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Sommario del 07/03/2012
◊ Nell’epoca del “frastuono”, impariamo a riscoprire il valore del “raccoglimento interiore”, che ci permette di ascoltare la voce di Dio. È l’invito che questa mattina Benedetto XVI ha rivolto alle migliaia di persone presenti in Piazza San Pietro per l’udienza generale. Il Papa ha concluso la riflessione sulla preghiera di Gesù, soffermandosi in particolare sul “silenzio” di Dio nell'ora della Croce. Al termine, il Pontefice ha incoraggiato alla speranza le popolazioni del Medio Oriente. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Nella vita di un cristiano ha un assoluto valore ciò che per molti è insignificante, addirittura difficile da sopportare: il silenzio. Ciò che tanti considerano un vuoto, per chi crede è invece lo spazio in cui parla Dio. Benedetto XVI lo ha affermato ritornando alla scena-simbolo, quella del Golgota, che fa capire “il ruolo che assume il silenzio nella vita di Gesù”:
“La croce di Cristo non mostra solo il silenzio di Gesù come sua ultima parola al Padre, ma rivela anche che Dio parla per mezzo del silenzio (...) L'esperienza di Gesù sulla croce è profondamente rivelatrice della situazione dell’uomo che prega e del culmine dell'orazione: dopo aver ascoltato e riconosciuto la Parola di Dio, dobbiamo misurarci anche con il silenzio di Dio, espressione importante della stessa Parola divina”.
Ma per comprendere questa “misura” del silenzio, l’uomo deve imparare a tacere dentro di sé e anche fuori. E questo, ha notato il Papa, è oggi un’operazione non facile:
“La nostra è un’epoca in cui non si favorisce il raccoglimento; anzi a volte si ha l’impressione che ci sia paura a staccarsi, anche per un istante, dal fiume di parole e di immagini che segnano e riempiono le giornate (…) Riscoprire la centralità della Parola di Dio nella vita della Chiesa vuol dire anche riscoprire il senso del raccoglimento e della quiete interiore”.
Questo principio deve valere anche per le liturgie affinché, ha auspicato il Pontefice, siano “ricche di momenti di silenzio e di accoglienza non verbale”. Tuttavia, non basta fare silenzio per lasciare spazio a Dio. Spesso, ha proseguito Benedetto XVI, è anche Dio a fare silenzio con noi e in quel caso, ha detto…
“…proviamo quasi un senso di abbandono, ci sembra che Dio non ascolti e non risponda. Ma questo silenzio di Dio, come è avvenuto anche per Gesù, non segna la sua assenza. Il cristiano sa bene che il Signore è presente e ascolta, anche nel buio del dolore, del rifiuto e della solitudine. Gesù rassicura i discepoli e ciascuno di noi che Dio conosce bene le nostre necessità in qualunque momento della nostra vita”.
Lo sapeva bene Giobbe, ha affermato il Papa, che proprio per essere stato capace di “conservare intatta” la fede in Dio, nonostante le sventure della vita, ha potuto dire alla fine: “Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto”:
“Noi tutti quasi conosciamo Dio solo per sentito dire e quanto più siamo aperti al suo silenzio e al nostro silenzio, tanto più cominciamo a conoscerlo realmente (...) San Francesco Saverio pregava dicendo al Signore: io ti amo non perché puoi darmi il paradiso o condannarmi all’inferno, ma perché sei il mio Dio. Ti amo perché Tu sei Tu”.
Ricordando che la preghiera non può essere vera senza “purezza di cuore”, perdono dei nemici e una “fiducia audace e filiale” in Dio, al di là di ciò che si sente o si comprende, Benedetto XVI ha concluso:
“A noi, spesso preoccupati dell'efficacia operativa e dei risultati concreti che conseguiamo, la preghiera di Gesù indica che abbiamo bisogno di fermarci, di vivere momenti di intimità con Dio, ‘staccandoci’ dal frastuono di ogni giorno, per ascoltare, per andare alla ‘radice’ che sostiene e alimenta la vita”.
Al termine della catechesi, Benedetto XVI ha salutato i vescovi armeni giunti a Roma per il loro Sinodo, ringraziandoli per l’antica fedeltà al Successore di Pietro che – ha osservato - li ha sempre sostenuti nelle innumerevoli prove della storia”. Ed ha aggiunto una preghiera per le popolazioni del Medio Oriente perché perseverino con speranza nelle “gravi sofferenze” che le affliggono. Altri saluti di Benedetto XVI hanno raggiunto i fedeli di Lamezia Terme – che hanno ricambiato visita fatta dal Papa alla loro diocesi lo scorso ottobre – ma anche i sacerdoti e i seminaristi del Centro di spiritualità Vinea mea del Movimento dei Focolari e le Suore Serve di Gesù Cristo. “Tutti esorto a trasmettere sempre con la testimonianza della vita la gioia della corrispondenza generosa e fedele alla divina chiamata”.
Dopo l’udienza generale, Benedetto XVI ha incontrato nell’auletta dell’Aula Paolo VI il ministro federale delle Finanze della Germania, Wolfgang Schauble, insieme con la consorte e un seguito, per presentare il francobollo emesso con il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano per i 500 anni della Madonna Sistina di Raffaello.
Il cardinale Bagnasco riconfermato dal Papa a capo della Cei per altri cinque anni
◊ Benedetto XVI ha confermato presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), per il prossimo quinquennio, il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova.
Il Papa nomina mons. Baldisseri segretario del Collegio cardinalizio
◊ Il Papa ha nominato segretario del Collegio cardinalizio mons. Lorenzo Baldisseri, arcivescovo titolare di Diocleziana, segretario della Congregazione per i Vescovi.
◊ In Brasile, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Uberaba, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Aloísio Roque Oppermann, S.C.I.. Al suo posto ha nominato mons. Paulo Mendes Peixoto, finora Vescovo di São José do Rio Preto.S.E. Mons Peixoto è nato il 25 febbraio 1951, nella località di Imbé, diocesi di Caratinga, Stato di Minas Gerais. Per gli studi di Filosofia e Teologia ha frequentato il Seminário San Pio X a Caratinga (1974-1977). Ha poi conseguito la Licenza in Storia presso la Facoltà di Caratinga (1974-1977) ed in Diritto Canonico, presso l’Istituto Superiore di Diritto Canonico dell’arcidiocesi di Rio de Janeiro (1984-1985). Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotate il 7 dicembre 1979 per la diocesi di Caratinga, nella quale ha ricoperto gli incarichi di Amministratore Parrocchiale a Vermelho Novo e Caputira, Iapu, Imbé de Minas e a Santa Bárbara do Leste; Parroco a Carangola e Cappellano dell'Ospedale Nossa Senhora Auxiliadora, Economo e Direttore Spirituale del Seminario diocesano, Membro del Consiglio Presbiterale e del Collegio dei Consultori, docente di Diritto Canonico in Seminario e Giudice nel Tribunale Ecclesiastico diocesano. Inoltre, è stato tra i fondatori della Società Brasiliana di Canonisti, della quale ha svolto anche l’incarico di Segretario. Il 7 dicembre 2005 è stato nominato Vescovo di São José do Rio Preto e ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 25 febbraio 2006.
Il Papa ha annoverato Membri della Congregazione per le Chiese Orientali gli Eminentissimi Signori Cardinali Angelo Scola, Arcivescovo di Milano, Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, André Vingt-Trois, Arcivescovo di Paris, Reinhard Marx, Arcivescovo di München und Freising, e Sua Beatitudine Béchara Boutros Raï, Patriarca di Antiochia dei Maroniti.
Il Pontefic ha nominato Membri del Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali gli Ecc.mi Monsignori: Salvatore Fisichella, Arcivescovo tit. di Voghenza, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione; Savio Hon Tai-Fai, S.D.B., Arcivescovo tit. di Sila, Segretario della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli.
Nel cuore della Chiesa e del mondo: la riflessione di Flaminia Giovanelli sulla Giornata della Donna
◊ Con diverse iniziative in tutto il mondo, si celebra domani la Giornata internazionale della Donna. E proprio al riconoscimento del contributo femminile alla società è dedicata l’intenzione generale di preghiera del Papa per il mese di marzo. Sulle sfide odierne, in particolare per la donna cristiana, Alessandro Gisotti ha intervistato Flaminia Giovanelli, sottosegretario del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”:
R. - Penso che quello che potremmo fare è chiedere allo Spirito, che fa muovere tutte le cose, di indicarci nuove vie perché l’apporto della donna nel sociale sia riconosciuto. La rivendicazione dei diritti, la richiesta del riconoscimento del ruolo che la donna ricopre quotidianamente nella società, sono tutte cose giuste e doverose. Ma è risaputo che rimane enorme la distanza tra quanto dicono le carte costituzionali e l’effettiva applicazione delle leggi.
D. - Cosa può dare la donna cristiana e il suo "genio femminile", per riprendere la celeberrima formula di Karol Wojtyla, alla società occidentale che spesso oggi tende ad apprezzare le donne più per l’immagine che per la propria identità?
R. - Parlando di genio femminile infatti si presuppone che la donna abbia una sua particolare vocazione proprio in quanto donna. Oggi questa vocazione non è data per scontata, anzi apertamente contestata specie dalla teoria del “gender”, oppure rimessa in discussione, anche in ambienti cristiani, specie se sono marcatamente femministi. Io credo che proprio per questo, la donna cristiana abbia un ruolo di primo piano da ricoprire nella soluzione della questione antropologica, che - come ci ricorda il Santo Padre nella Caritas in veritate - è la questione sociale di oggi. Allora io credo che la donna cristiana abbia il compito di coltivare quella ecologia umana - che era un'altra espressione cara a Papa Wojtyla e poi ripresa anche da Benedetto XVI - quella visione corretta della persona umana che è un tutt’uno di corpo, mente e spirito; quindi un giusto equilibrio di questi tre elementi nella persona umana in una visione comprensiva anche del rapporto uomo-donna. In tempo di crisi, la donna ha poi un ruolo particolare nell’umanizzazione dell’economia, in quel senso che ha auspicato Benedetto XVI nella Caritas in veritate, cioè questa dimensione della gratuità e del dono senza la quale - dice il Papa - “neanche il mercato può funzionare.”
