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Sommario del 25/07/2012
44.mo dell'"Humanae Vitae" di Papa Montini. Benedetto XVI: "Testo coraggioso e lungimirante"
◊ Il 25 luglio del 1968 veniva pubblicata l’Enciclica di Paolo VI Humanae Vitae. Il documento – che espone la visione della Chiesa sulla dignità della vita umana, in particolare sul suo concepimento e sulla illiceità delle tecniche anticoncezionali – fu il frutto di un lungo e talvolta contrastato lavoro di una Commissione di studio. Ma il magistero che ne scaturì è stato ribadito alla lettera dai Papi successivi e anche Benedetto XVI ne ha più volte lodato la “lungimiranza”, come ricorda in questo servizio. Alessandro De Carolis:
La sessualità è un bene di Dio e non un bene di consumo. Ci voleva del coraggio per affermare questo sostanziale principio in un’epoca, come quella inaugurata dal Sessantotto, in cui la “liberazione” sessuale era la bandiera esibita con più aggressività da chi voleva chiudere con le regole del passato. E proprio il “coraggio”, assieme a una profetica “lungimiranza”, è quello che Benedetto XVI ha più volte riconosciuto a Paolo VI, quando appose la propria firma in calce all’Enciclica il 25 luglio di 44 anni fa:
“Quel documento divenne ben presto segno di contraddizione. Elaborato alla luce di una decisione sofferta, esso costituisce un significativo gesto di coraggio nel ribadire la continuità della dottrina e della tradizione della Chiesa. Quel testo, spesso frainteso ed equivocato, fece molto discutere anche perché si poneva agli albori di una profonda contestazione che segnò la vita di intere generazioni”.
È il 10 maggio 2008, quando Benedetto XVI esprime questa considerazione davanti ai partecipanti a un convegno internazionale organizzato per il 40.mo dell’Humanae Vitae. Paternità responsabile, aspetto “unitivo” e “procreativo” dell’amore coniugale, periodi “fecondi” e “infecondi”, vie lecite e illecite per la “regolazione della natalità”: l’insegnamento dell’Humanae Vitae, riconosce Benedetto XVI, “non è facile”. Ma c’è una “parola chiave”, dice, per comprendere l’Enciclica di Paolo VI, “l’amore”. Un amore che ha la sua radice in Dio e che dunque mai potrà guardare al corpo umano come a “un oggetto che si può comperare o vendere”:
“In una cultura sottoposta alla prevalenza dell’avere sull’essere, la vita umana rischia di perdere il suo valore. Se l’esercizio della sessualità si trasforma in una droga che vuole assoggettare il partner ai propri desideri e interessi, senza rispettare i tempi della persona amata, allora ciò che si deve difendere non è più solo il vero concetto dell’amore, ma in primo luogo la dignità della persona stessa”.
Amore come “dono” e non come semplice “atto”, quindi, che si richiama – secondo il Papa – a quanto operato da Dio all’inizio della Creazione”. Tuttavia, oggi come ai tempi di Paolo VI, constata il Papa, si tende a fornire specie ai giovani una visione distorta dell’amore, l’idea che esista un piacere del tutto sganciato dalla responsabilità:
“Fornire false illusioni nell’ambito dell’amore o ingannare sulle genuine responsabilità che si è chiamati ad assumere con l’esercizio della propria sessualità non fa onore a una società che si richiama ai principi di libertà e di democrazia. La libertà deve coniugarsi con la verità e la responsabilità con la forza della dedizione all’altro anche con il sacrificio”.
◊ Dio “conceda consolazione e fortezza a quanti in questa ora di tristezza piangono una tanto irreparabile perdita”: con queste parole il Papa, in un telegramma a firma del sostituto della Segreteria di Stato mons. Angelo Becciu, ha espresso il suo cordoglio per la morte, domenica scorsa in un incidente stradale, del dissidente cubano Oswaldo Payá Sardiñas e di Harold Cepero Escalante. Il messaggio è stato letto ieri pomeriggio durante i funerali celebrati nella chiesa del Divino Salvatore del Mondo all’Avana. Il servizio di Francesca Ambrogetti:
Il Pontefice esprime la sua vicinanza spirituale alla famiglia colpita della tragedia, invocando la protezione di Nostra Signora della Caridad del Cobre. La Messa è stata celebrata dall’arcivescovo della capitale cubana, il cardinale Jaime Ortega, che ha ricordato come Payá aveva sempre cercato nella fede cristiana l’ispirazione per il suo impegno politico. Figura emblematica dell’opposizione, il leder del Movimento Cristiano di Liberazione è morto domenica in un incidente stradale, sulle cui cause i parenti hanno espresso dei dubbi. “Vogliamo che sia fatta giustizia per mio padre”, ha detto la figlia Rosa Maria. Incidenti e arresti dopo la Messa, quando - nei pressi della chiesa del Divino Salvador del Mundo - un gruppo di persone che rendevano omaggio a Payà, si sono scontrate con dimostranti che scandivano slogan a favore del governo. Una cinquantina di oppositori sono stati arrestati, molti rilasciati alcune ore dopo. Tra questi Guillermo Fariña, altra figura importante della dissidenza. La salma del dirigente cattolico è stata sepolta nel cimitero Colon dell’Avana. Ai funerali hanno partecipato i più noti esponenti dell’opposizione. Tra questi, le “Dame in Bianco”, impegnate per la liberazione dei detenuti politici. “Dopo la morte di Payá dovremo continuare a lottare più uniti che mai” ha detto un dirigente della dissidenza che affronta la sfida di riempire il vuoto lasciato dal dirigente cattolico.
◊ In Francia, Benedetto XVI ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Strasburgo il sacerdote Vincent Dollmann, del clero della medesima arcidiocesi, finora officiale della Congregazione per l’Educazione Cattolica e direttore spirituale presso il Pontificio Seminario Francese a Roma, assegnandogli la sede titolare vescovile di Curzola. Mons. Vincent Dollmann è nato il 19 agosto 1964 a Mulhouse nell’arcidiocesi di Strasburgo. Dopo gli studi secondari, è entrato nel Seminario maggiore di Strasburgo. Nel frattempo ha frequentato gli studi accademici di Teologia. Alla fine del primo ciclo di formazione seminaristica, per due anni, è stato presso i padri Spiritani, alle Mauritius. Ha ottenuto un "Diplôme d’Etudes approfondies" (DEA) in Teologia alla fine del quinquennio teologico. Nel 1995-1996 ha completato la formazione presso l’Institut de Formation des Educateurs du Clergé a Parigi. È stato ordinato sacerdote il 24 giugno 1990 per l’arcidiocesi di Strasburgo. Ha ricoperto i seguenti incarichi ministeriali nell’arcidiocesi di Strasburgo: Cappellano del "Seminario per i giovani" a Walbourg (1990-1996); Direttore spirituale del Seminario Maggiore (1996-2009); nello stesso tempo è stato predicatore e confessore della Cattedrale, membro dell’ufficio diocesano per l’insegnamento cattolico e dell’ufficio diocesano per le vocazioni; nel 2006 è stato nominato Parroco della parrocchia "Sainte-Madeleine" di Strasburgo e Vice-Rettore del Seminario. Dal 2009, è Officiale della Congregazione per l’Educazione Cattolica e Direttore spirituale al Seminario Francese a Roma.
Il Papa ha nominato Membri del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione i monsignori:
Paul Youssef Matar, arcivescovo di Bairut dei Maroniti (Libano);
Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos (Nigeria).
◊ Incontrando ieri i sacerdoti della Repubblica Centrafricana presso il Centro Jean XXIII a Bangui, il Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, cardinale Fernando Filoni, ha richiamato l’Esortazione apostolica post sinodale “Africae Munus”. “Come sottolinea Papa Benedetto XVI - ha detto - voi avete, come collaboratori stretti e indispensabili del vescovo, la responsabilità di continuare l'opera di evangelizzazione. Questa è la vostra principale missione sacerdotale che la Chiesa attende da voi. Per meglio adempiere a questa missione, è indispensabile approfondire soprattutto la vostra vita di preghiera, la vostra vita interiore. La fecondità del vostro ministero sacerdotale e l'efficacia della vostra azione pastorale dipendono essenzialmente dalla vostra comunione con Cristo”. Il Prefetto del Dicastero Missionario - riporta l'agenzia Fides - ha quindi sottolineato il dovere di ogni sacerdote di approfondire la sua formazione permanente, che è al tempo stesso spirituale e intellettuale: “acquisite familiarità con le Sacre Scritture, con la Parola di Dio che meditate ogni giorno e spiegate ai fedeli. Approfondite la vostra conoscenza del Catechismo, dei documenti del Magistero e della Dottrina Sociale della Chiesa. Sarete così in grado, a vostra volta, di formare i membri della comunità cristiana di cui siete gli immediati responsabili, perché diventino autentici discepoli e testimoni di Cristo”. Anche i laici hanno bisogno di una adeguata formazione spirituale ed intellettuale per partecipare attivamente alla missione della Chiesa, e spetta proprio ai loro pastori diretti, i sacerdoti, offrirgliela. Per questo il cardinale ha esortato: “È opportuno promuovere sessioni bibliche, conferenze-dibattito sui grandi temi della fede, momenti di catechesi per i giovani. Formate i fedeli in modo che possano meglio rispondere alle questioni sollevate in ambiti diversi, soprattutto in relazione alle sette, che sono una vera sfida pastorale. Investite ugualmente nella formazione e nell’accompagnamento dei responsabili della società. Sviluppate il sostegno alle famiglie, favorendo soprattutto la loro educazione cristiana. Aiutate le famiglie a svolgere pienamente il loro ruolo di ‘cellule base della Chiesa e della società’”. Dopo aver esortato i sacerdoti a non dimenticare che la migliore testimonianza che possono rendere è “la loro fraternità e la loro vita di comunione”, in obbedienza al proprio vescovo, nell’umiltà e nell’amore filiale, il Prefetto del Dicastero Missionario ha sottolineato che questa stessa testimonianza deve essere resa dalla Chiesa locale alla società centrafricana. Quindi ha concluso ringraziando i sacerdoti che spendono tutte le loro energie per diffondere il Regno di Dio in terra centrafricana, incoraggiandoli sempre alla speranza, nonostante situazioni ed eventi difficili che devono ravvivare in loro “la fiamma e lo zelo missionario per annunciare con audacia il Vangelo, fonte di liberazione e di salvezza”. (R.P.)
