughi di Atmeh, al confine tra Siria e Turchia. Molto sono stati testimoni di fatti atroci, alcuni hanno perso i familiari e tanti soffrono di insonnia o hanno paura dei rumori forti come quelli degli aerei. Il campo di Atmeh è stato creato per necessità circa 3 mesi fa, quando la Turchia ha iniziato a ridurre drasticamente l’ingresso dei siriani. Decine di migliaia di persone sono rimaste allora bloccate alla frontiera. I combattimenti tra le forze del presidente Bashar Assad e i ribelli hanno causato la fuga di centinaia di migliaia di siriani verso i Paesi limitrofi. Negli accampamenti turchi risultano oltre 112 mila sfollati siriani. Le procedure per l’attraversamento della frontiera sono diventate più lente a causa di controlli di sicurezza più severi. Nel campo profughi si distribuiscono tende e generi alimentari donati dalle agenzie umanitarie: qui ci sono più di 5 mila persone, per lo più famiglie con molti bambini, a cui è stato impedito di raggiungere la Turchia. Tra le tende è facile incontrare minori che raccolgono legna per i falò o portano acqua in contenitori di plastica. Ogni tanto si vede qualcuno di loro giocare. Ogni giorno continua ad arrivare gente, non ci sono tende a sufficienza e le famiglie ricevono appena la metà dei generi alimentari necessari. Da marzo 2011 questa guerra civile ha causato la morte di almeno 36 mila persone. (R.P.)

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    Pakistan. Concluso il processo Rimsha: attesa per il verdetto

    ◊   Il Pakistan attende con il fiato sospeso il verdetto finale nel caso di Rimsha Masih, la ragazza cristiana, disabile mentale, accusata di blasfemia e liberata su cauzione perché le prove a suo carico erano state fabbricate. L’Alta Corte di Islamabad ha tenuto oggi l’ultima udienza della fase dibattimentale, ricevendo un rapporto scritto con le argomentazioni conclusive delle due parti in causa. La difesa di Rimsha - riferisce l'agenzia Fides - ha chiesto l’annullamento della denuncia (“First Information Report”) e dunque “la piena assoluzione perché il fatto non sussiste”, ribadendo che la ragazza è stata “incastrata” dall’imam Khalid Jadoon Chishti, già dichiarato colpevole sulla base di tre testimonianze. L’accusa ha asserito che il rapporto medico presentato sulla bambina (che ne dichiara la disabilità mentale) era falso e ha cercato di smontare le accuse a carico dell’imam Chishti, presentando una ritrattazione dei tre testimoni. Il giudice della Corte, Iqbal Hamid Khan, ha accolto le posizioni delle parti e si è riservato di decidere. Come conferma a Fides l’avvocato di Rimsha, il cattolico Tahir Naveed Chaudry, la sentenza è attesa a breve, nei prossimi giorni. Padre Emmanuel Yousaf, presidente della “Commissione Giustizia e Pace” della Conferenza episcopale del Pakistan, presente in tribunale, racconta a Fides: “La difesa di Rimsha ha presentato argomentazioni solide. Speriamo e preghiamo per la sua assoluzione. Siamo fiduciosi che questa tragica vicenda si concluda per il meglio e che possa essere di insegnamento per l’intera nazione, su come trattare i falsi casi di blasfemia”. (R.P.)

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    Pakistan: appello per cristiano condannato a morte per blasfemia, in carcere da sette anni

