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Sommario del 13/11/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • L'aiuto del Papa ai profughi siriani nel racconto dell'inviato in Libano il cardinale Sarah
  • Conferenza internazionale in Vaticano sul tema: “L’Ospedale, luogo di evangelizzazione, missione umana e spirituale”
  • Il neopresidente dell’Accademia di Latinità: chi accede al sacerdozio deve conoscere il latino
  • Vent’anni di relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Slovenia. Il card. Sodano ricorda il ruolo del Beato Wojtyla
  • Venti anni del Catechismo. I commenti di padre Kowalczik: le vie per conoscere Dio
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: Lega Araba e Ue riconoscono la nuova opposizione unificata. Si aggrava l’emergenza umanitaria
  • Ancora raid israeliani su Gaza, alta tensione tra Tel Aviv e Damasco sulle alture del Golan
  • Crisi: il Portogallo verso il risanamento, Angela Merkel: "un esempio da seguire"
  • Prosegue la campagna di Amnesty per le donne di Nordafrica e Medio Oriente
  • A Firenze la prossima Giornata in ricordo delle vittime delle mafie: oggi la presentazione con don Ciotti
  • Sindrome di Down. Il giurista Gambino: dalla Cassazione una sentenza inaccettabile
  • L'impegno dei Padri bianchi contro vecchie e nuove schiavitù
  • "Le feste scippate": un libro per riscoprire il senso cristiano delle festività
  • A San Paolo fuori le Mura, chiude il Festival di musica e arte sacra
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Usa: confessione, difesa del matrimonio e libertà religiosa al centro dell'assemblea dei vescovi
  • Usa: rapporto su cattolici e nuovi media
  • Siria. Emergenza sanitaria: casi di peste a Homs
  • Vescovi asiatici in Terrasanta per “tornare alle sorgenti” nell’Anno della Fede
  • Iraq: prima pietra a Baghdad della nuova chiesa copto-ortodossa
  • Il card. Bagnasco: "vivere la liturgia" come antidoto per i "cristiani deboli"
  • Premio Sant'Agostino per il dialogo interreligioso: al cardinale Scola ed al principe di Giordania
  • Kenya: l’uccisione di 42 poliziotti mette in luce la diffusione delle armi
  • Darfur: oppositore ucciso. Onu preoccupata per escalation della violenza
  • Mozambico: oltre 130mila famiglie al centro di una grave carestia a Tete
  • Brasile. Bambine comprate per 10 euro: la denuncia di una missionaria
  • Giornata mondiale contro la polmonite: ogni 25 secondi muore un bambino, 3.400 al giorno
  • Inghilterra: all'assemblea dei vescovi, confronto sul traffico di esseri umani
  • Filippine: per i missionari, sull'omicidio di padre Tentorio "affiorano verità negate"
  • Faisalabad: famiglia cristiana in prigione con false accuse di sequestro di persona
  • Cina: consacrazione di nuove chiese segno di fede e maturità delle comunità continentali
  • Convegno Internazionale sull'opera di padre Marracci, primo traduttore del Corano nel 1698
  • Emergenza maltempo in Italia
  • Il Papa e la Santa Sede



    L'aiuto del Papa ai profughi siriani nel racconto dell'inviato in Libano il cardinale Sarah

    ◊   E’ particolarmente colpito l’inviato del Papa in Libano, il cardinale Robert Sarah, per gli incontri avuti con le popolazioni siriane fuggite dal conflitto ed i responsabili della Chiesa locale. Nella sede della Caritas di Beirut, il presidente di Cor Unum ha anche coordinato l'incontro con circa 20 agenzie caritative cattoliche operanti in Libano, Siria, Giordania, Turchia e Iraq. Nel corso della riunione sono stati valutati i progetti che saranno finanziati con la donazione di un milione di dollari che Benedetto XVI ha destinato alle martoriate popolazioni siriane. Roberto Piermarini ha chiesto al cardinale Sarah - appena rientrato in Vaticano - come è stata accolta l’iniziativa del Papa dalle autorità religiose e civili che ha incontrato in Libano:

    R. - Molto bene, molto bene. Ho incontrato il presidente della Repubblica libanese, che è stato molto contento di questa iniziativa del Santo Padre e che in questa iniziativa ha visto la continuazione della sua visita in Libano. Anche la Chiesa locale è rimasta molto toccata da questa missione voluta dal Santo Padre per studiare sul posto quello che possiamo fare per aiutare la popolazione della Siria che si trova in Libano in condizioni umane e sanitarie molto difficili.

    D. - Eminenza, cosa l’ha impressionata di più nel suo incontro con i profughi siriani in Libano?

    R. - Ciò che è molto toccante è che i campi sono senza acqua, senza luce, senza misure igieniche e la popolazione siriana presente è composta in gran parte da donne e bambini. Mi ha toccato veramente molto vedere una donna con un bambino nato quattro mesi fa, che mi ha detto “Prendetelo, prendetelo!”, solo per riuscire a salvarlo da questa situazione: vedere una donna, insieme al suo bambino, piangere è una cosa veramente tremenda! C’è stata poi un’altra donna, musulmana, tutta velata, che ci chiede un aiuto e quando lo riceve, piange: allora le abbiamo chiesto perché stesse piangendo e lei ci ha risposto: “Voi mi avete trattato come un essere umano; ho ritrovato così la mia dignità, quella dignità che non ho mai trovato nella mia comunità religiosa”. Il fatto che anche i musulmani siano toccati dal modo in cui la Chiesa tratta ogni essere umano che si trova nel bisogno.

    D. - Queste persone di che cosa hanno concretamente bisogno oggi?

    R. - Hanno bisogno soprattutto di cibo, di medicine, di acqua, di elettricità, perché quando fa buio non si vede niente. Tra poco sarà inverno e quindi hanno bisogno anche di vestiti e di riscaldamento: comunque hanno bisogno soprattutto di cibo, di medicine, di acqua e di vestiti. Abbiamo cercato con la Caritas Libano, almeno per i primi momenti, di dare qualcosa che possa essere utile per loro.

    D. - Eminenza, lei ha quindi incontrato questi profughi siriani: temono una deriva integralista islamica nel loro Paese?

    R. - I cristiani temono molto questa possibilità e proprio per questo preferiscono non registrarsi nei campi: preferiscono andare nelle famiglie o nella parrocchia. Alcuni mi hanno anche raccontato di essere stati maltrattati. Non sono soltanto i rifugiati ad avere paura: anche la Chiesa teme che fra poco non ci sarà più un cristiano nella regione.

    D. - Un milione di dollari offerto dal Papa, che le ha consegnato prima di partire. Come è stato distribuito tra le varie agenzie caritative cattoliche della regione?

    R. – E’ una piccola goccia, quando si vede la necessità. Però è stato un dono veramente apprezzato dalla popolazione. Abbiamo dato la priorità alla Siria perché all’interno del Paese sono più di due milioni le persone sfollate. Per la Siria abbiamo dato 700mila dollari e per le altre Caritas – Turchia, Libano, Giordania e Iraq – i restanti 300mila. Chiedendo anche a tante organizzazioni caritative della Chiesa di pensare di aumentare la loro generosità perché sappiamo che la guerra può provocare altri profughi e dunque ci sarà maggior bisogno di aiuto. Cerchiamo anche di raccogliere fondi, perché questa riunione che abbiamo fatto il 9 novembre è stata fatta per coordinare i nostri aiuti. Speriamo che arrivino altre donazioni per affrontare la possibilità dell’aumento del numero dei rifugiati, se la guerra continua così.

    D. – Anche perché il conflitto non sembra risolversi in tempi brevi?

    R. – Non sembra, non sembra, perché sia il governo che i ribelli sono determinati a vincere; ciascuno vuole vincere e, così, non si ferma la guerra. Speriamo che la comunità internazionale possa intervenire per discutere e portare la pace in questo Paese.

    D. – Lei crede che questa unificazione dell’opposizione possa aiutare a trovare una risoluzione al conflitto?

    R. – Ciò che posso dire è che, almeno, abbiamo una struttura con cui discutere, perché prima non si sapeva con chi sedersi e parlare. Però io non so rispondere se questa struttura sarà un evento positivo per portare la pace. Speriamo. Preghiano che il Signore dia più saggezza a queste persone che credono nella soluzione della guerra. Che il Signore possa far capire che solo nel dialogo e nella riconciliazione si può trovare più tranquillità, più pace, e soprattutto sollevare dalla sofferenza il popolo siriano.

    D. – Annunciando la sua missione in Libano, il Papa ha rivolto un appello alla comunità internazionale affinché faccia tutto il possibile per la Siria perché un giorno, ha detto, “potrebbe essere troppo tardi”. Crede che siamo ancora in tempo per mettere fine a questo sanguinoso conflitto?

    R. – Io penso che se la Comunità internazionale ascolta la voce del Santo Padre e decide di sedersi per discutere, possiamo trovare una soluzione, però bisogna ascoltare la voce del Santo Padre, che cerca veramente di fermare le violenze e portare la pace in Siria. Questo vuol dire che non soltanto i siriani, ma la comunità internazionale è decisa ad aiutare questo popolo a trovare la pace nell’incontro, nella discussione, nel dialogo. Noi cristiani dobbiamo pregare, perché il Signore ha detto: senza di me non potrete fare niente. Non dobbiamo escludere Dio nella negoziazione e per questo la voce del Santo Padre, il richiamo quotidiano a pregare per la Siria, mi sembra una voce importante, non soltanto per questa situazione in Siria. Sappiamo che tanti conflitti nel mondo stanno portando sofferenza e morte a tante popolazioni. Io credo che la voce del Santo Padre sia ascoltata e, così, questa nuova struttura dell’opposizione potrà essere un momento di dialogo, con l’aiuto della comunità internazionale.


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    Conferenza internazionale in Vaticano sul tema: “L’Ospedale, luogo di evangelizzazione, missione umana e spirituale”

    ◊   “L’Ospedale, luogo di evangelizzazione: missione umana e spirituale”: è il tema della XXVII Conferenza internazionale del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, ospitata in Vaticano dal 15 al 17 novembre prossimo. L’evento, ispirato dall’Anno della fede e dal recente Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione, è stato presentato stamane nella sala stampa della Santa Sede dal presidente del dicastero, mons. Zygmunt Zimowski. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Sarà il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, a presiedere la Messa inaugurale, nella Basilica di San Pietro, giovedì mattina, della Conferenza che vedrà riuniti per tre giorni in Vaticano personalità della Chiesa, della scienza, della ricerca, della pratica medica e del volontariato, chiamati dai cinque continenti, per dibattere sulla realtà degli ospedali, crocevia dei popoli, di culture e religioni, più che mai nei Paesi più avanzati, occasione di solidarietà e carità, specie nei Paesi più poveri, luogo prioveligiato di missione, così come ha sottolineato l’arcivescovo Zimowski:

    “Andate, insegnate e curate gli infermi, è il mandato di Gesù su cui si fondano due delle attività fondamentali e sempre attuali della sua Chiesa, l’annuncio della Parola e la cura dei malati”.

    Se i Paesi industrializzati – ha osservato il presidente del dicastero vaticano – devono fronteggiare i tagli nei servizi portati dalla crisi economico-finanziaria, occorre salvaguardare l’identità degli ospedali e presidi sanitari cattolici e il loro ruolo di sussidiarietà, senza porre in secondo piano questioni fondamentali quali il rispetto della vita dal concepimento alla morte naturale, l’umanizzazione della cura e le cure palliative. Nei Paesi in via di sviluppo permangono invece gravi carenze perfino di accesso alle cure di base, ha ricordato mons. Zimowski:

    “…spesso le persone muoiono per la mancanza di farmaci del costo di appena qualche dollaro, come nel caso delle terapie antimalariche.