D. - Parlando del contributo delle donne pensiamo a quanto la donna sia al servizio della pace, soprattutto nel Sud del mondo. Una sua riflessione anche a riguardo della scorta della sua esperienza, nel suo dicastero...
R. - Il pensiero naturalmente va subito all’assegnazione dei Premi Nobel del 2011 che sono andati a tre donne: due africane ed una yemenita. Mi viene in mente la signora del Burundi, Marguerite Barankitse, denominata “l’angelo del Burundi”, che ha assistito a quell’orrore tremendo del genocidio e non soltanto non ha cercato la vendetta, ma al contrario ha cercato la verità, il dialogo. Ha accolto diecimila bambini orfani di guerra, sia Tutsi che Hutu, nelle sue case. Quello che voglio sottolineare è questa capacità delle donne di accompagnare l’aspirazione alla pace in modo concreto e con opere concrete.
D. - Per l’8 marzo, quale augurio si sente di fare alle donne che ci ascoltano?
R. - Mi auguro che le donne siano contente di essere donne, che questa capacità che hanno di giocare su più fronti contemporaneamente - altra caratteristica femminile, no? - che la prendano come una sfida, come uno stimolo. E alla fine, quando si accetta la sfida e la si vince, dà veramente soddisfazione.
D. - “Donna sii te stessa”, per parafrasare Giovanni Paolo II...
R. - Esatto. E non solo. Sempre in questa occasione, vorrei consigliare non solo alle donne, ma anche agli uomini di riprendere in mano un brevissimo testo - in quest’anno in cui celebreremo i 50 anni dall’inizio del Vaticano II - un brevissimo ma intenso messaggio che Papa Paolo VI dà alle donne alla fine del Concilio. E fra le altre cose, affida loro il compito di riconciliare gli uomini con la vita, attraverso un’espressione che a me sembra molto forte: “Donne, trattenete la mano dell’uomo che in un momento di follia tentasse di distruggere la civiltà umana.” (bi)
Lectio magistralis del cardinale Ravasi: scienza e fede hanno bisogno l’una dell’altra
◊ L’evoluzione del rapporto tra fede e scienza nella storia e all’interno del dibattito culturale è stato il centro della lectio magistralis che il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, cardinale Gianfranco Ravasi, ha donato alla platea riunita ieri nell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum in occasione del 10.mo anniversario del master in Scienza e Fede organizzato dall’università. C’era per noi Roberta Barbi:
L’obiettivo da raggiungere è elevato e di fondamentale importanza: creare un clima diverso tra scienza e fede, rapporto che ancora oggi risente di alcuni luoghi comuni di natura positivistica. Questi due sguardi, che da angolature diverse si rivolgono all’essere, sono diventati terreno di una ricerca che si svolge prevalentemente all’interno delle università. Il perché lo spiega il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, cardinale Ravasi:
“Ci si è accorti sempre di più, che una pura conoscenza scientifica, tante volte, è in realtà solo tecnica, non esaurisce la complessità del reale. La stessa esistenza umana ha bisogno - per essere definita in maniera completa - anche di criteri che sono ad esempio estetici, come la bellezza, la poesia, l’arte che insegnano delle verità che la scienza, per sua natura, non considera”.
Da un iniziale modello concordistico, dominante nell’antica tradizione, che leggeva i testi sacri sforzandosi di trovare coincidenze tra gli asserti scientifici e quelli teologici, alla fine del 1800 si è passati a un modello di tipo scientista, cioè a una radicale divaricazione tra scienza e fede, con la conseguente negazione della legittimità degli asserti non scientifici. Da qui, poi, si è sviluppato un modello che si potrebbe chiamare “dei due livelli” in cui scienza e fede sono considerate incommensurabili tra loro, intraducibili e quindi non conflittuali, ma anche questo modello viene superato a vantaggio di un nuovo dialogo che non precipita nella separazione assoluta tra le due. Il cardinale Ravasi chiarisce a che punto è, oggi, questo dialogo tra scienza e fede:
“Abbiamo certamente il riconoscimento da parte della scienza, dei due livelli sui quali si collocano da un lato il percorso scientifico in senso stretto, e dall’altro il percorso teologico. Questo è passo molto significativo: riconoscere la dignità dei percorsi che ha la conoscenza umana, sia attraverso l’esperienza scientifica, sia attraverso la riflessione teologica”.
All’interno di questo proficuo dialogo, inquadrato in una prospettiva culturale, s’inserisce il Pontificio Consiglio della Cultura, che da qualche tempo, tra l’altro, ha avviato il progetto Stoq che si occupa di scienza, teologia e ricerca ontologica. In che modo lo spiega ancora il porporato:
“Adesso, il Pontificio Consiglio della Cultura ha al suo interno una fondazione di diritto vaticano che è intitolata ‘Scienza e Fede’, la quale ha il compito di favorire questa capacità di mettere insieme più volti, più sguardi, più dimensioni che sono proprie della realtà”.
Il fatto che la scienza moderna utilizzi un linguaggio simbolico e una metodologia – ad esempio il procedimento deduttivo – tipiche della filosofia, mostra come scienza e fede non siano in opposizione, ma come, al contrario, tra loro ci sia amicizia. Cosa si può rispondere allora a coloro i quali, invece, sono ancora arroccati in un approccio meramente scientifico alla realtà? Lo chiarisce ancora il cardinale Ravasi:
“Di solito, un approccio così semplificato, è proprio quello tipico della tecnica che invece, non s’interroga sulla complessità della realtà, perché la realtà umana, alla fine esige anche che ci siano dimensioni come quella della morale, della teologia e - dicevo ancora - dell’estetica. La grande scienza è una realtà umanistica globale”.
Il cardinale Piacenza alla Cattolica di Milano: la Chiesa si oppone alle insidie del realtivismo
◊ “Quale Chiesa per quale mondo” è stato il titolo della prolusione ai corsi di introduzione alla Teologia, offerta oggi agli studenti dell’Università Cattolica di Milano, dal cardinale Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il Clero. Il servizio di Fabio Brenna:
Compito della Chiesa oggi è il servizio della verità: ma in questa testimonianza e vicinanza a ogni uomo deve oggi combattere con un relativismo insidioso e diffuso. Lo ha sostenuto il cardinale Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il Clero, che agli studenti dell’Università Cattolica ha evidenziato il rischio di una “relativizzazione” della Chiesa, quando questa esiste per se stessa, non rinvia verso l’altro, quando cioè i suoi membri non rimandano a Dio, anche confondendo – ha detto – la carità con la solidarietà. Il relativismo, sforzandosi di giustificare ogni soggettivo arbitrio, nega la vera libertà dell’uomo e per questo il cardinale Piacenza lo indica come un antagonista potente del cristianesimo:
“Credo sia l’insidia maggiore ed è la grande sfida prima di tutto per i sacerdoti, i predicatori, gli evangelizzatori in generale: anche per i laici che fanno opera di evangelizzazione. Se si pensa che evidentemente noi dobbiamo porgere un assoluto, che è Gesù Cristo, in un clima di relativismo, e porgerlo evidentemente non in una società – in una societas – cristiana, dove ci sia una base uniforme, ma non solo non c’è questa base uniforme ma non c’è neanche la base della ragione. Quindi, si è poco disposti ad accettare l’oggettività”.
Dire la verità per la Chiesa significa liberare l’uomo e affermare che questa libertà coincide con una persona autentica: Gesù Cristo. Se allora la Chiesa sarà ciò che Dio le domanda di essere e farà trasparire Dio da ogni suo gesto, attraverso la testimonianza di ogni credente sarà reso pieno servizio della verità:
“E’ molto importante in questo tornante storico riuscire ad affascinare di Cristo e a far fare l’esperienza di Cristo, perché le categorie razionali – pur rispettabilissime, ma talvolta un po’ gettate via – sono come una pietanza fredda in una notte freddissima, gelata. Quindi, occorre che ci sia il calore dell’incontro con la persona di Cristo. Poi, con questo calore si entra progressivamente nella verità, a volte prima sentendola e poi comprendendola, a volte prima comprendendola e poi sentendola, a seconda delle sensibilità”. (gf)
Siria. Denunce dall'Onu di torture a Homs. Profughi accolti dai cristiani libanesi
◊ In Siria la situazione è sempre più drammatica e la popolazione fugge verso il Libano. Secondo le Nazioni Unite 2000 nuovi rifugiati hanno varcato il confine in questi giorni. La comunità cristiana in Libano è pronta ad accogliere tutti senza distinzioni. Massimo Pittarello ha chiesto a padre Paul Karam, direttore delle Pontificie Opere Missionarie se i profughi siano già arrivati e qual è la reale situazione in Libano.
R. – Non abbiamo visto questo numero, che l’Onu dice. Il Libano è una terra piccola è non è adatta per accogliere in pianta stabile tutti i profughi. Abbiamo già fatto l’esperienza dei profughi palestinesi, che sono qui già da oltre 60 anni: cosa abbiamo risolto? Quale è la soluzione pacifica, quando cacci via un popolo e lo metti in un’altra nazione, sotto le tende? E’ questa la soluzione che vuole la comunità internazionale? Sicuramente il popolo libanese è un popolo che accoglie tutti, ma dobbiamo aiutarlo. Non è sufficiente dire: venite qua, dove potrete rimanere per l’eternità. No: questo non è giusto.
D. – In Siria c’è un’escalation di violenza. Qual è l’umore nei Paesi arabi vicini?
R. – Quello che succede in Siria riguarda tutti noi, perché non è una situazione che ci invita ad essere tranquilli. A livello della Chiesa, la preoccupazione è forte, ma lo è anche a livello delle persone. Non sappiamo quale sia la finalità di tutto questo, perché – secondo me – non è soltanto una questione di cambiamento di regime o meno, ma è anche una questione di interferenze tra gli interessi politici ed economici in tutta questa zona. Il Medio Oriente ha bisogno di avere un clima di pace, e non di trovarsi sempre in una situazione di conflitto. Per questo, richiamiamo la comunità internazionale ad avere maggiore equilibrio e un livello alto di rispetto dei diritti umani, e di non fare soltanto i propri interessi.
