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Sommario del 31/07/2012
Domani, a Castel Gandolfo, riprendono le udienze generali del Papa sulla preghiera
◊ Riprendono domani, a Castel Gandolfo, le tradizionali udienze generali del mercoledì, sospese dopo il 27 giugno. Benedetto XVI continua il ciclo di catechesi sulla preghiera, iniziato il 4 maggio dell’anno scorso. Ripercorriamo alcune riflessioni del Papa su questo tema nelle passate udienze generali. Il servizio di Debora Donnini:
Giacobbe l’uomo che ha sottratto la primogenitura al fratello Esaù e strappato con l’inganno la benedizione al padre, si trova al guado del fiume Yabboq e lotta nella notte con uno sconosciuto che lo renderà zoppo e gli darà un nuovo nome: Israele. Solo quando quel “qualcuno” sarà sparito, Giacobbe potrà dire di aver lottato con Dio. In quest’episodio, spiega Benedetto XVI, la Chiesa ha sempre letto il “simbolo della preghiera come combattimento della fede e vittoria della perseveranza”:
“Il testo biblico ci parla della lunga notte della ricerca di Dio, della lotta per conoscerne il nome e vederne il volto; è la notte della preghiera che con tenacia e perseveranza chiede a Dio la benedizione e un nome nuovo, una nuova realtà frutto di conversione e di perdono”. (Udienza generale, 25 maggio 2011)
Nel suo excursus sulla preghiera, il Papa riflette sul bisogno di pregare che ha sempre caratterizzato l’uomo e nota che nelle antiche culture praticamente sempre ci si sia rivolti a Dio. Nell’antica Grecia, rileva, si assiste ad un’evoluzione: “le preghiere, pur continuando a invocare l’aiuto divino per ottenere il favore celeste in tutte le circostanze della vita quotidiana …si orientano progressivamente verso le richieste più disinteressate, che consentono all’uomo credente di approfondire il suo rapporto con Dio”:
“L’uomo di tutti i tempi prega perché non può fare a meno di chiedersi quale sia il senso della sua esistenza, che rimane oscuro e sconfortante, se non viene messo in rapporto con il mistero di Dio e del suo disegno sul mondo. La vita umana è un intreccio di bene e male, di sofferenza immeritata e di gioia e bellezza, che spontaneamente e irresistibilmente ci spinge a chiedere a Dio quella luce e quella forza interiori che ci soccorrano sulla terra e dischiudano una speranza che vada oltre i confini della morte”. (Udienza generale, 4 maggio 2011).
L’uomo, infatti, porta nel suo cuore “una nostalgia di eternità”, “un desiderio di amore”, “porta in sé il desiderio di Dio”, sottolinea Benedetto XVI. Per un cristiano la preghiera, aveva ricordato già all’Angelus del 4 marzo 2007, non è evasione dalla realtà ma assunzione delle responsabilità confidando nell’amore fedele di Dio. La preghiera non è “un optional, ma è questione di vita o di morte” perché solo “chi si affida a Dio con amore filiale, può entrare nella vita eterna, che è Dio stesso”. Centrale nella preghiera è, poi, l’esperienza di Dio non solo come Creatore ma anche come Padre. Ed è “lo Spirito di Cristo” che ci apre alla dimensione della paternità di Dio, una realtà fondamentale che ci viene dischiusa quando ci apriamo allo Spirito Santo “ed Egli ci fa rivolgere a Dio dicendogli Abba!, Padre”. La preghiera, dunque, ci permette di entrare nelle sofferenze con una forza diversa:
“La risposta di Dio Padre al Figlio e alle sue forti grida e lacrime non è stata la liberazione immediata dalle sofferenze, dalla croce, dalla morte, ma era un esaudimento molto più grande, una risposta molto più profonda. Attraverso la croce e la morte, Dio ha risposto con la Risurrezione del Figlio, con la nuova vita. La preghiera animata dallo Spirito Santo porta anche noi a vivere ogni giorno il cammino della vita con le sue prove e sofferenze, nella piena speranza e fiducia in Dio che risponde come ha risposto al Figlio”. (Udienza generale, 16 maggio 2012).
La preghiera è, dunque, possibilità di conversione, di seguire la volontà di Dio e di entrare in comunione non solo con il Padre ma con tutti i figli di Dio. E ancora di più la preghiera dischiude i confini del mondo:
“Maria ci insegna la necessità della preghiera e ci indica come solo con un legame costante, intimo, pieno di amore con suo Figlio, possiamo uscire dalla ‘nostra casa’ con coraggio, per raggiungere i confini del mondo e annunciare ovunque il Signore Gesù, Salvatore del mondo”. (Udienza generale, 14 marzo 2012).
◊ Il Papa ha ricevuto in udienza mons. Antoni Stankiewicz, Vescovo tit. di Novapietra, Decano del Tribunale della Rota Romana.
In Germania, il Papa ha accettato la rinuncia all’ufficio di Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di München und Freising, presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Engelbert Siebler, in conformità ai canoni 411 e 401 §1 del Codice di Diritto Canonico.
Negli Usa, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Erie, presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Donald W. Trautman, in conformità al can. 401 §1 del Codice di Diritto Canonico. Il Papa ha nominato Vescovo di Erie Mons. Lawrence T. Persico, del clero della diocesi di Greensburg, finora Vicario Generale e Parroco della “Saint James Parish” a New Alexandria.
Congresso dell’Istituto Paolo VI a Nairobi: sempre viva l’eredità di Papa Montini in Africa
◊ Si apre domani a Nairobi, in Kenya, il Congresso “Paolo VI e la Chiesa in Africa” organizzato dall’Istituto Paolo VI assieme all’Università of Eastern Africa di Nairobi. L’incontro che vede la partecipazione di numerosi porporati, presuli e studiosi africani si soffermerà, per due giorni, sull’eredità del Magistero di Papa Montini per la Chiesa africana. Sul tema dell’evento, Alessandro Gisotti ha intervistato il prof. Eugenio De Caro, coordinatore per l’Istituto Paolo VI del Congresso di Nairobi:
R. - Abbiamo visto che qui c’è un vero e proprio culto di Papa Paolo VI, che è il “loro” Papa. E’ il primo Pontefice che ha messo piede in terra d’Africa e lo ha fatto con tanto entusiasmo, tra l’altro sulla scia di un viaggio che aveva già fatto in precedenza - e questo è meno noto - nel 1962. L’allora cardinale arcivescovo di Milano aveva visitato delle missioni e da quel momento aveva cominciato ad innamorarsi dell’Africa. Quindi è un Papa che ha visto una prospettiva di sviluppo del modo in cui viene interpretato il Vangelo e di come l’inculturazione della fede si può attuare, secondo proprio una nuova dimensione epocale. Quindi per loro Paolo VI è un inizio!
D. - All’evento di Nairobi parteciperanno numerose personalità eminenti della Chiesa africana. Quale il contributo più forte del Magistero di Paolo VI all'Africa?
R. - Noi faremo il punto su quattro filoni che sono stati aperti dal Magistero di Papa Paolo VI: il primo è il fondamento teologico dell’attività missionaria; il secondo, l’inculturazione della fede, che Paolo VI aveva visto determinarsi e realizzarsi qui in Africa già negli anni Sessanta con uno spirito del tutto nuovo, con delle nuove forze vive e culturali che incarnavano il Vangelo; il terzo è la responsabilità della Chiesa verso la società per promuovere pace e giustizia; e il quarto è la prospettiva dell’educazione e della famiglia.
D. - Quali frutti si potranno raccogliere da questo Congresso?
R. - Anzitutto noi abbiamo stimolato una riflessione: ci sono, infatti, delle importanti relazioni da parte dei più eminenti studiosi e rappresentanti della Chiesa e delle Conferenze episcopali africane, che hanno riflettuto su quanto ha detto Paolo VI e porteranno le loro relazioni. Ovviamente pubblicheremo degli Atti che saranno anche arricchiti da documenti e potranno avere una grande distribuzione. Questo è un punto di partenza, ma siamo anche qui a proporre degli studi di dottorato su Paolo VI, perché vengano all’Istituto Paolo VI per poter approfondire anche specificamente il Magistero di Papa Montini. Un’ultima nota: la settimana scorsa è mancato il nostro presidente - il dottor Giuseppe Camadini - e lui aveva voluto tantissimo questo Convegno, quando mi chiese di organizzarlo lo scorso autunno. Noi vorremmo che questo fosse il suo ultimo desiderio che si realizza e che pianta i germi del Vangelo anche in terra africana, portando avanti quello che è stato il messaggio di Paolo VI e del Concilio Vaticano II.
