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Sommario del 12/11/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa nella Casa-Famiglia di Sant'Egidio: è bello essere anziani, un dono da valorizzare
  • Mons. Paglia: società crudele verso gli anziani. La testimonianza di Enrichetta e di un volontario
  • Il Papa assiste al concerto nella Sistina con brani di mons. Georg Ratzinger
  • Il Papa nomina mons. Fortunatus Nwachukwu nunzio apostolico in Nicaragua
  • Il cardinale Koch: la divisione dei cristiani, ostacolo più grande per l'evangelizzazione
  • Il cardinale Filoni all’Urbaniana: fare sintesi tra cultura, storia e fede
  • Santa Sede sulla pastorale della strada in Africa: prevenire tratta e sfruttamento sessuale
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: gli Usa appoggiano gli insorti. Rischio di coinvolgimento di Israele
  • Haiti: ancora inondazioni dopo “Sandy”, almeno 16 morti
  • Iraq, appello di mons. Sako: cristiani in fuga da un Paese abbandonato a se stesso
  • Emergenza maltempo, prof. Artale: eventi estremi non più atipici
  • Nove anni fa la strage di Nassiriya. L'Italia ricorda i suoi caduti in missioni di pace
  • L'impegno della Chiesa per l'evangelizzazione della Corea del Nord
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria. Arcivescovo ortodosso: scontri e profughi al confine turco-siriano
  • Myanmar: 13 vittime per il terremoto. A Mandalay notte all’aperto nel timore di nuove scosse
  • Nigeria: danni ingenti nelle zone alluvionate dello Stato del Delta
  • Mali: dal Paesi dell'Africa occidentale via libera a truppe del Nord
  • Irlanda: vittoria dei "sì" nel referendum sui diritti dei bambini da includere nella Costituzione
  • Brasile: per la violenza a San Paolo sospese le Messe e gli incontri parrocchiali della sera
  • India: in Orissa dissacrato un cimitero cristiano nel Kandhamal
  • Sri Lanka: i vescovi chiedono al governo di rispettare l’indipendenza della magistratura
  • Filippine: la mano di gruppi paramilitari dietro l'assassinio di padre Tentorio
  • Bolivia: 50 anni della Conferenza episcopale a difesa dei valori umani e cristiani
  • Asia: quale visione e quali speranze per Anno della Fede e nuova evangelizzazione
  • Angola: nuova casa di accoglienza per i bambini di strada
  • Caritas-Migrantes: "no" all'accoglienza occasionale e d'emergenza dal Nord Africa
  • Italia: il Parlamento celebrerà 10 anni della visita del Beato Giovanni Paolo II
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa nella Casa-Famiglia di Sant'Egidio: è bello essere anziani, un dono da valorizzare

    ◊   Stamani il Papa ha visitato la Casa Famiglia "Viva gli anziani" al Gianicolo di Roma, gestita dalla Comunità di Sant'Egidio. Un incontro voluto in occasione dell’Anno Europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra generazioni. Rivolgendosi agli ospiti della struttura, Benedetto XVI li ha invitati ad essere un “raggio dell’amore di Dio”, a non cedere alla tristezza ed a pregare con fede e costanza. Poi l’esortazione alle famiglie e alle istituzioni a lasciare gli anziani nelle loro case. Ce ne parla Benedetta Capelli:

    E’ un discorso all’insegna della vicinanza, dell’affetto e della piena comprensione quello che Benedetto XVI ha offerto agli ospiti della Casa Famiglia “Viva gli anziani” della Comunità di Sant’Egidio. Una vicinanza espressa dalle prime parole pronunciate dal Papa:

    "Vengo tra di voi come Vescovo di Roma, ma anche come anziano in visita ai suoi coetanei. Superfluo dire che conosco bene le difficoltà, i problemi e i limiti di questa età, e so che queste difficoltà, per molti, sono aggravate dalla crisi economica".

    Difficoltà unite alla tristezza che spesso accompagna i ricordi del passato nell’idea che ormai questa fase della vita sia “il tempo di tramonto”, ma – ribadisce Benedetto XVI – "non bisogna mai farsi imprigionare dalla tristezza":

    "Vorrei dirvi con profonda convinzione: è bello essere anziani! In ogni età bisogna saper scoprire la presenza e la benedizione del Signore e le ricchezze che essa contiene".

    Vivere è bello anche con qualche "acciacco" – soggiunge il Papa – e qualche limitazione. Una vita lunga è una benedizione di Dio, “un dono da apprezzare e valorizzare” nonostante “una società, dominata dalla logica dell’efficienza e del profitto”, non la accolga come tale e respinga gli anziani come “non produttivi ed inutili”:

    "Tante volte si sente la sofferenza di chi è emarginato, vive lontano dalla propria casa o è nella solitudine. Penso che si dovrebbe operare con maggiore impegno, iniziando dalle famiglie e dalle istituzioni pubbliche, per fare in modo che gli anziani possano rimanere nelle proprie case".

    La qualità di una società, di una civiltà – prosegue Benedetto XVI – si giudica da come gli anziani sono trattati e dal posto loro riservato nel vivere comune:

    "Chi fa spazio agli anziani fa spazio alla vita! Chi accoglie gli anziani accoglie la vita!".

    Da qui il richiamo dell’importante ruolo della Comunità di Sant’Egidio che ha aperto case-famiglie a Roma e nel mondo, aiutando a far comprendere che la Chiesa è famiglia, in cui ognuno deve sentirsi a casa e dove regna la logica della gratuità e dell’amore e non quella del profitto e dell’avere. Così questa visita del Papa, che si colloca nell’Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà delle generazioni è anche un modo per ribadire che “gli anziani sono un valore per la società, soprattutto per i giovani”:

    "Non ci può essere vera crescita umana ed educazione senza un contatto fecondo con gli anziani, perché la loro stessa esistenza è come un libro aperto nel quale le giovani generazioni possono trovare preziose indicazioni per il cammino della vita".

    Ma non bisogna nascondere - prosegue Benedetto XVI – il bisogno di aiuto in questa fase della vita, un modo anche per sentire l’affetto degli altri:

    "Nessuno può vivere solo e senza aiuto; l’essere umano è relazionale. E in questa casa vedo, con piacere, che quanti aiutano e quanti sono aiutati formano un'unica famiglia, che ha come linfa vitale l’amore".

    E a questo punto il Papa affida agli anziani un compito importante: approfondire il rapporto con Dio. Dinanzi alla possibilità di un tempo lungo, nel quale è importante non scoraggiarsi, ricorda che essi sono “una ricchezza per la società, anche nella sofferenza e nella malattia”. Illuminante in tal senso è stato l’esempio del Beato Papa Giovanni Paolo II, pertanto l’invito è a pregare per la Chiesa, per il mondo e per lo stesso Papa:

    "Diventate intercessori presso Dio, pregando con fede e con costanza. Pregate per la Chiesa, anche per me, per i bisogni del mondo, per i poveri, perché nel mondo non ci sia più violenza. La preghiera degli anziani può proteggere il mondo, aiutandolo forse in modo più incisivo che l'affannarsi di tanti. Vorrei affidare oggi alla vostra preghiera il bene della Chiesa e la pace del mondo".

    “Il Papa vi ama” ha concluso Benedetto XVI e “conta su di voi”:

    "Sentitevi amati da Dio e sappiate portare in questa nostra società, spesso così individualista ed efficientista un raggio dell’amore di Dio. E Dio sarà sempre con voi e con quanti vi sostengono con il loro affetto e con il loro aiuto".

    Nel suo indirizzo di saluto il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, ha ringraziato il Papa della sua vicinanza e della visita in “questo luogo di speranza”. Nel suo discorso, ha più volte ricordato che gli anziani che si incontrano per le strade di Roma e di ogni città del mondo si sentono soli, dimenticati e rassegnati. “La visita del Papa – ha detto Impagliazzo – è un segno di speranza”; un sogno che rifiorisce negli anziani quando si sentono accolti e compresi. Solo a Roma la Comunità di Sant’Egidio ha 14 case nelle quali accoglie chi è solo, ha perso l’alloggio oppure non è seguito dai propri famigliari.

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    Mons. Paglia: società crudele verso gli anziani. La testimonianza di Enrichetta e di un volontario

    ◊   La visita del Papa è stata scandita anche da diversi incontri come quello con una famiglia di haitiani ospite della Casa famiglia di Sant’Egidio dal terremoto del 2010. Benedetto XVI ha pure salutato una decina di anziani non autosufficienti e un folto gruppo di liceali impegnato nel volontariato. Poco prima di lasciare la struttura, il Papa, parlando a braccio, ha detto di uscire dalla visita “ringiovanito e rafforzato”. Riferendosi ai volontari, ha aggiunto che “sono angeli visibili” e che ha “visto lo spirito di Cristo nei loro occhi”. Infine, ha sottolineato che nella Casa “Viva gli anziani” “non ci sono differenze tra ricchi e poveri, come per Gesù”. Al microfono del nostro inviato Fabio Colagrande, ascoltiamo dunque proprio i protagonisti della giornata: l’anziana Enrichetta, 91 anni, e un volontario, Corrado:

    D. - Signora Enrichetta qual è la sua emozione nell’aver incontrato il Papa e nell’averlo salutato, a nome di tutti gli anziani della Comunità di Sant’Egidio…

    R. - E’ stata una grande emozione. Una grande emozione anche perché tutti i giorni io dico il Rosario e metto nel Rosario anche il Papa; prego che il Signore gli dia sempre la forza, che non ci lasci mai e specialmente chiedo di aiutarlo.