D. – C'è il rischio che ad un regime dittatoriale se ne possa sostituire un altro, integralista e religiosamente intransigente …
R. – Quello che è successo in quel processo che si chiama “primavera araba”: se i risultati devono essere sempre regimi più duri di quelli che hanno preceduto, in realtà non avremo mai una “primavera araba”, mentre esiste il rischio che si trasformi in un duro inverno, e non più in una primavera. Direi molto chiaramente che quando in tutti questi Paesi arabi ci sarà la libertà religiosa e la libertà di espressione, allora potremo incominciare a dire che c’è un clima di democrazia. Sicuramente, per la Chiesa i problemi non devono mai essere risolti con la violenza!
D. – C’è qualche contraddizione o qualche paradosso nelle azioni messe in campo dalla comunità internazionale?
R. – La comunità internazionale, come riesce a trovare il denaro per dare le armi alle persone per fare la guerra, e non trova il denaro per aiutare popoli che hanno fame? (gf)
E le violenze della Siria stanno destando grande preoccupazione anche in seno al Consiglio dei Diritti umani dell'Onu. Le notizie in arrivo dal Paese mediorientale sono in testa all'agenda della sessione di lavoro in corso nella sede di Ginevra delle Nazioni Unite. Particolarmente gravi risultano le denunce di torture perpetrate anche all'interno di ospedali, come riferisce da Ginevra Gordon Martin:
Rupert Colville, portavoce dell’Alto Commissariato per i diritti umani, afferma che gravi violazioni dei diritti umani – compresa la tortura – sono state documentate in Siria negli ultimi 40 anni:
“Methods of torture, most of which have been used in Syria…
Metodi di tortura che sono in uso in Siria da molto tempo, non soltanto nell’ultimo anno, comprendono percosse, scariche elettriche, la sospensione per gli arti per tempi prolungati, tortura psicologica e umiliazioni abituali. La tortura e le uccisioni sono e avvenute, secondo i rapporti, nell’ospedale militare di Homs per mano di membri delle forze di sicurezza vestiti da medici che – a quanto sembra – hanno agito con la complicità del personale medico”.
Il portavoce dell’Alto Commissariato ha detto che quando la gente ha iniziato ad avere paura di rivolgersi agli ospedali pubblici, ha cercato soluzioni di ripiego adattandosi nelle moschee e nelle abitazioni private, ma poi anche queste hanno cominciato a essere prese di mira. Testimonianze coerenti hanno descritto come le forze di sicurezza abbiano ucciso manifestanti feriti in ospedali pubblici e privati:
“Another really disturbing aspect is that individuals …
Un altro aspetto veramente inquietante è che persone sospettate dalle autorità di governo di essere coinvolte nell’installazione di strutture mediche alternative – tipo cliniche private o segrete, o che abbiano fornito medicamenti o medicazioni – siano state ugualmente arrestate e torturate dalle forze di sicurezza. Queste hanno ferito il personale di ospedali privati e gli autisti delle ambulanze perché non potessero portare assistenza e aiuto ai manifestanti colpiti, affinché le forze di sicurezza stesse potessero dirottarli direttamente verso ospedali pubblici o militari”.
Rupert Colville afferma anche che la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite ha rilevato che settori dell’ospedale militare di Homs e dell’ospedale civile di Latakia sono stati trasformati in centri di tortura:
“Security agents, in some cases joined by medical staff …
Agenti di sicurezza, in alcuni casi accompagnati dal personale medico, hanno incatenato ai loro letti pazienti con ferite gravi, eseguendo su di loro l’elettrocuzione, percuotendo le parti ferite o negando loro cure mediche e acqua. Il personale medico che si sia rifiutato di collaborare si è trovato a dover affrontare rappresaglie”.
Ulteriori rivelazioni sulla situazione in Siria sono attese la settimana prossima, dopo il previsto arrivo a Damasco di Kofi Annan, già segretario generale dell’Onu, e appena nominato inviato speciale del segretario generale dell’Onu e della Lega degli Stati arabi in Siria. (gf)
Libia. La Cirenaica proclama l'autonomia. Il Cnt: “Useremo la forza”
◊ La Libia nuovamente nel caos. Migliaia tra rappresentanti delle tribù e comandanti delle milizie hanno proclamato ieri a Bengasi l'autonomia della Cirenaica, eletto un congresso regionale e ratificato la formazione di un esercito indipendente. Immediata la reazione del Cnt: il presidente Mustafa Abdel Jalil ha minacciato di fare ricorso all’uso della forza. Ma come si è giunti a questo punto? Salvatore Sabatino lo ha chiesto ad Arturo Varvelli, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale, autore di due pubblicazioni dedicate al Paese nordafricano:
R. – A questo punto, si è giunti per il fatto che la Libia ormai è un Paese disgregato nel senso che chi governa il Paese sono diverse autorità. C’è un’autorità centrale che è delegittimata, molto debole e che è costituita dal Consiglio nazionale transitorio. Poi vi sono le milizie sul campo e le tribù nel tessuto sociale. Capire come queste tre entità in qualche maniera possano conciliarsi, è molto difficile. Vediamo che in questi giorni non si stanno conciliando e da questo nasce la richiesta di autonomia federale della Cirenaica.
D. – Tripolitania e Cirenaica hanno vissuto, sotto Gheddafi, un lungo periodo di pace grazie agli accordi tribali siglati dal Colonnello. Oggi che lui non c’è più, chi potrebbe riportare la pace e quindi l’equilibrio all’interno del Paese?
R. – L’equilibrio lo può riportare solamente il petrolio, cioè la struttura di “rentier state” dell’economia libica di fatto, che in qualche maniera potrebbe garantire una unità del Paese. E’ necessario, naturalmente, che ci sia un gestore unico di queste risorse. Di fatto, un po’ questo facilita anche l’autorità e la legittimità del governo centrale, perché vende il petrolio all’estero e redistribuisce la rendita: questa, però, naturalmente dev’essere redistribuita in una maniera che venga percepita ugualitaria da parte di tutte le componenti tribali del Paese e le componenti locali e regionali.
D. – L’unico elemento su cui il Cnt è riuscito a mettere d’accordo tutti è l’islam come base del diritto inscritto nella nuova Costituzione. Ci vorrebbero, forse, altri punti di incontro?
R. – Nonostante la Libia sia stata lungamente, anche sotto il regime di Gheddafi, un Paese laico, l’islam – e naturalmente la cultura islamica – è sempre stato alla base della società. E quindi, con la caduta del regime e il vuoto di potere, il vuoto politico, il vuoto culturale sono rimaste ben poche cose a cui tutti possano aggrapparsi. Una di queste sicuramente è l’islam, mentre l’altra, naturalmente, è il petrolio. I terzo elemento potrebbe essere quello di un’ampia autonomia delle città, che potrebbero incominciare ad eleggere – come già sta avvenendo – i propri rappresentanti cittadini: questa potrebbe essere una piccola valvola di sfogo iniziale e anche una piccola prova di democrazia.
D. – Durante i giorni di guerra, la comunità internazionale aveva riconosciuto in massa il Cnt come interlocutore ufficiale della nuova Libia. Quello che sta avvenendo oggi non è il frutto di una mossa un po’ avventata?
R. – Sì: è sicuramente frutto di questa mossa. Il Cnt non ha alcuna legittimità interna, viene percepito come un organo quasi auto-proclamatosi, in qualche maniera, mentre all’interno c’è la percezione che questa sia l’unica speranza.
D. – Questa minaccia di usare la forza può, secondo lei, concretizzarsi?
R. – Io penso di no e mi sembra una reazione scomposta da parte di Jalil e del Cnt. Innanzitutto, ancora il governo centrale e l’autorità centrale non hanno un esercito proprio, quindi chi combatterebbe? Qualcun altro in Tripolitania, qualche milizia della Tripolitania? Ci riporteremmo indietro ad uno scontro, alla guerra civile che c’è stata – di fatto – nell’ultimo anno e io non penso che il Cnt possa compiere un’azione simile. (gf)
"Land grabbing": le ong denunciano alla Fao i danni dei nuovi latifondi
◊ Le oltre 800 organizzazioni sociali sostenute dal Comitato Internazionale per la Sovranità Alimentare denunciano il fenomeno del "Land grabbing", cioè l’accaparramento di grandi estensioni agricole da parte del mondo dell’impresa e della finanza a scopo d’investimento. L’occasione è fornita dall’ultimo round negoziale sulla terra in corso alla Fao a Roma. Antonio Onorati, presidente del Centro internazionale Crocevia, ci spiega in cosa consiste il fenomeno del "Land grabbing". L’intervista è di Stefano Leszczynski:
R. – Il “land grabbing” riassume due fenomeni: uno è quello dell’accaparramento di terra attraverso gli investimenti fatti da banche, assicurazioni internazionali, fonti di investimento nazionali. L’altro è quello dell’accaparramento di terra ed investimenti che avvengono attraverso politiche.
D. – Qual è lo scopo?
R. – Diciamo che il primo scopo è quello di investire delle risorse finanziarie in attività che producono, in prospettiva e con certezza, profitti. Per esempio, acquistare la terra in Africa per produrre cibo è un ottimo affare, perché malgrado la sicurezza alimentare sia molto importante in Africa, sappiamo già che - all’orizzonte del 2025 – il continente africano, grosso modo, raddoppierà la sua popolazione. E’ chiaro quindi che si tratta di un affare certo. Il secondo elemento è che quando si compra della terra, non si compra solo la terra. Si compra il suo uso, la sua acqua, la sua biodiversità e magari si comprano anche le persone che ci stanno sopra, quindi si compra il lavoro.
D. – In sostanza, il primo grosso danno è quello di rendere inaccessibile la terra ai piccoli coltivatori ed allevatori ...
