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Sommario del 22/03/2012
◊ Domani mattina Benedetto XVI inizierà la lunga trasferta aerea verso il Messico, prima tappa del suo 23.mo viaggio apostolico, che si concluderà il 29 marzo, dopo tre giorni di visita anche nell'Isola di Cuba. In particolare, le città messicane di Guanajuato e León contano ormai i minuti per stringere in un affettuoso abbraccio il Papa, come racconta in questo servizio il nostro inviato a León, Giancarlo La Vella:
“Papa Benedetto, ti accogliamo a braccia aperte”: Questo uno dei tanti indirizzi di saluto che campeggia negli enormi manifesti che tappezzano le città di León, Silao e Guanajuato. Tutta la regione si è vestita a festa per l’abbraccio al Papa, una festa fatta non solo di aspetti esteriori, ma di motivazioni profonde, custodite nei cuori di ciascuno dei cittadini di questa ridente regione messicana. Lo si percepisce dagli sguardi, dai sorrisi, dai commenti che sempre più fanno da colonna sonora alla vita che in queste ore di attesa continua a scorrere. Dopo le cinque visite di Giovanni Paolo II, anche la visita di Benedetto XVI rimane un evento unico per Guanajuato, lo Stato più cattolico del Messico. Sentiamo Carlos e Rosa, una coppia di sposi, che parteciperà con la propria famiglia ai vari incontri con il Pontefice.
“Es para nosotros y para mi en particular mucho, mucho importante. …
(Carlos) E’ per tutti noi un evento molto importante. E’ una grazia per tutto il nostro Paese, colpito dalla violenza: il Papa uomo di pace e di speranza che viene in nome di Gesù Cristo.
“Sentimos que es tan grande algo que nos va traer para el bien de la familia …
(Rosa) Sentiamo che porterà qualcosa di importante per il bene della famiglia, per fermare il fenomeno di disintegrazione che c’è oggi del nucleo familiare. Valori fondamentali da insegnare ai nostri figli.
Il Pontefice, dunque, messaggero di pace e di speranza. Queste le parole chiave del viaggio papale per gente che cerca oggi a tutti i costi di uscire dall’emergenza violenza, fatta di soprusi, sequestri, uccisioni, spesso rivolti contro la popolazione civile inerme. La presenza e le parole del Santo Padre potranno essere un modo per rifondare il Paese – scrive una dei maggiori quotidiani – sui valori cristiani della fratellanza e della pacifica convivenza.
Le città di Guanajuato e León non furono mai toccate da Giovanni Paolo II nelle sue cinque visite in Messico. Il nostro inviato, Giancarlo La Vella, ha domandato all’arcivescovo di León, mons. Martin Rabago, di descrivere il clima di attesa fra la gente per questo primo incontro con il Papa:
R. – Yo podría decir que lo espirito general de la populación es de una inmensa…
Io posso dire che lo spirito generale della popolazione è di un’immensa gioia, una gioia incontenibile nella maggioranza della popolazione. Questa è una città che vanta una solida tradizione cattolica, dove circa il 94 % della popolazione si dichiara credente: è la percentuale più alta nella Repubblica del Messico. Inoltre, a differenza di altre città del Paese che hanno già ricevuto in diverse occasioni la visita del Papa con Giovanni Paolo II, la città di León non è mai stata visita da alcun Pontefice. La novità della visita papale ha fatto sì che tutta la città si mettesse in movimento. C’è già una tale mobilitazione, uno spirito di cooperazione, una forte disponibilità da parte delle persone nel collaborare e aiutare in tutto quanto sia necessario per poter dare il migliore benvenuto al Papa Benedetto XVI.
D. – Tutto il popolo messicano vive la fede in maniera molto intensa ed emozionale: la città di León si allinea a questo modo di sentire?
R. – Sí, es una ciudad que vive mucho de una religiosidad popular…
Sì, è una città che vive una religiosità molto popolare e questa è una caratteristica dell’espressione religiosa in generale del Messico e dell’America Latina. Riferendomi però concretamente alla diocesi di León, posso dire che il vivere una religiosità di tipo popolare rappresenta certamente un valore. Abbiamo però bisogno anche di evangelizzazione, perché una fede che viene vissuta soltanto con l’impulso della tradizione è fragile. Per questo, siamo coscienti del bisogno di rafforzare i valori che caratterizzano il nostro credo, attraverso l’evangelizzazione, centrata nella Parola di Dio, nella pratica dei Sacramenti, affinché tutto questo si traduca poi in una vita di maggiore coerenza e di maggiore autenticità, così che non vi sia soltanto una fede fatta di emozioni e di folklore, ma radicata nei valori concreti della vita familiare, della vita sociale, della vita politica, della vita economica: questo è lo scopo del lavoro di evangelizzazione che stiamo realizzando.
D. – Che cosa può donare il Pontefice ad una comunità così impegnata?
R. – Bueno, yo creo que el Papa vendrá a darle continuidad a los trabajos…
Io credo che il Papa verrà a dare continuità al lavoro iniziato nella V Conferenza generale dell’episcopato latino-americano di Aparecida. Siamo in linea con quello che i vescovi di Aparecida si sono proposti, lanciando la Missione continentale. Credo quindi che il Papa verrà anzitutto a entusiasmarci, a spronarci nel continuare su questa linea di lavoro, già chiaramente delineata. Non conosco le parole che il Santo Padre ci rivolgerà, ma sono sicuro che saranno parole in continuità con il discorso inaugurale che tenne ad Aparecida. In modo particolare – riguardo proprio alla situazione drammatica relativa alla violenza che sta vivendo il Messico – credo che il Papa ci inviterà soprattutto a cercare di creare una soluzione più fraterna, più solidale, dalla quale possa nascere quella pace che tanto aneliamo e ci porti al superamento dei problemi dai quali nasce la violenza. Questa piaga è solo la manifestazione di altri problemi più profondi, come quello della disuguaglianza sociale, la mancanza di opportunità o la corruzione. Tutto questo deve essere tenuto in conto. Riferendoci a quelle che saranno le parole del Papa, dobbiamo impegnarci a costruire, partendo dal Vangelo, una società che abbia una visione più cristiana.
D. – A proposito di questo, nella diocesi di León, è più preoccupante l’emergenza economica, sociale o quella, come lei diceva, della violenza?
R. – No, no somos de la ciudad mas violenta del País…
No, noi non siamo tra le città più violente del Paese. Credo che, al contrario, nonostante ci siano anche qui episodi di violenza, la città in generale e la diocesi di León si possa considerare come uno dei luoghi più pacifici del Messico. Possiamo, al contrario, affermare che abbiamo problemi di povertà: c’è una parte grande della popolazione che vive in povertà, soprattutto nella periferia della città, dove vivono le persone che arrivano dalle zone rurali. Inoltre, quest’anno abbiamo avuto un’emergenza reale in quelle zone, della quale abbiamo sofferto, causata dalla mancanza di pioggia. Nella stagione umida, quest’anno è piovuto poco e niente e questo ha colpito enormemente la popolazione contadina. Tutto questo ci porta a vivere una condizione di grave povertà, di mancanza di occupazione, che evidentemente rappresenta un fattore di preoccupazione particolare.