    ◊   Il calvario di Younis Masih, cristiano condannato a morte per vilipendio al Profeta Maometto, da sette anni in carcere, è emblematico per tutti i casi di false accuse di blasfemia che toccano le minoranze religiose: Younis è un uomo accusato ingiustamente che si ritrova la vita rovinata, segnata da anni di detenzione e sofferenza. Ieri si è tenuta dinanzi all’Alta Corte di Lahore, l’udienza di appello per il processo a Younis Masih, condannato a morte il 30 maggio 2007 da un tribunale di primo grado in base all’art. 295-c del Codice Penale pakistano, per presunta blasfemia contro il profeta Maometto. La denuncia contro di lui era stata depositata il 10 settembre 2005, e il giorno dopo Younis è stato arrestato. Aveva 26 anni. Da allora è dietro le sbarre e la sua famiglia, composta da moglie e quattro figli minorenni vive la tragica assenza del padre e lotta ogni giorno per la sopravvivenza. Durante il processo di primo grado, Younis Masih ha cercato di discolparsi, dichiarando pieno rispetto per il Profeta Maometto e indicando le ragioni per cui i suoi accusatori avevano maliziosamente formulato false accuse contro di lui. Infatti il denunciante, Hafiz Abdul Aziz, 27enne musulmano, veniva spesso nella colonia cristiana, dove Younis viveva, a molestare le ragazze cristiane. Younis e altri amici lo avevano diffidato dal farlo e avevano avuto un litigio con lui. Il giudice, però, non gli ha creduto e lo ha condannato a morte. Come riferito all'agenzia Fides, l’avvocato cattolico e difensore dei diritti umani, Naeem Shakir, ora ha assunto il caso e sta curando il processo di appello. Nell’udienza di ieri il denunciante non si è presentato e la Corte ha stabilito un rinvio, fissando la prossima udienza al 17 dicembre 2012. “Dopo sette anni di carcere e di immani sofferenze per lui e per la sua famiglia, speriamo che venga accertata presto la verità”, spiega a Fides l’avvocato Naeem Shaker. Il caso di Rimsha e la nuova consapevolezza nell’opinione pubblica pakistana sull’abuso delle legge di blasfemia, spiega, potrebbe giovare anche a Younis Masih. (R.P.)

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    India: resta in carcere il medico degli aborti illegali di feti femminili

    ◊   Resta in carcere Sudam Munde, medico arrestato per aver praticato aborti illegali al terzo, quinto, sesto e ottavo mese di gravidanza, nel distretto di Beed (Maharashtra). Le donne erano tutte incinte di bambine, e una giovane di 28 anni è morta per l'intervento. La Corte suprema indiana ha negato la libertà su cauzione per almeno altri sei mesi. Alla moglie Saraswati Munde, sua complice negli aborti, il tribunale ha concesso invece una cauzione, ancora da concordare. Per Pascoal Carvalho, medico di Mumbai e membro della Pontificia accademia per la vita - riferisce l'agenzia AsiaNews - la decisione dei giudici è "un messaggio forte" che servirà "da deterrente per quei dottori senza scrupoli che continuano a praticare quel male sociale che è il feticidio femminile". "Dal 2011 in India - sottolinea il dr. Carvalho - almeno 3 milioni di bambine sono scomparse, e sappiamo che il feticidio femminile è diffuso anche tra le coppie istruite e benestanti. I test per la determinazione del sesso, usati per identificare anomalie genetiche, sono stati introdotti nel Paese negli anni '70. Ma queste tecniche sono state sfruttate per praticare aborti selettivi femminili". Nel 1994 il governo ha promulgato il Pre-Natal Diagnostic Technologies (Pndt) act, che rende illegale l'uso di questi esami per determinare il sesso del feto. in base alla legge, i medici devono presentare una lista di pazienti su cui - per ragioni di pura salute - hanno condotto i test. Chi viola il decreto può scontare una pena fino a tre anni di prigione, oltre al pagamento di una multa di 10mila rupie (146 euro). Tuttavia, il Pndt non ha frenato la diffusione di feticidi e infanticidi femminili. Il membro dell'Accademia pontificia individua le cause di questo fenomeno nella "cultura patriarcale indiana", fatta di "dominazione, emarginazione, sfruttamento ed esclusione", che "genera una preferenza verso i figli maschi". Questo, aggiunge, "produce una sistematica discriminazione di genere, che svaluta le donne sin dall'inizio della loro vita, prima ancora che una neonata venga al mondo". Sul caso di Beed si è espresso mons. Agnelo Gracias, presidente della Commissione per la famiglia della Conferenza episcopale indiana, definendolo "l'ennesimo caso di atrocità e discriminazioni commesse contro le bambine". Tuttavia, spiega, "dobbiamo indignarci per tutti gli aborti, che siano maschili o femminili. La vita umana è sacra sin dal suo concepimento, e l'aborto distrugge il rispetto verso la sacralità della vita. Perché meravigliarci degli aborti femminili? Tutti gli aborti dovrebbero essere vietati". Secondo mons. Gracias, vescovo ausiliare di Mumbai, se si giustifica l'aborto in base al "diritto di scelta" rivendicato dalle femministe, allora "una donna dovrebbe avere anche il diritto di scegliere se avere una bambina o no. Il feticidio femminile è la conclusine logica del 'diritto di scelta'". (R.P.)