    Cosi, pure mancano le strumentazioni diagnostiche di base e la formazione specialistica del personale sanitario. Riguardo la presenza cattolica, sono oltre 120 mila i presidi sociosanitari, dai grandi policlinici metropolitani ai dispensari nelle aree più remote del pianeta:

    “Il poco a disposizione di tali nosocomi attivi nelle regioni più povere, desidero sottolinearlo, viene utilizzato in favore della popolazione e senza distinzioni basate su fede od appartenenza etnica, come la Parola, gli insegnamenti della Chiesa e lo spirito e la Storia delle missioni insegnano”.

    Oltre 600 i partecipanti attesi da una sessantina di Paesi per offrire il loro originale contributo ai lavori nelle tre giornate dedicate a “Storia e Missione”, “Etica ed Umanizzazione”, “Spiritualità e Diaconia della Carità”. Prevista anche la presenza del ministro della sanità italiano, Renato Balduzzi. E, in chiusura sabato mattina, dopo la celebrazione eucaristica in San Pietro, vi sarà l’intervento di Benedetto XVI, nell’Aula Paolo, preceduto da un incontro di riflessione e preghiera degli operatori sanitari nell’Anno della fede, cui prederanno parte anche i partecipanti al Congresso europeo dei medici cattolici europei, insieme a malati accompagnati dall’Unitalsi e studenti di Scienze infermieristiche.

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    Il neopresidente dell’Accademia di Latinità: chi accede al sacerdozio deve conoscere il latino

    ◊   Con un Motu Proprio pubblicato sabato scorso, Benedetto XVI ha istituito la Pontificia Accademia di Latinità, con il compito – ha affermato fra l’altro il Papa – di rilanciare lo studio della lingua ufficiale della Chiesa, che corre il rischio di una “conoscenza sempre più superficiale”. A dirigere la Pontificia Accademia, Benedetto XVI ha nominato un illustre latinista, il prof. Ivano Dionigi, rettore dell’Alma Mater Studiorum-Università di Bologna. Alessandro De Carolis gli ha chiesto di descrivere sentimenti e obiettivi nell’assumere questo incarico:

    R. - Un senso di profonda riconoscenza, sapendo da chi viene questa nomina! Credo che anche il compito di uno che guida un grande Ateneo come quello dell’Alma Mater sia un compito sostanzialmente di educatore, di attenzione alla cultura. Credo che oggi, in questo Paese, che è a rischio di “anoressia” culturale, contribuire dai vari versanti a porsi problemi e cercare anche di dare qualche risposta, partendo da lontano e perché no, anche dal latino, si possa fare un servizio anche a una comunità come quella dell’università, in generale.

    D. – Lei ha parlato di “anoressia” culturale, un rischio che potrebbe essere anche per la Chiesa che, come ha rilevato di recente il cardinale Ravasi, rischia di dimenticare la conoscenza del latino. Nel concreto in che modo l’istituzione che lei si appresta a dirigere intende mettere in moto un’inversione di tendenza?

    R. - Credo che una prima direzione di recupero sia quella del reintegro del latino negli istituti religiosi, soprattutto nei seminari. Non è pensabile che chi accede al sacerdozio non conosca il latino, non solo perché in quella lingua hanno parlato i Padri, non solo perché è stato il segno dell’universalità, ma anche perché i Padri della Chiesa hanno scritto in latino, e anche per la liturgia... Quindi, un primo punto è quello della lingua latina. Poi, credo che ci sia una seconda direzione di impegno. Questa Pontificia accademia deve gettare un ponte col mondo laico, soprattutto col sapere dell’università e delle università in primo luogo e, allora, c’è spazio per la cultura classica non solo latina ma anche greca. Cercare di vedere un po’ di recuperare questo triangolo Atene-Gerusalemme-Roma, di vederne il recupero nella sua eredità migliore.

    D. - Nel suo Motu proprio, Benedetto XVI nota un rinnovato interesse per il latino anche nel mondo contemporaneo ipertecnologico: qual è la sua esperienza su questo aspetto?

    R. - Mi pare di cogliere che ci sia un ritorno di interesse verso il latino, la classicità, le lettere classiche. Un ritorno che, a dire il vero, è di segno duplice. Per un verso ci sono coloro che ancora si ostinano a vederci un segno elitario, un segno di status symbol. Credo che questo non faccia bene. Invece, il problema oggi è vedere come capitalizzare al meglio questa lingua e questa cultura sottesa a questa lingua. Bisogna recuperare i testi classici che sono di un’attualità esplosiva. Perché c’è questo ritorno? Perché di fronte a una letteratura dei testi, a una realtà spesso così povera e impoverente, un testo come Agostino, un testo come Seneca, un testo come Lucrezio, resistono al tempo e alle mode, parlano alle persone un linguaggio che oggi nella quotidianità la gente fa fatica a trovare.

    D. – In un’epoca come la nostra, dove per riscuotere attenzione si deve godere di un marketing incisivo, svelto, in che modo lei sponsorizzerebbe l’importanza della lingua latina, non solo in ambito ecclesiale?

    R. – Io potrei dire, in maniera altisonante, perché i classici insegnano a pensare bene col loro pensiero plurale! Ma io mi attengo a un motivo che da solo basterebbe: dobbiamo farlo per interesse, per i beni culturali. Solo di patrimonio culturale noi abbiamo una densità per cui si giustifica l’apprendimento di queste lingue. I beni culturali… tutto il nostro Occidente è stato segnato, tutta la nostra arte, tutta la nostra letteratura… Come si fa a girare in un museo, a vedere un quadro, a vedere una statua senza conoscere … Se non lo si fa per convinzione, ma lo si faccia per convenienza … C’è un grande patrimonio culturale da recuperare e ci vogliono persone che capiscano questa tradizione e la facciano capire agli altri. Questo è un patrimonio culturale che diventa un patrimonio economico e anche una grande opportunità occupazionale per i giovani. Diceva il mio compianto amico Giuseppe Pontiggia: se Roma fosse sorta nel Texas, gli americani avrebbero avuto ben altra attenzione per quest’eredità classica!

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    Vent’anni di relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Slovenia. Il card. Sodano ricorda il ruolo del Beato Wojtyla

    ◊   Per celebrare il 20.mo anniversario delle relazioni diplomatiche fra Santa Sede e Slovenia si è tenuta, ieri pomeriggio, una conferenza nella sede della Pontificia Accademia Ecclesiastica. All’evento hanno preso parte, tra gli altri, il cardinale sloveno Franc Rodé e l’ambasciatore sloveno presso la Santa Sede, Maja Maria Lovrenčič Svetek, che ha promosso l’incontro. Alla conferenza sono intervenuti Alojz Peterle, primo presidente del governo e della Repubblica di Slovenia, e il cardinale decano del Collegio cardinalizio, Angelo Sodano. Nel suo intervento, il cardinale Sodano ha ricordato che, con la caduta del Muro di Berlino, si aprì per i popoli dell’Europa “una pagina nuova della loro storia”. Ed ha rammentato il ruolo straordinario di Giovanni Paolo II per la conquista della libertà da parte dei popoli europei che per decenni erano stati dominati dal regime comunista.

    Per intensificare i contatti con i vari governi “che nel frattempo prendevano le redini dei nuovi Stati – ha affermato il porporato – il compianto Pontefice dispose che i suoi collaboratori nella segreteria di Stato iniziassero a prendere subito dei contatti regolari con le nuove autorità”. Fu, ha detto il cardinale Sodano, “un raggio d’azione molto vasto, anche perché con il crollo dei vari regimi comunisti europei, veniva pure a modificarsi la geografia politica del continente”. In quegli anni, dal 1989 al 1992, furono dunque 28 i nuovi Stati che “in quel clima di libertà chiesero uno dopo l’altro di stabilire dei regolari rapporti con la Santa Sede”. Si giungeva così, ha concluso il cardinale Sodano, al “traguardo attuale: tutti i 47 Stati del Consiglio d’Europa hanno dei regolari rapporti diplomatici con la Santa Sede”.

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    Venti anni del Catechismo. I commenti di padre Kowalczik: le vie per conoscere Dio

    ◊   Conoscere Dio: è questo uno dei temi fondamentali nella vita di ogni cristiano e su cui si sofferma anche il Catechismo della Chiesa cattolica. Proprio la dimensione della conoscenza di Dio viene affrontata oggi dal padre gesuita Dariusz Kowalczyk, nella nostra rubrica dedicata ai 20 anni di questo testo fondamentale della Chiesa:

    Possiamo noi conoscere Dio solo con le nostre forze? La risposta a tale domanda può essere “si” o “no” a seconda di come intendiamo la parola “conoscenza”. Non possiamo dare una dimostrazione cogente dell’esistenza di Dio, perché l’Assoluto non può essere racchiuso in nessun sistema del pensiero umano. Possiamo però conoscere Dio – come leggiamo al numero 31 del Catechismo – nel senso di avere “argomenti convergenti e convincenti che permettono di raggiungere vere certezze”. In altre parole, una cosa è che uno partendo dal mondo possa arrivare alla conoscenza di Dio; un’altra: che questa conoscenza venga trasmessa con una dimostrazione cogente all'altro.

    Il Catechismo parla pertanto non della “dimostrazione” di Dio, ma della sua “conoscenza”. Per la stessa ragione è meglio parlare non tanto delle “prove dell’esistenza di Dio”, ma delle “vie” che portano alla conoscenza dell’Assoluto.

    Il Catechismo fa un riferimento al libro della Sapienza in cui troviamo le parole forti: “Davvero stolti per natura tutti gli uomini che vivevano nell’ignoranza di Dio e dai beni visibili non riconobbero colui che è […] Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l’autore” (13,1-5). Abbiamo anche l’affermazione chiara del Concilio Vaticano I: “La santa Chiesa […] sostiene e insegna che Dio […] può essere conosciuto con certezza con il lume naturale della ragione umana partendo dalle cose create”.

    Invitati dal Catechismo a conoscere Dio possiamo fare un esercizio che troviamo negli “Esercizi Spirituali” di sant’Ignazio Loyola. Si tratta di osservare “come Dio abita nelle creature: negli elementi dando l’essere, nelle piante facendole vegetare, negli animali facendogli sentire, negli uomini facendogli intendere” (n. 235). E proclamiamo insieme al salmista: “I cieli narrano la gloria di Dio” (Sal 19,1).

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In rilievo, nell’informazione internazionale, l’alta tensione fra Siria e Turchia.

    Il passo breve dall’ateismo alla dittatura: in cultura, l’arcivescovo Gerhard L. Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sull’esperienza del mondo e la conoscenza di Dio.

    Anche la Chiesa ha un suo sistema immunitario: Hermann Geissler sul tema “consenso dei fedeli” negli scritti del beato John Henry Newman.

    Mistero Capogrossi: Sandro Barbagallo sulle due vite artistiche del pittore romano in mostra a Venezia.

    Il Figlio è ogni uomo: Vittorio Sgarbi su civiltà e natura sul Calvario dipinto da Mantegna per la basilica di San Zeno a Verona.

    Un articolo di Luca Pellegrini dal titolo “L’Italia nello specchio del cinema”: un documentario storico costruito su materiali d’archivio al Festival del Film 2012 a Roma.