Padre Lombardi a Boston: il servizio alla fede è la missione della Compagnia di Gesù
◊ La missione della Compagnia di Gesù come “servizio alla fede” è al centro dell’intervento di oggi di padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, del Centro televisivo vaticano e della nostra emittente, al Colloquio internazionale sull’educazione secondaria dei Gesuiti in corso a Boston, negli Stati Uniti. Il suo intervento avviene proprio nel giorno in cui la Chiesa celebra Sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti. Il servizio di Roberta Barbi:
Servire la fede: una missione che si è arricchita nel tempo di connotazioni nuove, come la necessità di combattere la secolarizzazione nel mondo occidentale e di promuovere la giustizia del Regno annunciato da Cristo. Così, padre Federico Lombardi affronta il tema della missione della Compagnia di Gesù, che è naturalmente parte di quella della Chiesa. Fondamentale, quindi, ricordare le prospettive principali indicate dal Papa, partendo dalla nuova evangelizzazione a cui è dedicato il prossimo Sinodo dei vescovi in programma a ottobre a Roma e l’Anno della Fede, per tornare ad annunciare il Vangelo in un mondo che non lo riconosce più o non lo ha ancora conosciuto. Benedetto XVI, prosegue padre Lombardi, parla anche di emergenza educativa e della necessità di formare le nuove generazioni con un sano equilibrio tra libertà e disciplina; l’educazione, inoltre, rappresenta l’arma vincente contro lo scetticismo e il relativismo imperante nella nostra cultura. Una cultura anche fortemente interrogata dal rapporto tra Fede e Ragione: amiche e alleate, non avversarie, a patto che la ragione riconosca la necessità della fede e non perda il senso dei limiti dell’uomo.
Padre Lombardi ricorda poi uno dei momenti più belli vissuti accanto al Santo Padre: il colloquio con gli astronauti nella Stazione Spaziale Internazionale in orbita intorno alla Terra l’anno scorso. Nei 15 minuti a disposizione, Benedetto XVI non pronunciò alcun discorso, ma fece domande su come vedevano dall’alto il pianeta, con tutte le sue guerre, le sue bellezze e le sue fragilità, sulla possibilità della scienza di tutelare l’ambiente, di servire la pace e contribuire al bene delle future generazioni, sullo sguardo dell’uomo che si eleva verso l’immensità dell’infinito, ammira la Bellezza e diventa preghiera. Infine padre Lombardi ripercorre la tradizione educativa della Compagnia di Gesù, con un’attenzione a proiettarsi nel futuro della comunicazione digitale: uno strumento non da rifiutare, ma da conoscere e valorizzare, riducendone i rischi, primo tra tutti quello di confondere la mera connessione con la comunione, l’amicizia vera e la solidarietà diffusa.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ La grandezza del credere: in prima pagina, l’arcivescovo Rino Fisichella sull’Anno della fede, che sarà aperto l’11 ottobre con una solenne celebrazione presieduta, in piazza San Pietro, da Benedetto XVI.
Svolta a favore dell’euro: in rilievo, nell’informazione vaticana, l’apertura di Berlino all’acquisto dei titoli di Stato da parte della Bce.
Narrami, o Clio, la Biblioteca Vaticana: in cultura, Paolo Vian sulle storie delle raccolte librarie.
L’autonomia dell’Osservatore Romano: Vicente Cárcel Ortí sul cardinale Eugenio Pacelli e la ricostruzione storica delle posizioni della Santa Sede durante la guerra civile in Spagna.
E’ morto Raffaele Alessandrini, da 30 anni giornalista dell’Osservatore Romano: il ricordo del direttore e un articolo di Giulia Galeotti dal titolo “Il calore di un uomo retto”.
Teologia fatta di pietra: Marco Agostini sul senso profondo dell’architettura sacra nelle città dell’“anello d’oro” di Roma e di Mosca.
Nell’informazione religiosa, un articolo sui vescovi svizzeri contro la folle logica dei mercati finanziari.
Siria: attacco dei ribelli ad un commissariato di Aleppo, 40 le vittime
◊ Anche oggi situazione di estrema violenza in Siria. Al centro degli scontri tra esercito e milizie dell’opposizione c’è sempre la città di Aleppo, dove stamani è finito in una strage l’attacco dei ribelli ad un posto di polizia: uccisi almeno 40 agenti. I miliziani controllano circa il 60% dell’abitato. Intanto, sul fronte diplomatico, fallito il piano di pace del mediatore Kofi Annan, partono altre iniziative. Serrati contatti ieri tra Stati Uniti e Turchia, affinché Ankara - secondo le richieste del presidente Obama - si adoperi per accelerare la transizione a Damasco. Sul ruolo che la Turchia può avere nella crisi siriana, Giancarlo La Vella ha intervistato Camille Eid, esperto di Medio Oriente del quotidiano "Avvenire":
R. – Sappiamo che il ruolo di Ankara è essenziale in ogni coalizione anti-Assad. Innanzitutto, per i lunghi confini tra la Turchia e la Siria e poi perché le zone controllate dai ribelli sono vicinissime a questo confine siro-turco e quindi eventuali aree di sicurezza saranno istituite proprio in quelle zone. Quindi, l’attacco contro il cuore del potere si giocherà a partire dalla Turchia, anche perché il Consiglio nazionale di transizione siriano ha come principale base all’estero la città di Istanbul. Anzi, sono molti che l’accusano di essere influenzato dai servizi di sicurezza o dai miliari turchi.
D. - Sono legittime le proteste della Siria che sta accusando i Paesi limitrofi di inserirsi in una situazione che, secondo Damasco, rientra nella propria sovranità?
R. - E’ un’accusa infondata, in quanto la stessa Siria, quando era potente, è sempre intervenuta negli affari interni dell’Iraq, del Libano, della Turchia, della Giordania, e non si è mai tirata indietro. Adesso è chiaro che questi Paesi, dalla loro, si proteggono, ma la mia impressione è che essi, almeno la Giordania e il Libano, hanno cercato fino all’ultimo di tenersi alla larga da quanto stava e sta tuttora accadendo in Siria, limitandosi all’accoglienza dei profughi. Tuttavia, è chiaro che, loro malgrado, rimangono coinvolti. Sappiamo ad esempio che in Libano le tensioni tra alawiti e sunniti riflettono una guerra civile o confessionale in atto in Siria. Lo stesso vale per l’Iraq. Il governo centrale iracheno ha cercato di mandare le truppe al confine per limitare il flusso dei profughi ed è stato impedito dal governo autonomo turco. Quindi, quando un Paese vive un evento bellico, tutti i Paesi circostanti cercano in qualche maniera di proteggersi, ma non possono non risentire dell’impatto.
D. – Il Libano è uno dei Paesi storicamente sotto l’influenza siriana. Quali conseguenze ci possono essere per Beirut da questa situazione?
R. - Ultimamente un coinvolgimento viene paventato molto spesso. Speriamo che questo non avvenga. Il Libano cerca di fare del suo meglio, ma sappiamo che è ancora sotto l’influenza siriana, perché il governo attuale è molto vicino alla Siria, vi partecipano i filo siriani Hezbollah e anche partiti che sono considerati vicini ad Assad.
D. - Poi c’è Israele: sembra che lo Stato ebraico stia recitando un ruolo di secondo piano in una situazione che invece lo riguarda molto da vicino...
R. – Ultimamente Israele ha evidenziato il rischio che le armi chimiche o batteriologiche siriane siano trasferite a Hezbollah in Libano. Quindi, finché si tratta di un conflitto all’interno della Siria, Israele rimane a guardare, anzi forse gli conviene che il regime di Bashar al Assad continui a impegnarsi in questa guerra civile, perché questo indebolisce il governo centrale, ma alla fine Israele interviene quando invece questo conflitto supera i confini siriani per andare a minacciare la sicurezza di Paesi limitrofi, soprattutto la sua sicurezza.
Disoccupazione record nell’area Euro, salita a 11,2%. Al via il tour europeo di Mario Monti
◊ Giornata positiva per le Borse europee, tranne la piazza di Londra, nonostante la diffusione dei dati sulla disoccupazione, salita nell’Eurozona a livelli record. Intanto il presidente Usa Obama si è detto fiducioso sulla tenuta dell’Euro, mentre il premier italiano, Mario Monti inizia oggi un tour europeo che lo porterà a Parigi, Helsinki e Madrid. Il servizio è di Salvatore Sabatino:
La crisi impatta fortemente sul mercato del lavoro, facendo segnare ancora un record negativo. Nell’area Euro, secondo i dati Eurostat, la disoccupazione a giugno ha toccato l'11,2%, il livello più alto dal 1999, ovvero dalla creazione dell'Eurozona. Un segnale non certo rassicurante, nonostante si moltiplichino i messaggi di fiducia; questa notte il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, si è detto certo che non ci sarà “alcuna disfatta dell’Euro”, sottolineando, però, che "l’Europa ha bisogno di azioni decisive, ed in breve tempo". Il premier italiano Monti, invece, ha sottolineato che “la fine del tunnel è vicina”; dichiarazione giunta nel giorno in cui inizia un tour europeo che lo porterà a Parigi, Helsinki e Madrid. Un viaggio, spiega lo stesso presidente del Consiglio, che ha come obiettivo la messa in sicurezza dell'Euro e l’impulso alla crescita. Di certo si tratta di tour diplomatico che giunge in un momento particolarmente importante, come conferma l’economista Tito Boeri:
R. - Dopo le dichiarazioni di Draghi della scorsa settimana a questo punto si tratta di far sì che l’azione della Bce venga adeguatamente sostenuta dai governi nazionali e in questo senso il ruolo di Monti in questo momento è molto importante.