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    Rwanda: al via a Kigali il Pellegrinaggio di Taizè di fiducia sulla terra

    ◊   Ultimi preparativi a Kigali per accogliere i partecipanti al “Pellegrinaggio di fiducia sulla terra”. La capitale rwandese, da oggi al 18 novembre prossimi, ospiterà le diverse migliaia di partecipanti, soprattutto giovani, all’ennesima tappa di quello speciale itinerario di fede ideato da frère Roger, fondatore della Comunità di Taizé. Oltre che dallo stesso Rwanda, numerosissime adesioni sono giunte dagli altri Paesi dell’Africa orientale. Ma sono attesi anche giovani dal Sud Africa, dal Madagascar, dal Sudan, dallo Zambia, dal Malawi, dalla Repubblica Democratica del Congo e rappresentanze anche da Europa, America e Asia. Scopo dell’incontro — spiegano gli organizzatori — sarà quello «di celebrare Cristo, di andare tutti insieme alle sorgenti della fiducia e di rinnovare l’impegno nella Chiesa e nella società». Soprattutto, però, sarà «l’occasione per i giovani della regione dei Grandi Laghi, dell’Africa orientale e non solo, per vivere un’esperienza di comunione, di condivisione e di riflessione nella vita cristiana in un contesto internazionale e multiculturale, per mostrare il loro impegno per Cristo e nella Chiesa e la loro capacità di intraprendere iniziative concrete per costruire la fiducia e la pace nelle loro comunità e nella loro regione». Dopo il genocidio del 1994, in cui morirono non meno di ottocentomila persone, i rwandesi hanno compiuto sforzi enormi per la ricostruzione e lo sviluppo del loro Paese. Partecipare all’incontro di Kigali sarà dunque anche un segno di fiducia nella riscossa di un intera nazione. «Non andiamo in Rwanda per commentare o giudicare il passato, con discussioni senza fine — spiegano ancora i responsabili della Comunità di Taizé, citati dall’Osservatore Romano — ma per metterci all’ascolto di coloro che ci accolgono e per rafforzare la nostra determinazione e la nostra volontà a impegnarci nella nostra vita. Insieme potremo meditare sulla sorgente della nostra fede, il mistero della morte e risurrezione di Cristo, del suo amore che è più forte del male e della violenza. Incontrare chi ha vissuto il dramma del genocidio del 1994 e le sue conseguenze, coloro che hanno attraversato la sofferenza dura, quelli che hanno lottato per anni per trovare la pace e la libertà del cuore e possono ora affrontare la sfida della riconciliazione nelle loro comunità e partecipare alla costruzione del loro Paese, sarà un regalo unico e un’esperienza di Vangelo”. (L.Z.)

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    Zambia: la pressione dei vescovi dietro la revoca dell'espulsione del sacerdote dei poveri