    D. - Il Papa ha detto: “Conosco bene i problemi dei miei coetanei”, lì è partito un applauso dalla folla...

    R. - Io sono stata colpita tanto e penso anche gli altri! Prego per il Papa in un modo particolare. Poi, quando vado a coricarmi la sera dopo la giornata trascorsa, e prego, non dico “Signore mio”, ma “Padre mio”, e gli dico: “Grazie, per avermi fatto trascorrere la giornata”. La mattina, quando mi alzo, dico la stessa cosa: “Grazie, che mi fai vedere l’aurora” e gli dico anche “Tienimi vicino a te e fa di me quello che vuoi”.

    D. - Corrado Cavallo, impiegato come volontario nella Comunità di Sant’Egidio: qual è l’atmosfera che si respira in questo “condominio”?

    R. - E’ un clima veramente di famiglia ed è un modello anche ripetibile, perché dimostra che non è necessario, quando una persona diventa anziana, rispondere con delle strutture sanitarie ed ospedaliere. Anzi, la “casa” aiuta a vivere, a vivere di più e gli anziani che vivono qui - in particolare c’è un’anziana, al terzo piano, che ha compiuto poco tempo fa 100 anni - lo dimostrano. L’età media è molto alta. È una vita che si allunga. Diciamo che in questa “casa” c’è un grande segreto ed il grande segreto è l’amore che ovviamente non è soltanto un amore dato, ma è un amore ovviamente ricevuto.

    All'evento era presente anche mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Fabio Colagrande ha chiesto al presule una riflessione sull’importanza di questa visita del Papa:

    R. – L’esperienza di essere anziani è una delle dimensioni importanti della vita, che purtroppo oggi la società poco riconosce e soprattutto poco sostiene. Ecco perché questa visita del Papa in una delle case della Comunità di Sant’Egidio, dedicate appunto all’attenzione, alla vicinanza, all’affetto per gli anziani, è una visita importante per tutti. E importante anche per il Pontificio Consiglio per la Famiglia, perché il Papa ha detto una cosa alla quale bisogna prestare molta attenzione: ogni anziano ha diritto di restare a casa sua, come lo ha il bambino, come lo hanno la mamma e il papà e chiunque. Questa è una condizione importante, perché purtroppo la società spesso, quando si arriva ad una certa età, manda via gli anziani. Qui invece no, qui è “viva gli anziani” e non via gli anziani dalla famiglia o dalla società. Quando gli anziani sono lasciati soli, allora bisogna creare delle strutture o degli ambienti che possano far rivivere il clima familiare, perché soprattutto in un’età avanzata, come accade ai più piccoli, avere amici affettuosi vicino è la condizione per vivere. In questo senso, bisogna sottolineare, alla fine di quest’anno che le Nazioni Unite hanno dedicato all’invecchiamento attivo, che oltre agli anziani, che devono essere attivi, in verità devono essere attivi anche i più giovani verso gli anziani. In questo senso, questa visita mi pare davvero un piccolo tesoro da custodire, mentre l’Anno della Fede prende avvio. Credere vuol dire anche non abbandonare gli anziani.

    D. – Una visita che è stata anche una conferma dell’attività più che trentennale che la Comunità compie nei confronti degli anziani, un’importante conferma...

    R. – Sì, questo lo ricordo fin dagli inizi. Per la comunità è stata importante la vicinanza con gli anziani, proprio perché emergeva in essi una sorta di segno di come la società stesse diventando crudele. Si allunga la vita degli anziani ed è straordinario – un progresso davvero da lodare – ma nello stesso tempo si rischia di approfondire la solitudine. Una società davvero crudele: ti allunga la vita e te la rende più amara. Allora chiediamo che cosa vuol dire un progresso senza l’amore, uno sviluppo senza solidarietà. Ecco perché questa visita conferma un impegno. Io mi auguro, però, che sia una grande esortazione a tutti: alle famiglie a tenersi gli anziani, alle società a custodirne la ricchezza, ai governi ad impegnarsi, perché questi anni siano di consolazione per tutti coloro che hanno dato la loro vita per i Paesi e per la società.

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    Il Papa assiste al concerto nella Sistina con brani di mons. Georg Ratzinger

    ◊   In ascolto delle note composte dal fratello, con il quale condivide una profonda passione per la musica colta. È trascorso così il pomeriggio di Benedetto XVI, che ieri, sotto gli affreschi della Cappella Sistina, ha assistito al concerto offertogli in forma privata nell’ambito dall’11.ma edizione del Festival di musica e arte sacra, che ha visto tra gli altri brani composti da mons. Georg Ratzinger.

    L’esecuzione è stata affidata al coro della Cappella Musicale Pontificia, diretto da don Massimo Palombella, che ha aperto il programma con il canto gregoriano “Nos autem gloriari”, quindi si è proseguito con il “Kyrie” e il “Gloria” della Missa “L’Anno Santo” di mons. Georg Ratzinger, il “Credo” dalla Missa Papae Marcelli di Giovanni Pierluigi da Palestrina; il “Sanctus”, il “Benedictus” e l’“Agnus Dei” ancora dalla Missa di mons. Georg Ratzinger, per concludere con un brano del Maestro Palombella – “O sacrum convivium” - e il “Tu es Petrus”. Il concerto si è concluso con la benedizione del Papa.

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    Il Papa nomina mons. Fortunatus Nwachukwu nunzio apostolico in Nicaragua

    ◊   Benedetto XVI ha nominato nunzio apostolico in Nicaragua mons. Fortunatus Nwachukwu, finora capo del Protocollo della Segreteria di Stato, elevandolo in pari tempo alla sede titolare di Acquaviva, con dignità di Arcivescovo. Mons. Fortunatus Nwachukwu è nato a Ntigha (Nigeria) il 10 maggio 1960. È stato ordinato sacerdote il 17 giugno 1984. Si è incardinato a Aba. È laureato in Teologia Dogmatica e in Diritto Canonico. Entrato nel Servizio diplomatico della Santa Sede il 1° luglio 1994, ha prestato la propria opera presso le Nunziature Apostoliche in Ghana, Paraguay, Algeria, presso l'Ufficio delle Nazioni Unite ed Istituzioni Specializzate a Ginevra e presso la Sezione Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato. È stato nominato Capo del Protocollo della Segreteria di Stato, il 4 settembre 2007. Conosce l’inglese, l’italiano, il tedesco, l’ebraico moderno, il francese, lo spagnolo e l’arabo.

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    Il cardinale Koch: la divisione dei cristiani, ostacolo più grande per l'evangelizzazione

    ◊   Al via questo pomeriggio, nella sede del dicastero, la plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani che rifletterà sul tema “L’importanza dell’ecumenismo per la nuova evangelizzazione”. Si tratta di un evento che si pone in stretta continuità con il recente Sinodo dei Vescovi, come spiega il cardinale Kurt Koch, presidente del dicastero per l’unità. L’intervista è di Philippa Hitchen:

    R. – After the Synod of new evangelisation...
    Dopo il Sinodo sulla nuova evangelizzazione, noi approfondiremo questo argomento in una dimensione ecumenica. Lo stretto rapporto che c’è tra la nuova evangelizzazione e l’ecumenismo si trova già nella preghiera sacerdotale di Gesù. Lui prega che tutti i suoi discepoli siano una cosa sola, perché il mondo possa credere che Lui è il Figlio di Dio. La credibilità del messaggio del Vangelo dipende dall’unità dei cristiani. La divisione della Chiesa è il più grande ostacolo all’evangelizzazione.

    D. – Come si svolgerà questa plenaria?

    R. – First we will have a ...
    Prima ci sarà una prolusione sul tema della plenaria, poi seguirà un rapporto regionale, perché la situazione nei vari continenti è molto differente. Io ascolterò tutte le varie situazioni e le sfide della nuova evangelizzazione in tutti i continenti. Quindi, ne discuteremo in gruppo, poi vedremo come continuare a riflettere su questi temi. E’ chiaro che collaboreremo con il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione.

    D. – Come lei dice, la situazione è molto differente nei vari continenti, ma c’è un filo rosso che può unire queste diversità?

    R. – I think the Holy Father in his visit…
    Il Santo Padre, nella sua visita ad Erfurt, nell’incontro con i rappresentanti della Chiesa evangelica in Germania, ha detto che la prima cosa che dobbiamo fare oggi per l’ecumenismo è dare insieme testimonianza della presenza di Dio e della centralità della questione di Dio: la grande sfida di oggi per noi cristiani, dunque, è trovare i modi di dare una testimonianza comune della fede e del Vangelo.