D. – Quali sono le parole che lei come pastore rivolge periodicamente alla sua comunità?
R. – En general, lo que se predica es lo evangelio…
In generale, quello che si predica è il Vangelo. Al tempo stesso, però, predicando quelli che sono i valori perenni del Vangelo, cerchiamo di dare delle indicazioni sugli orientamenti della Dottrina sociale della Chiesa. Nel compendio della Dottrina sociale della Chiesa, si dice che l’impegno della vita cristiana si combina con un’azione caritativa, che deve tradursi in opere di solidarietà. Nella città di León c’è un piccolo gruppo di persone che ha un grande potere economico: è necessario che queste persone siano sensibili non solamente a fare atti di carità, ma a creare nuovi posti di lavoro, cercando di creare nuove forme di attività, dove le persone lavorando possano ricevere una paga adeguata. Questa città vive principalmente dell’industria di calzature, pelle, cuoio e scarpe. Ci sono imprenditori che hanno una sensibilità sociale molto positiva e questo è una cosa buona, ma ci sono anche altri che hanno delle imprese ricche con operai poveri. Questo è ciò che denunciamo costantemente: ripetiamo di continuo che non è possibile che alcuni partecipino alla Messa domenicale e abbiano poi un comportamento poco rispettoso e poco solidale con i loro stessi lavoratori. Abbiamo, inoltre, una grande preoccupazione per la gioventù, che sta assorbendo l’impatto di una cultura postmoderna: nonostante León sia una città fondamentalmente cattolica, tra i giovani si percepisce un clima relativista, tendente all’individualismo, all’edonismo. Insomma, ciò che si respira ormai in tutto il mondo.
D. – State preparando qualche motto particolare per esprimere il vostro affetto negli incontri che avrete con Benedetto XVI?
R. – Bueno, las manifestaciones que tendremos van muy a tono con lo que es…
Le manifestazioni che avremo sono certamente in linea con quelle che sono le caratteristiche della cultura messicana. Siamo un popolo festoso, sappiamo cantare, sappiamo gridare, sappiamo emozionarci fino ad arrivare alle lacrime: tutto ciò lo esprimeremo profondamente nelle diverse occasioni in cui la comunità si incontrerà con il Papa. Si stanno già preparando i gruppi musicali caratteristici del Messico, che sono i “mariachi”: una rappresentazione di gruppi di “mariachi” riceverà il Papa all’aeroporto e lo accompagneranno durante il tragitto che Egli percorrerà con la Papamobile: Benedetto XVI sarà accompagnato da gruppi musicali, da manifestazioni folkloristiche, da danze. Tutte queste sono espressioni caratteristiche della nostra cultura. La nostra gente ama molto quelle che noi chiamiamo “porras”, che sono delle manifestazioni vissute insieme, in coro, per esprimere la propria gioia riguardo a qualche avvenimento. E quindi “porras” per il Papa: per esprimere la nostra gioia di averlo fra di noi. (mg)
L'attesa del Papa a Cuba: "Fede forte e vocazioni grazie al lavoro delle parrocchie"
◊ Anche la Chiesa cubana conta i giorni che la separano dall'arrivo di Benedetto XVI, lunedì prossimo. Il Papa visiterà la comunità di Santiago di Cuba e de L'Avana e celebrerà con loro in modo solenne il 400.mo anniversario del ritrovamento della statuetta della Virgen de la Caridad del Cobre, Patrona dell'Isola caraibica. Sulla vita della Chiesa a Cuba, Luca Collodi ha intervistato padre Ariel Suarez, vicerettore seminario arcidiocesano San Carlos y San Ambrosio a L’Avana, tornato a formare sacerdoti dopo 50 anni di assenza:
R. – Non è giusto dire che il seminario sia tornato a formare sacerdoti: non è stata mai interrotta la formazione sacerdotale in questi ultimi 50 anni della storia di Cuba. C’è stato sempre il seminario a L’Avana e ci sono sempre stati i seminaristi. La novità consiste nel fatto che abbiamo una nuova sede da novembre 2010. Il vecchio seminario è diventato un centro culturale per la formazione dei laici e si trova al centro de L’Avana vecchia. Nel gennaio del 1998, lo stesso Giovanni Paolo II aveva benedetto la prima pietra della nuova sede del seminario e abbiamo ormai un posto meraviglioso, in mezzo alla campagna, a 20 minuti dalla cattedrale in macchina, che fornisce condizioni qualitativamente migliori per lo studio, per la preghiera, per la vita fraterna e per la pratica dello sport.
D. – Come prosegue la formazione intellettuale e spirituale dei futuri sacerdoti cubani?
R. – Il nostro seminario, a livello di formazione intellettuale, si è visto particolarmente arricchito con il fatto che dal 2005 collaboriamo con la facoltà di Teologia dell’Università Gregoriana di Roma. Come risultato di questo fruttuoso rapporto, alcuni nostri studenti, dopo aver finito i loro studi a L’Avana, vanno a Roma per la licenza e tornano dopo la laurea per insegnare in seminario, contribuendo a migliorare la qualità dell’insegnamento ai seminaristi. Una cosa significativa che posso aggiungere è che per la visita di Benedetto XVI stiamo approfondendo ogni lunedì di Quaresima un testo del Santo Padre, rivolto ai seminaristi: sia la lettera che ha indirizzato ai seminaristi del mondo intero nell’ottobre del 2010, che altri discorsi ed omelie, come quella ai seminaristi di Friburgo, in Germania, e quello pronunciato in occasione della Giornata mondiale della Gioventù di Madrid.
D. – Che tipo di vocazioni nascono a Cuba?
R. – Le vocazioni sia maschili che femminili provengono fondamentalmente dalle parrocchie. Dove c’è una parrocchia viva, allegra, dove si respira entusiasmo, dove c’è una parrocchia centrata sul Signore, dove c’è vita di preghiera, carità verso i bisognosi e missione, lì in genere nascono le vocazioni. Dietro a tutto questo, c’è di solito la figura di un prete o di una suora. In questo momento, abbiamo nel seminario sia giovani che dopo il liceo hanno deciso di seguire il Signore nel sacerdozio, ma anche tanti laureati universitari che hanno scoperto la chiamata dopo anni di studi e altri che provengono dal mondo del lavoro.
D. – Nella realtà cubana, quanto conta la formazione umana dei sacerdoti ?
R. – La ringrazio per questa domanda, perché forse ho dimenticato di dire in precedenza che la maggioranza delle vocazioni a Cuba sono di giovani che non hanno dietro una famiglia cristiana. Molti di loro hanno conosciuto Gesù e la Chiesa nell’adolescenza o nei primi anni di gioventù, il che vuol dire che si sono convertiti da grandi. In linea di massima, un convertito ha tutto l’ardore e l’entusiasmo di chi si apre al Vangelo e lo scopre come un tesoro, ma contemporaneamente ha tutta la fragilità di chi ha radici piccole e deve maturare con il passare del tempo. In questo senso, la formazione umana è più che mai necessaria. Tentiamo di offrire ai seminaristi il contributo psicologico imprescindibile per poter accettare la propria storia e verificare se saranno in grado di vivere gli impegni tipici di un sacerdote, che includono ovviamente il celibato, ma soprattutto la capacità di donarsi ai fratelli semplicemente, con umiltà e povertà: così come vivono i preti a Cuba, senza grande riconoscimento sociale, con poco rilievo riguardo ad altre forme di vita, con poche risorse.
D. – E' così difficile fare il prete a Cuba?
R. – Devo dire che la parrocchia, in questi ultimi 50 anni, è stata veramente il cuore della vita ecclesiale cubana. Pensate che la nostra Chiesa non ha scuole, università, accesso ai mass media. Nonostante ciò, con fatica e sofferenza, si è inserita in nuovi ambiti. Una parrocchia in città non è uguale ad una parrocchia in campagna, e una parrocchia gestita da religiosi o da un prete diocesano non sono uguali. C’è sempre una grande varietà e una grande ricchezza. Troviamo un’incredibile creatività: la mensa parrocchiale per i poveri, le ripetizioni ai ragazzi che devono fare l’esame per l’ingresso all’università, corsi di lingue e di informatica, progetti per autistici o bambini con sindrome di down e così via. Riguardo alla missione vorrei dire che in tanti posti dell’isola, soprattutto in campagna, dove non c’è la struttura della Chiesa, lì si è creata da più di 20 anni un’esperienza che noi chiamiamo “la casa di missione”: un laico apre le porte, i locali della sua casa, per la preghiera, la catechesi, la lettura e la meditazione della Bibbia. Il parroco più vicino celebra ogni tanto i sacramenti, ma abitualmente sono i laici, o alcune suore, i responsabili del lavoro nella casa di missione.
