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Sommario del 18/07/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Rapporto Moneyval: bene il Vaticano sulle misure antiriciclaggio, migliorare vigilanza e norme per accedere allo Ior
  • Benedetto XVI: approfondire i valori delle tradizioni afroamericane
  • Repubblica Centrafricana: visita pastorale del cardinale Filoni che ordinerà 4 vescovi
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Attentato a Damasco: uccisi ministro della Difesa e cognato di Assad. Gli Usa: crisi fuori controllo
  • Libia. Il partito moderato di Jibril vince le elezioni, ma c'è l'incognita degli indipendenti
  • Presidenziali in India: favorito il ministro delle Finanze Pranab Mukherjie
  • Sicilia sull'orlo della bancarotta. Mons. Mogavero: la Sicilia ha i mezzi per uscire dal degrado
  • A vent'anni dall'uccisione del giudice Borsellino, il ricordo di Antonio Ingroia
  • Missionari tra i poveri dell'Apurimac: la testimonianza del padre agostiniano Giovanni Boffelli
  • La missione di Sat-7, emittente cristiana in Medio Oriente seguita anche dai musulmani
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria. Accorata testimonianza di mons. Nassar: "La gente a Damasco fugge, prega e spera"
  • Siria: l’Unicef denuncia numerose violazioni dei diritti sui bambini
  • Russia: storica visita a Katyń del patriarca Kirill che ad agosto sarà in Polonia
  • India: centinaia di morti e oltre 400 mila senza tetto per le forti inondazioni in Assam
  • Somalia: i rifugiati sono un milione ma il flusso rallenta
  • Nord-Kivu: attacco dei miliziani Mayi Mayi, centinaia di persone in fuga
  • Sahel: record di bambini malnutriti, 1 milione in attesa di ricevere cure
  • Madagascar: la denutrizione cronica è uno dei problemi più gravi del Paese
  • Ghana: l’arcivescovo di Accra contro corruzione e illegalità diffusa nel Paese
  • Sudafrica: i volontari di una parrocchia di Soweto, nel giorno di Mandela
  • Sierra Leone: raccolta fondi delle Chiese per avviare “Radio Shalom”
  • Perù: i vescovi chiedono una novena di preghiera per il dialogo e la pace
  • Bielorussia: icona della Madonna di Czestochowa in pellegrinaggio a difesa della vita
  • Scozia: appello dei vescovi contro la legalizzazione delle unioni gay
  • Il Papa e la Santa Sede



    Rapporto Moneyval: bene il Vaticano sulle misure antiriciclaggio, migliorare vigilanza e norme per accedere allo Ior

    ◊   Grande attesa oggi per la pubblicazione del primo Rapporto di valutazione in sede europea sulle misure di prevenzione del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo adottate dalla Stato della Città del Vaticano. Il documento, elaborato dallo speciale Comitato “Moneyval” del Consiglio d’Europa, è stato commentato stamane in Sala Stampa vaticana, sia in inglese che in italiano, da mons. Ettore Balestrero, sottosegretario per i Rapporti con gli Stati. Il servizio di Roberta Gisotti.

    Voto positivo per la Santa Sede “conforme” o “largamente conforme” in nove delle 16 principali raccomandazioni contro il riciclaggio ed il finanziamento del terrorismo. In tutto le raccomandazioni sono 45: luce verde su 22, ne restano 23 dove il giudizio è ancora non conforme; in particolare vi sono 7 aree di criticità sulle quali la Santa Sede – ha rassicurato mons. Ettore Balestrero, che ha guidato la delegazione vaticana a Strasburgo - intende impegnarsi per raggiungere quanto prima gli standard internazionali. Dunque “soddisfazione per i risultati raggiunti”, “temperata - ha commentato mons. Balestrero – dalla consapevolezza di ciò che si deve ancora compiere”:

    “Il rapporto pubblicato oggi rappresenta non la fine, ma una pietra miliare nel nostro costante impegno di coniugare l’impegno morale con l’eccellenza tecnica”.

    Un percorso avviato a fine 2010 con l’adozione nella Città del Vaticano della legge 127 in materia di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo, in vigore dall’aprile 2011, e la richiesta nel febbraio dello stesso anno di una valutazione del Comitato Moneyval. Sono stati mesi “di intenso lavoro e apprendimento”, ha spiegato mons. Balestrero:

    “Compliance and effective implementation...
    La conformità e l’attuazione effettiva sono realmente ciò che rende significativo l’impegno morale in questo ambito”.