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    Il cardinale Filoni all’Urbaniana: fare sintesi tra cultura, storia e fede

    ◊   Con la solenne Concelebrazione Eucaristica “De Spiritu Sancto” presieduta questa mattina dal cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e Gran Cancelliere della Pontificia Università Urbaniana, si è aperto l’Anno accademico 2012-2013. “Noi tutti sappiamo bene – ha detto il cardinale Filoni nella sua omelia - che l’esistenza e le attività della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli sono dirette all’annuncio del Vangelo, al sostegno delle Chiese particolari nei territori cosiddetti di missione e alla formazione degli evangelizzatori e del personale delle stesse Chiese particolari. Anche questa Università ha la sua ragion d’essere nella preparazione teologico-culturale del personale destinato alle Chiese giovani o in via di formazione”. La riflessione del porporato ha quindi toccato tre aspetti: la preparazione culturale come preparazione alla storia della salvezza in Gesù per tutti i popoli; la nostra missione in quanto sacerdoti, religiosi, religiose e laici al servizio di Dio e della Chiesa; l’Anno della Fede. Riguardo al primo punto, il prefetto del Dicastero Missionario ha sottolineato la necessità che “la Chiesa prepari i messaggeri della salvezza tenendo necessariamente presenti due poli, che fanno parte della stessa logica: la Parola Incarnata di Dio in Cristo, e la Storia dell’umanità, che il Concilio Vaticano II ha voluto racchiudere sotto la categoria biblico-evangelica di «segni dei tempi».” Quindi il cardinale ha affermato: “E’ necessario fare sintesi tra «cultura, storia e fede», perché il messaggio della salvezza non mostra la sua «universale efficacia» se non operando a fondo, e non solo a livello epidermico, nel luogo culturale nel quale l’uomo concretamente e storicamente vive”. Soffermandosi poi sulla formazione, il cardinale Filoni ha sottolineato che “la formazione culturale e teologica è in vista e in funzione dell’annuncio e del servizio alle giovani Chiese. Come ministri ordinati, come religiosi, religiose e come laici siamo per vocazione direttamente impegnati nell’evangelizzazione. Siamo chiamati a porci sulla linea della missione messianica di Cristo, in un mondo multietnico, multiculturale e multireligioso”. Infine l’Anno della Fede è occasione propizia, anche per la comunità universitaria, per “una riappropriazione della fede in Cristo Gesù”. Il cardinale Prefetto ha concluso: “Solo se l’oggetto del nostro studio è Cristo e la sua rivelazione possiamo essere pronti per l’ufficio di evangelizzare e di servire. Solo se amiamo l’evangelizzazione possiamo essere pronti ad evangelizzare. Il missionario o l’evangelizzatore, se meglio si vuole, in realtà nasce dalla fede, vive per la fede, patisce e muore per la fede”. Alla Concelebrazione Eucaristica nella cappella del Collegio Urbano è seguito, nell’Aula Magna dell’Università, l’Atto Accademico con la relazione del Rettore Magnifico, la prolusione del prof. Giovanni Ancona su “La fede cristiana. Elementi fondamentali identitari” e la premiazione degli studenti. (R.P.)

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    Santa Sede sulla pastorale della strada in Africa: prevenire tratta e sfruttamento sessuale

    ◊   Il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti ha reso noto il Documento finale del primo Incontro di Pastorale della Strada per il Continente Africa e Madagascar, che si è svolto a Dar-Es-Salaam, in Tanzania, dall'11 al 15 settembre, organizzato dal dicastero in collaborazione con la Commissione Episcopale per i Migranti e gli Itineranti della Tanzania. Il documento, che si ispira all'Esortazione Apostolica Post-Sinodale Africae munus, del 2011, elenca una serie di priorità: l’istituzione di un servizio pastorale per sensibilizzare l’opinione pubblica di fronte alla realtà di quanti vivono sulla strada e dei senza fissa dimora, l’organizzazione di strutture che affrontino il dramma della tratta e dello sfruttamento sessuale in vista della prevenzione, la richiesta ai governi perché varino leggi in difesa della dignità di donne e bambini, l’introduzione nei seminari e nelle scuole di programmi educativi di formazione sulla pastorale di strada. C’è poi la proposta di istituire luoghi di culto nelle stazioni di bus e treni con un ministero di presenza e di consiglio. Il Documento invita, infine, le Chiese africane a sviluppare nuove forme di evangelizzazione adatte al contesto della strada e propone la nascita di una rete nazionale, regionale e continentale per assistere le vittime della tratta e dello sfruttamento.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Benedetto XVI tra gli anziani ospiti della casa-famiglia della Comunità di Sant'Egidio esalta il valore della vecchiaia.

    Nessuno è così povero da non poter donare qualcosa: all'Angelus il Papa ricorda la benedettina Maria Luisa Prosperi beatificata a Spoleto.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, l'austero bilancio della Grecia: il Parlamento approva il budget 2013.

    Oggi c'è fame di simboli forti: in cultura, su quali spazi per il sacro, l'articolo di Maria Antonietta Crippa nel numero in uscita della rivista "Vita e Pensiero".

    Davide e Golia tornano alla Salute: Tiziano restaurato a Venezia dopo l'incendio del seminario.

    Sui giovani e gli smartphone, un articolo di Cristian Martini Grimaldi dal titolo "Batteria scarica".

    In trecento per i Promessi sposi: Silvia Guidi sulla lettura non stop, dalla prima all'ultima parola - a Monza - del capolavoro manzioniano; dalla sera del 7 novembre, proprio quando don Abbondio stava tornando a casa.

    Un articolo di Gaetano Valini dal titolo "Sguardo lungo ma respiro corto": con il cinese Feng Xiaogang e il tagiko Bakhtiar Khodojnazarov, spazio alla cinematografia di Paesi lontani al Festival del film di Roma.

    I 75 anni della facoltà teologica salesiana.

    Il cuore che non smette di pulsare: nell'informazione religiosa, Giulia Galeotti sulla riapertura, a Chicago, del santuario dedicato alla patrona degli emigranti, santa Francesca Cabrini, e un breve stralcio della lettera che la fondatrice delle missionarie del Sacro Cuore di Gesù scrisse alle alunne dell'Istituto di magistero a Roma, il 9 maggio 1905.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: gli Usa appoggiano gli insorti. Rischio di coinvolgimento di Israele

    ◊   Gli Stati Uniti assicurano pieno sostegno alla nuova opposizione siriana unificata. Dopo la firma in Qatar dell’accordo che riunisce tutti i gruppi che lottano contro il presidente Assad, il Dipartimento di Stato Usa ha fatto sapere che Washington lavorerà con la coalizione nazionale per garantire assistenza umanitaria e non letale. Intanto, aumenta il rischio di coinvolgimento di Israele nel conflitto siriano. Ieri, l’esercito dello Stato ebraico ha sparato colpi sul Golan, in risposta a colpi di mortaio provenienti dal territorio siriano. Della svolta avvenuta nel fronte degli insorti, Giancarlo La Vella ha parlato con Stefano Polli, responsabile esteri dell’Agenzia Ansa:

    R. – Sicuramente, è una svolta importante perché uno dei problemi che l’opposizione ha avuto in questi mesi – sia del punto di vista politica, con un riflesso poi anche sul terreno, sia dal punto di vista militare – è proprio la frammentazione: il fatto di essere molto divisa, molto eterogenea. Quindi, la decisione presa a Doha è importante, perché adesso l’opposizione ha una sua unità, ha un suo leader riconosciuto e ha un programma politico e militare unificato. Sicuramente, anche il riconoscimento venuto dagli Stati Uniti è fondamentale, perché è chiaramente un segnale forte che viene dato al regime siriano. Comunque, adesso è ancora presto: bisognerà vedere e capire se concretamente questa unità di intenti dimostrata a Doha avrà poi dei riflessi veri sul terreno. Per cui, questa presa di posizione degli Stati Uniti è fondamentale, perché lancia un messaggio ad Assad: è chiaro che questo è il primo passo, ma a questo punto gli Stati Uniti sono scesi in campo.

    D. – Rischia di aprirsi comunque un altro fronte decisivo anche con Israele: secondo te, lo Stato ebraico potrebbe essere coinvolto nella crisi siriana?

    R. – Purtroppo sì. Un altro dei problemi che vi sono stati, dovuti proprio alla lentezza della reazione internazionale, è il rischio dell’effetto contagio. Questo in parte è già successo, per esempio, con il Libano, ma anche con la Turchia c’è una situazione molto delicata. Adesso è successo anche con Israele, ma Israele non è la Turchia e non è neanche il Libano. Israele è pronta a rispondere alle provocazioni che vengono dalla Siria e questo va a complicare un teatro già difficile, perché Israele – in questo momento – ha tre fronti aperti e non solo con la Siria, ma al sud con Gaza e inoltre c’è sempre l’ombra del nucleare iraniano con la possibilità di un attacco israeliano, più di una volta ventilato. Insomma, la situazione è molto complicata e ogni giorno che passa il puzzle diventa più difficile.

    D. – Da tutto questo rimane fuori l’ipotesi di un intervento umanitario, a fronte di una emergenza che sta diventando ogni giorno sempre più drammatica…

    R. – Questa è la vera emergenza. La popolazione siriana continua a scappare da un Paese, dove c’è una guerra civile vera e propria: ci sono centinaia di morti tutti i giorni, la gente fugge e l’emergenza umanitaria è gravissima. In questa situazione, è difficile agire, perché è difficile arrivare in Siria ad aiutare questi profughi e anche sui confini dei Paesi vicini non si sta facendo abbastanza.

