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Sommario del 10/03/2012
Il Papa riceve il primate anglicano, Rowan Williams. Nel pomeriggio i Vespri ecumenici
◊ La giornata odierna di Benedetto XVI ha un tono spiccatamente ecumenico. Questa mattina, il Papa ha ricevuto in udienza privata l’arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana, Rowan Williams, mentre nel pomeriggio, alle 17.30, il Pontefice presiederà i Vespri ecumenici nella Basilica di San Gregorio al Celio, con la partecipazione dello stesso primate anglicano. Sullo sfondo di questo incontro, vi sono le celebrazioni per i mille anni del Sacro Eremo di Camaldoli, la cui importanza è spiegata, al microfono di Federico Piana, dal rettore della Basilica di San Gregorio, padre Innocenzo Gargano:
R. – San Gregorio al Celio è un monastero affidato agli eremiti di Camaldoli nel 1573 da Gregorio XIII. Quando è stato affidato questo luogo agli eremiti di Camaldoli, questo monastero di Roma aveva già mille anni di storia, perché è stato fondato da Gregorio Magno nel 573. Ora perché questo incontro del Papa Benedetto XVI, con l’arcivescovo di Canterbury, il primate della Comunione anglicana? Bisogna ricordare che da questo monastero di Roma, San Gregorio Magno, nel 597 inviò 40 monaci a evangelizzare gli inglesi. Per cui gli inglesi, sono cristiani cattolici, a partire da questa missione dei 40 monaci presi dal Monastero del Celio, e inviati in Bretagna. C’è da aggiungere che i monaci inviati da Roma, hanno proliferato poi in Inghilterra; dai monasteri inglesi partirono dei monaci ad evangelizzare l’Olanda, la Germania, la Svizzera, l’Austria fino al fiume Elba. Per cui tutto il Centro Europa, in realtà, è frutto di questa intuizione di Gregorio Magno.
D. – Parliamo adesso del millenario della fondazione del Sacro Eremo di Camaldoli, fondato da San Romualdo nel 1012...
R. – A quei tempi non era molto facile attraversare gli Appennini. San Romualdo, che è di origine ravennate, per venire verso Roma, doveva attraversare questa catena montuosa, più o meno vicino al Monte Falterona. L’Eremo di Camaldoli si trovava, di fatto, al confine tra l’impero bizantino di una volta, e ciò che stava diventando ormai l’Italia dei comuni, poi delle signorie, etc... Possiamo dire che Camaldoli ha respirato, in qualche modo, con due polmoni: un polmone che veniva da Ravenna, quindi la tradizione bizantina, e un polmone che veniva da Roma. E da allora, i camaldolesi sono stati sempre un po’ come una specie di “comunità sulla soglia”. San Romualdo arrivò fino a Budapest, poi tornò indietro; i suoi discepoli proseguirono, andarono avanti. Per cui i primi nostri santi, i primi nostri martiri camaldolesi, o discepoli di San Romualdo, sono persone che sono state martirizzate nei territori della Polonia, dell’Ucraina dell’Est, della Svezia e tutta la penisola scandinava.
D. – Cosa sono state le “dispute camaldolesi”?
R. – Furono dei dibattiti che avvennero nel Monastero di Camaldoli, tra i grandi umanisti fiorentini, tra i quali il famosissimo Marsilio Fiicino, Lorenzo il Magnifico, Cristoforo Landino; quest’ultimo autore delle “disputazioni camaldolesi” tra monaci e laici, sui pregi e i rischi della vita contemplativa. Poi naturalmente, questo metodo è stato sviluppato lungo i secoli, e l’ultimo grande “prodotto” di questo incontro tra laici e monaci, è il cosiddetto “Codice di Camaldoli”, elaborato nel 1943. Questo testo permise a questo gruppo di cattolici che si ritrovavano a Calmaldoli, di enucleare i punti più importanti che la tradizione cristiana e cattolica in particolare, avrebbe voluto immettere nella costruenda Costituzione italiana.
D. – Periodo fecondo è stato anche il Concilio Vaticano II…
R. – Il Consiglio Vaticano II ci ha trovati preparati perché questi laici, che durante il periodo fascista erano stati portati a Camaldoli da monsignor Montini, che poi sarebbe divenuto Paolo VI, contribuirono moltissimo a risvegliare un pochino le menti di Camaldoli, aprendoli alla modernità e quindi a sollecitarli ad un dialogo più libero, più approfondito, con i laici. In questo dialogo, una parte preponderante, l’hanno avuta gli ebrei che si sono riconosciuti fratelli a Camaldoli di noi cristiani, quelli che poi Giovanni Paolo II avrebbe chiamato “i nostri fratelli maggiori”. Proprio a Camaldoli, ogni anno, ci sono degli incontri tra ebrei e cristiani, che cercano di approfondire l’amicizia tra di noi. (bi)
Il cardinale Schönborn inviato speciale del Papa a Praga per il 450.mo dell'arcivescovado
◊ Benedetto XVI ha nominato il cardinale arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn, suo inviato speciale alla celebrazione del 450.mo anniversario del rinnovamento formale dell’arcivescovado di Praga, che avrà luogo il 12 maggio 2012.
Mons. Cassari nominato dal Papa nunzio in Sud Africa, Botswana, Namibia e Swaziland
◊ Il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, un gruppo di presuli della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, in visita ad Limina, e il priore di Taizé, Frère Alois.
Benedetto XVI ha nominato nunzio apostolico in Sud Africa, Botswana, Namibia e Swaziland l’arcivescovo Mario Roberto Cassari, finora Nunzio Apostolico in Croazia.
In Italia, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Felice Cece. Al suo posto, il Pontefice ha nominato mons. Francesco Alfano, finora arcivescovo di Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia. Mons. Alfano è nato a Nocera Inferiore, diocesi di Nocera Inferiore-Sarno e provincia di Salerno, il 13 giugno 1956. Ha studiato al Seminario Minore diocesano e, fino alla licenza liceale, in quello regionale di Salerno. Come alunno dell’Almo Collegio Capranica ha frequentato Filosofia e Teologia all’Università Gregoriana, licenziandosi in Teologia Dogmatica. È stato ordinato presbitero il 17 aprile 1982 e incardinato a Nocera Inferiore-Sarno. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: 1982-1986: Vicario Cooperatore di "S. Bartolomeo Apostolo" in Nocera Inferiore; 1986-1989: Parroco di "S. Maria delle Grazie" in Casali di Roccapiemonte; 1989-2005: Parroco di "S. Maria delle Grazie" in Angri; 1992-1996: Direttore dell’Istituto diocesano di Scienze Religiose; 1993-2002: Responsabile della formazione dei seminaristi; 2001-2005: Vicario Episcopale per il clero. Ha ricoperto, inoltre, gli incarichi di Assistente diocesano dei Giovani di Azione Cattolica, Assistente diocesano di Azione Cattolica, Segretario del Consiglio Presbiterale e del Collegio dei Consultori, Direttore del Consiglio Pastorale e Responsabile dell’Ufficio Pastorale della Nuova Evangelizzazione. È stato uno dei principali collaboratori del Vescovo nella celebrazione del Sinodo diocesano (1996-2001) e del primo Congresso Eucaristico diocesano. Il 24 ottobre 1996 è stato annoverato tra i Cappellani di Sua Santità. Eletto alla sede Arcivescovile di Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia il 14 maggio 2005, ha ricevuto la consacrazione episcopale il 2 luglio dello stesso anno.
La Santa Sede al Forum sulle risorse idriche: l'acqua non è una merce
◊ Contribuire alla sicurezza alimentare attraverso un uso ottimale dell’acqua: sarà uno dei temi di riflessione al VI Forum mondiale dell’Acqua (Wwf/Fma), in programma a Marsiglia, in Francia, da lunedì prossimo fino a venerdì 17. Come sottolinea l’agenzia Misna, sarà anche uno dei pochi spazi in cui si darà la parola a esponenti del Sud del mondo, come i piccoli agricoltori. Con un comunicato pubblicato oggi, il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace ha annunciato la sua partecipazione. Fausta Speranza ha intervistato il sottosegretario del dicastero vaticano, Flaminia Giovannelli, che guida la delegazione:
R. – La Santa Sede, il Pontificio Consiglio per la Giustizia e per la Pace, ha partecipato già a tre precedenti forum: nel 2003 a Kyoto, nel 2006 a Città del Messico e nel 2009 a Istanbul. L’importanza dell’argomento è evidente: perché senza acqua non c’è vita possibile sulla terra. Se si considera che ancora metà della popolazione sulla terra non ha un accesso all’acqua potabile – e soprattutto che la maggiore difficoltà la incontrano i Paesi poveri e naturalmente i poveri dei Paesi poveri: molte volte per motivi geografici, perché sono posti dove l’acqua scarseggia o non c’è proprio, e altre volte per motivi di scarsa tecnologia o infrastrutture assolutamente carenti – si capisce allora qual è l’interesse della Santa Sede e della Chiesa a un argomento di questo genere.
D. – L’acqua deve essere gestita perché è un bene comune. Qual è l’appello della Santa Sede agli attori chiamati ad agire?
R. – La prima cosa è che considerino che l’acqua è un bene comune, e che soprattutto l’acqua non è una merce come le altre. La raccomandazione che fa la Santa Sede è quella di una gestione dell’acqua con un approccio non mercantile.
D. – Dunque sobrietà, responsabilità, solidarietà soprattutto?
R. – Certo. Solidarietà e anche sussidiarietà, perché la solidarietà non cammina mai senza la sussidiarietà. Anche in questo tipo di gestioni, quello che è fattibile a livello più basso deve essere incoraggiato.
D. – Parliamo ora di partecipazione al Forum…
R. – Per la Santa Sede, mi sembra particolarmente importante rilevare che il Forum si svolge in un modo “particolarmente partecipativo”: sembra un gioco di parole ma è proprio così. Al Forum partecipano soggetti statali, privati, ma anche rappresentanti del mondo associativo. (cp)
Mons. Toso sulla Grecia: "no" al commissariamento di una nazione
◊ “Manca un’autorità politica mondiale che compia scelte e vari le politiche monetarie, finanziarie e sociali”. Lo ha affermato mons. Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, intervenuto a Roma a un convegno sul contributo della Dottrina Sociale della Chiesa per uscire dalla crisi. Dunque, per mons. Toso, bisogna arrivare a una riforma dell’Onu. Il servizio di Alessandro Guarasci:
"Per evitare di cadere nuovamente nella speculazione bisognerebbe riformare l’Onu e tutte le istituzioni internazionali". Lo afferma mons. Toso il quale, riferendosi alla Grecia, si dice convinto che la situazione della crisi sia ''fluida'' e presenti ''segni di speranza ma anche segni negativi”:
“Cioè, in sostanza, il commissariamento politico di una nazione. Questo non fa ben sperare, perché se queste sono le vie per risolvere i problemi, dobbiamo dubitare della capacità di tenuta delle nostre democrazie”.
