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Sommario del 30/07/2012
Guerra in Siria. Il nunzio ai leader religiosi: unitevi per fermare repressione e violenze
◊ E’ stato ben accolto dalla popolazione siriana l’appello del Papa ieri all’Angelus per la fine delle violenze. Grande gioia è stata espressa dagli arcivescovi di Aleppo, armeno cattolico, Boutros Marayati, e greco-cattolico, Jean-Clément Jeanbart: le parole di Benedetto XVI rappresentano un segno di speranza. Ma purtroppo la guerra continua. L’assedio dell’esercito di Assad ad Aleppo non si ferma. Secondo l’Onu circa 200mila civili hanno lasciato la città negli ultimi due giorni: si tratta di una vera emergenza umanitaria. Parigi ha chiesto un summit del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Da parte sua, Damasco assicura che i ribelli saranno sconfitti anche senza ricorrere alle armi chimiche. Si registrano intanto nuove diserzioni: un vice capo della polizia siriano si sarebbe rifugiato in Turchia insieme con altri 11 ufficiali. Sull’intervento del Papa e la situazione in Siria ascoltiamo il nunzio a Damasco, mons. Mario Zenari, al microfono di Sergio Centofanti:
R. – L’appello del Santo Padre affinché cessi la violenza, il suo cordoglio per le vittime, la sua vicinanza alle sofferenze della gente, sono sempre di grande conforto per i pastori, i fedeli e per tutti i siriani, i quali sono vivamente riconoscenti al Santo Padre per l’interesse e la vicinanza che porta continuamente alla Siria, per i suoi reiterati appelli. Del suo appello di ieri per esempio ne hanno parlato in maniera molto positiva anche i media locali governativi. Vorrei sottolineare l’accento che il Santo Padre ha messo sul dramma di tanti sfollati interni e rifugiati presso i Paesi limitrofi come pure la sua preghiera affinché Dio illumini la coscienza di quanti ricoprono posti di responsabilità in questi momenti così difficili. Questo mi sembra un rilievo molto importante.
D. – Qual è la situazione in Siria, pensiamo ai combattimenti ad Aleppo, Damasco e in altre città, quale atmosfera si sta respirando oggi nel Paese?
R. – Un’atmosfera molto pesante. Ci sono queste località che sono particolarmente colpite, di cui si parla continuamente, ma ormai direi che il cancro del conflitto è diffuso un po’ in tutta la Siria, e la gente è alquanto timorosa e incerta dell’avvenire. Pensavo in questi giorni al contrasto tra il clima dell’apertura in questi giorni dei giochi olimpici - a cui hanno assistito milioni di persone in tutto il mondo, che è stata la festa straordinaria della fratellanza universale dei popoli - e la situazione che si sta vivendo in Siria. Tuttavia direi che questa festa conserva anche la speranza, la fiamma della fratellanza universale, che non potrà essere spenta da venti fratricidi che soffiano qua e là in qualche parte del mondo. Dove è stata momentaneamente spenta questa fiamma della fratellanza universale, certamente sarà un giorno riaccesa con l’aiuto della solidarietà internazionale.
D. – Vuole lanciare un appello dai microfoni della Radio Vaticana?
R. – Dopo i reiterati e accorati appelli del Santo Padre, tutti ben apprezzati, ben accolti, per la cessazione della violenza in Siria e per una soluzione politica del conflitto, conoscendo per esperienza le buone relazioni interreligiose che esistono in Siria e il ruolo che la religione ha da queste parti, vorrei rivolgere un appello a tutti i responsabili religiosi musulmani, cristiani e altri: riunitevi tutti insieme e con tutto il peso della vostra autorità morale rivolgete in nome di Dio un unanime e severo monito a tutte le parti in conflitto affinché arrestino la violenza e la repressione che stanno portando il Paese alla distruzione a sofferenze indicibili e morte, rivolgete loro un pressante appello affinché abbiano il coraggio di intraprendere immediatamente e in tutta sincerità con l’assistenza della comunità internazionale il cammino per arrivare ad una adeguata soluzione politica della crisi.
Viaggio in Libano. L’arcivescovo di Beirut: il Medio Oriente aspetta il Papa messaggero di pace
◊ Fervono i preparativi a Beirut per la visita di Benedetto XVI, in programma fra un mese e mezzo, dal 14 al 16 settembre. Grande l’attesa in tutta la regione per un viaggio che ha come prima finalità la consegna da parte del Papa dell’Esortazione post-sinodale per il Medio Oriente. Particolarmente intensa è l’attesa che si vive nella diocesi di Beirut che ancora ricorda con emozione la visita di Giovanni Paolo II nel 1997. Sulle aspettative per questo viaggio apostolico, Alessandro Gisotti ha intervistato l'arcivescovo maronita di Beirut, mons. Paul Matar:
R. – All the lebaneses, christians and muslims…
Cristiani e musulmani, tutto il popolo libanese, sono felici di poter ricevere il Santo Padre e si stanno preparando per questo grande evento. Amano il Papa e ricordano ancora l’ultima visita di Giovanni Paolo II che fu un successo! Sono ora felici di ricevere il Papa, perché hanno bisogno di essere confermati nella speranza della pace e non soltanto per il Libano, ma per tutta la regione. Tutti qui sono in ansia per quanto sta succedendo in Medio Oriente e vorrebbero avere la speranza che possano essere trovate delle soluzioni. Il Santo Padre è l’uomo-chiave che può dare questa speranza e non soltanto al popolo libanese, ma a tutte le persone del Medio Oriente.
D. – Come la sua diocesi si sta preparando a questa visita?
R.- In many levels: material preparing and moral and psychological preparing…
A molti livelli: a livello materiale, ma anche morale e psicologico. Il governo, insieme a tutti i libanesi, sta cercando di mantenere calma la situazione nel Paese e sta cercando di preparare un’atmosfera di riconciliazione fraterna così da poter ricevere il Papa come un popolo unito. Stiamo poi preparando la visita del Papa anche attraverso una campagna televisiva, che partirà probabilmente a fine agosto, così da preparare tutti ai diversi eventi che si terranno. Siamo sulla buona strada.
D. – Questa visita è un importante segno di pace e dialogo per tutto il Medio Oriente…
R. – Absolutely. We are waiting for the Pope and what He is going to tell us about …
Assolutamente! Aspettiamo il Papa e attendiamo cosa ci dirà riguardo al futuro, riguardo all’amicizia con i fratelli musulmani, riguardo alla pace in Medio Oriente. Aspettiamo di ricevere il messaggio del Papa.
D. – Qual è la sua speranza su come questo messaggio sarà accolto dai cristiani, dai musulmani e da tutte le persone del Medio Oriente?
R. – We are sure that we are ready to receive…
Siamo sicuri di essere pronti a ricevere il suo messaggio. La maggior parte della nostra gente non è fondamentalista: la gente vuole vivere in pace e in amicizia. Credo che il messaggio del Papa confermerà proprio questo!
◊ Ad un anno esatto dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro, in Brasile, ieri il Papa all’Angelus ha voluto ringraziare gli organizzatori. La Gmg, ha detto Benedetto XVI, è “una preziosa occasione di sperimentare la gioia e la bellezza di appartenere alla Chiesa e di vivere la fede”. Grande la gioia in Brasile per questo segno di vicinanza del Papa. Al microfono di Silvonei Protz, collega del programma brasiliano, mons. Orani João Tempesta, arcivescovo di Rio de Janeiro:
R. – Siamo ormai a un anno dalla Giornata mondiale della gioventù, qui a Rio de Janeiro, e sappiamo quale momento importante sia per la Chiesa brasiliana, che sta aspettando con gioia tutti i giovani che arriveranno a Rio de Janeiro, in Brasile, per la Giornata mondiale della gioventù. C’è un gran lavoro in tutto il Paese e c’è un gran lavoro nel Comitato organizzativo locale della Giornata mondiale della gioventù. Preghiamo tutti di essere insieme a noi, di pregare insieme Dio, affinché i giovani – insieme a Cristo Gesù – possano essere quelli che annunciano un nuovo mondo nella città di Rio, nel Brasile e in tutto il mondo.