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    Haiti: ancora inondazioni dopo “Sandy”, almeno 16 morti

    ◊   Emergenza nell’emergenza per Haiti: dopo il devastante terremoto di due anni fa e il passaggio dell’urgano “Sandy” nuove inondazioni hanno colpito l’isola in questi ultimi giorni provocando 16 morti. Ad Haiti, sono almeno 200 mila le persone sfollate alle prese con povertà e colera, mentre il 30% della popolazione non ha accesso all’acqua potabile. In prima linea in aiuto della popolazione haitiana, c’è l’Associazione “Sos Villaggi dei Bambini” che - tramite la portavoce in Italia, Elena Cranchi - lamenta la disattenzione dei grandi media per l’emergenza umanitaria ad Haiti. L’intervista è di Alessandro Gisotti:

    R. - Il terremoto è avvenuto il 12 gennaio 2010 e non siamo ancora usciti da una situazione di emergenza. Il problema è che si tratta di una terra che fa fatica, evidentemente, a essere ricostruita. Il problema di “Sandy”: noi ci siamo spesso chiesti cosa sarebbe capitato se ci fosse stata una maratona ad Haiti (come a New York - ndr.). La sensazione è, come sempre, che le emergenze se toccano determinati Paesi riescono ad avere visibilità e, in qualche modo, a costruire una rete di aiuti. Quando invece non ci sono le condizioni mediatiche per dare spazio, o per suscitare l’interesse, tutto viene coperto dal silenzio.

    D. - Quali sono i danni più gravi causati dal passaggio dell’Uragano Sandy?

    R. - Parliamo di 54 morti, dispersi, feriti. Parliamo di danni che ammontano a 600 milioni di dollari, parliamo di strade e ponti distrutti, di approvvigionamento idrico assolutamente da rimettere in piedi e di scuole. Tra l’altro, molte delle scuole che noi avevamo ricostruito e ristrutturato sono state di nuovo danneggiate. Noi eravamo riusciti a dare la possibilità ai bambini di tornare a scuola: ora, a causa di questo uragano, abbiamo 1500 bambini che non possono frequentare le lezioni e bisognerà ripartire non dico da zero, ma quasi.

    D. - Il terremoto, l’uragano, la povertà endemica: Haiti sembra quasi condannata a non ripartire mai davvero. C’è rischio di una perdita di speranza?

    R. - Non per noi. Così come credo non la stiano perdendo le associazioni, che da tanti anni si battono evidentemente per cercare di risolvere dei problemi. Forse, c’è un timore e, a volte, non proprio una perdita di speranza ma una rabbia, che penso sia generalizzata a tutte le persone che operano nel no profit perché, ripeto, ci sono sempre degli “interruttori” che vengono accesi e poi spenti così sulle crisi… Devo dire che c’è sicuramente una responsabilità da parte dei media. Di volta in volta, ci sono delle cose che meritano più attenzione, ma che non necessariamente hanno più attenzione.

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    Iraq, appello di mons. Sako: cristiani in fuga da un Paese abbandonato a se stesso

    ◊   Peggiora la situazione dei cristiani in Iraq. La denuncia arriva da mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk e segretario generale della Conferenza episcopale irachena. In un’intervista all’agenzia sciita “Alsumaria News”, il presule si dice addolorato di fronte alla continua migrazione di fedeli dal Paese, che minaccia la stessa presenza cristiana in Irak. Roberta Gisotti ne ha parlato con sacerdote iracheno, don Georges Jahola:

    R. – Bombe e attentati, rapimenti di bambini da parte di bande armate per autofinanziarsi e, proprio in questi giorni, dieci nuove esecuzioni capitali, 119 dall’inizio dell’anno. Non sembra essere l’Iraq un Paese avviato alla normalità.

    D. – Don Georges, quanti cristiani sono rimasti nel Paese e come vivono?

    R. – Le statistiche oggi non sono così certe, però di sicuro i cristiani sono diminuiti di un terzo da prima della guerra, dieci anni fa. Possiamo dire che circa 300-350 mila vivono precariamente a causa della situazione generale nel Paese, ma anche perché c’è qualche azione terroristica che prende di mira alcune comunità cristiane. Tutto il Paese soffre comunque della mancanza di sicurezza: oggi non più come prima, perché gli atti terroristici sono per lo più il risultato di una lotta tra componenti politiche. A causa di queste situazioni, i fedeli emigrano per mancanza di lavoro e mancanza anche di servizi di base, come elettricità e carburanti, che forse per gli occidentali sono cose ovvie, ma da noi sono veramente essenziali e non si trovano facilmente.

    D. - Mons. Sako chiede al governo in questo contesto di “assumersi la responsabilità di fornire a tutti i gruppi” che vivono in Iraq “la sicurezza, la stabilità e la dignità”. Chi potrà raccogliere questo appello, forse il primo ministro Maliki o il presidente Talibani o nessuno in questo momento?

    R. – Sicuramente, il primo dovrebbe essere il governo centrale che è rappresentato da Maliki. Ma anche il governo regionale del Kurdistan, e ognuno nel suo territorio, può assicurare ai cristiani di vivere in pace, in tranquillità e con dignità. Ma se vogliamo tutti quanti possono collaborare, ciascuno da parte sua, con decreti e raccomandazioni, anche nelle regioni, nelle città, per assicurare una vita dignitosa ai cristiani.

    D. – Non si può certo lasciare che i cristiani scompaiano da queste terre?

    R. – E’ doloroso pensarlo e vederlo accadere sotto i nostri occhi: i nostri fedeli scappano dall’Iraq per cercare una vita pacifica ed anche una vita di cultura, che oggi manca in Iraq e infatti l’educazione scolastica è ridotta da molti anni.

    D. – Quindi, anche la tristezza e il dolore di vedere il loro Paese che non si riprende…

    R. – Questo è vero perché è un Paese che dopo dieci anni di guerra è stato abbandonato dall’Occidente, dagli alleati, dagli Stati Uniti. E’ un Paese abbandonato alla propria ignoranza e questo fa pena a noi, in quanto Chiesa che guida questo popolo e questa gente e che dà anche testimonianza alla popolazione intera.

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    Emergenza maltempo, prof. Artale: eventi estremi non più atipici

    ◊   Forti disagi in Italia per allagamenti, frane e smottamenti. L’allerta maltempo, che oggi si sta spostando verso sud, ieri ha colpito Liguria, Veneto, Toscana e Umbria costringendo centinaia di persone a lasciare le loro case. Il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, ribadisce la necessità di “allentare il patto di stabilità per reperire risorse” e finanziare un programma per la sicurezza del territorio. A cosa è dovuto il ripetersi, sempre più frequente, di questi fenomeni? Risponde, al microfono di Amedeo Lomonaco, il climatologo dell’Enea, Vincenzo Artale:

    R. – Questi fenomeni si stanno intensificando per diverse ragioni. La temperatura media della Terra è aumentata di circa 0.7 gradi. E l’aumento di temperatura porta a una maggiore evaporazione del mare, dell’acqua disponibile anche nel suolo. Inoltre, la temperatura media del Mediterraneo, rispetto a quella globale, sta assumendo dei valori maggiori. Ovviamente, in alcuni periodi dell’anno -– proprio in questi mesi, da ottobre a novembre – questi fenomeni sono maggiormente intensi, proprio perché il mare restituisce l’energia accumulata durante l’estate – in modo a volte drammatico come in questi giorni – all’atmosfera. Dato che questo accumulo negli ultimi anni è maggiore, ci aspettiamo fenomeni più intensi e perturbazioni più intense.

    D. – Riferendoci all’Italia, alluvioni e siccità si alternano ormai senza soluzione di continuità. Quali le misure più urgenti?

    R. – E’ un problema di mettere in sicurezza il territorio, soprattutto lì dove si è costruito male oppure si è costruito nelle zone dove prima scorrevano i fiumi. Bisogna, quindi, andare a ristudiare il territorio, a ridefinirlo bene, secondo criteri di maggiore sicurezza.

    D. – Quale scenario possiamo prevedere in futuro in Italia, per gli effetti legati proprio al cambiamento climatico?

    R. – Nella statistica fatta su decine di anni, gli eventi estremi erano più o meno 0.25 l’anno: un evento ogni quattro anni. E’ sotto gli occhi di tutti che stiamo subendo gli eventi estremi, soprattutto in Italia sostanzialmente tutti gli anni. Gli eventi estremi cominciano a essere non così atipici. La statistica si sta spostando, per quanto riguarda sia la media della temperatura sia la media delle precipitazioni intense, su fenomeni a carattere particolarmente estremo non più anomali.

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    Nove anni fa la strage di Nassiriya. L'Italia ricorda i suoi caduti in missioni di pace

    ◊   Nove anni fa, avveniva la strage di Nassiriya: un violento attentato al contingente militare italiano in Iraq provocò la morte di 28 persone, tra cui 19 carabinieri. Da quattro anni, ogni 12 novembre si celebra la Giornata del ricordo dei caduti militari e civili nelle missioni internazionali di pace. Commozione è stata espressa dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, mentre a Roma, presso la Basilica di Santa Maria in Aracaoeli, l’arcivescovo, ordinario militare, mons. Vincenzo Pelvi ha presieduto una celebrazione eucaristica. "I caduti in missione di pace – ha detto – non moriranno mai". Al microfono di Paolo Ondarza, la riflessione di mons. Franco Sardi Sartori, cappellano del Quirinale:

    R. – Oggi, ricordiamo tutti i militari di tutte le armi e anche i civili che hanno partecipato a queste missioni. Ricordiamo, infatti, che nel primo grande gruppo dei caduti di Nassirya c’erano anche civili, che operavano all’interno della missione.