Si è spento il padre gesuita Lars Rooth: il ricordo di padre Lombardi
◊ E’ morto sabato scorso, 21 luglio, nella casa per anziani di Myrbergska gården di Uppsala, in Svezia, il padre gesuita Lars Rooth, per tanti anni responsabile della Sezione scandinava della Radio Vaticana: aveva 90 anni. Padre Rooth era nato a Stoccolma nel 1921. Dopo avere concluso gli studi, aveva vissuto per qualche tempo a New York, dove si era convertito alla fede cattolica. Alla fine della Seconda Guerra mondiale, nella quale aveva servito per alcuni anni come volontario nell’esercito britannico, entrò nella Compagnia di Gesù dove completò gli studi di filosofia e teologia, parte in Germania e parte in Inghilterra. Dopo la sua ordinazione sacerdotale nella chiesa di Sant’Eugenia di Stoccolma, lavorò a Stoccolma e a Uppsala: fu redattore capo del Katolsk kyrkotidning (“Periodico della Chiesa cattolica”, predecessore del “Periodico Cattolico”) e sacerdote-studente a Uppsala. Padre Rooth entra in contatto con la Radio Vaticana alla fine degli anni ’50, quando si stava sviluppando quella che sarebbe diventata la Sezione scandinava dell’emittente pontificia. Fin dall’inizio degli anni Sessanta, dalla comunità gesuita di St. Johannesgatan di Uppsala, registrava i programmi radiofonici su nastro e li inviava per posta a Roma, dove venivano trasmessi dalla Radio Vaticana in onde corte e lunghe. Le sue visite a Roma divennero sempre più frequenti finché nel 1981 padre Rooth vi si stabilì, guidando la Sezione scandinava fino alla metà degli anni Novanta. Diceva spesso che gli anni passati a Roma erano tra i più interessanti della sua vita. Come inviato della Radio Vaticana aveva seguito Giovanni Paolo II in molti dei suoi viaggi in tutto il mondo. Aveva anche insegnato lo svedese al Papa prima della sua visita nei Paesi del Nord, nel 1989. Per un ricordo di padre Rooth, ascoltiamo il direttore della Radio Vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di Sergio Centofanti:
R. – Era un uomo estremamente simpatico, sempre sorridente, molto amichevole e molto sincero. Io ho lavorato con lui, soprattutto nella prima parte degli anni Novanta, quando sono arrivato alla Radio come direttore dei Programmi, e lui era già da tempo responsabile della Sezione scandinava. Ricordo che una delle sue biografie – perché credo che ne abbia scritto più di una – si intitolava “More joy than pain”, cioè “Più gioia che dolore”: questo esprimeva benissimo il suo carattere. In questa biografia, egli raccontava una vita piuttosto avventurosa: era stato anche soldato volontario durante la Seconda Guerra mondiale, prima di entrare nella Compagnia di Gesù; quindi aveva anche diverse esperienze anche non facili da raccontare, ma sempre con un clima di gioia, di speranza, di fiducia, estremamente costruttivo.
D. – Era un gesuita svedese: una cosa piuttosto rara …
R. – Sì: i gesuiti svedesi sono veramente una estrema rarità, perché naturalmente i cattolici in Svezia sono già una rarità e quindi tanto più i gesuiti. Lui si convertì, non era nato cattolico, da famiglia cattolica, ma si convertì quando aveva una ventina d’anni, ed entrò nella Compagnia dopo la Seconda Guerra mondiale e con questo, sì, fu uno dei pochi rappresentanti svedesi nella Compagnia di Gesù, perché i gesuiti che lavorano in Svezia sono in maggioranza tedeschi o svizzeri di lingua tedesca.
D. – La sezione scandinava della Radio Vaticana è sempre stata un punto importante di accoglienza. Quale il ruolo di padre Rooth?
R. – Credo proprio che padre Lars Rooth abbia dato un contributo essenziale a dare questo volto estremamente significativo della Sezione scandinava della Radio Vaticana, che non è solo una sezione che trasmette ogni giorno un programma in una delle lingue scandinave, ma è un luogo di incontro, di riferimento, di accoglienza per gli scandinavi che vengono a Roma e che vogliono conoscere il Vaticano e la Chiesa cattolica. Persone di lingua svedese o di lingua finlandese o norvegese, cattolici, a Roma, capaci di spiegare che cosa è il Vaticano e la Chiesa cattolica a persone che spesso non appartengono alla nostra confessione religiosa, sono molto rare e la Sezione della Radio Vaticana ha esattamente un grande ruolo per questo servizio.
Un modo per saperne di più di padre Lars Rooth è leggere la sua autobiografia, emozionante e ben scritta, dal titolo “Accadde sulla strada per Roma” (Det hände på vägen till Rom”, ed. Askelin & Hägglund).
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Il fattore decisivo: intervista di Astrid Haas e del direttore al prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, arcivescovo Gerhard Ludwig Müller.
Le condoglianze del Papa per la morte del dissidente cubano Osvaldo Paya Sardinas in un telegramma dell’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato.
In rilievo, nell’informazione internazionale, il riaccendersi del conflitto nel Darfur.
Viaggio nell’oceano della fede: in cultura, il cardinale Gianfranco Ravasi riguardo a un itinerario per coppie tematiche sulle orme di Paolo e Agostino.
Mauro Magatti sulla conversione culturale per un patto tra società e istituzioni.
Un tavolino, due sedie; Silvia Guidi su una nuova iniziativa nei Musei Vaticani: da agosto due sacerdoti saranno a disposizione dei visitatori.
Angelo Paoluzi su giornalisti e martiri, nel settantesimo anniversario della morte, a Dachau, di Titus Brandsma.
Per un’etica della responsabilità: nell’informazione religiosa, il messaggio per la Giornata mondiale del turismo, che si celebrerà il 27 settembre.
Con la gioia dei primi missionari: l’arcivescovo segretario José Octavio Ruiz Arenas in occasione dell’inaugurazione, a Bogotà, dell’Osservatorio della nuova evangelizzazione per l’America Latina.
Un altro unguento: il terzo numero del mensile femminile di “donne chiesa mondo”.
Siria. Bombe su Damasco, si combatte ad Aleppo. Al Qaeda rivendica gli attentati in Iraq
◊ Al Qaeda ha rivendicato gli attentati che in questi ultimi giorni hanno insanguinato l’Iraq provocando più di 100 morti. Una recrudescenza che preoccupa la comunità internazionale anche per le violenze che stanno sconvolgendo la vicina Siria: in questo Paese ora è Aleppo il fronte più caldo, bombe si registrano pure su Homs e Idlib, combattimenti a Damasco dove l’esercito di Assad avrebbe ripreso il controllo della città. Pesanti le accuse della Russia agli Stati Uniti, che secondo Mosca starebbero giustificando il terrorismo, sostenendo l’opposizione armata. E mentre si registrano nuove defezioni tra l’esercito di Assad, la Turchia ha chiuso le frontiere con la Siria ma resta aperto un passaggio per i profughi. Il numero dei rifugiati è cresciuto negli ultimi giorni: secondo l’Unhcr sono oltre 120mila quelli registrati in Giordania, Libano, Iraq e Turchia. Ma esiste un legame tra le violenze in Iraq e in Siria? Al microfono di Benedetta Capelli risponde Stefano Torelli, membro del Comitato Italiano per l’Islam politico:
R. - Tenderei a sottolineare come l’Iraq, dal ritiro statunitense del dicembre 2011 ad oggi, in realtà è sempre stato, ed è ancora purtroppo, un Paese molto instabile. È chiaro che si può ipotizzare anche un qualche collegamento tra il deteriorarsi della situazione interna in Siria, e quella in Iraq, soprattutto perché da anni la questione della sicurezza e del terrorismo in Iraq è stata collegata anche alla Siria. Gli Stati Uniti e molti altri Paesi dell’area hanno accusato la Siria del fatto che fosse un punto di transito per alcuni terroristi che andavano poi a compiere i loro attentati in Iraq. E quindi insomma, in qualche modo, il regime siriano aveva una parte di responsabilità in quello che accadeva in Iraq. Ora, si potrebbe ipotizzare una sorta di nuova correlazione tra l’Iraq e la Siria, nel senso che il terrorismo di matrice qaedista potrebbe sfruttare in questo momento la situazione di instabilità in Siria per creare maggiori tensioni anche in Iraq e far ricadere il Paese in una spirale di violenza e destabilizzazione, funzionale solo agli scopi delle organizzazioni terroristiche.
D. - Siamo in pieno Ramadan. Questo che cosa significa?
R. - Non è la prima volta che episodi di terrorismo avvengono in concomitanza di festività o di celebrazioni particolari. Detto ciò si tratta di una scia di attentati che risale a molto prima. Tra l’altro, molti obiettivi di quest’ultima ondata di attentati sono stati obiettivi sciiti.
D. - Quanto, secondo lei, le divisioni tra sciiti e sunniti stanno pesando in Iraq e in Siria?
R. - Ecco, quello è un fattore che continua a influenzare, soprattutto in Iraq piuttosto che in Siria, perché l’ultimo governo di Al Maliki a maggioranza sciita in Iraq ha un po’ esacerbato i toni dello scontro interno tra sunniti e sciiti. L’Iraq ancora oggi è un terreno di competizione tra due poli quello sciita e sunnita, cioè rispettivamente Iran e Arabia Saudita in testa. In Siria, a mio avviso, non siamo di fronte a una vera e propria guerra settaria; vi è chiaramente il regime che ha una forte base di consenso e di appartenenza soprattutto alla minoranza alawita, che ricordiamo, sono sì degli sciiti ma non possono neanche essere considerati degli sciiti ortodossi, se così possiamo dire. Vi è sicuramente un confronto interno che ormai ha assunto i toni di una vera e propria guerra civile tra il regime e le opposizioni.
India: scontri nell'Assam, migliaia di civili in fuga
◊ Pranab Mukherjee è diventato oggi il 13.mo presidente della Repubblica indiana. Il nuovo capo dello Stato ha prestato giuramento nel Parlamento di New Delhi. Nel suo discorso, Mukherjee ha detto che la sua maggiore responsabilità sarà di essere guardiano della Costituzione. Ha poi accennato alla povertà, una piaga che deve essere eliminata dall’India di oggi. La cerimonia è avvenuta proprio in concomitanza con il forte stato di tensione che si sta vivendo nello Stato orientale dell’Assam, dove sono in corso violenti scontri etnici tra la tribù dei Bodo e gli immigrati musulmani. 32 le vittime delle violenze e 150 mila i civili in fuga. Sulle motivazioni di queste tensioni, Giancarlo La Vella ha intervistato padre Carlo Torriani, missionario del Pime in India:
R. – Un po’ tutto il Nordest dell’India è abitato da tribù che da una parte sentono la presenza dell’esercito indiano come un esercito di occupazione e quindi c’è questo risentimento verso il governo centrale. Poi, c’è la vicinanza con il Bangladesh che è sovrappopolato: molta popolazione emigra negli Stati vicini, in modo particolare nell’Assam, e queste popolazioni sono musulmane e quindi c’è questo confronto-scontro tra i tribali – in questo caso sono i Bodo – e gli emigrati dal Sud, dal Bangladesh, che sono considerati degli intrusi. In questa situazione, il governo centrale è visto come chi protegge i musulmani.