R. – Sì. Il primo danno assoluto è questo. Non va poi dimenticato che spesso si parla di terre prive di abitanti, che in quel momento sono utilizzate da pastori. Ci sono 600 milioni di persone che vivono di pastorizia e che si nutrono grazie ai risultati dell’allevamento nomade.
D. – Questo avviene spesso con la complicità dei governi, che permettono questi tipi di acquisti ...
R. – Sì. Dire complicità è però un po’ poco. Questo avviene su richiesta e attraverso meccanismi di corruzione per cui i beni pubblici – quelli coperti da diritti collettivi o comunque dello Stato – vengono venduti e i proventi incassati dalle elite locali. Quindi modificano le leggi, gli accordi internazionali e le regole del gioco per poter continuare ad espellere i produttori di cibo dalle loro terre.
D. – Il problema riguarda solo i Paesi in via di sviluppo, o riguarda anche i Paesi già avanzati ed industrializzati? Insomma, in Europa conosciamo il fenomeno del “land grabbing” o no?
R. – Sì, conosciamo due forme di “land grabbing” altrettanto gravi. Da una parte, abbiamo un processo di acquisizione di terre di grande scala rispetto alla dimensione dell’Europa. Per esempio, in Italia chi compra a 500 ettari, compra una grande scala, non siamo in Sudan. Lo stesso vale per chi compra la terra in Ungheria, in Bulgaria, in Ucraina, in Bielorussia, in Polonia dove si comprano lotti a ventimila ettari, a cinquantamila ettari. Questo è un fenomeno visibile, che è documentato. I fondi di investimento fanno questo, le banche fanno questo, i capitali di industria fanno questo, i grandi potentati dello Stato fanno questo e anche i grandi agricoltori. Ma non è la parte più grave: la parte più grave è il processo di concentrazione della terra in poche mani, ma questa concentrazione della terra significa anche concentrazione delle produzioni. Quindi, la creazione di grandi aziende non dà come risultato un’agricoltura più ricca, ma dà come risultato sicuramente un’agricoltura più povera in termini di addetti, in numero di aziende, in presenza sul territorio. (cp)
Obiettivo Millennio: dimezzata popolazione senza accesso all’acqua da bere
◊ Secondo un dossier reso pubblico ieri dall’Unicef e dall’Organizzazione modiale della sanità (Oms), il mondo ha raggiunto “l’Obiettivo di sviluppo del Millennio” stabilito dall’Onu di dimezzare la percentuale di persone che non hanno accesso all’acqua potabile. Un risultato raggiunto in largo anticipo rispetto alla scadenza prefissata per il 2015. Tra il 1990 e il 2010, oltre due milliardi di persone hanno infatti ottenuto l’accesso all’acqua potabile grazie al miglioramento dei sistemi di approvvigionamento di acqua. Il collega della redazione inglese, Chris Altieri, ne ha parlato con il direttore del Dipartimento di salute pubblica e ambiente dell’Oms, Maria Neira:
R. - La comunità internazionale può festeggiare, oggi, il fatto che si sia raggiunto questo Obiettivo del Millennio, relativo all’accesso all’acqua potabile. Obiettivo che prevedeva la rassicurazione, per l’89 per cento della popolazione mondiale, di poter avere accesso all’acqua da bere. Dobbiamo comunque sforzarci di allargare questa conquista a tutta la popolazione, visto che nel mondo ci sono ancora 800 milioni di persone che non possono a bere da una fonte d’acqua potabile, senza che questo possa causare problemi. D’altra parte, bisognerà che la comunità internazionale - ora che è stato dimostrato che questi obiettivi del millennio possono essere raggiunti - continui in questo sforzo e si assicuri che i fondi siano disponibili e che i Paesi e i governi continuino a vedere questa problematica come una priorità ed un diritto umano. Se riuscissimo a fare tutto questo, le malattie inizierebbero a diminuire in maniera importante: le malattie diarroiche, ad esempio, sono proprio legate alla mancanza di accesso all’acqua potabile. Speriamo che, dopo aver festeggiato questo fantastico successo, potremo continuare ad avere la stessa dimostrazione di impegno e di fondi necessari per fare questo lavoro, che tra l’altro offre benefici soprattutto ai più poveri tra i poveri. (vv)
Usa. Romney vince il Supertuesday, ma per sfidare Obama la corsa è ancora aperta
◊ Il Supertuesday negli Stati Uniti doveva essere l’appuntamento elettorale decisivo per sapere chi sarebbe stato lo sfidante di Obama, il prossimo 6 novembre. La partita in casa repubblicana appare invece ancora aperta, nonostante la vittoria di Mitt Romney, il favorito delle primarie, in sei Stati su dieci. Il servizio di Stefano Leszczynski:
Mitt Romney, il favorito tra i candidati delle primarie repubblicane ha vinto in sei Stati su dieci, conquistando un buon numero di delegati. Ma nello Stato chiave dell'Ohio ha strappato una vittoria di stretta misura sull'ultra-conservatore Rick Santorum, che complessivamente ha tenuto affermandosi a sua volta in tre Stati. Mentre l'ex speaker della Camera, Newt Gingrich, si è consolato con l'atteso trionfo in Georgia. Insomma, il "Supermartedì" si è rivelato tutt'altro che decisivo per stabilire chi sfiderà Barack Obama il prossimo 6 novembre. E la battaglia tra i candidati del partito repubblicano sembra destinata a proseguire ancora per molto tempo. L'obiettivo di Romney era quello di avvicinarsi alla nomination, che sarà decisa nel corso della Convention repubblicana di Tampa, in Florida, alla fine di agosto. Il miliardario mormone ha vinto agevolmente in Virginia, Vermont, Idaho e nel suo Massachusetts, dove è stato governatore. In base ai primi voti scrutinati sarebbe in testa anche in Alaska. Ma in Ohio – dove in passato tutti i candidati repubblicani diventati presidente degli Stati Uniti hanno sempre vinto – è riuscito a spuntarla con solo l'1% discarto, al termine di un entusiasmante testa a testa che ha visto l'ex senatore della Pennsylvania, Santorum, avanti per buona parte dello scrutinio. Quest'ultimo si è invece aggiudicato North Dakota, Oklahoma e Tennessee.
L'emergenza siccità nel Corno d'Africa. Parte un progetto di Sant'Egidio e Confagricoltura
◊ E’ ancora emergenza umanitaria nel Corno d’Africa, devastato dalla siccità che ha colpito Somalia, Etiopia e Kenya. In quest’ultimo Paese, sin dall’estate scorsa, la Comunità di Sant’Egidio ha avviato un programma di aiuti alimentari in zone che erano rimaste tagliate fuori dall’intervento umanitario internazionale. Ora, dopo la firma nel dicembre 2011 di un protocollo di intesa con alcune associazioni di agricoltori, si darà l’avvio a un programma di aiuti più articolato, che è stato presentato ieri a Roma. Il servizio è di Francesca Sabatinelli:
Soccorso alimentare immediato per soddisfare il bisogno di cibo delle popolazioni di due aree del Kenya del nord colpito da forte siccità, e realizzazione, nelle stesse zone, di progetti agricoli stabili per il raggiungimento dell’autosufficienza alimentare. Si muove su questi due binari l’intervento studiato dalla Comunità di Sant’Egidio assieme ad alcune realtà dell’imprenditoria agricola, come la Confagricoltura, che prenderà definitivamente forma nei prossimi mesi, con un capitale iniziale di 90 mila euro, per innalzare il livello di vita delle popolazioni del distretto di East Pokot e della zona sudorientale del lago Turkana. Sin dall’estate scorsa la Comunità di Sant’Egidio è intervenuta distribuendo cibo con l’aiuto anche della società civile e dei missionari della Consolata. Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio:
“Dall’estate del 2011 sono già otto le grandi distribuzioni che sono state fatte in due zone del nord del Kenya dai volontari della comunità di Sant’Egidio. Le comunità locali hanno usufruito di una raccolta fondi – condotta in Italia – per distribuire il cibo acquistato localmente: in questo modo, abbiamo voluto aiutare anche l’economia locale. In una seconda fase, che inizierà molto presto, Confagricoltura e altri agricoltori italiani si sono uniti alla Comunità di Sant’Egidio per promuovere la coltivazione e l’allevamento in queste zone con le tecniche italiane, che sono di grande aiuto ed ausilio per coltivare una terra fortemente salinizzata e con poca acqua”. (vv)
Con il sostegno degli agricoltori italiani, si procederà quindi alla realizzazione di orti e di piccoli allevamenti, alla costruzione di pozzi e all’avvio di un’attività di formazione degli agricoltori locali. Mario Guidi, presidente nazionale di Confagricoltura:
R. – Il nostro ruolo è innanzitutto quello di reperire, tramite la nostra Onlus, le risorse necessarie ad avviare questo progetto. Dobbiamo poi portare il “know-how” necessario affinché, nelle aree che abbiamo individuato, si possa creare una micro-agricoltura in grado di affrancare le popolazioni locali sia dal punto di vista alimentare sia da quello economico. Creando ricchezza, si crea la possibilità di affrancare questi popoli da una povertà generica.
D. – Gli operatori che formeranno gli agricoltori locali saranno italiani e si troveranno a lavorare su una terra difficile, che presenta degli aspetti particolari: come si potrà intervenire?
R. – Il terreno presenta particolarità che rendono quell’area molto sensibile. Siamo però a conoscenza di tecnologie, di colture che possono insediarsi in un territorio la cui difficoltà è legata alla salinizzazione. Il terreno è cioè salino e per questo le piante faticano a crescervi. Dobbiamo quindi portare la tecnologia necessaria affinché queste piante possano svilupparsi.
D. – Quale tipo di colture porterete?
R. – Abbiamo fatto due ipotesi. La prima ipotesi è quella della produzione di piretro, che è una componente fondamentale dei prodotti che usiamo noi in Italia per la lotta biologica. Si tratta di una pianta in grado di produrre una molecola che è ostile ai parassiti. L’altro tipo di coltura è la produzione di “sisal”, una sorta di canapa per produrre fibre e tessuti che potrebbero essere impiegati proprio in quell’area. Il piretro andrebbe utilizzato nei Paesi evoluti, mentre il sisal verrebbe utilizzato in loco.