D. – Come state aspettando i giovani che arriveranno da tutte le parti del mondo?
R. – Stiamo aspettando tutti i giovani con il nostro cuore aperto, con le nostre braccia aperte come il Cristo Redentore, per vivere insieme a loro questa Giornata mondiale della gioventù.
E ieri a Rio de Janeiro si è conclusa la tre giorni di preparazione alla Gmg dal titolo: “Preparate il cammino”. Messe, testimonianze, momenti di festa hanno caratterizzato l’appuntamento che ha avuto il suo momento clou proprio nel collegamento con l’Angelus del Papa a Castel Gandolfo. Lo sottolinea al microfono di Benedetta Capelli, il collega brasiliano Silvonei Protz:
R. – Il momento dell’Angelus è stato visto dai giovani in tutto il Brasile ed è stato vissuto con un’esplosione di gioia, ma anche di consapevolezza della responsabilità che i giovani brasiliani, insieme alla Chiesa in Brasile, hanno in questo momento in vista di questo grande incontro con i giovani provenienti da tutto il mondo. Per noi è cominciata veramente la Giornata mondiale della gioventù.
D. – A Rio si è conclusa questa iniziativa dedicata al cammino verso la Gmg: che appuntamento è stato?
R. – E’ stato un incontro molto bello, con più di 50 mila giovani, nel complesso del Maracanã, che è un po’ il simbolo del calcio in Brasile, ma anche nel mondo, e che in questo senso è stato anche il simbolo dell’inizio di questa grande corsa verso la Giornata mondiale della gioventù. Tre giorni quindi, con un momento anche molto importante e centrale – il sabato – con l’arrivo dell’Icona della Madonna del Brasile, Nostra Signora di Aparecida, che è stata portata dall’arcivescovo di Aparecida, cardinale Raymundo Damasceno Assis, che è anche il presidente della Conferenza episcopale brasiliana. Un momento che ha rappresentato anche l'affidamento alla Madonna di questo percorso che ci porterà fino alla Gmg del prossimo anno, a Rio de Janeiro. All’evento era presente anche il nunzio apostolico in Brasile, mons. Giovanni D’Aniello, che ha incontrato i rappresentanti dei giovani brasiliani e ha già fissato un altro incontro con loro per il prossimo 10 agosto. Seguendo un po’ l’orientamento dell’arcivescovo di Rio, mons. Orani João Tempesta: i giovani potranno in quell’occasione presentare al nunzio tutte le loro difficoltà, le loro sfide, ma anche le gioie. Il nunzio trasmetterà poi tutto questo al Santo Padre per testimoniare quanto i giovani aspettano Benedetto XVI a Rio.
D. – Qual è, secondo te, la particolarità che sta emergendo della religiosità brasiliana e soprattutto dei giovani?
R. – Io credo che sia quella di appartenere ad una Chiesa veramente viva. I giovani stanno vedendo che non appartengono semplicemente alla parrocchia, ma ad una Chiesa che va oltre e che il centro è la persona di Cristo. Credo che questo risveglio della fede e del ruolo dei giovani nella nostra Chiesa darà nuovi frutti anche dopo questa Giornata.
◊ In Colombia, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Magangué, presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Jorge Leonardo Gómez Serna, O.P., in conformità al canone 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.
In Germania, il Papa ha accettato la rinuncia all’ufficio di Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Freiburg im Breisgau, presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Paul Friedrich Wehrle, in conformità ai canoni 411 e 401 §2 del Codice di Diritto Canonico.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Basta con le violenze e il sangue: all'Angelus Benedetto XVI invoca una soluzione politica del conflitto in Siria e chiede pace e riconciliazione per l'Iraq.
In rilievo, nell'informazione internazionale, la Nigeria, dove il terrorismo non dà tregua.
Ricominciamo da Zaccheo: in cultura, su teoria e prassi dell'educazione, intervista di Silvia Guidi al vescovo Enrico dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense.
Domenico Volpi su Jacovitti e non solo: sessant'anni fa "il Vittorioso" (il giornalino edito dalla Gioventù Italiana Azione Cattolica) raggiungeva il massimo della sua diffusione, 150.000 copie.
Atlete ma soprattutto donne: la ripresa di un editoriale di Lucetta Scaraffia su "Il Messaggero".
Un articolo di Claudia Di Giovanni dal titolo "Salvate il sergente Molly": in un film del 1912 ritrovato nella Filmoteca Vaticana le gesta di un'eroina simbolo della guerra d'indipendenza americana.
Quando prevale l'amore per la vita: "La Fille du Puisatier" vince il quinto Fiuggi Family Festival che premia anche il film pro-life "October Baby".
Il pane che sazia la vera fame dell'uomo: all'Angelus il Papa prega perché non manchi a nessuno il necessario per una vita dignitosa.
L'Europa al lavoro per salvare la moneta unica e la Grecia
◊ Al via oggi il tour europeo anti-crisi del premier italiano Mario Monti, che - con il sostegno della Merkel - si reca a Parigi, Helsinki e Madrid: l'obiettivo è quello di rafforzare la moneta unica ed evitare che la Grecia esca dall’Eurozona. Bene oggi le Borse europee e bene in Italia l'asta dei titoli di Stato. Da Berlino è arrivato anche l'Ok all'acquisto di Bond di Paesi in crisi da parte della Bce. Intanto due notizie contrastanti: in Spagna aumenta la recessione, mentre in Germania salgono occupazione e salari. Del salvataggio dell’Euro e di Atene, Salvatore Sabatino ha parlato con Mario Deaglio, docente di Economia Internazionale presso l’Università di Torino:
R. - Secondo me, è quasi impossibile che non si salvino. Bisogna mettercela tutta per mandare a fondo una moneta come l’euro. Le monete non scompaiono come le fate o i maghi delle favole; le monete hanno una loro struttura tecnica, per cui solo questo basta a dire che per l’Euro sono possibili dei ribassi anche sensibili legati al mercato, ma dire che semplicemente l’Euro si dissolverà, richiederebbe un processo lungo almeno qualche anno.
D. - Si rinsalda intanto l’alleanza tra Italia, Germania e Francia. È un accordo solo di convenienza, secondo lei, o da questo potranno nascere le basi della tanto auspicata unione politica e monetaria europea?
R. - Penso che sia largamente un accordo di convenienza, però non una convenienza miope per tener su le quotazioni per due o tre giorni, o due o tre settimane; ma invece una convenienza di lungo periodo, perché le cose dell’Europa vadano un po’ meglio. E credo anche che sulla cessione di sovranità, le parti poi si invertiranno: cioè, a frenare saranno i francesi che sono molto più nazionalisti, mentre i tedeschi tutto sommato - e naturalmente gli italiani - sono abbastanza propensi a cedere qualche cosa a Bruxelles e alla Banca centrale europea.
D. - La Grecia, da parte sua propone un ulteriore pacchetto di tagli. Dunque la politica del rigore continua nonostante aumenti il malcontento della popolazione. Fino a che punto si potrà arrivare e si potrà tagliare?
R. - Fino al momento in cui ci accorgeremo che tagliare non serve a niente. Tagliando le spese, si inietta nell’economia una spinta depressiva, che poi taglia anche le entrate. E sono tre ormai i salvataggi, fatti in questa maniera assurda. Quindi bisogna “regalare qualcosa ai greci” in termini di possibilità di spendere, di investire, per potere poi successivamente richiederglielo indietro quando si saranno risanati. Invece così, è una sorta di “tragedia greca”.
D. - Però l’Europa, che è finita nell’occhio del ciclone della crisi, ha agito in una certa direzione - quella dell’austerity - in varie situazioni. Di quali riforme ha invece effettivamente bisogno per uscire dalla crisi?