D. – A Helsinki, Monti dovrà convincere i finlandesi della necessità di pensare all’integrazione europea in modo più solidale. Un chiaro riferimento alla Grecia?
R. – Non solo la Grecia. I finlandesi si erano espressi contrariamente a qualsiasi azione della Banca centrale europea nell’acquisto dei titoli anche spagnoli e italiani. Qui l’asse è solidarietà da una parte e dall’altra cessione di sovranità. Quindi bisogna senz’altro convincere i finlandesi sul fatto che senza agire su questo piano, poi, le sorti dell’intera unione monetaria sono in pericolo e a quel punto anche Paesi forti come la Finlandia rischiano.
Spagna. L’arcivescovo di Oviedo: nonostante la crisi, non diminuisce la generosità della gente
◊ Nei Paesi europei, la crisi economica si trasforma in crisi sociale e chiama in causa l'azione pastorale della Chiesa. Al microfono di Fabio Colagrande, l’arcivescovo di Oviedo, mons. Jesús Sanz Montes, si sofferma sulla crisi economica e sociale in Spagna e racconta quanto sia difficile la situazione soprattutto nelle città:
R. – Vediamo innanzitutto dal nostro punto di vista, delle nostre istituzioni che cercano di andare incontro alle persone più danneggiate: le nostre realtà sono talmente "affollate" che quasi non riusciamo a portare un gesto, una parola. Le persone non sono cifre anonime, ma volti concreti che bussano alle nostre porte chiedendo un aiuto concreto.
D. – Quindi anche nella sua arcidiocesi di Oviedo, gli organismi caritativi sono impegnatissimi in queste settimane, in questi mesi…
R. - Più che mai! La generosità del nostro popolo, anche in un periodo di crisi così grande, non diminuisce. La generosità nell’impegno di dedicare il tempo delle persone, anzi, è cresciuta enormemente.
D. – Purtroppo, le previsioni non sono positive: il prestito fino a 100 miliardi approvato dall’Unione europea per salvare il sistema bancario spagnolo secondo alcuni potrebbe essere solo l’inizio…
R. - Un primo commento sarebbe la vulnerabilità del sistema, che vuol dire che ci sono interessi mondani che vogliono indebolire, ad esempio, una moneta, e vogliono anche indebolire la stabilità di uno Stato concreto come la Spagna o anche l’Italia.
D. – Dunque qual è lo stato d’animo della gente, dei fedeli?
R. – Estrema preoccupazione, soprattutto perché la disoccupazione cresce continuamente e non si riesce a fermare. Specialmente nel mondo dei giovani, dove non si riesce a iniziare un’esperienza lavorativa.
D. - Ci sono state già diverse proteste nelle piazze in Spagna. C’è il rischio davvero che le tensioni sociali a causa della crisi e dei tagli decisi si aggravino sempre di più?
R. – Speriamo che la gente possa reagire anche con legittime proteste, ma in un modo ragionevole. Quando si perdono anche i valori e si mettono in piazza certe manifestazioni, questo non aiuta.
D. – Qual è in questo momento la risposta della Chiesa di fronte a queste tensioni sociali?
R. - La prima risposta è un gesto di vicinanza solidale in nome della carità cristiana e dell’amore di Dio. Quello che Lui ha fatto con noi, noi cerchiamo di farlo con coloro che Lui ci ha affidato, con le nostre possibilità che non sono infinite, cerchiamo di aiutare, non soltanto sostenere la speranza, ma anche aiutare nel concreto.
D. – La Chiesa può avere in questo momento anche un ruolo educativo. Vediamo ormai un forte distacco, ad esempio, tra i cittadini e la politica. La Chiesa può fare qualcosa per questo?
R. – Le persone guardano alla Chiesa e alle nostre istituzioni caritative in un modo diverso, nel senso che non vedono in noi un interesse. Questa anche è una posizione educativa: quando noi richiamiamo alla generosità la gente, cerchiamo di risvegliare in essa questo atteggiamento. Abbiamo dovuto rispondere a tante necessità di violenze e di precarietà, qualcosa abbiamo imparato.
La Chiesa del Guatemala al fianco dei giovani per un riscatto umano e sociale
◊ Continua in Guatemala l’impegno delle istituzioni contro la povertà e la corruzione nella difesa della democrazia. Una sfida raccolta con particolare impegno dalla Chiesa locale che offre alla comunità e in particolare ai giovani segni di speranza con un impegno di carità sociale e di formazione spirituale. Altra grande sfida per la Chiesa guatemalteca è la presenza delle sette. Di provenienza statunitense, crescono nella società locale per la loro disponibilità economica e la forte, ma apparente, esperienza di comunità che offrono. Don Leonardo Biancalani, teologo, sacerdote italiano della diocesi di Massa Marittima-Piombino incaricato di svolgere un corso di aggiornamento per formatori e sacerdoti sulla “Morale sociale”, racconta al microfono di Luca Collodi la sua esperienza nel Paese latino-americano:
R. - La situazione è quella di un Paese che si vuole riscattare socialmente, ma anche quella di un Paese che manifesta un’estrema povertà, anche se - allo stesso tempo - manifesta un grande entusiasmo. Ho visto una Chiesa che vuole veramente riscattarsi e che vuole dare un segno forte di speranza, anche se permangono, però, delle tensioni visibili nel Paese e una povertà abbastanza evidente.
D. - Il ruolo della Chiesa del Guatemala come s’inserisce oggi in questo cammino di riscatto, di legalità, di rafforzamento della democrazia?
R. - La Chiesa guatemalteca, per quella che è appunto la mia esperienza personale, credo che stia facendo un lavoro di carità sociale molto importante così come di formazione dei sacerdoti: una formazione spirituale e una formazione liturgica, anche con l’uso mirato dei segni liturgici. C’è un’attenzione - sia per quanto riguarda la liturgia sia per quanto riguarda la carità - da parte della Chiesa guatemalteca molto importante e questo sono convinto che potrà permettere quest’opera forte nel corso degli anni per riportare la Chiesa in alto.
D. - Guardiamo anche ai giovani: i giovani del Guatemala rispetto all’esperienza di fede...
R. - E’ un Paese relativamente giovane. Voglio ricordare che sono appena 30 anni che è finita la guerra, una guerra veramente sanguinosa. E’ quindi un Paese giovane, dove i giovani chiedono alla Chiesa non soltanto l’allegria tipica dell’America Latina, ma chiedono soprattutto una presenza molto forte. C’è da parte dei giovani una voglia di stare insieme, anche se però si notano quelli che sono i segni di una guerra che è stata sanguinosa: da un certo punto di vista si vede, quindi, un certo di tipo di frazione. Chiaramente il fenomeno della disoccupazione, fenomeno certamente conseguente di altri problemi sociali, e la corruzione sono dei mali endemici. Stanno cercando ora di reagire con forza, ma si vede una certa fatica. Sono convinto che però non manchi la forza e non manchi la voglia da parte dei giovani, che sono poi il sale della società, per cercare di ricostruire e arrivare veramente ad un riscatto sociale.
D. - Altro tema che interessa non solo il Guatemala, ma tutta l’America è quello delle sette. Da questo punto di vista, la Chiesa come si sta muovendo?
R. - Il problema delle sette è evidentissimo: basta girare con la macchina per trovare qualsiasi tipo di cartello con una chiesa particolare, dai nomi più disparati. Io credo che questo sia un problema veramente drammatico, perché molti hanno perso - da questo punto di vista - la fede per aderire alle sette, anche perché sono sette di estrazione americana, che "conquista" in tutti i sensi: quindi sia da un punto di vista economico, sia da un punto di vista di una "apparente e forte comunità". Io credo che questa sarà una sfida per la Chiesa cattolica guatemalteca molto forte, anche perché le sette sono ramificate: ogni 300-400 metri ci si imbatte in una chiesa con un nome diverso. Sono molto forti i Testimoni di Geova, i Mormoni e anche altri vari tipi di sette particolari.
◊ Un protocollo d’intesa a sostegno della famiglia, sul fronte dei nuovi nati, dell’acquisto della casa e del sostegno allo studio dei figli. A siglarlo oggi a Roma il presidente dell’Associazione bancaria italiana, Giuseppe Mussari, e il ministro delegato alle Politiche per la famiglia, Andrea Riccardi, col sostegno e l’apporto di numerose associazioni di consumatori. Nella difficile attuale congiuntura economica, dicono i promotori, il pacchetto di misure vuole restituire fiducia nelle istituzioni e speranza alla famiglia. Il servizio di Gabriella Ceraso:
E’ un vero "percorso famiglia" quello pensato dall’Associazione bancaria italiana in collaborazione con il ministero e le associazioni dei consumatori. Un percorso che segue nelle diverse fasi della vita questo “pezzo di welfare” che è la famiglia, secondo il ministro Riccardi “poco supportato” e “oggi sotto stress” per la crisi. Il presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari:
“Rimettere a sistema le varie iniziative che ci sono, immaginando la famiglia come un soggetto fondamentale della sostenibilità sociale di questo Paese e nello stesso tempo guardarla nella sua evoluzione”.