    D. – Perché è importante ricordarli?

    R. – Perché chi compie opere buone, va ricordato. Il Signore sicuramente annota nel libro della vita tutti questi gesti. E’ bene, però, che anche la società si ricordi di loro, perché se ciascuno – familiari, amici o commilitoni – porta da solo la propria croce nelle proprie case, si finisce per pensare che i grandi sacrifici dei caduti siano dimenticati. Invece, è importante che la società ricordi il loro martirio, il loro sacrificio, la loro dedizione.

    D. – Oggi, la società non riconosce sufficientemente il valore di questi caduti?

    R. – Non credo. Al di là di frange, credo che complessivamente la gran parte degli italiani comprenda questi sacrifici.

    D. – Tra i caduti che oggi ricordiamo, tra queste persone, ce ne sono alcune che si sono distinte per la loro testimonianza cristiana?

    R. – Mi verrebbe da dire tutti, anche se so che dire tutti, vuol dire banalizzare. E’ difficile che, nell’arco di una missione di pace, non ci sia una fetta di militari che costruisce un ponte di carità, di affetto, di stima, di amore verso le frange sociali più deboli del luogo in cui si svolge il loro servizio e che non continui poi anche dopo – finita la missione – a conservare questi legami con adozioni a distanza, sostegno per iniziative sanitarie, scolastiche, lavorative. Tutte queste non si conoscono perché fanno rientrano in un ambito privato, segreto, riservato, personale della vita dei militari. Ho presente in questo momento la vedova di qualcuno di loro, che continua anche oggi continua a portare avanti l’impegno che aveva preso il marito, che ovviamente ora non c’è più.

    D. – Lei, non a caso, ha parlato di martirio. Si può vivere e portare il Vangelo anche in contesti di guerra?

    R. – Fondamentalmente, il soldato va lì per fare il soldato. Dopo di che, dal farlo solo per adempiere a un ordine al farlo con una ricchezza interiore, che dà anche una valenza spirituale alla propria missione, il passaggio è semplice.

    D. – In occasione dell’Anno della Fede in corso, l’Ordinariato militare ha lanciato l’iniziativa “Testimoni della fede nel mondo militare”, per far conoscere questi testimoni, perché ce ne sono stati e, probabilmente, continuano ad essercene molti...

    R. – Sì, parliamo di figure altissime come Papa Giovanni XXIII, che è stato soldato caporale sergente dell’allora 73.mo Reggimento Fanteria dal 1901 al 1902 e tenente cappellano all’ospedale militare di Bergamo dal 1915 al 1917. O don Gnocchi, che è pure Beato, e fu cappellano militare egli Alpini. Ci sono poi anche tanti soldati, che hanno dato un’intonazione alla loro vita, che era caratterizzata dal carisma cristiano: sono esperienze di grande eroismo, dove alla grande qualità e professionalità del militare si aggiunge quell’impegno di fede, che produce un’autentica testimonianza cristiana.

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    L'impegno della Chiesa per l'evangelizzazione della Corea del Nord

    ◊   "Se non c'è patria, non esisto". E' la frase impressa nel cippo marmoreo sul confine tra le due Coree che accoglie i turisti stranieri, che vengono da ogni angolo del mondo, per toccare con mano il dramma di un popolo diviso. Per i coreani è una ferita aperta che parla di morte e di disperazione. Parliamo di "Dmz", un'area demilitarizzata di 900 chilometri quadrati che divide il Sud e il Nord della Corea. La riunificazione è una delle missioni più importanti della Chiesa locale, impegnata in prima linea in un programma di aiuti, grazie ad una Commissione speciale per la riconciliazione. Il nostro inviato Davide Dionisi ne ha parlato con padre Timoteo Lee-Eun-Hyung, membro della Commissione nella diocesi più vicina a "Dmz":

    R. - (Parole in sudcoreano)
    La nostra Commissione ha diversi obiettivi, tra i quali il più importante è quello dell’evangelizzazione della Corea del Nord, dal momento che lì non c’è libertà di religione. Innanzitutto, però, prima cerchiamo di trovare un modo per tentare di scambiare almeno le notizie tra quello che avviene in Corea del Sud e quello che avviene in Corea del Nord, anche per condividere l’affetto che proviamo. Un’altra cosa che facciamo è quella di assistere la gente che scappa dalla Corea del Nord e giunge qui in condizioni terribili. Aiutiamo questa gente a stabilirsi qui, nella Corea del Sud.

    D. - Cosa è stato fatto negli ultimi anni e quali sono i progetti in cantiere?

    R. - (Parole in sudcoreano)
    Un progetto molto importante - e che continuerà per sempre - è quello di portare avanti la preghiera comune: “Preghiamo insieme”. E’ questa la cosa più importante. Abbiamo, per esempio, alcune Chiese vicino alla zona "Dmz" (la zona demilitarizzata), in cui ogni mercoledì ci riuniamo per pregare per la gente e per la Corea del Nord.

    D. - Che cosa si prova a operare come Chiesa a pochi passi da "Dmz"?

    R. - (Parole in sudcoreano)
    Mi sta molto a cuore l’evangelizzazione della Corea del Nord, visto che siamo molto vicini al confine. La possibilità di poter svolgere quest’opera mi ha sempre fatto molto piacere. Stare vicino al confine non significa avere limiti particolari nell’attività pastorale, anzi io mi sento molto più vicino all’unificazione. E poi pensare di essere così vicino, rafforza la mia vocazione di Dio. Certamente l’unificazione, l’evangelizzazione della Corea del Nord sono le cose più importanti per noi cattolici.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria. Arcivescovo ortodosso: scontri e profughi al confine turco-siriano

    ◊   “C'è grande paura tra le famiglie delle diverse comunità per il loro futuro. La gente ha tanta paura di una guerra vera e propria, che potrebbe scoppiare in qualsiasi momento fra Turchia e Siria. Non sappiamo cosa potrebbe accadere a grandi città come Kamishly e Hassaké nella mia arcidiocesi di Jazirah ed Eufrate”: è quanto dice all’agenzia Fides Eustathius Matta Roham, arcivescovo siro-ortodosso di Jazirah ed Eufrate, raccontando la delicata situazione al confine turco-siriano, che nell’ultima settimana si è aggravata per i violenti scontri e un grande flusso di rifugiati. “Un conflitto turco-siriano potrebbe degenerare in una guerra regionale. Le persone sono molto preoccupate per i loro bambini, per le donne e per le proprietà. Molti di loro sono sempre pronti ad emigrare in Europa e in altri Paesi vicini, ritenuti più sicuri. Viviamo nell’incertezza: è molto difficile dire che cosa potrebbe succedere domani”, spiega preoccupato. L’arcivescovo, che si trova ad Hassaké, descrive in particolare la situazione di due città della sua diocesi: Ras Al-Ayn e Derbasieh. Ras Al-Ayn è teatro di combattimenti fin da giovedì scorso, ed è stata occupata dalle forze dell’opposizione siriana: “La gente è fuggita e ha lasciato dietro di sé le proprietà e tutti i propri beni. Ora è molto rischioso andare in città. I combattimenti in corso porteranno alla sua distruzione. Temo che il destino della nostra comunità cristiana e delle chiese, così come quello di altre comunità, sarà simile a quello di altri comuni, come Homs e Deir Ezzor”. Un sacerdote siro-ortodosso, padre Touma Qas Ibrahim, parroco della chiesa di San Tommaso a Ras Al-Ayn, si è coraggiosamente recato in città per recuperare i libri di preghiera, in particolare alcuni antichi codici liturgici scritti a mano, e la sua missione è riuscita. “Siamo grati a Dio perché padreTouma è potuto entrare nella chiesa e tornare illeso” sottolinea l’arcivescovo. Stessa sorte per Derbasieh: il 9 novembre la maggior parte della gente è fuggita per paura di trovarsi in mezzo al fuoco incrociato. Padre Michael Yacoub della chiesa di Sant’Osyo è giunto ad Hassaké, dove è la sede dell'arcidiocesi, con altre famiglie di sfollati cristiani. L’arcivescovo racconta: “La gente di Derbasieh è stata invitata a lasciare le proprie case, dato che le forze di opposizione, che si trovano aldilà del confine, in territorio turco, erano pronte ad occupare la città. C’è stato poi un accordo tra l'opposizione e la comunità curda locale, che a Derbasieh è la maggioranza: i funzionari governativi hanno accettato di lasciare la città senza combattere e questo accordo ha salvato la vita di molti civili”. (R.P.)