D. – Quali motivazioni ci sono dietro a questi scontri?
R. – L’occupazione dei terreni: si tratta di terre molto fertili perché sono vicine al fiume Brahmaputra, e vengono difese dai tribali come appartenenti a loro …
Perù. Il presidente dei vescovi all'Università cattolica: rispetti le norme della Santa Sede
◊ Appello del presidente della Conferenza episcopale peruviana, alle autorità accademiche dell’Università del Perù perché obbediscano alle decisioni della Santa Sede, che “si è vista costretta” a togliere a questa istituzione i titoli “Pontificia” e di “Cattolica”. In una nota diffusa ieri, mons. Salvador Piñeiro García-Calderón, dichiara “la sua piena adesione alla decisione del Santo Padre”. L’Università del Perù, fondata nel 1917, era stata riconosciuta dalla Santa Sede nel 1942. Il servizio di Roberta Gisotti.
Il provvedimento, con decreto del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, era arrivato lo scorso 21 luglio, “a motivo – ricorda il presidente dei vescovi peruviani – della reiterata resistenza”, di questo ateneo “durante più di 30 anni, ad applicare le norme ecclesiastiche previste per questo tipo di università”. Ricorda l’arcivescovo Piñeiro García-Calderón che, nonostante il divieto imposto dalla Santa Sede, l’Università del Perù resta sul piano amministrativo “persona giuridica della Chiesa cattolica”, cui deve rispettare “i legittimi diritti” e “sottomettersi alla legislazione canonica” in materia di enti ecclesiastici, amministrazione di beni ed istituti di istruzione superiore.
Da qui il richiamo “alla responsabilità delle autorità” accademiche ad adeguare i propri Statuti alla Costituzione apostolica Ex Corde Ecclesiae del 1990 per garantire “l’identità e l’orientamento cattolico”. “In questo modo – scrive il presule - si eviterà di continuare a pregiudicare i diritti della Chiesa al servizio dell’educazione cattolica, tra i quali è la libertà di cui gode per organizzare le istituzioni educative in piena osservanza dell’ordinamento legale peruviano e del vigente accordo internazionale tra la Santa Sede e la Repubblica del Perù. Si rispetterà cosi – conclude il presule – anche il diritto degli studenti a frequentare un’università che è stata creata e dotata di un patrimonio per offrire un’educazione cattolica universitaria, nell’ambito della legittima autonomia che la Chiesa ha sempre riconosciuto a questo tipo di istituzioni”.
Da ricordare che il rettore dell’Università del Perù, Marcial Rubio Correa, aveva condizionato “la modifica degli Statuti alla rinuncia da parte dell’arcidiocesi di Lima al controllo della gestione dei beni dell’Università”.
La vicenda che ha colpito la più grande università peruviana, tra le principali dell’America Latina, vede ora spaccata la comunità accademica. Da un lato l’Assemblea dell’università ha deplorato in un comunicato la decisione della Santa Sede; dall'altro, docenti, personale ed allievi riuniti nell’associazione Riva Agüero - intitolata al benefattore che permesso la fondazione dell’Università - hanno inviato alla stessa Assemblea una lettera (già oltre mille le adesioni sul web) per chiedere di rientrare nei canoni ecclesiastici.
Rifinanziare le scuole paritarie: lo chiede l'Agesc in allarme per i tagli previsti
◊ Il prossimo anno scolastico inizierà regolarmente: lo ha assicurato ieri il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, dopo l’allarme del presidente dell’Unione Provincie italiane, Giuseppe Castiglione, sui rischi per la riapertura delle scuole a causa dei tagli alle provincie. Ma ad essere fortemente preoccupate sono anche le scuole paritarie per le quali è prevista una riduzione dei finanziamenti pari al 50%. Una decisione, ancora da confermare, che metterebbe gli istituti non statali in serio pericolo di sopravvivenza, determinando un grave danno anche per i conti dello Stato. Adriana Masotti ha sentito Roberto Gontèro, presidente nazionale dell’Agesc, associazione genitori scuole cattoliche.
R. – Certo. L’allarme è fortissimo perché questo taglio di 260 milioni di euro su un fondo di 530 milioni, che è un fondo storico perché dal 2000 viene stanziato ogni anno sempre di meno e mai di più, questo taglio significherà due cose: uno, purtroppo, la chiusura di moltissime scuole di qualunque ordine e grado; secondo, l’aumento delle rette che significherà che molte famiglie non potranno più scegliere la scuola per i propri figli.
D. – Voi sostenete che il finanziamento pubblico alle scuole paritarie è, in realtà, un risparmio per lo Stato: vuol spiegarci perché?
R. – Abbiamo calcolato, conti del ministero delle Finanze alla mano, che le nostre scuole – le nostre 13.500 scuole paritarie – fanno risparmiare allo Stato 6 miliardi di euro ogni anno. Ogni euro che viene speso per la scuola paritaria ne fa risparmiare allo Stato 5: non comprendiamo come un governo di economisti e di professori universitari non riesca a capire che fare uscire dalla scuola paritaria famiglie che andranno obbligatoriamente nello Stato, vorrà dire aggiungere costi alla Pubblica Istruzione e non certo diminuire la spesa. Quindi è un autogol grosso come una casa, quello che sta facendo il governo Monti, ed è contro un’istituzione centenaria che fa istruzione e formazione ai ragazzi di qualità.
D. – Quanto è diffusa oggi la consapevolezza dell’utilità e del diritto di esserci delle scuole non statali all’interno del sistema scolastico italiano, e quanto invece è presente ancora la vecchia contrapposizioni tra scuole statali e non?
R. – Purtroppo, la contrapposizione è ancora forte. Il fatto stesso che questa classe dirigente non capisca l’importanza della scuola paritaria, non soltanto per il risparmio che implica per lo Stato, ma anche per la qualità della formazione, ci dimostra come questa consapevolezza dell’utilità e della validità della scuola paritaria sia molto tenue. Nell’opinione pubblica, in più, gioca il fatto che in tutti questi anni la scuola paritaria è stata dipinta dalle forze che per tanti motivi le remano contro – sindacali, di corporazione, ideologici o anticonfessionali, anticlericali – che sono un po’ il sistema dei poteri forti, compresi i giornali laicisti, questo fa sì che l’opinione pubblica sia sempre convinta che questa scuola sia la scuola privata, la scuola dei ricchi, i diplomifici, quelli che regalano i voti; mentre noi che ci viviamo dentro, sappiamo non solo la tradizione che hanno queste scuole, ma anche la cultura che trasmettono – nell’insegnare la capacità critica, nell’aiutare i ragazzi a diventare uomini e donne maturi, a studiare con impegno e sacrificio – purtroppo però, questa consapevolezza nell’opinione pubblica non c’è.
D. – Non stiamo parlando solo di scuole di ispirazione cattolica, ma di scuole anche di altro genere, quando parliamo di scuole non statali …
R. – Certo: quando parliamo di scuola paritaria, intendiamo le scuole – appunto, come dice lei – confessionali e laiche. Questa è ancora una cultura che tarda a venire in Italia, e che purtroppo ci porta molto fuori dall’Europa: io voglio sottolineare, infatti, una cosa che non tutti sanno ed è che in Europa e in tantissime altre parti del mondo le scuole pubbliche non statali sono finanziate dallo Stato.
D. – Lei, comunque, spera ancora che il governo faccia un passo indietro riguardo ai tagli?
R. - Io spero che già giovedì ci sia una prima definizione di ritorno su questa decisione, altrimenti speriamo che comunque in autunno la decisione rientri, perché questo sta creando alle nostre scuole un sistema di disorientamento, di grande preoccupazione che mina l’inizio dell’anno scolastico che tra un mese è alle porte. Quindi, c’è grande preoccupazione negli istituti quando si ha una spada di Damocle sulla testa che significa: non ti diamo i contributi.
Giornata della sicurezza stradale. Ue: all'Italia il record delle vittime
◊ Sensibilizzare i giovani su questioni legate alla sicurezza stradale e promuovere politiche europee in questo ambito. Questi gli obiettivi della conferenza, apertasi stamani a Nicosia e promossa dalla Commissione europea, in occasione dell’odierna Giornata europea della sicurezza stradale. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Alla conferenza partecipano giovani e responsabili della sicurezza stradale, provenienti da tutti i Paesi dell’Unione Europea e da regioni limitrofe, per scambiare pareri e avanzare proposte pratiche al fine di rendere le strade più sicure per i giovani. Quali le priorità, a livello europeo, per raggiungere questo obiettivo? Risponde Umberto Guidoni, segretario generale di Ania, Fondazione per la sicurezza stradale costituita nel 2004 dalle Compagnie assicurative:
“Oggi registriamo in Europa, sulle strade europee, 85 morti al giorno di cui 11 in Italia. Credo quindi che sia necessario porre in essere una serie di azioni che rendano concreta la politica che la Commissione europea ha sollecitato agli Stati membri per il 2011-2020, cioè di considerare una priorità nell’agenda di governo la sicurezza stradale, soprattutto in termini di interventi sull’utenza debole – mi riferisco a ciclisti, pedoni, motociclisti e minori trasportati – sia interventi infrastrutturali che riescano a migliorare in senso generale lo stato delle infrastrutture e la capacità delle stesse a sostenere un volume di traffico così ingente”.
Il bilancio degli incidenti stradali – la prima causa di morte sotto i trent’anni – è pesantissimo. Nel solo 2010, in tutta la Comunità Europea, le vittime della strada sono state circa 35 mila, in Italia oltre 4 mila. Quali, proprio in Italia, le criticità, le iniziative e le misure più urgenti?
“Velocità, alcol e droghe, distrazione, mancanza di rispetto delle regole in senso generale producono incidentalità e producono anche incidentalità grave. Questo pone l’Italia con il maggior numero di morti come valore assoluto nell’Europa dei 27: quindi, si tratta di un fenomeno estremamente grave che va affrontato per segmenti e per specifiche linee di azione. Credo che questo vada fatto fondamentalmente cercando di cambiare costantemente la cultura della guida, portando all’attenzione dei cittadini che mettersi alla guida richiede attenzione ma richiede soprattutto il rispetto delle regole, perché è un dovere civico circolare rispettando – oltre che se stessi – il prossimo. Quindi, l’intervento è sicuramente da fare sul tema dei comportamenti, soprattutto con le generazioni più giovani”.
Questa mattina è stato sottoscritto dal segretario generale di Ania e dal direttore generale per la sicurezza stradale del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti un protocollo di intesa. Di cosa si tratta? Ancora Umberto Guidoni:
“Il Ministero si è fatto promotore di un’iniziativa che credo sia auspicabile a vari livelli, cioè quella di mettere a sistema le competenze e le risorse di vari soggetti che in forma diversa si occupano di sicurezza stradale, effettuando una sorta di coordinamento delle iniziative affinché la sicurezza stradale possa essere affrontata per migliorarne i livelli qualitativi sotto diversi aspetti. Quello che concerne la Fondazione, quello che meglio risponde alle corde della Fondazione e cioè i processi di formazione all’interno delle scuole, cercando di rafforzare il tema dei corsi di guida sicura insieme a interventi specifici per la guida sulle due ruote nell’interesse dei centauri. Oggi questo non accade e per questo abbiamo un’altissima incidentalità per soggetti che, tra l’altro, possono aumentare di numero visto e considerato che la modalità di spostamento sulle due ruote diventa, soprattutto nei centri urbani, a seguito dell’aumento del prezzo della benzina, una modalità di spostamento molto più diffusa”.