La famiglia necessita di una rete di legami a partire da quello con il credito stretto e importante, siglato oggi. Il ministro Andrea Riccardi:
“Io direi che il sistema bancario ha la grande opportunità di configurarsi come alleato della società italiana e, mi permetto di dire, alleato della famiglia italiana che, ancora, in questo nostro Paese, resta il soggetto privilegiato, non solo per rispondere alla crisi ma anche un soggetto privilegiato nel quadro della ripresa”.
Si parte nel protocollo di intesa dalla proroga fino al 2014 del fondo di garanzia per l’accesso al credito di genitori con nuovi nati o bimbi adottati. Un prestito fino a 5mila euro da restituire entro 5 anni a tassi agevolati, senza limiti di reddito per genitori e aperto anche a immigrati se regolari. Un’iniziativa dal grande successo finora, come spiega il ministro Riccardi:
“Alla data di avvio del fondo, il primo gennaio 2010, le Banche hanno erogato prestiti a 26mila famiglie per un importo di 127 milioni di euro concessi da 141 banche in 20 regioni”.
In materia di casa il protocollo sancisce sia la proroga della sospensione dei mutui per le famiglie in difficoltà per un altro anno e probabilmente anche oltre, sia la revisione del regolamento per il fondo casa, relativo cioè a quei giovani che precari che vogliano accedere al mutuo. Una garanzia indispensabile oggi:
“Dobbiamo riposizionare la famiglia nel nuovo quadro della vita lavorativa e delle sfide antropologiche”.
Nel protocollo anche la discussione e la revisione del regolamento per l’accesso al fondo per il credito ai giovani, una sorta di prestito d’onore. Tutte istanze fondamentali come sottolinea Mara Colla, Confconsumatori-Parma:
“Queste cose costituiscono un beneficio per se stesse ma sono ancora più importanti perché mettono la famiglia nelle condizioni psicologiche di reggere a una difficoltà che dura da troppo tempo”.
Comitato nazionale di bioetica: l'obiezione di coscienza è un diritto costituzionalmente fondato
◊ L'obiezione di coscienza in bioetica “è costituzionalmente fondata” e va esercitata in modo sostenibile, prevedendo misure adeguate a garantire l'erogazione dei servizi, con attenzione a non discriminare né gli obiettori né i non obiettori". Lo afferma il Comitato nazionale di bioetica in un documento approvato, ieri, e accolto positivamente dal mondo pro-life. Il pronunciamento chiarisce che esercitare il diritto dell’obiezione non significa sabotare una legge, né può identificarsi con il diritto di resistenza o alla disobbedienza civile. Ma cosa vuol dire che l’obiezione di coscienza è costituzionalmente fondata? Paolo Ondarza lo ha chiesto a Luciano Eusebi, ordinario di diritto penale alla Cattolica di Milano:
R. - Vuol dire che non si tratta di un’infedeltà al diritto, perché si radica proprio sul desiderio di pieno rispetto dei diritti inviolabili sui quali si fonda l’impianto costituzionale.
D. - Quindi obiettare è un diritto, è un atto di testimonianza e non va inteso come uno strumento di lotta politica contro determinate leggi…
R. - No. L’obiettore si muove nell’ambito dell’impianto giuridico-costituzionale e l’obiezione, quando ha a che fare con la tutela dei diritti inviolabili, ha un fondamento costituzionale e può essere desunta dalla Costituzione anche rispetto a situazioni per le quali non è immediatamente prevista dalla legge.
D. - Il Comitato Nazionale di Bioetica afferma che l’obiezione di coscienza va esercitata in modo sostenibile: che cosa vuol dire questo? Come vanno reclutati i medici obiettori e quelli non obiettori?
R. - Questo è il punto più delicato sul quale vanno fatte delle precisazioni. Già il Parlamento Europeo affermava a fianco del diritto all’obiezione, l’invito agli Stati membri a rendere accessibili i servizi previsti dalla legge. Ma se questo vuole essere realizzato, non può essere realizzato facendo leva sull’obiettore, limitando cioè il diritto costituzionale all’obiezione, ma può essere realizzato sul piano organizzato: organizzando l’attività dei soggetti che sono disponibili a fornire una determinata prestazione e soprattutto questa sostenibilità non può incidere sul reclutamento comportando una discriminazione nell’accesso ai ruoli professionali.
D. - E’ quindi un pronunciamento in linea con le normative europee?
R. - Un pronunciamento in linea con la normativa europea, ma che ha bisogno di queste due precisazioni, molto chiare: la sostenibilità non può essere realizzata limitando il diritto dell’obiettore e tantomeno può essere realizzata discriminando nel reclutamento concorsuale circa i ruoli professionali.
D. - Possiamo dire che, però, definendo l’obiezione di coscienza un diritto, questo pronunciamento smonta un po’ quelle campagne secondo le quali "un buon medico non obietta"…
R. - Un buon medico è il medico che si pone problemi etici. Il medico obiettore è un buon medico, si pone problemi etici e non a caso il Codice di Deontologia medica e il Codice Deontologico delle altre professioni sanitarie prevedono non solo la possibilità dell’obiezione di coscienza, ma la stessa clausola di coscienza come elemento caratterizzante dell’esercizio della professione sanitaria.
D. – Che valore ha questo pronunciamento?
R. - I pronunciamenti del Comitato Nazionale per la Bioetica non sono legislazione, ma certamente hanno un impatto di autorevolezza molto importante e comunque hanno anche un significato sul piano interpretativo.
Un centro innovativo di terapia neonatale: l'iniziativa in sinergia del Gemelli e del Bambino Gesù
◊ È stato presentato, questa mattina, presso il Policlinico Gemelli di Roma il nuovo Centro “Exit” – “ex utero intrapartum therapy”, terapia durante il parto, nato dalla collaborazione tra il Gemelli e l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. Presenti, tra gli altri. il prof. Maurizio Guizzardi, direttore del Policlinico, e il prof. Giuseppe Profiti, direttore del polo pediatrico romano. Il servizio di Eliana Astorri:
Si tratta di una tecnica di chirurgia che interviene sul feto fra il momento del parto e la separazione del neonato dalla madre. Protraendo il tempo che intercorre tra la nascita e il taglio del cordone ombelicale, i medici assicurano al bambino la circolazione sanguigna e l’ossigenazione attraverso la madre. Questo consente loro di intervenire su quelle anomalie fetali che andrebbero a compromettere la rianimazione del neonato in sala parto, come nel caso di lesioni toraciche, gravi lesioni polmonari, cardiopatie o tumori. In questa fase, i medici hanno a loro disposizione il tempo necessario per eseguire, ad esempio, il posizionamento di cateteri endovenosi oppure effettuare una broncoscopia oppure la resezione chirurgica di masse tumorali: questa tecnica, in sostanza, può salvare i neonati a rischio da disabilità di tipo neurologico o da morte certa.
“Exit” richiede un approccio multidisciplinare con competenze che vanno dal ginecologo all’anestesista, dal neonatologo all’otorinolaringoiatra, dal genetista allo psicologo e ancora il radiologo, il chirurgo neonatale fino ad arrivare a personale infermieristico e al personale tecnico della sala operatoria. Durante la presentazione, il prof. Giovanni Scambia, direttore del Dipartimento per la tutela della donna e della vita nascente, del bambino e dell’adolescente del Gemelli, ha detto che la tecnica “Exit” rappresenta l’ottimizzazione della difesa della vita e dà speranza a tutte le coppie in attesa di un figlio con diagnosi di patologia fetale. “Exit” non è una tecnica del tutto nuova, ma il Centro del Bambino Gesù-Gemelli è il primo in Europa e ha già salvato la vita a due neonati, un bambino e una bambina, operati nel mese di luglio.
