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Sommario del 23/07/2012
◊ La Santa Sede reagisce in modo durissimo alle false accuse di complicità sulla fuga di documenti riservati vaticani apparse su due quotidiani. La Segreteria di Stato esprime ferma e totale riprovazione. Dura nota di padre Lombardi contro il quotidiano La Repubblica. Il servizio di Sergio Centofanti.
Il quotidiano La Repubblica copia quasi letteralmente un servizio apparso più di una settimana fa sul giornale tedesco Die Welt e non ripreso da altre testate per l’evidente infondatezza delle interpretazioni che insinuano gravi sospetti di complicità da parte di alcune persone vicine al Santo Padre. La Segreteria di Stato esprime “ferma e totale riprovazione per tali pubblicazioni, non fondate su argomenti oggettivi e gravemente lesive dell’onorabilità delle persone interessate, da molti anni al fedele servizio del Santo Padre. Il fatto che non siano stati ancora resi noti i risultati delle indagini da parte delle autorità a ciò deputate – afferma la Segreteria di Stato - non legittima in alcun modo la diffusione di interpretazioni e tesi non fondate e false. Non è questa l’informazione a cui il pubblico ha diritto”.
Padre Lombardi, a sua volta, è molto duro sull’ennesima uscita del quotidiano italiano. L’articolo indica tre persone come corresponsabili della vicenda: il cardinale Paolo Sardi, mons. Josef Clemens e la signora Ingrid Stampa. Se queste persone sono state ascoltate durante le indagini – sottolinea il portavoce vaticano – “non significa in alcun modo” che siano sospettate. Ed è un “fatto di estrema gravità” “gettare simili sospetti – con il rimando in prima pagina del giornale – su persone degne di rispetto, che hanno svolto con impegno molti anni di servizio totalmente dedicato alla persona del Santo Padre”.
“La mia prudenza nel parlare delle indagini e delle persone – prosegue il direttore della Sala Stampa vaticana - è sempre stata motivata dalla stessa ragione: il rispetto del segreto sulle indagini e della comunicazione dei risultati da parte delle legittime istanze nel tempo e nel modo debito, opponendomi ad indiscrezioni parziali e incontrollate i cui risultati deleteri sono sempre evidenti. Certamente non ha alcun senso mettere in collegamento la mia prudenza con quanto affermato oggi in questo articolo”.
Padre Lombardi definisce poi “ipocrita” la seguente affermazione – “fatta per dovere” - che si legge nell’articolo: “Com’è ovvio, per tutti vale la presunzione di innocenza”. “Quanto a un loro ‘allontanamento’ dai loro incarichi – si precisa - il card. Sardi ha terminato il suo compito in Segreteria di Stato quando aveva ormai compiuto i 75 anni, la signora Stampa continua a lavorare in Segreteria di Stato, e Sua Ecc. Clemens è Segretario del Pontificio Consiglio dei Laici da diversi anni ed è falso che abbia ricevuto dal Papa una lettera come quella descritta nell’articolo di Die Welt (lettera a cui Repubblica fa riferimento solo indirettamente)”.
“A questo punto – sottolinea il portavoce vaticano - è giusto far notare come l’informazione data in articoli di Repubblica su tutta questa vicenda sia stata particolarmente – e direi inspiegabilmente – caratterizzata da interventi che ho dovuto ripetutamente e pubblicamente smentire”. Si ricordano alcune occasioni più evidenti: “La presunta intervista (mai esistita) con la moglie di Paolo Gabriele poco dopo l’arresto (27 maggio); l’intervista con un monsignore non identificato in cui si affermava l’esistenza di una (assolutamente inesistente) équipe di ‘relatori’ coordinata da una donna, che doveva riferire direttamente al Papa (28 maggio); l’articolo su un presunto ‘hacker’ (assolutamente inesistente) consulente informatico del Vaticano improvvisamente scomparso (14 giugno); l’indicazione di tre nomi di cardinali che sarebbero stati interrogati dalla Commissione cardinalizia (falso in tutti e tre i casi) (19 giugno). Ora – afferma padre Lombardi - questo articolo copiato in modo praticamente letterale dal tedesco una settimana dopo, che addita intenzionalmente come ‘complici’ tre persone degne di stima e rispetto sembra colmare la misura. In un tema complesso e delicato come questo – conclude il direttore della Sala Stampa vaticana - mi sembra che i lettori di uno dei più diffusi quotidiani italiani meritassero ben altro rispetto della correttezza e della deontologia dell’informazione”.
La Chiesa ricorda Santa Brigida. Il Papa: la fede regalò gioia al suo matrimonio
◊ La Chiesa fa memoria oggi di una grande Santa medievale, Brigida di Svezia, compatrona d'Europa. Alla sua figura di solida cristiana – di moglie e madre, di vedova e fondatrice di un Ordine religioso – Benedetto XVI dedicò un’udienza generale nell’ottobre di due anni fa. La sua catechesi fu, tra l’altro, un “inno” alla bellezza del matrimonio cristiano. Alessandro De Carolis ne ripropone alcuni passaggi in questo servizio:
Fa una certa impressione in epoca di conclamate nevrosi sentimentali e di matrimoni meno solidi di un castello di carte – in cui la crisi di un rapporto affettivo, complice una martellante linea culturale e mediatica, è spesso presentata come chance per nuove e intriganti scoperte piuttosto per ciò che è nella realtà, una frattura dai costi umani e sociali spesso devastanti, e ormai praticamente incapace di comprendere la parola “riconciliazione” – sentir parlare di una coppia che “funziona”. Di un uomo e una donna che si amano, che condividono gli stessi valori, che tirano su otto figli, che si danno da fare nel sociale con i poveri, insieme. Brigida di Svezia non è la strana eroina di una fiction, ma una donna in carne e ossa, per trent’anni sposata a Ulf, uomo – spiegò una volta Benedetto XVI – che grazie all’intelligenza e alla sensibilità di questa donna ebbe modo di diventare egli stesso migliore. Il segreto? La convinzione che il Vangelo è un libro che illumina la vita e che dunque coltivare la propria fede significa coltivare anche la felicità con il proprio partner:
“Brigida, spiritualmente guidata da un dotto religioso che la iniziò allo studio delle Scritture, esercitò un influsso molto positivo sulla propria famiglia che, grazie alla sua presenza, divenne una vera ‘chiesa domestica’. (...) Questo primo periodo della vita di Brigida ci aiuta ad apprezzare quella che oggi potremmo definire un’autentica 'spiritualità coniugale': insieme, gli sposi cristiani possono percorrere un cammino di santità, sostenuti dalla grazia del Sacramento del Matrimonio”. (Udienza generale, 27 ottobre 2010)
Santa Brigida, proclamata da Giovanni Paolo II compatrona d’Europa, vive un’esperienza particolare. La vedovanza, che la coglie dopo una lunga vita coniugale, lungi dal prostrarla le apre il cuore a Dio in modo ancor più intenso come testimoniano le rivelazioni divine sulla Passione di Cristo di cui è depositaria. Fonda anche un Ordine religioso, con ramo maschile e ramo femminile, e conclude la sua esistenza nel 1373. Una donna poliedrica, dalla cui vita Benedetto XVI ha tratto questo auspicio:
“Possa lo Spirito del Signore suscitare anche oggi la santità degli sposi cristiani, per mostrare al mondo la bellezza del matrimonio vissuto secondo i valori del Vangelo: l’amore, la tenerezza, l’aiuto reciproco, la fecondità nella generazione e nell’educazione dei figli, l’apertura e la solidarietà verso il mondo, la partecipazione alla vita della Chiesa”. (Udienza generale, 27 ottobre 2010)
Mons. Pier Luigi Celata nominato dal Papa vice camerlengo di Santa Romana Chiesa
◊ Benedetto XVI ha nominato vice camerlengo di Santa Romana Chiesa mons. Pier Luigi Celata, arcivescovo tit. di Doclea.
Centrafrica: il cardinale Filoni ha ordinato 4 vescovi
◊ “Un messaggio di speranza e di sostegno” è stato portato dal cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, alla Chiesa della Repubblica Centrafricana, con la consacrazione di quattro Vescovi che ha presieduto ieri, domenica 22 luglio, a Bangui. “La Chiesa del Centrafrica brillerà della luce di Cristo! Vi invito ad un rinnovato impegno per la missione: l’ora di un nuovo inizio è suonata! Una nuova era deve iniziare!” ha detto il cardinale dinanzi ad una folla di oltre 1.500 fedeli riuniti sulla piazza antistante la cattedrale di Bangui per la consacrazione episcopale di mons. Dieudonné Nzapalainga (arcivescovo di Bangui), mons. Nestor-Désiré Nongo Aziabgia (vescovo di Bossangoa), mons. Dennis Abgenyadzi (vescovo di Berbérati) e mons. Cyr-Nestor Yapaupa (vescovo coadiutore di Alindao). Con il cardinale Filoni - riferisce l'agenzia Fides - hanno concelebrato la Santa Messa, durata 5 ore, tutti i vescovi della Repubblica Centrafricana, cui si sono uniti altri vescovi provenienti dalla Francia, dal Camerun, dal Ciad, dal Ghana, oltre al presidente dell’Acerac (Associazione delle Conferenze episcopali dell’Africa centrale). Hanno presenziato le più alte autorità civili: il Presidente della Repubblica, François Bozizé; il presidente dell'Assemblea nazionale, Célestin Leroy Gaombalet; il Primo Ministro, Faustin Archange Touadera; il sindaco di Bangui, Nazaire Guenefe-Yalanga. “Il Santo Padre Benedetto XVI vi ha donato, il 14 maggio, festa dell’Apostolo San Mattia, quattro nuovi Pastori” ha detto il cardinale nell’omelia. “Dio ve li dona per farvi pascere, per governarvi, vale a dire, per soddisfare la sete e la fame delle vostre anime, conducendovi ad acque sicure. Dio ve li invia per insegnarvi la Sua Parola, che è la Luce e la Verità che illumina gli uomini sulla strada della vita. Dio ve li dona per santificarvi attraverso i Sacramenti, che sono la presenza di Dio, mediante il suo Spirito, in mezzo a noi”. Commentando le letture bibliche del giorno, il cardinale ha messo in evidenza come “Dio realizza la sua promessa di essere pastore del suo popolo abbandonato, suscitando Gesù di Nazareth, il Buon Pastore. Il Vangelo delinea uno dei tratti importanti della figura di questo Pastore: la pietà.” Su questo tema il cardinale si è soffermato a lungo, evidenziando tra l’altro che “essere cristiano è diventare, sull’esempio di Gesù, icona della tenerezza, della misericordia e della compassione di Dio”. Se questo è valido per ogni cristiano, lo è ancora di più per coloro che sono scelti da Dio ad essere vescovi. Dopo aver richiamato il significato dei riti liturgici della consacrazione episcopale, il cardinale Filoni ha sottolineato: “Gesù non riduce il mandato affidato ai suoi Apostoli ad una sola dimensione, ma li rende evangelizzatori per un raggio di azione di 360 gradi. E' quindi evidente che noi Pastori dobbiamo essere consapevoli di non essere inviati unicamente ad annunciare delle verità, ma anche per compiere gesti di compassione, di misericordia e di amore”. Il Prefetto del Dicastero Missionario ha concluso l’omelia rivolgendo questa esortazione ai nuovi vescovi: “La vostra missione è di rischiarare le tenebre del nostro mondo con la luce della Parola di Dio attraverso la vostra testimonianza di vita. Nel nome del Signore, vi supplico: rinnovatevi nella vostra vita di fede. Possa l'Anno della Fede essere per voi una occasione per rafforzare e approfondire la vostra fede, a livello personale e comunitario. Vi aiuti ad intensificare la testimonianza della vostra carità e del vostro impegno nella società”. (R.P.)