In Italia, intanto, sarà attivo, dal prossimo 27 luglio, per la prima volta su tre strade statali - l’Aurelia, la Domitiana e la Romea - il nuovo tutor “Vergilius” che verificherà, in un tratto in genere fra i dieci e i venticinque chilometri, la velocità media e l’eventuale superamento del limite massimo consentito. Oggi è stato anche avviato, in Commissione trasporti della Camera, l’esame della proposta di legge che contiene alcune modifiche al Codice della Strada. Il provvedimento prevede, tra l’altro, la revoca della patente in caso di omicidio alla guida sotto l’effetto di alcool o droghe. E’ prevista anche una riduzione del 20% dell’importo delle sanzioni pecuniarie se il pagamento avviene entro 5 giorni.
◊ Si apre questa sera a Iaşi, in Romania, la 12.ma edizione dell’Incontro nazionale dei giovani cattolici. All’evento saranno presenti giovani provenienti da tutte le diocesi del Paese, sia di rito latino che di rito greco-cattolico. Il tema è tratto da una esortazione di San Paolo: “Siate sempre lieti nel Signore” (Fil 4,4). Un tema, scelto da Benedetto XVI, che appare oggi più che mai una provocazione, come sottolinea – al microfono di don Anton Lucaci – mons. Petru Gherghel, vescovo di Iaşi:
È una vera provocazione, perché oggi i nostri giovani, si trovano di fronte a tante difficoltà; sono molto disorientati ed hanno bisogno di un aiuto, di una soluzione per questi problemi difficili. E qui vengono praticamente per cercare, trovare e rafforzare il loro coraggio nel seguire Gesù. Quello che serve a tutti, e in particolare ai giovani, è un vero modello di coraggio per vincere tutte le difficoltà e per arrivare alla vittoria del bene. Abbiamo bisogno di questo sostegno, e sicuramente San Paolo anche oggi, ci dice:“Siate sempre lieti nel Signore”. Un invito veramente forte per trovare in Gesù, la forza necessaria per affrontare tutte le difficoltà. Siamo felici che i nostri giovani cerchino questo aiuto, e soltanto Gesù lo può dare, perché solo Lui, nostro Signore, ci porta la gioia e può offrirci una luce, un sostegno. Siamo sicuri che i giovani, trovando qui il messaggio di Gesù per la vera felicità, lo porteranno a tutti i nostri giovani, non soltanto in Romania, ma anche lì dove loro arriveranno con la loro fede, con la loro speranza, con la loro gioia.
Sulle attese e sullo svolgimento di questo incontro don Anton Lucaci ha sentito don Felix Roca, coordinatore del Comitato organizzatore:
E’ la nostra Giornata mondiale della gioventù romena e - dopo aver vissuto le esperienze straordinarie della Gmg di Madrid e in preparazione alla Gmg di Rio de Janeiro - aspettiamo giovani da tutte le diocesi della Romania: diocesi romano-cattoliche latine e diocesi greco-cattoliche. Saranno giornate in cui vorremmo offrire ai giovani un’esperienza di vita ecclesiale, di comunione, per vivere la fede insieme. Il programma dele giornate è intenso: momenti di preghiera, con le Sante Messe che saranno celebrate sia con il rito latino, sia con il rito bizantino. Ci saranno poi momenti di catechesi comune, in cui verranno trattati i temi specifici per i giovani. Dopo i momenti di catechesi, i giovani staranno insieme nei gruppi per discutere sui loro problemi, sul loro modo di vivere la fede. Ci sono poi in programma altri momenti di incontri, di laboratori, di esperienze di fede, di condivisione su diversi temi di attualità: sul sociale, sulla fede, sul volontariato, sul modo dei giovani di vivere la fede nella società e nella Chiesa. Non mancheranno anche i momenti di festa, che abbiamo intitolato “Festival della gioventù”, in cui i giovani mostreranno i loro talenti nella musica, nella danza, con il loro modo di esprimere la fede e di creare comunione. Una grande gioia per noi, in questa edizione dell'Incontro nazionale dei giovani romeni, è il fatto che possiamo offrire a tutti i partecipanti l’edizione in lingua romena del “YouCat”, il catechismo della Chiesa Cattolica per i giovani. In questa occasione siamo riusciti a fare la traduzione, a stampare questo straordinario strumento, che sarà lanciato proprio in questa occasione. I giovani e tutti i partecipanti, riceveranno una copia del "YouCat", come ha fatto il nostro Papa a Madrid, e poi sarà usato in tutte le diocesi come strumento per la preparazione e la formazione dei giovani. Chiaramente, essendo una Gmg romena, non manca un inno, che risuonerà durante queste giornate, e un logo, che sarà l’emblema di questo incontro.
Mons. Nosiglia guida 50 giovani torinesi in pellegrinaggio in Terra Santa
◊ “Noi giovani sui passi di Gesù”: con questo motto, cinquanta ragazzi dell’arcidiocesi di Torino sono partiti oggi per la Terra Santa, dove resteranno in pellegrinaggio fino al primo agosto. Promossa dall’Ufficio giovani della Curia di Torino, l’iniziativa è guidata dall’arcivescovo della città, mons. Cesare Nosiglia. Ma cosa spinge un ragazzo ad andare in pellegrinaggio in Terra Santa? Isabella Piro lo ha chiesto ad uno dei giovani partecipanti, Vicenzo Camarda:
R. - Negli studi che ho fatto e nella tesi di approfondimento finale, sentivo spesso dire da Montale che i luoghi parlano delle persone, e non sono solo le persone a parlare dei luoghi. Allora mi son detto perché non ripercorrere dei posti che parlano di persone e riattualizzarli in un mondo in cui, come cooperatore di diverse realtà educative presso le diocesi di Torino, mi sono accorto che i giovani ci chiedono con forza di raccontare un'esperienza che ci ha cambiato dentro, e non semplicemente raccontare una storia.
D. - Assieme a te ci saranno anche le tue sorelle, Eleonora ed Alessandra. Cosa significa vivere questo pellegrinaggio in famiglia?
R. - Io credo che sia proprio la sintesi massima dell’esperienza di famiglia, intesa non semplicemente come gruppo di persone, ma come entità, come posto nel quale nasce la fede. Per me, avere davvero l’onore di poter vivere con le mie sorelle questa cosa è la sintesi di una famiglia E sento che è la sintesi della positività e del vivere dei valori che in questo caso si chiamano “fratellanza”.
D. - Nella tua vita quotidiana, cosa significa essere sui passi di Gesù?
R. - Credo ci sia una dimensione di fondo che è quella della testimonianza, per percorrere insieme un percorso che avvicina le persone. Da due anni, collaboro con una delle realtà educative più difficili di Torino, perché sono nella zona della Falchera. E lì è stato l’incontro con le persone, ma soprattutto con la loro umanità che sta alimentando un senso educativo di dono all’altro, di presenza e di ascolto, di vivificazione di quello che è l’essere in mezzo agli altri, più che lo stare semplicemente. E che mi ha fatto dire davvero: “Ama e dillo con la vita”, proprio come diceva Sant’Agostino.
D. - Come rispondere a chi dice che stai sacrificando le tue vacanze estive?
R. - Per me, non è una dimensione di sacrificio fare un pellegrinaggio. Dico sempre che esistono dei sacrifici buoni verso l’altro, perché è un’esperienza davvero di gioia che può sembrare un andare contro corrente rispetto a quella che è la quotidianità del giovane medio. Cedo però che oggi sia proprio la normalità ad andare più contro corrente rispetto a quella che è la anormalità. C’è un senso di familiarità più ampio con la comunità che mi fa stare bene e che mi fa vivere il cristianesimo non come un qualcosa da libro stampato, ma come un qualcosa della vita che prende volti, gambe e voglia di camminare insieme.
D. - Come pensi di tornare cambiato dalla Terra Santa?
R. - Penso di tornare soprattutto con la gioia di dire agli altri quello che vivo nel cuore. Io spesso e volentieri, quando accompagno i ragazzi a fare le escursioni in giro, quasi li obbligo a non portare con sé le macchine fotografiche, perché le loro migliori macchine fotografiche sono i loro occhi, e dico loro: “Fotografate con gli occhi ed imprimete quello che vedete nel cuore”. Ciò vi aiuterà nella vita a ripercorrerlo quando servirà per poterlo raccontare agli altri giovani che con me, per diversi motivi, non hanno potuto condividere questa esperienza.
D. - Cosa vuoi dire quindi a coloro che non sono venuti con te?
R. - Sicuramente, vengono con me nella dimensione più bella, che è quella di comunità nella preghiera. Quindi ci sarà una vicinanza per tutto ciò che è la vita interiore, che i giovani, come me, spero coltivino. Poi, chiedo che anche loro possano aver la possibilità di portare agli altri quello che sono e la bellezza che hanno.
Olimpiadi. Il cappellano degli azzurri, mons. Lusek: io, "parroco" dei campioni
◊ Saranno i tornei di calcio femminile e maschile, oggi e domani, ad “anticipare” l’inaugurazione dei Giochi della 30.ma Olimpiade di Londra, in programma dopodomani sera. Mentre cresce nel mondo l’attesa e l’emozione del pubblico per questo evento di sport globale, aumenta la tensione pre-gara degli atleti nel villaggio olimpico. Un luogo dove alloggerà anche IL direttore dell'Ufficio Cei per la pastorale dello sport, turismo e tempo libero, mons. Mario Lusek, cappellano degli atleti azzurri. Fabio Colagrande gli ha chiesto quale sarà il suo ruolo durante le due settimane di gare:
R. - Io vivo all’interno del villaggio olimpico, nello stesso edificio dove vivono gli atleti e i dirigenti. E’ una particolare forma di presenza e questo grazie al Coni - il Comitato olimpico nazionale italiano - che ha trovato anche le forme giuridiche per essere presenti all’interno di questo spazio. Amo considerare lo spazio olimpico come una specie di oratorio, o addirittura come una parrocchia, nel quale le persone avvertono questa presenza, sanno che esiste, non sono indifferenti ad essa, anzi è una presenza molto apprezzata e diventa veramente uno spazio, un luogo di relazioni amicali. All’interno di questo spazio, faccio il prete e quello che un normale prete fa in oratorio, o in una parrocchia: non mancano i momenti di culto, ci si incarna poi anche nella vita del villaggio olimpico. Un prete vive le stesse tensioni, le stesse emozioni, gli stessi interessi che si vivono all’interno del villaggio olimpico: si esalta, si appassiona e rimane deluso qualche volta. Cerca di essere prossimo, amico e di manifestare simpatia e attenzione, di consolare quando è necessario, ma soprattutto di esultare.