    “Una lunga strada in un periodo di tempo assai breve” - rimarca in positivo il Rapporto di Moneyval – che promuove la Santa Sede su aspetti rilevanti come il riciclaggio di denaro, le misure di confisca, le leggi sulla riservatezza, la documentazione, l’assistenza legale reciproca, il trattamento penale del finanziamento del terrorismo, la cooperazione internazionale. Per contro Moneyval chiede in particolare di rafforzare “la base legislativa per la vigilanza”, lamentando “una mancanza chiarezza circa il ruolo, le responsabilità, l’autorità, i poteri e l’indipendenza dell’Aif, l'Autorità d’informazione finanziaria - operativa ricordiamo dal giugno 2011 - nella sua veste di supervisore”. Altra indicazione allo Ior è quella di fissare norme certe sugli aventi diritto “a possedere un conto presso l’Istituto per le Opere di Religione”. Mons. Balestrero ha così concluso:

    “Abbiamo quindi compiuto un passo definitivo, ponendo le fondamenta di una casa, ossia di un sistema di lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo, che sia solido e sostenibile. Ora vogliamo costruire compiutamente un edificio, che dimostri la volontà della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano di essere un partner affidabile nella comunità internazionale”.

    Stiamo vivendo “un momento storico” - ha chiosato infine il portavoce vaticano padre Federico Lombardi - per raggiungere “la piena efficacia di un sistema controllato e trasparente”.

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    Benedetto XVI: approfondire i valori delle tradizioni afroamericane

    ◊   In un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e indirizzato a mons. Pablo Varela Server, vescovo ausiliare di Panamá e presidente del Dipartimento di Educazione e Cultura del Consiglio episcopale latino americano (Celam), Benedetto XVI esprime la propria vicinanza spirituale ai responsabili della pastorale afroamericana del continente, riuniti fino a venerdì 20 luglio a Guayaquil, in Ecuador, per il XII Incontro di Pastorale afroamericana e caraibica. In quest’occasione il Papa incoraggia i partecipanti alla riflessione e all’approfondimento dei valori culturali, della storia e delle tradizioni afroamericane, in modo che la Chiesa sappia presentare sempre più e meglio Gesù come la risposta autentica agli interrogativi più profondi dell’essere umano, lasciandosi condurre dallo Spirito Santo che è venuto a fecondare tutte le culture “purificandole e sviluppando i numerosi germi e semi che il Verbo incarnato aveva messo in esse, orientandole così verso le strade del Vangelo”, come disse il Pontefice ad Aparecida nel discorso inaugurale della V Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano e dei Caraibi il 13 maggio 2007. All’incontro, dedicato al tema “La Pastorale afroamericana e caraibica e il documento di Aparecida, sfide e speranze per la Chiesa e per la società”, partecipano 250 tra vescovi, sacerdoti, operatori della Pastorale afroamericana e laici che vengono da Paesi in cui la presenza afro è molto forte, come Colombia, Brasile, Venezuela, Costa Rica, Honduras, Haiti, Nicaragua, Guatemala, Belize, Perù e Messico. Il primo di questi incontri fu organizzato a Buenaventura, in Colombia, nel 1980 e vi parteciparono solo Colombia ed Ecuador; da allora gli incontri si svolgono ogni 3 anni e hanno visto crescere la presenza degli Stati in cui vivono popolazioni di discendenza africana e dove la Chiesa locale è fortemente impegnata in attività pastorale specificamente rivolte a queste popolazioni. Il Santo Padre, infine, imparte una speciale benedizione apostolica ai vescovi e ai loro collaboratori impegnati ad accompagnare spiritualmente queste popolazioni, a volte emarginate e inascoltate. (R.B.)

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    Repubblica Centrafricana: visita pastorale del cardinale Filoni che ordinerà 4 vescovi