Oggi su "l'Osservatore Romano"
◊ All'Angelus di domenica 22 luglio Benedetto XVI invita a vivere i Giochi in Gran Bretagna come un'esperienza di fraternità e di pace tra i popoli.
Nell'informazione internazionale, in primo piano l'economia: crollano le Borse, aumentano le tensioni sui titoli di Stato.
Quant'è importante l'Africa per la crescita cinese: Pierluigi Natalia sulla conferenza ministeriale del Forum sulla cooperazione.
Io vi lascio una porta aperta: Gianpaolo Romanato sul grande missionario Matteo Ricci.
L'ospedale nella roccia: Giulia Galeotti sulle testimonianze degli anni del conflitto mondiale e della guerra fredda al museo Sziklakórház a Budapest.
La storia dei Giochi moderni: stralci dal volume di Darwin Pastorin, “Le grandi Olimpiadi”.
Le Olimpiadi come lezione di vita: dai vescovi cattolici un invito agli atleti giunti a Londra da ogni parte del mondo.
Da cristiani alla scoperta dell'ebraismo: Riccardo Burigana su un corso in Francia dedicato al dialogo tra le due confessioni.
Lunedì nero per le borse europee, vola lo spread. Moro: colpa anche dell'informazione
◊ E’ successo quello che si temeva. Gli spread italiano e spagnolo sono schizzati rispettivamente a oltre 520 e 630 punti; le Borse europee sono precipitate, con Atene maglia nera a -7,8%, mentre l'Euro fa segnare le quotazioni più basse da due anni nei confronti di Dollaro e Yen. Sul perché i mercati si comportano così, nonostante gli sforzi, le politiche di austerity, e gli impegni delle Istituzioni europee, ascoltiamo l’analisi di Riccardo Moro, docente di Politiche dello Sviluppo all’Università di Milano. L’intervista è di Salvatore Sabatino:
R. – A mio parere noi stiamo dando troppo spazio, stiamo facendo troppo rumore su queste questioni: il risultato è che se passiamo un weekend preoccupati a dirci e chiederci come apriranno le Borse, è chiaro che induciamo una paura, per cui gli operatori più tradizionali e i risparmiatori normali, quelli che magari hanno maggiori preoccupazioni, il lunedì mattina alle 8.30 venderanno tutto quello che hanno. Gli operatori più spregiudicati invece ne approfitteranno, acquistando a prezzi molto bassi dei titoli che, a quel punto, produrranno una remunerazione estremamente elevata. Io credo che ci sia qui una questione sia etica che educativa: vale a dire che dobbiamo fare attenzione a quello che comunichiamo, a come lo comunichiamo e all’enfasi che diamo alla questioni. E’ più importante dare enfasi alle cose che contano, che sono le riforme che sono in atto, e magari anche dirci che ci sono dei segnali di fiducia, come quelli dati dalla Germania nei confronti dell’Italia e della Spagna. Se viceversa perdiamo tutto il tempo a raccontare - da un lato - i pettegolezzi e – dall’altro – le preoccupazioni, perché fanno più scandalo e sono più sensazionali, è chiaro che determiniamo delle profezie che si auto-avverano. La situazione si avvita perversamente sempre di più in termini negativi.
D. – Professore, detto tutto questo, però Roma e Madrid sono davvero in pericolo?
R. – Francamente io credo di no. Il sistema bancario spagnolo è onestamente più vulnerabile di quello italiano, perché ha peccato di più negli anni scorsi in comportamenti come quelli delle banche che hanno operato nel settore immobiliare negli Stati Uniti e quindi questi mutui "subprime", erogati cioè anche a soggetti che non avevano tutte le garanzie di solvibilità, pur di collocare del denaro, cedere il rischio e creare di fatto una “bolla”, che ad un certo punto è esplosa. Questo fenomeno in Italia non è avvenuto. Detto questo, comunque abbiamo dei fondamentali che non sono così negativi, non sono così perversi, non siamo seduti su una bolla di sapone che sta per esplodere. Il rischio di esplosione ce lo costruiamo – ripeto – con una comunicazione negativa e enfatizzata fuori misura: come questa pubblicità sulla possibilità di uscire dall’Euro, che è una cosa che non esiste neanche legalmente, giuridicamente. Se dovessimo decidere che uno Stato esce dall’Euro domani, non sapremmo neanche come fare: avremmo bisogno di strumenti legislativi nuovi, perché negli accordi è previsto l’ingresso, ma non è prevista l’uscita.
D. – Il governatore della Bce Draghi, infatti, continua a dire che l’Euro è irreversibile, ma poi sui giornali si legge che si starebbe preparando un default della Grecia per una uscita tecnica. Insomma le due cose non sono possibili da mettere insieme?
R. – Ma no che non sono possibili! Che poi si possa studiare per valutare, perché se effettivamente si determinassero delle situazioni ancora più degenerate, questo è anche possibile: è un esercizio che per certi aspetti va fatto, ma non è una strada onestamente realistica né per il breve né per il medio periodo. E non è una strada sensata. Se posso dire un paradosso: la Grecia potrebbe anche decidere di uscire dall’Euro e paradossalmente ne avrebbe dei vantaggi, perché subirebbe una svalutazione colossale, i prezzi greci diventerebbero interessantissimi per tutti, la Grecia vive in modo particolare di turismo e quindi invaderemmo tutti la Grecia per andare in vacanza e dopo qualche anno – magari – la Grecia si riprenderebbe alle spalle nostre… Ma questo è uno scenario che è fantascientifico e fantapolitico! Nella realtà, perderemmo di credibilità tutti come Europa. Guadagneremmo molto di più, viceversa, a camminare insieme, tutti tenendoci sotto braccio, per cercare di crescere contemporaneamente e di distribuire le opportunità in una dimensione di corresponsabilità. In realtà questo è quello che si sta facendo anche a livello di Ecofin. Il problema onestamente è quello di riuscire a comunicarlo bene!
Siria: timori per l'impiego di armi chimiche. Sanzioni Ue per Damasco e aiuti ai profughi
◊ L’Unione Europa ha deciso di inasprire le sanzioni economiche nei confronti della Siria e si sta mettendo a punto un piano per fronteggiare la crisi umanitaria. Intanto, preoccupano le minacce del governo di Assad, pronto a usare le armi chimiche in caso di attacco esterno. Benedetta Capelli:
Le dichiarazioni del portavoce del ministro degli Esteri siriano sono preoccupanti. In una conferenza stampa ribadisce che le armi chimiche, ora sotto pieno controllo delle autorità del Paese, saranno impiegate in caso di aggressione esterna. Respinto poi l’invito della Lega Araba ad Assad perché lasci il potere. La decisione – ribadiscono le autorità – spetta solo al popolo siriano. Damasco intanto starebbe tornando sotto il controllo dell’esercito dopo i violenti scontri dei giorni scorsi. Di diverso avviso sarebbe l’opposizione che, proprio nella capitale, ha denunciato la fucilazione di 20 uomini disarmati, colpevoli di aver aiutato i ribelli. “Il regime vacilla – hanno affermato gli insorti – ma non si arrenderà facilmente”. Intanto, su Internet sono stati pubblicati filmati di accesi combattimenti ad Aleppo, cuore economico della Siria. L’Unione Europea, nella riunione dei ministri degli Esteri dei 27 prossimo a Bruxelles, ha deciso di rafforzare le sanzioni economiche contro 26 persone dell’entourage del regime, inoltre i Paesi europei potranno compiere ispezioni su navi e aerei dal carico ''sospetti'' nei propri aeroporti, porti e acque territoriali. Altro punto all’ordine del giorno della riunione: un piano per la crisi umanitaria. Francia, Gran Bretagna, Italia e Germania hanno deciso di rafforzare gli aiuti per i profughi che stanno affluendo in modo particolare in Giordania e Libano, ma anche nel Kurdistan iracheno ieri ne sono arrivati novemila.