D. – Padre Suarez, questo significa che mancano i preti?
R. – Il lavoro del parroco è troppo grande, troppo faticoso. Siamo il Paese dell’America Latina con meno sacerdoti per abitanti e questo vuol dire che un sacerdote a Cuba può essere contemporaneamente parroco di tre, quattro, sei o sette comunità. In zone di campagna, questo significa anche percorrere tanti chilometri di strada, per la lontananza. Tenere tutti questi movimenti, gruppi, in ogni comunità, è una grande fatica, che si fa ovviamente in collaborazione con i laici, con le suore, con questa esperienza di famiglia che noi abbiamo tanto a cuore, perché è stata l’esperienza vissuta dalla nostra Chiesa in tutti questi anni.
D. – Che sfide attendono la Chiesa cubana, alla vigilia dell’anno dedicato alla fede?
R. – L’evangelizzazione sarà la priorità della Chiesa di Cuba, perché il pellegrinaggio fatto con la statua della Madonna della Carità ci ha dimostrato che il popolo cubano è religioso, ama la Madonna e vuole pregare e incontrare Dio. Nel nostro popolo c’è una grande ignoranza a livello di fede e tanti nostri atteggiamenti e comportamenti, come popolo, non hanno il volto della fede. Voglio sottolineare che l’evangelizzazione significherà uscire dalle chiese e andare a cercare la gente. Dobbiamo convertirci a questa nuova presenza: bisogna andare incontro alla gente. Il Papa lo fa con i suoi 84 anni e ci ha parlato anche del Cortile dei Gentili. Trovo che sia un dono della Provvidenza l’Anno della Fede a cui ci ha convocato, e siccome vuole iniziarlo con un Sinodo dei vescovi che rifletterà sulla nuova evangelizzazione, ho la speranza, e la sento come un appello di Dio a tutta la Chiesa, che si intraprenda una nuova evangelizzazione. (ap)
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Nell'informazione vaticana, le interviste di Mario Ponzi all'arcivescovo di Leon, alla vigilia dell'arrivo del Papa in Messico, e all'arcivescovo di San Cristobal de la Habana, sulle attese di Cuba.
La crisi dopo la tempesta: in rilievo, nell'informazione internazionale, le valutazioni del presidente della Bce, Mario Draghi, sulle prospettive dell'economia europea.
Professor Ratzinger ci parli della felicità: in cultura, raccolte in volume le lezioni tenute negli anni Settanta alla Facoltà teologica del Triveneto.
Quelle lettere imbucate nel cuore della notte: Paolo Vian sulla ricerca e l'edizione dei carteggi di Giuseppe Toniolo.
Nella biblioteca del vescovo si riflette la svolta costantiniana: il cardinale Raffaele Farina, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, sul progetto della "Praeparatio Evangelica" di Eusebio di Cesarea.
Riguardo alla storia di un salvataggio, un articolo di Oddone Camerana dal titolo "Un barbagianni nel camino":
Sapienza di Dio e sapienza degli uomini: l'arcivescovo di Perugia - Città della Pieve, monsignor Gualtiero Bassetti, sull'università come bene comune da difendere e preservare.
Morto dopo il blitz il killer di Tolosa. Sarkozy: no a ritorsioni contro musulmani
◊ E’ morto gettandosi dalla finestra il killer di Tolosa, dopo il blitz delle teste di cuoio nell’appartamento in cui si era barricato. Si è concluso così, dopo 32 ore, l'assedio al 24enne francese di origine algerina Mohamed Merah, che aveva rivendicato la strage nella scuola ebraica di Tolosa, dove erano rimasti uccisi tre bambini e un insegnante, e gli omicidi di tre parà. L’uomo ha continuato a sparare anche poco prima di schiantarsi al suolo. Un colpo di proiettile lo avrebbe colpito alla testa. Nel blitz sono rimasti feriti tre agenti, di cui uno in modo grave. Durante l’assalto si è fatto ricorso ai gas paralizzanti. Il presidente francese Sarkozy, in un discorso in diretta Tv, ha detto “no” a qualsiasi ritorsione: “i nostri connazionali musulmani – ha affermato – non c’entrano nulla con la vicenda”. La Francia – ha proseguito il capo dell’Eliseo - "sarà implacabile nel difendere i suoi valori e non tollererà indottrinamenti, né condizionamenti ideologici sul proprio territorio". Quindi ha preannunciato che saranno perseguiti penalmente tutti coloro che consulteranno siti web che fanno apologia del terrorismo e richiamano all'odio, mentre sarà perseguito chiunque vada all'estero per frequentare corsi di indottrinamento legati al terrorismo. Ma sul caso del giovane killer franco-algerino, Gabriella Ceraso ha sentito Antonella Caruso, islamologa, coordinatrice di Limes per i Paesi arabi:
R. - E’ un caso probabilmente isolato, se si pensa ovviamente ai grandi numeri dell’immigrazione algerina qui in Francia e nordafricana in tutta l’Europa, ma non un caso particolarmente isolato quando si pensa agli attentati di Madrid e di Londra. Di fatto si inserisce in questa logica di europei di origine araba: non sono francesi perché vengono rigettati, non sono algerini perché non hanno mai vissuto in Algeria, sono musulmani ma non sanno nemmeno che cosa significa essere buoni musulmani e vanno alla ricerca di questo punto identitario forte, dinanzi anche ad una Francia che - a livello identitario - vuole essere ancora la Francia, quindi con le sue leggi che impongono, ovviamente, la cosiddetta neutralità nel luogo pubblico.
D. - C’è dunque qualcosa che non va in questo modello di integrazione francese, che in qualche modo questo episodio mette in luce?
R. - Innanzitutto è vero che questo modello di integrazione - che non vuole essere comunitarista, vale a dire che vuole assolutamente integrare sulla base della cittadinanza e non sulla base della comunità religiosa di appartenenza - ha anche le sue pecche. Un modello che comunque difficilmente, malgrado i buoni propositi, riesce a dare uguaglianza anche a livello di istruzione, esiste infatti una gravissima incidenza di persone che non riescono a terminare gli studi.