D. - Gli atleti si rivolgono al cappellano con quali richieste?
R. - Sono diverse: la prima è una richiesta di dialogo di amicizia, di presenza. Ci incontriamo nei luoghi più impensati: ascensore, mensa, durante il tempo libero serale, anche negli stadi - perché vado a seguire le varie competizioni - e poi nei momenti ufficiali, liturgici, che incastoniamo all’interno di un orario molto stressante. Di tempo libero ce n’è veramente poco, cerchiamo quindi di incastrare anche alcuni momenti d’incontro. Quest’anno, c’è una particolarità per il contingente italiano a Londra: grazie anche al Coni, abbiamo cercato di legarci alla parrocchia degli italiani a Londra - la parrocchia di San Peter - in pieno centro e durante l’evento olimpico quello spazio sarà frequentato anche dagli atleti per momenti di testimonianza e di incontro con quella realtà. Questo è un allargamento di orizzonte e soprattutto di identità, quasi di appartenenza, per far sperimentare anche ai tanti italiani che vivono a Londra questo entusiasmo per la nostra nazione e per i nostri atleti.
D. - Si dice sempre che lo sport è anche luogo di valori. Vivendo dietro le quinte di un Olimpiade si ha conferma di questo? Si vivono esperienze, dal punto di vista umano psicologico, molto forti immagino…
R. - Sicuramente sì. Spesso noi dimentichiamo che chi partecipa alle Olimpiadi - a parte chi è già veterano per esperienza - è un giovane come tanti altri dei nostri. Vivono le tensioni della condizione giovanile, ma nello stesso tempo arrivano preparati con un bagaglio di impegno, io direi quasi di ascesi - l’allenamento è una forma di ascesi laica - che impegna il soggetto in una preparazione fatta di sacrificio e anche di ansie e preoccupazioni. Questo forse lo dimentichiamo, non percepiamo che hanno bisogno di essere accompagnati e sostenuti anche in una dimensione interiore, perché la vita interiore dà sostegno anche allo sforzo fisico, allo sforzo mentale e alla sfida che questi ragazzi sono chiamati ad affrontare. La prima sfida ce l’hanno proprio con se stessi, con le proprie tensioni, con le proprie contraddizioni interne.
D. - Una provocazione: non c’è il rischio di diventare una sorta di psicologo, invece che un sacerdote?
R. - Questo è uno dei rischi e se anche qualcuno si vuole considerare tale, io mi sforzo di evitare questa dimensione cercando un approccio diverso con le persone. Un approccio in cui faccio prendere consapevolezza della propria dignità di persona, di uomo, di ragazzo, di giovane e soprattutto a che cosa è chiamato. E’ chiamato a delle sfide, è chiamato forse a vincere: nessuno di noi è chiamato ad essere un perdente, ma magari a percepire la sconfitta come un ricominciare da capo, un riprendere in mano la propria vita, a non arrendersi e andare oltre. In questo senso, lo sport diventa anche luogo di valori, perché ha una consonanza ed una vicinanza anche con la metafora spirituale, dell’agonismo spirituale. La nostra spiritualità è una continua lotta nella ricerca di Dio, nell’incontro con Lui, nel percepirlo come Padre, cercando di lottare contro le tentazioni che accompagnano anche la nostra vita quotidiana.
Al via il "Fiuggi Film Festival", il cinema formato famiglia
◊ Si apre oggi la quinta edizione del Fiuggi Film Festival, in programma fino al 29 luglio: nella cittadina laziale intense giornate di cinema e un programma ricchissimo di attività dedicate alla famiglia, in cui genitori e figli di tutte le età possono condividere le diverse aspettative, riflettere sui problemi e riscoprire la bellezza dello stare insieme. Il servizio di Luca Pellegrini:
La famiglia: fonte di energia inesauribile, di cultura, di progresso. Un festival di cinema le dedica da cinque anni tutte le attenzioni con un programma ampio e composito – fatto anche di incontri, giochi, attività interattive – alternando momenti di divertimento per tutte le età, a pause di riflessione sulle difficoltà e le aspettative che la famiglia affronta nella società contemporanea. E soprattutto come il cinema le assume e le declina. Antonella Bevere Astrei, presidente del Fiuggi Film Festival, ha scelto un tema affascinante: “Il Bello della Famiglia”. La famiglia è bella, ma è anche il luogo ove è possibile educare i giovani alla bellezza. E’ così?
R. - La famiglia è bella, senz’altro. Forma il bello, cioè il bello che si trova al suo interno, è il bello che troveremo nella società che viene.
D. - Scelto il tema, le giornate di Fiuggi come sono organizzate?
R. - Siamo partiti da questo tema ed è stato veramente bellissimo e entusiasmante, perché siamo stati affiancati da una squadra di giovani, che hanno organizzato praticamente tutto il festival e hanno sfruttato il loro entusiasmo nel declinare queste caratteristiche di bellezza. Abbiamo scoperto che c’è sempre una connessione molto stretta tra la bellezza e la bontà, tra il bello e il buono. Qualche volta abbiamo affrontato tematiche anche difficili, problematiche: non sempre il bello nella famiglia si trova immediatamente. Molto spesso, bisogna investire su questa bellezza, bisogna crederci, bisogna lavorarci. Ad esempio, abbiamo affrontato un tema che crea enormi problemi, anzi tragedie nelle famiglie, quello della sicurezza stradale. Lo abbiamo affrontato in collaborazione con la polizia si Stato e sempre con il cinema, con una proiezione “Young Europe”. In questo modo, un tema più che altro preventivo è diventato un momento di incontro per giovani e meno giovani. E così tutti i momenti del festival. Il primo giorno sarà dedicato alla figura del padre: la bellezza e l’importanza, il bello collegato al buono della figura paterna. Ma quando questo padre non c’è più? E abbiamo visto che questa assenza, rimane comunque una presenza. Lo vedremo, oltre che con i film in programma per quel giorno, anche con un documentario sulla figura di Giorgio Marangoni, pilota di volo acrobatico scomparso nel 2009, che in cucina con i suoi figli costruiva i suoi aerei. Il sabato sarà dedicato alla famiglia: mostreremo degli esempi di famiglie veramente incredibili, e quello che possono fare le donne nella famiglia, con delle presenze importanti: ci sarà Chiara Mirante che ci parlerà di una cittadella che i suoi giovani stanno costruendo a Frosinone per ospitare 600-700 casi di persone in difficoltà. Luciana Leone parlerà invece del progetto “Centro internazionale per la famiglia a Nazareth”. Sono esempi molto belli, molto incoraggianti, e poi portati avanti con i giovani, e molto spesso, dai giovani.
Siria: Aleppo paralizzata dagli scontri. I cristiani nel terrore
◊ “Da due giorni Aleppo è paralizzata dai combattimenti. La situazione è molto grave. Sentiamo di continuo spari. La gente è chiusa in casa, gli uffici sono chiusi, le attività commerciali ferme. Gli scontri si stanno avvicinando ai quartieri cristiani e sarebbe un grave pericolo per i fedeli. La gente non vuole la guerra e la violenza: il mondo ci aiuti a ritrovare la pace!”: è l’accorata testimonianza rilasciata all’agenzia Fides da padre Jules Baghdassarian, sacerdote greco-cattolico di Aleppo e direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie (Pom) in Siria. Il direttore afferma che “i combattenti dell’Esercito Libero Siriano vogliono prendere il cuore di Aleppo e nel cuore ci sono le chiese e le case dei cristiani. Le bande armate rivoluzionarie sono in prevalenza islamiste, abbiamo testimoni oculari di ciò, e i cristiani hanno paura di subire violenze. La gente di Aleppo non vuole la rivoluzione, ama la pace. Famiglie cristiane e musulmane sono stanche della violenza, perché la vita è diventata molto dura nell’ultimo anno”. Anche dal punto di vista umanitario la situazione è critica: “Abbiamo già molti rifugiati giunti da Homs” prosegue. “Come Pontificie Opere Missionarie abbiamo accolto e stiamo provvedendo all’assistenza di 30 famiglie di Homs. Le chiese sono molto impegnate per l’aiuto umanitario ai rifugiati, che continuano ad aumentare. Abbiamo grande bisogno di aiuti”. “I vescovi cattolici – riferisce padre Jules – si incontreranno domani nell’arcivescovado greco-cattolico e credo che lanceranno un appello per il cessate-il-fuoco e la pace. Pensiamo che la politica debba fare qualcosa per la pace e la riconciliazione. Come cristiani, la nostra speranza è la riconciliazione. Chiediamo alla comunità internazionale e all’Unione Europea di aiutarci a ritrovare la pace, non di fomentare la guerra!”. (R.P.)
Caritas Svizzera: appello in favore dei rifugiati siriani
◊ “La crisi umanitaria si aggrava in Siria e decine di migliaia di persone, per sfuggire alle violenze, si rifugiano nei Paesi confinanti dove vivono in condizioni molto precarie e in alloggi di fortuna”: questo l’appello lanciato dalla Caritas Svizzera per chiedere aiuti in favore dei rifugiati siriani in Libano e in Giordania. “Sebbene la cronaca della Siria susciti quotidianamente grandi titoli sui giornali – si legge in una nota - il dramma di migliaia di rifugiati rimane un po’ nell’ombra”. Secondo le stime dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Acnur), in Giordania e in Libano si contano, rispettivamente, 35.900 e 33.500 profughi siriani, a cui si aggiungono i tantissimi rifugiati non registrati. Tra loro, molte donne e bambini che hanno preso solo stretto necessario prima di fuggire in un luogo sicuro, mentre i loro mariti sono rimasti in Siria per combattere o perché ormai uccisi. “La situazione è precaria e peggiora di giorno in giorno – continua la Caritas – i rifugiati vivono senza risorse economiche in alloggi di fortuna, nei garage o nei fienili rimasti vuoti, nelle scuole, nelle moschee o sotto le tende”. “Il bisogno di aiuti è enorme e i mezzi a disposizione largamente insufficienti”, sottolinea inoltre Caroline Nanzer, delegata Caritas per i rifugiati in Libano. Insieme alle Caritas di Libano e Giordania, la Caritas Svizzera porta aiuti a più di 3mila rifugiati, distribuendo loro derrate alimentari, articoli sanitari e per l’infanzia, abiti e coperte. L’aiuto si estende anche a 320 lavoratori migranti bloccati in Libano che cercano di tornare nei loro Paesi d’origine. Tutte queste attività sono legate al piano regionale messo in atto dall’Acnur. Chi volesse contribuire con una donazione, può utilizzare il c/c n. 6070004 intestato a Caritas Svizzera ed inserire come causale “Siria”. (I.P.)