La minaccia di Assad di ricorrere alle armi chimiche, in caso di intervento esterno, è credibile? Al microfono di Benedetta Capelli risponde Maurizio Simoncelli, vicepresidente di Archivio Disarmo:
R. – La vedo più come una minaccia politica che come una minaccia reale. Certamente, noi sappiamo che queste armi chimiche sono quelle chiamate “armi nucleari dei poveri”, perché sono armi facilmente realizzabili con costi decisamente contenuti. I siriani sono stati a loro tempo aiutati dalla Russia, ma sappiamo anche che una qualunque industria chimica, modificando leggermente le composizioni dei proprie prodotti, può trasformare un prodotto che noi usiamo normalmente in casa in uno decisamente più letale. Si dice che la Siria possieda alcune centinaia di litri di Iprite, Sarin, che sono dei gas nervini, considerati anche armi di distruzione di massa. Sono armi che mettono molta paura.
D. – Il ricorso a una minaccia simile, qual è quella che appunto è stata portata avanti dal governo di Assad, che effetto può sortire invece sugli storici alleati della Siria, come Russia, Cina e Iran?
R. – Sono potenze militari che hanno firmato la Convenzione internazionale sulle armi chimiche, ma che hanno dei grossi arsenali di armi chimiche. Dal punto di vista politico, la Russia a tutt’oggi – anche insieme alla Cina – si mostra uno dei più forti alleati e sostenitori del regime di Assad. Ci sono quindi una serie di situazioni molto complesse, che si giocano anche all’interno del campo islamico fra sunniti e sciiti per moderare l’influenza dell’Iran. E’ una situazione delicata: così come ci viene presentata – buoni contro cattivi – non corrisponde sicuramente alla realtà.
D. – Quello che è certo è che, comunque, la comunità internazionale è in forte difficoltà nel capire quale sia la strada seguire: l’Onu è praticamente bloccata nelle sue risoluzioni, mentre dall’altre parte l’Unione Europea ha varato delle nuove sanzioni contro la Siria, ma sta anche prospettando un piano di intervento di aiuto umanitario. Insomma, la strada è veramente tortuosa: quale può essere una ipotesi di uscita?
R. – Un’ipotesi di uscita sarebbe stata già quella di non sostenere anche la rivolta armata da parte degli oppositori, perché certamente anche l’opposizione – che giustamente contestava il regime di Assad – è stata potentemente armata. Sarei estremamente cauto sull’ipotizzare un intervento della Comunità internazionale a favore dell’una o dell’altra parte. Forse sarebbe meglio, invece, un intervento di tipo internazionale, ma che blocchi il conflitto e porti le due parti a trovare una soluzione concordata.
◊ Raffica di attentati in Iraq: nella giornata più sanguinosa degli ultimi due anni, si contano 91 morti e 161 feriti, in oltre 20 attacchi a Baghdad e in altre 13 città nel nord del Paese. La nuova ondata di violenza terroristica coincide con l’inizio sabato scorso del Ramadan, il mese del digiuno prescritto nel Corano. Al momento non vi sono rivendicazioni. Roberta Gisotti ha raccolto la testimonianza di padre Rebwar Audish-Basa procuratore generale della Casa generalizia dell’Ordine Antoniano di Sant’Ormisda dei Caldei:
R. - Ci dispiace veramente che ogni volta cadano tante vittime a causa di questa violenza che non finisce mai. Purtroppo, la situazione in Iraq non è ancora stabile: ci sono molti conflitti tra le diverse parti anche a livello internazionale, ma le vittime sono la gente povera, gli iracheni che cercano di riprendere la vita. Non possiamo dire esattamente chi opera questa violenza, però noi preghiamo Dio perché questa violenza finisca sia in Iraq che in tutto il Medio Oriente.
D. - Quali scenari politici o anche di ripartizione dei poteri religiosi, che entrano in merito alla politica, sono ipotizzabili al momento?
R. - Non posso dire niente della politica perché non ho un’idea molto precisa su questo. Noi difendiamo i diritti umani di tutte le persone, però purtroppo la democrazia in Iraq non è ancora molto stabile e speriamo migliori.
D. - Quale situazione si prospetta per i cristiani che ancora sono rimasti nel Paese?
R. – Veramente, anche il cuore di coloro che sono fuori è sempre in Iraq. Fin dagli inizi in Iraq c’è la presenza dei cristiani che hanno vissuto tanti momenti difficili e persecuzioni per duemila anni; speriamo che il cristianesimo rimarrà sempre in Iraq perché l’Iraq è il Paese dove è partito Abramo, il padre della fede, e quindi noi speriamo che la nostra presenza rimanga nonostante la violenza. Cerchiamo di dare la testimonianza di pace, di amore, che ci ha insegnato nostro Signore e chiediamo la solidarietà della Chiesa universale, di pregare anche per noi perché possiamo continuare questa missione difficile. In questo tempo, noi non solo viviamo la nostra fede ma la condividiamo con i nostri fratelli musulmani, con solidarietà, che anche loro vivono tempi difficili. Per esempio, durante questo mese di Ramadan i cristiani nei mercati, nei posti pubblici non bevono acqua, rispettando le tradizioni dei musulmani, che in questo periodo praticano il digiuno… Noi cerchiamo sempre di dare questa testimonianza di non violenza, di amore, che ci ha insegnato Gesù Cristo soprattutto quando stava sulla croce.
D. - Padre Basa, è importante che si parli dell’Iraq nei media nel mondo e anche che si facciano emergere testimonianze come la sua?
R. – Sinceramente, è sempre importante non dimenticare i popoli che soffrono, per esempio l’Iraq, ma anche in tutte quelle parti del mondo dove soffrono i cristiani e danno la loro testimonianza, tante volte anche nel silenzio, e non hanno nessuno che li ricorda. Quindi parlare dei cristiani in Iraq, parlare dei loro diritti, è una cosa essenziale. Ringraziamo Radio Vaticana che non ci dimentica mai.
L'industria italiana perde in 5 anni 675 mila posti di lavoro. Costalli: governo faccia di più
◊ Al premier Monti diciamo che il tempo è scaduto. Serve un nuovo patto sociale contro l’attacco speculativo in corso. Così il leader della Cisl, Raffaelle Bonanni, si espresso in occasione della presentazione, stamani, del nono “Rapporto Industria”. In cinque anni, il settore dell’industria in Italia – si sottolinea nel dossier – ha perso 675 mila posti di lavoro, il 10% della base industriale. Tra le priorità per la crescita, la Cisl indica l’urgenza di stimolare la domanda interna. Ma si deve anche proseguire sulla strada delle riforme, come sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il presidente del Movimento Cristiano Lavoratori, Carlo Costalli:
R. – Viviamo in un mondo globalizzato, c’è una differenza fra quello che noi vorremmo e quello che possiamo fare. Io credo che se noi non continuiamo sul percorso di riforme, che chiediamo da anni, difficilmente usciremo da questa situazione di grave difficoltà del Paese, e in particolare, dell’occupazione. Sono anni di ritardi per colpa di lobby, di corporazioni. Dobbiamo denunciarli con forza.
D. – Cala l’occupazione e il posto fisso in Italia è ormai un’eccezione. Secondo Unioncamere ed il Ministero del lavoro, sono a tempo indeterminato, mediamente, meno di due assunzioni su dieci…
R. – E’ un dato che si fa sulle proiezioni delle assunzioni di queste settimane, di questi mesi. Abbiamo un dato storico che è un po’ diverso, anche se non dobbiamo sempre rallegrarcene. Non c’è dubbio che non essendo riusciti a fare riforme ereditiamo una situazione, soprattutto nell’industria, di questo tipo: l’industria non è più concorrenziale, licenzia, non assume. E’ chiaro che bisogna puntare su tante altre cose, in particolare sui servizi. Certo, ci vuole anche un intervento dello Stato, ma non pensiamo che, continuando a fare debiti, si risolvano i problemi del Paese.
D. – Preoccupanti anche i dati di Bankitalia sugli stipendi, aumentati in dieci anni solo di 29 euro e con divari crescenti tra nord e sud…
R. – Se non riusciamo ad attrarre capitali, difficilmente ne usciremo. E per attrarre capitali dobbiamo affrontare una serie di problemi, tra cui quelli legati alla burocrazia, alla malavita, alle troppe corporazioni ed anche ad un costo del lavoro ancora eccessivamente alto. Problemi che la riforma del mercato del lavoro solo in parte risolverà.
D. – Come può incidere proprio la riforma del mercato del lavoro in un tale complesso e difficile contesto?
R. – La riforma del mercato del lavoro va sicuramente nella direzione giusta. Era partita molto bene, poi siamo arrivati a una mediazione che non ha entusiasmato. Bisogna fare anche un’ulteriore denuncia che riguardale colpe della politica, che sono gravissime. Lo sono state in passato e lo sono anche in questi giorni.
D. – La situazione economica italiana, con comuni e regioni a rischio default e trend negativi in borsa e per lo spread, ricorda quella della Spagna. Il futuro sembra unicamente legato alle decisioni che prenderà l’Unione Europea?
R. – Siamo sempre più collegati alle decisioni dell’Europa e, per fortuna, a livello di Unione Europea, la nostra considerazione è molto cresciuta in questi ultimi mesi. E’ cresciuta, non solo per la persona del capo del governo, ma anche per i grandi passi che il Paese ha fatto. Dipenderà molto anche da una coesione sociale, che il Paese deve continuare ad avere. E’ chiaro che il governo e la politica devono fare di più.