Dunque, serve che l’Europa risponda unita e non sotto forma di singoli Stati. Più in generale, mons. Toso torna a chiedere possibili forme di tassazione delle transazioni finanziarie, oltre a ricapitalizzare le banche, ma queste devono dare sostegno all’economia reale. Insomma, il sistema finanziario mondiale dovrebbe essere più trasparente. Il che vuol dire riumanizzare la finanza, come insegna la Dottrina sociale della Chiesa.
Il Giappone del dopo Fukushima tra dignità e nuove speranze: editoriale di padre Lombardi
◊ Un anno fa, un’apocalisse di pochi minuti annichilì un’intera nazione e impressionò il resto del mondo, arrivando a condizionarne scelte di grande rilevanza sociale. Un anno dopo, il Giappone ricorda le vittime del sisma e dello tsunami dell’11 marzo 2011, con le migliaia di morti e la scia di distruzione, mentre il resto del mondo ricorda in che modo un intero popolo ha cercato di risollevarsi da quella tragedia. Ad essa, e alle sue conseguenze, il nostro direttore padre Federico Lombardi dedica il suo editoriale per il settimanale informativo “Octava dies” del Centro Televisivo Vaticano:
Il fortissimo terremoto che colpì il Giappone l’11 marzo dell’anno scorso rimane scolpito nella memoria non solo del popolo del Sol Levante, ma del mondo intero, come pure l’ancor più spaventoso tsunami dell’Oceano Indiano del dicembre 2004 con le sue centinaia di migliaia di vittime. Il terremoto e lo tsunami giapponese provocarono ventimila morti, prendendo di sorpresa un Paese che convive da secoli con queste catastrofi, ma che questa non l’aveva assolutamente prevista. E che poi si è prolungata con l’impressionante incidente alla centrale nucleare di Fukushima, dalle conseguenze più insidiose e di più lungo termine. La fiducia nella scienza, i piani di emergenza, l’intera politica energetica di un Paese progredito e ben organizzato sono stati messi radicalmente in questione. Oggi in Giappone quattro reattori nucleari sono in funzione, mentre cinquanta sono fermi. Gli studiosi pensano che la scossa dell’anno passato abbia creato una situazione di instabilità che renda più prossima la probabilità di un altro grande terremoto. La vita, le attese sono cambiate. Tutti abbiamo ammirato il modo coraggioso, dignitoso e solidale con cui il popolo giapponese ha reagito alla tragedia e si è organizzato per portarne le conseguenze. Nel giorno del Venerdì Santo, rispondendo alla domanda di una bimba giapponese in una trasmissione televisiva, il Papa le diceva: “Anche io mi domando perché. Non abbiamo le risposte, ma sappiamo che Gesù ha sofferto come voi, innocente. Dio mi ama, sta dalla mia parte, un giorno capirò che questa sofferenza non era vuota. Stai sicura, noi siamo con te, con tutti i bambini giapponesi che soffrono. Preghiamo insieme perché per voi venga luce quanto prima”. Di fronte alla tragedia più grande di noi, non perdere la speranza e saper ritrovare il senso più profondo e durevole del nostro destino, del nostro essere in cammino insieme su questa terra.
Presentato al Papa l'Annuario Pontificio: la Chiesa cresce in Africa e Asia
◊ La Chiesa cresce in Africa e Asia: è quanto emerge dall’Annuario Pontificio 2012 e dall’Annuarium Statisticum Ecclesiae presentati stamani al Papa in Vaticano. I due volumi sono stati curati da mons. Vittorio Formenti, incaricato dell’Ufficio Centrale di Statistica della Chiesa, dal prof. Enrico Nenna e dagli altri collaboratori. Presenti il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone e mons. Angelo Becciu, sostituto alla Segreteria di Stato per gli Affari Generali. Il Papa ha ringraziato per l’omaggio, mostrando vivo interesse per i dati illustrati da cui si possono desumere alcune novità relative alla vita della Chiesa cattolica nel mondo. Il volume sarà prossimamente disponibile nelle librerie. Il servizio di Sergio Centofanti.
I cattolici nel mondo sono circa 1 miliardo 196 milioni, con un aumento di fedeli pari all’1,3% (i dati statistici prendono in esame il periodo dal 2009 al 2010) e una presenza mondiale che rimane stabile attorno al 17,5%. Il primo dato significativo ci dice che diminuiscono nell’America Meridionale (da 28,54 a 28,34 per cento) e soprattutto in Europa (da 24,05 a 23,83 per cento) e aumentano nell’Africa (da 15,15 a 15,55 per cento) e nell’Asia Sud Orientale (da 10,41 a 10,87 per cento).
Crescono i vescovi (da 5.065 a 5.104), in particolare in Africa (+16 nuovi vescovi), America (+15) e Asia (+12), mentre una lieve flessione si è manifestata in Europa (da 1.607 a 1.606) e in Oceania (da 132 a 129).
Prosegue anche la tendenza alla crescita del numero dei sacerdoti, che ha avuto inizio dal 2000: si parla di oltre 412mila sacerdoti (277.009 diocesani, 135.227 religiosi) con un incremento di 1.643 unità. L’aumento riguarda l’Asia (+1.695 sacerdoti), l’Africa (+761), l’Oceania (+52) e l’America (+40 unità), mentre si registra un netto calo in Europa (-905 sacerdoti).
Continua a crescere (+3,7%) il numero dei diaconi permanenti, sia diocesani sia religiosi, passando da 38.155 a 39.564. I diaconi permanenti sono presenti soprattutto in America del Nord e in Europa con una quota relativa al totale mondiale rispettivamente del 64,3% e di 33,2%.
Tornano a crescere i religiosi professi non sacerdoti: nel 2009 erano 54.229, nel 2010 hanno raggiunto il numero di 54.665. In netto calo in America del Sud (3,5%) e in America del Nord (0,9%), sono stazionari in Europa; i religiosi professi aumentano in Asia (+4,1%), dove accrescono la propria quota sul totale mondiale, e in Africa (+3,1%).
Diminuiscono in modo consistente le religiose professe passando da 729.371 a 721.935. Il calo ha riguardato tre continenti (Europa, America e Oceania), con variazioni negative anche di rilievo (-2,9% in Europa, -2,6% in Oceania e -1,6% in America). In Africa e in Asia, invece, l’incremento è stato decisamente significativo, attorno al 2% per entrambi i continenti.
In costante crescita nell’ultimo quinquennio (+4%) il numero degli studenti di filosofia o di teologia nei seminari diocesani o religiosi: passano dalle 114.439 unità del 2005 alle 118.990 del 2010. In diminuzione in Europa (-10,4%) e in America (-1,1%), i seminaristi maggiori aumentano in Africa (+14,2%), in Asia (+13,0%) e in Oceania (+12,3%).
Nel 2011 anno sono state erette dal Papa 8 nuove Sedi Vescovili, 1 Ordinariato Personale e 1 Ordinariato Militare; sono state elevate: 1 Arcidiocesi e 8 Diocesi a Sedi Metropolitane, 1 Prelatura, 1 Vicariato Apostolico e 1 Prefettura Apostolica a Diocesi, 1 Missione ‹‹sui iuris›› a Prefettura Apostolica.
Il complesso lavoro di stampa di entrambi i volumi è stato curato dal rev. don Sergio Pellini S.D.B., dal comm. Antonio Maggiotto S.D.B. e dal comm. Giuseppe Canesso S.D.B., rispettivamente direttore generale, direttore commerciale e direttore tecnico della Tipografia Vaticana.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Udienza di Benedetto XVI all'arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams.
Il Sahel della fame: quindici milioni di persone in pericolo di vita per la siccità.
Un articolo di Hidekazu Yamaguchi, Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario del Giappone presso la Santa Sede, sul primo anniversario del grande terremoto che ha colpito il Giappone Orientale.
Come nacque uno scisma: il cardinale Walter Brandmüller sui passi che portarono il movimento Jednota alla proclamazione di una «Chiesa cecoslovacca» l’8 gennaio 1920.
Satana e la trappola mimetica: Oddone Camerana sul volume di Claudio Tarditi “Il diavolo probabilmente”.
Che fascino quel Seneca pulp: Maria Luisa Doglio sull’eredità del tragediografo negli studi di Ettore Paratore.
Farfalle non si nasce: Silvia Guidi sul cortometraggio «The Butterfly Circus» di Joshua e Rebekah Weigel.
Impegno dei cattolici d'Irlanda per la tutela dei giovani: le conclusioni dell'assemblea plenaria dei membri della Conferenza episcopale.
Ostaggi uccisi in Nigeria. L'arcivescovo di Abuja: l'incertezza regna nel Paese
◊ Sono otto le persone fermate dalla polizia nigeriana dopo l’uccisione di due ostaggi – l’italiano Franco Lamolinara e il britannico Chris MacManus – avvenuta giovedì scorso nel corso di un blitz a Sokoto, nel nord del Paese. L’ordine era di uccidere – hanno riferito alcuni complici – nel caso in cui le forze dell’ordine fossero intervenute. Intanto Roma e Londra, dopo le divergenze iniziali, hanno assicurato uno sforzo comune per chiarire i punti oscuri della vicenda. Rientrata in Italia la salma di Lamolinara. Alla famiglia delle vittime si rivolge mons. John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja. L’intervista è di Benedetta Capelli:
R. – Il primo pensiero lo rivolgo ai familiari delle persone uccise: le mie condoglianze, le mie preghiere sincere e profonde per l’anima delle persone defunte e il conforto di Dio per i familiari che sono rimasti senza i loro cari. Per quanto riguarda l’accaduto, noi non abbiamo capito esattamente cosa è accaduto, come abbiano fatto … Spero che poco a poco si chiariranno le cose. Per quanto riguarda la Nigeria, non abbiamo grandi spiegazioni; non ci sono nemmeno tante spiegazioni per quanto riguarda il tipo di collegamento tra il governo nigeriano e quello britannico. Sappiamo soltanto che l’operazione è stata compiuta congiuntamente con le nostre forze dell’ordine. Fino a questo punto, va bene. Ma se arriviamo al punto che Paesi stranieri si prendono la libertà di venire nel nostro Paese, anche se per venire a liberare i loro connazionali, il discorso cambia profondamente.