D. - A livello economico invece?
R. - Sono ovviamente nel fallimento totale. Questo ragazzo non è riuscito, infatti, ad integrarsi in un’istituzione - che è quella dell’esercito francese - riesce a fare lavoretti saltuari, ma di fatto quello che avviene è che questi spazi che sono le banlieue - spazi completamente degradati - ma anche questa separazione fisica, hanno creato una discrepanza incredibile. (cp)
Il nunzio in Siria, mons. Zenari: ci sono gli angeli del bene nell'inferno di Homs
◊ In Siria, le forze armate di Assad hanno lanciato oggi attacchi contro alcune città ribelli, tra cui Hama ed Homs. Dieci civili, tra cui tre bambini e due donne, sono stati uccisi da raffiche di mitra sparate contro un autobus a bordo del quale cercavano di sfuggire alle violenze in corso nella provincia di Idleb, nella Siria nordoccidentale. Lo rivela l'Osservatorio siriano per i diritti umani. Gli scontri avvengono all’indomani dell’approvazione di una dichiarazione al Consiglio di sicurezza Onu, che chiede la fine delle violenze, secondo il piano stilato dall’inviato Kofi Annan. Un’iniziativa da appoggiare senza indugi. E’ quanto sottolinea il nunzio apostolico in Siria, mons. Mario Zenari, raggiunto telefonicamente a Damasco da Alessandro Gisotti:
R. – Va sostenuto in pieno questo sforzo e deve aver successo, perché altrimenti l’orizzonte sarebbe molto, molto incerto. Mi auguro, quindi, che tutte le parti possano mettere un “supplemento” di buona volontà per far riuscire questa mediazione di Kofi Annan. Direi che ne abbiamo bisogno, a cominciare dall’aspetto umanitario, perché siamo in contatto ogni giorno – io lo dico sempre – con l’inferno, soprattutto nella zona di Homs, dove ci sono combattimenti. Ma è anche una zona particolare: lì ci sono i cristiani, anche se in parte hanno lasciato da tempo questo quartiere cristiano. Un buon numero di famiglie è ancora presente e ogni giorno vive – direi – in questo inferno. Pensi che ieri uno di questi preti mi ha chiamato e mi ha detto: “Ho una bella notizia da darle”. Gli ho risposto: “Voglio sentirla subito, ma cosa sarà questa bellissima notizia?” e lui mi ha detto: “Finalmente oggi abbiamo potuto seppellire un morto nei pressi della cattedrale”. Era lì dal 26 febbraio…
D. – Nell’inferno di Homs, c’è una testimonianza luminosa, quella dei preti a cui faceva riferimento e anche quella dei Padri gesuiti…
R. – Sì, direi che all’inferno ci sono alcuni angeli. I Padri gesuiti – e anche qualche altro padre cattolico, qualche padre anche ortodosso – sono una testimonianza di questi angeli all’inferno. Speriamo che la situazione non si aggravi, perché spesso, quando riesco a contattarli telefonicamente, in sottofondo si sentono i colpi di artiglieria, si sentono i rumori delle mitragliatrici… E’ veramente una situazione molto, molto critica e molto difficile, che potrebbe – ma speriamo di no – anche peggiorare. Questo sarebbe un guaio, perché il conflitto sarebbe proprio nel cuore della città vecchia di Homs, dove c’è anche il quartiere cristiano e dove abbiamo sette chiese cristiane. Si spera che il piano presentato da Kofi Annan possa essere accolto con buona volontà. Per questo preghiamo.
D. – Un importante incontro di preghiera di cristiani e musulmani si è tenuto a San Cirillo, a Damasco. Lei chiaramente era tra i partecipanti…
R. – E’ stato un bell’incontro di preghiera e ci voleva dopo lo scossone soprattutto che c’è stato a Damasco con le bombe che sono esplose alcuni giorni fa: una di queste bombe è esplosa proprio nelle vicinanze della chiesa di San Cirillo. C’è stata questa preghiera ecumenica interreligiosa, presieduta dal Patriarca melchita Gregorio III Laham. Erano presenti anche alcuni capi religiosi musulmani. Questa preghiera è stata molto, molto dignitosa per le vittime di questo conflitto, per implorare la pace e la riconciliazione. C’è stata poi una specie di processione e una fiaccolata sul luogo dove è esplosa questa bomba. (mg)
Golpe in Mali: appello alla pace dell'arcivescovo di Bamako
◊ Condanna internazionale per il golpe di stanotte in Mali condotto dai militari che hanno decretato il coprifuoco, chiuso i confini del Paese, sospeso la Costituzione. Nel mirino il presidente Toumani Tourè, reo di aver abbandonato le milizie che combattono contro la minoranza Tuareg nel nord del Mali, regione con forte presenza di Al Qaeda. Dopo ore di incertezza, i militari hanno annunciato che Tourè è nelle loro mani e si trova in campo militare. Una situazione che mette in grave pericolo le elezioni presidenziali del prossimo 29 aprile. Benedetta Capelli ha raccolto la testimonianza di mons. Jean Zerbo, arcivescovo della capitale Bamako:
R. – Noi aspettiamo di avere più notizie su quanto sta accadendo. C’è tensione a causa del problema del nord del Paese, dove la situazione si è aggravata e credo che questo abbia destabilizzato un po’ le famiglie nel sud perché i militari quando sono tornati erano ammalati e feriti. Questo è stato uno shock per le famiglie. Credo che la reazione e il golpe sia avvenuta per questo motivo, lo shock è stato terribile… sono state ferite e sono morte molte persone.
D. - Quello che dicono i militari è che il presidente ha fatto poco per loro, per proteggerli: effettivamente era così?
R. – Gli altri sono più armati e anche la zona non è molto conosciuta: nel nord del Mali è difficile combattere. In più i militari hanno cercato di avere più armamenti per poter affrontare i nemici o piuttosto i fratelli, perché noi siamo tutti fratelli… noi ci auguriamo che si trovi una soluzione a questo problema che dura dal ’63.
D. – I Tuareg vogliono l’indipendenza ma c’è il pericolo che tra di loro ci siano elementi di al Qaeda?
R. – Dicono anche questo. Il problema è la complessità della situazione. Che cosa fare? Noi possiamo parlare con calma e incontrare i vari protagonisti, cercare insieme una strada di uscita per salvare il Paese.
D. - Quale può essere in questo senso il ruolo della Chiesa cattolica?
R. – Non soltanto la Chiesa cattolica. Ci sono musulmani, protestanti, cattolici e tutti insieme cerchiamo la strada che Dio ci indica. Credo che se siamo più persone a cercare la pace Dio stesso ci ispirerà sul da farsi. La Chiesa si sta impegnando per questo.
D. - Nella zona dei Tuareg che cosa bisognerebbe fare? Anche perché c’è ormai una presenza integralista…
R. – Bisogna educare la gente perché la religione deve essere una scelta libera, Dio dà questa possibilità ad ogni uomo e non può essere un obbligo. Noi dobbiamo predicare questo non soltanto con la parola ma anche con l’esempio. Così, poco a poco, quelli che vogliono imporre il fondamentalismo devono capire che solo Dio ha la possibilità di giudicare gli uomini.
D. – Com’è la situazione per quanto riguarda la popolazione? Quali sono le difficoltà della popolazione del Mali?
R. - Abbiamo tanti problemi da risolvere, ci mancava la guerra! La realtà è che c’è mancanza di cibo e ora anche il conflitto del nord… Per quanto riguarda l’acqua c’è il fiume Niger e un tecnico diceva: lì c’è l’acqua e non c’è la fame ... ma purtroppo la realtà è diversa: sì, c’è l’acqua in Mali ma c’è anche la fame.
D. - Che cosa si sente di dire alla comunità internazionale, qual è l’appello che vuole lanciare dai nostri microfoni?
R. - La comunità internazionale non deve prendere i nostri soldi per venderci le armi. Abbiamo bisogno veramente di tante cose come i pannelli solari e risorse per limitare l’avanzata del deserto. C’è bisogno comunque della solidarietà. La comunità internazionale deve trovare un modo per mettere fine ad un conflitto tra fratelli, non essere di parte, questo è il mio messaggio. (bf)
Riforma sanitaria Usa: grande manifestazione in difesa della libertà religiosa
◊ Negli Stati Uniti, è in programma domani una grande manifestazione in oltre cento città in difesa della libertà religiosa. L’evento, promosso da numerose organizzazioni pro-life, ribadisce la contrarietà alle disposizioni contenute nella riforma sanitaria di Obama, che limitano il diritto all’obiezione di coscienza in particolare nelle istituzioni sanitarie cattoliche. All’evento intervengono, tra gli altri, 15 vescovi e la nipote di Martin Luther King, Alveda. Sulle ragioni di questa mobilitazione in difesa della libertà religiosa, Alessandro Gisotti ha intervistato il teologo Robert Royal, presidente del “Faith and Reason Institute” di Washington:
R. - In America, le Chiese giocano un ruolo molto importante nella politica. Già Tocqueville, nel suo famoso studio sulla democrazia in America, ha affermato che “tra gli americani, le Chiese sono le prime istituzioni politiche”. E’ per questo che c’è una certa sensibilità sul tema. Quando il governo federale entra in questa materia e cerca di definire che la Chiesa può essere esente da una legge, ma invece un’università cattolica, un ospedale cattolico deve sottostare a regole che sono applicabili alle istituzioni laiche, molti americani dicono: “Oggi la legge riguarda i cattolici, ma domani potrebbe forse riguardare me, la mia Chiesa o il mio gruppo”. Noi siamo dunque molto sensibili a tali questioni, a come il governo interviene nella vita privata.