    ◊   La pressione dei vescovi è stata decisiva perché il governo revocasse il provvedimento di espulsione nei confronti di un parroco ruandese costretto a lasciare lo Zambia con l’accusa di aver incitato la popolazione alla rivolta: lo dice all'agenzia Misna Cleophas Lungu, segretario generale della Conferenza episcopale. “La decisione su padre Viateur Banyangandora – sottolinea padre Lungu – è stata annunciata poche ore dopo un incontro tra una delegazione composta da quattro vescovi e il presidente Michael Sata”. Secondo il segretario generale della Conferenza episcopale, il colloquio è stato il momento risolutivo di una campagna alla quale hanno partecipato anche il Consiglio delle Chiese dello Zambia e numerose organizzazioni non governative impegnate nella difesa dei diritti civili. “La diocesi di Chipata – dice padre Lungu – si sta già mettendo in contatto con il suo sacerdote, che adesso si trova in Rwanda, perché possa tornare”. Il governo aveva arrestato ed espulso Banyangandora a luglio, dopo che durante una predica nella cittadina orientale di Lunduzi il parroco aveva sottolineato come i bassi prezzi del cotone stessero mettendo a rischio la sopravvivenza di migliaia di contadini. L’espulsione del religioso aveva suscitato la protesta della Chiesa e alienato a Sata il sostegno di parte del mondo cattolico, decisivo per la sua elezione nel settembre 2011. (R.P.)

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    Guinea Bissau. Epidemia di colera: mancano strutture sanitarie e impianti idrici

    ◊   I tassi di diffusione del colera diminuiscono in Guinea e in Sierra Leone, a differenza della Guinea-Bissau dove, negli ultimi giorni, sono stati riportati 1.500 casi e 9 decessi. All’ospedale nazionale Simão Mendes, nella capitale Bissau, nelle ultime settimane sono stati assistiti 500 pazienti, ma i medici sostengono che il culmine dell’epidemia non è stato ancora raggiunto. Le precarie e quasi inesistenti strutture sanitarie, come pure idrologiche, rendono il Paese terreno fertile per la pandemia. Alcuni esperti ritengono che il ceppo sia stato probabilmente trasmesso dai pescatori in Sierra Leone e Guinea, anche se non è ancora stato confermato. Secondo il Ministero della Sanità locale, l’epidemia dilaga in 7 delle 9 aree amministrative della Guinea Bissau. Gli impianti idrici sono catastrofici, tuttavia, a partire dal 2009, la prevenzione a livello familiare è notevolmente migliorata. Nel Paese africano nel 2008 è stata registrata una epidemia che ha colpito 14.222 persone e ne ha uccise 225. (R.P.)

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    Panama: la Chiesa aprirà l'Anno Giubilare per i 500 anni della prima diocesi in America

    ◊   Con una solenne Eucaristia presieduta dal cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi e presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, la Chiesa di Panama celebrerà l’apertura dell’Anno Giubilare in occasione dei 500 anni della prima diocesi nel continente americano, in terra ferma, il 28 novembre, nella Basilica minore di Don Bosco. Alla cerimonia parteciperanno tutti i vescovi del Paese e dell’America Centrale. In un comunicato, i vescovi ricordano che l’immagine di Santa Maria “La Antigua”, che è stata benedetta dal Papa Benedetto XVI lo scorso 24 ottobre in Piazza San Pietro, sarà ricevuta ufficialmente il 25 novembre nella Arena di “Roberto Duràn”, nella capitale del Paese, da dove partirà la processione fino alla Basilica Minore di Don Bosco, nella quale si conserva la immagine sacra. La celebrazione eucaristica per il benvenuto all’immagine mariana sarà presieduta dall’arcivescovo metropolitano di Panama, mons. Josè Domingo Ulloa Mendieta. La diocesi di Santa Maria “La Antigua” è stata creata da Papa Leone X mediante la bolla «Pastoralis Officii Debitum» del 9 settembre de 1513. Nel 1524, il secondo vescovo mons. Vicente Peraza ha trasferito la sede nella nuova città di Panama. Il 27 febbraio 2001, Giovanni Paolo II ha accolto la richiesta della chiesa panamense di elevare Santa Maria La Antigua, patrona della Repubblica di Panama. “Verso i 500 anni camminando nella Speranza, 1513-2013” è il motto che la chiesa di Panama ha scelto per motivare le iniziative ecclesiali di preparazione, con l’aiuto delle autorità pubbliche e private del paese. (A cura di Alina Tufani)

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    Cardinale Betori: no al cristianesimo come "relilgione civile"