D. – Boko Haram ha negato il suo coinvolgimento per quanto riguarda il rapimento. C’è da crederlo?
R. – Boko Haram ormai è diventato un nome generico per tante cose. Per ogni esplosione, ogni rapimento, ogni rapina si dice: Boko Haram, Boko Haram! Questo significa che chiunque commetta qualsiasi cosa, si dirà che è stato Boko Haram. In questo caso specifico, sembra si tratti di un gruppo completamente diverso da Boko Haram, anche se potrebbe avere la stessa area ideologico-religiosa. Non dobbiamo dimenticare che la zona di Birnin Kebbi, dove è avvenuto il rapimento, è alla frontiera con il Niger. Il Niger è un Paese vicino al Maghreb, e al Qaeda del Maghreb certamente può avere persone che agiscono in quella zona. Sappiamo per esempio che c’è lo stesso problema in Mali, al confine con il Niger: dopo tutta la confusione causata dalla caduta di Gheddafi, il problema della sicurezza per il nostro Paese non è stato ancora chiarito. Si sa che un grande quantitativo di armi di ogni tipo è sparito dalla Libia: chissà quante di queste armi finiscono nelle mani di questa gente!
D. – La zona dove è accaduto questo blitz – Sokoto – è una zona pacifica, in realtà …
R. – Finora, la zona di Birnin Kebbi è stata molto pacifica: non è stata una zona operativa di Boko Haram. Boko Haram opera principalmente nel Nord Est della Nigeria, mentre qui siamo nel Nord Ovest. E’ possibile che elementi di Boko Haram possano arrivare a Sokoto, ma mi sembra che l’ambiente non sia “accogliente” nei loro riguardi, a differenza del Nord Est. Tutto questo vuol dire che il nostro Paese è in pericolo in diverse zone delle nostre frontiere …
D. – Qual è il suo auspicio di fronte a questa situazione di generale incertezza, e cosa fa la Chiesa in questo contesto?
R. – L’incertezza è generale, e questo è vero, perché non si sa dove avverrà il prossimo colpo: non si sa. Questo vuol dire che tutti noi, tutto il Paese rimane in questa situazione di incertezza. Ma questo non vuol dire che tutto il Paese bruci. E poi, non dobbiamo dimenticare che oggi si parla di un inglese e di un italiano, ma ogni giorno, da oltre un anno, centinaia e centinaia, anche migliaia di nigeriani sono stati uccisi da questa gente! Cerchiamo a modo nostro in ogni modo, non soltanto da un punto di vista della sicurezza, del controllo delle armi e della polizia, ma anche tramite l’aspetto politico e religioso di iniziare un dialogo che porti a risolvere questo modo di agire, che è totalmente contrario al modo di pensare dei nigeriani. (gf)
Raid israeliani a Gaza, uccisi 14 palestinesi
◊ Almeno 14 palestinesi sono stati uccisi e una ventina feriti in una serie di raid israeliani in corso da ieri pomeriggio sulla Striscia di Gaza. Al contempo, una fitta pioggia di razzi si è abbattuta nel Neghev israeliano, col ferimento di 4 persone. All'origine di questa nuova escalation di violenza, l'uccisione ieri a Gaza – con un'esecuzione mirata condotta da un velivolo israeliano – di Zuheir al-Kaisi, comandante dei Comitati di resistenza popolare, formazione armata alleata di Hamas. Per un commento sulla situazione in Medio Oriente, Emanuela Campanile ha intervistato Camille Eid, esperto di questioni mediorientali:
R. – Ci sono stati questi nuovi raid israeliani: ormai alla reazione segue la contro-reazione, alle offensive seguono le contro-offensive. Sappiamo che ieri era stato ucciso un leader della Resistenza popolare palestinese – così viene definita – e quindi ci sono stati questi lanci di missili palestinesi contro il Neghev israeliano, e da parte sua Israele non ha fatto ovviamente attendere la sua risposta. Raid che hanno provocato, per ora, l’uccisione di una quindicina di palestinesi. Ma il bilancio è provvisorio.
D. – Diciamo, quindi, che la ripresa di questi scontri è su larga scala...
R. – Certamente. Si parla di 80 missili lanciati. Il numero è veramente eccessivo e chiaramente non si fermerà qui. Ora, l’aviazione israeliana ha neutralizzato sei diverse cellule di miliziani palestinesi, ma la situazione torna a essere davvero incandescente e rischia di esplodere nuovamente, com’era successo alcuni mesi fa.
D. – C’è stata qualche dichiarazione dallo Stato di Israele?
R. – Finora non risulta alcuna dichiarazione ufficiale. Si parlava di accuse, nel senso che al-Kaisi, il leader ucciso ieri, aveva organizzato un attentato al nord di Eilat e quindi le loro azioni ‘mirate’ avevano questa giustificazione, proprio perché ad essere colpita è stata la sua macchina. Non mi risultano, al momento, altre dichiarazioni ufficiali, anche se credo che non tarderanno ad uscire per quanto riguarda quest’ultimo lancio di missili.
D. – Abbiamo comunque capito che Israele sembra agire con mano molto pesante. Altro punto davvero dolente è il pericolo-Iran: la situazione, ad oggi, qual è?
R. – Si torna a paventare il prossimo arrivo dell’Iran all’arma nucleare. Sappiamo che lo scorso lunedì c’è stato l’incontro di Netanyahu con il presidente americano, Barack Obama, e lo stesso Netanyahu ha fatto un discorso abbastanza acceso davanti all’Aipac – che è la lobby ebraica presente in America – paventando proprio l’opzione militare come prossima. Ha affermato che non è sicuramente una questione di giorni o settimane, ma non sarà nemmeno questione di anni, e questa dichiarazione ha chiaramente suscitato una ripresa del dibattito anche all’interno di Israele, perché ci sono pro e contro riguardo quest’opzione militare. Ora, si attenderà la prossima riunione del gruppo 5+1 per vedere se ci sarà davvero una disponibilità iraniana a riprendere le trattative oppure no.
D. – Anche perché, molto probabilmente, ci saranno degli stravolgimenti nelle elezioni in Iran. E’ un po’ tutto da ridefinire...
R. – Non penso che le elezioni in Iran cambieranno molto il quadro generale, perché non mi risultano movimenti o forze politiche iraniane contrarie alla definizione dell’Iran come potenza nucleare. E’ chiaro che gli iraniani, al momento, non parlano ufficialmente di "appetito" nucleare-militare: tutti affermano che l’Iran ha il diritto, come altri Paesi, a possedere l’arma nucleare, ma si parla comunque di un possesso per scopi civili. I sospetti sono comunque ben fondati, perché anche il direttore dell’Agenzia atomica internazionale, l’Aiea, dichiara che l’Iran non ha detto proprio tutto, e dunque ci sono gli ispettori che già da alcuni giorni chiedono di poter entrare a visitare alcuni siti, tra i quali la base militare di Parchin, vicina alla capitale iraniana. Ci si aspetta, quindi, qualche mossa nei prossimi giorni, perché l’Iaea ha detto che prossimamente gli ispettori si recheranno lì e alla prossima riunione del 5+1 – che si terrà nel messe di aprile – valuteranno se questa “finestra di opportunità” di cui ha parlato Obama sarà veramente aperta o chiusa.
D. – A proposito di Stati Uniti, Israele che tipo di rapporto ha con l’attuale presidente americano nel quadro di questa crisi interna e nei confronti dell’Iran?
R. – La maggioranza degli israeliana – ossia il 58% delle persone intervistate, secondo un sondaggio degli ultimi giorni – afferma che non si deve attaccare l’Iran senza l’appoggio americano. Parlano della necessità di avere un appoggio e che non sia quindi un’azione unilaterale da parte di Israele per quanto riguarda un attacco del genere. Anzi, un giornale iraniano diceva che gli Stati Uniti avrebbero offerto a Israele, in cambio della rinuncia ad attaccare l’Iran, armi ultra-sofisticate. Bisogna però vedere se è veramente così. Sappiamo comunque che il presidente Obama non può rischiare di lanciare un attacco del genere o avallarlo alla vigilia delle elezioni presidenziali americane. Dopo queste elezioni, forse, il discorso potrà essere un altro, ma non in questo periodo. Israele è divisa tra queste due opzioni: non vuole arrivare al giorno in cui l’Iran dichiarerà il proprio possesso dell’arma nucleare, ma non vuole nemmeno aspettare il dopo-elezioni. (vv)
Kofi Annan ad Assad: tregua umanitaria. Il Qatar: in Siria c'è un genocidio
◊ Si è svolto “in un’atmosfera positiva”, stando a quanto riferito dalla tv di Stato siriana, l’incontro a Damasco tra il presidente Assad e l’inviato di Onu e Lega Araba, Kofi Annan, giunto nel Paese per chiedere l’immediato cessate il fuoco e libertà d’accesso per le organizzazioni umanitarie. Assad ha detto che sono i "terroristi" a bloccare la soluzione della crisi, mentre per il Qatar nel Paese è in corso un "genocidio". Oggi, intanto, 16 insorti sono stati uccisi in una imboscata. Ieri, nuovo bagno di sangue durante il venerdì di preghiera isalmico. Roberta Barbi:
Le speranze del mondo che la Siria non sprofondi definitivamente nella guerra civile sono arrivate oggi a Damasco insieme con Kofi Annan, l’inviato delle Nazioni Unite che ha incontrato il presidente siriano Assad al quale ha chiesto un immediato cessate il fuoco e il libero accesso per gli aiuti umanitari alle località più colpite dal conflitto scoppiato un anno fa. Scarse sono le speranze in merito degli oppositori del governo: il presidente del Consiglio nazionale siriano, Buhran Ghalioun, ha definito la missione di Annan “inutile, senza senso e irrealistica”. L’incontro, che secondo la tv di Stato siriana si è svolto “in un’atmosfera positiva”, non ha però fermato le violenze: questa mattina sono continuati i bombardamenti a Idlib, ai quali è seguita una massiccia operazione di terra, mentre ieri l’ennesimo venerdì di sangue ha lasciato sul campo 70 morti civili. Dopo Assad, Kofi Annan incontrerà anche altri esponenti del governo e della società civile e concluderà il suo viaggio, domani, con una visita nei Paesi confinanti che ospitano i profughi siriani, primo fra tutti la Turchia. Intanto in un incontro al Cairo alla vigilia della missione di Annan, la Russia aveva ribadito di evitare “rozze interferenze” negli affari interni siriani e si è detta pronta a lavorare per le riforme in Siria, mentre oggi il ministro degli Esteri del Qatar, nel corso di una riunione con la Lega Araba, ha spinto verso l’invio di forze arabe e internazionali nel Paese e verso il riconoscimento del Consiglio nazionale come unico interlocutore. “Mosca non protegge alcun regime, ma solo il diritto internazionale e promuove una soluzione pacifica alla crisi in Siria”, ha detto il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov. L’Arabia Saudita, infine, punta il dito contro la mancata approvazione di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, colpevole di aver fatto proseguire le uccisioni in Siria.