Colorado: killer davanti al giudice. L'arcivescovo di Denver: strage diabolica
◊ James Holmes, il folle killer 24enne che ha ucciso 12 persone in un cinema di Denver, compare oggi davanti ai giudici nella Corte distrettuale della Contea di Arapahoe. Il giovane assassino, che rischia la pena di morte, sarà difeso da un avvocato d'ufficio. Ieri il presidente Barak Obama, ha fatto visita ai familiari delle vittime nell’ospedale di Aurora: 58 le persone rimaste ferite, di cui 11 in modo grave. “Non sono qui come presidente – ha detto – ma come padre e come marito. Oggi qui c’è tutta l’America che pensa a voi”. In segno di lutto, questa settimana in Tv niente spot elettorali del presidente, che non ha parlato di controllo delle armi, ma ha auspicato che si discuta su cosa fare contro “la violenza senza senso” che pervade il Paese. E di “insensata violenza” ha parlato ieri all’Angelus Benedetto XVI esprimendo il suo profondo dolore per l’accaduto. Al microfono di Lydia O’Kane, l’arcivescovo di Denver, mons. Samuel Aquila, esprime gratitudine per la vicinanza manifestata dal Papa e ricorda l’impegno della Chiesa locale nel dare conforto ai parenti delle vittime in special modo ai genitori che hanno perso i loro bambini:
R. – I certainly recognize that the Holy Father…
Sicuramente, il cordoglio espresso dal Santo Padre per tutti noi e specialmente per le vittime, per i feriti e per le loro famiglie, è uno dei modi per essere vicini e solidali a quanti sono stati devastati da questo tragico e malvagio avvenimento; lui ci ha fatto sentire la sua compassione e ha assicurato i familiari delle vittime che prega per loro. Così, in tanti ora si sentono sostenuti dalla preghiera del Santo Padre e dalla vicinanza incoraggiante di tante altre persone in tutto il mondo.
D. – Lei ha recentemente ricevuto il pallio come arcivescovo di Denver e probabilmente sperava di non dover mai vedere qualcosa di simile nella sua arcidiocesi. Come personalmente prova a comprendere e cerca di aiutare per tutta la sofferenza che vede intorno a lei?
R. – Certainly when I received the new Friday morning…
Certamente quando ho ricevuto la notizia, venerdì mattina, la mia memoria è tornata immediatamente al massacro nella Columbine High School, non lontano da Denver, nel 1999 … a quell’orrore! Ho lavorato in stretto contatto con le famiglie, fornendo anche un’assistenza psicologica ai giovani coinvolti. La sofferenza era così forte, così profonda. Le loro domande sono ormai entrate nella mia mente, ma è difficile poter rispondere quando ci si confronta con un male di questo tipo, un male che si può definire diabolico.
Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il sussidio scritto dagli studenti indiani
◊ Viene dall’India il sussidio per la prossima Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che sarà celebrata nel gennaio 2013. Ogni anno il sussidio che accompagna le celebrazioni di quest’iniziativa, che prese il via nel 1908, è affidato a un gruppo ecumenico di un Paese diverso. Quest’anno il compito è stato affidato all’India: nell’opera sono stati impegnati il Movimento studentesco cristiano dell’India, cui aderiscono circa 10mila universitari, e la Federazione degli universitari cattolici di tutta l’India, coadiuvati, per la versione definitiva, dalla Commissione internazionale nominata dalla Commissione Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese e dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Roberta Barbi:
Una condanna forte al sistema delle caste, il grido di dolore dei dalit, gli esclusi, che sono per la maggio parte cristiani, ma anche le persecuzioni contro i cristiani e le altre minoranze religiose. Sono questi gli argomenti affrontati dal sussidio che accompagnerà la riflessione e la preghiera nella prossima Settimana per l’unità dei cristiani, prevista per gennaio 2013, redatto dagli studenti cristiani dell’India. Temi particolarmente importanti per la società indiana, dove i cristiani rappresentano il 3,5% della popolazione e dove la libertà religiosa, pur sancita dalla Costituzione, non è sempre rispettata. In questo contesto la Chiesa svolge un ruolo delicato: costruire una cultura del dialogo e di armonia con tutta la società, come ricorda mons. Felix Machado, vescovo di Vasai:
“Il governo dà privilegi a tutti i dalit, tranne ai cristiani e ai musulmani dalit. Mi sembra un’ingiustizia e la Chiesa non si stanca mai di protestare, perché non c’è una religione favorita in India”.
Nel sussidio anche spunti sul significato della pratica della giustizia, sulla quale i cristiani sono chiamati a riflettere in fraternità, sulla ricerca della bontà e della vita in umiltà di fronte al Signore. Le meditazioni attraversano gli otto giorni con la metafora dell’uomo in cammino che si confronta con l’interrogativo tratto dalle parole del profeta Michea: “Che cosa esige Dio da noi?”. Mons. Machado suggerisce come rispondere a questa domanda:
“È un tema limitato non solamente all’India, ma vediamo se nella nostra società abbiamo emarginati sociali, sottovalutati dal punto di vista politico ed economico e sfruttati da qualcuno, se dal punto di vista culturale qualcuno è dominato. Se nella nostra Chiesa, nella nostra società, abbiamo questo tipo di atteggiamento, che in India molti hanno verso i dalit, direi che dobbiamo seguire il cammino della giustizia, della misericordia e dell’umiltà, come dice il testo, ed essere solidali con loro”.
Alla redazione della prima stesura del sussidio ha collaborato anche il Movimento studentesco cristiano dell’India, il più antico del Paese, che proprio nel 2012 festeggia un secolo di vita. Ci racconta questa esperienza Aruna Gnanadason, già coordinatrice di Giustizia, Pace e Creazione al Consiglio Mondiale delle Chiese a Ginevra, che ha collaborato con il Movimento degli studenti all’elaborazione del sussidio:
“We were an ecumenical group...
Abbiamo lavorato in un gruppo ecumenico composto da studenti che appartengono al movimento cristiano e studiano nelle università cattoliche della Federazione indiana. Lavorare con i giovani e ascoltare le loro storie, è stata un’esperienza molto interessante e toccante. In India essere cristiani è molto difficile, perché rappresentiamo solo il 3,5% della popolazione: questo è il contesto in cui viviamo. È una situazione molto difficile, ma molto stimolante e in qualche modo simile alla vita di Cristo stesso, che ci chiama a riconciliarci con le altre comunità, a vivere serenamente insieme e in solidarietà con i più discriminati”.
20 anni di culle per la vita. Carlo Casini: la vita non si può gettare in un cassonetto
◊ I non rari casi di neonati abbandonati o ritrovati nei cassonetti costituiscono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno drammatico di disprezzo per la vita, di disperazione e spesso di solitudine. “Una risposta a questo dramma potrà venire solo da un’inversione di tendenza culturale” secondo il Movimento per la Vita, che quest’anno celebra i 20 anni dall’istituzione della prima “Culla per la vita”, moderna riedizione delle ruote degli esposti. Oggi le culle sono in tutto 42. Ma cosa sono? Paolo Ondarza lo ha chiesto a Carlo Casini presidente del Movimento per la Vita:
R. – Sono prima di tutto un luogo in cui una donna in condizioni di angoscia, disperata, può lasciare il suo bambino, affidandolo a braccia che lo possano accogliere e volerle bene al posto suo; ma sono anche un monumento alla vita perché ricordano a tutti, con la loro stessa silenziosa presenza, che la vita non si può buttare in un cassonetto delle immondizie. Questo accadde la prima volta, vent’anni fa, noi ce ne accorgemmo e istituimmo la prima culla della vita: Francesco – grazie a Dio è vivo – fu lasciato appena nato in un cassonetto dell’immondizia. All’inizio ci furono perfino vicende giudiziarie contro di noi perché dicevano: voi istigate all’abbandono. Non è un’istigazione all’abbandono ma è un’esortazione all’accoglienza.
D. - Ancora oggi occorre un’inversione culturale contro la cultura della morte che sotterraneamente è molto forte…
R. – E’ fortissima purtroppo e la si combatte solo rivolgendo lo sguardo al bambino. La cultura della morte non è una cultura che ama il sangue ma è una cultura che non vuol guardare, non vuole riconoscere il figlio, il bambino non ancora nato - se si vuole, anche il morente, il sofferente - e rivolge lo sguardo altrove.
D. – A vent’anni dalla prima culla per la vita ancora oggi le cronache ci riportano casi di neonati ritrovati morti nei cassonetti, segno che occorre sempre più rafforzare una presenza amichevole a fianco della madre in difficoltà oltre che rafforzare una cultura della vita, come diceva prima…
R. – Non ci sono dubbi. Oltre a quanto successo recentemente a Bologna, quanti altri casi esistono! Dicevano che l’aborto legale avrebbe ridotto il numero degli abbandoni e viceversa sembrano addirittura in aumento. Non bisogna trascurare niente per ricostruire la cultura della vita. La difesa della vita è prima di tutto nella mente e nel cuore della madre ma la madre a sua volta ha nella mente e nel cuore ciò che sente intorno a sé, nella società, nella famiglia, nella scuola, sul luogo del lavoro, alla televisione, sui giornali: lo Stato nel suo complesso costituisce il suo ambiente. E’ qui che va ricostruita la cultura della vita: a partire dal coraggio della madre … grazie a Dio le madri coraggiose che accettano le difficoltà della vita pur di accogliere il figlio, sono più numerose di quelle disperate che lo rifiutano. La cultura della vita si fonda sull’esempio di queste madri coraggiose.
Più della metà degli italiani non legge neanche un libro all'anno
◊ I dati sulla lettura di libri in Italia, raccolti da Istat e relativi al 2011, sono allarmanti: più della metà degli italiani non legge neanche un libro all’anno. Nonostante le iniziative che si svolgono da tempo per la promozione della lettura, la percentuale dei non lettori si mantiene stabile. Per approfondire la questione, Angelica Ciccone ha intervistato Alessandro Zaccuri, critico letterario, scrittore e giornalista culturale del quotidiano Avvenire:
R. – C’è, in Italia, una disaffezione storica alla lettura. L’Italia ha sempre avuto un indice di lettura abbastanza sconfortante. Una possibile spiegazione, purtroppo, ancora una volta è dovuta alla crisi economica. Erroneamente si pensa che la lettura sia una specie di genere d’intrattenimento. In tempi di crisi, si tagliano i consumi legati alle spese voluttuarie e ci vanno di mezzo, purtroppo, anche i libri. Negli ultimi anni, il mercato del libro è stato inondato da prodotti che sollecitavano al disimpegno da parte del lettore. Se il lettore non è educato a riconoscere nel libro un valore e uno strumento per comprendere la realtà anche in momenti difficili come quelli che stiamo vivendo, è chiaro che al libro ci rinuncia.