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    Myanmar: 13 vittime per il terremoto. A Mandalay notte all’aperto nel timore di nuove scosse

    ◊   È salito a 13vittime il bilancio, tuttora provvisorio, del terremoto che ha colpito ieri il centro del Myanmar. I soccorritori hanno avviato le operazioni di aiuto alla popolazione, ma alcuni fra i villaggi più remoti dell'area restano ancora isolati. Il crollo di un ponte in costruzione e il cedimento parziale di una miniera hanno contribuito ad aggravare il numero dei morti, al quale si uniscono - come raccontano fonti dell'agenzia AsiaNews - "almeno 150 feriti". Sono seguite diverse scosse di assestamento, che hanno contribuito ad alimentare il panico nella popolazione. A Mandalay, seconda città per importanza della ex Birmania, in molti hanno preferito dormire all'aria aperta nel timore di crolli. La scossa principale, avvertita anche a Bangkok, è avvenuta alle 7.42 di ieri mattina ora locale, con un'intensità di magnitudo 6,8, epicentro circa 120 km a nord di Mandalay e 52 km a nord-est di Shwebo, in un'area ancora poco sviluppata ma ricca di miniere di gemme e preziosi. Il sisma si è sprigionato a una profondità di 10 km nel sottosuolo e ha causato il crollo di un grande ponte in costruzione sul fiume Irrawaddy, nei pressi della cittadina di Sint Ku. Quattro operai sono morti, investiti dal cedimento di sostegni e pilastri in ferro. La tv di Stato birmana ha trasmesso in giornata le immagini del vice-presidente Sai Maul Hkam in visita alla cittadina di Thabeikyin, nei pressi dell'epicentro, per portare solidarietà alle popolazioni colpite e verificare in prima persona i danni. Un abitante di Mandalay riferisce ad AsiaNews il passaggio di "tre o quattro grandi elicotteri governativi", in direzione della zona colpita dal sisma, a conferma che "le autorità vogliono intervenire nel modo migliore e più rapido possibile"; al momento risultano però problemi di comunicazione con le aree più interne e remote. Scosse e terremoti accadono non di rado in Myanmar, anche se quello di ieri è il più potente registrato dal 1991. Nel marzo 2011 sono morte oltre 70 persone in un terremoto che ha colpito le aree di confine fra Myanmar, Thailandia e Laos e già allora come oggi, le autorità birmane hanno fin da subito avviato un'opera di aiuto alla popolazione, con la collaborazione di enti e Ong. Un comportamento ben diverso rispetto a quello tenuto in occasione di altri disastri, fra cui il ciclone Nargis del maggio 2008, che il regime miliare allora al potere ha cercato di nascondere agli occhi della comunità internazionale. Secondo alcune testimonianze raccolte da AsiaNews a Mandalay, molta gente ha trascorso la notte in strada, all'aperto "per paura del terremoto e per il timore di nuove scosse". Un volontario impegnato nei soccorsi conferma che vi sono danni a case, templi buddisti e scuole in diversi punti e "i morti sono 13", anche se il bilancio ufficiale è sinora fermo a sei vittime. "Fra le realtà impegnate nell'opera di assistenza - racconta un fedele - vi sono anche movimenti cattolici e gruppi giovanili", anche se tende e beni di prima necessità cominciano a scarseggiare perché la maggior parte delle scorte sono già state inviate nello Stato di Rakhine, teatro da mesi di violenze interconfessionali fra la maggioranza buddista birmana e la minoranza musulmana Rohingya. (R.P.)

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    Nigeria: danni ingenti nelle zone alluvionate dello Stato del Delta

    ◊   “La popolazione non ha mai visto un’inondazione come questa” afferma in una nota inviata all’agenzia Fides fratel fratel Damian Krzystof, missionario polacco, che opera nel vicariato apostolico di Bomadi, nello Stato del Delta, nella Nigeria meridionale, una delle aree più colpite dalla recenti inondazioni che hanno sconvolto diversi Paesi dell’Africa occidentale. “Il Niger, il fiume più grande della Nigeria, ha travolto gli argini dopo l’apertura delle dighe, sommergendo abitazioni, fattorie e strade” riporta il missionario. “Le autorità hanno deciso di aprire le saracinesche delle dighe dopo che il livello delle acque negli invasi si era pericolosamente alzato a causa delle intense piogge”. Sono sorte polemiche in quanto le autorità non avrebbero informato le comunità agricole a valle che stavano per rilasciare le acque delle dighe, impedendo così la predisposizione di misure di prevenzione. Tra gli Stati della federazione più colpiti c’è quello di Kogi (Nigeria centrale), dove le barche delle squadre di soccorso sono impegnate a recuperare gli abitanti che hanno trovato un precario rifugio sui tetti delle abitazioni. A Kogi, nel cui territorio si incontrano i due maggiori fiumi del Paese, il Niger e il Benue, un terzo delle 21 comunità locali sono invase dalle acque. Notevoli sono i danni al settore agricolo, che rappresenta il 40% del Prodotto Interno Lordo nigeriano ed impiega il 60% della forza lavoro del Paese. Almeno 150.000 ettari di terra agricola sono allagati e diversi capi di bestiame sono andati perduti. Fortunatamente prima delle inondazioni gli agricoltori avevano completato il raccolto di riso, mais, miglio e sorgo, ma rimane a rischio il raccolto di cacao. (R.P.)

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    Mali: dal Paesi dell'Africa occidentale via libera a truppe del Nord

    ◊   Un’operazione che coinvolgerà per un anno 3.300 soldati africani oltre a 5.000 unità dell’esercito di Bamako per stabilizzare le regioni settentrionali del Mali: riuniti a Abuja, i presidenti dei Paesi membri della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao/Ecowas) hanno dato il loro consenso unanime a un piano strategico militare da attuare nel vasto territorio passato sette mesi fa sotto il controllo di gruppi armati islamici e tuareg. Al vertice di Abuja - riporta l'agenzia Misna - hanno anche preso parte esperti militari dell’Unione Europea, dell’Onu e alcuni ministri dell’Algeria. I capi di Stato della Cedeao hanno avallato un piano – denominato “concetto armonizzato delle operazioni per il dispiegamento di una forza internazionale sotto la guida dell’Africa” – delineato la scorsa settimana da esperti militari maliani, africani ed internazionali. Il comunicato finale evidenzia che “il dialogo rimane l’opzione preferita per la risoluzione della crisi politica in Mali”, ma per quanto riguarda la sicurezza “l’uso della forza si avvera indispensabile contro le reti terroristiche e la criminalità transfrontaliera che minacciano la pace e la sicurezza internazionale”. A margine dei colloqui ad alto livello è emerso che il massimo contributo militare dovrebbe arrivare dalla Nigeria, che fornirà tra 600 e 700 soldati, seguita dal Niger, con 500 unità. Il resto del contingente sarà costituito da truppe provenienti da altri paesi dell’Africa occidentale – tra cui Senegal, Togo e Ghana – ma non solo; anche Ciad, Mauritania e Sudafrica potrebbero dare un contributo mentre Francia e Stati Uniti hanno offerto sostegno logistico e tecnico, in particolare per quanto riguarda le forze aeree. Al termine della riunione il presidente di turno dell’organismo regionale, l’ivoriano Alassane Dramana Ouattara, ha espresso l’auspicio che il Consiglio di sicurezza possa dare il suo via libera al piano per un intervento “imminente”; entro il 26 novembre l’Unione Africana lo presenterà formalmente alla massima istituzione Onu. Nel frattempo a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, i mediatori della Cedeao “porteranno avanti i negoziati con quei movimenti che vogliono prendere le distanze dal terrorismo” ha aggiunto il capo di stato ivoriano. Secondo Ouattara, “la marcia verso una soluzione politica negoziata ci consentirà di portare avanti un intervento militare in modo più disteso e di identificare meglio i bersagli e i terroristi da combattere”. Dal canto suo il presidente nigeriano, Goodluck Jonathan, il cui Paese deve far fronte al gruppo estremista Boko Haram, ha avvertito che “bisogna cacciare i ribelli e gli anarchici che hanno trasformato il Nord del Mali in una zona al di fuori della legge”, premendo per un intervento “teso ad evitare conseguenze dannose non solo per il Mali ma per tutta l’Africa”. Tuttavia la solidarietà dimostrata dall’Africa e dalla comunità internazionale non coincide con un fronte altrettanto unito a Bamako, dove classe politica e forze della società civile rimangono divise tra sostenitori della transizione, sotto la guida del presidente Cheick Modibo Diarra, e quelli della giunta militare che lo scorso marzo ha destituito l’ex presidente Amadou Toumani Touré. Da settimane queste profonde divisioni hanno bloccato l’avvio del processo di consultazioni in vista delle prossime scadenze politiche; elezioni dovrebbero tenersi nella primavera 2013. (R.P.)