D. – Come mai gli imprenditori agricoli italiani hanno sentito la necessità di sostenere e aiutare, anche per il futuro, popolazioni così in difficoltà?
R. – Non vogliamo assolutamente che il messaggio dell’imprenditoria agricola sia banalizzato nella quotidianità e nell’attività dell’impresa. Gli agricoltori sono veramente imprenditori, forse perché siamo tutti i giorni a contatto con la natura, forse perché alleviamo animali e cresciamo le piante. Siamo imprenditori che vogliono mantenere elevato il livello di responsabilità sociale. In Africa ho visto cose che, per lunghi anni, mi hanno fatto ripensare a come la solidarietà possa essere realizzata e a come possa rivelarsi efficace. Credo che ora, questo strumento che abbiamo immaginato, sia davvero quello giusto. (vv)
Opera Don Calabria: cure di psicoterapia elargite a pazienti con pochi mezzi
◊ Tra crisi e carenza di strategie a favore delle fasce deboli, le persone sofferenti di disagio psicologico in Italia si trovano a gestire il proprio problema ottenendo ben poche risposte pubbliche. È sempre più difficile, ad esempio, affrontare una psicoterapia - una cura che rientra nei livelli essenziali di assistenza - rivolgendosi al Servizio sanitario nazionale. È apprezzabile, allora, l’idea che hanno avuto Ruggero Piperno, psicoterapeuta e psichiatra, e l’Opera Don Calabria di Roma: quella di aprire un ambulatorio riducendo al minimo le liste di attesa e, soprattutto, chiedendo ai pazienti di scegliersi la tariffa a secondo della proprie possibilità. Luca Attanasio ha chiesto allo stesso dott. Piperno come sia nata questa iniziativa:
R. – Io ho lavorato nei servizi pubblici in una fase ascendente, in una fase molto bella in cui i servizi sono stati creati dal niente, perché prima c’erano soltanto i manicomi. Questi ambulatori sono diventati parte del Servizio sanitario nazionale. Le persone che avevano problemi psicologici avevano la possibilità di avere un luogo pubblico a cui rivolgersi. In questo momento di ristrettezze finanziarie, la copertura di spese spesso non permette che tali pazienti abbiano una reale risposta. Ci sono tempi di attesa molto lunghi… Quindi, una larga fetta di popolazione con problemi psicologici rischiava di non avere una risposta e per questo abbiamo aperto un ambulatorio privato sociale che avesse queste caratteristiche: accessibilità, competenza e insieme che fosse sostenibile, cioè che alla fine dell’anno andasse in pareggio di bilancio. Seguendo la filosofia dell’Opera don Calabria - secondo cui noi possiamo assistere anche chi non può pagare - noi non indichiamo né minimi né massimi, però speriamo che, tra quelli che pagano un po’ di più e quelli che pagano un po’ di meno o magari non pagano niente, alla fine si raggiunga un pareggio di bilancio.
D. – Un modo per venire incontro al disagio, ma anche di creare lavoro…
R. – Io ho incominciato ad avviare questo servizio per due motivi. Da un lato, perché c’è una grande fetta di utenza che non avrebbe potuto ricevere risposta, e dall’altra parte perché c’era un gran numero di giovani terapeuti che venivano dalle scuole e che non avevano lavoro. Il nostro tentativo è stato quello di fare da mediatore tra i pazienti che non trovavano risposta e gli psicoterapeuti che non trovavano pazienti.
D. – Fratel Brunelli, direttore dell’Opera Don Calabria di Roma: l’idea sposa in pieno la vostra filosofia…
R. – L’abbiamo vista come un modo nuovo di essere vicini alle persone, di capirne le problematiche: se il protagonista è questo tipo di persona con la sua sofferenza, non può essere gioco di mercato, non può essere il denaro a prevalere. Non vedo questa dimensione di chi vuole approfittare di una situazione perché si paga poco. Vedo invece – la vedo sempre di più ed è terribile vederla – la sofferenza che cresce, il bisogno di uscirne fuori. Quindi, tocca a noi fare questa supplenza fintanto che queste persone non riescano a camminare, a volare anche. (gf)
Il lato oscuro della Rete: appello ad una maggiore consapevolezza dei rischi di Internet
◊ Internet un mondo di potenzialità ma anche di rischi: questo il cuore della conferenza dal titolo “Il lato oscuro della rete. La sfida di Ulisse oggi: varcare il virtuale”, che si è tenuta ieri nella sede della Federazione nazionale della stampa, a Roma. Ad intervenire Fabio Ghioni, hacker, tra i massimi esperti di sicurezza informatica, e la nostra collega Fausta Speranza. Il servizio di Debora Donnini.
“Consapevolezza” è la parola chiave per entrare nella Rete. Obiettivo della conferenza, far conoscere questo “lato oscuro” che può incidere più di quanto si pensi. Ma quale è questo “lato oscuro”? Ci risponde lo stesso Fabio Ghioni, tra i massimi esperti di sicurezza informatica:
R. – Trovi chi usa la rete per truffare, chi per esempio sfrutta Facebook non per contattare un cugino che non vede da trent’anni ma lo usa per fare la profilazione di persone, per trovare foto di bambini o per fare stalking. Se si considera cos’è un social network oggi, si capisce che è un sistema di schedatura di massa, volontaria. Praticamente, io mi sto consegnando ad un sistema che da quel momento in poi ha il possesso, di fatto, di tutti i miei dati. Con la meccanica dei “mi piace-non mi piace”, dei "post" che si fanno, si rivela tutto di se stessi.
D. - Quindi lei lancia un allarme riguardo ai social network o invita ad usarli con prudenza?
R. - Io lancio un allarme sull’uso inconsapevole di qualunque cosa ma soprattutto della Rete e dei sistemi di raccolta dati che ci sono in Rete, perché l’uso inconsapevole di questi si può ripercuotere su una persona per tutta la vita.
D. - Il suo appello è quindi quello di usare, sì, la Rete ma con consapevolezza ...
R. - Esatto. L'appello è ad usare Internet con consapevolezza ma soprattutto ad approcciarsi a quest’epoca con consapevolezza; a tutti i segnali che vengono dati da un’era tecnologica. Si corre altrimenti il rischio di essere manipolati o che l’opinione delle persone venga più o meno controllata, a seconda anche della fascia sociale di appartenenza. La tendenza quindi ad essere manipolati è elevata.
D. - Secondo lei è quindi necessario un maggiore controllo?
R. – Ci vorrebbe innanzitutto un’educazione adeguata per usare questo strumento, fin da bambini. Dopo l’educazione sicuramente sì, un po’ di controllo potrebbe aiutare a superare i problemi causati da coloro che ne abusano.
Non si vuole condannare la Rete. Internet presenta, infatti, enormi opportunità ma è una tecnologia che si è inserita nella vita delle persone con grande velocità e dunque va conosciuta: è quanto ha messo in luce la nostra collega Fausta Speranza:
"Quest’anno il Premio Sacharov del Parlamento Europeo è stato assegnato a quei giovani che attraverso i social network hanno fatto alcune denunce: dai social network è nata tutta la Primavera Araba. Dunque, assolutamente non si vuole 'demonizzare' affatto Internet, che è un mezzo che ha messo in connessione le persone. Il punto è un altro: Internet è un universo che non ha territorio fisico. Fino ad ora abbiamo ragionato per legislazioni che partivano da un territorio, con confini e giurisdizioni: Internet invece annulla tutto ciò. Perché allora è doverosa la riflessione? Lo è per il singolo utente che deve navigare con maggiore consapevolezza dei rischi di qualunque tipo, come può essere il furto dei dati personali, l’adescamento da parte di un pedofilo o tanti altri ma anche sul piano legislativo perché a livello internazionale Internet rappresenta sicuramente la sfida epocale per il legislatore". (cp)
Il film dei fratelli Taviani a Rebibbia, capolavoro di umanità
◊ Hanno vinto l’Orso d’Oro al recente Festival di Berlino con “Cesare deve morire”: i fratelli Taviani, maestri indiscussi del cinema italiano, hanno coraggiosamente ambientato il loro ultimo film nel braccio di massima sicurezza del carcere di Rebibbia a Roma. Attori i detenuti, molti di loro ergastolani. Un’esperienza forte e indimenticabile per ogni spettatore, un capolavoro che parla a tutta l’umanità. Il servizio di Luca Pellegrini:
Nel carcere di Rebibbia, là dove la pena e il dolore ammantano di silenzio le celle e le vite, Paolo e Vittorio Taviani sono entrati con discrezione e pietà e hanno chiesto: recitate per noi il Giulio Cesare di Shakespeare. Li hanno filmati, tra colore e bianco e nero, e ne è venuto un film durissimo, scarno, profondo, teso, un capolavoro che giustamente ha mosso a entusiasmo critica, pubblico e giuria al recente Festival di Berlino. Entrare in quest’opera significa anche entrare in se stessi: lo fa il pubblico, scoprendo quella parte di realtà che troppo facilmente rimuove; lo hanno fatto i detenuti, che al termine di questa irripetibile esperienza, si uniscono alla confessione di chi ha recitato Cassio: “Da quando ho conosciuto l’arte, questa cella è diventata una prigione”. Che cosa ha significato per voi questa affermazione, abbiamo chiesto ai fratelli Taviani:
R. - (Paolo Taviani) Ci ha colpito profondamente e, forse, abbiamo fatto il film anche perché abbiamo ascoltato questa frase. Noi pensiamo che l’arte è una scoperta per questi detenuti, dolorosissima, perché lo dice con dolore: “Allora esiste anche un mondo che non conoscevo? E ora ho scoperto che cosa ho perduto, oltre tutto quello che ho già perduto e lo sapevo!”. Quindi, dà sofferenza e dolore la scoperta di questo Shakespeare. Al tempo stesso, pensiamo che la scoperta dell’arte possa aver creato una coscienza nuova, per certi aspetti, anche in questi carcerati e questa autocoscienza forse li aiuterà ad affrontare alcuni aspetti della vita dolorosa che vivono giorno dopo giorno.