A Torino, un'originale mostra sulle opere d'arte dei monasteri di clausura
◊ Reliquiari ed originali creazioni di carta realizzati fra il XVII e XIX secolo in mostra fino al 2 settembre alla Pinacoteca Agnelli di Torino. Si tratta di originali opere d’arte nate in monasteri di clausura, oggetti devozionali sconosciuti, raccolti nel tempo in collezioni private. Circa 200 gli esemplari esposti, alcuni sono pezzi rari di straordinaria fattura. Ce li descrive, nel suo servizio, Tiziana Campisi:
Carta. Sono fatti di carta. Da mani dedite per lo più alla preghiera. I reliquiari, i ricami e le teche esposte alla Pinacoteca Agnelli di Torino sono opera di minuziose tecniche che annunziatine, cappuccine, carmelitane, certosine, cistercensi, sacramentine e visitandine hanno sviluppato tra il Seicento e l’Ottocento, in Italia, Francia e Germania. Raccontano di conventi ed abbazie, di venerazioni di Santi e di reliquie, ma narrano anche la storia della Chiesa, culti e tradizioni. Sono meraviglie di carta le devozioni creative nate nei monasteri di clausura - per lo più femminili - che testimoniano la forte spiritualità e la mistica sviluppatesi dopo il Concilio di Trento. Vere e proprie opere d’arte, realizzate con carte colorate, arrotolate, pieghettate, cartoni, stoffe e materiali poveri, che delicate mani hanno assemblato in originali figure o arabeschi, ghirlande di fiori e scene religiose, “paperoles” vengono chiamate in lingua francese, come spiega la curatrice della mostra, Elena Geuna:
R. - E’ un nome che viene dato nel XVIII, XIX secolo che deriva da “papier ruoler”, che in francese vuol dire appunto carta arrotolata: sono proprio delle volute di carta dorata o colorata che vengono poste ad ordinamento dei reliquari e contengono non soltanto la carta come decorazione, ma anche delle piccole reliquie o dei lembi di abiti attribuiti a Santi; sono talvolta "Agnus Dei" o raffigurazioni di personaggi santi, realizzate anche in vetro filato di Nevers, soprattutto quelli francesi, ma anche con mollica di pane talvolta o biscotti o ancora delle piccole terrecotte.
D. - Dunque “paperoles”, ribattezzate oggi devozioni creative, meraviglie di carta…
R. – Sono delle opere d’arte religiose. Sono state create dalle monache di clausura, a partire appunto dal periodo post-tridentino, nelle loro celle: rispecchiano le regole ora et labora con dei piccoli oggetti che permettevano loro di tagliare soprattutto la carta.
Semplicità e povertà di mezzi: questo muoveva l’animo di religiose e religiosi che con i loro manufatti volevano spesso offrire agli amici dei loro monasteri piccoli doni, che si son fatti originali capolavori di artigianato, singolari creazioni che oggi fanno recuperare una religiosità perduta.
Siria: accordo di pace a Qalamoun sulla linea tracciata a Roma dagli oppositori
◊ Nuovo successo dell’iniziativa “Mussalaha” (Riconciliazione) che si sta adoperando per dimostrare che esiste una “terza via” possibile, alternativa alla guerra e alle armi, quella della società civile. Secondo quanto riferiscono fonti locali all’agenzia Fides, ieri è stato firmato un “accordo storico tra le forze dell’opposizione di Qalamoun e i rappresentanti di Mussalaha di Yabroud, Qâra, Nebek e Deir Atieh e dintorni”. La regione di Qalamoun è un’area di altopiani situata tra Damasco ed Homs che comprende i villaggi cristiani di Maaloula (dove si continua a parlare l’aramaico, la lingua vernacolare di Gesù) e di Saydnaya (dove è collocato il Santuario della Madre di Dio) oltre agli antichi monasteri di Santa Tecla, Mar Touma, Mar Moussa e Mar Yakoub. La popolazione è in maggioranza sunnita ma vi è pure una forte presenza cristiana che è rispettata grazie ad un patto che risale di tempi di Saladino. Da mesi diversi villaggi della regione, si erano proclamati "indipendenti" e avevano paralizzato le istituzioni statali (comuni, stazioni di polizia, tribunali) e della vita civile (con scioperi diffusi e permanenti). Questa fase di disobbedienza civile è stata accompagnata da una insurrezione armata con miliziani che attaccavano postazioni dell'esercito, ma anche alcuni civili ritenuti vicini al governo o troppo concilianti con il regime. Ai miliziani si sono aggiunte le bande criminali che hanno approfittato del disordine e della mancanza di sicurezza per rapire persone a scopo di estorsione ed effettuare rapine contro fabbriche, depositi, negozi. L’accordo di ieri si unisce alla dichiarazione di Roma dei gruppi dell'opposizione riuniti dalla Comunità di Sant'Egidio. In base a tale accordo l'opposizione rinuncia all’opzione militare, e, quindi, vieta ai suoi membri di attaccare le forze governative, militari o di sicurezza e i civili. Essa depone le armi e rimette la sicurezza nelle mani dello Stato. Da parte sua il governo continua a dare alla popolazione civile la libertà di esprimersi democraticamente attraverso manifestazioni e sit-in . Grazie all’accordo, riferiscono le fonti di Fides, i prigionieri politici che non si sono macchiati di delitti di sangue sono stati liberati e le persone rapite a scopo politico o di lucro sono state rimesse in libertà. “Le famiglie sunnite divise tra oppositori e lealisti oltre tra oppositori di diverse fazioni si ritrovano riunite da questo accordo che dimostra ancora una volta la forza di persuasione della società civile che ricostruisce a partire dai capi tribali e di clan, con l'accompagnamento delle autorità religiose, un patto sociale che non può essere completo finché il rumore delle armi non si sarà spento in tutta la Siria” concludono le fonti di Fides. (R.P.)
Siria: ad Aleppo le comunità cristiane creano un comitato di assistenza umanitaria
◊ Mentre continuano i combattimenti ad Aleppo tra le forze governative e gli insorti, le comunità cristiane della città siriana hanno deciso la costituzione di un comitato di coordinamento per fornire assistenza umanitaria alle persone i difficoltà ed ai profughi. Secondo fonti locali contattate dall’agenzia Fides, il comitato è formato da 11 persone in rappresentanza delle 11 comunità cristiane di Aleppo. “Si cercherà di trovare il modo di garantire una certa sicurezza nei quartieri abitati dai cristiani e di fare in modo che questi non abbandonino le loro abitazioni perché non si ripeta qui quello che è accaduto ad Homs, dove le case abbandonate dai civili in fuga sono state usate come capisaldi dai combattenti. E questo ha provocato la strage nei quartieri cristiani di Homs” dicono le nostre fonti. “Speriamo che l’appello al dialogo lanciato domenica dal Santo Padre venga raccolto sia all’interno della Siria sia dalla comunità internazionale” sottolineano le fonti di Fides che ricordano pure che “le sanzioni economiche adottate contro il regime in realtà colpiscono gli strati più poveri della popolazione. Le persone abbienti si sono rifugiate in Libano, in Giordania o in Turchia, ma i poveri non hanno nulla per far fronte a questa situazione”. “Il dialogo è l’unico modo per trovare la pace ed ottenere la democrazia, fondata sul rispetto dei diritti di tutti” concludono le fonti di Fides. (R.P.)
Mali: dopo il rientro del presidente Traoré, occhi puntati sul Nord
◊ Un plauso dei mediatori dell’Africa occidentale alle prime misure annunciate dal presidente di transizione Dioncounda Traoré, rientrato venerdì a Bamako dopo un lungo periodo di convalescenza trascorso a Parigi. “Sta creando istituzioni di condivisione delle responsabilità e di concertazione per gestire la transizione e questo è lodevole. Ma il più importante è ormai fatto: che Traoré sia tornato in patria, si sia rivolto alla nazione e abbia spiegato la necessità di formare nuove istituzioni, compreso un governo di unità nazionale” ha commentato Djibrill Bassolé, ministro degli Esteri del Burkina Faso, Paese a capo della mediazione della Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao/Ecowas). Il capo di Stato maliano - riporta l'agenzia Misna - sembra intenzionato a chiedere alla Cedeao una proroga alla scadenza del 31 luglio per la formazione del governo di unità nazionale e per avere più tempo a disposizione per l’attuazione delle nuove istituzioni – Alto consiglio di Stato, Consiglio nazionale di transizione e Commissione nazionale per i negoziati col Nord – che di fatto limitano notevolmente le competenze del primo ministro Cheick Modibo Diarra. A poche ore dal rientro in Mali di Traoré, tutti gli occhi sono puntati anche sul Nord e sperano ancora in una soluzione politica nel conflitto con i gruppi ribelli islamici e tuareg che da aprile hanno preso il controllo di un’ampia porzione del territorio nazionale. E’ partita da Bamako una delegazione dell’Alto consiglio islamico del Mali, guidata dal suo presidente Mahmoud Dicko, con il compito di aprire negoziati con i gruppi armati islamici, in particolare Ansar Al Dine. A Gao ha già incontrato responsabili locali e capi religiosi che hanno accolto positivamente la sua decisione di visitare il Nord in pieno Ramandan, interpretata come un segno di solidarietà. Nelle prossime ore potrebbe avere un colloquio con Iyad Ag Ghali, leader di Ansar Al Din, notoriamente contrario alla partizione del Mali e desideroso di far applicare la legge islamica. Ma in queste ore, più che sulla possibilità dell’apertura di un dialogo con la ribellione islamica, i media internazionali danno ampio spazio alla notizia della lapidazione di una coppia uccisa a Aguelhok per aver concepito figli fuori dal matrimonio, in violazione con la sharia. Ma la crisi nel Nord, cominciata lo scorso gennaio, continua ad aver implicazioni umanitarie su vasta scala, sia per sfollati e rifugiati nei Paesi vicini che per i cittadini rimasti a vivere nei principali capoluoghi settentrionali di Gao, Kidal e Timbuctù. In tutto, secondo il ministro per l’Azione umanitaria, ci sono 67.118 sfollati interni e 203.887 rifugiati, soprattutto in Mauritania (più di 67.000) e in Burkina Faso (più di 65.000). Nonostante l’apertura di corridoi umanitari, gli operatori incontrano difficoltà nella consegna degli aiuti – cibo, acqua, medicinali – e nel prestare assistenza psicologica a chi è stato costretto a scappare lasciando dietro di sé casa e lavoro. (R.P.)