    ◊   Il cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, arriva oggi pomeriggio nella Repubblica Centrafricana, per una visita pastorale di una settimana. Il momento più solenne sarà caratterizzato, domenica 22 luglio, dall'ordinazione episcopale di quattro vescovi, nominati da Benedetto XVI il 14 maggio scorso: mons. Dieudonné Nzapalainga (arcivescovo di Bangui), mons. Nestor-Désiré Nongo Aziabgia (vescovo di Bossangoa), mons. Dennis Abgenyadzi (vescovo di Berbérati) e mons. Cyr-Nestor Yapaupa (vescovo coadiutore di Alindao). Nel programma della visita del cardinale Filoni - riferisce l'agenzia Fides - figurano diversi incontri: con i vescovi ed i vicari generali, con i sacerdoti, con i religiosi e le religiose, con i formatori dei seminari, con i delegati dei laici. Il 20 luglio il Prefetto del Dicastero Missionario sarà ricevuto in udienza dal Capo dello Stato. Il cardinale inoltre visiterà alcuni orfanotrofi e parrocchie di Bangui. Il 26 luglio è previsto il rientro a Roma. Secondo i dati dell’ultimo Annuario statistico della Chiesa, la Repubblica Centrafricana ha una superficie di 622.984 kmq, una popolazione di 4.298.000 abitanti, di cui 1.282.000 cattolici. Le circoscrizioni ecclesiastiche sono 9, le parrocchie 116, le stazioni missionarie con sacerdote residente 10 e quelle senza sacerdote fisso 1.615. I vescovi sono 11, i sacerdoti diocesani 192 e quelli religiosi 125, i religiosi non sacerdoti 23, le religiose 354, i membri degli istituti secolari femminili 13, i missionari laici 26, i catechisti 4.199. I seminaristi minori diocesani sono 222 e quelli religiosi 124. I seminaristi maggiori diocesani sono 156 e quelli religiosi 62. La Chiesa gestisce 106 scuole materne, 148 elementari e 23 medie, oltre a 114 istituti di beneficenza e assistenza, tra cui 12 ospedali, 35 dispensari, 8 centri per anziani e handicappati, 4 orfanotrofi, 23 centri di rieducazione. Alcuni cenni sulla storia dell’Evangelizzazione: nel 1846 il territorio dell'attuale Repubblica Centrafricana entra a far parte del vicariato apostolico dell’Africa Centrale, affidato fino al 1878 a padre Daniele Comboni e ai suoi missionari. La prima missione cattolica è stata fondata nell’Ubanghi-Chari, dai missionari Spiritani nel 1894, inviati dal prefetto apostolico di Brazzaville. Nel 1909 viene eretta la prefettura apostolica di Ubanghi-Chari. Nel 1929 arrivano le prime religiose, le suore Missionarie dello Spirito Santo. Nel 1937 la prefettura apostolica dell’Ubanghi-Chari diventa vicariato apostolico e nel 1940 viene rinominato Bangui. Nel 1938 viene ordinato il primo sacerdote indigeno. Il 14 settembre 1955 è istituita la Gerarchia locale e Bangui è elevata ad arcidiocesi metropolitana. (R.P.)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   I passi concreti di un impegno morale: monsignor Ettore Balestrero, sottosegretario per i Rapporti con gli Stati, Capo Delegazione della Santa Sede, sul Rapporto Moneyval riguardante le misure adottate dalla Santa Sede per la prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, la battaglia, a Damasco, tra i ribelli e l'esercito siriano.

    Tutti i misteri della tomba di Pietro: in cultura, stralci del volume "Le orecchie del Vaticano" del vaticanista Bruno Bartoloni, che rivela decenni di storie pubbliche e riservate accadute all'ombra del cupolone.

    Un articolo di Simona Verrazzo dal titolo "De Chirico e il sacro": pubblicato il catalogo delle opere dedicate dall'artista al trascendente.

    A scuola di dialogo da Donna Intelligenza: l'introduzione della curatrice Sara Muzzi al volume "Il Libro del Gentile e dei tre Savi" di Raimondo Lullo.

    Caino malato di consumismo: Claudio Toscani recensisce l'ultimo romanzo di Paola Capriolo.

    Quel popolo sale e luce del mondo: nell'informazione religiosa, Thomas Rosica sulle nuove sfide per l'evangelizzazione a dieci anni dalla Giornata mondiale della Gioventù di Toronto.

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    Oggi in Primo Piano



    Attentato a Damasco: uccisi ministro della Difesa e cognato di Assad. Gli Usa: crisi fuori controllo

    ◊   Sembra precipitare la crisi in Siria: in un attentato, stamane a Damasco, sono rimasti uccisi il ministro della Difesa e un alto consigliere militare, cognato di Assad. Ferito il ministro dell’Interno. Fonti ufficiali parlano dell’attacco di un kamikaze ma sembra sia stata posta una bomba all’interno del palazzo della sicurezza mentre si svolgeva un incontro tra ministri e responsabili dell’intelligence. Un'altra esplosione è stata udita in tarda mattinata nello stesso edificio. Sono due i gruppi ribelli siriani che rivendicano l'attentato. Da tre giorni è sempre più alto il livello di violenza a Damasco e sale l’attesa per il voto di oggi al Consiglio di sicurezza Onu su una possibile ennesima risoluzione. Per il ministro della Difesa degli Usa, Leon Panetta, la crisi siriana sta finendo fuori controllo: per questo - si afferma - occorre aumentare la pressione su Assad. Della guerra civile in Siria Fausta Speranza ha parlato con il professor Arduino Paniccia, docente di studi strategici all’Università di Trieste:

    R. - E’ un conflitto, seppure naturalmente giocato in un altro campo, tra Stati Uniti, Russia e Cina, un conflitto che coinvolge l’Onu. E poi è un conflitto tra componenti religiose diverse arabe ed è un conflitto, infine, che coinvolge gli assetti e gli equilibri del Medio Oriente. Si profila come il nuovo tipo di conflitto che potrebbe accadere in Medio Oriente.