Usa: primarie repubblicane in Wyoming e Pennsylvania
◊ Continuano negli Stati Uniti le primarie del Partito Repubblicano. Ad agosto prossimo la scelta definitiva del candidato che dovrà vedersela con Barack Obama per la Casa Bianca a novembre. In corsa ancora il favorito Mitt Romney, ex governatore del Massachusetts, e Rick Santorum, già senatore della Pennsylvania. Oggi si vota in Wyoming e Kansas, mentre martedì prossimo sarà la volta di Mississippi, Alabama e Hawaii. Qualsiasi sia la scelta del candidato, i repubblicani dichiarano di voler modificare profondamente le riforme sullo Stato sociale che sono state il fiore all’occhiello dell’amministrazione Obama. Francesca Baronio ne ha parlato a Washington con Domenico Lombardi, economista della Brooking Institution:
R. – Gli esponenti del Partito Repubblicano sono stati molto chiari: innanzitutto, il primo programma ad essere tagliato sarebbe proprio quello della riforma sanitaria che, con tanto sforzo, l’amministrazione Obama ha posto in essere. Inoltre, altri programmi di interesse sociale verrebbero ad essere interessati, soprattutto se l’obiettivo di riduzione delle aliquote fiscali, così com’è stato promesso, dovesse essere attuato. Gli Stati Uniti già si trovano in una situazione molto delicata, dal punto di vista della politica fiscale, e dunque un’ulteriore compressione delle entrate dovrebbe essere necessariamente compensata da aggiustamenti sul lato delle spese.
D. – Per quale motivo, nel corso della campagna elettorale, il modello europeo è stato spesso criticato dai repubblicani?
R. – Innanzitutto, c’è un aspetto ideologico: loro privilegiano la libertà di iniziativa e la libertà d’impresa. Inoltre, vedono nell’economia continentale europea alcuni aspetti che vanno esattamente nella direzione opposta, come ad esempio l’elevata tassazione e l’elevato peso regolamentare. Questi sono aspetti che non rientrano nella loro visione economica del mondo. C’è poi un ulteriore aspetto, che è quello di rafforzare l’idea di potenza della Nazione americana, e quindi questo è un ulteriore aspetto che tende a distinguere la loro posizione da quelle più multi-lateraliste e più internazionaliste dell’attuale amministrazione. (vv)
Sud Sudan. Intersos: è sempre emergenza tra rimpatri e gente in fuga
◊ La regione del Jonglei, in Sud Sudan, è da mesi teatro di scontri per la terra e il bestiame tra comunità rivali. Ancora nei giorni scorsi, Caritas Internationalis e l’organizzazione "Catholic Relief" hanno messo in guardia contro un possibile inasprimento del conflitto. Raggiunto telefonicamente da Davide Maggiore, il responsabile per il Sud Sudan dell’organizzazione umanitaria Intersos, Davide Berruti, ha descritto le attuali condizioni della regione:
R. – La situazione è relativamente calma nella contea di Pibor. Qui, Intersos lavora già da qualche anno, sostenendo le vittime di questi scontri che appartengono all’etnia "murle". Nei giorni scorsi, però, ci sono arrivate voci di ulteriori attacchi in zone più a nord, nello Stato del Jonglei. Scontri che riguardano sempre le etnie dei "murle" e quella dei "lou nuer", che sono storici rivali. Sappiamo bene, purtroppo, che è solo una questione di tempo: l’attacco subìto dai "murle" – un attacco davvero molto forte, con delle gravissime perdite e un numero altissimo di morti e di villaggi distrutti – non porterà a nulla di buono. E’ un ciclo, questo, che non riusciamo ad interrompere.
D. – Questa emergenza, quindi, ha origine da ragioni profonde?
R. – Sicuramente, c’è un aspetto tribale ma c’è anche un aspetto del tutto moderno: il Paese è in guerra, ed è una guerra moderna, di questo secolo, che ha opposto il Sud al Nord e che, ancora oggi, vede molti focolai di violenza. Anche nella regione di Jonglei queste guerre hanno una matrice non solo tribale, ma che ha anche a che fare con le risorse, le materie prime e il potere. Non vorrei che si indicasse come unica causa il fatto culturale, tribale, perché il popolo del Sud Sudan è composto anche di persone che amano la pace.
D. – Particolare allarme hanno destato le notizie riguardanti i bambini abbandonati…
R. – Noi, nei primi giorni del mese di gennaio, subito dopo gli scontri più violenti, abbiamo registrato un alto numero di minori non accompagnati, i quali superavano il centinaio solo nella città di Pibor. Tenute presenti anche le difficoltà della raccolta dati delle cifre precise, direi che il numero è abbastanza preoccupante. A oggi, invece, non abbiamo più minori non accompagnati, perché anche laddove c’erano minori ed orfani, sono stati presi in carico dalle famiglie e quindi dai parenti. Ovviamente, questi minori, e anche le famiglie che li accolgono, vanno poi seguiti perché non hanno mezzi di sussistenza.
D. – Lo scorso 9 luglio, è stata proclamata l’indipendenza del Sud Sudan. A diversi mesi da questa data la situazione umanitaria nel Paese è, in qualche modo, cambiata?
R. – Se è cambiata, è cambiata in peggio. Se osserviamo i numeri, il grosso delle emergenze è scoppiato dopo il 9 luglio. I numeri dei rifugiati erano altissimi, senza parlare poi di quelli che sono tornati – oltre 100 mila persone – e quelli che, da Karthoum e da altre città del Nord del Sudan, si sono spostati dopo l’indipendenza per raggiungere il Sud Sudan. Solo in qualche caso lo hanno fatto per libera scelta, e magari perché – contenti per l’indipendenza – sono voluti ritornare al proprio Paese d’origine. Nella maggioranza dei casi, però, si è trattata per lo più di una fuga.
D. – Quali sono le priorità del territorio sud sudanese, dal punto di vista umanitario?
R. – La prima è senz’altro l’approvvigionamento di scorte di cibo. Abbiamo una tale richiesta di cibo che le stesse Nazioni Unite non riescono a farne fronte. La seconda importantissima mancanza riguarda l’accesso a fonti di acqua potabile. Poi c’è, ovviamente, la protezione dalla violenza e anche, per quanto concerne i minori, il diritto di andare a scuola. Direi però che le cose fondamentali cui la comunità internazionale deve far fronte sono il cibo e l’acqua. (vv)
"Fukushima": il libro di Alessandro Farruggia racconta il disastro nucleare
◊ Cosa accadde realmente l'11 marzo 2011, in Giappone, quando un terremoto del nono grado e un terribile tsunami arrivarono a danneggiare la centrale nucleare di Fukushima? A dare un contributo di chiarezza è il libro “Fukushima”, scritto dal giornalista Alessandro Farruggia. Marina Tomarro gli ha chiesto come si sia potuta verificare la rottura di alcuni reattori, con la conseguente fuoriuscita di materiale radioattivo:
R. – E’ potuto accadere perché la Tepco, la società che gestiva la centrale, ha commesso una serie di errori molto gravi – mancanze progettuali, scarsa manutenzione – gravi errori nella disposizione degli impianti di emergenza. Sostanzialmente, quando è avvenuto il terremoto, undici centrali in Giappone sono andate in arresto di emergenza e soltanto in una si è verificato quello che si è verificato. Questo perché a Fukushima c’era una situazione ad alto rischio e non c’erano protezioni nel mare: la centrale era stata volutamente costruita a soltanto dieci metri di altezza dal livello dell’oceano, per risparmiare sui costi di pompaggio dell’acqua. Era una condizione nella quale, di fronte ad un terremoto molto forte e a uno tsunami, la centrale era veramente a rischio e purtroppo questo è accaduto.
D. – Quanta radioattività è fuoriuscita?
R. – Le ultime stime valutano un rilascio di cesio attorno al 40% della quantità che venne rilasciata a Chernobyl. Quindi, si tratta di quantità molto ampie. Fortunatamente, la maggior parte di questa radioattività è stata dispersa nell’Oceano e non sul Giappone. Abbiamo una fascia di circa una sessantina di chilometri che si estende verso nord, dove purtroppo nell’imminenza dell’incidente ci sono state delle piogge, delle nevicate, e queste zone saranno inabitabili per presumibilmente 20, 30, 40 anni. Nel resto del Giappone, c’è una presenza di radioattività più alta rispetto ai livelli normali, che determina conseguenze sulla produzione del cibo, quindi obbliga ad un monitoraggio attento e a blocchi della produzione, laddove la radioattività sia più alta del livello accettabile.