Sudan: ancora bombardamenti nel Nilo Blu
◊ Gli “Antonov” sudanesi (aerei da trasporto convertiti in bombardieri) hanno sganciato 37 bombe su villaggi e civili nello Stato del Nilo Blu. Lo riferisce il Sudan Catholic Radio Network che cita Arnu Ngattulu Lodi, portavoce dell’Splm-North (Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese-Nord), il gruppo di guerriglia che si batte nello Stato, appartenente al Sudan e confinante con il Sud Sudan. Secondo il portavoce le bombe hanno colpito il villaggio di Ora-Balila, uccidendo tre civili e ferendone altri 11. Ngattulu ha aggiunto che il nuovo bombardamento è volto a soffocare la possibilità di raggiungere un accordo sulla situazione umanitaria nello Stato del Nilo Blu e delle Montagne Nuba, nei colloqui indiretti di Addis Abeba in Etiopia. Nella capitale etiopica - riferisce l'agenzia Fides - si tengono i colloqui sotto l’egida della mediazione dell’Unione Africana, per risolvere i contenziosi territoriali e legati alla spartizione dei proventi del petrolio tra Sudan e Sud Sudan. I due Stati si accusano a vicenda di appoggiare gruppi armati di opposizione che operano nei rispettivi territori, tra i quali c’è l’Splm-North. Khartoum accusa infatti Juba di fornire assistenza a questo movimento che del resto si richiama anche nel nome, all’attuale partito al potere nel Sud Sudan (Splm). Tra territori contesi tra i due Stati vi sono anche le Montagne Nuba, che fanno parte dello Stato sudanese del Nilo Blu. Le tensioni tra i due Paesi sono sfociate in incidenti di frontiera e nel bombardamento da parte dell’aviazione di Khartoum di alcune aree del Sud Sudan. L’ultimo attacco risale al 20 luglio quando aerei sudanesi hanno colpito un villaggio nello Stato sud sudanese di Bahr-El-Ghazal-Nord. (R.P.)
Nigeria. Vescovo di Sokoto: la violenza nasce da cattiva gestione delle risorse
◊ “I problemi della Nigeria, soprattutto la terribile violenza, non hanno niente a che vedere con la religione. Qui, i problemi nascono dalla cattiva gestione delle risorse del Paese e dalla incapacità del Governo di controllare la situazione”. E’ quanto pensa mons. Matthew Hassan Kukah, vescovo di Sokoto, in una intervista rilasciata alla Fondazione Oasis e ripresa dall'agenzia Sir, in merito alle violenze sui cristiani in Nigeria da parte della setta musulmana Boko Haram. “Ciascuna crisi in Nigeria è immediatamente collegata alle religioni - osserva -. Ma noi non abbiamo mai avuto una crisi religiosa o una crisi derivata da cristiani o musulmani in lotta su questioni religiose. La vera ragione della crisi in corso è politica ed economica. Non è corretto presentare i problemi di oggi come conflitti tra religioni”. Il vescovo di Sokoto ricorda che le violenze non sono iniziate “soltanto un paio d’anni fa” ma da oltre vent’anni, e “ciò cui stiamo assistendo è la manifestazione della corruzione dello Stato della Nigeria”. “Io credo che, se le cose non cambieranno e se il governo e i pubblici ufficiali continueranno con la cattiva gestione delle risorse dello Stato - sottolinea -, essi non avranno più l’autorità morale per punire i criminali. Di conseguenza si potrebbe anche tentare di fermare questo processo oggi, ma domani riapparirebbe in un punto diverso”. Secondo Mons. Kukah la setta responsabile degli attentati Boko Haram “è un fenomeno nuovo ed estraneo. Non ha niente a che fare con la religione”, tanto è vero che “hanno attaccato leader e istituzioni musulmane, hanno ucciso migliaia di musulmani, certamente molti di più dei cristiani”. “Ciò che conta - sottolinea - è aver chiaro che l’estremismo religioso, sia nel Cristianesimo che nell’Islam, miete vittime al suo interno, per così dire, prima che al di fuori”. Riguardo alle soluzioni, a suo avviso, “sul breve periodo il governo federale dovrebbe abbandonare l’idea di una soluzione militare, cominciando a stabilire una data per il ritiro dell’esercito dalle nostre strade. La classe politica deve essere incoraggiata a trovare una soluzione a ciò che è chiaramente un problema politico e non religioso. I leader delle comunità (non necessariamente leader religiosi) devono essere incoraggiati a farsi carico della situazione e impegnarsi in iniziative il cui scopo sia unificare le comunità”. A suo parere è necessario “edificare la fiducia pubblica, poiché non vi potrà essere una soluzione di tipo militare, dato che la presenza militare esalta soltanto la violenza”. Infine, suggerisce, “il governo federale deve cominciare un programma di riabilitazione e ricostruzione delle comunità distrutte. Questo creerebbe fiducia e ridurrebbe la frustrazione e l’amarezza tra i cittadini”. (R.P.)
Rapporto Usa: la libertà religiosa ancora a rischio in Medio Oriente
◊ Nel 2011, i passaggi di potere in Medio Oriente hanno esacerbato le discriminazioni contro le minoranze religiose, mentre altrove aumentavano gli episodi di violenza commessi da gruppi estremisti. Non nota quindi miglioramenti l’ultimo rapporto sulla libertà religiosa pubblicato ieri dal dipartimento di Stato americano. In Nord’Africa, in particolar modo in Egitto e Libia, gli scontri che hanno fatto seguito alla caduta dei regimi lo scorso anno hanno portato a un’esplosione di violenza nei confronti dei cristiani e a un esodo di copti nel caso dell’Egitto. Stando al documento annuale del governo Usa, i cristiani continuano ad abbandonare in massa anche l’Iraq, dove i non musulmani vivono nel timore di persecuzioni. Anche in Nigeria gli attacchi di gruppi estremisti hanno seminato morte e terrore fra i cristiani senza che il governo intraprendesse azioni per punire i responsabili. Mentre l’Indonesia ha fatto ampio uso delle leggi contro la blasfemia per incarcerare cristiani. In altre parti del mondo, come in Birmania e in Russia, sono invece i musulmani nel mirino di leggi che limitano la libertà religiosa delle minoranze. Il documento del governo Usa ricorda inoltre i Paesi dove l’assenza di libertà di religione e’ cronica, come Cina, Corea del Nord, Iran, Arabia saudita ed Eritrea. A questi si affiancano nuovi nemici della religione, come il Venezuela, che lo scorso ha lanciato una campagna antisemitica. In Europa, il rapporto critica l’Ucraina e l’Ungheria per la scarsa persecuzione di episodi apertamente antisemiti. (Da New York: Elena Molinari)
India: cristiani in marcia per i diritti dei dalit
◊ Una marcia di protesta per chiedere al governo indiano la parità dei diritti per i dalit, ovvero i fuori casta, cristiani e musulmani: è l’iniziativa organizzata per domani, 1° agosto, a New Dehli, dalla Conferenza episcopale indiana (Cbci) e dal Consiglio nazionale dei cristiani dalit. In particolare, i manifestanti marceranno uniti verso la sede del Parlamento per chiedere la cancellazione del paragrafo n. 3 dell'articolo della Costituzione indiana che concede diritti e benefici speciali, per i fuori casta, solo ad indù, buddisti e sikh, escludendo così cristiani, musulmani e seguaci di altre religioni. “In una nazione democratica come l’India – si legge in una nota a firma di mons. Neethinathan, presidente dell’Ufficio per i dalit della Cbci – la lotta incessante per i diritti delle persone più deboli è importante per garantire i loro diritti ed è per questo che chiediamo che la questione venga affrontata durante la prossima sessione di lavori in Parlamento”. La Cbci ribadisce, inoltre, che “è responsabilità dei dalit cristiani e musulmani, e di tutti coloro che si identificano con il tema della discriminazione e vogliono supportare questa causa, alzare la voce e porre tale questione alla società civile, così da fare pressione sul governo”. Anche perché “cristiani e musulmani devono usare questa opportunità per chiedere i propri diritti costituzionali”. Di qui, l’appello che mons. Neethinathan rivolge a “cardinali, arcivescovi, vescovi, sacerdoti e fedeli” affinché partecipino numerosi alla marcia di protesta, sottolineando che “i diritti costituzionali per i dalit cristiani e musulmani possono essere raggiunti solo attraverso la solidarietà di tutti”. La protesta di domani anticipa, così, le iniziative che si terranno il 10 agosto in tutti gli Stati dell’India: in quella data, detta “Black Day”, si celebra infatti una giornata di lutto contro la discriminazione proprio per ricordare l’approvazione, avvenuta il 10 agosto 1950, dell’articolo della Costituzione relativo alle caste. (A cura di Isabella Piro)
India: il Consiglio delle Chiese condanna le violenze in Assam
◊ Il “disastro” nello Stato indiano dell’Assam – dove gli scontri etnici tra la tribù dei Bodo e gli immigrati musulmani hanno provocato decine di morti e migliaia di sfollati – poteva essere evitato. È l’accusa che il Consiglio nazionale delle Chiese in India (Ncci) lancia al governo locale, ritenuto colpevole di una “mancanza di volontà politica”. In una lettera al Ministero degli Interni, il segretario generale del Ncci, Roger Gaikward, ha ribadito all’esecutivo la necessità di attuare una vera politica migratoria, gestendo il flusso di immigrati che, altrimenti, può provocare paura nella popolazione indigena. Medesima condanna arriva anche dalla Missione di pace interecclesiale (Icpm) che lancia poi un appello alla soluzione del conflitto: “Chiediamo a tutte le persone di buona volontà di essere generose soprattutto nella preghiera in questo momento di sofferenza e pena”. Necessari anche alimenti di prima necessità e medicinali per i campi-profughi aperti nei tre distretti colpiti dalle violenze. Di qui, l’invito che l’Icpm lancia ai singoli e alle organizzazioni umanitarie per lavorare a favore della pace e dell’armonia nella regione lacerata dal conflitto. (I.P.)