D. – Quasi il 55 per cento degli italiani, dai 6 anni in su, non ha letto neanche un libro nell’ultimo anno. Eppure cresce il numero delle opere pubblicate fino al 10 per cento in più. Siamo un popolo di scrittori, ma non di lettori?
R. – Siamo da sempre un popolo di scrittori più che di lettori e mi verrebbe da fare la battuta che siccome non siamo un popolo di lettori, molti libri che vengono pubblicati denunciano questa mancanza. Prima di scrivere, uno si deve educare bene a leggere. Deve avere un gusto formato, deve capire cosa sta cercando di fare. L’Italia è comunque un Paese che ha una minoranza qualificata di lettori forti: quelli che leggono sei, dieci, dodici libri all’anno sono un manipolo non molto consistente numericamente, ma estremamente agguerrito, che finora ha tenuto il livello del mercato editoriale del nostro Paese alla pari con altri grandi Paesi europei. E’ chiaro che questi lettori, anche loro, sentono il peso della crisi economica. Può darsi che non abbiano in realtà smesso di leggere, ma senz’altro hanno smesso di comprare. Hanno magari riscoperto il prestito bibliotecario, ma anche semplicemente il fatto di passarsi un libro da amico ad amico. Questo però è un tipo di uso sommerso del libro, che sfugge almeno in parte alle statistiche.
D. – Il ministro Ornaghi l’altro giorno ha affermato che un Paese in cui si legge poco è un Paese che ha una scarsa possibilità di vivere dignitosamente negli anni a venire. Quanto la lettura potrebbe essere invece uno strumento di rinascita?
R. – Leggere è senz’altro un elemento di rinascita e anzitutto un elemento di consapevolezza per capire meglio il nostro presente. Il problema, ancora una volta, è se noi vogliamo legarci ad un’immagine un poco retorica del fatto che va sempre bene leggere oppure se vogliamo avere il coraggio - e credo che l’invito del ministro Ornaghi vada inteso in questo senso – di andare a cercare i libri da cui il nostro presente può essere illuminato e il nostro futuro può essere nutrito. Bisogna anche confrontarsi con testi che possono apparire un po’ più difficili di quelli che circolano maggiormente, bisogna anche nella lettura imparare a scegliere, proprio perché il libro è diventato un bene rispetto al quale mi faccio una domanda o due prima di comprarlo, perché costa, perché è un piccolo investimento. Scegliamo meglio e leggiamo meglio ancora.
Libano. Mons. Matar: "Il messaggio del Papa sarà per tutto il Medio Oriente"
◊ Presso la sede del Centro cattolico per l’informazione di Beirut, è stato illustrato oggi alla stampa il viaggio apostolico di Benedetto XVI in Libano (14-16 settembre). Insieme al nunzio apostolico mons. Gabriele Caccia, e all’arcivescovo di Beirut, mons. Paul Matar, secondo quanto riporta il Franciscan Media Center, ripreso dall'agenzia Sir, erano presenti i rappresentanti del Comitato di preparazione della visita papale. "Il Libano è quasi pronto per accogliere Benedetto XVI - ha detto padre Marwan Tabet, del Comitato di preparazione della visita - la preparazione è iniziata a marzo, con numerosi incontri tra autorità vaticane e i rappresentanti del palazzo presidenziale in Libano”. Padre Tabet ha poi dichiarato che “la visita sarà finanziata in parte dal governo libanese e in parte dalla Chiesa locale e da diversi donatori”. Una particolare cura è stata riservata ai media libanesi e alla loro preparazione per l’evento, grazie anche al sito www.Ibpapalvisit.org. Padre Abdo Abu Kassem, direttore Centro cattolico per l’informazione ha affermato che è in allestimento una sala stampa per i giornalisti, per i 66 che arriveranno con il Pontefice e per gli altri del Libano e di altri Paesi. E’ una grande occasione per noi accogliere il Papa - ha ribadito padre Kassem - un segno di pace. Speriamo che porti la pace per il Libano e per tutto il Medio Oriente, insieme alla la forza di resistere, come cristiani, in Libano e in Medio Oriente”. Anche l’arcivescovo di Beirut, mons. Matar, si è detto convinto che questa visita sarà “un messaggio rivolto, tramite il Libano, all’intero Medio Oriente. Aspettiamo il Papa e la sua parola per tutta la regione del Medio Oriente”. (R.P.)
Siria: la solidarietà dei cristiani di Damasco per gli sfollati interni
◊ Sono le comunità cristiane e i comitati locali del movimento interreligioso “Mussalaha” (“Riconciliazione”) l’epicentro delle iniziative di solidarietà in una Damasco dove la popolazione vive terrorizzata, perché ha visto “la guerra arrivare sotto casa”. Secondo fonti attendibili dell'agenzia Fides, sono circa 200mila gli sfollati interni di Damasco, che si sono spostati da un quartiere all’altro della città o nei diversi sobborghi, per sfuggire ai combattimenti. I gruppi rivoluzionari, infatti, stanno prendendo posizione in quartieri, edifici, abitazioni dei civili che si ritrovano, dunque, in mezzo al fuoco incrociato. In questo immane spostamento di famiglie, donne anziani e bambini, i quartieri in prevalenza cristiani di Jaramana, Qassaa e Bab Touma sono divenuti oasi di accoglienza e solidarietà, senza distinzione di etnia, comunità o religione. I giovani cristiani coordinano l’accoglienza dei nuovi sfollati dirottandoli in posti disponibili come scuole, chiese, moschee, edifici pubblici. I primi aiuti umanitari arrivano grazie a una rete di organizzazioni cristiane come la Caritas Siria, il “Middle East Council of Churches”, il Patriarcato greco-ortodosso, la Comunità di Sant’Egidio. I giovani stanno anche provvedendo a servizi pubblici basilari, in una città paralizzata: ad esempio, data la temperatura di oltre 42 gradi, i cumuli di immondizia per le strade costituiscono un grave pericolo per la salute pubblica, così alla loro raccolta stanno provvedendo i volontari. Con loro vi sono i rappresentati dei Comitati locali del movimento interreligioso “Mussalaha”, che promuove non violenza e riconciliazione. Il Movimento ha tenuto nei giorni scorsi un incontro a Damasco, ribadendo che lealisti o ribelli possono entrare a far parte del movimento, con l’unica condizione di rinunciare alle armi. La riconciliazione, si afferma, si può costruire a partire delle famiglie, dalle tribù, dai clan, dalle comunità che si incontrano e si riconoscono reciprocamente. Secondo fonti di Fides, inoltre, migliaia di profughi che nei mesi scorsi si erano rifugiati a Damasco, provenienti da altre zone della Siria, stanno tornando sui loro passi. A migliaia si riversano nella provincia di Damasco, verso Qara, Deir attieh, Yabrud, Nebek, altri fuggono verso il centro della Siria o verso nord, fino alla zona industriale di Hissia. (R.P.)
Siria: attacchi contro le minoranze considerate filo-Assad
◊ Gruppi islamisti radicali, nelle file dei rivoluzionari, seminano il terrore fra i civili a Damasco. A farne le spese sono tutti coloro che sono considerati “lealisti”, fedeli al regime di Bashar al Assad. Fra le vittime, riferiscono fonti dell'agenzia Fides a Damasco, vi sono anche dei cristiani del sobborgo di Bab Touma e i profughi iracheni che occupavano i sobborghi di Oujaira e Sada Zanaim. Il gruppo ribelle islamista “Liwa al-Islam” (“La Brigata dell’Islam”), che nei giorni scorsi ha rivendicato l’uccisione di alti generali del governo Assad, questa mattina ha ucciso una intera famiglia cristiana a Bab Touma. Fra i fedeli locali, racconta un fonte di Fides, c’è costernazione e sdegno per l’assalto ai civili indifesi. I militanti di “Liwa al-Islam” hanno bloccato l'auto di un cristiano, Nabil Zoreb, pubblico ufficiale civile, hanno fatto scendere dall’auto lui, sua moglie Violet e due figli, George e Jimmy, uccidendoli tutti a bruciapelo. I militanti del gruppo sono molto attivi soprattutto nella regione di Duma e in altre zone a Est di Damasco, dove hanno compiuto altri atti criminali. Inoltre nel Sudest di Damasco, combattenti islamisti del gruppo “Jehad al nosra”, vicini alla Fratellanza musulmana, hanno attaccato le case dei profughi iracheni, saccheggiandole, bruciandole e costringendo i loro occupanti a fuggire. L’assalto è stato riportato anche dai mass media occidentali, come la Bbc. Secondo i profughi iracheni, “bande di terroristi musulmani ci hanno attaccato e inseguito”. La maggior parte delle bande che operano nel sud-est di Damasco sono considerate vicine alla Fratellanza musulmana, mentre i membri del gruppo “Liwa al Islam” sono di ideologia wahhabita. (R.P.)