    ◊   Nonostante l’identità italiana sia “segnata indelebilmente dall’annuncio e dell’evento cristiano”, è anche “evidente il rischio che l’adesione al fatto cristiano si riduca a fenomeno di religione civile”. Lo ha detto il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, intervenendo ieri al seminario per i vescovi italiani, che si conclude oggi a Roma. “Nel generale smarrimento del bene comune - l’analisi del cardinale - si affaccia il rischio che anche la fede sia vissuta e celebrata in forma privata, generando una sorta di 'diaspora’ per la quale, proprio in ordine alla fede, non è più rilevante la modalità in cui vengono pensati i vissuti umani”. In questo contesto, “la sfida più esigente è rappresentata dal consolidarsi di una cultura che mette Dio tra parentesi e che scoraggia ogni scelta impegnativa, in particolare quelle definitive, per privilegiare invece, nei diversi ambiti della vita, l’affermazione di se stessi e le soddisfazioni immediate”. Il compito della Chiesa, per il cardinale Betori - riferisce l'agenzia Sir - è quello di proporre un “vero umanesimo”: “È il falso concetto di autonomia ciò che incrina la cultura odierna, quella secondo cui la persona si pensa tanto più felice quanto si sente prossima a fare ciò che vuole”. “Se il tema della nuova evangelizzazione - ha detto l’arcivescovo, soffermandosi sul legame tra quest’ultima e gli Orientamenti pastorali della Cei per questo decennio - è certamente entrato nel linguaggio e nella riflessione a livello di studiosi e di operatori pastorali, nella mentalità diffusa delle comunità manca una sufficiente consapevolezza delle conseguenze di una sua reale applicazione”. In particolare, la “dimensione formativa” degli adulti, “prioritaria ed essenziale”, è spesso la “grande assente” nella pastorale ordinaria”. “Il crescere e il diventare adulti - ha detto il cardinale Betori - non è un automatismo legato all’età o al curricolo di studi, ma richiede la coltivazione del sé, la capacità di riflessione e l’esercizio delle virtù. Il tema della credibilità e della testimonianza dell’adulto gioca la sua partita fondamentale non sul terreno delle competenze, e neppure primariamente su quello delle conoscenze, ma su quello delle scelte vissute e con onestà perseguite”. Di qui l’urgenza di “dedicare tempo, spazio e risorse alla formazione e all’accompagnamento degli adulti che sono già all’interno delle nostre realtà ecclesiali, tenendo presente che essi non sono al di fuori delle dinamiche sociali odierne”, per “far emergere una responsabilità di testimonianza ed educazione condivisa nella comunità ecclesiale”. (R.P.)

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    Russia. Hilarion al primate anglicano Welby: donne vescovo e unioni gay "ci allontanano"

    ◊   Il patriarcato di Mosca si congratula con Justin Welby per la nomina ad arcivescovo di Canterbury ma nel messaggio di auguri, il metropolita Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato russo, espone la posizione contraria della Chiesa di Mosca rispetto alle aperture della Comunione anglicana verso il sacerdozio e l’episcopato femminile e le unioni omosessuali. Il messaggio - riferisce l'agenzia Sir - arriva alla vigilia dell’importante Sinodo generale della Chiesa di Inghilterra durante il quale martedì 20 novembre, di pomeriggio, si voterà la ormai famosa legislazione che dopo 11 anni di dibattiti e rinvii, dovrebbe aprire anche la Chiesa di Inghilterra all’episcopato femminile. Sia l’arcivescovo uscente Rowan Williams sia l’attuale arcivescovo Justin Welby nella sue prime dichiarazioni, si sono definiti favorevoli alla legislazione. “La Chiesa ortodossa russa e le Chiese della Comunione anglicana - scrive il metropolita Welby - sono legate da antiche relazioni di amicizia risalenti al XV secolo. Per secoli, le nostre Chiese hanno preservato rapporti veri e fraterni incoraggiati sia da frequenti visite reciproche e sia da un avviato dialogo teologico e da uno spirito di rispetto e di amore”. “Purtroppo - aggiunge il metropolita Hilarion - la fine del 20° secolo e l‘inizio del terzo millennio hanno portato difficoltà tangibili nelle relazioni tra la Chiesa ortodossa russa e le Chiese della Comunione Anglicana. L’introduzione del sacerdozio femminile e ora dell‘episcopato, la benedizione di unioni e matrimoni tra persone dello stesso sesso, l‘ordinazione degli omosessuali come pastori e vescovi: tutte queste innovazioni sono considerate dagli ortodossi come delle deviazioni dalla tradizione della Chiesa primitiva, che allontanano sempre di più l’anglicanesimo dalla Chiesa ortodossa e contribuiscono ad una ulteriore divisione della cristianità nel suo complesso. Ci auguriamo che la voce della Chiesa ortodossa sia ascoltata dalla Chiesa d‘Inghilterra e dalle Chiese della Comunione Anglicana, e che possano rinvigorire le buone relazioni fraterne tra di noi”. (R.P.)