Nepal: il presidente del parlamento rassicura le minoranze religiose
◊ Il Nepal non tornerà ad essere uno Stato confessionale indù. Lo ha dichiarato il presidente della disciolta Assemblea costituente Subash Nemwang per rassicurare le minoranze religiose del Paese, preoccupate dal perdurante stallo della discussione sulla nuova Costituzione che dovrebbe sancire definitivamente la laicità dell’ex Regno indù. Intervenendo domenica a un incontro a Kathmandu con i leader delle minoranze religiose nepalesi, Nemwang - riferisce l’agenzia Ucan - ha spiegato che, a differenza di altre questioni sulle quali le forze politiche non hanno ancora trovato un accordo, nessuno vuole rimettere in discussione la secolarizzazione dello Stato stabilita nel 2007 dopo la fine della monarchia. La laicità sarà quindi sicuramente confermata nella nuova Legge fondamentale. Il testo costituzionale avrebbe dovuto essere varato lo scorso mese di maggio, ma le divisioni dei gruppi politici, riguardanti in particolare il modello federale e il numero degli Stati federali, hanno spinto il premier maoista Baburam Bhattarai a sciogliere l’Assemblea costituente, accrescendo le preoccupazioni delle minoranze che chiedono tutele e diritti nella nuova Costituzione. Nel Paese infatti esistono ancora partiti e gruppi che vorrebbero fare del Nepal una nazione indù. Tra questi il Nepal Defense Army (Nda), gruppo radicale indù che in passato ha colpito persone e obiettivi cristiani. Secondo alcuni leader indù la laicità è per definizione anti-religiosa e quindi non è accettabile. (L.Z.)
Mercosur: tensioni precedono l'ingresso del Venezuela
◊ Sarà formalizzato oggi a Brasilia l’ingresso ufficiale del Venezuela nel Mercosur, il mercato comune sudamericano, sbloccato il 29 giugno da Brasile, Argentina e Uruguay, in assenza del Paraguay, sospeso nella stessa occasione dal blocco a seguito della controversa destituzione del presidente Fernando Lugo il 22 giugno. Cristina Fernández, José Mujica e Hugo Chávez hanno confermato la loro presenza e, secondo fonti ufficiali, terranno un incontro a porte chiuse con Dilma Rousseff prima della cerimonia ufficiale. Approvato nel 2006 dai soci del blocco e ratificato in seguito dai Congressi di Argentina, Uruguay e Brasile, l’ingresso a pieno titolo del Venezuela era stato frenato finora proprio dal Paraguay. La rimozione di Lugo - riferisce l'agenzia Misna - ha favorito un polemico accordo politico raggiunto a Mendoza che ha tuttavia sollevato controversie in Uruguay, incontrando la ferma opposizione del vice-presidente Danilo Astori. L’intesa di Mendoza ha colto impreparato anche il capo della diplomazia di Montevideo che poco prima del vertice straordinario aveva assicurato che il Paraguay non sarebbe stato sospeso. Tra gli imprenditori brasiliani, uruguayani e argentini, l’ingresso del Venezuela suscita speranze di aumentare il giro d’affari ma anche preoccupazioni legate in particolare ai tempi di adattamento alle norme comunitarie da parte di Caracas. “Aspettiamo di sapere se si procederà rapidamente, se occorreranno anni o se saranno rispettate concretamente” ha detto nei giorni scorsi Rubens Barbosa, della Federazione delle industrie dello Stato di San Paolo. Gli interrogativi riguardano anche futuri negoziati per nuovi accordi commerciali tra il Mercosur e altri Paesi o blocchi. “Il Venezuela ha una visione limitata del mondo e può ostacolare nuove intese” secondo il presidente dell’Associazione per il commercio estero del Brasile, José Augusto Castro. Il riferimento immediato è all’accordo di libero scambio che il Mercosur ha sottoscritto con Israele, paese con cui il governo Chávez ha rotto le relazioni diplomatiche nel 2009. (R.P.)
Cile: ancora repressione contro gli indigeni Mapuche. Vittime anche tra i minori
◊ Nuovi scontri in Cile a La Araucanìa, tra gli indigeni Mapuche (“gente della terra”) e le Forze dell’ordine locali. Da giorni ormai continuano le manifestazioni di protesta rivolte al governo perché mantenga la promessa di dotare la regione delle infrastrutture necessarie a garantire condizioni di vita dignitose per le popolazioni indigene. Come riporta l'agenzia Misna, ieri una nuova protesta con decine di persone che hanno bloccato la Ruta 5 dando fuoco a pneumatici accatastati. Il bilancio, è di almeno undici indigeni arrestati e il ferimento di un pensionato, operato d’urgenza all’ospedale della capitale regionale Temuco, a seguito degli scontri con le forze speciali dei “Carabineros”, distintesi negli ultimi mesi per i violenti interventi contro la criminalità locale, che ieri sono intervenute con gli idranti. La settimana scorsa erano rimasti feriti due minori, uno di dodici e uno di diciassette anni, provocando anche la condanna del Fondo dell’Onu per l’Infanzia (Unicef). “Abbiamo circa 950 km di strade sterrate e le nostre risorse non bastano a pavimentarle” dichiara Eduardo Delgado, sindaco della località di Padre Las Casas, per sottolineare la critica situazione delle strade che mantiene la regione in uno stato di isolamento. Un isolamento, come dimostra un recente studio della Commissione economia per l’America Latina e i Caraibi dell’Onu (Cepal), anche sociale della comunità dei Mapuche, che oggi conta appena settecento mila individui che continuano a subire povertà e discriminazione, dopo essere stati privati anche delle proprie terre, invase da aziende minerarie e forestali, in particolare sotto la dittatura di Augusto Pinochet (1973-1990). Questo rapporto documenta l’emarginazione forzata che i Mapuche sono stati costretti a intraprendere a causa dell’impoverimento e della degradazione delle loro terre, oltre alla mancanza di acqua necessaria al fabbisogno della popolazione in alcune zone. (L.P.)
Brasile: Consiglio indigenista missionario denuncia l'aumento dei conflitti
◊ La corsa all’accaparramento illegale delle terre indigene tutelate dalla costituzione non ha conosciuto tregua negli ultimi anni registrando un aumento dei conflitti a fronte di una maggiore resistenza dei popoli nativi, sempre più decisi a difendere i propri diritti. E’ quanto emerge dall’ultimo rapporto del Consiglio indigenista missionario (Cimi), apparso sulla stampa brasiliana, che ha documentato solo lo scorso anno 99 dispute in un Paese in cui l’1% dei 191 milioni di abitanti controlla il 46% delle terre coltivabili. Focolai di tensione - riferisce l'agenzia Misna - persistono principalmente nel nord dell’Amazzonia attorno al controverso progetto di Belo Monte, la mega centrale idroelettrica sul fiume Xingu concepita per diventare la terza al mondo dopo quelle delle Tre Gole, in Cina, e di Itaipú, alla frontiera tra Brasile e Paraguay. Nella zona si susseguono le occupazioni dei cantieri del consorzio Norte Energia da parte dei nativi di etnia Xicrin, Juruna, Arara, Aweti, Assurini e Parakanawa che temono impatti devastanti sull’ambiente e le loro fonti di sussistenza. Il documento del Cimi sottolinea inoltre un drastico freno delle procedure di omologazione delle terre indigene da parte del governo: se durante il mandato di Fernando Henrique Cardoso (1995-2002) furono firmati 145 decreti per il riconoscimento formale dei diritti di proprietà collettivi dei popoli nativi sui loro territori ancestrali, con Luiz Inácio Lula da Silva (2003-2010) sono stati 79 e appena tre con la presidenza di Dilma Rousseff, costretta a continui compromessi con la potente lobby del settore agro-zootecnico saldamente rappresentata al Congresso. Lo Stato in cui i conflitti per il possesso della terra restano più marcati è quello centro-occidentale del Mato Grosso do Sul che nel 2011 ha contato 32 vittime tra i nativi su un totale di 51 registrate sull’intero territorio nazionale. Sulle violenze contro i nativi è intervenuta anche l’organizzazione Survival International rinnovando al governo un appello contro l’impunità, dopo l’assassinio di un capo Guaraní, nel novembre scorso, che ha portato di recente all’arresto di 18 persone. Tra queste figura anche il proprietario di una nota azienda locale che offre ai ‘fazendeiros’ (latifondisti) protezione armata contro possibili minacce rappresentate da nativi e contadini ‘senza terra’. (R.P.)