    D. – Parliamo del ruolo della Turchia: Assad accusa Erdogan, presidente della Turchia, di alimentare una guerra di religione tra sunniti e sciiti in Siria. Lei che dice?

    R. – Si sfrutta il coordinamento dei Fratelli musulmani per mettere in atto delle politiche, che poi finiscano per favorire la Turchia. Sicuramente non è detto che tutte le cose vadano così come le immagina la Turchia, perché dobbiamo ancora capire quale sarà l’atteggiamento vero finale dell’Iran su questa vicenda. E dobbiamo ancora capire se effettivamente poi tutti i Fratelli musulmani delle varie entità arabe e della sponda nord africana e mediorientale faranno quello che lasciano intendere, cioè avere come riferimento il partito di Erdogan e come riferimento finale la Turchia. Non è detto che questo accada. Già in Libia questo processo non è avvenuto così come se lo aspettavano i turchi qualche settimana fa. Dobbiamo anche dire che la spaccatura ormai tra mondo sciita e mondo sunnita che si è aperta nella vicenda irachena è difficile da ricucire. La comprensione delle sfumature non è facile. Quello che io vedo oggi nel mondo arabo è che la spaccatura riguarda molto la vicenda della globalizzazione e del modello occidentale. La profonda divisione che c’è oggi all’interno di questo mondo non è soltanto una divisione tradizionale tra sciiti e sunniti, e le varie altre componenti religiose. La divisione profonda è tra coloro che vogliono guardare al futuro e mantenere dei contatti comunque con il mondo occidentale e tra coloro che invece lo rifiutano completamente. La linea più dura del rifiuto, che era la linea di Al Qaeda - la linea del terrorismo, degli estremisti, la linea dei fondamentalisti - devo dire che comunque dopo 20 anni ne è in qualche modo uscita sconfitta. Adesso c’è un nuovo problema. Il problema divide in maniera più sottile i Fratelli musulmani, che comunque vogliono arrivare al potere dopo tantissimi anni di lotta politica, e di nuovo, al loro fianco, o le sette oppure sunniti più fondamentalisti, come per esempio i salafiti. Non vedrei, però, solo il problema religioso nello scontro in atto: ci sono anche problemi politici, economici e di risposta alla globalizzazione.

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    Libia. Il partito moderato di Jibril vince le elezioni, ma c'è l'incognita degli indipendenti

    ◊   Dopo oltre 40 anni di dittatura di Gheddafi, la Libia si avvia ad una lenta normalizzazione. Un passo importante è stato segnato dalle elezioni che si sono svolte il 7 luglio scorso, i cui risultati usciti dalle urne consegnano la vittoria all'Alleanza delle Forze nazionali, coalizione moderata guidata dall'ex premier del Cnt Mahmoud Jibril. Un risultato importante, anche se parziale, come spiega Arturo Varvelli, ricercatore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, intervistato da Salvatore Sabatino:

    R. - E’ sicuramente una vittoria, ma una vittoria parziale perché è stata ottenuta solamente nelle liste partitiche, cioè sugli 80 seggi. Bisognerà vedere come verranno assegnati gli altri 120 seggi che sono invece eletti su base indipendente; si tratta cioè di indipendenti che concorrono ai singoli seggi col sistema maggioritario. Certo questi potrebbero essere parte del partito di Jibril ma anche di altre formazioni.

    D. - La Libia a questo punto è l’unico dei Paesi della “primavera araba” a non consegnare il potere nelle mani dei Fratelli Musulmani. Anche questo è un risultato importante e inaspettato…

    R. - Sì, inaspettato, soprattutto per le dimensioni dei risultati. Sicuramente sapevamo che la Fratellanza musulmana libica in Libia era storicamente molto meno forte e rappresentativa della popolazione rispetto all’Egitto, ad esempio, ma anche rispetto al partito Ennahda in Tunisia. La fratellanza libica è stata ostacolata molto di più rispetto agli altri due Paesi dal regime di Gheddafi che in qualche maniera ha finito per laicizzare la visione dell’Islam nella politica.