D. - Che cosa vi ha lasciato questa esperienza?
R. - (Vittorio Taviani) Abbiamo capito che il carcere è veramente un inferno. Inoltre, nell’alta sicurezza c’è ordine e silenzio, perché essendoci lì reati di mafia, camorra, sono loro che se lo sono imposti - “fra di noi silenzio e ordine” - sapendo che il silenzio e l’ordine è ciò che odiano di più. Si sono imposti questo per poter convivere. Quindi noi viviamo tuttora un sentimento di grande contraddizione, perché noi abbiamo avuto con loro un rapporto molto intimo, molto forte, come quando- insieme - si cerca la verità attraverso un’opera d’arte.
D. - Una storia universale che supera il confine dei dialetti in cui è recitata…
R. - (Paolo Taviani) Questo film è arrivato alla mente, al cuore di chi era presenta a Berlino: hanno sentito che è un film che parla un linguaggio che anche le popolazioni più lontane possono afferrare e comprendere, grazie al costante mondiale che c’è della gente che vive nelle prigioni e che soffre.
D. - All’inizio i vostri detenuti-attori si presentano con forza e verità. Come hanno commentato questa vostra richiesta?
R. - (Vittorio Taviani) Hanno detto: “Questo film probabilmente va in giro e allora noi vogliamo che chi ci ricorda, chi ci ha dimenticato, chi ci aspetta, chi non ci aspetta, sappia invece che noi siamo qui, vivi, nel silenzio ma vivi!”. Noi ci siamo molto emozionati e, attraverso questi detenuti, abbiamo capito qualcosa di ciascuno di loro, della loro natura, del loro dolore… Quindi pensiamo che quella sequenza sia una sequenza che porta veramente a entrare dentro questo grande dramma del carcere. Subito dopo, poi, vederli tutti quanti schierati, ciascuno con la condanna e la colpa che ha compiuto… Le dirò, noi abbiamo avuto dispiacere a farli vedere improvvisamente sul grande schermo, ma era l’unica maniera perché il pubblico capisse davvero che non sono soltanto dei bravi filodrammatici, ma si portando dentro un dolore - come diceva Paolo - che è un dolore del passato e che è un dolore del presente. (mg)
Congo-Brazzaville: colletta della Chiesa per le vittime della tragedia
◊ I vescovi della Repubblica del Congo hanno lanciato una colletta nazionale per aiutare le famiglie delle circa 200 vittime delle potenti esplosioni che si sono verificate domenica scorsa in un deposito di munizioni nel quartiere orientale di Mpila, a poca distanza dal centro di Brazzaville. In un messaggio, inviato all’agenzia Fides, firmato mons. Louis Portella Mbuyu, vescovo di Kinkala e presidente della Conferenza Episcopale del Congo, si legge: “Il nostro Paese sta vivendo un dramma doloroso, a causa di una serie di esplosioni, che con inaudita violenza, hanno devastato una buona parte della popolazione di Brazzaville: perdita di vite umane, ferite gravi, distruzione di edifici e di case”. “Non possiamo rimanere indifferenti, come il sacerdote e il levita nella parabola del Buon Samaritano – prosegue il presule -. La nostra solidarietà è doverosa. Lanciamo quindi un appello urgente e pressante a tutti i membri della nostra Chiesa perché si organizzino delle raccolte di solidarietà nelle parrocchie, nei movimenti ed anche a livello individuale”. Mons. Louis Portella Mbuyu spiega poi che i frutti delle collette verranno rimessi all’economato di ciascuna diocesi per essere poi inviati attraverso la Conferenza episcopale, alle autorità competenti che gestiscono la crisi. Parole di cordoglio e appello alla solidarietà sono stati pronunciati anche dall’arcivescovo di Brazzaville, monsignor Anatole Milandou: “Quando ci sono perdite in vite umane e materiali, la disperazione e un’immensa miseria entra nelle case di tutte le famiglie. Siamo addolorati anche perché non è la prima volta che viviamo tragedie nel nostro Paese. Ci dobbiamo interrogare su quanto è successo” ha detto in un’intervista alla ‘Semaine Africaine’. Un bilancio ancora provvisorio del disastro attesta che circa 200 persone sono morte, più di 1.300 sono rimaste ferite. Altrettanto difficile è la situazione sul fronte degli sfollati, stimati dal governo in almeno 5.000, invece del precedente bilancio di 3.000. L’agenzia Misna riferisce inoltre che nelle ultime ore sono arrivati medici stranieri, marocchini e francesi, e carichi di materiale medico in sostegno dei locali ospedali che ancora non riescono a fronteggiare l’emergenza sanitaria. Le operazioni di sminamento dell’area della caserma di Mpila che dovevano iniziare oggi, sono state rinviate per motivi di sicurezza. Le squadre di soccorso non hanno ancora potuto accedere all’area, dove è stato imposto il coprifuoco. Secondo alcuni esperti ci vorranno settimane per ripulire interi quartieri della capitale sparsi di munizioni proiettate nell’esplosione, in un raggio di almeno cinque chilometri. (M.G.)
Pakistan: il governo rende omaggio alla memoria di Shahbaz Bhatti
◊ Tutti vertici dello stato pakistano hanno aderito al convegno promossa da Paul Bhatti e All Pakistan Minorities Alliance (Apma), per onorare la memoria di Shahbaz Bhatti, ministro cattolico per le Minoranze assassinato dagli estremisti islamici il 2 marzo 2011. Fra gli esponenti del governo e delle istituzioni ha spiccato la presenza del primo Ministro Yusuf Raza Gilani, che ha rinnovato l'impegno dell'esecutivo a "garantire il benessere delle minoranze" e annunciato una serie di provvedimenti" al riguardo. "I quattro seggi riservati alle minoranze al Senato - ha aggiunto il premier citato dall'agenzia AsiaNews - e la quota del 5% negli uffici pubblici sono solo alcuni dei molti traguardi raggiunti da Shahbaz Bhatti a favore delle minoranze". In un messaggio inviato a Paul Bhatti e ai membri Apma, il presidente pakistano Asif Ali Zardari ha reso omaggio all'impegno di Shahbaz "alla causa degli emarginati e dei settori più indifesi della società, in particolare le minoranze". Il capo di Stato lo ricorda come "un uomo di grandissimo coraggio e convinzione personale" nel suo lavoro, tanto da "non cedere di fronte alle minacce" degli estremisti. "Rinnoviamo il proposito - ha anche aggiunto Zardari - di seguire i principi e le linee guida della nostra religione, della Costituzione e degli insegnamenti del nostro fondatore [Ali Jinnah] nell'assicurare protezione alle minoranze e agli emarginati". Anche Bilawal Bhutto Zardari, figlio di Benazir e presidente del Partito popolare pakistano (Ppp), ha ricordato Shahbaz sottolineando che "il sangue dei martiri e di quanti sono dediti alla creazione di un Pakistan tollerante, democratico e pluralista, che rispetta piuttosto che permettere l'assassinio delle sue minoranze, non scorrerà invano". Il 2 marzo scorso, in occasione del primo anniversario dalla morte del 42enne ministro per le Minoranze religiose, si sono tenute messe e veglie di preghiera a Faisalabad, nel villaggio natale di Khushpur (nel Punjab), a Lahore, nel Multan, a Karachi e in altre località. Nella capitale Islamabad, dove è morto per mano degli estremisti, il corpo crivellato da una trentina di colpi, si è tenuta la cerimonia conclusiva, con una fiaccolata che ha toccato la sua abitazione e il luogo in cui è avvenuto l'agguato mortale. In questi mesi gli inquirenti hanno cercato di insabbiare la vicenda, attribuendo il movente a dissapori familiari o a divergenze economiche. Ad oggi non si ha un identikit degli attentatori, anche se il gesto è stato fin da subito rivendicato da una fazione estremista pakistana. E nemmeno l'esecutivo, a dispetto dei proclami di facciata, ha esercitato serie pressioni perché la magistratura individuasse i veri assassini. (M.G.)
Nel mondo 40 milioni di bambine non vanno a scuola; 500 milioni di donne sono analfabete
◊ In occasione della prossima Giornata Internazionale della Donna, i missionari salesiani hanno voluto mettere in evidenza l’importanza della scolarizzazione delle donne, sostenendo che “educare una donna equivale ad educare un popolo”. Secondo l’ultimo rapporto di Misiones Salesianas, in tutto il mondo, oltre 40 milioni di bambine non frequentano la scuola e 500 milioni di donne sono analfabete. Ne consegue, aggiungono i missionari, che le donne che non sanno né leggere né scrivere ignorano i propri diritti e non possono prendere parte alle decisioni delle loro comunità. In Kenya, ad esempio, se le donne impegnate nei campi ricevessero la stessa istruzione degli uomini, i raccolti aumenterebbero del 22%. E se in America del Sud venisse eliminata la disparità di genere nel mercato del lavoro, il prodotto nazionale aumenterebbe di oltre il 5%. Tuttavia, non occorre andare troppo lontano per avere prove delle differenze tra uomini e donne. Ad esempio, se in Europa entrambi prendessero gli stessi stipendi, il prodotto interno lordo aumenterebbe del 13%. Di fronte a questa situazione, i missionari salesiani chiedono ai governi e agli organismi internazionali di coinvolgere maggiormente le donne, come previsto dagli accordi del 2000 in risposta all’Obiettivo di Sviluppo del Millennio di “promuovere l’uguaglianza di gerere”. (R.P.)