    Credere per evangelizzare: nell’informazione religiosa. il cardinale presidente Angelo Bagnasco al seminario di studio per i vescovi promosso dalla Cei in occasione dell’Anno della Fede.

    Il sorriso della storia: nell’informazione vaticana, Alojz Peterle, deputato al Parlamento europeo e già presidente del Consiglio dei ministri del primo Governo sloveno eletto democraticamente, sul ventesimo anniversario delle relazioni diplomatiche fra Santa Sede e Slovenia.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: Lega Araba e Ue riconoscono la nuova opposizione unificata. Si aggrava l’emergenza umanitaria

    ◊   Dopo l’appoggio degli Stati Uniti, l’opposizione unificata ottiene anche quello della Lega Araba e dell’Unione Europea. Intanto, nel Paese non accenna a diminuire la violenza. Anche oggi già si contano decine di vittime a causa dei bombardamenti dell’esercito e delle azioni armate delle milizie degli insorti. Sempre più grave anche l’emergenza umanitaria. Almeno 200 mila profughi stanno per entrare in Giordania, mentre altrettanti si trovano già in Libano, Turchia e Iraq. Secondo stime dell’Onu, poi, sarebbero due milioni e mezzo gli sfollati interni. Sulle possibili vie di pacificazione in Siria, Giancarlo La Vella ha intervistato don Renato Sacco, di Pax Christi:

    R. - Se vogliamo evitare il peggio, se davvero la guerra è una avventura senza ritorno, bisogna mettere in campo tutto quello che può favorire un’uscita dal conflitto e non un acuirsi dello scontro, cercando di essere dalla parte delle vittime, cercando di dialogare con tutte le parti in conflitto. Credo che anche la Siria, nella attuale confusione, non debba essere letta soltanto in chiave bellica, nel senso di dire unicamente “appoggiamo gli insorti o appoggiamo il regime, armiamo l’uno o armiamo l’altro”; dobbiamo, invece, cercare strade diverse, che non parlino solo di armi.

    D. - Secondo lei, servirebbe a qualcosa se il presidente Assad facesse un passo indietro, ovvero accettasse un’uscita incruenta dallo scenario politico siriano?

    R. - Senza dubbio servirebbe, ma forse dovremmo metterlo nelle condizioni di operare una scelta del genere, facendo tutti un passo indietro dalla logica di guerra e indicando anche altri percorsi e altre strade.

    D. - Purtroppo sembra rimanere in secondo piano, nel dibattito internazionale, quello che è il crescente dramma umanitario…

    R. - Sì. Credo che, come credente, sia doveroso dire: “Mettiamo in evidenza il dramma delle vittime, dei profughi” e da lì leggiamo la situazione. Proprio da lì la dobbiamo partire, non dalle stanze dei potenti.

    D. - Brilla, comunque, l’esempio di un Paese in difficoltà per la crisi economica globale, ma anche per suoi problemi interni, come la Giordania, dove i profughi vengono aiutati dalla popolazione civile. Questo della solidarietà potrebbe essere, in questo momento, un messaggio da rivolgere al mondo intero?

    R. - Sicuramente. La Giordania, già altre volte, come nei confronti dei profughi dell’Iraq, si è dimostrata solidale. Il fatto che persone che non sono ricche, condividano e si facciano carico di altre persone, credo sia un messaggio positivo, ma probabilmente questa è anche la strada giusta da percorrere. A volte siamo un po’ infastiditi da un’immigrazione che combattiamo non sempre con umanità… Dalla Giordania, invece, ci viene l’esempio che quando si è in difficoltà non si fanno calcoli, ma si apre la porta! Forse tutti noi, i credenti per primi, dovremmo lasciarci interrogare da questi messaggi e capire che, forse, al di là delle diplomazie, questo è il percorso da fare: mettersi in cammino e condividere. O ci salviamo insieme o non si salva nessuno!

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    Ancora raid israeliani su Gaza, alta tensione tra Tel Aviv e Damasco sulle alture del Golan

    ◊   L'aviazione israeliana ha lanciato nella notte tre raid contro obiettivi situati nella Striscia di Gaza senza provocare feriti. I raid si inquadrano nella nuova ondata di violenze alla frontiera tra la Striscia di Gaza e Israele, la seconda in meno di un mese. E le autorità israeliane parlano con sempre più insistenza della possibilità di una operazione militare contro Gaza. Ma c’è tensione anche tra Israele e Siria sulle alture del Golan: Tel Aviv ha risposto ieri a un colpo di mortaio siriano. Per capire la strategia di Israele nel quadro attuale di escalation in tutta la regione, Fausta Speranza ha intervistato il prof. Claudio Lo Jacono, direttore della rivista "Oriente moderno":

    R. – Non sono soltanto la Siria e la Palestina, ma - ricordiamoci – è incombente sempre la questione iraniana. Le motivazioni della guerra civile siriana sono estranee alla questione palestinese, che è la questione dirompente da oltre mezzo secolo dell’area del vicino Oriente, che non ha mai trovato un equilibrio dalla nascita di Israele in poi. Le questioni della guerra civile siriana sono di un’opposizione contro il regime dinastico familiare. Naturalmente, però, in un quadro sinistrato come quello della Siria e con un quadro anche abbastanza pericolante come quello dell’Egitto, Israele cerca di approfittare, per rafforzare la sua sicurezza, che è l’argomento principale che la preoccupa e la occupa. Israele approfitta di un quadro di assoluta difficoltà del mondo arabo: panarabismo morto e sepolto; la Siria in preda al dramma della guerra civile; l’Egitto con un nuovo presidente democraticamente eletto, non moderato per alcuni versi anche se intenzionato a mantenere una politica di non chiusura verso Israele e Iraq, che ha subito decenni di dittature, di guerre, di terrorismo interno; il Libano scosso anch’esso da problemi che non sono soltanto suoi interni, ma per lo più esterni. In questo quadro, Israele ha tutto da guadagnare nell’imporre la sua visione della sua sicurezza.

    D. – A fine mese, il 29 novembre, Abu Mazen sarà di nuovo alle Nazioni Unite per chiedere il riconoscimento di Stato non membro, un passo avanti rispetto alla definizione attuale di entità osservatrice. Ma ha qualche speranza, secondo lei?

    R. – Assolutamente non credo ve ne siano... Credo che Abu Mazen cerchi di uscire da una posizione d’immobilismo della quale ha anche responsabilità, in parte, l’Autorità palestinese ma assai più Israele. In questa situazione di totale stallo e addirittura arretramento di fronte a quelle che erano state le promesse di Camp David e degli accordi di Oslo, c’è il tentativo puramente d’immagine di chiedere una collocazione internazionale dell’Autorità palestinese, ma è praticamente sicuro che ci sarà il veto statunitense, che si muove sempre in favore di Israele in queste circostanze, finché non si arriverà - non si sa mai come o quando – alla realizzazione dei due popoli su un territorio.

    D. – La riconferma di Obama, però, in qualche modo non era quello che Israele sperava, perché c’è tensione sul tema degli insediamenti tra Obama e Israele...

    R. – Sì, certamente Israele sarebbe stato molto più contento della vittoria del suo antagonista, ma Obama si è affrettato, anche negli anni precedenti al suo primo mandato, a fare ampie dichiarazioni di rassicurazione nei confronti di Israele. Sappiamo perfettamente che l’elettorato ebraico negli Stati Uniti è molto forte e una linea anti Israele non sarebbe assolutamente fruttuosa per i candidati a cariche politiche così importanti.

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    Crisi: il Portogallo verso il risanamento, Angela Merkel: "un esempio da seguire"

    ◊   ''In due anni abbiamo ottenuto risultati inizialmente previsti per il 2016''. Lo ha detto il premier portoghese Padro Passos Coelho, a Lisbona, in conferenza stampa con la cancelliera tedesca Angela Merkel. Il premier ha sottolineato l'importanza delle misure di risparmio e delle riforme strutturali per una crescita sostenibile, mentre il numero uno di Berlino ha parlato di "un esempio da seguire". Ma cosa è stato fatto, concretamente in Portogallo? Salvatore Sabatino lo ha chiesto all’economista della "Cattolica", Giovanni Marseguerra:

    R. – Il Portogallo ha adottato una serie di misure molto dure che hanno, peraltro, scatenato un’ondata di proteste di piazza da parte delle diverse categorie colpite da misure che hanno variato dalle imposte sul reddito, ulteriori tasse, eliminazione di detrazioni fiscali … Quindi, una politica di austerità molto marcata.

    D. – Quindi, avere il supporto della Germania in questo momento conta, e non poco: abbiamo sentito le parole della Merkel …

    R. – Certamente! Però, qui si tratta di vedere che cosa vogliono gli stessi tedeschi, perché i recenti dati dicono come la stessa Germania stia cominciando a risentire fortemente – ma era evidente che sarebbe successo – della situazione di crisi degli altri Paesi dell’Eurozona; ciò spinge a ritenere che forse l’intero piano di austerità, pervicacemente supportato dalla cancelliera Merkel, forse non è il modo migliore per risolvere il problema. Certamente la situazione che c’è in Portogallo adesso è meno grave di quanto non fosse qualche anno fa, mentre la situazione in Grecia è ancora grave. Ma mi sembra che stia emergendo con chiarezza che la sola austerità non sia sufficiente per uscire dalla crisi.

    D. – A proposito della Grecia, perché in Portogallo si è riusciti nel risanamento, e nel Paese ellenico no? Quali sono le differenze tra queste due realtà?

    R. – I fondamentali dei due Paesi sono radicalmente diversi, nel senso che il rapporto deficit-Pil nel 2011 è stato quasi del 10 per cento in Grecia – del 9,1 per cento – mentre in Portogallo è stato solo del 4,4 per cento. In termini di debito, anche qui la situazione è molto peggiore per la Grecia che non per il Portogallo: Atene viaggia su un Pil quasi al 190 per cento, Lisbona l’anno scorso è arrivato al 109 per cento e le previsioni sono che dovrebbe riuscire a rimanere su quella cifra, per il 2012.

    D. – Insomma, questo vuol dire che in Portogallo si è stati un po’ più facilitati dalla situazione generale?

    R. – Sì. Anche se, ripeto, le proteste che ci sono state danno l’idea di un malcontento popolare che non è più soltanto in Grecia ma appunto in Portogallo; e anche in altri Paesi la crisi sta rivelando di essere veramente forte. Sotto questo profilo, se non si rilanciano gli investimenti, la situazione non può che andare a peggiorare, e chi ne risente di più sono le categorie più deboli: penso alle famiglie, alle famiglie con bambini, penso ai pensionati. Questo, da un punto di vista di giustizia sociale, lascia molto perplessi.

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    Prosegue la campagna di Amnesty per le donne di Nordafrica e Medio Oriente

    ◊   Ancora fino al 25 novembre è in atto la campagna lanciata da Amnesty International “Io sono la Voce”, contro la violazione dei diritti umani nei confronti delle donne in Medio Oriente e in Nordafrica. L’organizzazione ha dato il via ad una raccolta fondi, tramite sms solidale al numero 45509 del valore di due euro a favore delle donne di Paesi come Iran, Tunisia ed Egitto. Qui, da giugno, è presidente Mohamed Morsi, del partito islamico Fratelli musulmani, che nel suo programma prometteva spazio e protezione alle donne nella società. Sulla realtà egiziana, Francesca Sabatinelli ha intervistato Layla Neamatalla, imprenditrice egiziana, ideatrice di un progetto di sviluppo sostenibile per le donne dell’oasi di Siwa:

    R. – Quando un governo ha una forte connotazione religiosa, c’è meno libertà per le donne... Devo dire che al Cairo e nelle grandi città non è cambiato niente. Nelle piccole città, forse un po’, ma non più di tanto, per il momento. I problemi esistevano anche prima e non è che con il cambiamento le cose siano veramente già mutate. Forse accadrà, ma fino ad adesso niente.