    D. - Jibril nei giorni scorsi ha lanciato un appello al dialogo per la creazione di una grande coalizione di governo. In un Paese così frammentato è possibile procedere in questa direzione?

    R. - Vedo molto difficile questa soluzione e sembra che la Fratellanza musulmana si sia già defilata dall’ipotesi di una grande coalizione. Certo, Jibril è in una posizione giusta per potere invece cercare questa soluzione; appartiene ai Warfalla che sono la tribù più numerosa e più importante della Libia. Però questo d’altra parte crea di nuovo un ritorno su base localistica e tribale. Ad esempio, la città di Misurata ha una rivalità storica con la tribù dei Warfalla, quindi sarà un primo test. Poi c’è la questione delle milizie, naturalmente, dei localismi, della Cirenaica. I problemi sono tanti.

    D. - Bisogna dire che Jibril probabilmente è la persona giusta anche per rappresentare bene la Libia in questo momento a livello diplomatico…

    R. - Jibril è stato molto bravo perché si è defilato dal Cnt al momento opportuno, cioè subito dopo la morte di Gheddafi e poi ha costituito questa formazione politica che è comunque un’alleanza tra diversi partiti. In qualche maniera si è anche defilato dalle critiche che il Cnt ha subito da parte della popolazione, perché il Cnt è stato percepito come un organo poco legittimo a governare, spesso inattivo nei confronti delle milizie, spesso inefficiente nel ripristinare alcuni servizi fondamentali. Quindi ha saputo giocare bene al momento giusto e riproporsi sulla scena politica nel momento più opportuno

    D. - Intanto arrivano già i primi complimenti per i risultati; primo fra tutti quelli del segretario generale del Nato Rasmussen, che ha parlato di “impressionante passo avanti nella transizione della Libia verso la democrazia”. Una presa di posizione importantissima anche per il ruolo svolto dall’alleanza atlantica nella caduta di Gheddafi…

    R. - Sì, diciamo chiaramente che Gheddafi non sarebbe mai caduto senza l’intervento esterno. L’intervento esterno è stato decisivo, quello della Nato lo è stato ancora di più. Da qui, però, a dire che la Libia sia sulla strada della democrazia, tempo ce ne corre. Sembra che Rasmussen sia facile agli entusiasmi anche per valorizzare il ruolo che ha avuto la Nato. La Libia si trova, invece, davanti a uno scoglio grandissimo che non è solo quello dello “state building”, cioè della ricostruzione delle istituzioni civili e democratiche ma anche del “nation building”. La Libia è un Paese che deve costruirsi innanzitutto come nazione e vediamo che lo sta faticosamente cercando di fare in queste settimane.

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    Presidenziali in India: favorito il ministro delle Finanze Pranab Mukherjie

    ◊   L’Assemblea dei Grandi Elettori, il Parlamento indiano, si prepara a scegliere il nuovo presidente che dovrà prendere il posto di Pratibha Patil, attualmente alla guida del Paese. Gli analisti danno per scontata la vittoria del ministro delle Finanze Pranab Mukherjie, una delle personalità più potenti di New Delhi. A pesare sul voto da un lato le pressioni della destra nazionalista e le spaccature nella sinistra dall’altro le manovre del Congresso di Sonia Gandhi, alla ricerca di nuovi alleati dopo le recenti sconfitte politiche. Per un commento Cecilia Seppia ha sentito Claudio Landi, giornalista esperto di questioni indiane:

    R. – Sì, ci sono vari candidati, ma Pranab Mukherjie, che è l’attuale ministro delle Finanze del governo di Manmohan Singh, è decisamente il front runner, il candidato che ha tutte le carte in regola. Sembra di capire che dovrebbe avere l’appoggio di circa il 60 per cento dei grandi elettori. Il candidato del partito all’opposizione della destra nazionalista indù e il Bjt non ha proprio possibilità. L’unica questione – sembra di capire – è se Pranab Mukherjee prenderà tutti i voti dei partiti che hanno annunciato di sostenerlo, oppure no; oppure, addirittura, se ne prende qualcuno in più.

    D. – Hai citato i Grandi Elettori: possiamo spiegare come avverrà, in pratica, questa votazione, questa elezione presidenziale in India?

    R. – Chiariamo innanzitutto una questione. La presidenza della Repubblica dell’India – stiamo parlando di questo incarico – viene designata da un’assemblea di grandi elettori che assomiglia un pochino al Parlamento che in Italia, in seduta comune, elegge il presidente della Repubblica italiana perché è composto dai deputati della Lok Sabha, la Camera bassa, dai rappresentanti della Camera alta e dai rappresentanti dei Parlamenti regionali degli Stati della Federazione indiana. E il loro voto viene calcolato, specialmente quello di questi ultimi, in base alla popolazione e al numero degli elettori: quindi, è un voto ponderato.