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    Albania: a Tirana l'Assemblea generale dei vescovi

    ◊   I 100 anni dell’indipendenza del Paese, l’Anno della fede, la nuova evangelizzazione, i 50 anni del Concilio ecumenico Vaticano II. Sono alcuni temi al centro dell’assemblea generale della Conferenza episcopale albanese (Cea) riunita, da ieri al 15 novembre, a Tirana. “I vescovi - spiega all'agenzia Sir Europa don Gjergj Meta, portavoce della Cea - parleranno della lettera pastorale scritta per il 100° anniversario dell’indipendenza del Paese (28 novembre 1912). Ciascuno rifletterà su come è stata vissuta questa ricorrenza. L’episcopato progetterà anche le linee pastorali per il futuro, guardando all’Anno della fede e al recente Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione. Al riguardo interverrà mons. Cristoforo Palmieri, vescovo di Rreshen, che ha partecipato ai lavori sinodali. Si parlerà anche dei festeggiamenti per il XVII centenario dell’Editto di Milano che si terranno nel 2013”. Oggi i vescovi, riferisce il portavoce, parteciperanno all’inaugurazione del nuovo anno accademico dell’Università Cattolica “Nostra Signora del Buon Consiglio” (Tirana). Altri temi al centro dei lavori: i documenti del Concilio, il nuovo Messale, il Catechismo della Chiesa cattolica, il Compendio e il sussidio “YouCat” che sono ormai vicini alla pubblicazione in lingua albanese. Nell’ultima giornata di lavori ci saranno le relazioni delle varie Commissioni della Conferenza episcopale. (R.P.)

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    Spagna: aperta a Madrid la XIX Assemblea generale della Conferenza dei religiosi

    ◊   “Continuate l’opera di carità e assistenza verso i più bisognosi e i malati” è stato l’incoraggiamento del nunzio apostolico in Spagna, mons. Renzo Frattina, che ha presieduto la celebrazione eucaristica per l’apertura della XIX Assemblea generale della Conferenza dei Religiosi spagnoli, riunita da ieri a Madrid con la partecipazione dei Superiori e delle Superiore delle congregazioni religiose presenti nel Paese. Il nunzio ha riconosciuto gli abbondanti frutti della vita religiosa nel campo dell’evangelizzazione e della cultura, del mondo delle comunicazioni e nella promozione della famiglia e dei giovani. Inoltre, l’arcivescovo ha sottolineato la proposta di prendere come tema dell’incontro la Nuova Evangelizzazione e l’Anno della Fede convocato da Benedetto XVI. Alla fine della celebrazione, il presidente della Commissione episcopale per la Vita Consacrata, mons. Vicente Jiménez, vescovo di Santander ha ringraziato i religiosi per il loro ruolo fondamentale nella Chiesa e nella missione evangelizzatrice. In particolare, mons. Jiménez ha rilevato il coinvolgimento della Vita religiosa nelle difficili situazioni umane che sta provocando la crisi economica nella Spagna. Infine, il presule ha invitato i Superiori delle congregazioni a riflettere sulla carità e la solidarietà e sulla necessità di una reale conversione personale, senza la quale non sarà possibile la trasformazione della società. Con riferimento al tema della riunione, il responsabile della vita consacrata dell’episcopato spagnolo ha affermato che “potremmo essere evangelizzatori soltanto se viviamo l’esperienza che l’amore di Dio ci comunica, perchè l’evangelizzazione nasce dall’incontro con la persona di Gesù Cristo, che ci muove”. “Come potranno credere, senza averne sentito parlare?”(Rom. 10,14)” è il titolo scelto per l'incontro di quest'anno dell’Assemblea dei Religiosi spagnoli per riflettere sull’urgenza di annunciare il Vangelo e il ruolo della Vita religiosa nella Nuova Evangelizzazione. (A.T.)