    D. – In questi mesi sono arrivate testimonianze di donne che hanno subito violenze. E’ vero che la sicurezza per loro non è migliorata, anzi, in alcuni casi è peggiorata?

    R. – Sì, è vero, ma non solo per le donne. E’ la sicurezza che è diminuita. C’era stato un momento in cui la polizia aveva perso il controllo della situazione. Adesso va un po’ meglio, la polizia è più presente nelle strade.

    D. - Lei come vede questa sterzata verso un "governo più religioso"?

    R. – Ripeto, per ora non è cambiato niente. Il Paese è com’era prima, solo che non abbiamo ancora la Costituzione, sarà quella a decidere la direzione: se il Paese si orienterà verso una Carta di stampo più integralista o se piuttosto resterà - con una Costituzione più o meno bilanciata - secolare. Senza Costituzione non si sa ancora.

    D. - Lei ha qualche timore?

    R. – Quando ci sono cambiamenti, quando non si sa che cosa porta il futuro, c’è sempre un momento dove si aspetta e si osserva. La vita per le donne non è cambiata molto, non è che siano più coperte oggi, no! Lo erano anche al tempo del governo precedente, questo non è cambiato.

    D. – Lei è un’imprenditrice, una donna di carriera. Ma qual è il problema della donna, in Egitto?

    R. – Oggi credo che il grande problema sia l’istruzione. Ci si deve concentrare e dare maggiore attenzione all’istruzione, per farla arrivare anche nei piccoli paesi, nelle campagne. Così la situazione potrà cambiare, dobbiamo sempre pensare che è la donna che si occupa dei bimbi a casa, dei ragazzi, e se la donna non è istruita, questo ricadrà anche sui figli. Io lavoro con donne molto chiuse, che vivono in un’oasi nel deserto del Nord. Queste donne vanno a scuola però una volta sposate poi rimangono a casa, non lavorano. Nei piccoli paesi c’è questa tradizione che si tramanda di nonna in madre e in figlia, e loro non vogliono cambiare. Questo per me è strano, pensavo che anche le donne desiderassero cambiare e avere più libertà, ma non è così. Sono contente così...

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    A Firenze la prossima Giornata in ricordo delle vittime delle mafie: oggi la presentazione con don Ciotti

    ◊   Presentata, stamani a Firenze, la XVIII Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie, che si svolgerà il 16 marzo 2013 nel capoluogo toscano e il 21 in tutta la regione. Ogni anno, la ricorrenza si propone come un atto di alto impegno civile e di giustizia e rappresenta un momento di partecipazione e di formazione, soprattutto per i giovani. Scandali recenti nel mondo della politica hanno fatto prendere maggiore coscienza, finalmente, dell’infiltrazione della mafia anche al nord d’Italia. Un dato positivo? Adriana Masotti lo ha chiesto a don Luigi Ciotti, presidente dell’Associazione "Libera", intervenuto alla conferenza stampa.

    R. – Sì, in parte sì. Peccato che ci vogliano fatti così traumatici per prendere coscienza. Però, bisogna dare continuità all’impegno. Ci sono bei segni, bei segnali: il lavoro dei magistrati, delle forze di polizia… Ma soprattutto, siamo noi che dobbiamo assumerci maggiori responsabilità. Cioè, smettere di dire che le mafie sono il problema perché, certamente le mafie sono un problema, ma il problema è ciò che le rende forti, il problema è come viviamo il nostro ruolo di cittadini. Per questo è necessario non dimenticarci che la democrazia di un Paese non ammette la pigrizia intellettuale: dobbiamo portare il nostro contributo per il bene comune; noi dobbiamo chiedere alla politica e alle istituzioni che facciano la loro parte … Ma ci vuole una rivolta delle nostre coscienze!

    D. – Ci sono, appunto, dichiarazioni di nuovo impegno da parte di esponenti politici: Crocetta, ad esempio, in Sicilia, ma anche il cardinale Sepe, l’altro giorno a Napoli, ha detto che i camorristi non devono entrare in chiesa neanche da morti. Eppure, c’è poi un problema nella società dove lo Stato viene meno. Ad esempio, la crisi, la mancanza di lavoro, possono essere un ulteriore incentivo alla criminalità organizzata, l’unica – a volte – a offrire un’occupazione?

    R. – Sì, certamente. Io credo che dobbiamo cogliere le positività in tante parti d’Italia. Tutto questo però per dire che è necessario un enorme investimento educativo e culturale, che servono buone leggi che eliminino le troppe zone grigie, che serve una politica che faccia pulizia al suo interno, che serve un’economia che ritrovi un’etica e una responsabilità sociale, che non ci si preoccupi soltanto dei giovani, ma ce se ne occupi un po’ di più … E quindi, l’importanza del lavoro nelle scuole, nelle università, il sostegno alle famiglie, alle politiche sociali … L’altro giorno abbiamo presentato un dossier: “L’usura di mafia”. Sono le mafie che, avendo molta liquidità, oggi imprestano denaro alle piccole e medie imprese che sono in difficoltà. Sono i giochi criminali che hanno la liquidità e quindi penetrano nelle fessure del sistema. E’ un momento delicato, difficile. Ci vuole uno scatto in più: da una parte, riconoscenza per le cose belle, importanti, positive – tante! – che ci sono, dall’altra la consapevolezza che la strada è ancora lunga e in salita e c’è bisogno di una corresponsabilità.

    D. – Veniamo alla Giornata del prossimo marzo: “Semi di giustizia, fiori di corresponsabilità” è lo slogan scelto. Quale messaggio porterà?

    R. – Sarà ancora una volta un giorno di una memoria che vuole farsi impegno, un momento di raccoglimento autentico. Beh, i fiori: vogliamo ricordare tutte le vittime innocenti e quindi una vicinanza ai familiari delle vittime. E’ soprattutto la loro straordinaria forza morale che, alimentata da progetti, li fa sentire vivi. L’anno scorso, a Genova, eravamo 100 mila a camminare in questo grande abbraccio; quest’anno saremo ancora in tanti per dire che c’è una parte d’Italia che 365 giorni all’anno cerca di fare la propria parte. La giornata sarà a Firenze, però è tutta la Toscana che ne viene coinvolta con centinaia di incontri, con momenti di confronto, di approfondimento, di letture; scuole, università, parrocchie, associazioni … anche per dirci ancora una volta che il problema più grave non è solo chi fa il male, ma quanti guardano e lasciano fare. Voglio poi ricordare che la sera del 15 marzo, con il cardinale arcivescovo di Firenze, ci sarà anche un momento di riflessione per chiedere ancora una volta a Dio che ci dia una bella pedata: la pedata di Dio per andare avanti, per non scoraggiarsi e per non dimenticarci che un cristiano è chiamato proprio a saldare la responsabilità civile con la testimonianza cristiana.

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    Sindrome di Down. Il giurista Gambino: dalla Cassazione una sentenza inaccettabile

    ◊   Una sentenza inaccettabile che mortifica la dignità umana e fonda un “diritto contro la vita”. Così il prof. Alberto Gambino, direttore del Dipartimento di Scienze Umane dell'Università Europea di Roma, su una recente decisione della Corte di Cassazione in tema di risarcimento del danno. Il caso è quello di una coppia e della loro figlia affetta da Sindrome di Down, riconosciuti, dai giudici, tutti titolari del diritto al risarcimento del danno per non essere stati informati sulla sindrome genetica della piccola. Ieri, sul tema, si è tenuto il convegno “La dignità dell’Uomo tra diritto dell’Unione Europea e diritto interno”, presso l’Università Europea di Roma e promosso dall’Ufficio d’Informazione in Italia del Parlamento europeo. Al termine dell'incontro è stato consegnato un documento a tutela della vita e contro la discriminazione ai parlamentari europei Gianni Pittella (Pd), Mario Mauro (Pdl) e Carlo Casini (Udc), appellandosi alla Convenzione Onu sui diritti dei disabili, ratificata dall’Unione Europea nel 2009. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento dello stesso prof. Alberto Gambino:

    R. - La sentenza pone dei problemi fondamentali, perché mentre risarcire il danno a una coppia per la mancata informazione che il feto sia affetto dalla Sindrome di Down può configurare effettivamente una lesione, perché il diritto della coppia è di conoscere lo stato di salute del feto; molto più dirompente e problematico, invece, è assegnare un risarcimento del danno direttamente alla bambina nata con questa sindrome, perché in questo caso l’unica alternativa che c’era, era che non nascesse questa bambina: il danno non si è verificato al momento della nascita, ma era congenito sin dal momento del concepimento. Quindi se si ipotizza di poter risarcire questa bambina, significherebbe che sarebbe stato meglio non farla nascere...

    D. - Quindi questo pone anche dei problemi per quanto riguarda lo sguardo nei confronti di chi è affetto dalla Sindrome di Down: si parla addirittura di danno e in termini giuridici è un termine terribile…

    R. - Problemi enormi che non tengono conto, invece, della complessità e - aggiungo - della ricchezza di queste relazioni con persone affette da disabilità o da Sindrome di Down. Qualsiasi famiglia viva queste condizioni sa, invece, cosa significhi sul piano delle relazioni interpersonali, accanto a dei momenti certamente di sofferenza, il valore aggiunto che danno quotidianamente queste relazioni, sul piano anche della cultura, delle relazioni umane, della solidarietà. Quindi è davvero una sentenza che mina nel profondo il valore e la dignità delle persone con disabilità, che riterrei vada anche contro la Carta dei diritti delle persone disabili che è stata promulgata dall’Onu e che è stata ratificata dall’Unione Europea.

    D. - La china è quella di andare verso un "diritto a non nascere" e, dall’altra, quella di offendere la dignità delle persone, che altrimenti dovrebbero essere perfette, compiute - non si sa secondo quale criterio - per poter non essere giudicate lese nel diritto di esistere?

    R. - E’ proprio così! La china drammatica è che i medici a questo punto - nel momento in cui ci fosse una qualche possibile lesione del feto - non potranno far altro che chiedere alla coppia di interrompere la gravidanza, perché potrebbero essere loro stessi ritenuti responsabili laddove si verificasse la nascita: qualcuno - in particolare la persona affetta da sindrome - potebbre un giorno chiamare in giudizio il medico perché non ha adeguatamente informato i genitori. Questo è l’effetto davvero più dirompente di una sentenza che spingerà i medici o a dotarsi di assicurazioni, e quindi in modo un po’ cinico a lavarsi le mani del problema, o - dall’altro lato - cercare in tutti i modi di persuadere la coppia che la gravidanza ha molti problemi e che, forse, non può essere portata avanti.

    D. - Lo ribadiamo: una sentenza di questo tipo pone una differenza tra chi è normodotato e chi ha una disabilità…

    R. - Sì. Io ritengo che sia una sentenza discriminatoria, che sta aprendo con un disposto di magistrati a diverse valutazioni della vita e delle persone.