Sant'Ignazio di Loyola: Messa alla Chiesa del Gesù a Roma del padre Nicolas
◊ Oggi la Chiesa ricorda la figura di Sant’Ignazio di Loyola morto nel 1556. Sette anni prima della sua scomparsa, sant'Ignazio fondò, dopo la Riforma Protestante, la Compagnia di Gesù. Nei Paesi Baschi, vicino al piccolo Comune di Azpeitia, si trova la casa dove nel 1491 è nato sant’Ignazio, divenuta “meta di un costante pellegrinaggio e santuario internazionale” come ricorda padre Felix Cabasés. Padre Cabasés spiega, nell’intervista rilasciata al programma spagnolo della Radio Vaticana, come il santuario sia stato costruito nello stesso luogo dove sorgeva un tempo la casa in cui all’età di 30 anni il giovane Loyola “si innamorò di Dio”. L’immagine del Santo fu posta sopra l’altare della basilica di Loyola nel 1758. Alta due metri e scolpita in argento, fu donata dal Venezuela nel XVIII secolo. “Un’immagine che traeva ispirazione da quella del sepolcro di sant’Ignazio a Roma”, ha aggiunto padre Cabasés. “A partire dal 1758, i gesuiti sono stati cacciati da Loyola per ben otto volte e non hanno mai potuto portare via la statua. Nel 1808, per evitare che essa venisse fusa durante la guerra dell’indipendenza, i custodi l’hanno seppellita intenzionalmente sotto l’orto di Loyola. Nel 1820, dopo una nuova persecuzione i gesuiti si sono visti obbligati a lasciare definitivamente Loyola. La statua è stata quindi sequestrata e portata a Victoria. In seguito il Comune di Azpeitia ha deciso di acquistarla in cambio di una croce d’argento. Da allora la statua si trova in un deposito dove troverà asilo finché esisterà la Compagnia di Gesù”. Come è tradizione, questa sera alle 19.00 il Preposito della Compagnia di Gesù, il padre Adolfo Nicolás, presiederà una solenne concelebrazione eucaristica nella Chiesa del Gesù a Roma, chiesa madre dei Gesuiti dove si conserva la tomba di sant'Ignazio. (A cura di Rafael Belincanta)
Perdono di Assisi: la celebrazione nella basilica di Santa Maria degli Angeli
◊ L’intervento del ministro generale dell’Ordine dei frati minori, padre José Rodriguez Carballo, le celebrazioni con i vescovi mons. Domenico Sorrentino (Assisi) e mons. Gualtiero Bassetti (Perugia), alcuni momenti ricreativi quali “Il Ristoro del Pellegrino” e il “concerto del Perdono” con l’orchestra sinfonica di Valladolid (Spagna): sono alcuni degli eventi previsti ad Assisi, nella basilica di Santa Maria degli Angeli, per la “Festa del Perdono” che si celebra dal 1° al 2 agosto. Legata alla concessione dell’indulgenza plenaria, per se stessi o per i propri defunti, la festa è stata istituita grazie alla richiesta di san Francesco a Papa Onorio III, che approvò e riconobbe il dono ottenuto dal santo di Assisi: quello del perdono dei peccati per tutti coloro che ne avessero fatto richiesta con cuore contrito. Da otto secoli - riferisce l'agenzia Sir - questa pratica coinvolge migliaia di pellegrini che giungono ad Assisi per rivivere la grazia sacramentale del “perdono”. Nei due giorni suddetti è possibile lucrare l’indulgenza plenaria non soltanto alla Porziuncola di Assisi (all’interno della basilica di Santa Maria degli Angeli), ma in tutte le chiese francescane e in tutte le parrocchie sparse nel mondo. (R.P.)
Olimpiadi di Londra: un’occasione di evangelizzazione, dialogo e comunione
◊ Non solo sport. Le Olimpiadi di Londra rappresentano una grande occasione di evangelizzazione, ma anche di comunione tra le diverse fedi cristiane. Come raccontato dall'agenzia Sir, camminando per le vie della città è possibile notare frati francescani che, insieme ai ragazzi della charity ecumenica “More than gold”, responsabile delle attività di evangelizzazione in tutto il Regno Unito per il periodo olimpico, e a giovani volontari finlandesi appartenenti all’organizzazione protestante “Youth with a mission”, diffondono la Parola di Dio nel tentativo di avvicinarsi a chi si è allontanato da Cristo. “Sulla metropolitana la gente è incuriosita dal nostro vestito e ci fa domande. Anche questo è un modo di testimoniare Cristo”, spiega padre Anthony Cho, parroco della Chiesa di San Francesco d’Assisi, appena fuori dal villaggio olimpico, in cui troviamo frati provenienti da varie parti del mondo: Portogallo, Argentina, Singapore, Isole Mauritius, Francia, Colombia e anche dalla comunità di Palestrina, vicino a Roma. Per padre Cho, i Giochi olimpici sono un’ottima opportunità per migliorare i rapporti all’interno di questa comunità multiculturale nella quale i parrocchiani provengono un po’ da tutto il mondo: Europa dell’est, Malesia, Singapore e Caraibi. “In occasione della cerimonia di apertura dei giochi - prosegue - abbiamo organizzato una festa: le persone delle diverse comunità hanno portato cibo e abbiamo fatto il tifo gli uni per le squadre degli altri, guardando le Olimpiadi su un maxi schermo”. A questo, fanno seguito molte occasioni di preghiera: “Fino al 10 agosto esporremo il Santissimo Sacramento dalle 9 del mattino alle 18 di sera e avremo quattro serate dedicate alle preghiere di Taizè. L’ultimo giorno delle Olimpiadi, domenica 12 agosto - conclude -, il vescovo di Brentwood, mons. Thomas McMahon, celebrerà una messa di ringraziamento”. “Non facciamo proselitismo imponendo il cristianesimo”, spiega Alice Lamula, volontaria finlandese, “cerchiamo di far sentire ai passanti che li amiamo e che il nostro affetto proviene da Gesù. Poi li invitiamo a messa o a bere qualcosa nella tenda dell’ospitalità che la parrocchia ha organizzato per accogliere i visitatori che vengono a Stratford per le gare”. (L.P.)
Iniziative Caritas romana ad agosto: la solidarietà non va in ferie
◊ Agosto non è soltanto il periodo di riposo e vacanze, come ricorda all'agenzia Zenit mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas diocesana di Roma, ma anche “per molti cittadini romani sinonimo di sofferenza e solitudine. Accanto alle povertà che convivono nella Capitale durante tutto l’anno, nei mesi più caldi si aggiunge il disagio di migliaia di famiglie e anziani a cui, per le ferie, vengono a mancare anche i servizi di assistenza cui solitamente si rivolgono. Grazie all’opera di centinaia di volontari riusciamo così ad intensificare i nostri interventi di prossimità e vicinanza tra chi si sente solo e abbandonato, anche se – prosegue - l’opera di carità della Chiesa di Roma è solo un segno, ampiamente insufficiente, per il contrasto del disagio. È un modo però per indicare a tutti i cittadini che la prima e vera solidarietà è quella che ognuno di noi riesce a fare nel quotidiano, aprendo gli occhi e prestando attenzione a chi gli è più prossimo”. Saranno quattro le mense sociali attive ogni giorno, due diurne a Colle Oppio e Ostia, una serale alla Stazione Termini e una alla Cittadella della Carità “Santa Giacinta” a Ponte Casilino, per un totale di circa 27mila pasti distribuiti in tutto il mese, di cui seicento a domicilio ad anziani non autosufficienti. Saranno circa seicento le persone ospitate nei centri di accoglienza per oltre 18 mila pernottamenti; i Centri d’ascolto saranno sempre aperti e pronti ad accogliere circa 200 persone ogni giorno e 1.200 prestazioni sanitarie rivolte ad oltre 300 persone sono previste nel Poliambulatorio alla Stazione Termini che coinvolgerà circa 50 tra medici e personale sanitario, tutti volontari. Sono circa 250 i volontari, per lo più giovani che metteranno a disposizione un po’ del loro tempo libero in collaborazione con gli operatori sociali. (L.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 213