R. - L’Europa è su un piano inclinato: o scende, o sale. Le riforme per salire sono quelle che dicevamo prima, cioè sostanzialmente, una cessione di sovranità che faccia in modo che una banca sovrana possa poi prestare ai governi, cosa che adesso le è vietato, se non in condizioni di emergenza; altra riforma dovrebbe, poi, prevedere il trasferimento a Bruxelles di una parte delle entrate fiscali, a fronte del carico su Bruxelles, di una parte delle spese pubbliche. Si tratta di vedere con quali servizi partire, ma dovremmo avere tre livelli di governo: uno europeo, con alcune competenze -per esempio la difesa-, uno nazionale, e uno locale e regionale.
D. - Intanto è arrivato in Europa il Segretario al tesoro americano, Timothy Geithner. Qual è il messaggio che porta?
R. - Gli americani hanno un disperato bisogno che nessuna crisi turbi il loro orizzonte fino ai primi di novembre, quando sceglieranno il nuovo presidente. Dopo, credo, ci sarà un problema americano molto più che un problema europeo, ma fino ad allora, cercherà di acquietare tutti.
Crisi politica in Mali, possibile intervento dell'Onu
◊ Si complica la crisi politica in Mali. Il presidente ivoriano Alassane Ouattara ha dichiarato ieri che la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale chiederà all’Onu di inviare una forza militare nel Paese, le cui regioni settentrionali sono controllate dai ribelli Tuareg. E nella capitale Bamako, cresce la tensione tra il presidente ad interim Dioncounda Traoré ed il premier Cheick Modibo Diarra. Il servizio di Davide Maggiore:
In un discorso trasmesso dalla televisione pubblica, il capo dello Stato ha annunciato che istituirà un Alto Consiglio, da lui presieduto, per la gestione della crisi e che lui stesso terrà le consultazioni per la formazione dell’esecutivo che Diarra era stato incaricato in un primo momento di formare. E’ una pesante limitazione dei poteri del premier, che tuttavia aveva già escluso di dimettersi, nonostante sia fortemente contestato da numerosi partiti e movimenti politici. L’accusa principale è la mancanza di una strategia per riprendere il controllo delle regioni del Nord. A questo proposito, il presidente Traoré ha ipotizzato, da parte sua, la creazione di una Commissione Nazionale incaricata di trovare “soluzioni negoziate” alla crisi. Gli altri Stati della regione puntano invece su un intervento delle Nazioni Unite, che tuttavia finora non hanno accordato un mandato alla forza di pace di 3000 uomini che i Paesi dell’Africa Occidentale sarebbero disposti ad inviare a Bamako: l’Onu chiede maggior chiarezza sui dettagli della missione.
E sui possibili retroscena della crisi maliana, Davide Maggiore ha raccolto l’opinione di Gianpaolo Calchi Novati, docente di Storia dell’Africa all’Università di Pavia:
R. - Il Mali è in una situazione di post colpo di Stato; quindi le istituzioni sono state affidate ad un presidente della Repubblica che ha subito un attentato, e a un capo del governo, Modibo Diarra, che è uno scienziato e che si è un po’ prestato a questa funzione politica, dando forse l’impressione, specialmente all’estero, di non essere adatto alle sue funzioni di politico. Si discute, dunque, la possibilità di costituire un altro governo di unità nazionale. Il presidente del consiglio Diarra vorrebbe essere lui stesso il capo di questo governo, e - soprattutto - contro la volontà dei Paesi vicini di dar corso a un’azione di forza contro i secessionisti, vorrebbe risolvere politicamente la questione.
D. - C’è anche l’incognita della posizione dei militari, autori del colpo di Stato, che sembrano più favorevoli al premier Diarra...
R. - La linea dei militari è chiaramente non ufficializzata, perché dopo il colpo di Stato questi hanno o finto o comunque accettato di dare la parola, l’azione agli uomini politici. I militari, in un certo senso, hanno fatto il colpo di Stato perché volevano un maggiore impegno militare per combattere il secessionismo, il ribellismo delle forze tuareg o islamiste del Nord. Quindi ci si potrebbe aspettare che i militari siano piuttosto falchi, che non colombe, come sembrerebbe essere Modibo Diarra; però i militari sono anche consapevoli di quanto sia difficile arrivare ad una soluzione militare. Potrebbero quindi forse sostenere, in una prima fase, un tentativo di compromesso politico.
D. - Allarghiamo lo sguardo: il presidente della Costa d’Avorio, Alassane Ouattara, ha detto che la Cedeao, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, chiederà un intervento dell’Onu per risolvere il problema delle regioni del Nord. È una soluzione praticabile?
R. - Quando c’è di mezzo l’Onu, è chiaro che ci sono tante varianti che rendono difficile una previsione. La Cedeao, o Ecowas, è d’accordo con l’Unione Africana? Forse no. L’Unione Africana e l’Ecowas, vogliono l’intervento dell’Onu per risolvere la questione del Mali, o non piuttosto per tentare una qualche forma di internazionalizzazione di un problema che va al di là del Mali e che riguarda un po’ tutta la fascia saheliana? C’è anche da immaginare che ci siano delle riserve, relative al significato ultimo di un’azione dell’Onu.
D. - Rimaniamo a quella che è la situazione del Nord. Il presidente Traoré, nel suo discorso televisivo, ha auspicato l’instaurarsi di una commissione per il dialogo, che cerchi una soluzione politica alla crisi della zona settentrionale del Mali.
R. - Io sono dell’idea che un tentativo di soluzione politica sia comunque auspicabile. La regione di cui si sta discutendo, è una regione molto vulnerabile, non solo dal punto di vista politico, come accennato, ma anche dal punto di vista ecologico, perché è una regione di grande aridità; quindi un’operazione militare ha comunque effetti gravissimi. Di nuovo, c’è il problema di separare - se possibile - il fattore nazionale dal fattore globale, perché forse il fattore globale ostacola la soluzione dei problemi nazionali.
Somalia: violenti combattimenti a pochi giorni dalle presidenziali
◊ Violenti combattimenti in Somalia tra miliziani islamici al Shabaab e le forze regolari sono avvenuti ieri nel sud del Paese. Almeno 26 combattenti islamici sono stati uccisi. Intanto a Mogadiscio due violente esplosioni hanno provocato, la notte scorsa, la morte di due civili e il ferimento di almeno sette persone. Obiettivo dell’attentato, basi militari del governo somalo nel centro della capitale. In questo clima ad agosto si dovrebbero tenere le elezioni presidenziali. Sulla situazione Giancarlo La Vella ha intervistato Silvio Tessari, responsabile dei programmi per il Corno d’Africa di Caritas italiana:
R. – Non bisogna farsi troppe illusioni; la Somalia è un Paese che vive da vent’anni nell’anarchia. Ma, in un certo senso, c’è anche una certa speranza che le cose vadano un po’ meglio. Quello che noi possiamo fare è continuare anche in una situazione molto precaria, com’è di fatto oggi, a promuovere piccole attività umanitarie: dalla formazione all’igiene, al microcredito, al ripristino dell’agricoltura, ma sempre con molta prudenza, con molta discrezione, proprio per non creare occasioni di pericolo e di conflitto, perché questa è la tragica realtà.
D. – Soluzioni umanitarie e soluzioni politiche. In questo momento qual è la priorità?
R. – Bisognerebbe agire su entrambi i fronti, sia sul piano politico che sul piano umanitario. Il fatto che la situazione sia stata finora in un vicolo cieco è proprio perché o si faceva una cosa o l’altra, ma mai le due contemporaneamente, perché è chiaro che, se non c’è una situazione politica accettabile, le azioni umanitarie sono molto pericolose, sono molto difficili da realizzare. Sono due cose che si sostengono a vicenda e tutto il sistema traballa sia politicamente, sia dal punto di vista dell’assistenza umanitaria, proprio perché non c’è questa comunità di intenti.