D. - Ovviamente accanto al tema delle libertà religiosa messa a rischio, c’è poi quello che viene definito “un nuovo forte attacco alla vita”…
R. - Sì, perché è stata fatta una certa campagna di presentazione riguardo a queste nuove regole come se fosse solo una questione legata alla contraccezione. Ma ci sono certi farmaci che possono produrre un aborto e questi farmaci sono inclusi nella nuova riforma. C’è poi anche la questione della sterilizzazione. Così il governo, pian piano, sta avanzando un nuovo tipo di definizione della salute. Negli Stati Uniti, il governo federale non può pagare per un aborto, né si può far pagare la gente per questa scelta. (bi)
Giornata mondiale dell'acqua: 800 milioni di persone non hanno da bere
◊ Sono circa 800 milioni le persone che non hanno accesso all’acqua potabile e un milione e mezzo di bambini muore ogni anno per problemi causati da questa privazione. A loro è dedicata la Giornata mondiale dell’acqua indetta per il 22 marzo dall’Onu. Molte le iniziative di sensibilizzaizone in programma, una delle quali ha visto il Forum italiano dei Movimenti occupare con una trentina di attivisti alcuni locali del Ministero dell'ambiente a Roma. Anche l'Amref ha attivato un sms solidale al numero 45508 per sostenere progetti idrici nell’Africa subsahariana. Proprio l'Africa è il continente endemicamente colpito da carenza d'acqua. Eliana Astorri ne ha parlato con Tommy Simmons, direttore Amref Italia:
R. – In Africa, più della metà della popolazione non ha accesso all’acqua pulita, né in maniera regolare né in maniera sostenibile, per cui quando ci sono situazioni di siccità periodiche, che per motivi climatici, per motivi che non sappiamo, si ripetono con sempre più frequenza e gravità, la situazione diventa veramente drammatica. L’anno scorso, nell’area dell’Africa orientale, circa 10 milioni di persone non avevano né acqua né cibo ed è stato necessario sostenerle. Bisogna affrontare questa situazione in modo strutturale, con degli investimenti a lungo termine. Noi, nel corso degli ultimi dieci anni, tra Kenya, Uganda e Tanzania abbiamo realizzato più di tremila pozzi, acquedotti, dighe per la raccolta dell’acqua e abbiamo raggiunto direttamente, a beneficio, una popolazione di circa due milioni di persone e questo lavoro ha lenito l’impatto di questa grave siccità dell’anno scorso. Il nostro obiettivo è di rafforzare questo nostro lavoro, portando acqua in maniera sostenibile ad una fascia ancor maggiore della popolazione, con la sua collaborazione, perché non è paracadutando l’acqua dal cielo con degli aiuti regalati, ma coinvolgendo le popolazioni, che si riesce a fare un lavoro sostenibile.
D. – Vogliamo ricordare quanta acqua sprechiamo in Occidente quotidianamente, per bere, per cucinare e lavarsi?
R. – In Europa, noi usiamo – mi pare – circa 200 litri di acqua, pagandola, tra l’altro, molto, molto meno di quanto non costi in Africa. Nei Paesi in via di sviluppo, questi 200 litri si trasformano in 10 litri quotidiani, assolutamente insufficienti per bere, per mangiare, per lavarsi, per avere un’igiene adeguata. E’ assolutamente necessario incrementare il numero di persone che hanno accesso all’acqua pulita: e bisogna garantire che sia pulita, altrimenti diventa veicolo di malattie, e bisogna anche incrementare la quantità di acqua accessibile a ciascuno.
D. – E pensare quanto invece spesso basti poco, economicamente, costruire un pozzo oppure un laghetto artificiale...
R. – Un pozzo di quelli che tradizionalmente si trovavano nelle nostre zone rurali, in Italia – un pozzo da cui si estrae l’acqua con un secchio, con una pompa a mano – costa tremila euro tra realizzazione e formazione dei comitati di gestione, perché anche la componente della formazione è importante, visto che i pozzi vanno mantenuti negli anni e non bisogna rifarli ogni anno: è un investimento a lungo termine. Ovviamente, i pozzi artesiani profondi possono costare molto di più e la realizzazione di una diga per la raccolta dell’acqua piovana può costare di più. Diventano però fonti che portano benefici a popolazioni molto più ampie, perché generano più acqua e possono servire sia per l’agricoltura che per il bestiame, per cui generano una crescita sociale. Investire, però, tremila euro per un’ampia comunità di diverse centinaia di persone rappresenta un rapporto costi/benefici veramente ottimo e con un investimento di questo genere si può trasformare in modo positivo la vita di tantissime persone, in maniera permanente.
D. – Rinnoviamo, dunque, l’invito ad inviare un sms al numero 45508 fino al 30 marzo, per sostenere Amref e i progetti idrici in Kenya...
R. – C’è la possibilità di inviare un sms, che equivale – come la telefonata dal telefono fisso – a due euro. I grandi numeri ci aiutano a fare tantissimo, per cui l’invito a mandarne tanti è forte, perché è un investimento veramente positivo ed utile. (ap)
Nuove Stelle. A Roma debuttano gli allievi della Scuola di ballo dell'Accademia Teatro alla Scala
◊ Debutto ieri sera a Roma dei giovani talenti della Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala. Fino al 25 marzo si esibiranno al Teatro Olimpico con "Nuove Stelle", un programma che attraversa la storia del balletto dall’Ottocento ai giorni nostri. E per la prima volta a Roma è stata presentata l’attività didattica dell’Accademia. I docenti hanno illustrato le possibilità di formazione professionale e di lavoro offerte dall’industria dello spettacolo e del teatro musicale. L’Accademia è nata 11 anni fa e ogni anno, dopo una selezione, allievi fra i 6 e i 30 anni provenienti da tutto il mondo studiano per sviluppare conoscenze nel mondo artistico, tecnico e manageriale. Luisa Vinci è la direttrice e Francesca Sabatinelli l’ha intervistata.
R. – Cosa abbiamo di particolare rispetto alle altre scuole? Il concetto del “learning by doing”, cioè imparare facendo, perché abbiamo la fortuna di avere uno spazio, come gli ex laboratori Ansaldo a La Scala, dove vengono progettate e costruite le scenografie sia dei balletti, sia dei teatri. E’ il concetto della bottega rinascimentale, dove il rapporto tra discepolo e maestro è molto stretto. Nel reparto falegnameria – così come nel reparto attrezzeria o in quello di scenografia – i nostri ragazzi scenografi aiutano i loro maestri - gli scenografi del teatro – nel costruire, nel fare le scenografie.
D. – C’è anche la sezione dedicata al trucco…
R. – Certamente. Abbiamo un corso di trucchi speciali e di “trucco e parrucco” che si occupa di studiare la storia del costume, quindi la storia dello spettacolo, dal rinascimento fino ai giorni nostri. Si impara la tecnica della costruzione delle parrucche, insieme alla tecnica del trucco.
D. – Tutti mestieri che sono legati allo spettacolo…
R. – Sì. Oserei dire che copriamo a 360° tutti i mestieri eccetto il corso di regia e il corso di direzione d’orchestra.
D. – Il successo di questa scuola lo verificate, poi, quando le persone escono. Che riscontro avete avuto nel tempo?
R. – Il riscontro, naturalmente, deve essere numerico. Per poter accompagnare questi ragazzi anche nel mondo del lavoro, cerchiamo di creare loro situazioni di tirocinio che, fino ad ora, sono sfociate poi in posti di lavoro a tempo determinato, con contratto a progetto e con tutte le varie forme di contratto. E’ ovvio che attivando più di 350 tirocini all’anno, ormai si sia creata una rete di convenzioni con i teatri, con i Festival italiani e stranieri. Anche l’indotto dei teatri fa sì che, laddove si liberi un posto di lavoro, ci sia velocemente la possibilità per il ragazzo di potersi riciclare: o perché magari ha fatto lì un tirocinio, oppure perché l’istituzione stessa ci telefona chiedendoci studenti. Ci chiamano da Salisburgo, da Spoleto, attiviamo molti stage con l’Opera di Parigi, con la English National Opera, con il Teatro Real di Madrid, con gli Istituti italiani di cultura nel mondo…
D. – I corsi variano in durata a seconda di quello che si sceglie. Se non si è in grado di affrontare la spesa, c’è la possibilità di accedere a borse di studio, ad aiuti economici?