Consiglio d'Europa: i vescovi chiedono di porre la verità dell'uomo al centro della politica
◊ Promuovere il dialogo tra fede è ragione e fornire una testimonianza della carità che diventa anche segno della presenza di Dio. Questo è l’intento della missione - in corso dal 5 all’8 marzo - di nove Conferenze episcopali del Sud-Est Europa che si sono recate a Strasburgo per incontrare alcuni responsabili del Consiglio d’Europa con i quali stanno discutendo di democrazia, diritti dell’uomo, della dimensione religiosa del dialogo interculturale, nonché delle ultime sentenze presso la Corte europea, specialmente quelle legate alla religione e alla Chiesa. A spiegare all'agenzia Sir le ragioni che hanno spinto i presidenti delle Conferenze episcopali di Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Cipro, Grecia, Moldavia, Romania, la Conferenza episcopale internazionale Santi Cirillo e Metodio e la Turchia, è padre Duarte da Cunha, segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee). “Il Consiglio d’Europa - sottolinea padre da Cunha - fa parte di quelle realtà nate nel dopoguerra che volevano essere promotrici della pace e della giustizia”. Rispetto dunque alla difesa dei diritti umani e di alcuni valori fondamentali, “la nascita del Consiglio d’Europa - prosegue il segretario generale del Ccee - è stata senza dubbio un passo importante”. La domanda a cui stanno cercando di dare una risposta i vescovi europei presenti a Strasburgo è “Come fare per promuovere la verità dell’uomo e della donna, la vera ecologia umana che i Papi, da anni, invitano a porre al centro dell’attività politica?”. Padre da Cunha sottolinea come i diritti dell’uomo, lo Stato di diritto e la democrazia siano “valori che sono considerati comuni e trascendenti ad ogni cultura. Ma quali sono - domanda - i fondamenti di questi valori? Per noi - aggiunge - è impossibile parlare di valori senza un riferimento alla dignità dell’uomo e quindi al Creatore e alla natura da lui creata. Esiste, quindi, anche una prospettiva culturale che ci obbliga ad essere qui presenti, attenti e propositivi”. Da qui la necessità per la Chiesa di entrare anche nei contesti istituzionali europei. “La questione - spiega padre da Cunha - è molto politica, ma è ancora prima culturale, perché riguarda il significato della vita personale e sociale, e quindi ai fondamenti della convivenza umana. E qui, come Chiesa, siamo, sicuramente coinvolti”. Ed aggiunge: “Qui si definiscono linee e quindi si fa cultura e modo di pensare che dopo diventa legge e proposta educativa per tutti i giovani. Se per noi è evidente che le nostre idee non sono relative, ma sono certe e nascono dalla luce dello Spirito di Dio, allora, siamo obbligati ad essere protagonisti. Spero che questi giorni possano essere utili per questo lavoro”. Momento particolarmente importante per i presidenti delle Conferenze episcopali sarà oggi la Messa per l’Europa che si celebrerà alle 18.30 nella cattedrale della città. La cerimonia sarà celebrata dall’arcivescovo, mons. Jean-Pierre Grallet, e sono invitate numerose persone impegnate nelle istituzioni europee: eurodeputati, ambasciatori e funzionali del Consiglio d’Europa, giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo e anche membri di comunità e organismi ecclesiali che partecipano al cammino europeo. (M.G.)
Regno Unito: lettera dei vescovi sul matrimonio tra persone dello stesso sesso
◊ Il matrimonio tra un uomo e una donna rimane il fondamento della società e ogni proposito di estendere questo concetto a unioni tra persone dello stesso sesso comporta un passo profondamente radicale: questo è in sintesi il contenuto del messaggio, indirizzato ai cinque milioni di cattolici della Chiesa d’Inghilterra e del Galles, firmato da monsignor Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster e presidente della Conferenza episcopale d’Inghilterra e del Galles, e da monsignor Peter Smith, arcivescovo di Southwark. L’edizione di ieri di «Mail online» anticipa i punti essenziali della lettera dei due presuli che verrà letta ai fedeli durante le prossime messe domenicali. Nell’articolo - riporta L'Osservatore Romano - si sottolinea che il messaggio arriva all’indomani delle dichiarazioni di un portavoce di Dowing Street in cui si ribadisce che il primo ministro britannico David Cameron resta favorevole a legalizzare le nozze tra omosessuali. Nelle dichiarazioni viene sottolineato che «il Governo ha messo in chiaro il suo impegno per l’uguaglianza. Pensiamo che la gente debba avere il diritto a un matrimonio civile a prescindere dal loro orientamento sessuale». Sulla questione nei giorni scorsi era già arrivata la ferma presa di posizione dell’episcopato attraverso un articolo pubblicato, il 4 marzo, dal «The Sunday Telegraph» e firmato dal cardinale Keith Michael Patrick O’Brien, arcivescovo di Saint Andrews and Edinburgh e presidente della Conferenza episcopale della Scozia. Nell’articolo il porporato ha sottolineato che «un matrimonio tra omosessuali sarebbe uno sconvolgimento radicale di un diritto umano universalmente accettato». L’annuncio di David Cameron di preparare una «rivoluzione» nel campo del diritto familiare, cioè che «entro il 2015» lo Stato del Regno Unito riconoscerà il matrimonio tra omosessuali, ha provocato forti reazioni da parte di molti leader religiosi, non solo cattolici. L’ex arcivescovo di Canterbury, Lord George Carey, si è opposto alla decisione del premier lanciando la «Coalition for Marriage», che ha già raccolto decine di migliaia di firme di semplici cittadini ma anche di vescovi, esponenti politici ed altri noti personaggi. Per Lord George Carey, il matrimonio fra omosessuali è un «vandalismo culturale». Anche l’arcivescovo anglicano di York, John Sentamu, si è dichiarato contro le aperture del premier inglese alla legalizzazione del matrimonio omosessuale perché «il matrimonio deve rimanere un’unione tra un uomo e una donna». (I.P.)
Sud Sudan: nelle Montagne Nuba, crimini contro l’umanità come in Darfur
◊ Nella Montagne Nuba si stanno commettendo lo stesso genere di crimini contro l’umanità riscontrati nel Darfur. Lo ha affermato a Juba, capitale del Sud Sudan, Makesh Kapila, ex capo dell’Undp (Programma Onu di Sviluppo) in Sudan, che ha guidato una delegazione di Aegis (una Ong britannica che si occupa di prevenire in crimini contro l’umanità) che ha visitato il campo di rifugiati di Yida, nello Stato di Unità (Sud Sudan) ed alcune aree delle Montagne Nuba. Il campo accoglie i rifugiati provenienti dalle Montagne Nuba, nel Sud Kordofan, lo Stato del Sudan, dove violenti combattimenti oppongono le truppe di Khartoum e quelle del Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese. Secondo Kapila nelle Montagne Nuba le truppe sudanesi stanno commettendo lo stesso genere di crimini contro i civili commessi nel Darfur (nell’ovest del Sudan), ma su una scala più vasta. Secondo il responsabile dell’Ong la guerra nella regione ha colpito 1,2 milioni di civili. Di questi 300.000 sono stati costretti alla fuga, mentre la produzione agricola locale è crollata ed è in grado di supplire solo al 25% dei bisogni della popolazione. Kapila ha lanciato un appello alla comunità internazionale perché intervenga a fermare il conflitto, imponendo una zona di non sorvolo agli aerei militari, ed ha invitato i Paesi che forniscono armi al Sudan di bloccare nuove forniture belliche all’esercito di Khartoum. Secondo Kapila le forze sudanesi usano armi ed equipaggiamenti provenienti da Iran, Cina, Ucraina, Russia e Stati Uniti. (R.P.)
Sud Sudan: la Caritas per gli immigrati al Nord che perderanno la cittadinanza
◊ Il destino di centinaia di migliaia di migranti sud-sudanesi presenti al Nord che tra un mese potrebbero diventare “stranieri”. È il tema principale dell’incontro internazionale di Caritas che si è aperto ieri a Juba e al quale partecipano delegati delle diocesi del Sud Sudan e del Sudan ma anche dirigenti di Caritas giunti da Stati Uniti, Italia, Francia, Belgio e altri paesi europei. Secondo Ilse Simma, una delle coordinatrici dell’incontro sentite dalla Misna, “le disposizioni che entreranno in vigore in Sudan il 9 aprile rischiano di spingere ad andar via buona parte dei 700.000 sud-sudanesi che vivono al Nord”. Circa 400.000 migranti sono già tornati al Sud nei mesi precedenti e successivi la proclamazione d’indipendenza del Sud Sudan del luglio scorso, rendendo ancora più complessa la ricostruzione di un Paese devastato da oltre 20 anni di guerra civile. Il governo di Khartoum non ha infatti concesso la cittadinanza ai migranti sud-sudanesi, chiedendo invece la presentazione di un certificato di residenza o di un permesso di soggiorno rilasciato per motivi di lavoro. Gabriel Manjeth, segretario generale di Caritas Sud Sudan, dice di sperare in un forte sostegno per una nuova organizzazione bisognosa dell’aiuto internazionale. “Il nostro obiettivo – sottolinea Manjeth – è avviare programmi in tutte e sette le diocesi del Sud Sudan: c’è il nodo dei migranti ma anche l’emergenza umanitaria in Sud Kordofan e Nilo Blu, due regioni di frontiera dalle quali continuano ad arrivare rifugiati”. (M.G.)
India: la Caritas per lo sviluppo ed i diritti delle donne
◊ Emancipazione femminile, garantendo alle donne diritti e sviluppo in campo sociale, economico e politico; servizio a poveri ed emarginati come dalit, fuoricasta e indigeni; programmi nel campo dell’agricoltura; lotta alla corruzione; opera di formazione del coscienze a valori come trasparenza e giustizia; difesa dell’ambiente: sono i principali campi di impegno della Caritas India, la principale Ong indiana, che nel 2012 celebra i 50 anni dalla sua fondazione. In una convention tenutasi nei giorni scorsi a Bhopal, in Madhya Pradesh, autorità civili, politiche e religiose hanno elogiato i risultati e il lavoro dell’organizzazione, espressione della attenzione della Chiesa cattolica indiana al servizio degli ultimi e degli emarginati. Caritas India, fondata nel 1962, lavora con oltre 300 organizzazioni partner in tutti gli Stati del Paese. Ha realizzato finora 22.551 progetti per una spesa complessiva di oltre 14 miliardi di rupie in programmi di aiuto umanitario, sviluppo e cooperazione. Mons. Leo Cornelio, arcivescovo di Bhopal, ha rimarcato che “l’India, dato il crescente numero di poeti, ha bisogno di organizzazioni come la Caritas, che traduce i valori cristiani nell’azione sociale”. Fra le ultime opere, Caritas India ha costruito 14.000 case per le comunità colpite dallo tsunami, 12.000 case per le vittime del terremoto del Gujarat e ha fornito sollievo alle persone colpite da tutte le grandi calamità naturali che hanno colpito il Paese. Caritas India ha contribuito ad aumentare la consapevolezza delle comunità emarginate, aiutandole far valere i propri diritti politici, economici e sociali. In Madhya Pradesh, 350mila famiglie hanno beneficiato dell’aiuto Caritas. Numerose donne che hanno beneficiato dei programmi Caritas, sono state elette nelle amministrazioni locali di villaggi e città. (R.P.)