India: Pranab Mukherjee è il nuovo presidente. Le felicitazioni della Chiesa
◊ Pranab Mukherjee è il nuovo presidente dell'India. Il candidato della United Progressive Alliance (Upa, coalizione di governo) ha vinto le elezioni con il 69,31%, battendo in modo netto P A Sangma, politico cristiano appoggiato dal Bharatiya Janata Party (Bjp, partito ultranazionalista indù), che ha ottenuto solo il 30,69% delle preferenze. Tra due giorni, Mukherjee salirà a Raisina Hill, l'area di New Delhi dove si trova la residenza ufficiale, per prestare giuramento come 13mo presidente dell'India e iniziare i suoi cinque anni di mandato. Le elezioni presidenziali - riferisce l'agenzia AsiaNews - si basano sui voti di un collegio elettorale, composto da membri di parlamento e assemblee dei diversi Stati. In numeri assoluti, Pranab Mukherjee ha portato a casa 713.937 voti su oltre 1 milione di voti validi, confermando i pronostici della vigilia. La vittoria di Mukherjee porta una ventata di rinnovamento per il Congress, negli ultimi mesi sempre più fiaccato da una serie di scandali legati al problema della corruzione, oltre che dalle difficoltà sul fronte economico. Pur essendo una figura per lo più formale, il presidente può avere un ruolo chiave in caso di crisi costituzionale: uno scenario che potrebbe profilarsi con le elezioni generali del 2014, dove nessun partito sembra poter vincere con una maggioranza assoluta. Nel caso del neo-eletto presidente, il suo "peso" potrebbe essere ancora maggiore: ex ministro delle Finanze dell'attuale governo, già ministro della Difesa (2004-2006) e degli Affari esteri (2006-2009), Mukherjee è un politico esperto. Per il cardinale Oswald Gracias, presidente della Conferenza episcopale indiana, l'elezione di Pranab Mukherjee a è l'occasione per riaffermare "i valori di cultura della vita, di pace e armonia, di dialogo e di integrità nella vita pubblica" propri del Paese. In una lettera di saluto al 13mo presidente dell'India, ripresa dall'agenzia AsiaNews, il porporato illustra i punti chiavi della missione della Chiesa cattolica nel Paese, e rinnova l'invito "a una continua collaborazione tra Chiesa e governo nella costruzione della nazione". (R.P.)
Congo: chiuso il confine nel Nord Kivu. Gli Usa sospendono gli aiuti militari al Rwanda
◊ Il ministro dell’Interno Richard Muyej Mangez ha decretato la chiusura della dogana di Bunagana, località al confine con l’Uganda, dal 6 luglio sotto il controllo dei ribelli del Movimento del 23 marzo (M23): lo riferisce l’emittente locale ‘Radio Okapi’, precisando che su questo il ministro ha scritto al governatore della provincia del Nord-Kivu (est), Julien Paluku. A questo punto - riferisce l'agenzia Misna - gli operatori economici dovranno transitare per i posti di confine di Ishasha a Rutshuru, di Kasindi a Beni, o di Grandi e Piccole Barriere a Goma. Il provvedimento governativo priverà gli insorti di un’importante fonte di reddito: ogni mese la dogana di Bunagana ha un fatturato che va dai 500.000 ai 700.000 dollari. E’ proprio da Bunagana che il coordinatore del ‘M23’, Jean-Marie Runiga, ha rivolto un messaggio al governo congolese e alla comunità internazionale. Negli ultimi giorni hanno rafforzato le proprie posizioni grazie al sostegno di altri movimenti armati attivi nei Kivu, tra cui alcune fazioni Mayi Mayi. Runiga ha respinto le accuse di reclutamento di bambini da parte della sua formazione: “Chiediamo l’apertura di un’inchiesta indipendente. Nei nostri ranghi non ci sono bambini soldato, potete verificare. Ce la prenderemo con le truppe della missione internazionale” ha dichiarato il capo ribelle. Ma l’instabile situazione nell’est congolese sta avendo ripercussioni sull’intera regione, a cominciare dai confinanti Uganda e Rwanda. Diversi rapporti pubblicati nelle ultime settimane anche dall’Onu hanno evidenziato la responsabilità diretta di Kigali nello scenario del Nord-Kivu per sostegni di vario genere forniti al Movimento del 23 marzo. Ieri, in quello che viene letto come una prima sanzione, il governo di Washington ha sospeso il suo aiuto militare al Rwanda, più stretto alleato nella regione dei Grandi Laghi. “Alla luce delle informazioni in base alle quali il Rwanda sostiene gruppi armati in Congo, il dipartimento di Stato ha deciso di sospendere i finanziamenti militari per l’anno in corso” si legge in un comunicato ufficiale. I fondi sbloccati da Washington per il 2012, circa 164.000 euro, erano destinati a una scuola militare ruandese. Non si è fatta aspettare la risposta del governo di Kigali: “Deploriamo la decisione dei nostri amici americani fondata su false e cattive informazioni. Come lo abbiamo detto sin dall’inizio, il Rwanda non è né la causa né il complice dell’instabilità nell’est congolese” ha insistito il ministro degli Esteri, Louise Mushikiwabo, annunciando per la prossima settimana un incontro con esperti dell’Onu. Il Movimento del 23 marzo è stato creato da soldati ammutinati che sono per lo più ex membri di una precedente ribellione tutsi, quella del Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp) del generale latitante Bosco Ntaganda – ricercato dalla Corte Penale Internazionale – integrata nell’esercito tre anni fa. Tra il 2008 e il 2009 il Cndp era ritenuto vicino al Rwanda che lo finanziava per combattere in territorio congolese i ribelli hutu delle Forze democratiche di liberazione del Rwanda (Fdlr), fuggiti dal Paese delle mille colline dopo il genocidio del 1994. (R.P.)
Congo: il primo agosto “marcia della speranza” promossa dai vescovi
◊ Una marcia della speranza per dire no alla balcanizzazione della Repubblica Democratica del Congo: è l’iniziativa lanciata, per il 1° agosto, dalla Conferenza episcopale del Paese (Cenco), per rispondere al conflitto in corso con i ribelli indipendentisti del movimento “M23”. Richiamando “all’unità e all’indivisibilità della nazione congolese”, i vescovi invitano quindi i fedeli di tutte le parrocchie, in ogni diocesi, ad aderire all’iniziativa, auspicando che “nessun incivile disturbi lo svolgimento del corteo”. A precedere la marcia della speranza, inoltre, sarà un triduo di preghiera “per la pace, l’unità e l’integrità del territorio” che avrà luogo in ogni Chiesa a partire dal 30 luglio, con la recita, alla fine di ogni Santa Messa, di un’invocazione alla pace. Inoltre, la Cenco ha stabilito di avviare una raccolta fondi per tutte le diocesi più colpite dall’attuale conflitto; l’appello, quindi, è “alla coscienza di tutti i congolesi affinché siano solidali con i fratelli che continuano a subire, in maniera ingiusta, i disastri provocati dalla guerra”. Non solo: i vescovi hanno in programma di portare avanti anche un’azione di advocacy a livello nazionale ed internazionale, compresi l’Onu, l’Unione Europea e l’Unione Africana, per sensibilizzare i governanti sulla situazione della Repubblica democratica del Congo. Infine, il presidente della Cenco, mons. Nicolas Djomo, insieme ai vescovi delegati, si recherà in visita pastorale nelle province ecclesiastiche colpite dal conflitto per portare la solidarietà della Chiesa nazionale. “La speranza è l’antidoto ad ogni fatalità”, affermano i presuli che, fiduciosi nel futuro radioso della nazione, invitano tutti i fedeli “a fare lo stesso sogno, ovvero riconoscere che, qualunque sia la situazione attuale, nel Paese arriverà la pace”. Con l’obiettivo di “consolidare una pace duratura nella regione”, quindi, oggi si terrà a Nairobi, in Kenya, un incontro dei vescovi provenienti da: Repubblica Democratica del Congo, Rwanda, Burundi e Uganda. Al meeting parteciperanno anche i responsabili protestanti ed ortodossi. (I.P.)
Zanzibar: sospesi i soccorsi dopo il naufragio del ferryboat
◊ Sarebbero 145 le vittime del naufragio di un ferryboat avvenuto mercoledì a largo dell’arcipelago di Zanzibar: il dato emerge da dichiarazioni rese da ufficiali della polizia locale dopo l’annuncio, ieri, della fine delle operazioni di soccorso in mare. Secondo Mohammed Mhina, portavoce della polizia di Zanzibar, i corpi recuperati finora sono 73. Il ferryboat trasportava 290 persone; i superstiti sono 145 e i dispersi 72. Al naufragio del “Salama” - riferisce l'agenzia Misna - i quotidiani della Tanzania dedicano molto spazio ancora oggi. Il Daily News, il giornale più antico del Paese, concentra il suo articolo sulle polemiche sull’inadeguatezza dei controlli sulla sicurezza delle navi. Sotto accusa c’è anzitutto la Zanzibar Maritime Authority, l’ente incaricato di garantire la sicurezza dei trasporti marittimi. In relazione al naufragio sono anche state arrestate cinque persone, tra le quali il proprietario del ferryboat e il capitano. Nel settembre scorso nel naufragio di un altro ferryboat a largo dell’arcipelago di Zanzibar erano morte 203 persone. Ieri all'Angelus Benedetto XVI si è detto “addolorato per la perdita di vite” nel naufragio del traghetto e partecipe dell’angoscia delle famiglie e degli amici delle vittime e dei feriti, soprattutto dei bambini, ed ha assicurato le sue preghiere e impartito la sua benedizione “quale pegno di consolazione e forza nel Signore Risorto”. (R.P.)
Africa: premi postumi a due giornalisti nigeriani uccisi da Boko Haram
◊ A due cronisti nigeriani assassinati da militanti del gruppo armato Boko Haram è stato attribuito un riconoscimento postumo per la “stampa libera” nell’ambito di un concorso internazionale dedicato al giornalismo africano. Alla cerimonia degli African Journalist Awards, che si è svolta ieri a Lusaka, sono stati premiati il cameraman della Nigerian Television Authority Zakariyu Isa e il cronista di Channels Television Eneche Akogwu. Entrambi - riporta l'agenzia Misna - sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco da presunti militanti di Boko Haram. Il primo nella città settentrionale di Maiduguri, a ottobre; il secondo a Kano, sempre nel nord, mentre stava realizzando un servizio sugli assalti coordinati che a gennaio avevano causato in questa città almeno 186 vittime. Gbenga Adefaye, il presidente dell’Associazione degli editori nigeriani, ha detto durante la cerimonia nella capitale dello Zambia che il riconoscimento è una presa d’atto dell’impegno di “verità” della stampa del suo paese anche nei confronti del “potere”. Gli African Journalist Awards sono assegnati ogni anno da una giuria selezionata dall’emittente americana Cnn. Nell’edizione 2012 il primo premio è andato a due giornalisti dell’emittente keniana Citizen Television, Tom Mboya e Evanson Nyaga, autori di un documentario intitolato “La tribù africana in India”. (R.P.)