Tagikistan. Scontri fra esercito e ribelli islamici: almeno 42 vittime, decine di feriti
◊ Sono almeno 42 le vittime sinora accertate delle violenze fra esercito del Tagikistan e milizie ribelli islamiche nella regione semi-autonoma del Gorno-Badakhshan, provincia montagnosa nella zona orientale del Paese, nei pressi del confine con l'Afghanistan. Il bilancio ufficiale diffuso ieri parla di 12 soldati governativi e 30 estremisti uccisi nei combattimenti; tuttavia, fonti locali di Radio Free Europe (Rfe) parlano di "oltre 100 morti". Almeno 30 dei 40 combattenti catturati dai militari di Dushanbe sarebbero di nazionalità afghana, mentre i feriti sono una trentina circa. I combattimenti sono divampati in seguito all'offensiva lanciata ieri dall'esercito nella regione; l'offensiva dei militari è una risposta all'agguato di cui è rimasto vittima un alto ufficiale tagiko, ucciso con un'arma da taglio. Per il governo - riferisce l'agenzia AsiaNews - dietro l'omicidio vi sarebbe un gruppo armato guidato da Tolib Ayombekov, ex signore della guerra e combattente islamico, dedito al traffico di armi e stupefacenti, oltre che responsabile - secondo le autorità - di crimini "efferati". Epicentro dello scontro fra ribelli ed esercito la città di Khorog, capoluogo della regione autonoma, situata lungo un fiume che segna il confine con il vicino Afghanistan. L'area è abitata dalla minoranza etnica Pamiri e, in passato, al tempo della guerra del 1990 in cui sono morte 100mila persone, era considerata una roccaforte della milizia islamica. Fonti locali raccontano che le autorità del Tagikistan hanno interrotto le comunicazioni telefoniche e bloccato ogni accesso alla regione. Gli abitanti della sponda afghana del fiume riferiscono di aver visto elicotteri da guerra sorvolare i cieli della città e aver udito forti esplosioni, causate da granate, bombe e altri armamenti pesanti. La regione semi-autonoma del Gorno-Badakhshan è diversa per religione ed etnia rispetto al resto del Paese e a lungo ha rappresentato una spina nel fianco per le autorità centrali a Dushanbe. È forse la zona più povera, del Paese più povero fra quelli nati dalla disgregazione dell'impero Sovietico e rappresenta un crocevia del commercio internazionale di oppio, proveniente dall'Afghanistan e diretto in Russia e in Europa occidentale. Gli ultimi episodi di violenza sono divampati in seguito all'omicidio, avvenuto lo scorso 21 luglio, del generale Abdullo Nazarov, responsabile locale del Comitato per la sicurezza nazionale. Per il governo centrale tagiko dietro la sua morte vi sarebbe Ayombekov e i suoi traffici illegali oltreconfine. (R.P.)
Germania: vanno a ruba i bund con i tassi d’interesse ai minimi storici
◊ Lo spread tra buoni del tesoro italiani e bund tedeschi ha toccato oggi quota 545 per poi tornare a scendere. Il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, commentando l’evoluzione dello spread, ha detto che "l'Italia pezzo a pezzo si sta mettendo a posto". Sempre oggi i bund sono andati a ruba con i tassi d’interesse ai minimi storici: la Germania ha infatti venduto bund a 30 anni per 2,32 miliardi di euro con tassi al nuovo minimo e domanda solida. Il rendimento medio è sceso al 2,17%, un livello mai toccato dal 1994, dal precedente minimo del 2,41% dell'asta di aprile. La domanda ha raggiunto i 3,367 miliardi superando l'importo massimo previsto di 3 miliardi. Le Borse per il momento registrano segnali positivi. Ieri l'agenzia Moody's aveva rivisto al ribasso le prospettive del fondo salva-Stati europeo così come le prospettive economiche di Germania, Olanda e Lussemburgo. Intanto, la Commissione europea ha dato il via libera al piano di ricapitalizzazione delle banche spagnole approvato dall'Eurogruppo e dal governo di Madrid. Con questo programma, secondo Joaquin Almunia, commissario alla Concorrenza, “il settore finanziario spagnolo sarà ristrutturato su una base finanziaria sana”. Il presidente francese Francois Hollande, da parte sua, ha chiesto che "siano messi in atto rapidamente e in modo fermo" i provvedimenti approvati dal Consiglio europeo il 28 e 29 giugno.
Ghana: John Dramani Mahama giura come nuovo Presidente
◊ Ha prestato giuramento come Presidente del Ghana, “il quarto della quarta repubblica” scrive oggi la Ghana news agency, John Dramani Mahama. Fino a qualche ora fa seconda carica del Paese, Mahama prende il posto di John Evans Atta Mills, scomparso prematuramente ieri a 68 anni per cause naturali dopo essere stato ricoverato in un ospedale militare di Accra. “Per la prima volta nella nostra storia abbiamo perso un presidente in carica che lavorava instancabilmente per il suo popolo” ha detto Mahama nel primo discorso alla nazione da capo dello Stato. “In queste tragiche circostanze – ha aggiunto – occorre mantenere l’unità e la stabilità del Paese”. A richiamare all’unità è stato anche l’ex presidente ghanese John Agyekum Kufour. Espressioni di cordoglio e messaggi di condoglianze sono giunti da tutto il mondo. Tra gli altri, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha detto che Atta Mills “sarà ricordato per le sue qualità di statista e per gli anni dedicati al servizio del Ghana”. Nato nel 1958 a Damango, nel nord del Ghana, John Dramani Mahama - riporta l'agenzia Misna - è un esperto di comunicazioni, storico, scrittore, esponente di una famiglia da tempo impegnata nella vita pubblica ghanese. Dopo aver completato gli studi superiori nel suo Paese, si è specializzato all’Istituto di scienze sociali di Mosca, nel 1996 è stato eletto per la prima volta in parlamento e tra il 1998 e il 2001 è stato ministro delle Comunicazioni. Dal 2009, con la vittoria alle presidenziali del 2008 di Atta Mills e il ritorno del Congresso nazionale democratico al potere, era vice-Presidente. (R.P.)
Congo: nel Nord Kivu ripresi gli scontri. Ribelli più vicini a Goma
◊ Da 24 ore sono ripresi gli scontri tra l’esercito regolare (Fardc) e i ribelli del Movimento del 23 marzo (M23), provocando una nuova ondata di sfollati dai villaggi di Kakomero e Mwaro, a una trentina di chilometri da Goma, capoluogo della provincia del Nord-Kivu (est). Lo riferisce l’emittente locale ‘Radio Okapi’, aggiungendo che i miliziani sarebbero transitati anche dalle località di Ngugo, Bisoko e Rwaza, nei pressi della base militare di Rugaru. Bloccati nella loro fuga a causa delle bombe e dei colpi d’arma da fuoco, almeno 2.000 civili starebbero cercando di raggiungere la località di Rumangabo e di spingersi verso Goma, che nelle ultime settimane ha già accolto 10.000 sfollati. L’emittente locale ‘Radio Kivu1’ ha confermato che la popolazione di Kibumba si è rifugiata nelle scuole di Kanyaruchina e Kibati e che necessita di aiuti alimentari e acqua. Hanno sorvolato la zona gli elicotteri della Missione Onu nella Repubblica democratica del Gongo (Monusco) per contrattaccare i miliziani e sostenere le forze governative in difficoltà. “Ci sono stati attacchi contro le popolazioni civili” ha dichiarato Mamodj Mounoubaï, portavoce della Monusco. Finora non è stato diffuso alcun bilancio di eventuali vittime o feriti. “I ribelli del M23 hanno ottenuto rinforzi da altri gruppi armati con l’obiettivo di riuscire a prendere pienamente il controllo della provincia del Nord-Kivu. Ora puntano su Goma prima del dispiegamento di una forza regionale nella zona” ha detto all'agenzia Misna Thomas d’Aquin Muiti, presidente della società civile della provincia. L’M23 è essenzialmente formato da ex combattenti della ribellione tutsi congolese del Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp), integrati nell’esercito sulla base di un accordo di pace firmato con Kinshasa nel marzo 2009 e di cui rivendicano la piena applicazione. Il Cndp, del generale latitante Bosco Ntaganda, era sostenuto dal Rwanda che vi vedeva uno strumento per contrastare il gruppo ribelle hutu ruandese delle Forze democratiche di liberazione del Rwanda (Fdl) riparato nell’est congolese dopo il genocidio del 1994. Gli ammutinati del M23 hanno cominciato a combattere lo scorso aprile e da allora hanno guadagnato sempre più terreno: hanno stabilito le proprie basi nel parco nazionale del Virunga e tengono saldamente il controllo di diverse località tra cui la strategica Rubagna, al confine con l’Uganda. (R.P.)
Congo: iniziative della Chiesa per dire “no” alla divisione del Paese
◊ La Chiesa nella Repubblica Democratica del Congo ha lanciato una serie di iniziative per dire no alla “balcanizzazione” del Paese, la cui integrità territoriale è minacciata dall’ennesima rivolta armata nel Nord Kivu. Secondo don Léonard Santedi, segretario generale della Conferenza episcopale nazionale del Congo (Cenco), le iniziative previste sono: un triduo di preghiera per la pace, l’unità e l’integrità territoriale, che si terrà dal 31 luglio al 1°agosto con un’apposita preghiera da recitare ogni giorno alla fine delle celebrazioni eucaristiche e delle assemblee di preghiera; la “Marcia della speranza” indetta in tutte le diocesi il 1° agosto per dire no alla “balcanizzazione”; una colletta nazionale in favore delle popolazioni colpite dalle violenze; l’invio di una mozione di sensibilizzazione sulla guerra nell’est a istituzioni nazionali e internazionali (ambasciate dei Paesi membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, all’Unione Europea e all’Unione Africana); una visita pastorale di solidarietà della presidenza della Cenco, insieme ai vescovi delegati delle province ecclesiastiche, nelle diocesi toccate dalla guerra. Il Nord Kivu è sconvolto dalla guerra condotta dall’M23 un movimento ribelle ufficialmente formato da militari disertori dell’esercito congolese, ma che è fortemente sospettato di essere sponsorizzato dal vicino Rwanda, con il fine di annettere questa regione ricchissima di risorse minerarie e di altro tipo. Sia i vescovi della regione sia la Cenco sono già intervenuti nel denunciare la situazione creatasi nell’area, che ha costretto alla fuga centinaia di migliaia di persone. (R.P.)