D. – Ma qual è la situazione attuale?
R. – I reattori sono tutti quanti in "cold shutdown", cioè in spegnimento a freddo, con temperature sotto i cento gradi e ovviamente una grande quantità di radioattività. Sotto la centrale ci sono ancora grandi quantità di acqua contaminata, che lentamente viene fatta filtrare da sistemi di purificazione, e, ovviamente, all’esterno della centrale, nel tratto di mare prospiciente c’è una notevole contaminazione di sedimenti che, adesso, si pensa di mettere sotto controllo, spandendo sul fondale marino una resina o del cemento – ancora non si è chiarito: si pensa cioè di cementificare il fondo marino per mantenere la contaminazione lì dove si trova. (ap)
Donne uditrici al Concilio Vaticano II: ciclo di lezioni pubbliche al Marianum
◊ Alla Pontificia Facoltà Teologica del Marianum un ciclo di lezioni pubbliche sulle uditrici laiche che presero parte al Concilio Vaticano II. Un’occasione per ricordare l’importanza della presenza femminile nella Chiesa ma anche per ribadire l’aspetto del pieno riconoscimento dei diritti e della parità uomo-donna, fondamentale per dare alla comunità cristiana, secondo le parole di Paolo VI, “maggiore pienezza di concordia, di collaborazione e carità”. Il servizio di Cecilia Seppia:
Rosemary Goldie, Marie Louise Monnet, Pilar Belosillo e Alda Miceli: sono alcune tra le uditrici laiche che per volere di Papa Paolo VI presero parte, per la prima volta, alla storica assise del Concilio Vaticano II. Uditrici sì, ma non mere spettatrici: piuttosto donne di spessore, battagliere competenti, scelte non per rappresentanza, ma per le loro qualifiche e il loro ruolo, fonte di inestimabile ricchezza per la Chiesa tutta. Adriana Valerio, Teologa e storica del Cristianesimo:
“La loro presenza è stata importante proprio perché ha sollecitato i padri conciliari a porsi dei problemi reali sulla condizione femminile. Non è stato facile: ci sono state e ci sono ancora tante resistenze. E invece c’è una forte consapevolezza di voler sottolineare l’importanza di riconoscere alla donna la dignità. Più volte si sottolinea che dovevano essere 'presenze simboliche': fatto sottolineato dal fatto che dovevano rimanere in silenzio. In realtà non sono state simboliche, non sono state in silenzio ma hanno partecipato attivamente alle sottocommissioni, dando un contributo importante. Il ruolo della donna è fondamentale perché le società si reggono sul lavoro delle donne, specialmente quelle povere, dove è importante il lavoro manuale, di cura della famiglia, dell’economia... Quindi potenziare i diritti delle donne, significa potenziare la costruzione di una società. Penso che le donne possano fare molto, possano dare molto. Mi riferisco in modo particolare alle teologhe. Il fatto che le donne studino, e che abbiano la possibilità di interrogare i testi sacri, la tradizione, penso sia un rapporto importante per la vita della Chiesa anche se, forse, i loro studi ed i loro contributi, non si valorizzano abbastanza”.
Citate dai padri e dai periti conciliari nei loro diari, le uditrici laiche e consacrate, 23 in tutto, otre 50 esperte, parteciparono alla stesura di importanti documenti, prima tra tutti la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, la “Gaudium ed Spes” e finirono per occupare posizioni di spicco nelle istituzioni ecclesiali, come Rosemary Goldie, australiana di origini, classe 1916, che divenne segretario permanente del Pontificio Consiglio per i Laici e volle definirsi “reliquia del Concilio”. Sentiamo Cettina Militello docente alla facoltà teologica del Marianum:
“È stata una persona che ha dedicato la sua vita intera alla presenza dei laici nella Chiesa. La presa di coscienza: lei citava sempre una frase di Pio XII: 'Anche i laici sono Chiesa'. Io ho avuto il privilegio di essere sua amica e quindi l’ho frequentata a lungo. Di prima mano, ho alcuni ricordi del Concilio: queste donne velate in tribuna, che potevano solamente ascoltare. Mentre lei mi raccontava sempre di questa esperienza della sottocommissione che lavorava a 'Gaudium ed Spes'. Ricordava sempre la qualità di quel confronto, di quello scambio, così come l’aveva vissuto. Lei sosteneva che è vero che i laici erano solo uditori, e non locutores, ma di fatto poi, nelle sottocommissioni nei contesti informali, riuscivano a far passare quello che era il loro punto di vista.”
Un contributo dunque fondamentale, quello delle donne alla Chiesa, che poggia su valori profondi radicati nell’essere femminile, una spinta propulsiva di cambiamento e una “presenza profetica” come le definì Paolo VI, che da allora si rinnova ogni giorno, ma che ancora deve realizzarsi compiutamente. Ancora Cettina Militello:
“Il problema culturale del silenzio delle donne, è qualcosa che ha pesato veramente nella Chiesa. Certo, meglio essere ufficialmente silenti, ma presenze attive, che non esserci affatto. Però, il modello vero è quello di donne e uomini che insieme gestiscono la Chiesa, perché come ci ha insegnato il Vaticano II, siamo tutti popolo di Dio; ciascuno rende un servizio.”(bi)
In un libro 101 ritratti di donne che hanno fatto l'Italia
◊ Da Santa Caterina da Siena a Grazia Deledda. Da Anita Garibaldi a Rita Levi Montalcini. Sono solo alcuni dei ritratti del libro “101 donne che hanno fatto l’Italia”. Il volume - edito da Newton Compton e presentato ieri nel corso dei "Venerdì di Propaganda" promossi dalla Libreria Editrice Vaticana a Roma - raccoglie le figure femminili più importanti della storia italiana, dal Medioevo ad oggi. Sulle scelte effettuate per la scrittura di questo saggio, Michele Raviart ha intervistato Luciana Scaraffìa, docente di storia contemporanea alla Sapienza e coautrice del volume:
R. – I criteri non erano solamente quelli dell’essere famose - tra le donne c’e ovviamente Sofia Loren ed anche Lucrezia Borgia - ma sono state scelte soprattutto per quello che hanno significato e rappresentato nella storia dell’Italia: hanno portato all’apertura di nuovi mestieri ed anche ad un nuovo ruolo della donna nella vita italiana. Ci sono anche donne-simbolo di un cambiamento: le 10 costituenti, ad esempio – tutte e dieci biografate –, non erano tutte note e famose. Alcune di loro hanno lasciato la vita politica subito dopo l’assemblea costituente, però sono molto importanti, a livello simbolico, anche per la loro presenza nella fondazione della nuova Italia.
D. – Possiamo trovare dei tratti comuni delle donne italiane?
R. – Le donne italiane sono state molto “inventive”, sono riuscite ad inventarsi strade nuove. In una società che non era particolarmente favorevole all’emancipazione femminile, le donne italiane sono riuscite ad inventarsi tanti modi per emergere e, molto spesso, a mantenere al contempo famiglia e lavoro. Le donne italiane rinunciano con difficoltà alla famiglia.
D. – Un tratto significativo è anche quello spirituale di alcune donne...
R. – Ci sono state delle grandi Sante italiane, che hanno segnato la storia del cristianesimo non solo dell’Italia ma di tutto il mondo. Ad esempio, Santa Caterina da Siena, la quale è stata simbolo e modello di santità per molte donne come profetessa e modello di autorevolezza nei confronti di uomini importanti. Inoltre, è stata addirittura scelta come modello di donna emancipata da Judith Butler, una suffragetta inglese di inizio Novecento, che ne ha scritto una biografia.
D. – Ci può raccontare una storia che l’ha particolarmente colpita, magari di una donna poco nota?
R. – Posso citare Irma Antonetto, una signora torinese che nel 1946 si è completamente inventata una cosa: degli incontri letterari da fare in tutte le città italiane. Lei invitava un autore, spesso straniero, e lo portava a parlare nei teatri di tutte le grandi città italiane, in modo che gli italiani iniziassero a conoscere gli intellettuali di altri Paesi, vedessero com’erano fatti e come parlavano gli autori dei libri. Uno di questi autori era Herbert Marcuse, che venne invitato prima ancora di diventare famoso. Il suo è stato un importante aiuto dato alla cultura italiana per aprirsi al mondo.
D. – Nella contemporaneità, quali sono le donne che stanno facendo grande l’Italia?
D. – Adesso ce ne sono tantissime. Possiamo trovare tante ricercatrici molto brave. Penso che le donne, in questo momento, stiano entrando dappertutto: abbiamo delle ottime donne-ministro che ci fanno capire qual è la differenza di una donna veramente competente. (vv)
Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
◊ Nella terza Domenica di Quaresima, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù, avvicinandosi la Pasqua dei Giudei, scaccia i mercanti del Tempio. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù:
«Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere».
Su questo brano del Vangelo, ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:
Giovanni nel Vangelo narra tre pasque di Gesù, i Sinottici una sola, l’ultima. E questa prima Pasqua, secondo Giovanni, è caratterizzata da questa scena violenta nel recinto del Tempio. Gesù picchia qua e là con una frusta, butta all’aria i tavoli dei cambiavalute e rimprovera con audacia: è preso da furia per una profanazione così massiccia della casa di preghiera. La reazione dei capi è di stizza e di sfida: come si permette di fare cose simili? Ma una parte della gente resta affascinata e vorrebbe mettersi al suo seguito. Gesù però diffida dell’entusiasmo improvvisato, e non da peso alla loro simpatia. Diverse le cose per i discepoli: è come se inseguissero il significato vero di quei gesti. Capiranno dopo la risurrezione, alla luce delle Scritture, che si trattava di zelo vero per la causa di Dio. E quella frase sul tempio da distruggere e ricostruire faceva riferimento piuttosto alla sua persona, tempio nuovo del vero culto. Siamo chiamati ad essere un tempio di pietre vive: non profaniamo la nostra identità mescolando profumo di incenso e tintinnare di soldi, affari equivoci e riti pii.
Benedetto XVI in Messico: per la prima volta copertura totale Tv della visita
◊ Per la prima volta, dopo cinque visite del Beato Giovanni Paolo II in Messico, la Chiesa messicana sarà responsabile della totale copertura televisiva della visita di Papa Benedetto XVI in Messico. Questo enorme sforzo aiuterà oltre 100 reti televisive a portare al loro pubblico la prossima visita del Santo Padre. Come riferito all’agenzia Fides, i tecnici delle telecomunicazioni stanno preparando ogni dettaglio per la presenza del Papa nella diocesi di León. Il segnale internazionale sarà a disposizione di tutti i media che desiderano utilizzare immagini dal vivo. In questo sforzo tecnologico stanno collaborando il Centro Televisivo dello Stato messicano, e la Conferenza episcopale messicana (Cem). Luis Carlos Frias, responsabile della Commissione della Cem, ha spiegato: “Il segnale internazionale non avrà alcun logo o marchio per la trasmissione, sarà generato da un team della televisione messicana e distribuito per la prima volta dalla Chiesa cattolica”. Si offriranno alle reti televisive, servizi di fibre ottiche, unità terrestri e satellitari, l'International Broadcasting Center in alta definizione, il booking, il play-out. In materia tecnologica, “per la prima volta, la Chiesa non vedrà il Papa in televisione, ma saremo noi ad offrire questo servizio”, ha detto Frias. Inoltre, la Cem ha già previsto una grande infrastruttura per coprire e diffondere in tutto il mondo la visita del Papa in Messico. Nel Parco del Bicentenario a Guanajuato, dove Benedetto XVI celebrerà la Messa con tutto il popolo, ci saranno 17 telecamere per coprire ogni aspetto della cerimonia. Sono disponibili, inoltre, documentari, lungometraggi, interviste e clip video, preparate per soddisfare le esigenze di informazione dei canali televisivi, anche sulla situazione della Chiesa in Messico e nel mondo. Queste produzioni sono state realizzate da agenzie ed istituzioni cattoliche in Messico, come la “Guadalupe Comunicazioni” e le Pontificie Opere Missionarie. (R.P.)