D . – Sempre più grave appare la situazione dei civili. Quali notizie vi giungono dalla Somalia e da tutto il Corno d’Africa?
R. – C’è una certa rassegnazione da parte delle popolazioni civili. C’è un piccolo segno, secondo me, che potrebbe essere abbastanza incoraggiante: sta aumentando la presa di posizione di cittadini somali emigrati all’estero che si stanno rendendo conto della situazione in patria e cercano di aiutare loro stessi, tramite loro organizzazioni, la situazione locale. E’ chiaro che ci sono alcune centinaia di migliaia di persone che sono sfollate interne, cioè non hanno la possibilità di avere un posto tranquillo e comunque rimangono ancora alcune centinaia di migliaia di persone rifugiate all’estero, in particolare in Kenya e in Etiopia. E’ una situazione ancora fluida, non molto diversa rispetto a qualche mese fa, se non, per fortuna, la situazione della siccità che è leggermente migliorata.
D. – In tutto questo c’è poi la mina vagante dei miliziani fondamentalisti Al Shebaab che più di una volta hanno impedito l’accesso dei convogli umanitari all’interno dei territori da loro controllati. Si tratta di un ostacolo in più in una situazione già drammatica?
R. – Noi, come Caritas italiana, tramite le organizzazioni riconosciute dalla Caritas Somalia, siamo riusciti a infiltrarci in piccoli villaggi, semplicemente trattando con gli Shebaab locali. Che cosa significa trattare con gli Shebaab? Non tutti sono estremisti terroristi e per situazioni di non grandi capitali da investire, si può trattare con loro - e le nostre organizzazioni lo hanno fatto – e, senza pagare nessuna tangente, hanno consentito la realizzazione di alcuni piccoli interventi. Certo, ci vuole la pazienza di riuscire a tessere relazioni e avere contatti, anche nelle zone sotto il controllo degli Shebaab, piccole azioni che si possono fare anche nei loro territori.
Stabilimento Ilva a Taranto, il cappellano: salvare l'occupazione e proteggere la salute
◊ Una delegazione di alcune decine di lavoratori dell'Ilva di Taranto è entrata nell'aula del consiglio comunale del capoluogo ionico, dove dovrebbero essere prese iniziative sulla delicata vicenda dello stabilimento, su cui grava un provvedimento di sequestro disposto dalla magistratura. Per ora il sequestro degli impianti è stato solo notificato ma non eseguito e si attende il Tribunale del Riesame, fissato per il 3 agosto. Oggi a Taranto non ci sono proteste e all’Ilva si sta lavorando normalmente. Intanto sono arrivati allo stabilimento i custodi amministrativi nominati dal Gip e incaricati di avviare le procedure tecniche per il blocco delle specifiche lavorazioni. All’Angelus, ieri, il Papa ha lanciato un appello perché si tuteli sia il diritto alla salute sia quello al lavoro. Parole “di grande conforto”, ha detto l’arcivescovo di Taranto mons. Filippo Santoro. Parole accolte molto positivamente dalla gente, come ci conferma al microfono di Debora Donnini, padre Nicola Preziuso, direttore dell’Ufficio pastorale sociale della diocesi di Taranto e cappellano dell’Ilva:
R. – E’ stato accolto con una grande sorpresa e una grande soddisfazione perché, hanno detto, il Papa ha pensato a noi. Questo monito del Papa ci trova in sintonia con quello che da tutti era auspicato da anni, cioè che il tema “Taranto” fosse assunto a livello nazionale. Questo dramma è una conseguenza di qualcosa che è a monte, che è molto grave, cioè il fatto che tra la fabbrica e la città si sia consumata sempre di più una frattura. L’Ilva ha portato una cultura industriale e la difficoltà della fabbrica nei riguardi del territorio è che purtroppo non si è fatta carico delle problematiche del territorio.
D. – Adesso si attende la decisione del Tribunale del Riesame sul sequestro: cosa chiedono gli operai e anche voi?
R. - Al Tribunale del Riesame si arriva con un protocollo di intesa siglato appunto il 26 luglio tra il ministro Clini, la Regione e la Provincia, cioè per la prima volta, dopo tanti anni, tutta la classe politica si trova unanime verso un obiettivo comune: salvare l’occupazione e salvare il tema della salute. Questa riconciliazione è autentica, per cui che cosa si propone: aprire un tavolo, riuscire a mettere in campo le migliori tecnologie e attivare risorse economiche. Lo stabilimento sta in piedi da più di 50 anni. La situazione dell’impatto ambientale proprio negli ultimi anni ha avuto un’evoluzione positiva molto importante, non conosciuta, molto banalizzata - che non è giusto - però è lo Stato che deve in qualche maniera porre riparo a una trascuratezza, oltre all’attuale proprietà dell’Ilva ha già dichiarato di seguire i dettami della magistratura. Come Chiesa abbiamo proposto intanto, la sera del primo agosto, una fiaccolata, quindi un incontro di preghiera.
D. - C’è timore per una possibile chiusura degli stabilimenti. Questa sarebbe una decisione drammatica, anche se il diritto alla salute chiaramente è fondamentale…
R. – Sì, per i seguenti motivi: innanzitutto vanno in crisi 20 mila famiglie, con tutto l’indotto. Un’altra crisi è derivata dal fatto che l’obiettivo della fabbrica non era solo la produzione, quando fu installata, ma anche quello di innestare una cultura industriale che trova nella capacità di produzione il cambiamento culturale anche del nostro Sud: in contrapposizione alla cultura industriale c’è la cultura clientelare. Quante persone in tutti questi anni hanno potuto permettersi di formare una famiglia, di avere una vita dignitosa… Allora un dialogo può dare la possibilità di una nuova fase in cui la dimensione dell’impatto ambientale venga presa come cambiamento di stile di vita.
D. - Chiedete in pratica che gli stabilimenti non vengano chiusi ma si proceda al più presto ad una bonifica?
R. – La bonifica è possibile. Si tratta di prendere le migliori tecnologie e da subito metterle in atto perché è giusto! E' vero, la gente perde la salute, ha perso la salute, specialmente nella parrocchia del rione Tamburi in cui vivo dal ’79. Non è che non abbia vissuto sulla mia pelle quel drammatico impatto ambientale, però c’è anche da dire che nel ’79-’80, la situazione delle polveri, la situazione dell’aria che non si poteva respirare, era almeno 10 volte superiore a quella di adesso. C’è stata un’evoluzione, però quando c’è animosità alla fine si estremizza e estremizzando non si arriva da nessuna parte.
Giornata dell'amicizia. Mons. Fragnelli: non un vago sentimento, come uno è così sarà il suo amico
◊ Si celebra oggi – per il secondo anno consecutivo - la Giornata internazionale dell’Amicizia promossa dalle Nazioni Unite con l’idea che l’amicizia tra i popoli possa essere un mezzo per costruire la pace. Al microfono di Roberta Barbi il vescovo di Castellaneta, mons. Pietro Maria Fragnelli, riflette su questo tema così importante e affrontato spesso anche nella Bibbia:
R. - Questi appuntamenti internazionali, sicuramente sollecitano tutti a verificare il polso della nostra civiltà. La presenza o meno dell’amicizia tra le persone, le culture, i popoli, credo sia una cosa che non può non stare a cuore a tutti, ma in particolare a noi cristiani, perché lo sguardo cristiano sull’uomo contemporaneo, sui popoli di oggi è uno sguardo che si rivela sempre più indispensabile, sia attraverso la via della compassione, della misericordia, sia proprio attraverso la via dell’amicizia, del cuore di Cristo che si fa amico dell’uomo, ripropone l’intero messaggio dell’amicizia di Dio nei confronti dell’umanità.
D. - La Bibbia racconta diverse storie di amicizia: cosa può insegnarci oggi, epoca in cui, anche con il proliferare dei social network, l’amicizia viene spesso confusa con la conoscenza?