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    Irlanda: vittoria dei "sì" nel referendum sui diritti dei bambini da includere nella Costituzione

    ◊   Il 58% dei votanti ha detto 'si' al referendum, indetto dal Governo irlandese, sui diritti dei bambini, mentre il 42% ha votato contro. Solo il 33% degli aventi diritti al voto si è recata alle urne. Il nuovo articolo introduce una dichiarazione esplicita nella Costituzione irlandese in cui si riconoscono i diritti naturali e inviolabili dei piccoli, affermando che lo Stato ha l’obbligo di assicurare, per quanto possibile, che questi diritti siano protetti e proclamati. Tale esplicita garanzia non era contenuta nella Costituzione e da ora, per esempio, adottare bambini dovrebbe risultare più facile. La maggioranza, con tutti i partiti politici schierati a favore del 'si', esulta per il risultato. Il fronte del 'no', che non veniva rappresentato da importanti personalità e che pochi giorni prima del voto ha visto la Corte Suprema irlandese definire “ingiusta, parziale e non dello stesso peso” la pubblicità per il 'si', presentata dal Governo, sul referendum – che ha speso un milione di euro per la produzione e diffusione di un libretto informativo - si è detto soddisfatto del risultato, sostenendo ancora una volta che l’emendamento referendario non comporta novità rispetto al testo precedente della Costituzione e che anzi la famiglia è stata svuotata della sua responsabilità nel salvaguardare i diritti dei figli. La bassa percentuale dei votanti è stata addebitata alla convergenza dei partiti politici sul 'si', alla mancata discussione su giornali, radio e televisione del contenuto referendario e al fatto che si votava per la prima volta di sabato. (Da Dublino, Enzo Farinella)

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    Brasile: per la violenza a San Paolo sospese le Messe e gli incontri parrocchiali della sera

    ◊   Dato l'aumento dei fatti di violenza e il crescente numero di omicidi nello Stato di San Paolo, l'arcivescovo metropolita, il cardinale Odilo Pedro Scherer, ha raccomandato ai fedeli di pregare per la pace. Il cardinale ha chiesto che l’invito alla preghiera sia diffuso attraverso i media e i media digitali, e ha esortato tutte "le persone, le famiglie, i gruppi, le comunità e le parrocchie a pregare per la pace nella nostra città". Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, l’invito è motivato dalla violenza, arrivata al punto che le scuole hanno dovuto ridurre l'orario delle lezioni, molte linee di autobus hanno cambiato percorso e i negozi chiudono prima. Anche se il coprifuoco non è stato dichiarato dalle autorità, la comunità vive come se ci fosse. Perfino nelle chiese cattoliche della periferia i sacerdoti hanno cancellato le Messe e gli incontri serali nelle parrocchie. Nel fine settimana del 3 e 4 novembre sono morte di morte violenta o per arma da fuoco 26 persone. Altre 20 nel fine settimana appena trascorso. Gran parte degli omicidi che hanno per obiettivo le forze di polizia, ha come mandante il gruppo noto come "Primo Comando della Capitale" (Pcc), un’associazione creata nel 1993 dai prigionieri del carcere di massima sicurezza di Taubaté, vicino a Sao Paulo, che ora opera dentro e fuori dalle prigioni di Stato: oltre ad essere autori degli omicidi delle forze di polizia, gestiscono il traffico di droga e commettono diversi altri reati. Dall'inizio dell'anno sono almeno 90 i poliziotti uccisi a San Paolo dalla criminalità organizzata, probabilmente come forma di ritorsione rispetto agli ultimi arresti dei capi di diversi clan. La Presidente brasiliana Dilma Rousseff ha convocato il governatore dello Stato di San Paolo, Geraldo Alckmin, per elaborare un piano comune per combattere il crimine. (R.P:)

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    India: in Orissa dissacrato un cimitero cristiano nel Kandhamal

    ◊   Il cimitero cristiano del villaggio di Midiakia (distretto di Kandhamal, Orissa) è stato dissacrato da un gruppo di sconosciuti. La notizia è stata diffusa solo ieri, ma il rev. Gaurango Nayak, pastore della Chiesa metodista, ha scoperto l'accaduto una settimana fa, quando si è recato nel camposanto per pregare. Gli autori del gesto - riporta l'agenzia AsiaNews - hanno rimosso le croci da ogni tomba e abbattuto alcuni alberi e cespugli. Secondo il pastore, "nei prossimi due giorni, anche tutti i tumuli saranno dissestati". Per il momento, i leader delle Chiese locali hanno denunciato il fatto a polizia e funzionari, ma i responsabili non sono stati ancora arrestati. Gli agenti hanno posto l'area sotto l'art. 145 (assemblea illegale) del Codice penale, per evitare che entrambe le parti si introducano nel camposanto. Il villaggio di Midiakia si trova a circa 15 km a sud di Balliguda, e accoglie cristiani di denominazione cattolica, metodista e battista. Diverse volte in passato è stato teatro di azioni violente o offensive contro i cristiani. Durante i pogrom del 2008, i nazionalisti indù hanno saccheggiato tutte le abitazioni. Il 26 luglio del 2011, il pastore protestante Michael Nayak è stato ucciso in un agguato di radicali indù, ma nonostante le prove la polizia ha chiuso il caso come incidente. All'agenzia AsiaNews Sajan K George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), si dice "molto preoccupato" per la "sinistra, subdola e continua persecuzione contro i cristiani del distretto di Kandhamal". "Il Gcic - aggiunge - condanna la dissacrazione del cimitero di Midiakia, e rinnova la sua richiesta di investigare sul caso di Michael Nayak e altri casi analoghi, per garantire giustizia alla comunità cristiana". John Dayal, attivista e membro del National Integration Council del governo centrale indiano, ha presentato il fatto a due membri della Commissione nazionale per le minoranza, ma non ha ancora ricevuto risposta. "È l'ennesima orribile storia di Kandhamal - ha dichiarato Dayal -, e come al solito il governo dell'Orissa continua a negare". (R.P.)

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    Sri Lanka: i vescovi chiedono al governo di rispettare l’indipendenza della magistratura

    ◊   Una minaccia all'indipendenza della magistratura: così la Conferenza episcopale dello Sri Lanka (Cbcsl) definisce la mozione di impeachment approvata dal governo contro Shirani Bandaranayake, presidente della Corte suprema e prima donna a ricoprire tale carica. Presentata dalla coalizione in carica (United People's Freedom Alliance - Upfa) e firmata da 117 deputati, la mozione è stata accettata dal presidente del Parlamento. L'interpellanza parla di 14 capi di imputazione, tra cui patrimoni non dichiarati e violazione di disposizioni costituzionali, senza però scendere in ulteriori dettagli. La donna ha sempre negato le accuse. Società civile, leader cattolici e buddisti e membri della comunità internazionale hanno criticato la mossa, vista come l'ennesimo tentativo da parte del governo di interferire con la magistratura. Intanto, su indicazione del cardinale Malcolm Ranjith il Comitato affari interni dell'arcidiocesi di Colombo ha emesso un comunicato ufficiale sulla mozione. Nella nota ripresa dall'agenzia AsiaNews, i vescovi dichiarano di "attendere con ansia" la pubblicazione delle accuse contro la Bandaranayake, e si augurano che "la mozione non dipenda dal possibile disappunto legato ad alcune sentenze emesse contro lo Stato", ma "si basi su veri atti di cattiva condotta". Di recente infatti, la Corte suprema ha rallentato l'iter burocratico per l'approvazione di un disegno di legge, che proponeva il trasferimento dei poteri delle province al governo centrale. In un caso analogo, la donna ha ritardato il passaggio di una bozza di legge, che stabiliva il passaggio dei fondi destinati allo sviluppo sotto il controllo del ministero dello Sviluppo economico. Dicastero guidato da Basil Rajapaksa, fratello del presidente Mahinda Rajapaksa. "Secondo la Costituzione - notano i vescovi cattolici - il Parlamento ha il potere di accusare un giudice per cattiva condotta. La nostra Carta conferisce la sovranità al popolo e non al parlamento. Ma a differenza delle altre repubbliche presidenziali, dove c'è una chiara divisione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, in Sri Lanka è il parlamento a esercitare il potere giudiziario attraverso i tribunali. Le autorità costituzionali considerano la separazione dei poteri essenziale per la salvaguardia dell'indipendenza della magistratura. Questa mancanza nella nostra Costituzione chiede di essere sanata al più presto". Per il Comitato, il presidente della Corte suprema "deve avere gli stessi diritti di difesa riconosciuti ai cittadini accusati di un crimine". Questo, sottolinea, include "la possibilità di difendere se stessa, essere rappresentata da un consiglio, l'esame incrociato di testimoni". Infine, sottolineano i vescovi firmatari, "speriamo che questa mozione non distolga l'attenzione del governo da problemi più urgenti, come la riconciliazione tra le comunità e la ricerca di una soluzione politica alle richieste del popolo tamil". La Costituzione dello Sri Lanka conferisce al presidente l'autorità di nominare il capo della Corte suprema, ma non quella di revocarlo dalla carica. Solo un'interpellanza parlamentare - come nel caso della Bandaranayake - può destituirlo dall'incarico. (R.P.)

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    Filippine: la mano di gruppi paramilitari dietro l'assassinio di padre Tentorio

    ◊   Le milizie paramalitari attive nell'Arakan Valley (North Cotabato, Mindanao) avrebbero dato l'ordine di uccidere padre Fausto Tentorio, il missionario del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere) morto il 17 ottobre 2011 in un agguato. Ad dichararlo è un membro della Bagani Special Force, truppa paramilitare utilizzata dall'esercito per combattere i guerriglieri maoisti del New People's Army (Npa). Padre Giovanni Re, superiore regionale del Pime, conferma la notizia, apparsa nei giorni scorsi sui giornali filippini, ma avverte che "le indagini sono ancora in corso e occorre valutare l'attendibilità dei testimoni". Al momento - precisa l'agenzia AsiaNews - l'esercito nega qualsiasi coinvolgimento nell'uccisione del sacerdote. Per la sua attività a favore dei tribali manobo minacciati dallo sfruttamento delle miniere, padre Tentorio era mal visto dall'esercito. Secondo i militari, egli avrebbe avuto legami con i membri dell'Npa, che più di una volta avevano elogiato il suo operato. Tuttavia, durante i suoi anni di missione padre Tentorio ha sempre denunciato i crimini dei maoisti che utilizzano il problema dei tribali per condurre la loro battaglia ideologica contro l'esercito e il governo di Manila. In dicembre la polizia ha arrestato i presunti killer del sacerdote Jimmi Ato e Robert Ato, ma a tutt'oggi i mandanti e le ragioni dell'omicidio sono sconosciute. Soprannominato dalla popolazione "padre Pops", il missionario ha lavorato per oltre 32 anni nelle Filippine. Ai suoi funerali celebrati il 25 ottobre 2011 hanno partecipato migliaia di persone provenienti da diverse parti dell'isola di Mindanao. Molti di loro hanno viaggiato chilometri per dare l'ultimo saluto alla sua salma. Padre Tentorio è il terzo sacerdote del Pime ucciso nelle Filippine, dopo padre Tullio Favali e padre Salvatore Carzedda, assassinati nel 1985 e nel 1992. (R.P.)