    D. – Altro punto importante, in queste elezioni, è rappresentato dagli equilibri politici in dissoluzione: la destra nazionalista che si trova senza peso nella partita, la sinistra che si è spaccata con una formazione importante come il Partito comunista indiano …

    R. – La questione che è molto importante in tutta questa faccenda sono gli equilibri politici, perché in India – a Delhi, come peraltro a Roma – quando si elegge il presidente della Repubblica ovviamente si muovono manovre politiche su tutti i fronti e stavolta la questione politica fondamentale è stata quella riguardante il Partito del Congresso: il Partito del Congresso di Sonja Gandhi è stato in forti difficoltà dopo il risultato delle elezioni in uno dei più importanti Stati dell’India, che è l’Uttar Pradesh. Per uscire dall’angolo in cui si era trovato dopo il risultato di queste elezioni e anche per una situazione economica indiana che è piuttosto difficile, anche se molto poco conosciuta dalle nostre parti, i vertici del Partito del Congresso hanno elaborato una precisa strategia politica, di prendere i contatti e stabilire una serie di alleanze con alcuni partiti regionali del Nord dell’India. L’elezione di Pranab Mukherjee, del ministro delle Finanze, con l’appoggio di questi partiti – se riuscirà nei modi dovuti e per quello che si capisce secondo le previsioni – sarà un tassello importantissimo per la costruzione, da parte del Partito del Congresso, della nuova alleanza che dovrebbe poi portare il partito di Sonja Gandhi alle prossime elezioni nel 2014.

    D. – Pranab è una delle persone più navigate del potere politico indiano. Non è mai stato particolarmente "nelle grazie" del presidente del Partito del Congresso, Sonja Gandhi. Questo cambio al vertice, se dovesse appunto confermarlo come presidente, potrà determinare un cambiamento anche nella politica economica del Paese, visto il ruolo da lui rivestito, cioè il fatto che finora è stato ministro delle finanze?

    R. – Questo, probabilmente, determinerà un cambiamento anche di alcuni aspetti della politica economica e di bilancio dell’India in un senso più inclusivo, possiamo dire più progressista, più redistributivo. Il cambio ai vertici del ministero delle finanze – e qui bisogna vedere chi sarà il prossimo ministro delle Finanze – potrebbe portare ad un qualche cambiamento anche nella politica economica del governo ma non si può ancora dire se questo potrà giovare al rafforzamento dell'India nel panorama economico mondiale.

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    Sicilia sull'orlo della bancarotta. Mons. Mogavero: la Sicilia ha i mezzi per uscire dal degrado

    ◊   La situazione economica della Sicilia, sull’orlo della bancarotta con un passivo di oltre 7 miliardi di euro, è stata al centro, stamani, dell’incontro tra il capo di Stato italiano, Giorgio Napolitano, e il premier Mario Monti. Nel pomeriggio è prevista una conferenza stampa del presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, al quale il presidente del Consiglio ha chiesto di confermare le annunciate dimissioni. Sulla realtà siciliana si sofferma al microfono di Emanuela Campanile, il vescovo di Mazara del Vallo mons. Domenico Mogavero:

    R. – La Sicilia è una realtà dalle molte facce, alcune facce presentabili, altre molto meno. E’ chiaro che fanno notizie le facce non presentabili perché la Sicilia operosa, quella che lavora nel silenzio, che cerca di gettare ponti, che guarda soprattutto al Mediterraneo per farne un mare di incontro e di dialogo, non sempre fa notizia.

    D. - In questo momento così difficile che tipo di esempio può essere la Sicilia?

    R. - Un esempio di apertura, di accoglienza dell’altro. Buona parte di noi - e io tra questi - viviamo con grandissimo disagio e sofferenza le inadeguatezze della politica e tutto il male che si dice di una burocrazia e di un uso non professionale delle risorse e delle normative, soprattutto in campo europeo, perché siamo noi le prime vittime di questo sistema disordinato e assai inadeguato. La Sicilia ha tutti i mezzi per uscire fuori dalle strettoie di una situazione di degrado e di sottosviluppo, però non trova nella politica quella sponda di slancio che, mettendo a frutto le risorse che pure ci sono, dovrebbe fare da volano per una terra che ha bisogno di lavoro e di progresso.