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    L'impegno dei Padri bianchi contro vecchie e nuove schiavitù

    ◊   Le vecchie e nuove schiavitù del continente africano sono rievocate dalle immagini della mostra fotografica “Spezziamo le catene!”, allestita in questi giorni alla Chiesa del Gesù di Roma dai Missionari d’Africa, Padri bianchi e suore bianche, nel 125.mo anniversario della Campagna Antischiavista del loro fondatore, il cardinale Charles Lavigerie. Nella Chiesa romana sono previste anche una serie di conferenze e una speciale celebrazione eucaristica. Il senso dell’iniziativa nelle parole di padre Paolo Costantini, missionario, direttore del bimestrale dei Padri bianchi “Africa missione-cultura” che organizza l’esposizione. L’intervista è di Fabio Colagrande:

    R. - Per noi, missionari d’Africa, ha un significato enorme. Prima di tutto perché possiamo celebrarlo qui, alla Chiesa del Gesù, che è una delle chiese dalle quali il cardinale Lavigerie lanciò questa campagna contro lo schiavismo. Era rimasto impressionato dalle lettere che riceveva dai missionari, dai primi missionari, che andavano nel continente. Decise allora di lanciare questa campagna contro questa vergogna della nostra civiltà: lo fece a Parigi, lo fece a Londra e lo fece anche qui a Roma, proprio nella Chiesa del Gesù. Per noi è un impegno, per noi stessi è un impegno: l’impegno del cardinale deve continuare ancora oggi. La schiavitù non è finita! Anche se ufficialmente e legalmente è stata abolita, continua purtroppo ancora oggi, in tante forme: non sono più le navi negriere - questo è chiaro! - però sappiamo benissimo che ci sono le "carrette" del Mediteranno, che sono forse anche peggio delle navi negriere per tanti! Questa schiavitù è legata al debito internazionale, al furto legale che le grosse società fanno in Africa, riducendo alla miseria tanta gente e obbligando anche dei bambini a lavorare, anche a prostituirsi…

    D. - In sintesi, qual è la presenza oggi di questi missionari in Africa?

    R. - Siamo presenti in tanti ambienti: nelle parrocchie evidentemente e nelle scuole, io personalmente sono stato responsabile delle scuole in Congo, nel Kivu, per tanti anni; negli ospedali e nei centri di assistenza sociale; nella formazione, soprattutto nella formazione di nuovi sacerdoti, di catechisti, di laici; nei mass media e io personalmente mi sento pienamente missionario d’Africa lavorando nei mass media e lo faccio appunto come vocazione missionaria; ma ancora nei campi profughi, nelle carceri, dove abbiamo dei padri che lavorano. Ovunque, laddove ci sia bisogno di difendere i diritti umani, la libertà e la dignità della persona umana, che stavano così a cuore al nostro fondatore. Per me essere missionari vuol dire portare un po’ di speranza agli altri. Ricordo il mio confratello svizzero, poeta, che definì il missionario come una espressione che è veramente molto difficile da tradurre in italiano, io ho provato a tradurla così: “Noi siamo i missionari degli spolveratori di stelle, che fanno risplendere le stelle, oggi, dove nessuno guarda più in alto, dove le stelle sono coperte da tutto lo smog, dall’inquinamento materiale e morale. Tocca a noi spolverare le stelle, affinché brillino di nuovo, per dar speranza all’umanità”.

    D. - Questo anniversario, nelle sue speranze, nelle vostre speranze, dovrebbe rilanciare lo spirito della campagna di 125 anni fa…

    R. - Lo spirito nel quale io e i miei collaboratori abbiamo preparato questa mostra è proprio quello della denuncia di questa nuove schiavitù che ci sono. Tanti lo fanno e noi aggiungiamo la nostra voce a quella tanti, affinché la nostra società prenda coscienza che siamo ancora oggi degli schiavisti. Considero il mio ruolo come direttore della rivista "Africa" come quello di dire: "Guardate, l’Africa è un Paese ricchissimo, è un Paese bellissimo, con un’umanità ricca di tante cose". In 15 anni di Congo, ho imparato moltissimo dalla gente: mi hanno insegnato l’amore per gli altri. Come missionario devo urlare, alto e forte, che sono figli di Dio, come me! Anche se hanno la pelle nera, il sangue ha lo stesso colore!

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    "Le feste scippate": un libro per riscoprire il senso cristiano delle festività

    ◊   “Le Feste scippate”. E’ il titolo del libro scritto da Mimmo Muolo vaticanista di “Avvenire”, pubblicato da Ancora. Un testo utile per riscoprire il senso cristiano delle festività e che vuole mettere in guardia dai rischi che questo “furto del sacro” può comportare soprattutto per le giovani generazioni. Alla presentazione del volume, c’era per noi Cecilia Seppia:

    La Domenica, giorno del Signore, fagocitata dalle dinamiche produttive e commerciali: il 25 dicembre, ormai convenzionalmente il “compleanno di Babbo Natale”; la Pasqua che diventa “Festa di Primavera”; e ancora Ognissanti, costretta a indossare le maschere di Halloween. E’ questo lo scippo delle feste cristiane, usurpate di simboli, valori e contenuti, purtroppo sotto gli occhi di fedeli tiepidi e poco consapevoli. Il commento di mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione:

    “L’amarezza deriva dal fatto di vedere che questo nostro contemporaneo - e noi con lui - ci dimentichiamo sempre di più delle origini, di ciò che ha costituito la nostra storia, di ciò che ci consente ancora di avere una identità e di poter guardare al futuro. Questo libro viene anche a ricordarci come dobbiamo reagire, e quindi ad assumere una consapevolezza e io aggiungo anche una forte responsabilità”.

    Di fronte a questa profonda crisi di valori - dice ancora mons. Fisichella - è importante, dunque, prendere una posizione che non sia dettata dalla nostalgia del passato, ma dal rischio sempre più evidente di una perdita del futuro. E’ quindi nostra grande responsabilità recuperare questa sacralità - come emerso anche dal recente Sinodo per la Nuova Evangelizzazione - e trasmettere alle nuove generazioni un patrimonio che noi tutti abbiamo ricevuto. Ancora mons. Fisichella:

    “Se noi non siamo più capaci di trasmettere - in primo luogo, all’interno della famiglia - quelle che sono le peculiarità della nostra fede, l’originalità della nostra fede che ha saputo trasformare la cultura e con essa ha trasformato la società, allora abbiamo bisogno anche di ravvivare e avere una maggior consapevolezza del nostro ruolo. Penso che il Sinodo da questa prospettiva non solo ha riflettuto, ma ha dato anche un incoraggiamento. Una delle proposizioni riguarda proprio anche questo: l’attenzione profonda alla domenica e alle feste, per non cadere in una grande forma di ipocrisia. Io penso che davanti a tanti tentativi di svuotare la festa ci sia l’ipocrisia, ci sia cioè la paura della verità e che quindi tante volte non ci sia il coraggio di affrontare realmente le condizioni della nostra società. Per cui vedo uno sforzo di nuova evangelizzazione e anche come questo impegno sia profondamente culturale, ma anche tipicamente ecclesiale, per restituire ossigeno all’uomo di oggi”.

    Tra i venti della secolarizzazione spesso accade che il cristiano perda la sua identità, le sue radici, la sua cultura plasmata appunto dalla fede, e il sacro scivoli lentamente nell’oblio. Ma chi c’è dietro questo furto? Il pensiero dell’autore, Mimmo Muolo:

    “Ci sono gli ‘ismi’: quindi il consumismo, l’edonismo, il relativismo soprattutto. Allora dobbiamo fare tutti una riflessione: siamo sicuri che la società che si ispira a questi ‘ismi’ sia migliore della società che si ispira invece all’antropologia cristiana? Io vorrei che le scelte fossero fatte sulla base di una consapevolezza: si può anche scegliere di dire ‘no, io voglio che mi miei figli facciano la festa di Halloween e non facciano la Festa dei Santi’, ma ci si deve anche rendere conto di che costa sta dietro. Io sono convinto che se veramente ci rendessimo conto di ciò che sta dietro, nessun genitore sceglierebbe di far fare la festa di Halloween ai propri bambini”.

    Un’indagine qualitativa, attenta, che esplora questa sorta di mutazione genetica delle feste cristiane, passando per la tv, la pubblicità, i cartoni animati, le canzoni, i giornali, persino i libri di scuola, e mette in risalto la pericolosa vastità di questo fenomeno, che investe l’Italia e tutta l’Europa. Ancora Mimmo Muolo:

    “E’ un libro che racconta quello che ho trovato e cerca di aprire gli occhi anche a chi - per distrazione, perché non ci ha mai pensato o anche soltanto perché non ci crede - non si rende conto del pericolo che stiamo correndo: perché stiamo correndo un pericolo! Il libro si vuole indirizzare proprio a coloro che il Papa ha definito i ‘cristiani tiepidi’ e che magari sono brave persone nella loro individualità, ma che non si rendono conto delle implicazioni e dei pericoli che stanno dietro certi comportamenti ritenuti ormai accettabili”.

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    A San Paolo fuori le Mura, chiude il Festival di musica e arte sacra

    ◊   “La musica è uno strumento di unione e pace, è il mio credo”. Così, il soprano israeliano Chein Reiss ci racconta la sua professione e le sue emozioni alla vigilia del concerto di questa sera, nella Basilica romana di San Paolo fuori le mura. Insieme ai Wiener Philarmoniker in formazione da camera, la Reiss chiuderà l’XI edizione del Festival di musica e arte sacra, nell’appuntamento più atteso della rassegna, con un programma interamente mozartiano. Ascoltiamo l’artista al microfono di Gabriella Ceraso:

    R. – Sono molto contenta. E’ molto importante per me cantare in questo Festival.

    D. – Sono arie sacre, quelle di Mozart, che lei interpreta. In tutto il Festival si sceglie la musica sacra, per veicolare, per trasmettere una riflessione di fede. Che effetto le fa?

    R. – La musica sacra è la mia musica preferita, perché mi sento vicina a Dio, quando canto questa musica. Io sono israeliana, ebrea, ma questa musica è per tutti, perché c’è un unico Dio: io credo che sia così. La musica è una lingua internazionale, che unisce e aiuta a comunicare con altra gente.

    D. – Come cantante ha attraversato i testi di tanti autori di epoche diverse: le hanno insegnato qualcosa sui sentimenti dell’uomo?