R. - La Sacra Scrittura ci insegna la costanza nell’amicizia. Dice il Siracide: “Chi teme il Signore, è costante nella sua amicizia, perché come uno è, così sarà il suo amico”. C’è un’idea di umanità che è plasmata dal rapporto con Dio e diventa capace, quindi, di tessere legami duraturi, all’interno dei quali c’è tenerezza, ma c’è anche perdono reciproco. L’amicizia di cui la Bibbia parla non è un vago sentimento a carattere romantico, ma è un percorso fatto insieme, un camminare sotto lo sguardo dell’Altissimo, forse anche sperimentando la delusione, ma una delusione che apre le porte al perdono. Nella Scrittura si parla anche dei grandi amici di Dio, che sono divenuti amici proprio nella prova. Poi, certo, ci sono queste amicizie - potremmo dire - esemplari, che sono comunque un punto di riferimento importante per quanto ha a che fare con la gratuità, con la ricerca dell’altro, per quel valore che egli ha agli occhi di Dio. Dio cerca ogni uomo per quello che è l’uomo, non per l’interesse che ne può avere: così deve essere l’amicizia.
D. - L’uomo può diventare amico di Dio...
R. - Tutta la Sacra Scrittura è una proposta di amicizia da parte di Dio nei confronti dell’umanità intera, ed è un anelito costante dell’uomo all’amicizia con Dio. Ed è qui che s’inserisce la presenza di Gesù: Gesù è davvero il ponte che rende possibile il legame profondo dell’amicizia che è misericordia e che è, nello stesso tempo, costruzione di una realtà nuova.
D. - Anche Benedetto XVI in occasione della celebrazione dei suoi 60 anni di sacerdozio, ha ricordato le parole di Gesù: “Non vi chiamo più servi, ma amici”...
R. - Il Papa sviluppa proprio una pagina di altissima cultura dell’amicizia e spiritualità dell’amicizia. In Gesù che dice: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone. Vi chiamo amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio, l’ho fatto conoscere a voi”; in Gesù diventa possibile, allora, questo ascolto pieno del Vangelo dell’amicizia di Dio per l’umanità, e diventa possibile anche la risposta dell’umanità al dono dell’amicizia che dia una risposta che ovviamente deve tendere a diventare sempre più concreta, più perfetta, più realista, più umile, più santa.
Siria: le Caritas in aiuto degli sfollati in Libano, Giordania e Turchia
◊ Tutte le Caritas nazionali della regione sono attive per far fronte all'emergenza profughi che a causa dell'acuirsi del conflitto, solo negli ultimi due giorni ha coinvolto oltre 200mila persone. Circa 30.000 si sono riversati in Libano e il governo libanese ha deciso di schierare truppe al confine. L’ospitalità - riporta l'agenzia Sir - è data da famiglie, scuole o altre strutture. Qui circa 1.800 famiglie, oltre 9.000 persone in 4 località della valle della Bekaa, sono affidate alla Caritas per le necessità essenziali, dai buoni pasto alle lenzuola, al sostegno psicologico. È stata allestita anche una clinica mobile con un pediatra, una ginecologa e un’infermiera. Oltre 150.000 si sono invece diretti in Giordania, anche se ufficialmente ne sono stati registrati poco più di 35.000. Gran parte è dunque ospitata presso amici e conoscenti. In previsione di nuovi afflussi, sta per essere approntato un campo per 100.000 persone nella località di Zaatari. In Giordania la Caritas raggiunge oltre 5.000 famiglie (circa 25.000 persone). Centinaia di pacchi viveri sono distribuiti, vi è molta richiesta di assistenza sanitaria e di recupero scolastico per i bambini. In Turchia sono registrate a tutt’oggi circa 43.000 presenze in 8 campi, gestiti dalle autorità statali, e altri due sono in preparazione per una capacità di accoglienza di 10.000 rifugiati ciascuno. Qui la Caritas turca concentra la sua azione su sostegno sanitario, distribuzione di viveri, supporto psicologico e tutela giuridica in favore dei rifugiati urbani privi di assistenza pubblica. Nella stessa Siria la Caritas cerca di garantire la sopravvivenza a centinaia di famiglie, a Homs, Aleppo, Damasco e in alcuni piccoli villaggi. “Gli operatori devono agire con prudenza, vi sono difficoltà di accesso e di trasporti”, racconta oggi Caritas italiana, che ha messo a disposizione un primo contributo, ma i bisogni sono enormemente cresciuti negli ultimi mesi: solo in Siria oltre mille famiglie sono già state aiutate dalla Caritas nelle varie località, “ma occorrono altri 170.000 euro per estendere l’intervento in atto”. Anche dalle Caritas di Libano, Turchia e Giordania arrivano ulteriori richieste per aiuti d’urgenza a fasce sempre più ampie di popolazione. (R.P.)
Trattato sulle armi: dopo il fallimento dei negoziati, pressioni sulle grandi potenze
◊ Quattro settimane di negoziati non hanno consentito di raggiungere un accordo per la formulazione e l’adozione di un Trattato sul commercio delle armi convenzionali (Att, Arms Trade Treaty). “L’incapacità della Conferenza di New York di concludere il suo lavoro sul tanto atteso Att, nonostante anni di sforzi condotti dai paesi membri dell’Onu e dalla società civile di tante nazioni, costituisce una sconfitta” ha detto senza tanti giri di parole il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. I negoziati - riferisce l'agenzia Misna - si sono conclusi venerdì scorso e secondo i rappresentanti delle Organizzazioni non governative che hanno seguito i lavori, alla fine a prevalere sono stati gli interessi di parte di alcune potenti nazioni, Stati Uniti, Russia e Cina in particolare, che insieme a Regno Unito, Francia e Germania controllano il 74% dellintera produzione mondiale delle armi. “Con una persona che muore ogni minuto a causa di violenze armate, dovrebbe essere un imperativo per le nazioni più potenti fare da guida. Il presidente Obama ha invece chiesto più tempo per arrivare a un accordo. Ma di quanto tempo ha bisogno?” si è chiesto Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International. “Questi negoziati – ha aggiunto Shetty – hanno rappresentato un test scomodo per i leader mondiali. Pochi potenti non sono riusciti a sganciarsi dalle loro posizioni optando invece per un politica di interessi politici nazionali. Questa minoranza può anche aver voltato le spalle all’opinione pubblica mondiale, ma non potrà farlo ancora per molto tempo. La maggioranza dei governi che vogliono un Att forte devono continuare adesso ad esercitare pressioni così che un accordo possa essere raggiunto già quest’anno”. La Campagna Control Arms – di cui fanno parte diverse organizzazioni non governative – ha sottolineato a sua volta la posizione espressa con un comunicato congiunto da 90 nazioni che si sono dette amareggiate ma non scoraggiate” e determinate ad arrivare quanto prima ad un trattato. Secondo Control Arms bisogna ripartire dalla posizione espressa da queste nazioni per arrivare a una svolta. (R.P.)
Olimpiadi: la Chiesa d’Inghilterra protagonista
◊ Con le Olimpiadi, a Londra è iniziata anche un’importante opera di evangelizzazione legata ai Giochi. A raccontarla all'agenzia Sir è James Parker, rappresentante cattolico di "More than gold" incaricato dalla Conferenza episcopale d’Inghilterra di guidare tale operazione. Le iniziative sono molteplici: chiese aperte, esposizione del Santissimo Sacramento, l’accoglienza in famiglie cattoliche dei parenti di atleti poveri e volontari sulle strade per combattere il commercio di schiavi. Inoltre attraverso la charity ecumenica e un fondo di circa due milioni di sterline, la Chiesa può impegnarsi a fondo nelle gare. “C’è un forte legame tra corpo ed Eucaristia - dichiara James Parker - credo davvero che ricevere la Comunione possa risanarci in tutti i sensi, perché l’ho sperimentato io stesso che, da bambino, per due anni, ho subito abusi sessuali. Soltanto dopo aver ricevuto l’Eucaristia ed essere diventato cattolico ho iniziato ad amare il mio corpo e a fare sport”. Poi Parker elenca alcuni degli effetti positivi che le Olimpiadi hanno portato: “La temperatura a Londra è cambiata con l’arrivo della torcia olimpica. I Giochi hanno portato tanto lavoro, un’area intera di Londra è stata rigenerata e il 40% delle case del villaggio olimpico, poi, verranno usate per persone con bassi stipendi e diversi abitanti di questa zona povera della città hanno potuto avere lavori temporanei”. (L.P.)