Argentina: intervento dei vescovi sulla questione mineraria
◊ I vescovi del Noa (nord-ovest dell'Argentina) hanno chiesto “un dialogo credibile e onesto" fra le istituzioni politiche e sociali, in modo particolare, sulle questioni legate all’industria mineraria della zona. I vescovi del Noa si sono riuniti nella città di Santa Maria nella regione di Catamarca, della prelatura di Cafayate, Argentina, per discutere le proposte per celebrare nella regione l’Anno della Fede e i temi che riguardano la Missione Continentale, fra cui la salvaguarda del Creato, la catechesi, la famiglia e i giovani. "L'impegno per l'ecologia umana e l'ambiente è una responsabilità di ogni cristiano", dice il documento finale dell’assemblea, inviato all’agenzia Fides. "La dignità della persona, la necessità di preservare la creazione, la nostra casa comune, e le risorse e la vita delle persone, ci spingono a dare il nostro parere sui problemi relativi a investimenti nel settore minerario, petrolifero e agro-alimentare". In questo senso, i vescovi considerano che si deve cercare "la verità oggettiva da chi ha le conoscenze tecniche e scientifiche sul tema, e non essere coinvolti con le parti interessate." Allo stesso modo, il testo afferma che "le istituzioni politiche e sociali devono dialogare e discutere su tutto ciò che questo comporta, in modo sincero e onesto". Al termine del messaggio i vescovi hanno espresso la loro "vicinanza a tutti i fratelli, in particolare ai più vulnerabili e a quelli che lavorano per la pace con giustizia e rettitudine di cuore". Nell’area permangono forte tensioni fra la popolazione e le diverse compagnie che gestiscono le aziende minerarie perché, il personale e i fornitori da queste impiegati non sono persone e fornitori locali e quindi, la produzione mineraria non favorisce lo sviluppo della regione, afflitta da alti tassi di disoccupazione e di povertà. (R.P.)
Irlanda: festa di San Patrizio alla luce del 50° Congresso Eucaristico internazionale di Dublino
◊ I fedeli irlandesi sono invitati a celebrare la prossima festa nazionale di San Patrizio con lo sguardo rivolto al 50° Congresso Eucaristico internazionale di Dublino. Per il 17 marzo, infatti - riferisce l’agenzia Cns - il Comitato organizzatore ha lanciato l’iniziativa “Ring for Renewal” (“Suona per il rinnovamento”): tutte le chiese e cattedrali dell’isola suoneranno le loro campane a distesa per due minuti, a mezzogiorno e di nuovo alle sei del pomeriggio, come atto simbolico di rinnovamento e per invitare i fedeli a prepararsi all’appuntamento di giugno. In particolare, spiega il segretario generale del Congresso padre Kevin Doran, l’iniziativa vuole essere un invito a una pausa di riflessione su come “rinnovarsi sul piano personale e come membri della Chiesa in preparazione al Congresso”. Il grande evento ecclesiale internazionale, che avrà luogo dal 10 al 17 giugno sul tema “L’Eucaristia: Comunione con Cristo e tra di noi”, assume un significato particolare per la Chiesa in Irlanda: come più volte evidenziato dai vescovi irlandesi in questi mesi, esso sarà infatti una tappa importante di quel processo di penitenza e rinnovamento della Chiesa locale auspicata dal Santo Padre dopo la grave crisi degli abusi sessuali. Uno dei simboli scelti per il Congresso è proprio la campana. Dal 17 marzo dell’anno scorso una campana donata dalle suore domenicane di Cabra è in pellegrinaggio nelle 26 diocesi irlandesi. Si calcola che più di un milione di persone hanno dato un tocco alla campana. Il programma del Congresso Eucaristico di Dublino prevede, ogni giorno, nella sede principale della Royal Dublin Society, l’approfondimento di un tema specifico, come battesimo, matrimonio, famiglia, ministero sacerdotale e laicale, giustizia e riconciliazione, povertà ed emarginazione. L’evento si concluderà con la "Statio Orbis" a cui parteciperanno i delegati di tutte le Chiese del mondo presenti a Dublino, a Croke Park dove si prevedono 80mila presenze. (L.Z.)
Terra Santa: mons. Sabbah esorta i cristiani ad una testimonianza più forte nella vita civile
◊ “E’ nostro primo dovere quello di rimanere inseriti nella nostra realtà, di reagire, di intervenire per accettare o criticare la situazione, senza paura ma con lucidità, apportandovi tutta la nostra appartenenza religiosa, culturale e nazionale”: lo ha detto il patriarca latino di Gerusalemme emerito Michel Sabbah durante una conferenza tenuta la settimana scorsa a Nazaret. Sul tema “Le sfide della presenza cristiana in Israele oggi”, come si legge sul sito , è stata organizzata dal Family Club St. Antonius della parrocchia maronita. Il patriarca Sabbah ha introdotto la sua conferenza interpellando ciascuno: “Molti parlano e scrivono riguardo ai cristiani arabi in Medio Oriente: le Chiese, l’Occidente, Israele, i Paesi Arabi – ha osservato –. Ma noi, noi sappiamo esattamente ciò che siamo, ciò che vogliamo, ciò che possiamo e dobbiamo fare?”. Quindi ha aggiunto: “Una nota dominante della nostra realtà è che il cristiano in Medio Oriente ha paura dell’avvenire”. Da qui l’invito a ciascuno ad esaminare le proprie “reazioni di fronte agli avvenimenti della Primavera araba” e a riflettere sul contributo che i cristiani, possono apportare. Come quello della carità nei suoi diversi aspetti sociali: l’accettazione della diversità dell’altro e la cooperazione tra cristiani e con l’altro. Mons. Sabbah ha poi insistito sulla necessità oggi in Medio Oriente e in Israele, di un nuovo modello di presenza cristiana e dunque di una nuova formazione ed educazione, di un nuovo stile di vita e di approccio ai problemi. Nuovo modello di presenza cristiana che deve essere al centro della nuova evangelizzazione. (T.C.)
Betlemme: sportelli di segretariato sociale sul modello delle Acli
◊ Quindici ragazzi palestinesi hanno ricevuto nella Casa della Pace di Betlemme, il diploma di operatore sociale, dopo un corso durato 6 mesi, tenuto da docenti dell’Università di Betlemme ed esperti in diritto del lavoro, sistema previdenziale, assicurazioni e risarcimenti. I titoli di studio abilitano i giovani a prestare servizio nei primi sportelli di segretariato sociale in Terra Santa, sul modello associativo e dei servizi delle Acli. Il corso di formazione per operatori sociali è stato promosso dalle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani con la Fondazione Giovanni Paolo II, nell’ambito delle attività del Centro di formazione professionale inaugurato a Betlemme il 1° maggio del 2010. Lo scopo far acquisire ai giovani competenza per dialogare con istituzioni locali e altre organizzazioni, per offrire consulenza a quanti necessitano di sostegno e aiuti riguardo a questioni sociali, professionali, culturali e giuridiche legate al lavoro. Alla cerimonia di consegna dei diplomi hanno partecipato autorità locali e diplomatiche, una delegazione della Fondazione Giovanni Paolo II, il presidente nazionale delle Acli Andrea Olivero, il vicepresidente del Senato della Repubblica italiana Vannino Chiti. Gli sportelli di segretariato sociale che a breve apriranno, saranno aperti al pubblico nei 6 municipi del territorio di Betlemme, offriranno soprattutto aiuto e consulenza in materia previdenziale, di welfare e legislazione sul lavoro, metteranno in contatto domande e offerte di lavoro fornendo delucidazioni e assistenza sulla modulistica. (T.C.)
Canada: il 500° numero della più antica rivista cattolica del Paese
◊ A febbraio il “Messaggero del Sacro Cuore” (Canadian Messenger of the Sacred Heart), la più antica rivista cattolica canadese, ha festeggiato l’uscita del suo 500.mo numero. Nato nel 1891 e diretto dai Gesuiti – riferisce il Servizio Stampa della Curia Generalizia - vive senza pubblicità e non beneficia di alcuna sovvenzione, neanche dalla Compagnia di Gesù. Dal 1968 pubblica anche negli Stati Uniti. A dirigerlo da ben 46 anni è il padre gesuita Frederick Power nominato direttore della rivista nel 1966. "Continuiamo ad esistere mantenendo i costi bassi grazie agli abbonamenti e donazioni", ha detto il sacerdote che il prossimo mese di maggio compirà 88 anni, ma ha dichiarato di non prevedere di lasciare la rivista pubblicata ininterrottamente da 121 anni. Il segreto della sua longevità – come disse nel 1990 in occasione del centenario mons. Thomas Fulton risiede in una formula collaudata: “Il Messaggero – aveva affermato l’allora vescovo di St. Catharines - parla alle persone, con un linguaggio comprensibile, di questioni rilevanti per la loro vita in un contesto di fede e devozione. In termini odierni, è un notevole strumento di evangelizzazione e comunicazione sociale". L’arrivo di internet ha sicuramente rappresentato una sfida per il periodico che non ha tuttavia spaventato padre Power il quale ha lanciato il sito www.sacredheartcanada.ca incoraggiando i collaboratori ad accogliere positivamente le nuove tecnologie dell’informazione. (L.Z.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 67