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    A vent'anni dall'uccisione del giudice Borsellino, il ricordo di Antonio Ingroia

    ◊   Il 19 luglio di venti anni fa, un’autobomba esplose in via d’Amelio, a Palermo, uccidendo il giudice antimafia Paolo Borsellino e 5 agenti della sua scorta. Un attentato che seguì quello di Capaci, 57 giorni prima, nel quale venne ucciso il magistrato Giovanni Falcone insieme alla moglie e a tre uomini della sicurezza. Sono ancora molte le ombre che aleggiano sull’inchiesta di via d’Amelio e tante le iniziative per l’anniversario di un “eroe moderno della nostra democrazia”: così l’ha definito il giudice Antonio Ingroia, suo stretto collaboratore fin dal 1987. Benedetta Capelli lo ha intervistato:

    R. – Ha interpretato, credo nel migliore dei modi, un esempio di vita, che significa essere appunto cittadino moderno di una democrazia, che significa avere ideali etico-morali e saperli tradurre in azione quotidiana.

    D. – 57 giorni dopo la morte di Falcone, la corsa di Borsellino fu quasi forsennata verso la verità. Lei che idea si è fatto di questa verità? Oggi a che punto siamo?

    R. – Diciamo che siamo arrivati ad un punto in cui si è svelata in parte, in altre parti rimane occulta ed è rimasta occulta per troppo tempo e troppo a lungo. Si è dimostrata una strada molto impervia, difficile, tortuosa con qualche tranello lungo il percorso, che però con una certa ostinazione e tenacia, ad imitazione della tenacia che aveva dimostrato Borsellino e di tanti altri uomini dello Stato, magistrati, investigatori, che si sono impegnati in questi anni in diversi uffici giudiziari e in diverse procure, ha consentito di farne venire fuori, ogni anno, un pezzo in più. Gli ultimi anni, soprattutto, è emerso tanto, è emerso molto, è emersa soprattutto la conferma che Paolo Borsellino rimase vittima della mafia, ma anche vittima forse delle colpe di uno Stato che non lo accompagnò fino in fondo, non lo protesse, non lo sostenne.

    D. – Borsellino fu per lei un maestro nella sua carriera di magistrato. Umanamente che cosa le ha dato e qual è la sua eredità, che poi si porta nel lavoro e nella vita?

    R. – Una ricchezza enorme di valori morali e un bagaglio professionale altrettanto enorme. Credo che debba essere guardato come un modello per tutti i cittadini e non solo per i magistrati. Doti e qualità come la dirittura morale, l’intransigenza etica, ma anche la generosità d’animo e l’umiltà nella grandezza, credo che siano doti rare nell’Italia di oggi, che quest’uomo aveva al massimo potenziale e che costituiscono un tesoro, a volte un po’ dimenticato e a volte sepolto nella coscienza civile del Paese, che va disseppellito, portato alla luce, messo a frutto.

    D. – Pensando a questo magistrato, cosa le viene in mente, qual è l’immagine che più porta nel cuore?

    R. – Paolo Borsellino in un momento libero, la sera, in qualche ristorante a Marsala, agli inizi della mia carriera, quando lui era procuratore, brindando con un buon bicchiere di vino e ricordando i momenti di Palermo, del maxi processo, momenti anche esaltanti e importanti vissuti con Giovanni Falcone; o il Paolo Borsellino, invece, schiacciato dal dolore profondo della morte, della perdita dell’amico Falcone, con le spalle appoggiate contro le pareti del Pronto Soccorso, dell’ospedale civico di Palermo, dove lo incontrai pochi minuti dopo che Falcone gli era morto tra le braccia; poi, il Paolo Borsellino di grande umiltà e grandezza, che quando apprese la notizia di una minaccia, che riguardava anche me oltre che lui - era il 1990, il momento in cui mi venne assegnata la prima scorta blindata – la sua prima considerazione fu di amarezza per non avere svolto abbastanza bene il suo ruolo di capoufficio, perché diceva che un capoufficio deve essere soprattutto uno scudo dei propri sostituti, dei propri collaboratori e “se hanno minacciato te oltre che minacciare me significa che non sono stato abbastanza scudo nei tuoi confronti”. Questa generosità e nobiltà d’animo è Paolo Borsellino. Speriamo che soprattutto nelle giovani generazioni si sappia trarre alimento da questa grande lezione, soprattutto etico-morale, più ancora che professionale, che Paolo Borsellino ha lasciato a tutti noi.