    R. – Ogni giorno la musica m’insegna qualcosa di nuovo. Quando canto le arie sacre di Mozart - come per esempio “Laudate Dominum” o “Exultate Jubilate” – non sono solo una preghiera, sono anche un canto di gloria a Dio. E’ molto importante, perché è un messaggio di pace che dà speranza.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Usa: confessione, difesa del matrimonio e libertà religiosa al centro dell'assemblea dei vescovi

    ◊   Il Sacramento della confessione, un documento sull’omiletica, la difesa del matrimonio e della libertà religiosa e l’economia. Sono questi i temi centrali che caratterizzano i lavori dell’Assemblea plenaria dei vescovi degli Stati Uniti, in corso da ieri fino al 15 novembre a Baltimora. Al centro degli interventi di apertura svolti dal cardinale Timothy M. Dolan, nella sua qualità di presidente della Conferenza episcopale e dal nunzio apostolico degli Stati Uniti mons. Carlo Maria Viganò, l’importanza della conversione e della penitenza. Due temi che di fronte alla complessità delle sfide che attendono la Chiesa statunitense – ha spiegato il cardinale Dolan – potrebbero apparire marginali. Eppure, ha proseguito il porporato, i vescovi non possono confrontarsi sui temi della cultura, del dialogo e delle sfide future prima di aver riconosciuto i propri peccati e sperimentato la grazia del pentimento. A questo proposito il presidente del Comitato per l’evangelizzazione e la catechesi, mons. David Ricken, ha presentato un documento in cui si invitano i cattolici a rafforzare questa pratica in vista della prossima Quaresima. L’assemblea discuterà anche alcuni temi di rilevanza etica e morale emersi durante la recente campagna per le presidenziali e che hanno animato in questi mesi il dibattito tra l’episcopato e l’Amministrazione Obama: segnatamente la questione della libertà religiosa e del matrimonio A preoccupare i vescovi è soprattutto l’esito dei recenti referendum sul matrimonio nel Maine, Maryland e a Washington. Altri punti all’esame dei vescovi la crisi economica al quale sarà dedicato un documento pastorale, l’approvazione di una nuova guida sull’omiletica ela prossima Gmg a Rio de Janeiro nel 2013 cui sono attesi circa 12mila giovani statunitensi. Prima dell’apertura dei lavori tre rappresentanti dei vescovi hanno incontrato le dirigenti della Leadership Conference of Women Religious, che rappresenta circa l’80% delle oltre 57mila religiose presenti negli Stati Uniti. Un incontro definito cordiale e che proseguirà nei prossimi giorni. (A cura di Stefano Leszczynski)

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    Usa: rapporto su cattolici e nuovi media

    ◊   Il 62% degli adulti cattolici degli Stati Uniti, circa 36,2 milioni di persone, ha un profilo su Facebook; il 58% dei cattolici di età inferiore ai 30 anni condivide sui social media contenuti come foto, articoli e commenti, almeno una volta alla settimana; quasi un terzo di tutti gli intervistati ha detto che vorrebbe dei blog curati dai loro pastori e vescovi: questi alcuni risultati di uno studio appena pubblicato dal Centro per la Ricerca Applicata all'Apostolato (Center for Applied Research in the Apostolate, Cara) presso la Georgetown University. Lo studio è stato pubblicato l'11 novembre scorso durante un incontro sui social media promosso dal Dipartimento delle Comunicazioni della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb) in coordinamento con l'Assemblea Generale annuale d'autunno dei vescovi degli Stati Uniti, tenutasi a Baltimora. Per la compilazione del rapporto, intitolato "L'uso cattolico dei New Media negli Stati Uniti, 2012", sono state intervistate 1.047 persone dichiaratesi cattoliche. Il rapporto, inviato all’agenzia Fides dalla Usccb, “suggerisce molte opportunità alla Chiesa di impegnarsi con chi vive nel continente digitale, come Benedetto XVI descrive questa nuova cultura della comunicazione” ha detto il vescovo di Salt Lake City, mons. John Wester, Presidente della Commissione per le comunicazioni della Usccb. Il sito cattolico più spesso visitato regolarmente dagli adulti cattolici è il sito web della propria parrocchia: circa uno su 10 infatti dice di visitare il sito una volta al mese o più spesso. (L.F)

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    Siria. Emergenza sanitaria: casi di peste a Homs

    ◊   A Homs la situazione sanitaria è ad alto rischio: si sono registrati casi di infezioni e di peste bubbonica. E’ l’allarme lanciato da un gruppo di 20 civili cristiani che vivono nei pressi del convento dei Gesuiti, nel centro storico della città. I diversi quartieri del centro, come Khalydye, Hamidiye e Bustan Diwan, si sono svuotati dopo l’evacuazione dei civili, avvenuta nei mesi scorsi, a causa degli scontri fra miliziani ribelli e forze dell’esercito regolare. Secondo fonti dell'agenzia Fides, attualmente sarebbero rimaste oltre 80 persone sparse nei vari edifici, che non hanno voluto lasciare le proprie case, nonostante i forti rischi. Venti cristiani vivono nei pressi del convento dei Gesuiti di Al Moukhalless, dove resta un solo Gesuita. Il gruppo sperimenta “solidarietà, spirito di fraternità e condivisione del pane”. Come riferito a Fides, alcuni del gruppo (come un farmacista) segnalano la grave situazione sanitaria: i cadaveri rimasti sotto le rovine, la polvere e la sporcizia, gli animali randagi, hanno prodotto infezioni visibili su animali e sugli uomini, con l’alto rischio che in città possa scoppiare una epidemia di peste. Nei giorni scorsi un team della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, dopo vari negoziati con le parti in lotta, è riuscito a entrare nella città vecchia di Homs, portando aiuti alimentari e medicinali. Le due organizzazioni umanitarie hanno espresso grande preoccupazione per la condizione dei civili. Parlando a Fides, Rabab Al-Rifai, del team della Croce Rossa in Siria, ha spiegato: “La nostra visita a Homs era la prima autorizzata ad una delegazione umanitaria dopo mesi. E’ durata poche ore ma abbiamo visto feriti, anziani e malati in stato di estrema necessità. Abbiamo consegnato aiuti e kit medici per circa un centinaio di civili nel quartiere di Hamidiye, ma non è stato possibile fare visite mediche più accurate e approfondite. E’ evidente, però, che col passare del tempo l’emergenza umanitaria si aggrava”. Sui 33 quartieri amministrativi in cui è divisa la città di Homs, sono attualmente sotto controllo dei ribelli dell’Esercito Siriano Libero e sono zone di combattimenti i quartieri di Khalydye, Bustan Diwan, Hamidiye, Salibi, Warcheh, Bab Houd, Bab Dreib, Jouret Shiyah. Nelle altre parti della città la vita si va lentamente riprendendo. (R.P.)

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    Vescovi asiatici in Terrasanta per “tornare alle sorgenti” nell’Anno della Fede

    ◊   Tornare alle sorgenti e ripensare all’evangelizzazione, con un pellegrinaggio in Terrasanta nell’Anno della Fede: con questo spirito 120 vescovi asiatici hanno vissuto, dal 6 al 12 novembre, un pellegrinaggio denominato “Asian Bishops Convivence”. Organizzato dal Cammino Neocatecumenale, ha riunito nella “Domus Galilaeae”, sul Monte delle Beatitudini, circa 70 presuli dall’India e altri 50 da Paesi come Myanmar, Filippine, Malaysia, Sri Lanka, Pakistan, Cina e altre nazioni asiatiche. All'incontro - guidato da Kiko Arguello, iniziatore del Cammino Neocatecumenale - vi hanno partecipato sacerdoti, religiosi e laici, e catechisti itineranti del Cammino che hanno accompagnato i Pastori in un viaggio che “è stato una profonda esperienza di comunità, fraternità, condivisione della Parola di Dio e del vissuto di ognuno di noi”, racconta all’agenzia Fides mons. John Barwa, arcivescovo indiano di Cuttack-Bhubaneswar, appena rientrato in India. Il pellegrinaggio “rafforza i legami fra i Pastori delle Chiesa asiatiche”, nota l’arcivescovo, un fattore molto importante nell’Anno della Fede e per porre l’accento sull’urgenza della “nuova evangelizzazione” in Asia. L’evento è stato un’utile riflessione alla vigilia dell’Assemblea della Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia, che si terrà in Vietnam nel dicembre prossimo, proprio sul tema delle sfide all’evangelizzazione in Asia. In Terrasanta i vescovi si sono interrogati su “come trasmettere ai popoli e alle culture asiatiche il dono della Verità e portare la predicazione gioiosa della Salvezza e della Risurrezione di Gesù Cristo”, chiedendo allo Spirito Santo “luce per trovare nuovi modi di annunciare il Vangelo nel nostro tempo”. “Il senso ultimo del pellegrinaggio e quello che sarà possibile riportare nelle nostre diocesi di partenza – conclude l’arcivescovo a Fides – è una modalità e una esperienza concreta di proclamare e vivere la Parola di Dio”. (R.P.)

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    Iraq: prima pietra a Baghdad della nuova chiesa copto-ortodossa

    ◊   A pochi giorni dall’intronizzazione di Amba Tawadros II come nuovo patriarca copto ortodosso prevista per il 18 novembre, una buona notizia per la comunità copta arriva da Baghdad, dove, l’11 novembre è stata posta la prima pietra della nuova cattedrale copto ortodossa. La chiesa - secondo il sito Baghdadhope che riporta la notizia - sarà dedicata alla Vergine Maria ed a Paolo di Tebe eremita e che visse nel deserto egiziano tra il III ed il IV secolo. Alla cerimonia - riferisce l'agenzia Sir - ha presenziato il governatore di Baghdad, Salah Abdul Razaq, che ha ricordato la volontà dello stato iracheno di aiutare i cristiani a consolidare le proprie radici in quanto cittadini ed a rimanere in patria. Per Sherif Shahin, ambasciatore egiziano in Iraq la posa della prima pietra della nuova chiesa è testimonianza delle buone relazioni tra Egitto ed Iraq. Secondo quanto rivelato da un diacono copto ortodosso la prima pietra della chiesa, in realtà un parallelepipedo di marmo, contiene una croce di legno, una copia del Vecchio e del Nuovo Testamento, un giornale del giorno, banconote irachene ed egiziane, una copia dell‘accordo sulla costruzione della chiesa siglato con l‘ufficio governativo per la gestione delle proprietà delle chiese cristiane, una del contratto d‘appalto e la lista delle famiglie appartenenti alla chiesa copta ortodossa in Iraq. (R.P.)

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    Il card. Bagnasco: "vivere la liturgia" come antidoto per i "cristiani deboli"

    ◊   “Se l’evangelizzazione è flebile, spesso questo è il risultato di cristiani deboli, che non vivono profondamente i misteri che celebrano”. Ne è convinto il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, che oggi è intervenuto al seminario di studio per i vescovi italiani, in corso a Roma (a porte chiuse, fino a domani) sul tema: “Credere in Lui ed attingere alal Sua sorgente. Anno della fede e nuova evangelizzazione”. Il rapporto tra evangelizzazione e liturgia, ha affermato il cardinale - riferisce l'agenzia Sir - soffermandosi sul recente Sinodo e i 50 anni del Concilio, è “decisivo in ordine all’efficacia della missione della Chiesa”. “Quando la partecipazione alla liturgia viene considerata come una delle tante cose da fare, senza lasciarsi trasformare e coinvolgere in profondità dal mistero celebrato”, ha ammonito, “anche lo slancio e la passione per il Vangelo e per il suo annuncio” viene meno. “La forza evangelizzante della liturgia - ha spiegato, infatti, il presidente della Cei - è tanto più arricchita di vigore quanto più alta è la qualità dell’esperienza che si vive”. “Udire, vedere, toccare, contemplare”: sono questi i verbi che “descrivono anche ciò che l’uomo sperimenta nella celebrazione liturgica”, e che dimostrano come “la dinamica della fede non può essere ridotta all’accoglienza di alcuni contenuti veritativi, ma comporta l’aprire la porta del cuore a Cristo”. “Vivere la liturgia, in particolar modo la celebrazione dell’Eucaristia, come reale incontro con Cristo, riscalda il cuore - ha assicurato il cardinale Bagnasco - e aiuta a capire che fede autentica è quella che è pervasa da amore per il Signore”, un amore che “coinvolge il cuore come autentica passione per Gesù Cristo” e che sappia essere “intelligente”, che sappia cioè “entrare progressivamente nella logica di Dio, con una ragione che non rinunci alla fatica della ricerca e a rendere ragione della propria speranza”. Un amore, infine, che coinvolge l’uomo “in tutte le sue energie, del corpo e dello spirito”. “Non è pensabile un amore per Dio solo intimistico o emotivo”, ha affermato il cardinale, secondo il quale la celebrazione liturgica “riscatta e purifica l’amore dell’uomo verso Dio dal rischio di un soggettivismo illusorio, che pretende di amare Dio con modalità che l’uomo pensa siano le migliori o le più rispondenti ai suoi propri bisogni”. Nel rito liturgico, infatti, “l’uomo agisce non come primo attore, ma come destinatario dell’azione di Dio che è il grande protagonista; nel rito l’uomo è attivamente presente, ma a sua volta viene trasformato da ciò che celebra”. “La liturgia, se ben celebrata e vissuta, opera la conversione del cuore e della vita”, ha concluso il presidente della Cei: diventa “porta della fede”, nel senso che “conduce all’incontro con Cristo e lo realizza”. (R.P.)