Schiavitù infantile nel mondo: 800 mila bambini sfruttati nel lavoro nero
◊ 800mila bambini in tutto il mondo lavorano per intere giornate, sottoponendosi a rischi di ogni genere e a fatiche insopportabili per la loro giovane età. Secondo il Camino Juvenil Solidario di Madrid, questa cifra risponde tuttavia a statistiche poco attendibili. Nonostante Stati Uniti e Somalia siano gli unici Paesi del mondo a non avere ancora ratificato la Convenzione sui diritti del bambino, questi piccoli lavorano nei campi, senza orari ed esposti alla inalazione di pesticidi chimici tossici. Sono impiegati - riferisce l'agenzia Fides - nella produzione di capi di abbigliamento, nella piegatura e imbustamento nei laboratori di cucito a New York, nella raccolta di peperoni nel New Mexico, di fagioli in Florida, di cetrioli in Michigan, di peperoni verdi in Tennessee, di mele a New York, di uva in California, di funghi in Pennsylvania, di pesche in Illinois e di sorgo in Texas. In altri Paesi come la Thailandia, oltre il 12% lavora nei campi, gli altri nell’allevamento di gamberetti e nella pesca, vengono sfruttati nella prostituzione o come servitù domestica. In Ecuador, da un rapporto del governo, risultano 367 mila minori tra i 5 e e 14 anni di età sfruttati nel lavoro nero: prostituzione, accattonaggio, schiavitù domestica. A Piura, in Perú, il 38% dei minori di 14 anni lavora nelle miniere di Suyo, con rischi enormi. Altrettanto allarmanti sono i dati dello sfruttamento minorile nel Dipartimento di Meta, in Colombia, dove oltre il 18% dei bambini viene usato nel lavoro nero. Circa il 30% dei minori sono stati “tentati” di entrare a far parte di bande armate o della rete della prostituzione. Oltre il 70% abbandona gli studi per lavorare. (R.P.)
Siria: civili in fuga in Libano. La Caritas: rischio catastrofe umanitaria
◊ L’area di confine tra la Siria e il Libano rischia la catastrofe umanitaria: a lanciare l’allarme è il presidente della Caritas del Libano, padre Simon Faddoul, che racconta all'agenzia AsiaNews la sua esperienza di questi giorni. Il conflitto che devasta la Siria da un anno e che ha coinvolto praticamente tutte le principali città, ha spinto molti siriani a fuggire, in un primo momento verso la frontiera con la Turchia, molto più accessibile. L’inasprimento della guerra a Homs e Daraa, però, ha causato nell’ultimo periodo un forte movimento di persone dalla Siria verso il Libano, nonostante il confine attraversi l’impervia valle di Bekaa dove ci sono picchi molto alti e dove la temperatura scende facilmente sotto lo zero. “Molti arrivano in condizioni critiche, sono malati o traumatizzati – racconta il sacerdote – sono soprattutto donne e bambini, terrorizzati dalla sorte dei loro mariti e figli maschi rimasti in patria a difendere le loro abitazioni”. La Caritas è stata tra le prime organizzazioni a mobilitarsi, ma raggiungere l’area di confine tra i due Paesi è impresa ardua a causa della distruzione del ponte sul fiume Oronte, che ha reso difficoltosa anche la fuga di molti profughi. Tuttavia, la Caritas ha finora soccorso oltre 300 famiglie, distribuito più di 500 coperte e diversi quintali di cibo e beni di prima necessità, e ha potuto contare anche sulla collaborazione della popolazione locale che ha aperto le porte delle proprie case. (R.B.)
Pakistan. Fuorilegge il maggiore gruppo estremista islamico: la Chiesa plaude
◊ Il governo del Pakistan ha dichiarato fuorilegge il maggiore gruppo estremista islamico del Paese: il gruppo “Ahle Sunnah Wal Jamaat”, noto anche come “Sipah-e-Sahaba (Ssp) (“Soldati dei Compagni del Profeta”), è ritenuto vicino ad Al Qaeda ed è responsabile di eccidi, sequestri atti terroristici in diverse parti del Paese. Secondo padre Mario Rodrigues, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie in Pakistan, “si tratta di un buon inizio, un passo avanti nella lotta al terrorismo e all’estremismo, che deve essere una priorità nell’agenda di governo. Il governo, con questa mossa, mostra un sforzo in questa lotta, ma molto resta da fare: non si può cantare vittoria. Terroristi ed estremisti restano all’interno del Paese e sono molto forti. Questo genera preoccupazione e pericoli per l’intera società”. Secondo dati ufficiali, negli ultimi anni, le vittime del terrorismo in Pakistan sono oltre 30mila. Padre Mario - riporta l'agenzia Fides - ricorda anche i sequestri, moltiplicatisi negli ultimi mesi, che hanno preso di mira cooperanti e operatori umanitari stranieri. Di recente sono stati rapiti a Multan l’italiano Giovanni Lo Porto e il tedesco Bernd Johannes dell’Ong tedesca “Welthungerhilfe”, un operatore umanitario kenyano in Sindh e un inglese della Croce Rossa a Quetta. “Gli operatori umanitari occidentali – spiega – sono un bersaglio preferito, in quanto i terroristi sperano di ottenere riscatto, sanno di avere visibilità assicurata e, inoltre, lanciano un messaggio minatorio all’Occidente, alla sua presenza in Pakistan e ai suoi valori, fra i quali anche l’identità cristiana”. Padre Mario afferma: “Come ministri della Chiesa non ci sentiamo sotto tiro, sono più a rischio gli operatori sociali cristiani, in quanto falsamente accusati di fare proselitismo presso i musulmani destinatari dell’assistenza”. A Karachi, infatti, sono stati sequestrati nei giorni scorsi due operatori umanitari cristiani pakistani, in un ospedale cristiano. “Nella lotta al terrorismo – conclude – non si può certo abbassare la guardia: la società vuole una nazione libera dall’odio e dall’estremismo”. (R.P.)
Pakistan. Donne sfigurate con l’acido: prima incriminazione di un colpevole
◊ La polizia di Faisalabad ha registrato ufficialmente oggi, 10 marzo, il primo caso di una donna sfigurata con l’acido, incriminando il colpevole grazie a una nuova legge, riferiscono fonti locali dell'agenzia Fides. L’“Acid and Burn Crime Bill 2012” è una nuova legge approvata di recente dal governo tramite una modifica nel Codice penale pakistano. Le Assemblee nelle diverse province pakistane hanno il potere di ratificarla e applicarla, per fermare una pratica che in Pakistan tocca circa 100 donne ogni anno e che è di recente tornata alla ribalta internazionale grazie al film documentario “Saving Face”, vincitore di un Premio Oscar, il primo nella storia del Pakistan. La nuova legge amplia i poteri di indagine, intende garantire un processo equo, prevede cure mediche per le vittime, inasprisce le pene, cercando di combattere l’impunità su tali delitti, generati da una cultura di abusi compiuti dagli uomini sulle donne. Le Ong chiedono anche garanzie per la protezione delle vittime e dei testimoni e un sostegno per la piena la riabilitazione delle vittime, nonché una serie di misure preventive. Secondo l’Ong “Acid Survivors Foundation”, “questo passo degli inquirenti, ma anche la diffusione nazionale e internazionale del documentario, sono un raggio di speranza per le donne vittime di questo odioso crimine. Urge diffondere consapevolezza e incoraggiare soluzioni”. Secondo dati delle Ong, ogni anno in Pakistan i casi denunciati di aggressioni con l'acido sono 100 (ma molti restano segreti), e nel mondo i casi annui sono 1.500, soprattutto in Paesi dell'Asia del Sud e del Sudest. (R.P.)
Laos: funzionari locali intimano ai cristiani di abiurare la propria fede
◊ Funzionari governativi locali, con minacce e intimidazioni, vogliono costringere gruppi di cristiani laotiani ad abiurare la fede. È quanto accade in “piena violazione della stessa Costituzione del Laos, che garantisce libertà di culto”, nota in un messaggio inviato all'agenzia Fides l’Ong “Human Rights Watch for Lao Religious Freedom” (Hrwlrf). Nelle scorse settimane la polizia ha emesso un provvedimento di espulsione nei confronti di dieci famiglie cristiane (in tutto 65 fedeli) del villaggio di Hueygong, nel distretto di Pakoo, nella provincia di Luang Prabang (nel Nord del Laos), dando loro tempo fino al prossimo 18 marzo 2012 per abiurare la fede cristiana, pena l’espulsione dal Paese. L'ordine di espulsione è arrivato dopo che il governo distrettuale di Pakoo ha rifiutato di riconoscere la presenza dei cristiani nel suo distretto, anche se esistono otto chiese cristiane nel territorio. Secondo zelanti funzionari, per professare la fede cristiana occorre una approvazione dell’Ufficio distrettuale per gli Affari religiosi. il responsabile dell’Ufficio Affari religiosi nella provincia di Luang Prabang, Bosuée Chantuma, ha provato ad intervenire per far ritirare l'ordine di espulsione, ritenendo che esso non abbia fondamento giuridico e che vi sia un abuso di potere dei funzionari locali. Episodi di tal genere si stanno moltiplicando: il 2 marzo alcuni dirigenti del distretto di polizia di Viengphuka (provincia di Luang Namtha) hanno convocato un cristiano di nome Khamla, convertitosi di recente al cristianesimo in seguito alla guarigione da una malattia. Lo hanno interrogato, rilasciandolo con un ultimatum: “Abbandona la religione cristiana o sarai cacciato dal villaggio”. L’ultimatum, notano fonti di Fides, non si basa su alcuna legge o regolamento. In un altro caso segnalato a Fides, verificatosi nel gennaio scorso, le autorità del villaggio di Hueysell (nella provincia di Luang Prabang), dove vivono 14 famiglie cristiane (circa 80 persone), hanno convocato due leader cristiani, ordinando verbalmente ai cristiani di abbandonare la loro fede, minacciando punizioni o l’espulsione dal Paese. I fedeli locali non hanno ceduto alle pressioni e, finora, le autorità del villaggio non hanno portato a compimento l’espulsione. “Il governo laotiano continua ad affermare che i cittadini del Laos hanno la libertà di professare una fede a loro scelta ma, nella pratica, i cittadini cristiani sono sottoposti a interrogatori, molestie e minacce di espulsione quando esercitano il diritto, costituzionalmente garantito, di professare la fede cristiana” nota Hrwlrf. L’Ong esorta il governo del Laos a far rispettare la Costituzione, nonché la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, ratificata dal governo laotiano. Inoltre si chiede di punire le autorità che abusano del loro potere e di emanare leggi che sostengano il diritto e la libertà di credere e praticare qualsiasi fede, senza restrizioni. I cristiani in Laos sono circa 200mila, su 6,4 milioni di abitanti, in maggioranza buddisti. (R.P.)