R. – La nostra non è una scuola di censo, deve essere una scuola di merito. Mediamente, i nostri corsi costano due terzi in meno dei corsi erogati da altre istituzioni private, ma ci sono anche ragazzi, famiglie, che non hanno la possibilità di poter pagare la retta d’iscrizione. Quindi, ogni corso ha una borsa di studio che va a coprire la retta, tranne il master in management dello spettacolo che facciamo con la Bocconi. Abbiamo comunque anche dei corsi gratuiti, per esempio l’accademia di canto, anzi anche qui, grazie alla Fondazione “Milano per la Scala” e al Ministero degli Esteri, diamo borse di studio mensili. A parte i minori, chiunque da noi svolga un’attività all’esterno è pagato, certo, non come un professionista ma è pagato. Sia che faccia l’opera, il concerto o la scenografia o il vestito: una volta che c’è una produzione, e questa produzione ha un costo, i ragazzi vengono pagati. (gf)
Siria: aiuti Caritas per migliaia di profughi in Giordania, Libano e Turchia
◊ Caritas italiana si unisce alla voce del Papa e di tutte quelle istanze internazionali che hanno invocato la fine della guerra civile in Siria, sollecitando “l’avvio di un dialogo per rispondere adeguatamente alle legittime aspirazioni della popolazione”: “Questi appelli, finora caduti nel vuoto, dimostrano purtroppo ancora una volta l’incapacità e l’impotenza della comunità internazionale”. In una nota ripresa dall'agenzia Sir, Caritas italiana ricorda che in Siria vivono circa 1 milione e mezzo di cristiani, il 10% della popolazione, che ora sono costretti sempre più ad emigrare a causa del violento conflitto in atto. Caritas Siria sta facendo il possibile in favore di molte famiglie, distribuendo aiuti in particolare a 500 famiglie ad Homs e 125 ad Aleppo. Per questi primi interventi Caritas italiana ha messo a disposizione un contributo di 30.000 euro. Anche le altre Caritas della regione fanno fronte al continuo afflusso di profughi: oltre 5.000 sono arrivati in Giordania, 7.000 in Libano e 14.000 in Turchia. Il problema va inquadrato nella situazione generale del Medio Oriente, con la presenza di centinaia di migliaia di profughi iracheni accolti da anni in Siria e in Giordania a seguito della guerra in Iraq. Negli ultimi mesi circa 15.000 siriani sono fuggiti in Giordania e 5.000 in Libano, insieme a molti iracheni, costretti così a fuggire una seconda volta. Senza dimenticare gli almeno 4 milioni di palestinesi nei vari Paesi dell’area e i gruppi di africani ostaggio dei trafficanti nel Sinai. Il Medio Oriente, teatro di continue violenze e di questi scontri sempre più cruenti in Siria, “è ormai un immenso campo profughi - osserva Caritas - con fiumane di varie nazionalità che si spostano in cerca di salvezza”. Le Caritas del Medio Oriente sono chiamate a rispondere a una continua, crescente e urgente domanda di aiuti. Caritas italiana - insieme all’intera rete internazionale Caritas - rinnova “vicinanza e sostegno concreto per consentire la prosecuzione di interventi in favore di sfollati e profughi”. Per sostenere gli interventi in corso si possono inviare offerte a Caritas italiana specificando nella causale: “Medio Oriente/emergenza profughi”. (R.P.)
I bambini siriani vittime di un conflitto che ignorano
◊ Senza comprendere quello che sta accadendo nel loro Paese, i bambini siriani si sono trasformati in vittime di un conflitto che ha già lasciato segni che si porteranno per tutta la vita e che li ha costretti a trovare riparo in Paesi limitrofi come il Libano. E’ passato più di un anno da quando è iniziata la rivolta contro il regime siriano e, a causa dei bombardamenti nella provincia di Homs, oltre 10 mila persone continuano a cercare rifugio. La maggior parte dei profughi - riferisce l'agenzia Fides - arriva senza niente, non hanno mezzi di sussistenza nè per affrontare le spese per una abitazione, o per l’elettricità, il cibo, gli abiti e i prodotti per l’igiene personale. Gli aiuti che ricevono riescono a malapena a soddisfare le loro necessità basilari, evidentemente maggiori nel caso dei bambini, che necessitano di latte, biancheria intima, vestiti e alimenti con alto contenuto proteico. Le ferite fisiche non sono le uniche a segnare questi piccoli, la violenza li colpisce anche psicologicamente. Secondo un pediatra dell’ospedale di Damasco, gli adulti possono superare la paura ma per loro non è la stessa cosa. Intanto, in Siria, i bambini non sfuggono alle torture e ai massacri. Di recente, il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (Unicef) ha denunciato l’assassinio di bimbi molto piccoli e di donne nel villaggio di Karm el Zaitun, a Homs. Secondo i dati delle Nazioni Unite, da un anno a questa parte, sono morte oltre 8 mila persone, tra le quali centinaia di bambini, a causa della repressione del governo, mentre il regime continua ad incolpare i gruppi terroristi. (R.P.)
India: Chiesa e società civile di Orissa per la liberazione degli italiani rapiti
◊ I negoziati per il rilascio dei due italiani rapiti in Orissa, Francesco Colangelo e Paolo Bosusco, sono imminenti: “Potrebbero iniziare già domani, dato che entrambe le parti in causa, governo e ribelli, hanno dichiarato la loro disponibilità e il loro impegno” dice all’agenzia Fides padre Santosh Digal, sacerdote della diocesi di Cuttack-Bhubaneshwar (in Orissa), inviato dal vescovo nel distretto di Kandhamal, dove i due sono stati rapiti. Il sacerdote afferma che “c’è forte pressione della Chiesa e della società civile per porre fine rapidamente a questo spiacevole episodio. I maoisti dicono che non sono contro l’Italia o contro gli stranieri; il governo dichiara che intende mettere il massimo impegno per il rilascio: dall’incontro della buona volontà delle parti dipende l’esito della vicenda. Siamo fiduciosi sia un esito felice. Continuiamo a pregare”. Sulla vicenda Fides ha interpellato anche mons. John Barwa, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneshwar, che rimarca: “Esprimiamo solidarietà e vicinanza alle famiglie dei due rapiti e rinnoviamo l’appello per la loro pronta liberazione, su basi umanitarie: sono persone innocenti che nulla hanno a che vedere con qualsiasi rivendicazione. Auspichiamo l’avvio di un rapido negoziato. L’importante è che ci sia la volontà politica di liberarli: per questo ci appelliamo al governo dell’Orissa” dice mons. Barwa. L’analisi dell’arcivescovo guarda anche “alle radici del complesso problema della ribellione in Orissa e in altre aree dell’India. I tribali, che sono poveri, emarginati, sottosviluppati, abbandonati, sono il mio gregge, molti di loro sono cristiani. Esortiamo il governo a impegnarsi per le loro comunità, a garantire dignità, sviluppo, promozione economica e culturale e tutti i diritti dei cittadini indiani. La vicenda del sequestro deve servire ad avviare una seria riflessione sulla condizione di tali popolazioni. Il governo non può fare solo vuoti proclami, ma deve occuparsi delle loro condizioni di vita”. (R.P.)