Nigeria: piogge torrenziali causano morti e devastazioni
◊ A causa delle forti piogge che si stanno abbattendo in Nigeria, nella regione centrale di Plateau, finora almeno 35 persone sono morte, 50 risultano scomparse e 370 abitazioni sono state distrutte o sommerse dall’acqua. La maggior parte delle vittime - rriferisce l'agenzia Fides - sono bambini tra 3 mesi e 13 anni di età, travolti nel sonno della notte. Si cercano ancora molti corpi. Nelle ultime settimane specialmente a Jos, Lagos o nella popolosa Ibadan, 150 chilometri a nord della capitale, le inondazioni continuano a causare danni e la chiusura delle strade. L’acqua piovana e quella dalla diga Lamingo hanno spazzato diversi quartieri della città. Attualmente sono stati allestiti due campi di accoglienza per 700 sfollati che ricevono un pò di acqua e cibo. Le più grandi città della Nigeria, sono sovraffollate, con molti residenti che vivono in baraccopoli precarie. I sistemi di drenaggio sono spesso mal gestiti e contribuiscono ad aggravare il problema. Con circa 170 milioni di abitanti integrati in oltre 200 gruppi tribali, la Nigeria, che è la nazione più popolosa dell'Africa, soffre diverse tensioni dovute alle sue profonde differenze politiche, religiose, territoriali. Durante la stagione delle piogge, che dura da marzo a ottobre, nella zona di Ibadan, lo scorso anno sono morte 102 persone, una ventina a Lagos e 24 a Kano, la città più grande della Nigeria settentrionale. Nel 2010, le piogge torrenziali hanno colpito circa mezzo milione di persone in due terzi dei 36 Stati nigeriani. (R.P.)
Kenya: incontro sul ruolo dei media nella costruzione della pace
◊ “Il ruolo dei mass media nella costruzione della pace, la soluzione dei conflitti e la good governance”: su questo tema discutono i comunicatori cattolici dell’Africa, riuniti a Mombasa, in Kenya, per un seminario di quattro giorni. L’evento, che è iniziato ieri, è organizzato dall’Unione cattolica africana della stampa e vede partecipanti da numerosi Paesi: Kenya, Burkina Faso, Uganda, Tanzania, Ghana, Sudafrica, Zimbabwe, Etiopia. Inaugurando i lavori, l’arcivescovo di Mombasa, mons. Boniface Lele, ha esortato i giornalisti a darsi da fare per aiutare la promozione della pace fra le popolazioni africane. In particolare, il presule ha richiamato l’importanza di monitorare il traffico di armi ed i temi più urgenti che emergono dai conflitti, come quelli legati al controllo del petrolio. Esprimendo poi preoccupazione per la prevalenza di Internet come rete comunicativa, mons. Lele ha invitato la stampa cattolica a diffondere lo stile cristiano della comunicazione nel mondo digitale. “I social network – ha detto il presule – non solo hanno cambiato il modo in cui comunichiamo, ma anche la comunicazione stessa, tanto che ora ci troviamo a vivere un periodo di grande trasformazione culturale”, poiché “la velocità con cui oggi viaggia l’informazione ha ridotto il mondo ad un villaggio globale”. Infine, l’arcivescovo di Mombasa ha incoraggiato i giornalisti cattolici a spronare i rispettivi vescovi nella missione di riconciliazione della popolazione che vive nelle zone di conflitto. Tra i relatori del seminario, anche Joseph Warungu, per vent’anni alla Bbc, il quale ha messo in luce come il compito di ‘dettare l’agenda’ sia passato dai media ai politici, con la conseguenza che il mondo dell’informazione oggi si limita a registrare gli avvenimenti, senza alcuna anticipazione o preparazione. Di qui, l’invito ai giornalisti cattolici affinché si riprendano la gestione dell’agenda e facciano la loro parte nell’assicurare una pace duratura ed uno sviluppo sostenibile a tutta l’Africa. (I.P.)
Cile: appello Caritas nel conflitto nella regione di Araucania
◊ L'Istituto Indigeno ha pubblicato una dichiarazione nella quale condanna i fatti di violenza degli ultimi giorni avvenuti nella regione cilena di Araucania e propone la via della giustizia come l’unica che porta verso la pace. Il comunicato è stato inviato all’agenzia Fides dalla Pastorale Sociale Caritas. La dichiarazione, firmata dal presidente dell'Istituto, padre Giglio Linfati Cantergiani, e dalla segretaria esecutiva, Soledad Molinet Huechucura, osserva che "in questi ultimi giorni abbiamo assistito a nuove violenze: case, camion, strumenti di lavoro bruciati e distrutti da un incendio, atti che danneggiano l'intera comunità regionale. Vogliamo esprimere la nostra sincera solidarietà agli agricoltori e alle famiglie che hanno subito questa azione irrazionale di un piccolo gruppo di persone. Ci aspettiamo che le autorità responsabili di indagare e di fare giustizia agiscano rapidamente e in modo trasparente”. “Come Fondazione Istituto Indigeno dobbiamo denunciare e condannare questi atti di violenza, da qualunque parte essi provengano; noi crediamo che il vero dialogo debba prevalere e l'invito è di farlo con convinzione e rispetto verso le diverse realtà della regione. Ribadiamo che solo la via della giustizia conduce alla pace” afferma il comunicato. La dichiarazione invita anche a conoscere meglio il cosiddetto "conflitto mapuche", per comprendere bene la situazione attuale, e manifesta fiducia nelle possibilità dello Stato di rispondere al problema e proteggere le proprietà degli abitanti della zona. Invita in tono energico a cercare delle vie alternative per avere il consenso delle parti in conflitto. La Chiesa è intervenuta in molte occasioni al riguardo. I “Mapuche” sono un gruppo di indigeni appartenenti al movimento che rivendica i diritti politici e territoriali della loro comunità. (R.P.)
Messico: allarmante discriminazione nei confronti delle donne
◊ Il vescovo ausiliare di Durango, mons. Enrique Sanchez Martinez, ha denunciato “l’allarmante discriminazione contro le donne in Messico”, in particolare nella sua diocesi. Ha affermato che “la violenza contro le donne a Durango è allarmante; secondo i dati ufficiali, il tasso di morte per questo motivo è raddoppiato nel 2009, quando sono stati registrati 6,72 omicidi ogni 100.000 abitanti”. In un comunicato diffuso dalla Conferenza episcopale messicana (Cem) e inviato all'agenzia Fides, il presule informa che ci sono state molte indagini e studi con approcci diversi sul tema, e anche la Chiesa cattolica ha fatto il proprio studio. La Commissione Economica delle Nazioni Unite per l'America Latina (Cepal), nel rapporto "Del dicho al hecho" (dalle parole ai fatti), rileva che in 10 anni sono stati compiuti dei progressi nel riconoscimento dei diritti delle donne, ma i funzionari e le autorità, compresi i giudici, non applicano queste norme, così maltrattamenti, abusi e discriminazione continuano. Mons. Sanchez Martinez ha inoltre osservato che il continente americano è ancora la regione più diseguale e pericolosa per le donne, perché sono soggette a maltrattamenti, abusi sessuali in ambito familiare, mortalità materna e aborti. Nel migliore dei casi, una donna latinoamericana su 10 subisce violenze fisiche. Il tasso di fecondità è sceso da 5,9 figli negli anni 50 a 2,4 nei primi cinque anni del nuovo secolo, ma la gravidanza fra le adolescenti è raddoppiata. In estrema sintesi, il vescovo ha affermato che "la povertà ha un volto femminile". Le ragioni oggettive di questa situazione sono la persistenza di pregiudizi trasmessi attraverso la famiglia e l'educazione scolastica, la mancanza di parità tra uomini e donne, la mancanza di protezione alla vita familiare e alla maternità, lo sfruttamento attraverso il traffico di persone e la prostituzione. (R.P.)
Usa: appello dei vescovi del Missouri sul diritto a esprimere pubblicamente la propria fede
◊ Il prossimo 7 agosto i cittadini del Missouri saranno chiamati ad esprimersi su un importante emendamento alla Costituzione dello Stato che sancirebbe il diritto di pregare ed esprimere pubblicamente la propria fede. In vista del referendum, i vescovi dello Stato invitano gli elettori cattolici a votare a favore del provvedimento che, affermano, tutela “il diritto alla libertà religiosa, garantendo nel contempo che né lo Stato, né un qualsiasi potere politico possono imporre una religione ufficiale”. Secondo i presuli, il “Right to Pray Amendment” è “coerente con l’insegnamento cattolico sulla libertà di coscienza e il diritto degli individui a non essere sottoposti ad alcuna forma di coercizione” che pregiudichi la loro libertà di credo. “I credenti – si legge in una nota pubblicata dalla Conferenza Cattolica del Missouri e ripresa dall’agenzia Cns - devono vedere garantita la libertà di esercitare ed esprimere la propria fede pubblicamente senza doversi sentire costretti ad adeguarsi alle mutevoli norme sociali ”. Si tratta quindi di una tutela aggiuntiva – sottolinea la nota – che si rende tanto più necessaria “in una società in cui i valori religiosi vengono sempre più marginalizzati dalla società”. Concetti ribaditi in un nuovo comunicato diffuso in questi giorni che risponde agli oppositori del “Right to Pray Amendment” secondo i quali la libertà religiosa è già ampiamente tutelata dall’attuale ordinamento. In realtà - affermano i vescovi – l’emendamento aggiunge un ulteriore diritto fondamentale a tutela della libertà religiosa e di coscienza. Oltre, infatti, ad affermare che ogni cittadino è libero di professare il proprio Dio secondo coscienza, esso permette ai ministri religiosi, al clero e ad altre persone di pregare anche nelle sedi istituzionali”. Inoltre la misura, “afferma il diritto degli studenti di esprimere il loro credo religioso e di non vedersi costretti a partecipare a iniziative che violano tale credo”. (A cura di Lisa Zengarini)
Pakistan: nel Punjab terreni agricoli strappati illegalmente ai cristiani
◊ Influenti musulmani si appropriano di 40 acri di terreno agricolo appartenenti a famiglie cristiane in Punjab, con la complicità della polizia: quanto segnalato all’agenzia Fides da fonti locali, è un sottile strumento di oppressione contro i cristiani in Pakistan, il “land grabbing”, l’appropriazione di terreni altrui. Tale abuso viene utilizzato sistematicamente da proprietari terrieri e potenti imprenditori musulmani in Pakistan, a danno di famiglie povere e indifese, delle minoranze religiose. Come riferito a Fides dall’organizzazione cristiana Lead (“Legal Evangelical Association Development”), nei giorni scorsi otto funzionari di polizia del distretto di Kasur (Punjab), insieme a uomini armati, a servizio di ricchi latifondisti musulmani, sono arrivati sul terreno agricolo dei cristiani Ashiq Masih e Khushi Masih. Hanno malmenato le donne che lavoravano nei campi, creando panico e disordine, registrando poi alcune denunce penali (First Information Report) a carico dei cristiani. “Gli agenti di polizia ci hanno violentemente tolto il velo dalla testa e hanno iniziato a colpirci” hanno riferito le donne al team di Lead. In seguito a tali false denunce, i cristiani saranno arrestati e il loro terreno verrà requisito e occupato dalle famiglie musulmane che hanno orchestrato il tutto. “Tali operazioni – nota a Fides la Lead – di solito hanno successo perché l’impunità e garantita. Cercheremo di difendere i diritti dei cristiani del Punjab legalmente, ricorrendo in tribunale”. (R.P.)