Congo-Brazzaville: grave la situazione a una settimana dall’esplosione
◊ Accesso ai servizi igienico-sanitari, mancanza di acqua potabile, ma anche problemi legati allo smaltimento dei rifiuti e il rischio che si sviluppino epidemie di colera: sono questi alcune delle emergenze che il Congo si trova ad affrontare dopo la tremenda esplosione di una settimana fa avvenuta al centro di Brazzaville. “Ci vorranno mesi, se non di più, prima che gli abitanti ritrovino fiducia e tornino a casa propria – ha detto alla Misna Moukouri Alain Robert, segretario della Caritas Congo – allora si aprirà una nuova fase, quella della ricostruzione delle abitazioni i cui tetti sono saltati via”. La Caritas fa presente che in questo momento la popolazione necessita soprattutto di beni non deperibili, come kit da cucina, coperte e acqua pulita, da distribuire ai circa 7500 sfollati presenti negli 11 accampamenti improvvisati, mentre si calcola che altre 2500 persone abbiano trovato riparo presso familiari e conoscenti. Grave è il bilancio dei danni delle esplosioni: la parrocchia di San Luigi è andata completamente distrutta e l’esplosione del deposito di munizioni Mpila ha pesantemente danneggiato centinaia di abitazioni nel raggio di una decina di km. Gli sminatori sono ancora al lavoro. Domani, infine, a una settimana dal dramma, si svolgeranno i funerali delle vittime, 200 finora, ma il bilancio è destinato a essere provvisorio a causa della presenza di molti feriti gravi. (R.B.)
Mali. Conflitto nell’Azawad: sono 172 mila i rifugiati
◊ Non accenna a placarsi il conflitto in corso nella regione malese dell’Azawad, dove dal gennaio scorso si fronteggiano le truppe regolari dell’esercito del Mali e i ribelli del Movimento di liberazione nazionale (Mnla) attivo nell’area. Il movimento, precisa l'agenzia Misna, è di matrice tuareg, ma si definisce espressione delle diverse comunità locali. L’ultimo bilancio fornito dall’Ufficio dell’Onu per il coordinamento degli affari umanitari riferisce di 172mila sfollati, alcuni dei quali si sono rifugiati oltreconfine. Nello specifico, stando ai dati, gli sfollati interni sarebbero circa 82mila, mentre gli altri profughi si sarebbero distribuiti tra Mauritania, Niger, Burkina Faso e Algeria. Il conflitto è scoppiato nel gennaio scorso a causa delle rivendicazioni di autodeterminazione del territorio di Azawad, ma in questa fase sta interessando soprattutto l’area di Tessalit, al confine con l’Algeria. Ad aggravare la situazione è intervenuta anche una pesante crisi alimentare che sta colpendo l’intera regione del Sahel. (R.B.)
Corno d’Africa: attesa nuova ondata di siccità
◊ Molto presto una nuova ondata di siccità potrebbe colpire il Corno d’Africa. L’allarme è stato lanciato dall’Igad, l’Intergovernamental authority on development che ha invitato Paesi come la Somalia, il Gibuti, il Kenya (la cui parte sud potrebbe essere coinvolta) e l’Etiopia (a rischio è il nordovest) a prepararsi fin da ora ad affrontare una probabile crisi. Non tutti i climatologi, però, sono d’accordo con questa ipotesi: secondo alcuni esperti, infatti, è ancora prematuro fare stime sull’andamento delle piogge Gu, che cadono nell’area tra aprile e giugno. L’emergenza siccità nel Corno d’Africa dei mesi scorsi è abbastanza rientrata: grave resta solo la situazione di alcune aree della Somalia come Juba e il Medio Shabelle da dove, secondo i dati forniti dalla Caritas all’agenzia Fides, il mese scorso sono sfollate 62mila persone. Il timore maggiore, in caso di ritorno dell’emergenza, è per il corridoio di Afgoye, area che ospita l’insediamento di sfollati interno più grande della Somalia e bramato anche dalle milizie di Al Shabaab: di qui potrebbero fuggire fino a 270mila persone, dirette verso la capitale Mogadiscio. Per scongiurare questo pericolo, mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti, amministratore apostolico di Mogadiscio e presidente di Caritas Somalia, ha incontrato negli Usa rappresentanti del Congresso americano e delle Nazioni Unite ai quali ha chiesto un maggiore impegno diplomatico e politico. Il vescovo, infine, ha anche partecipato a una riunione di Caritas Internationalis incentrata sull’emergenza nel Corno d’Africa e sul coordinamento delle Caritas attive nell’area. (R.B.)
Angola: celebrazione della Giornata della Caritas
◊ Sarà la solidarietà la parola-chiave della Giornata nazionale della Caritas dell’Angola, che ricorre domani, 11 marzo, terza domenica di Quaresima. Per l’occasione, l’organismo di aiuto della Chiesa cattolica ha aperto un conto corrente solidale attraverso il quale chiunque vorrà potrà fare una donazione. I fondi raccolti, poi, verranno utilizzati dalla Caritas angolana per far fronte alle emergenze del Paese. L’organismo caritativo è sempre stato molto attivo nella nazione: la sua opera di aiuto è iniziata nel 1957, in diretto collegamento con la Caritas del Portogallo. Raggiunta l’autonomia nel 1970, la Caritas Angola è stata in prima linea durante la guerra civile che ha devastato il Paese per 27 anni, creando quattro milioni di sfollati ed oltre il 70% di poveri. Attualmente diretta dall’arcivescovo José de Queirós Alves, la Caritas angolana oggi punta a formare la popolazione nelle sue capacità lavorative, fornendo anche – nel caso del settore agricolo – le sementi e le attrezzature necessarie. Centrale, infine, la cura delle infrastrutture ed il reinserimento dei profughi che ritornano nelle loro case. (I.P.)
Vietnam: i cattolici schierati in difesa della vita
◊ Abortire in cambio di denaro e di assistenza sanitaria gratuita: questi gli estremi di una tremenda Campagna di pianificazione familiare avviata a Ho Chi Minh City, in Vietnam, che spinge le donne indigenti a rinunciare al proprio figlio in cambio di 50 dollari e di una tessera sanitaria gratuita di due anni. La Campagna, lanciata dal Comitato del popolo locale, rientra nella politica familiare delle autorità, che attraverso un programma quinquennale mirano al controllo della popolazione. Secondo i dati riferiti dall'agenzia AsiaNews, a fronte di 100 nati, oltre 75 bimbi non hanno avuto la possibilità di venire al mondo perché “non voluti”. Ma la questione è più ampia e riguarda un’intera società in cui vige la supremazia degli uomini e la conseguente discriminazione delle donne, spesso vittime di violenza anche in casa. La realtà vietnamita, inoltre, è permeata dalla cultura socialista che ha comportato un crollo della morale e dei valori tradizionali a vantaggio di un materialismo imperante: una recente ricerca mostra che il 51% dei giovani vietnamiti è favorevole all’interruzione volontaria di gravidanza e ritiene “normale” la convivenza prematrimoniale. Anche l’aborto delle minorenni è considerato un fatto lecito: ogni anno su un milione e 400mila casi di aborto, 500mila coinvolgono ragazze minorenni. Così la comunità cattolica vietnamita ha deciso di utilizzare la ricorrenza dell’8 marzo appena trascorsa per promuovere il valore, non negoziabile, della difesa della vita umana dal suo concepimento fino alla morte, per fornire un’informazione corretta sull’aborto, spiegando che è “un omicidio e uno scempio”, e sull’uguaglianza tra i sessi. “Dio ha creato l’essere umano uomo e donna, entrambi hanno pari dignità e si completano a vicenda”, è stata la testimonianza di una catechista di Ho Chi Minh City. (R.B.)
Repubblica Dominicana-Haiti: 11.mo Incontro tra i vescovi dei due Paesi
◊ Valutare la situazione di Haiti, a due anni dal drammatico terremoto del 12 gennaio 2010 che provocò oltre 200mila vittime: sarà questo il tema dell’undicesimo incontro tra la Conferenza episcopale dominicana (Ced) e la Conferenza episcopale di Haiti (Ceh). L’incontro avrà luogo da lunedì 12 a mercoledì 14 marzo e sarà ospitato dalla “Casa dell’evangelizzazione” di Santo Domingo. Non è la prima volta che i vescovi dei due Paesi affrontano la ricostruzione di Haiti: già il 29 gennaio 2010, i presuli di Santo Domingo si recarono a Port-au-Prince per manifestare la loro solidarietà alla popolazione haitiana e in quell’occasione diedero alla Chiesa locale un assegno di 100mila dollari come gesto di sostegno dei fedeli cattolici dominicani ai loro fratelli di Haiti. In seguito, la collaborazione tra la Ced e la Ceh è sempre rimasta aperta. Nel loro prossimo incontro, oltre alla ricostruzione di Haiti, i presuli dei due Paesi affronteranno anche il tema della migrazione haitiana nella Repubblica dominicana e la situazione dei figli degli haitiani nati in territorio dominicano. In agenda, inoltre, c’è lo sviluppo delle zone di frontiera in cui sono coinvolte le Caritas di entrambe le nazioni. L’incontro sarà guidato dal presidente della Ced, card. Nicolás de Jesús López Rodríguez, e dal suo omologo della Ceh, mons. Chibly Langloys. Il precedente meeting si era svolto nell’aprile del 2007: in quell’occasione, i presuli chiesero ai rispettivi Stati di affrontare alcune emergenze, come la questione della cittadinanza, la disoccupazione, la riforma sanitaria, la questione educativa, la tutela dell’ambiente e delle risorse naturali. (I.P.)