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    Turchia: decisa la demolizione dell'antica chiesa ortodossa di San Nicola a Bodrun

    ◊   Sta suscitando sorpresa e amarezza tra la popolazione locale la decisione di demolire l’antica chiesa ortodossa dedicata a San Nicola (Aya Nikolaya) nel distretto di Bodrum, nella provincia sud-occidentale di Muğla. Ne dà notizia il sito in rete Orthodoxie.com, che riprende delle informazioni riportate dalla stampa turca. Lo storico edificio, costruito oltre 230 anni fa - riferisce L'Osservatore Romano - da tempo era chiuso al culto e la popolazione aveva chiesto che venisse restaurato. Le autorità locali, invece, avvalendosi anche di uno studio realizzato dai tecnici dell’università di Pamukkale, secondo i quali la costruzione è ormai troppo fatiscente, hanno deciso per la demolizione. Una decisione che, appunto, ha colto di sorpresa la popolazione che al contrario era in attesa dell’avvio dei lavori di recupero in passato promessi dall’ex sindaco Mehmet Kocadon. Il nuovo primo cittadino, Dursun Göktepe, ha invece firmato l’ordinanza di demolizione. (L.Z.)

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    Gmg Rio 2013: i pellegrini non pagheranno il visto di entrata in Brasile

    ◊   Il governo brasiliano ha deciso di agevolare l’entrata dei pellegrini che raggiungeranno il Paese per la prossima Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro, dal 23 al 27 luglio 2013. Lo scorso venerdì è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica brasiliana il decreto che permetterà ai pellegrini di ottenere gratuitamente il visto di entrata in Brasile. Sarà necessario scaricare e compilare un modulo che si trova sul sito del Ministero degli Affari Esteri brasiliano (http://www.portalconsultar.mre.gov.br/), inoltre è necessario presentare il passaporto valido e la documentazione spedita dal Comitato organizzativo della Gmg Rio 2013 che dimostri la partecipazione del pellegrino alla Gmg. I pellegrini potranno arrivare a Rio fino al 28 luglio e il visto sarà valido per 90 giorni. Per i volontari la permanenza potrà essere di un anno. Suor Maria Shaiane Machado, responsabile per le iscrizioni della Gmg ribadisce che è “indispensabile avere il documento emesso dalla Gmg perché sia rilasciato il visto gratuito”. (R.B.)

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    Paura a Roma per l'ondata di piena del Tevere

    ◊   Tevere sotto osservazione a Roma. Il fiume ha rotto gli argini in diversi punti della città, allagando numerose aree nel settore nord della capitale. L’ondata di piena, causata dalle forti perturbazioni che hanno interessato il Centro Italia, sta provocando molti disagi alla circolazione. Chiuso il pronto soccorso e bloccate le sale operatorie al Fatebenefratelli, sull’Isola Tiberina. Secondo una nota della Regione Lazio, il passaggio della piena ''sarà graduale con una durata anche di diversi giorni, ma in condizioni di sicurezza per quanto riguarda la tenuta idraulica all'interno della città di Roma, garantita dai muraglioni". Attivato un'unità di crisi alla quale spetterà il monitoraggio costante del fiume. La Protezione civile raccomanda ''massima cautela alla popolazione residente nelle zone prossime ai corsi d'acqua. Osservare, inoltre, la massima cautela e prudenza nell'impegnare locali interrati e/o al di sotto del livello stradale che potrebbero risentire dei fenomeni di rigurgito''. (S.S.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 319

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.