Hong Kong: tutte le scuole contro l’educazione patriottica imposta da Pechino
◊ Dopo la Chiesa cattolica e i movimenti democratici del Territorio, anche il Partito Liberale e persino gli editori scolastici stanno contrastando l'entrata in vigore della nuova materia "Educazione nazionale" nelle scuole di Hong Kong. Secondo i critici, l'argomento è troppo ampio e troppo vago per essere inserito nel normale curriculum scolastico; inoltre, come sottolinea da anni la diocesi, esso punta a "lavare il cervello" degli studenti locali. Tutto nasce dalla riforma scolastica voluta dal governo centrale cinese nel 2002 e varata nel 2004. Essa prevede che in ogni scuola - dalle elementari in poi - siano approntate delle non meglio definite "classi di educazione nazionale", argomento che dovrebbe essere trattata come una materia a parte. Alcuni giorni fa, l'assistente diocesano per l'educazione ha chiarito che nelle centinaia di scuole della Chiesa la materia non sarà introdotta alla riapertura di settembre. Tra l'altro, al momento nessun editore di Hong Kong - neanche quelli vicini al governo di Pechino - è in grado di approntare i materiali scolastici per questa materia. Ben Mak, vice direttore regionale della Oxford University Press, spiega: "Di norma abbiamo bisogno di due anni di preparazione. Ma questa materia è stata introdotta ad aprile per settembre. Non ce la faremo". È andata male anche agli squali del settore, che hanno prodotto alcuni libri sulla falsariga di quelli in uso nella Cina continentale ma non hanno trovato acquirenti. Shek Kwok-kei, della Pilot Publishing, spiega che la sua compagnia ha speso un anno per mettere insieme i materiali necessari ma ora le scuole "non li vogliono. Volevo essere un pioniere, ma gli istituti non conoscono il gioco e non vogliono ancora giocare". A queste critiche si è aggiunto il Partito Liberale, che ha manifestato oggi davanti all'Ufficio per l'educazione di Hong Kong e ha consegnato una petizione al governo locale chiedendo un nuovo round di consultazioni fra le parti in causa. Miriam Lau Kin-yee, presidente del partito, spiega: "Non siamo contro l'educazione nazionale, ma abbiamo trovato molte aree grigie nei materiali didattici". (R.P.)
“Cammini di fede”: iniziativa ecumenica per le Olimpiadi di Londra
◊ Mancano solo due giorni all’inizio della 30.ma edizione delle Olimpiadi, in programma a Londra fino al 12 agosto. E sono tante le iniziative che la Chiesa locale ha messo in atto, per ribadire lo spirito di pace che deve animare i giochi. Particolare rilevanza viene data anche all’ecumenismo ed è in quest’ottica che la diocesi anglicana di Londra ha deciso di includere tre Chiese cattoliche nei così detti “Cammini di fede”, ovvero un opuscolo informativo sui luoghi sacri che i turisti possono visitare in città. Le tre Chiese cattoliche illustrate nel libretto sono “Our Lady in St John’s Wood”, “Immaculate Conception on Farm Street” che include il quartier generale inglese dei gesuiti, e “St. Patrick” a Soho, recentemente restaurata. Tale iniziativa, si legge in una nota, “dimostra in modo concreto il vibrante spirito ecumenico che esiste tra anglicani e cattolici a Londra ed è il risultato dell’Associazione ecumenica ‘More than gold’ che da tre anni lavora ai preparativi delle Olimpiadi”. Inoltre, come spiega James Parker, coordinatore generale cattolico per i Giochi 2012, “l’opuscolo sui ‘Percorsi di fede’ fornisce alla folla di visitatori un’oasi di calma, insieme alla possibilità di vivere un momento di rinnovamento spirituale in un luogo di preghiera, godendo, al contempo, delle bellezze artistiche delle Chiese”. Sono oltre 40 gli edifici sacri illustrati nel libretto e ciascuno è collegato, tramite un percorso a piedi, con uno dei sei siti Olimpici istituiti a Londra. (A cura di Isabella Piro)
Polonia: a Kostrzyn il Congresso internazionale sulla Nuova evangelizzazione
◊ Si terrà nella cittadina polacca di Kostrzyn sabato prossimo il I Congresso internazionale sulla nuova evangelizzazione al quale parteciperanno fra i relatori mons. Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, il presidente della conferenza episcopale polacca mons. Jozef Michalik e l’arcivescovo di Varsavia il cardinale Kazimierz Nycz. Saranno 1.200 i partecipanti all’incontro, appartenenti a diversi movimenti e associazioni impegnati nel campo dell’evangelizzazione. Nei numerosi dibattiti - riferisce l'agenzia Sir - si farà il punto sui diversi ambiti dell’opera evangelizzatrice e sulla situazione attuale della Chiesa polacca anche da un punto di vista sociologico. Il Congresso di Kostrzyn si annuncia come un grande evento di tutt’una serie di iniziative. Un particolare significato assumono i pellegrinaggi estivi di gruppi di fedeli diretti a Czestochowa. “In questo modo vogliamo rispondere all’appello di Giovanni Paolo II che ci ha invitati a partecipare all’opera della nuova evangelizzazione”, ha detto il cardinale Stanislaw Dziwisz annunciando il pellegrinaggio di oltre 10 mila abitanti di Cracovia al famoso santuario mariano. “Attraverso la fede, gli uomini e le donne di ogni età cui nome è iscritto nel libro della via hanno dichiarato che è bello seguire il Signore Gesù lì dove siamo chiamati per dare testimonianza cristiana”. (R.P.)
Portogallo: al via “Sabi”, progetto missionario educativo per i più poveri
◊ In lingua creola, “sabi” significa “una cosa buona”. Quale nome migliore dare, dunque, ad un progetto missionario educativo destinato ai più poveri? L’idea parte dalla parrocchia del Parco delle nazioni a Lisbona che sta lavorando alla formazione di giovani missionari, affinché possano collaborare nel modo migliore con le comunità più bisognose, in particolare con quelle situate a São Tomé e Príncipe. Per questo, è stato attuato un protocollo di gemellaggio con la parrocchia locale di Santana, dove i giovani missionari provenienti da Lisbona potranno recarsi, al termine dei due anni di preparazione stabiliti dal progetto “Sabi”, il quale coinvolge molte istituzioni anche nello stesso Portogallo. Come dice la missionaria laica Cláudia Pinheiro, “bisogna impegnarsi nel fare tutto il possibile per migliorare la vita” degli altri. Tra le attività più significative del periodo di formazione, ci sono i “campi di lavoro”, della durata di un fine-settimana, in cui i giovani missionari vengono chiamati a partecipare alla vita di organizzazioni legate alle parrocchie. “Andiamo là con l’obiettivo di fare qualcosa per le comunità – spiega Cláudia Pinheiro – con i bambini, gli anziani, i malati, perché abbiamo tempo, nella vita, per fare tutto e vogliamo dedicare il nostro tempo non solo a noi stessi, alla nostra famiglia o ai nostri amici, ma anche agli altri”. (I.P.)
Premio Michelangelo a Etsuro Sotoo, successore di Gaudì
◊ Il vincitore della quindicesima edizione del Premio Michelangelo è lo scultore Etsuro Sotoo, che ha ereditato dal genio dell’architettura modernista catalana il cantiere de la Sagrada Família a Barcellona. Immedesimandosi nello spirito di Gaudí — «non imitandolo, ma guardando là dove lui guardava» — Sotoo ha realizzato centinaia di sculture, completando il portale della Natività e restaurando il chiostro del Rosario, danneggiato dai bombardamenti della guerra civile. Tra le sculture di Gaudí che Sotoo ha rifatto nel chiostro del Rosario c’è quella di un giovane operaio tentato dal demonio dall’idea di farsi giustizia da sé, facendo esplodere una bomba. Il giovane anarchico sta per sfiorare l’ordigno, ma il suo sguardo si fissa sull’immagine della Madonna, al centro del portale. È proprio grazie all’incontro con Gaudí - riferisce L'Osservatore Romano - che Sotoo ha incontrato Cristo e si è fatto battezzare con il nome di Luca Michelangelo. Lo stesso Buonarroti, mentre ispezionava la materia, era solito dire «qui dentro c’è Cristo», perché tutto ciò che esiste è occasione di rapporto con Dio. «Se la bellezza può esistere da sola — ha detto recentemente Sotoo — le arti dell’uomo no, perché non sono fini a se stesse, sono per la società. Non esiste arte senza amore, non possiamo vivere bene da soli. La bellezza è dentro di noi, non nei musei, perché Dio ci ha toccato il cuore. Il problema dell’uomo, forse, è proprio quello di non ricordare la bellezza che ha in sé». Il Premio Michelangelo, ideato da Giulia Mazzarol Pace, presidente dell’associazione culturale Il Cerchio, consiste in una scaglia di marmo, a rappresentare un blocco di bianco statuario delle storiche cave del Polvaccio — oggi Cave Michelangelo — offerto da Franco Barattini; la premiazione si svolgerà il 29 luglio al varco di levante del Porto di Marina di Carrara. (R.P.)
Musica sacra: 200 partiture dal mondo alla Sagra Umbra. Il cardinale Ravasi: successo non stupisce
◊ Duecento partiture dai cinque continenti, ventiquattro Paesi di provenienza, da Israele al Guatemala, dall’Indonesia al Canada alla Thailandia: è lo sbalorditivo numero di lavori di musica sacra inviati negli ultimi mesi alla Fondazione Perugia Musica Classica che, insieme con il Pontificio Consiglio della Cultura, ha indetto lo scorso marzo il Premio di composizione “Francesco Siciliani” per un’opera di musica sacra. Il Premio vivrà la serata culminante il prossimo 14 settembre a Perugia, quando – nell’ambito dei concerti della 67.ma Sagra Musicale Umbra – verrà proclamatala partitura vincitrice. Il Concorso prevedeva l’elaborazione di una composizione per coro con o senza organo, su testo obbligato, ossia il “Simbolo Apostolico”, scelto dal cardinale Gianfranco Ravasi in vista dell’“Anno della fede”. E proprio il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, informato del successo di partecipazione registrato dal Concorso, ha detto di non essere stupito: “Da anni – ha soggiunto – mi sono accorto che il dialogo tra arte e fede è al centro degli interessi di tutti gli artisti e proprio la musica è il linguaggio privilegiato dell’espressione spirituale”. “Una impressione formidabile: tutta la terra intona il Credo”, gli ha fatto eco in una dichiarazione il maestro Alberto Batisti, direttore artistico del Festival umbro. Ora, la giuria internazionale presieduta dal compositore georgiano Giya Kancheli – della quale fanno parte tra gli altri lo stesso Batisti e don Massimo Palombella, maestro di coro della Cappella Sistina – è attesa da un impegnativo lavoro di selezione, che dovrà portare alla serata finale le tre partiture giudicate migliori. L’Europa, con 16 nazioni, è il continente più rappresentato, ma l’ispirazione sacra non ha davvero avuto confini: partiture sono giunte anche da Australia, Libano, Canada e Stati Uniti. (A.D.C.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 207