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    Bolivia: 50 anni della Conferenza episcopale a difesa dei valori umani e cristiani

    ◊   “Nei suoi 50 anni, la Conferenza episcopale non è mai stata al margine della vita del Paese, caratterizzato, da una parte, dai gravi problemi sociali come la povertà, la manipolazione e la discriminazione di ampi settori della società e, dall’altra, dal difficile cammino nella costruzione di una democrazia reale, stabile e matura”. Queste le parole pronunciate dal cardinale Julio Terrazas Sandoval, arcivescovo di Santa Cruz e, fino a sabato, presidente della Conferenza episcopale della Bolivia, nel discorso di apertura dell’Assemblea plenaria, che si svolge fino a domani a Cochabamba, nel centro del Paese. Il porporato boliviano ha ripercorso la storia dell’organismo episcopale - nato nello spirito di rinnovamento del Concilio Vaticano - insieme alla storia della nazione sudamericana, costatando che, in questo momento, alla Chiesa è richiesto un “servizio lungimirante e opportuno” per far fronte alle nuove situazioni che minacciano la dignità, la libertà e la vita stessa dei boliviani. Tra i più gravi, il cardinale Terrazas ha individuato l’espansione del narcotraffico che corrode alla società e sgretola il futuro dei giovani. E ancora, la proliferazione dei carceri come risposta alla violenza, la detenzione di persone condannate senza processo, e perfino l’imputazione di crimini a minori di età che invece dovrebbero ricevere un’educazione alla responsabilità e alla libertà. “La giustizia continua a mostrare forme e volti di un passato di manipolazione e intimidazione” ha detto il porporato rilevando l’urgenza di una legittima amnistia e di una qualità di vita dignitosa per le persone private della libertà. Il cardinale Terrazas ha incoraggiato i vescovi riuniti in Assemblea a continuare a promuovere e difendere i valori umani e cristiani. “E’ nostro dovere - ha aggiunto il porporato boliviano - lasciarci guidare dagli orientamenti di Aparecida, dalle esigenze dell’Anno della Fede e dall’audacia della Nuova Evangelizzazione”. Tra le prime decisioni dell’Assemblea, è stata rinnovata la direttiva della Conferenza episcopale per la gestione 2012-2015, con l’elezione di mons. Oscar Aparicio, presidente; mons. Ricardo Centellas, vicepresidente; e mons. Eugenio Scarpellini, segretario generale. Ieri tutti i vescovi della Conferenza episcopale boliviana hanno festeggiato il 50° anniversario di fondazione, con una Messa di ringraziamento, nella cattedrale di Cochabamba, nella quale hanno dato il via all’Anno della Fede a livello nazionale. (A.T.)

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    Asia: quale visione e quali speranze per Anno della Fede e nuova evangelizzazione

    ◊   “Il nostro umile servizio è aiutare la società moderna a ritrovare un’anima. Nell’Anno della Fede è necessario riportare la fede nei diversi contesti di vita. In Asia occorre cercare un terreno comune con persone di convinzioni diverse, al fine di contribuire alla ricerca della Verità”: è quanto dichiara all’agenzia Fides mons. Thomas Menamparampil, arcivescovo di Guwahati (India) e responsabile dell’Ufficio per l’Evangelizzazione in seno alla Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia (Fabc), parlando di come le comunità cattoliche in Asia vivranno l’Anno della Fede. L’argomento, spiega l’arcivescovo, è stato sviscerato in un seminario promosso dalla Fabc a Bangkok nei giorni scorsi, con la partecipazione di 39 fra vescovi, teologi, animatori pastorali, leader di movimenti ecclesiali, sul tema “Una visione di fede per l'Asia”. La consultazione, programmata per approfondire le tematiche del Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione, ha offerto spunti su come la fede possa essere vissuta in Asia, nei diversi contesti di vita, nei diversi Paesi e nei diversi ambiti della società: politica, economia, università, mass-media, arte e spettacolo. (L.F.)

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    Angola: nuova casa di accoglienza per i bambini di strada

    ◊   A Luanda, in Angola, sono tanti i bambini che dormono per strada, in case disabitate o nei parchi, inalano benzina per cercare di far fronte alla fame e per darsi coraggio per sopravvivere in strada. Grazie ad una nuova iniziativa dei missionari salesiani, per alcuni di questi piccoli inizia una nuova vita. Si tratta della casa San Kizito, un Centro di prima accoglienza che funziona come Centro giornaliero e notturno. I piccoli possono lavarsi, mangiare, giocare e dormire. Attualmente sono ospiti della casa 600 bambini e giovani, inoltre, ogni settimana vengono avvicinati oltre 250 adolescenti. In Angola sono migliaia i bambini che abbandonano le proprie famiglie o che rimangono orfani e finiscono per le strade. “Apriamo le braccia affinchè nessuno faccia un passo indietro” è il motto di questo nuovo Centro. (R.P.)

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    Caritas-Migrantes: "no" all'accoglienza occasionale e d'emergenza dal Nord Africa

    ◊   Interventi urgenti in favore delle persone accolte in seguito all’emergenza del Nord Africa. È quanto chiedono, in un comunicato congiunto reso noto oggi ripreso dall'agenzia Sir, Caritas Italiana e Fondazione Migrantes ricordando quanto espresso dalla Commissione episcopale per le migrazioni (Cemi) lo scorso 2 ottobre. I vescovi avevano manifestato la loro preoccupazione per l’approssimarsi della data del 31 dicembre 2012, quando è prevista la chiusura dell’emergenza nord africana e delle relative strutture di accoglienza: “I disagi e le numerose difficoltà burocratiche, economiche e sociali vissute dai centri e dalle comunità di accoglienza, molte delle quali nelle nostre diocesi, parrocchie e negli istituti religiosi - scrivono Caritas e Migrantes - inducono a tornare sulla prossima scadenza di fine anno per chiedere interventi volti a far uscire le persone da forme di accoglienza occasionali ed emergenziali”. Da un monitoraggio condotto dalla rete delle Caritas diocesane impegnate nell’accoglienza è emerso che circa il 60% delle persone è ancora in attesa di ricevere uno status definitivo, o di conoscere l’esito del procedimento amministrativo o di quello giudiziario. I due organismi della Cei prendono atto del recente provvedimento del Governo volto ad attivare una procedura per il rilascio del permesso umanitario, rinnovando l’istanza precedentemente negata. Si tratta però “di una procedura che rischia di essere macchinosa e che potrà essere realizzata efficacemente solo con l’apporto congiunto degli attori istituzionali e degli enti di tutela”. Da qui l’auspicio di “un intervento urgente delle Autorità competenti per l’adozione di misure volte a superare le suddette criticità, a partire dal tempestivo rilascio di un permesso di soggiorno alle persone in accoglienza, nonché la necessaria proroga dell’accoglienza per le categorie cosiddette vulnerabili. A tal fine sottolineiamo l’opportunità di un coinvolgimento delle maggiori organizzazioni di tutela per definire un piano di misure concrete da attuare nel breve periodo, così come accaduto nella fase iniziale di questa emergenza durante la quale è stata data la disponibilità all’accoglienza di migliaia di profughi”. Con i vescovi della Cemi, Caritas e Migrantes sottolineano che “la prospettiva realistica di nuovi flussi verso l’Italia di persone che vivono il dramma della fuga per ragioni politiche e religiose non permette di lasciare ulteriormente nella precarietà strutture e percorsi di accoglienza e protezione umanitaria nel nostro Paese”. (R.P.)

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    Italia: il Parlamento celebrerà 10 anni della visita del Beato Giovanni Paolo II

    ◊   Mercoledì 14 novembre, alle 11, nello stesso orario in cui 10 anni fa Giovanni Paolo II varcava la soglia del Parlamento italiano per la sua storica visita, la Camera dei deputati organizza una cerimonia presso la Sala della Regina di Palazzo Montecitorio. Introducono l’appuntamento il presidente della Camera, Gianfranco Fini, il presidente del Senato della Repubblica, Renato Schifani. Intervengono Pier Ferdinando Casini, presidente della Camera nel 2002, e il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana. Nel corso della cerimonia, trasmessa in diretta sulla webtv di Montecitorio (http://webtv.camera.it), verrà proiettato un filmato con le immagini della visita di Giovanni Paolo II e sarà consegnata una targa dedicata a Benedetto XVI. (R.B.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 317

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.