India: l'odissea dei tribali Bodo, vittime delle violenze in Assam
◊ Una situazione "patetica", di assoluta "miseria e disperazione": così padre Sebastian, sacerdote della parrocchia Don Bosco di Kokrajhar, descrive all'agenzia AsiaNews la condizione di oltre 15mila tribali, accolti nei 10 campi profughi della diocesi dopo le violenze tra indigeni Bodo e settlers musulmani. Al momento, i disordini sembrano essere rientrati, e oggi P Chidambaran, ministro degli Interni, visiterà la popolazione dell'Assam. Eppure, spiega il sacerdote salesiano, ad attendere queste persone vi è "un futuro incerto, desolante e cupo, soprattutto per i loro figli. Essi hanno perso ogni cosa". Le rivolte sono esplose nella notte tra il 21 e il 22 luglio, quando uomini armati non identificati hanno ucciso quattro giovani nel distretto di Kokrajhar, un'area popolata dai tribali Bodo. Secondo le prime ricostruzioni della polizia, per vendetta, alcuni tribali avrebbero attaccato dei musulmani, sospettandoli di essere i responsabili dell'uccisione. Da quel momento, le violenze sono esplose in modo incontrollabile, con gruppi diversi che hanno dato fuoco ad auto, case e scuole, sparando contro persone e in luoghi affollati. Tra il 22 e il 23 luglio, le rivolte si sono estese a macchia d'olio, raggiungendo anche il distretto di Chirang. Il bilancio finale parla di 53 morti, e più di 170mila persone (tra tribali e settlers) fuggite dai villaggi. In questi giorni, la parrocchia Don Bosco ha allestito 10 campi profughi, dove hanno trovato rifugio e aiuti oltre 15mila tribali Bodo. "Le famiglie - racconta padre Sebastian - hanno abbandonato i villaggi portando con sé solo i vestiti che avevano indosso, tanta era la paura. Le loro case sono state ridotte in cenere, i loro terreni sono devastati, il loro bestiame ucciso. Queste persone sono traumatizzate dal punto di vista fisico e psicologico". Adesso il pericolo maggiore riguarda la diffusione di malattie, soprattutto perché il Paese è in piena stagione monsonica. "Abbiamo organizzato - spiega il sacerdote - campi di primo soccorso, nei quali distribuiamo medicine, servizi sanitari di base, lenzuola pulite e acqua potabile. Donne incinte, bambini piccoli e anziani sono le categorie più vulnerabili, e vogliamo limitare il contagio". Lo Stato nordorientale dell'Assam non è nuovo a violenze simili. In genere, i disordini nascono da dispute di tipo economico, in cui la diversità etnica è solo una circostanza aggravante. Più volte il Bodoland Territorial Council (Btc), autorità territoriale non autonoma che amministra le zone a maggioranza Bodo, ha denunciato i soprusi compiuti dai settlers musulmani, che dal confine con il Bangladesh entrano in modo illegale in India e si appropriano dei terreni degli indigeni. (R.P.)
Hong Kong: 90mila persone sfilano contro la riforma scolastica imposta da Pechino
◊ Decine di migliaia di persone sono scese in piazza ieri ad Hong Kong per protestare contro la riforma scolastica imposta dal governo centrale cinese che prevede, tra le altre cose, l'introduzione di libri di testo che glorificano il modello politico cinese all'interno di una nuova materia chiamata "educazione nazionale". La Chiesa cattolica del Territorio - riferisce l'agenzia AsiaNews - è stata la prima, già nel 2002, a contrastare questa riforma. Il cardinale Joseph Zen Ze-kiun ha guidato i cattolici, e poi le altre religioni di Hong Kong, in una battaglia per l'eliminazione della riforma che tuttavia è passata dato il peso degli elettori pro-Pechino. La marcia di protesta si è svolta dal Victoria Park ad Admirality: secondo gli organizzatori hanno marciato almeno 90mila persone. Moltissimi genitori con i loro bambini, preoccupati che i nuovi cambiamenti risultino essere una sorta di "lavaggio del cervello" (come denunciato proprio dal cardinale Zen) verso il modello cinese. Insieme a loro anche gli insegnanti. Carrie Lam, Segretario generale di Hong Kong, ha annunciato che il governo dell'ex colonia britannica "ascolterà le istanze dei genitori metterà in piedi una commissione per monitorare i cambiamenti". In particolare i genitori si scagliano contro alcuni libri nei quali si esalta il modello politico e partitico cinese come "l'unico funzionale". Il governo di Hong Kong intende introdurre i nuovi cambiamenti a settembre in prova per tre anni, per poi rendere obbligatorio il nuovo programma scolastico dal 2015 per le scuole elementari, dall'anno successivo per quelle superiori. La protesta di ieri è solo l'ultima di una serie che ha portato per strada i cittadini contro l'influenza sempre più forte di Pechino in diversi settori, anche se sia le autorità di Hong Kong che quelle cinesi continuano a parlare della funzionalità del modello "un Paese, due sistemi". Le proteste sono aumentate dopo che al vertice del governo dell'ex colonia britannica è salito lo scorso 1° luglio Leung Chun-ying, vicino al governo di Pechino. (R.P.)
Sierra Leone: allarme e preoccupazione per un'epidemia di colera
◊ Freetown, la capitale della Sierra Leone, è oggi il centro di un’epidemia di colera, dopo il primo caso confermato emerso nel nord del Paese nel mese di febbraio. Il 18 luglio, il primo caso segnalato proveniva da Marbella, una baraccopoli vicino al centro della città, dove un gran numero di persone si incontrano continuamente nel mercato che è aperto 24 ore su 24. Secondo il Ministero della Sanità locale, ogni giorno nella zona si registrano 40 nuovi casi. A Freetown e nell’area occidentale limitrofa, sono stati riportati 410 casi e 9 decessi. Il tasso di mortalità è del 2% ed è abbastanza preoccupante, si tratta della peggiore epidemia registrata nel Paese dopo quella del 2007. Obiettivo del Ministero ora è quello di contenere la malattia e bonificare l’ambiente. Da gennaio - riferisce l'agenzia Fides - in Sierra Leone sono stati registrati esattamente 4.249 casi e 76 decessi a causa del colera. Su una popolazione di 6 milioni di abitanti, 4 mila casi sono una cifra enorme. Gli esperti temono che il picco della pandemia non sia ancora stato raggiunto. Il governo nella capitale ha creato tre Centri di emergenza per gestire nuovi casi e tutte le cliniche stanno fornendo cure gratuite per il colera. Tuttavia a Marbella, area ad alta densità di popolazione, a causa dell’impraticabilità delle strade e del sovraffollamento del mercato, gli abitanti non hanno accesso ai servizi igienico sanitari e le abitazioni si trovano tutte molto vicine le une alle altre. Questa situazione è aggravata dall’igiene precaria, dalla mancanza di acqua potabile e dalla scarsa gestione degli alimenti nella zona del mercato, che costituiscono tutti fattori di rischio per il proliferare dell’epidemia. (R.P.)