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    Premio Sant'Agostino per il dialogo interreligioso: al cardinale Scola ed al principe di Giordania

    ◊   Figurano anche il cardinale Angelo Scola nella sua veste di presidente della Fondazione Oasis e il Principe di Giordania Ghazi Bin Muhammad Bin Talal, promotore del progetto A Common Word, tra i quattro vincitori del Premio Sant’Agostino istituito dalla Fondazione Osservatorio del Mediterraneo, in collaborazione con l’Accademia di Studi Interreligiosi di Milano (Interreligious Studies Academy). La premiazione - informa una nota diffusa oggi dalla Coreis e ripresa dall'agenzia Sir - si svolgerà il 25 novembre nella prestigiosa biblioteca Ambrosiana di Milano. Il premio - spiegano i pormotori dell’iniziativa - è intitolato a Sant’Agostino perché il Santo “fu pioniere dei legami tra le due rive del Mediterraneo” e il premio oggi intende “valorizzare quelle iniziative euromediterranee che si siano particolarmente contraddistinte per un‘attività e un impegno di rilievo nazionale o internazionale nell‘ambito del dialogo interreligioso con particolare riferimento alle tre religioni del Monoteismo Abramico”. Per questa prima edizione 2012 i premiati saranno quattro, due per ogni sponda del Mediterraneo. Per la Riva Sud riceverà il premio anche il consigliere del Re del Marocco André Azoulay in qualità di Presidente della Fondazione Euromediterranea Anna Lindh per il dialogo tra le culture. Per la Riva Nord sarà premiato anche il direttore della rivista Le Monde des Religions di Parigi, Frédéric Lenoir. (R.P.)

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    Kenya: l’uccisione di 42 poliziotti mette in luce la diffusione delle armi

    ◊   È di 42 poliziotti uccisi l’ultimo bilancio della strage avvenuta il 10 novembre nella località di Baragoi, nel nord del Kenya, dove da diverso tempo le razzie di animali tra gruppi di pastori Samburu e Turkana provocano decine di morti. “La polizia era intervenuta in forze, con più di 100 uomini, per cercare di mettere ordine nell’area e recuperare il bestiame rubato, al fine di impedire che le razzie di bestiame provocassero un altro bagno di sangue come quello accaduto due mesi fa nel Distretto del fiume Tana, dove oltre 100 persone furono uccise ” dice all’agenzia Fides una fonte della Chiesa locale che per motivi di sicurezza chiede l’anonimato. “I poliziotti si sono però trovati di fronte a banditi meglio armati di loro che gli hanno teso un agguato massacrandoli”. “Questo episodio è allarmante perché il prossimo anno in Kenya si terranno le elezioni parlamentari. Si teme che si riproducano le violenze post-elettorali del 2007-2008, che provocarono migliaia di morti” afferma la fonte di Fides. Nel Paese si parla da tempo di reti terroristiche che stanno importando grandi quantitativi di armi dalla Somalia e da altri Paesi vicini, al fine di provocare violenze in occasione delle elezioni con conseguenze peggiori di quelle precedenti. Negli scontri del 2007-2008 sono state usate frecce e lance, adesso si teme che verranno usati fucili d’assalto e bombe”. Questo allarme però non sembra essere stato accolto con sufficiente attenzione dalle autorità, nemmeno dopo la strage di decine di poliziotti, perché, come spiega la nostra fonte “siamo già in campagna elettorale, i politici e la stampa non hanno dato grande risalto al massacro dei poliziotti perché mette in luce la debolezza dello Stato”. (R.P.)

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    Darfur: oppositore ucciso. Onu preoccupata per escalation della violenza

    ◊   Torna alta la tensione in Darfur dove da diversi mesi perpetrano una serie di scontri armati. Proprio ieri la missione congiunta Onu-Unione Africana in Darfur (Minuad) ha espresso la sua “grave preoccupazione per l’escalation di violenza nel Nord Darfur”. L’agenzia stampa ufficiale ‘Suna’ ha riferito che è rimasto ucciso in un’imboscata, un dirigente locale del Partito della Giustizia (opposizione), responsabile del distretto di Kebkabiya, mentre con alcuni colleghi viaggiava tra al Fasher, capitale del Darfur settentrionale, e la città di Kebbaiya, a 150 chilometri ad ovest. Il riaccendersi delle violenze nella regione occidentale del Sudan, teatro di una guerra civile dal 2003, è la conseguenza del braccio di ferro tra tre gruppi ribelli locali – il Jem e due fazioni del Movimento di liberazione del Sudan – e il governo centrale di Khartoum. Le tre formazioni infatti, respingono il documento di pace sul Darfour firmato a Doha nel luglio 2011 tra il governo sudanese e il Movimento per la liberazione e la giustizia (Ljm). Intanto per il mese prossimo, nella capitale del Qatar, è in agenda una conferenza dei donatori, “un appuntamento importante per il processo di sviluppo e di ricostruzione della regione” ha sottolineato Hashim Hamad, segretario generale del fondo di ricostruzione e sviluppo dell’Autorità regionale per il Darfur. Il portavoce dell’Onu, Martin Nesriky aggiunge: “la missione esorta tutte le parti coinvolte a cessare immediatamente le ostilità, a rispettare i diritti umani internazionali e il diritto internazionale per impegnarsi pienamente nella risoluzione pacifica del conflitto”. (L.F.)

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    Mozambico: oltre 130mila famiglie al centro di una grave carestia a Tete

    ◊   Oltre 130 mila famiglie stanno vivendo una grave carestia nella provincia nordoccidentale mozambicana di Tete. L’emittente locale Radio Mozambique ha riferito che la situazione è particolarmente grave nel distretto di Cahora Bassa, dove la gente è costretta a nutrirsi di frutti di bosco e radici. Tete - riferisce l'agenzia Fides - è ricca di mais, ma l’ultima campagna agricola non ha prodotto nulla nel distretto. Le autorità della provincia hanno esortato i residenti a vendere il loro bestiame così da poter acquistare cibo per sopravvivere. La carestia è stata causata dalla forte siccità che ha colpito il paese. Altri distretti che stanno subendo questo fenomeno dall’inizio dell’anno sono Magoe, Mutarara, Zumbo e Moatize. L’insicurezza alimentare è leggermente migliorata quest'anno, ma sono state segnalate diverse aree ancora a rischio nelle province meridionali di Gaza, Maputo e Ingambane, nella provincia centrale di Sofala e in quella settentrionale di Nampula. Circa due mesi fa il governo ha lanciato una campagna agricola per una maggiore produzione di cibo per sfamare quelli che ne hanno bisogno. Inoltre, per raggiungere questo obiettivo, saranno distribuite agli agricoltori migliaia di tonnellate di sementi. Oltre 1.000 esperti di agricoltura sono impegnati ad aiutare gli agricoltori a produrre maggiori quantità di generi alimentari nell’ex colonia portoghese. (R.P.)

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    Brasile. Bambine comprate per 10 euro: la denuncia di una missionaria

    ◊   Sono già 12 le denunce presentate nell’ultimo mese alle autorità di Sao Gabriel da Cachoeira, cittadina dell’Amazzonia brasiliana al confine con la Colombia, da altrettante ragazzine che hanno messo a verbale le loro dichiarazioni circa le violenze subite, di cui sono ritenuti responsabili nove uomini adulti, come rivela il quotidiano “La Folha de Sao Paulo”. Le bambine sono di etnia tariana, uanana, tucano e barè, vivono all’estrema periferia di Sao Gabriel da Cachoeira, dove il 90% della popolazione è indigena. A guidare questa battaglia - riferisce l'agenzia Fides - è una missionaria salesiana italiana, suor Giustina Zanato, che lavora al fianco dei più poveri e indifesi dell’Amazzonia dal 1984. La missionaria rischia la sua vita tutti i giorni per difendere queste bambine dalle violenze degli adulti. Infatti una bambina indigena di 10-12 anni in Amazzonia vale pochi euro, a volte solo un pacchetto di caramelle o una maglietta. A comprare l’innocenza delle bambine sono quasi sempre uomini adulti, bianchi, ricchi e potenti, sicuri di rimanere impuniti. La polizia, infatti, abitualmente archivia le denunce delle madri delle bambine indigene stuprate. Spesso, dopo le denunce, le piccole vittime sono state minacciate e alcune di loro sono addirittura dovute fuggire lontano. “Abbiamo presentato numerose denunce, ma non abbiamo visto risultati. È molto triste pensare che chi dovrebbe far rispettare la legge non lo fa” ha detto la missionaria, che dal 2008 coordina il programma Menina Feliz, che assiste le bambine violentate e abbandonate, ed è anche presidente del Consiglio Comunale per la Difesa dei Bambini e degli Adolescenti. (R.P.)

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    Giornata mondiale contro la polmonite: ogni 25 secondi muore un bambino, 3.400 al giorno

    ◊   La polmonite, da sola, è la principale malattia killer dei bambini sotto i cinque anni a livello mondiale. Mietendo il 18% delle circa 6,9 milioni di vittime infantili che ogni anno muoiono per malattie curabili e cause prevenibili, pari a circa 1,3 milioni di bambini. Ogni 25 secondi un bambino muore di polmonite, circa 3.400 decessi al giorno. Ieri, nel ricordare la quarta Giornata Mondiale contro la polmonite, l'Unicef ha chiesto un maggiore sforzo per debellare questa malattia, che è facilmente prevenibile con cure poco costose. "Dal mese di giugno di quest'anno, molti governi hanno dato la loro adesione a una ‘Promessa Rinnovata’(“A Promise Renewed”), un movimento globale per la sopravvivenza dei bambini. Affrontare la polmonite è l'occasione perfetta per fare bene su questi impegni. Non possiamo avere riduzioni nella mortalità infantile senza un diretto e concentrato attacco al più grande nemico che i bambini devono affrontare in tutto il mondo", ha detto il Responsabile Unicef per la Salute Mickey Chopra. Sarà possibile combattere la polmonite se verranno forniti vaccini, servizi diagnostici, antibiotici, accesso a cure mediche e a servizi igienico-sanitari, oltre che all'istruzione. Un recente rapporto della Un Commission on Life-Saving Commodities for Women and Children, guidata dall'Unicef e dall'Unfpa, stima che circa 1.560.000 vite possono essere salvate in 5 anni, aumentando la disponibilità di amoxicillina, un antibiotico che costa 0,30 dollari a dose. Lavarsi le mani con acqua e sapone riduce l'incidenza della polmonite del 23%, ma è una pratica poco diffusa in molti Paesi in via di sviluppo. A livello mondiale, la copertura vaccinale per la polmonite è di circa l’85%, ma i più poveri non sono protetti. Condizioni di vita difficili in ambienti sovraffollati ed insalubri e la mancanza di conoscenza su come proteggersi, aumentano la loro vulnerabilità. "I governi devono affrontare in modo serio la minaccia della polmonite e fornire vaccini adeguati, servizi di diagnostica, trattamenti e assistenza sanitaria, soprattutto per i più poveri, o questo flagello continuerà a privare il mondo dei suoi figli al ritmo di quasi 3.400 al giorno. Questo è inaccettabile ", ha detto il responsabile Unicef Chopra. Meno di un terzo dei bambini nei Paesi in via di sviluppo affetti da polmonite riceve antibiotici: in Asia meridionale in media sono il 18%. Nei Paesi in via di sviluppo i bambini colpiti dalla malattia nelle aree urbane hanno più probabilità di ricevere antibiotici rispetto a quelli nelle zone rurali. “Ogni giorno nel mondo muoiono ancora 19.000 bambini sotto i 5 anni per cause facilmente prevenibili, muoiono per malattie che si possono curare, muoiono perché malnutriti. Per l’Unicef questo numero non è accettabile e vuole arrivare a zero. Per questo, vogliamo rilanciare la campagna di raccolta fondi 'Vogliamo Zero' per combattere la mortalità infantile” ha dichiarato il Presidente dell’Unicef Italia Giacomo Guerrera. (R.P.)