Turchia: visita del ministro degli Esteri al Patriarcato di Costantinopoli
◊ Clima di ottimismo si respira al Patriarcato ecumenico di Costantinopoli circa la possibilità di arrivare ad una soluzione delle questioni rimaste ancora aperte relative alle minoranze religiose in Turchia. Il 3 marzo scorso il Ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu ha visitato il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli a Istanbul. Il ministro si è incontrato con il patriarca ecumenico Bartolomeo I, per discutere della necessità di creare un clima di "armonia" e di "fiducia reciproca tra i gruppi religiosi presenti nel Paese". A dare rilievo positivo dell’incontro - riferisce l'agenzia Sir - è anche il Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc) che, in un comunicato ripreso dall’agenzia Sir, parla di un “gesto molto apprezzato”. Anche il patriarca ha espresso la sua soddisfazione per questa visita, sperando che “le questioni in sospeso relative al Patriarcato ecumenico e alle altre minoranze religiose cristiane in Turchia saranno presto risolte”. Secondo quanto riportato nel comunicato del Wcc, dopo la sua visita al patriarcato, il ministro Davutoglu ha detto: "Quello che il mondo, e soprattutto questa regione, hanno più bisogno è l’armonia, la volontà di convivenza e la fiducia reciproca tra i gruppi religiosi nazionali". In segno di apprezzamento della visita del ministro degli Esteri, Bartolomeo I ha affermato: "Questa visita, come la visita lo scorso anno da parte del vice-presidente del governo e di altri funzionari della Repubblica turca, testimonia il fatto che gli atteggiamenti dello Stato, e del governo di oggi, verso la storica istituzione del Patriarcato ecumenico, è cambiata per il meglio". Nel maggio 2010, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan ha emesso un decreto che chiede ai funzionari locali di "fare di più per tutelare i diritti delle minoranze religiose cristiane e non-musulmane, come ad esempio restituendo le loro proprietà confiscate e agire contro i gruppi anti-cristiani". Bartolomeo I ha detto che i "vecchi pregiudizi sono spariti" e la volontà politica di affrontare le questioni è prevalente. In questo quadro, "siamo ottimisti e ci aspettiamo che i nostri problemi in sospeso saranno risolti". Anche il segretario generale del Wcc, Olav Fykse Tveit, apprezza gli sforzi del governo turco nel tendere la mano al Patriarcato ecumenico: "Siamo incoraggiati dalla notizia della visita del ministro degli Esteri turco al Patriarcato ecumenico". Il Wcc si sta fortemente battendo per “la tutela dei diritti delle minoranze cristiane e religiose in Turchia e altrove". (L.Z.)
Irlanda: plenaria dei vescovi su Congresso eucaristico, Pasqua e Anno della fede
◊ I preparativi per la Pasqua e per la prossima Festa nazionale di San Patrizio, il 17 marzo; il punto sulle misure adottate dalla Chiesa irlandese per proteggere i minori dagli abusi; il 50° Congresso Eucaristico internazionale di Dublino e la celebrazione dell’Anno della Fede. Sono stati questi i temi principali che hanno caratterizzato la sessione primaverile dei vescovi irlandesi svoltasi a Maynooth. Riguardo al primo punto, i presuli hanno richiamato il senso profondo della Quaresima come tempo di penitenza e rinnovamento e quindi l’importanza del Sacramento della Riconciliazione e di altre pratiche come l’Adorazione del Santissimo, anche in vista del prossimo Congresso Eucaristico di giugno. Ricordando il Messaggio del Papa per la 46.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, dedicato al tema del silenzio, i presuli invitano inoltre i fedeli ad effettuare regolarmente in questo periodo di Quaresima pause di preghiera e di riflessione e a svolgere un pellegrinaggio penitenziale a Lough Derg, in Irlanda del Nord, rispondendo così all’invito alla purificazione interiore e al rinnovamento spirituale rivolto dal Santo Padre nella Lettera ai cattolici d’Irlanda. Sempre in vista della Pasqua, i presuli esortano i fedeli a partecipare generosamente all’annuale campagna quaresimale a favore dei poveri e dei bisognosi promossa dall’agenzia caritativa dell’episcopato Trocaire. Lo slogan di quest’anno è “Ricostruire le comunità per un cambiamento duraturo” e i fondi raccolti saranno destinati alle popolazioni del Nord Uganda usciti da vent’anni di guerra. La plenaria dei vescovi irlandesi ha poi fatto il punto sui preparativi del prossimo Congresso Eucaristico internazionale. A meno di 100 giorni dall’evento, le iscrizioni hanno raggiunto quota 7mila, che secondo le previsioni dovrebbero salire a 25mila, mentre alla giornata conclusiva, il 17 giugno, sono attese 80mila presenze. Il Congresso sarà preceduto dal 6 al 9 giugno da un Simposio teologico a Maynooth dedicato al 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II. Durante i lavori si è discusso anche dell’Anno della Fede indetto dal Santo Padre: i vescovi hanno deciso di usare come base di riferimento delle varie iniziative in Irlanda il Direttorio nazionale per la Catechesi “Share the Good News” pubblicato l’anno scorso. Altro tema affrontato durante la plenaria è stato quello degli abusi sessuali: i vescovi hanno ascoltato in proposito un’ampia relazione del presidente del National Board for Safeguarding Children in the Catholic Church in Ireland, il Consiglio nazionale per la tutela dei bambini nella Chiesa cattolica in Irlanda (Nbsccci). L’assemblea ha infine discusso della prossima solennità di San Patrizio, il 17 marzo centrata quest’anno sul tema dell’emigrazione, un fenomeno tornato di grande attualità in Irlanda a causa della recessione. (A cura di Lisa Zengarini)
Palermo: i problemi della città in un documento della Chiesa locale
◊ “In questa fase così delicata, la Chiesa di Palermo ha voluto dare un contributo per vivere insieme questo momento così importante nella storia della nostra città. Questo non vuole essere un documento di condanna, ma vuole coinvolgere tutti i soggetti, anche gli stessi candidati. Adesso si parli di programmi, di cui ancora non ha parlato nessuno. Vogliamo conoscere innanzitutto l’equipe di lavoro dei candidati per conoscere ciò che vogliono fare per il bene di Palermo nel campo del welfare, ma non solo”. Lo ha detto l’arcivescovo del capoluogo siciliano, cardinale Paolo Romeo, presentando il documento "Una comune responsabilità per Palermo", in vista delle amministrative del 6 e 7 maggio. Gravata da una perdita "emorragica dei posti di lavoro", dall’aumento "della povertà e dall’inefficienza di molti servizi pubblici essenziali" e "dall’incapacità degli amministratori locali di comprendere la gravità del momento", per un riscatto della città, nel documento si richiede un "nuovo modello di governo", che ponga attenzioni alle "giovani generazioni", ma anche una maggiore attenzione a "una nuova cultura del lavoro produttivo" e che abbia "il coraggio di sottrarsi al condizionamento della mafia". Il testo invita la cittadinanza a una scelta responsabile per il bene comune: “Nessuno potrà barattare il proprio voto sulla base di promesse che sollecitano i bisogni individuali, a scapito del bene comune. A maggior ragione, occorrerà prendere le distanze da quei soggetti che abusano e continuano ad abusare della politica”. Per questo, si legge, "è urgente rinnovare la nostra classe amministrativa" e "non è più il tempo di deleghe in bianco". Ai cittadini, ai gruppi sociali, dunque, si “richiede il deciso superamento degli atteggiamenti parassitari e irresponsabili”. “La Palermo che nel nostro cuore speriamo – si legge a conclusione delle riflessioni - è una città aperta all’Europa e al mondo, che ripartendo dalle sane virtù civiche, sappia riguadagnare un ruolo ed una missione nel processo di cambiamento che oggi investe tutto il Paese”. (Da Palermo, Alessandra Zaffiro)
Milano: dal 29 maggio la Fiera Internazionale della Famiglia
◊ Esordisce a Milano la Fiera internazionale della famiglia, prima esperienza italiana di fiera interamente dedicata alle famiglie, nonché vetrina per mettere in luce buone pratiche e esperienze positive delle aziende e delle associazioni che operano in loro favore. La Fiera - riferisce l'agenzia Zenit - si svolgerà presso il Mico (Milano congressi), in viale Scarampo, a Milano, con orario 9-19, dal 29 maggio a venerdì 1 giugno, e dalle 9 alle 12.30 sabato 2 giugno. L’ingresso sarà gratuito. Organizzato da Fondazione Milano Famiglie 2012, l’evento è parte integrante del VII Incontro mondiale delle famiglie, che attirerà a Milano centinaia di migliaia di persone e si concluderà con la presenza di Papa Benedetto XVI. La manifestazione, che si svolgerà dal 29 maggio al 2 giugno 2012 a Fieramilanocity, sarà un’occasione di scambio e visibilità per associazioni, fondazioni del mondo ecclesiale e civile, enti e aziende, che potranno contare su un pubblico di 50mila visitatori. «Presentare esperienze concrete, in cui le famiglie sono protagoniste, è importante perché l’esperienza concreta fa vedere la bellezza di alcune iniziative e stimola a creare qualcosa di simile», ha dichiarato il cardinale Ennio Antonelli, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, che assieme a Fondazione Milano Famiglie 2012 organizza il VII Incontro mondiale. Fra le associazioni che hanno già confermato la propria partecipazione, Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini. «Per noi la Fiera è un’occasione per sottolineare come il compito della famiglia sia accogliere figli biologici come anche adottivi, perché la famiglia è famiglia quando viene rallegrata dai figli», ha detto Marco Griffini, presidente dell’organizzazione non governativa che lavora per garantire una famiglia ad ogni bambino abbandonato. «Parteciperemo alla Fiera perché vogliamo confrontarci con altre realtà che lavorano per la famiglia – ha aggiunto Michele Barbato, presidente di Institut Européen d’Education familiale Ieef, Organizzazione non governativa che fornisce servizi, corsi e sostegno alla coppia – porteremo il nostro punto di vista sull'educazione familiare, sintesi delle esperienze maturate dalle 40 associazioni europee che compongono Ieef». (R.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 70