Uganda: non si arresta la diffusione della Sbt, colpiti soprattutto bambini
◊ Continua a diffondersi in Uganda e in alcune zone del Sudan la Sbt, “Sindrome-Ballo-Tutto”: una particolare forma di epilessia che distrugge le abilità cognitive e rende incapaci di fare anche le cose più semplici. Come riporta l’agenzia Fides, finora sono 30 i morti dovuti a questa malattia che colpisce prevalentemente i bambini tra i 5 e i 15 anni di età e che, ad oggi ha già contagiato circa tremila piccoli. Dal 2009, su richiesta del governo ugandese, i Centri degli Stati Uniti per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie stanno studiando la sindrome; inoltre, sempre su iniziativa del governo, è stata organizzata una conferenza che coinvolgerà 120 studiosi provenienti da vari Paesi e che cercheranno di fare luce sulle cause e sui principali aspetti di questa malattia. Intanto, in alcune zone del Paese, si è diffusa la teoria che la sindrome abbia le sue radici nella violenza e in particolare nella guerra di Joseph Kony, leader dell’Esercito della Resistenza del Signore che recluta bambini come soldati o schiavi sessuali. (L.P.)
Argentina: la Chiesa a fianco dei senzatetto
◊ Una grave emergenza abitativa sta creando tensioni e disordini nella cittadina argentina di Reconquista. Circa cinquecento famiglie hanno occupato nei giorni scorsi terreni pubblici e privati generando problemi di ordine pubblico. In questo difficile contesto la commissione giustizia e pace, la Caritas e la pastorale aborigena di Reconquista, preoccupati per ciò che sta accadendo, ed esprimendo la vicinanza ai senzatetto, hanno sottolineato che «Dio ha destinato la terra e tutto ciò che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e i popoli. Di conseguenza - riferisce L'Osservatore Romano - i beni creati devono giungere a tutti in modo equo sotto l’egida della giustizia e in compagnia della carità. Quello che sta accadendo nella nostra città mette a nudo il problema della carenza di alloggi e la disperata ricerca di tante famiglie che aspirano a un alloggio decente per poter vivere. Questa situazione svela la mancanza di risposta da parte degli amministratori, per risolvere un problema delicato per tutti, eppure così noto a tutti i livelli dello Stato (sia provinciale che nazionale), che dovrebbero destinare risorse e mezzi adeguati per porre rimedio alla situazione. Pensiamo che sia necessario mettere in atto insieme vie di dialogo e creare uno spazio di sincera ricerca di soluzioni in modo progressivo e partecipativo, in risposta alle varie posizioni, ma senza perdere di vista il bene comune. Allo stesso modo, crediamo che il rispetto per il diritto di ciascuno ci impedisce di giustificare come un mezzo giusto di richiesta l’usurpazione di terreni, sia pubblici che privati. Ci sarà giustizia anche in questo campo, solo se verranno garantiti i legittimi diritti di tutti gli abitanti. La Chiesa, attraverso la Caritas, la commissione giustizia e pace, insieme ad altre Organizzazioni non governative (ong) ed enti come il servizio giuridico di solidarietà, è testimone della lotta di molte famiglie, che senza rinunciare alla loro responsabilità civile, cercano di ottenere un pezzo di terra, un tetto dove poter vivere e crescere i propri figli con dignità. Con questo stesso spirito continuiamo a seguire i processi di partecipazione nella gestione, aggiudicazione e appropriazione per l’accesso e la regolamentazione di terre e abitazioni, cercando di far sì che queste esperienze ispirino e generino politiche pubbliche di inclusione e di radicamento. Per un vero cambiamento — hanno concluso — l’impegno deve venire dalle persone e dalle istituzioni». Intanto, nei giorni scorsi, in occasione della Giornata dell’indipendenza dell’Argentina, l’arcivescovo di Mendoza, mons. José María Arancibia ha sottolineato che «una grande nazione non può fondarsi su falsi ideali, né sul beneficio di pochi, ma deve preoccuparsi di difendere i deboli. Dobbiamo impegnarci a costruire una comunità tutti insieme, dove tutti possano crescere nella pace e nel benessere». (R.P.)
Messico: la Chiesa festeggia il decennale della canonizzazione di Juan Diego
◊ Domani, 31 luglio la Chiesa messicana festeggerà il decimo anniversario della canonizzazione di San Juan Diego Cuauhtlatoatzin, noto nella storia cattolica per "l'evento Guadalupano" che ha avuto luogo nel 1531. Le celebrazioni del primo decennio della beatificazione di Juan Diego - riferisce l'agenzia Fides - inizieranno alle 10 con un tributo sulla spianata dell'antica parrocchia degli Indiani, nel santuario di Guadalupe, dove si custodiscono i resti di Juan Diego. A mezzogiorno, l'arcivescovo Primate del Messico, il cardinale Norberto Rivera Carrera, celebrerà una Messa nell’atrio principale della Basilica di Guadalupe. Nella sua quinta ed ultima visita in Messico, il beato Giovanni Paolo II ha canonizzato Juan Diego in una Eucaristia presieduta il 31 luglio 2002, nella Basilica di Guadalupe. Nell’omelia, Giovanni Paolo II disse: “Juan Diego, nell'accogliere il messaggio cristiano senza rinunciare alla sua identità indigena, scoprì la profonda verità della nuova umanità, nella quale tutti sono chiamati ad essere figli di Dio. In tal modo facilitò l'incontro fecondo di due mondi e si trasformò in protagonista della nuova identità messicana, intimamente unita alla Vergine di Guadalupe”. Juan Diego è nato nel 1474 nel comune di Cuauhtitlan, nello Stato del Messico, e apparteneva alla classe più bassa del popolo degli indigeni di discendenza azteca. Morì a 74 anni il 30 maggio 1548. (R.P.)
Filippine: i vescovi sul dibattito sulla salute riproduttiva
◊ Nelle Filippine, si apre un mese decisivo per la legge sulla salute riproduttiva (Reproductive Health Bill – Rh). La presidenza dalla Camera dei Rappresentanti ha infatti fissato per il 7 agosto la data del voto finale sul provvedimento, oggetto di un annoso braccio di ferro tra la Chiesa e le forze politiche del Paese. In vista del voto, i vescovi filippini hanno reiterato i loro appelli contro la legge, esortando i parlamentari a votare secondo coscienza. “È giunto il momento di ricordare ai deputati e ai senatori le responsabilità che hanno verso il nostro popolo di riflettere attentamente sulle proprie convinzioni per il bene della nazione”, ha dichiarato il presidente della Conferenza episcopale (Cbcp) mons. José Palma, citato dall’agenzia dei vescovi Cbcp.news. Ad accendere ulteriormente gli animi nel dibattito, sono state le recenti parole del Presidente Benigno Aquino nel Discorso sullo Stato della Nazione. Parlando degli interventi del governo per migliorare il sistema educativo nazionale, il Capo dello Stato filippino ha affermato che il numero insufficiente di classi, insegnanti e libri di testo resterà un problema se la popolazione filippina continuerà a crescere, invocando quindi misure per promuovere una “paternità responsabile”. Parole che sono state lette come un implicito avallo alla legge. I movimenti pro-vita nel Paese hanno già minacciato nuove manifestazioni nel caso essa venga approvata. Manifestazioni a cui – ha dichiarato mons. Palma - l’episcopato darà il suo sostegno. Un appello a continuare il dibattito parlamentare è giunto da padre Melvin Castro, segretario esecutivo della Commissione per la famiglia e la vita della Conferenza episcopale (Ecfl), che nei giorni scorsi ha organizzato ad Antipolo City una conferenza per spiegare le ragioni dell’opposizione della Chiesa al provvedimento e ad altre leggi contro la vita e la famiglia. La Rh Bill – lo ricordiamo - rifiuta l’aborto clinico, ma promuove un programma di pianificazione familiare, sponsorizzando la diffusione degli anticoncezionali anche nelle scuole e incoraggiando la sterilizzazione volontaria. I vescovi hanno affermato in più occasioni che le politiche di controllo delle nascite non sono il modo migliore per lottare contro la povertà, le cui vere cause si riscontrano non in un’ipotetica sovrappopolazione, ma, “in alcune scelte errate in materia di sviluppo, politiche economiche mal progettate in un contesto in cui predominano l’avidità, la corruzione, le disuguaglianze sociali, il mancato accesso all’educazione, la carenza di servizi economici e sociali e infrastrutture insufficienti”. (A cura di Lisa Zengarini)