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    Inghilterra: all'assemblea dei vescovi, confronto sul traffico di esseri umani

    ◊   Il traffico di esseri umani all’ordine del giorno dell’incontro dei vescovi cattolici di Inghilterra e Galles che si ritrovano a Leeds da ieri fino a giovedì. Ad essere ascoltato - riporta l'agenzia Sir - sarà il detective ispettore Kevin Hyland della Metropolitan police, la polizia di Londra, che guida il commando che si occupa di “sfruttamento umano e crimine organizzato”. I vescovi sentiranno anche la testimonianza di una vittima del traffico e sfruttamento di persone Sophie Hayes, ragazza inglese, costretta alla prostituzione dal suo ragazzo quando aveva appena diciotto anni. Il partner, che era albanese, la convinse a raggiungere l’Italia promettendole una vacanza e la costrinse poi a prostituirsi. Da quando è uscita dal suo incubo Sophie collabora con la charity “Stop the traffik”, vicina alla Chiesa cattolica e si batte contro il traffico di persone dando vita alla “Sophie Hayes Foundation”. I vescovi vaglieranno la possibilità di un maggiore impegno per fermare il traffico di esseri umani. “Uomini, donne e bambini vengono comprati e venduti ogni giorno per sfruttamento sessuale - spiega un portavoce della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles - si tratta dell’impresa criminale di maggiore profitto dopo la vendita illegale di armi. Ci sono 1,1 miliardi di cattolici in tutto il mondo e la Chiesa può usare il suo network per combattere questo commercio”. All’ordine del giorno anche il bilancio 2013. (R.P.)

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    Filippine: per i missionari, sull'omicidio di padre Tentorio "affiorano verità negate"

    ◊   “Le nuove rivelazioni vanno valutate, ma è indubbio che raccontino delle verità finora negate”: lo dice padre Giovanni Re, superiore regionale del Pontificio istituto missioni estere (Pime) contattato dall'agenzia Misna a Manila alla luce delle recenti confessioni di un testimone che ha denunciato il coinvolgimento di gruppi paramilitari nell’omicidio di padre Fausto Tentorio. La confessione giunge a un anno dalla morte del missionario, avvenuta il 17 ottobre 2011 nella casa parrocchiale di Arakan, provincia di Nord Cotabato, nell’isola meridionale di Mindanao. Secondo il testimone, un membro della Bagani Special Force – truppa paramilitare utilizzata dall’esercito per combattere i guerriglieri maoisti del New People’s Army (Npa) – i paramilitari avrebbero ucciso il sacerdote “su richiesta e con la benedizione dell’esercito” poiché era “un sostenitore del Npa”. In realtà “si tratta di testimoni già ascoltati in passato ma non tenuti nella giusta considerazione” dice il religioso all'agenzia Misna, sottolineando che lo scenario nel quale si è verificato l’omicidio rimane sempre lo stesso: “Nelle Filippine – spiega il missionario – chi come padre Tentorio cerca di difendere i diritti delle minoranze, spesso va a toccare gli interessi di chi specula sui territori ancestrali coltivando piantagioni di banane e olio di palma”. Finora, chi si è trovato a contrastare questo tipo di interessi – con azioni al fianco delle comunità locali – ha ottenuto poca o nessuna giustizia, venendo accusato a sua volta di ‘simpatizzare’ con la ribellione maiosta. “Stavolta però intendiamo andare a fondo della vicenda, tramite i nostri legali in tribunale” avverte il superiore regionale. L’omicidio di padre Tentorio, padre ‘Pops’ (piccolo padre) come lo chiamavano i fedeli, ha commosso migliaia di persone, in particolare tra le comunità autoctone, i ‘lumad’, a fianco delle quali aveva sempre lavorato. Il crimine ha anche attirato i riflettori su un’area in cui s’intrecciano interessi economici e minerari, rivalità politiche, aspirazioni indipendentiste, antiche ribellioni e coabitazione interreligiosa. Finora, le indagini della magistratura filippina avevano portato all’arresto di una persona, accusata di avergli sparato uccidendolo, ma senza indicare alcuna pista riguardo ai mandanti dell’omicidio. (R.P.)

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    Faisalabad: famiglia cristiana in prigione con false accuse di sequestro di persona

    ◊   Sharif Masih, un povero operaio cristiano di Faisalabad, chiede giustizia per l'arresto arbitrario di alcuni componenti della sua famiglia, implicati secondo gli inquirenti in presunti casi di sequestro di persona, ma di fatto innocenti. Ad assistere l'uomo gli attivisti della Commissione nazionale di Giustizia e pace della Chiesa cattolica pakistana (Ncjp), che forniscono tutela legale e sono impegnati a far emergere la verità nelle aule di tribunale. L'obiettivo è restituire piena libertà a tre giovani cristiani, da mesi rinchiusi in un carcere per un reato che non hanno commesso. Più critica, al contrario, la posizione di un altro giovane cristiano - anch'egli componente della famiglia - protagonista a fine dicembre 2011 di una "fuga d'amore" con una ragazza musulmana, il vero responsabile del presunto caso di rapimento. Fra le ragioni della controversia -spiega Sharif Masih - vi sono un gruppo di musulmani che "vogliono impossessarsi della mia casa". "Sono davvero grato agli attivisti di Ncjp - conclude - per la loro assistenza legale". Mentre, una punizione per il giovane cristiano presunto sequestratore, nel caso in cui le responsabilità siano appurate, viene richiesta anche da padre Bonnie Mendes, sacerdote a Faisalabad. (L.F.)

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    Cina: consacrazione di nuove chiese segno di fede e maturità delle comunità continentali

    ◊   Nel mese missionario di ottobre appena concluso, diverse comunità parrocchiali hanno consacrato la loro nuova chiesa, come segno eloquente della fede, dell’evangelizzazione ed anche della maturità delle comunità cattoliche del continente. Secondo quanto riferito all’agenzia Fides da Faith dell’He Bei, oltre mille fedeli hanno partecipato alla consacrazione della nuova chiesa dedicata all’Apostolo San Paolo che è la parrocchia di Sha Gou, nella diocesi di Tai Yuan. Il solenne rito si è svolto il 20 ottobre scorso, alla vigilia della Giornata Missionaria Mondiale. Tre vescovi delle diocesi vicine, insieme a mons. Meng Qing Wei, Coadiutore della diocesi di Tai Yuan, hanno presieduto la consacrazione della chiesa, con 40 sacerdoti concelebranti. La nuova chiesa ha una superficie di 350 mq, è in stile gotico e rappresenta l’impegno della comunità di diffondere il Vangelo in ogni angolo del mondo. Sempre nel mese missionario, la parrocchia di Nan Zhi Dao Hui della diocesi di Wei Nan, ha consacrato la sua nuova chiesa dedicata a Cristo Re. Mons. Tong Chang Ping ha presieduto il rito, concelebrato da 21 sacerdoti, cui hanno partecipato centinaia di fedeli, insieme ai membri del Terz’ordine francescano, al Gruppo caritativo parrocchiale e ai fedeli di altre parrocchie che hanno dato il loro contributo alla costruzione dell’edificio sacro. La maggiore parte delle spese, circa 200 mila Yuan (30 mila euro), sono state coperte da uno zelante cattolico che ha già fatto costruire un'altra chiesa con le sue offerte personali. Secondo uno dei sacerdoti presenti alla consacrazione “ciò rappresenta la grande maturità, la crescita della fede e della consapevolezza missionaria dei nostri fedeli”. (L.F.)

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    Convegno Internazionale sull'opera di padre Marracci, primo traduttore del Corano nel 1698

    ◊   La prima traduzione latina del Corano, risalente al 1698 ad opera di padre Ludovico Marracci, sarà al centro del Convegno Internazionale ”Corano e Bibbia. L’uso delle fonti in padre Ludovico Marracci”, organizzato dall’Ordine dei Chierici Regolari della Madre di Dio giovedì prossimo a Roma. L’evento, inserito nella cornice dell’Anno della Fede, intende valorizzare e celebrare la figura di Padre Marracci (1621-1700) - sacerdote leonardino, orientalista, rettore dell’Università “La Sapienza”, primo traduttore del Corano e della Bibbia arabica - nel quarto centenario della nascita ed insieme riscoprirne l’opera, frutto della tensione missionaria che lo animava. La ricchezza del prezioso manoscritto – che sarà possibile ammirare nel convegno - risiede nell’accurato metodo scientifico utilizzato da Marracci e nella meticolosa analisi delle fonti, consultate dall’autore direttamente in lingua originale nei suoi numerosi viaggi, alla ricerca del senso autentico del testo coranico e a garanzia di una traduzione rispettosa del significato originale. Il convegno, nello spirito dialogico-veritativo tra cultura cristiana e islamica, vedrà la presenza di numerose personalità tra cui il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, Giovanni Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano, e mons. Italo Benvenuto Castellani, arcivescovo di Lucca. Numerosi gli studiosi e gli esperti, tra cui il prof. Roberto Tottoli dell’Università Orientale di Napoli e il prof.Paolo Araha del Warburg Institute (London). (R.P.)

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    Emergenza maltempo in Italia

    ◊   Ancora emergenza maltempo in Italia. Le regioni piu' colpite dall'ultima ondata di pioggie sono Veneto, Toscana, Umbria e Lazio; in particolare la provincia di Grosseto dove quattro persone hanno perso la vita: tre erano operai dell'Enel, morti a causa del crollo di un ponte sul fiume Albegna. Una donna e' in gravi condizioni. In Umbria in seguito alle precipitazioni piovose delle ultime 36 ore, la situazione è ancora di estrema criticità; il livello dei fiumi si è mantenuto in costante crescita fino alle prime ore dell’alba anche se resta ancora l’allerta. Da giovedì una nuova ondata di maltempo colpirà il Sud, in particolare la Sicilia e la Calabria. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sta seguendo l'evolversi della situazione determinatasi a seguito degli eventi alluvionali su vasti territori delle regioni del Centro e del Nord Italia, attraverso il Dipartimento della Protezione Civile e le Prefetture interessate. (L.F.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 318

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.