Assemblea Comece: contro la crisi Camdessus raccomanda solidarietà
◊ “Quella che stiamo vivendo non è solo una grave crisi economica e finanziaria, è anche una profonda scossa al sistema di valori sui quali si è fondata la costruzione europea”: così Michel Camdessus, già direttore del Fondo Monetario Internazionale e presidente onorario delle Settimane sociali di Francia, è intervenuto ieri sera durante una sessione dell’Assemblea plenaria della Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea). Titolo della relazione: “Solidarietà come principio dell’Unione europea”. Camdessus spiega che si pongono in discussione due pilastri: il modello dell’economia sociale di mercato e il principio democratico. Parla di “dovere di ritrovare lo spirito di solidarietà e di fraternità” che – sottolinea - hanno caratterizzato la costruzione comunitaria, ponendo questi stessi valori quali parametri per le relazioni fra l’Europa e i paesi poveri. “Questa crisi viene da lontano”, spiega l’economista francese, usando parole forti: “il nostro modello sociale – dice - è stato surrettiziamente destabilizzato dal diffondersi dell’individualismo, dell’utilitarismo neoliberale e i nostri principi basilari ne sono stati intaccati. Solidarietà – dice - significa anzitutto sentirsi tutti responsabili di tutti”. Camdessus cita Benedetto XVI e la “Caritas in veritate” e fa diretto riferimento al recente documento della Comece sul modello sociale europeo e al “dovere di sostenere le fasce di popolazione e i Paesi più colpiti dalla recessione”. L’economista ricorda che il principio di solidarietà è stato posto a fondamenta dell’integrazione europea già da Robert Schuman nella sua “Dichiarazione” del 9 maggio 1950 che diede avvio al processo di edificazione della “casa comune”. E c’è da dire che in questa Assemblea plenaria della Comece, che si concluderà domani, ha portato un saluto particolare mons. Adrianus van Luyn, presidente uscente della Commissione Episcopati Comunità Europea. Ha ringraziato tutti per la collaborazione e ha ribadito “l’importanza di frequenti e reciproci rapporti tra la Comece e le Conferenze episcopali degli Stati membri”, ricordando che “nello stesso spirito di fraterna corresponsabilità la Comece cerca la comunione con il Ccee” e “in spirito ecumenico intrattiene buoni e frequenti contatti con i rappresentanti delle altre Chiese cristiane a livello dell’Ue”. Sottolineando l’importanza dello spirito di dialogo del Concilio Vaticano II, ha ringraziato “i partner ecumenici per il loro contributo alla custodia del patrimonio cristiano del continente” e “tutti gli interlocutori nelle Istituzioni europee per la loro corresponsabilità verso lo sviluppo di una Comunità europea fondata sui valori umani fondamentali”. A mons. Van Luyn, vescovo olandese presidente della Comece negli ultimi 6 anni, sono state rivolte in particolare parole di ringraziamento per l'impegno profuso dai due vicepresidente, il cardinale Reinhard Marx e il cardinale Piotr Jarecki. I due porporati hanno sottolineato il contributo da "sacerdote straordinario", "uomo del dialogo, impegnato per la costruzione dell'Europa unita". (F.S.)
Usa: il 30 marzo Giornata di preghiera e di penitenza per la libertà religiosa
◊ I vescovi degli Stati Uniti hanno indetto per il prossimo 30 marzo una Giornata di preghiera e di penitenza per la libertà religiosa e di coscienza. L’iniziativa è stata annunciata nella recente nota della Commissione amministrativa della Usccb “Uniti per la libertà religiosa” in cui i vescovi hanno ribadito la loro determinazione a continuare fino in fondo la loro battaglia in difesa di questo diritto fondamentale oggi minacciato, tra le altre cose, da alcuni punti della riforma sanitaria dell’Amministrazione Obama. Tra i nodi del contendere – lo ricordiamo – vi è la copertura assicurativa obbligatoria anche per l’aborto, la sterilizzazione e la distribuzione di contraccettivi, che metterebbe in difficoltà le organizzazioni religiose. Un nodo che - a giudizio dei vescovi – resta ancora aperto, nonostante alcuni correttivi annunciati da Washington. In vista della giornata del 30 marzo – riferisce l’agenzia Cns - la Conferenza episcopale ha già messo in rete diversi sussidi di preghiera. Dal sito www.usccb.org è inoltre possibile scaricare cartoline in formato Pdf con il testo della “Preghiera per la libertà religiosa”. Nelle cartoline, disponibili in spagnolo e inglese, sono proposte tre immagini significative: una dell'Immacolata Concezione, Patrona degli Stati Uniti; una della Madonna di Guadalupe, Patrona delle Americhe e dei non nati e una di San Tommaso Moro, martire della fede e Patrono dei governanti, degli statisti e dei politici. In difesa della libertà religiosa si stanno intanto mobilitando anche altre comunità religiose e i movimenti pro-vita che per domani hanno organizzato una grande manifestazione nazionale in diverse città. (L.Z.)
Thailandia: leader religiosi pregano per la pace e la riconciliazione nello spirito di Assisi
◊ Un incontro di preghiera che ha riunito i principali movimenti religiosi della Thailandia, per rendere omaggio alla Giornata mondiale della pace di Assisi che - il 27 ottobre scorso - ha celebrato i suoi 25 anni di vita. È l'iniziativa organizzata dalla Commissione per il dialogo culturale e interreligioso dei vescovi thai, che si è tenuta ieri alla Assumption Suksa School Hall, poco distante dalla cattedrale dell'Assunta a Bangkok. In un primo momento, l'incontro doveva tenersi a ottobre in concomitanza con l'evento di Assisi; tuttavia, l'emergenza alluvioni che ha colpito nei mesi scorsi la capitale e gran parte del Paese ha costretto gli organizzatori a rimandare l'appuntamento. All'insegna del motto "Religione: ricerca della verità per la pace", almeno 300 persone hanno assistito alla preghiera comune celebrata dai leader delle cinque principali religioni presenti in Thailandia. Molti gli interventi delle guide spirituali e dei capi delle congregazioni, che hanno più volte sottolineato la centralità del dialogo, della comprensione reciproca, della ricerca della verità per il raggiungimento della pace, in un Paese segnato ancora oggi da divisioni politiche - fra camicie rosse e camicie gialle - e conflitti interreligiosi, soprattutto nel sud fra buddisti e musulmani. La giornata di preghiera è iniziata con la diffusione in video delle immagini dell'incontro di Assisi del 27 ottobre 2011; quindi, a seguire, si sono succeduti gli interventi dei vari leader religiosi. Phra Mahahansa Dhamahaso, rappresentante buddista, invita tutti i fedeli a "comprendere il messaggio di amore presente in ciascuna religione". E aggiunge: "non siamo fatti per restare soli" e l'amore reciproco "ci rende più umani". Gli fa eco Wisarut Laowithee, delegato buddista, che invita a "studiare il significato più profondo degli insegnamenti della propria religione", unico mezzo per "costruire la pace all'interno della società". Il delegato indù Ragrace Kumara Maetakhun confida nell'applicazione quotidiana "degli insegnamenti della religione" perché sono un efficace modello di vita. Per Manit Sajjamitre, della comunità sikh, è necessario "comprensione e perdono reciproco". Tra i leader cattolici ha preso la parola il vicario generale di Bangkok, padre Sanit Sadhawerawong, secondo cui la pace "è frutto del processo di purificazione" e la croce di Cristo è lo "strumento" per raggiungere l'obiettivo. A guidare la Giornata di preghiera di fronte alla cattedrale dell'Assunta è stato l'arcivescovo della capitale, mons. Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij, che ha ricordato il comandamento insegnato da Gesù: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore [...] Amerai il prossimo tuo come te stesso". Il prelato invita ad "amare il prossimo come te stesso", perché "non esiste comandamento più grande di questo". "La Chiesa cattolica thai - ha concluso - crede fermamente che i fedeli di ogni religione giochino in ruolo essenziale quale costruttori di pace" e "noi uomini di fede confidiamo più nella dimensione spirituale, piuttosto che restare attaccati ai beni materiali di questo mondo". (R.P.)