Vietnam: catechisti di Saigon chiedono uniformità e condivisione per trasmettere la fede
◊ In concomitanza con la festa dedicata al beato vietnamita Andrew Phú Yên, oltre 500 catechisti dell'arcidiocesi di Ho Chi Minh si sono incontrati lo scorso 26 luglio per confrontare le proprie esperienze e promuovere nuove vie di insegnamento della Parola di Dio. Attivi fra i bambini e i giovani cattolici, fra coppie di futuri sposi e dediti al sostegno concreto di poveri e bisognosi, i catechisti giocano un ruolo fondamentale nella trasmissione della fede e dei valori promossi dalla Chiesa. Al seminario organizzato dall'arcidiocesi erano presenti ragazzi, studenti, suore e sacerdoti di tutte le parrocchie della ex Saigon. In particolare, molti catechisti chiedono una maggiore "uniformità" nei programmi di insegnamento del catechismo e un miglior coordinamento fra gruppi e nell'organizzazione delle attività. Al termine dei lavori, i rappresentanti delle parrocchie hanno presentato una serie di aspettative e nuove proposte, sottolineando più volte il concetto di "thống nhất" - "uniformità, coesione" in vietnamita - quale elemento decisivo. Una uniformità che deve riguardare i curricula, i piani di insegnamento, gli orari del catechismo e di sessioni di aggiornamento fra diocesi e parrocchie. Per questo, afferma padre Peter Nguyễn Văn Hiền, segretario generale del Comitato dei vescovi per il catechismo e la fede, "stiamo chiedendo a sacerdoti e ordini religiosi di redigere un piano di insegnamenti e dei libri di catechismo" validi per tutti. Al seminario è intervenuto anche il cardinale Jean Baptist Phạm Minh Mẫn, arcivescovo di Ho Chi Minh City, che ha analizzato le preoccupazioni dei cattolici nella vita quotidiana, i problemi relativi alla fede e alla vita di tutti i giorni. "Ringraziamo Dio" ha detto il porporato "perché oltre 100 congregazioni internazionali, ordini e missioni di altre nazioni sono venute qui per studiare, imparare e cooperare con la nostra diocesi per l'insegnamento del catechismo". Egli ha definito i catechisti "persone che educano alla fede", che piantano i "semi della fede" e contribuiscono alla crescita della Chiesa diocesana e della sua missione. (R.P.)
Nel cuore di Londra scatole regalo contro il commercio di schiavi
◊ A Londra, nelle zone più strategiche della città in pieno clima olimpico, si possono notare alcune scatole regalo a grandezza umana; come fuori da Westminster Abbey, dove se ne trova una con su scritto: “Vuoi vedere il mondo e guadagnare soldi?”. È un’iniziativa della Chiesa cattolica per denunciare il commercio di persone e sensibilizzare la gente sul traffico di schiavi che, durante il periodo olimpico potrebbe diventare più intenso. Ogni giorno centinaia di persone si fermano a osservare queste scatole regalo. L’iniziativa, come riportato dall'agenzia Sir, è raccontata da Jantine Werdmuller, la responsabile, che lavora per il movimento “Stop the traffik”: “L’idea è nata dalla nostra collaborazione con le Nazioni Unite, come modo per sfruttare le Olimpiadi per denunciare il traffico di schiavi – afferma - con le scatole vogliamo fare un lavoro di sensibilizzazione perché ci si renda conto che può capitare proprio vicino a noi”. I turisti che passano vicino alle scatole, scoprono che sono quattro le forme di schiavitù più frequenti: sfruttamento sessuale, servitù domestica, costrizione a diventare criminali di strada e lavoro come schiavi in fabbriche e fattorie. “È coinvolto un numero di persone pari a quelle contenute in 35 bus a due piani”, si legge nella scatola di fronte a Westminster, che resterà lì fino al 9 settembre, giorno di chiusura delle Paralimpiadi. “Chiediamo che si firmi una petizione perché le Nazioni Unite mantengano la lotta al traffico di persone in cima alle proprie priorità – prosegue Werdmuller – e chiediamo alle persone di acquistare prodotti del commercio equo e solidale, come il cioccolato che viene coltivato in piantagioni della Costa d’Avorio”. “Invece di spaventarsi e scandalizzarsi di queste forme terribili di sfruttamento umano, bisogna fare attenzione ai segni che indicano che sta avvenendo e denunciarlo subito”. Vicino alle scatole si trova anche il numero della polizia da chiamare. (L.P.)
Terra Santa: a Nazareth restauri vicino alla grotta dell'Annunciazione
◊ Restauri nella grotta di Conone a Nazareth, in Terra Santa. Il sito archeologico a fianco della grotta dell’Annunciazione, all’interno della Basilica di Nazareth, conserva un affresco del IV-V secolo ed è stato inserito nel progetto “Nazareth – Verbum caro hic factum est” volto al recupero e alla rivalutazione di luoghi storici e di culto della cittadina citata nei Vangeli. L’attuale intervento nella grotta di Conone, come spiega il portale www.proterrasancta.org, segue quello di pulitura avvenuto nel 2010, ora è in corso lo studio e il restauro delle pareti. I lavori sono svolti da due restauratrici di Roma, Tiziana dell’Omo e Lucia Di Paolo, coordinate dall’Università di Firenze e dagli archeologi francescani della Custodia di Terra Santa. La grotta nella quale stanno lavorando le due restauratrici, più piccola rispetto a quella dell’Annunciazione e più misteriosa per la funzione che svolgeva, è resa interessante anche da molte iscrizioni, sia dipinte che graffite, che si trovano all’interno. Incise dai pellegrini, risalgono ai primi secoli dell’epoca cristiana (probabilmente al IV secolo), e testimoniano l’antichità della devozione cristiana verso questo Luogo Santo. L’intervento di restauro è sostenuto da Ats pro Terra Sancta. (T.C.)
Al via il 1 agosto la quindicina di digiuno per l’Assunta
◊ Anche quest’anno la liturgia bizantina, ortodossa e cattolica, mercoledì 1 agosto inizierà la “quindicina dell’Assunta”, le due settimane di digiuno che precedono la Solennità dell’Assunzione in cielo della Vergine. Questo rito di digiuno, antico di mille anni, viene chiamato “piccola Quaresima della Vergine” ed è da alcuni celebrato i quindici giorni precedenti la festa, da altri i quindici giorni successivi, fino alla fine del mese, in coincidenza, il 31 agosto, con la chiusura dell’anno liturgico bizantino. Ma tutto il mese è dedicato alla Vergine - la “stella della nostra speranza” - come la definisce amorevolmente Benedetto XVI, verso la quale tutti alzano gli occhi al cielo rivolgendole l’invocazione “Santa Maria di Dio, salvaci!”. Secondo una tradizione di ormai 40 anni, la celebrazione bizantina a Roma ha luogo nella Basilica di Santa Maria in Via Lata presso il Corso: ogni sera, dunque, dal 1 al 14 agosto, dalle 21.30 alle 22.30, si potrà invocare insieme la pace sulla Terra, l’unità delle Chiese, la benedizione divina sulle nostre famiglie e su ogni creatura. Il momento culminante della celebrazione sarà, ovviamente, la veglia dell’Assunta la sera del 14 agosto nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, dalle 20.30 alle 22.30: si comincerà con il tradizionale lucernario con processione e canto del Preconio festivo; il canto dell’ufficio delle letture della Solennità con il canto polifonico dei tro-pari russi del Transito di Maria. Infine, la Santa Messa vigiliare presieduta da un prelato di Santa Maria Maggiore, con la partecipazione della Corale delle Suore Compassioniste Serve di Maria. (R.B.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 212