Israele: missionarie aiutano le mamme africane vittime di violenza in Sinai
◊ “Per ora i bambini sono 25 ma in futuro chissà” dice all'agenzia Misna suor Azezet Kidane, una delle missionarie comboniane che a Tel Aviv gestiscono l’asilo nido per i figli delle donne africane vittime di violenza. Un’iniziativa nata grazie al contributo di Caritas Padova, ma ancora bisognosa di tanto sostegno. Dall’anno scorso la struttura accoglie per lo più bambini di donne eritree, etiopiche e sudanesi, molte delle quali richiedenti asilo politico. Tutte o quasi tutte sono state vittime di violenza durante il viaggio verso Israele, spesso nella penisola egiziana del Sinai. “Prima che il nido aprisse erano depresse e stavano senza far nulla – dice suor Azezet – ma ora o cercano un lavoro o lo hanno già trovato”. Ai bambini pensano le missionarie e i volontari, tutti qualificati per prestare assistenza nel settore medico e pedagogico. “A stare meglio – sottolinea la comboniana, originaria dell’Eritrea - sono anche i piccoli, stimolati dai giochi e dalle attenzioni dei volontari e incoraggiati dai sorrisi delle mamme”. La sera mamme e bambini tornano negli alloggi messi a disposizione dall’African Refugee Development Center, un’organizzazione che assiste migliaia di rifugiati e richiedenti asilo. Quasi sempre persone in difficoltà, costrette a rinnovare i documenti di tre mesi in tre mesi o a rischio espulsione per aver perso il lavoro. Il mese scorso suor Azezet è stata a Washington per ritirare un premio del governo degli Stati Uniti per il suo impegno contro la tratta degli esseri umani. Con le sue consorelle, ora pensa soprattutto all’asilo nido. (R.P.)
Filippine: lanciata la campagna per elezioni corrette e trasparenti nel 2013
◊ Si terranno a maggio 2013 le elezioni nelle Filippine, per il rinnovo del Parlamento e del Senato. In vista della tornata elettorale, si è svolto nei giorni scorsi, a Quezon City, un convegno organizzato dalla rete dei seminari diocesani (SemNet) e che ha visto il lancio di una campagna di sensibilizzazione per elezioni corrette e trasparenti. Più di 30 i partecipanti, provenienti da 14 seminari teologici del Paese. “Come futuri sacerdoti – ha spiegato il coordinatore nazionale di SemNet, Ralph Ogayon – vogliamo offrire il nostro supporto, affinché la voce del popolo sia davvero ascoltata durante le elezioni”. Tra i relatori del convegno, anche padre Edwin Gariguez, segretario generale del Segretariato nazionale per l’Azione sociale, la giustizia e la pace della Conferenza episcopale filippina, il quale ha ribadito il nesso fondamentale tra l’annuncio del Vangelo e la necessità di lottare per la pace, la giustizia e l’integrità del Paese. “La teologia – ha detto – deve avere un fine nelle azioni concrete”. Ma prima di “concretizzare i progetti – ha aggiunto Ralph Ogayon – sarebbe utile tornare al principio fondamentale della missione dei seminaristi: l’esempio di Gesù, la sua persona, la sua vita, il suo ministero”. Istituito nel 1991, SemNet ha dato il suo primo contributo alle elezioni filippine del 1992, considerate da più parti le più ordinate e trasparenti nella storia del Paese. Con il tempo, SemNet è divenuto un punto di riferimento non solo per i temi politici, ma anche per la formazione integrale dei teologi. Oggi, esso comprende 27 seminari, che si incontrano più volte l’anno per riflettere sulle questioni più urgenti del Paese. (I.P.)
I vescovi indiani invitano i giovani cattolici a celebrare l'Anno della Fede con un ritiro nazionale
◊ Un grande ritiro giovanile nazionale: così i giovani cattolici indiani celebreranno l’apertura della dell’Anno della Fede, indetto da Benedetto XVI a partire dal 21 ottobre, nel 50° dell’inizio del Concilio Vaticano II e del 20° del Catechismo della Chiesa cattolica. Il ritiro si terrà dal 21 al 24 ottobre presso lo Jeevan Jyoti Ashram di Burari, nell’arcidiocesi di Delhi ed è organizzato dall’Ufficio per la pastorale giovanile della Conferenza episcopale indiana (Cbci) in collaborazione con il Rinnovamento Carismatico di Delhi. All’evento – riporta l’agenzia dei vescovi Cbci News - sono attesi 4mila giovani tra i 15 e i 30 anni da tutte le diocesi del Paese. Gli organizzatori hanno già iniziato i preparativi con la costituzione di comitati organizzativi diocesani e ha appena completato il primo ciclo di formazione dei volontari. Inoltre dell’iniziativa sono stati già informati tutti i vescovi del Paese che hanno ricevuto brochure e manifesti sull’evento. (L.Z.)
Indonesia: ad Aceh i cristiani protestano per una chiesa bruciata
◊ Cresce la preoccupazione fra i cristiani della provincia di Aceh, vittime di una serie di recenti attacchi da parte di gruppi estremisti o di sconosciuti. Alle violenze si unisce la politica delle autorità locali che, invece di fermare gli assalti, continua ad emettere provvedimenti di chiusura di chiese e luoghi di culto per la (presunta) assenza del permesso di costruzione, necessario in Indonesia per realizzare un edificio (religioso e non). In un documento pubblicato in questi giorni, il movimento cristiano Alliance of United North Sumatra denuncia che dal maggio scorso sono stati messi i sigilli ad almeno 20 chiese domestiche o cappelle di preghiera da parte dei funzionari della reggenza di Singkil. Tra queste, una decina appartenevano alla comunità Pakpak Dairi Christian Protestant Church (Gkppd) e quattro erano cattoliche. In un comunicato diffuso oggi, i leader della Alliance of United North Sumatra affermano che gli attacchi sono causa di "crescente preoccupazione", dato che non vi sono "tutele o riconoscimenti" per tutti i gruppi religiosi fra cui le minoranze. In particolare a Singkil la situazione è in continuo peggioramento, con palesi violazioni alla libertà religiosa che "è un diritto riconosciuto in via ufficiale dalla nostra Costituzione". I leader cristiani puntano inoltre il dito contro il governo centrale a Jakarta, che non interviene nei riguardi delle singole amministrazioni locali che violano i diritti e le libertà dei cittadini, compresi i non musulmani. Nel documento ufficiale viene anche ricordato l'ultimo episodio di violenze nella reggenza di Singkil, avvenuto lo scorso 18 luglio. Alle prime luci dell'alba la casa di preghiera della comunità Pakpak Dairi Christian Protestant Church (Gkppd) è stata assaltata e data alle fiamme da un gruppo di sconosciuti. Nel rogo sono andate distrutte alcune panchine e diversi strumenti musicali, ma il pronto intervento dei fedeli ha scongiurato la completa devastazione dell'edificio. All'interno della struttura sono stati rinvenuti circa 15 litri di benzina; finora gli inquirenti non hanno individuato alcun colpevole. La provincia di Aceh, la più occidentale dell'arcipelago di Indonesia, è anche l'unica in cui vige la shariah; il rispetto delle regole è inoltre assicurato dalla presenza per le strade della "polizia della morale", un corpo speciale che punisce le violazioni al costume. In passato sotto la guida del governatore Irwandy Yusuf - capo della guerriglia - vigeva una relativa calma e armonia interreligiosa fra maggioranza musulmana e "stranieri" di diverse confessioni non islamiche. Tuttavia, negli ultimi tempi la situazione è cambiata: sono iniziati gli attacchi contro le minoranze religiose, l'ala fondamentalista ha guadagnato sempre più potere e libertà di azione. Alle elezioni dello scorso aprile ha trionfato Zaini Abdullah, anch'egli leader della guerriglia separatista a lungo in esilio in Svezia, che ha promesso lotta alla corruzione e applicazione della legge islamica. Ed è proprio la rigida applicazione della shariah una delle condizioni poste dai ribelli indipendentisti a Jakarta, per mettere fine alla guerra armata. A testimonianza della crescente tensione interreligiosa, nel recente passato l'area è stata teatro di attacchi e violenze contro le comunità cristiane, che hanno portato alla chiusura dei luoghi di culto. Alle violenze si sono aggiunte le chiusure di chiese e luoghi di culto nella zona, disposte dalle autorità per la mancanza del permesso di costruzione degli edifici (il famigerato Imb, Izin Mendirikan Bangunan). (R.P.)
Nepal: a Kathmandu demolita la più antica chiesa protestante per facilitare il traffico
◊ Per decongestionare il traffico, le autorità di Kathmandu demoliscono i muri esterni della più grande e antica chiesa protestante della capitale, danneggiando anche parte degli interni. La distruzione è avvenuta sabato scorso alle 5 del mattino ed è proseguita fino all'inizio della messa, ignorando i circa 500 fedeli già accorsi in chiesa per pregare. L'operazione - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha coinvolto anche diversi edifici privati distrutti, nonostante le proteste degli abitanti. Per evitare scontri con i residenti, l'amministrazione civica ha schierato centinaia di poliziotti davanti alla chiesa e alla case da demolire. Rajan Rai, cristiano protestante, accusa il governo della città di considerare i luoghi di culto come normali edifici, senza preoccuparsi del loro significato spirituale e storico. "Le autorità non hanno rispetto per la sensibilità religiosa - sottolinea - e ignorano quanto sia importante per noi la fede". Il caso ha creato tensioni fra la Kathmandu Metropolitan Development Authority (Kmda), incaricata del progetto, e i leader della chiesa protestante locale, che fino ad ora non hanno rilasciato commenti, ma secondo fonti locali denunceranno l'abuso in tribunale. Keshav Sthapit, responsabile della Kmda, difende l'operato dell'amministrazione pubblica: "Abbiamo fatto il nostro lavoro senza pregiudizi. L'espansione del sistema viario ha colpito molti edifici religiosi e pubblici. In questi mesi, sono stati distrutti anche templi indù, uffici diplomatici stranieri e molte abitazioni private". Il funzionario afferma che le autorità hanno aperto un'indagine sugli edifici contestati, in caso di irregolarità nelle operazioni provvederanno a risarcire i danni. Istituito di recente per risolvere il problema del traffico e dell'inquinamento nella capitale, il progetto lanciato dalla Kmda interessa tutto il centro storico di Kathmandu, per un totale di 38 km. In questi anni la città ha vissuto un'enorme e veloce espansione urbanistica che ha congestionato gli antichi quartieri centrali. I vicoli e le strade non sono più sufficienti a contenere il traffico - soprattutto di motocicli - aumentato del 213%. Per i quartieri di Kathmandu viaggiano ogni giorno oltre 500mila fra motorini, moto e tricicli. (R.P.)