Slovacchia: i vescovi sul 70.mo della deportazione degli ebrei
◊ “L’ambiente secolarizzato della moderna società europea ha generato ideologie totalitarie, che aspiravano a sostituire la religione. È stato tuttavia dimostrato che queste hanno condotto l’Europa e l’intera umanità a grandi ondate di violenza e di ingiustizia”. Lo scrivono i vescovi slovacchi in una dichiarazione pubblicata in occasione del 70° anniversario delle deportazioni degli ebrei dal Paese. La prima deportazione di ragazze e giovani donne al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau avvenne il 25 marzo 1942 e fu seguita da una serie di deportazioni di oltre 70.000 ebrei. I vescovi cattolici ed evangelici ammonirono i leader politici a non attuare le leggi razziali, ma le loro voci rimasero “inascoltate ed emarginate”. “Quasi tutti gli ebrei deportati morirono a causa del trattamento disumano dei campi nazisti. È una realtà che non si può cambiare. Questi fatti dolorosi ci motivano, in quanto cristiani cattolici, ad un’espressione di sincero e profondo dispiacere per questa tragedia”, si legge nella dichiarazione della Conferenza episcopale. La Slovacchia detiene il primato, tra i Paesi dell’Europa centrale, per numero di ebrei salvati: una realtà confermata dal fatto che il titolo di “Giusto tra le nazioni”, conferito a coloro che rischiarono la propria vita durante l’Olocausto per salvare gli ebrei dallo sterminio, è stato concesso a 540 cittadini slovacchi. “Gli interventi dei vescovi, dei sacerdoti e dei laici, l’occultamento degli ebrei nei conventi e nelle famiglie cristiane, l’emissione di falsi documenti ufficiali: tutto questo è stato espressione di amore cristiano per il prossimo”, concludono i vescovi, affermando che “il passato non si può modificare ma ci può servire da lezione” e i cristiani possono fare molto per diventare “portatori di speranza”.
Regno Unito: le Ong cattoliche chiedono ai candidati-sindaco di Londra più impegno per i poveri
◊ In vista delle prossime elezioni del nuovo sindaco di Londra, previste il 3 maggio, le charities cattoliche della capitale britannica hanno rivolto un appello ai candidati a mantenere i loro impegni verso i più poveri e vulnerabili. In una lettera aperta pubblicata martedì sull’”Evening Standard”, le Ong cattoliche londinesi chiedono in particolare misure per garantire il diritto alla casa delle famiglie e comunità più colpite dai tagli ai sussidi sociali decisi dal Governo Cameron e l’accesso dei disabili e dei disoccupati al trasporto pubblico dopo il recente aumento delle tariffe locali. “Londra è già una delle aree più colpite dalla riforma del welfare che sta mettendo a dura prova famiglie e individui”, afferma la lettera. “Anche se il prossimo sindaco non potrà fermare questi cambiamenti, avrà sicuramente il potere e la responsabilità di affrontarne gli effetti”. Secondo le charities cattoliche londinesi, tra le priorità della nuova amministrazione dovrebbero quindi esserci politiche per la casa che evitino che intere famiglie si trovino per strada. Analogamente, non vanno sottovalutati i pesanti effetti delle nuove tariffe dei mezzi pubblici sulle categorie più vulnerabili, in particolare le persone disabili e i disoccupati. L’accessibilità del trasporto pubblico ai disabili, sottolinea la lettera, dovrebbe essere una priorità e non può considerarsi un lusso. Secondo Alison Gelder, direttrice della “Housing Justice”, il nuovo sindaco dovrà usare tutti i suoi poteri per assicurare alloggi ad affitti sostenibili, “perché - ha detto - le comunità londinesi possano conservare l’attuale mescolanza sociale tra ricchi e poveri, giovani e anziani, single e famiglie”. La riforma del meccanismo di benefit sociali per famiglie bisognose ha suscitato un vivace dibattito nel Regno Unito. Tra le voci critiche anche la Chiesa anglicana e preoccupazioni per gli effetti della riforma a Londra, una delle capitali più care d’Europa, sono state espresse nei mesi scorsi anche dall’arcivescovo cattolico di Westminster, mons. Vincent Nichols. Rosemary Keenan, presidente del Catholic Children’s Society ha confermato che le nuove misure di austerity avranno un grave impatto sui 610mila bambini londinesi di famiglie a basso reddito. (A cura di Lisa Zengarini)
Angola: i vescovi in visita a Kilamba, la nuova città eco-sostenibile
◊ Centoquindici edifici suddivisi in quattro blocchi per un totale di tremila nuovi appartamenti; aria condizionata in tutte le abitazioni; asili e scuole per i bambini; un ospedale; numerosi centri sportivi; impianti idrici per l’acqua potabile e per il riutilizzo delle acque reflue; sistemi ecologici per lo smaltimento dei rifiuti; totale mancanza di barriere architettoniche e molto altro. Si presenta così la città di Kilamba, in Angola, inaugurata il 21 luglio 2011. La nuovissima struttura urbana è situata 20 km a sud della capitale, Luanda, ed è stata voluta dal governo locale per risolvere la questione abitativa della popolazione in cerca di alloggi. Una decisione che ha avuto l’approvazione della Conferenza episcopale di Angola e São Tomé (Ceast) che proprio nei giorni scorsi si è recata in visita ufficiale a Kilamba. “La nuova città – ha detto mons. José Manuel Himbamba, portavoce della Ceast, in un’intervista ad Angop – ha tutte le condizioni per migliorare la vita della popolazione. Questo – ha aggiunto – indica che l’impegno del governo a favore della comunità viene preso davvero sul serio. Ciò che conta, ora, è combinare tutti i nostri sforzi affinché i servizi di base siano resi accessibili a tutti”. Quindi, mons. Himbamba ha ribadito che “la Chiesa non può restare indifferente di fronte allo sviluppo che l’Angola sta sperimentando ed è per questo che i vescovi devono essere coinvolti in questa fase in modo che, come entità spirituale, possano essere in grado di lavorare per il progresso umano, sociale ed economico delle comunità”. Dal suo canto, mons. Manuel António Mendes dos Santos, vescovo di São Tomé e Principe, ha aggiunto: “Sappiamo che attualmente il Paese ha bisogno di una ristrutturazione globale di infrastrutture che ne favoriscano lo sviluppo sociale, industriale ed economico”. E quindi ha auspicato che “tale progetto ottenga i risultati sperati, diventando realmente un piano di sviluppo per l’intero Paese”, e costruendo “quella nuova Angola che tutti attendono”. (I.P.)
Italia: il cardinale Scola presidente dell’Istituto Toniolo
◊ Il Comitato permanente dell’Istituto Toniolo ha accolto le dimissioni del cardinale Dionigi Tettamanzi e ha eletto nuovo presidente dell’istituto il cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola. Ne dà notizia un comunicato diffuso dall’Istituto, ripreso da L'Osservatore Romano, nel quale si spiega che è stato lo stesso porporato a motivare la decisione anticipando nei fatti la scadenza naturale del mandato, prevista per il dicembre 2012. Il cardinale Tettamanzi era stato infatti eletto presidente nell’ottobre del 2003. Su richiesta del cardinale Scola, il cardinale Tettamanzi ha accettato di continuare a far parte del Comitato permanente, ed ha espresso al presidente uscente «la gratitudine più convinta e l’ammirazione motivata per l’opera di risanamento e di rilancio delle iniziative rivolte ai giovani, che egli in questi anni ha promosso, sempre cercando il massimo della convergenza e l’interesse unico dell’Università cattolica del Sacro Cuore, così legata alla Santa Sede, al ministero e alla persona del Papa, e alla comunione delle Chiese che sono in Italia». (R.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 82