Yemen: un milione di bambini soffre di denutrizione grave
◊ Lo Yemen è uno dei Paesi arabi più poveri del mondo, dove ci sono un milione di bambini che soffrono di denutrizione grave mentre le rispettive famiglie fanno fatica per riuscire a comprare generi alimentari. I disordini politici che hanno colpito il paese nell’ultimo anno e mezzo hanno lasciato il Paese sull’orlo di una crisi umanitaria e le agenzie internazionali di aiuti stimano che la metà dei 24 milioni di abitanti yemeniti sia denutrito. E’ aumentata la disoccupazione, i prezzi dei generi alimentari sono saliti, gli aiuti stranieri sono diminuiti, il prezzo delle materie prime di base, come il riso è salito del 60%. Hanno portato ad una precarietà - riporta l'agenzia Fides - anche per quanto riguarda la distribuzione di energia elettrica, dando come risultato l’aumento del prezzo del combustibile. Secondo il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite, il problema non è tuttavia la disponibilità quanto l’accesso all’acquisto dei beni di prima necessità, visto che tanta gente non ha la possibilità di comprare. La denutrizione grave causa nei bambini malattie debilitanti e, se le condizioni fisiche peggiorano, può anche portare alla morte. (R.P.)
Cina: nuova Fondazione nell'He Bei per i poveri e l'evangelizzazione
◊ Educazione, soccorso ai poveri ed alle vittime dei disastri naturali, evangelizzazione dei nuovi battezzati: sono le priorità della nuova Fondazione di Xian Ai, della diocesi di Xian Xian (oggi Cang Zhou) nella provincia dell’He Bei. Secondo quanto riferito all’agenzia Fides da Faith dell’He Bei, nell’incontro che ha sancito la nascita della Fondazione, svoltosi il 14 luglio e presieduto da mons. Giuseppe Li Lian Gui, vescovo diocesano, è stato approvato lo statuto ed eletto il primo esecutivo, guidato dallo stesso mons. Li come presidente. I partecipanti alla riunione hanno confermato che la fondazione “si concentra sulle opere caritative e di misericordia a servizio della società, cui si dedica con amore, per testimoniare la fede”, nello spirito di rilancio dell’evangelizzazione della diocesi e per contribuire allo sviluppo della società cinese. Mons. Li ha esortato i fedeli della diocesi a “vivere la fede e l’amore con la propria vita, non solo a parole”, ed a “trasmettere questo amore che Cristo ci ha donato con la vita, perché nessuno al mondo manchi di questo amore”. La diocesi di Xian Xian (oggi Cang Zhou), che era l’antico vicariato apostolico di Tcheli-Sudest, oggi ha 75.000 fedeli, quasi 100 sacerdoti, 206 fra chiese e cappelle. La comunità cattolica locale ha inviato decine di sacerdoti e suore a studiare all’estero, con l’aiuto della comunità cattolica universale. Ogni anno, oltre cento nuovi catecumeni ricevono il Battesimo e diventano membri della comunità cristiana. (R.P.)
El Salvador: i vescovi chiedono di ripristinare l'ordine costituzionale alterato
◊ La Chiesa cattolica in El Salvador ha chiesto al Parlamento l'abrogazione delle elezioni dei magistrati, come stabilito da una sentenza, per ripristinare “l'ordine costituzionale alterato” e ha avvertito che l'insediamento “di fatto” dei giudici ha portato il Paese ad avere due Corti supreme di giustizia e due presidenti della magistratura, creando incertezza ed insicurezza legale nel Paese. La Conferenza episcopale di El Salvador - riferisce l'agenzia Fides - sottolinea nella sua dichiarazione che l'Assemblea Legislativa deve obbedire alle sentenze emesse dal Consiglio della Corte Costituzionale della Giustizia, che il 5 giugno ha annullato le elezioni dei giudici svoltesi nel 2006 e il 24 aprile 2012, ordinando nuove elezioni. I vescovi hanno chiesto di scegliere come giudici “persone che rispondano ai requisiti indicati dalla Costituzione della Repubblica”. In riferimento all’insediamento forzato di queste persone, il comunicato sottolinea che "la situazione non fa altro che intensificare il conflitto”, "il massimo organo della giustizia è minacciato dal disordine al suo interno, a causa dell'insediamento dei giudici la cui elezione è stata dichiarata incostituzionale". La Chiesa si era già espressa al riguardo poco tempo fa. Il Presidente salvadoregno Mauricio Funes, ha detto che chiamerà i sei partiti politici al dialogo, per cercare una soluzione definitiva alla crisi. L'opposizione ha dichiarato alla stampa locale il suo accordo con l'iniziativa di Funes. (R.P.)
Cuba: la Chiesa si mobilita per l'epidemia di colera
◊ La Chiesa cubana si mobilita per distribuire aiuti alle persone ammalate di colera nella diocesi di Bayamo-Manzanillo (nella provincia sud-orientale cubana di Granma). A Cuba - riferisce l'agenzia Sir - sono stati rilevati finora 158 casi di colera nella provincia di Granma, a 700 km ad est della capitale L'Avana. Il governo ha attivato le misure preventive e igieniche necessarie a contenere la propagazione del contagio. La Caritas di Bayamo-Manzanillo, grazie ad un finanziamento dal Catholic relief service (Crs), ha distribuito serbatoi di acqua, cibo, articoli per l’igiene e acqua in bottiglia nei villaggi nei comuni di Manzanillo, Niquero e Yara. Sono in servizio volontari dalle parrocchie dell‘Immacolata Concezione di Manzanillo, San Francisco Javier de Niquero e San Jose e Santa Rita de Yara. (R.P.)
Scomparso in un incidente il dissidente cubano Oswaldo Paya
◊ In un incidente stradale, avvenuto nei giorni scorsi a 900 km dall’Avana, ha perso la vita Oswaldo Paya, uno dei più noti dissidenti cubani, vincitore nel 2009 del Premio Sakharov per i diritti umani dell'Europarlamento. Per ben 5 volte il suo nome venne proposto per il premio Nobel per la pace. Nell’incidente è morto anche Harold Cepero, altro attivista, e due persone – uno spagnolo e uno svedese – sono rimaste ferite. Su quanto accaduto sarà comunque aperta un’inchiesta. Paya fu il fondatore nel 1988 del Movimento di liberazione cristiano, lavorò molti anni per raccogliere firme da presentare al Parlamento dell’Avana. Ne furono raccolte oltre 25mila, più del doppio necessario. Il progetto fu denominato “Varela” e consisteva nella richiesta di referendum per convertire in legge: il diritto alla libertà di espressione, la libertà di stampa, la libertà di associazione, il diritto dei cittadini cubani a fare impresa, la modifica della legge elettorale e l’amnistia per i prigionieri politici. Nel 2002 il progetto venne bloccato e non fu discusso in Parlamento. Paya, che lascia la moglie e tre figli, era nato nel 1952 da una famiglia cattolica, era ingegnere specializzato in strutture sanitarie. (B.C.)
Messico: centinaia di migliaia di bambini in Chiapas lavorano senza alcun compenso
◊ Nello Stato messicano del Chiapas, circa 199 mila bambini nella fascia di età che va dai 5 ai 17 anni lavorano senza ricevere alcun compenso economico. Secondo i responsabili dell’Ufficio del Lavoro locale, la grave piaga del lavoro minorile per le strade è ancora lontana dall’essere risolta, e molti dei lavori nei quali questi piccoli vengono impiegati sono ad altissimo rischio per la loro incolumità fisica. Purtroppo - riferisce l'agenzia Fides - sono tanti i bambini che non hanno alternative di sostentamento e cercano di guadagnarsi da vivere svolgendo attività pericolose che spesso li coinvolgono in organizzazioni criminali. Per le strade delle città è possibile incontrare minori nei parchi, agli incroci, vendono gomme da masticare, puliscono le scarpe dei passanti, lavano i parabrezza delle macchine e fanno qualsiasi altro tipo di attività manuale. Molti lavorano nelle piantagioni di caffè, banane e mango, e accompagnano i lavoratori agricoli migranti dal Centro America. (R.P.)
Gabon: VI Pellegrinaggio della Missione di Sant'Anna che quest'anno celebra 125 anni
◊ “Ritirarsi a Sant’Anna è un tempo di incontro personale e un’esperienza con Cristo”: è quanto ha affermato ieri padre André Marie Mboumba parroco della missione Sant’Anna del Fernand Vaz, nella diocesi di Port-Gentil, nel Gabon, durante la Messa di apertura del VI Pellegrinaggio dedicato a Sant’Anna che la Chiesa ricorda nel calendario liturgico il 26 luglio. Quest’anno la Missione festeggia anche 125 anni di storia e sono previsti momenti di preghiera e di meditazione, incontri di catechesi e dibattiti. La parrocchia di Sant’Anna, che si trova nella laguna di Fernand Vaz, accoglierà fino al 29 luglio, come si legge sul sito www.eglisecatholique.ga, fedeli da tutto il Gabon, dal Camerun, dalla Guinea Equatoriale, dal Benin e dalla Francia. Attesi anche vescovi delle diocesi limitrofe e diversi religiosi. (T.C.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 204