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    Missionari tra i poveri dell'Apurimac: la testimonianza del padre agostiniano Giovanni Boffelli

    ◊   Una nuova scuola a Cusco, in Perù. E’ opera della missione dei religiosi agostiniani italiani e aprirà i battenti il prossimo anno con una sezione materna e classi per bambini e adolescenti. E’ stata costruita grazie alla generosità di tanti italiani che hanno aderito ai progetti di sviluppo dell’Associazione Apurimac, Onlus che sostiene le missioni agostiniane. Al microfono di Tiziana Campisi, padre Giovanni Boffelli descrive gli obiettivi della scuola:

    R. - Si chiama Colegios Santo Agostinho de Hipona. Questa iniziativa è nata per dare la possibilità di fornire un buon livello di preparazione a tutti i nostri giovani. Attraverso le borse di studio, vorremmo offrire la stessa possibilità anche a coloro che sono più poveri e che si trovano ad Apurimac, affinché possano frequentare un centro scolastico, offrendo loro un ingresso gratuito e anche loro, possano avere una preparazione di alto livello.

    D. - Questa nuova scuola è frutto di tanta solidarietà ..

    R. - Come molte altre iniziative, soprattutto attraverso l’appoggio dell’associazione Apurimac, anche questa è frutto della solidarietà dei nostri fratelli -in particolar modo di quelli italiani di ogni livello sociale-, dell’impegno da parte di tanti giovani laici, che si preoccupano di mantenere viva l’attenzione verso la nostra missione, e di collaborare nelle varie forme possibili per raccogliere fondi, per finanziare, giustamente, i nostri progetti di sviluppo nel campo scolastico, in quello alimentare, in quelli edilizio; tutte quelle attività di promozione umana che sono state fatte fin dall’inizio insieme –naturalmente- all’evangelizzazione, il nostro compito principale che ovviamente, non si esaurisce mai.

    D. - Lei è missionario in Perù da tanti anni. Quale realtà sta vivendo adesso?

    R. - La missione è iniziata 42 anni fa; si trova in situazioni economiche veramente poverissime, senza vie di comunicazione, senza strade, spesso senza un’adeguata alimentazione e con un’istruzione scolastica minima per la maggioranza dei bambini e delle bambine del luogo. La situazione era di assoluto abbandono anche da parte delle autorità civili, del governo. Spesso, neanche sapevano che in questi luoghi difficili anche da raggiungere dal punto di vista geografico -dipartimento delle Apurimac si trova nel sud delle Ande, in Perù- che esistevano queste popolazioni. Dopo gli anni 90, c’è stata una ripresa lenta -però efficace- da parte del governo, con gli aiuti internazionali. Quindi c’è stato anche un miglioramento delle condizioni di vita, di quelle economiche, delle comunicazioni e quindi anche dell’istruzione. Per esempio, il governo era molto più presente con opere di sviluppo sociale per l’agricoltura e anche per la costruzione di scuole e di collegi, strade, illuminazione, fogne, istituti superiori .. Adesso stanno fiorendo. Ed in questo senso, è un momento abbastanza prospero. Sto parlando della macro-economia. Purtroppo poi la distribuzione dei beni, delle ricchezze è ancora lontana dall’arrivare alle tasche della povera gente. Per cui ancora oggi, c’è ancora una buona percentuale di povertà, e anche un 20-25 percento di estrema povertà, soprattutto nelle regioni più al confine come l’Apurimac, per citarne una. E allora in un certo senso, la nostra opera diventa ancor di più necessaria rispetto al passato. Troppa gente non ha neanche accesso alla minima assistenza sanitaria. Ecco allora le nostre iniziative, i nostri progetti nel campo, oltre che della scuola –ad esempio la scuola di Cuzco-, anche per la salute.

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    La missione di Sat-7, emittente cristiana in Medio Oriente seguita anche dai musulmani

    ◊   Diffondere i valori della fede cristiana in una regione a maggioranza islamica, il Medio Oriente, dove i cristiani sono una minoranza di circa 12 milioni di persone, in progressiva diminuzione a causa di attentati e persecuzioni, su una popolazione complessiva di oltre 200 milioni di abitanti. E’ questa la missione di Sat-7, emittente televisiva cristiana fondata nel 1995 e sostenuta dalla Fondazione Pontificia “Aiuto alla Chiesa che Soffre”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    (Musica araba)
    Per molti cristiani iracheni è la chiesa dove non possono recarsi per motivi di sicurezza. Per migliaia di bambini mediorientali i suoi programmi sono un appuntamento quotidiano. Ma Sat-7, che trasmette in 22 Paesi islamici, non si rivolge solo ai cristiani. Tra gli oltre 9 milioni di telespettatori abituali, molti sono musulmani, come sottolinea al microfono di Philippa Hitchen il direttore dell'ufficio europeo di Sat-7, Kurt Johansen:

    R. - We are a voice by the Christians …
    Noi siamo una voce dei cristiani, e ciascuno è libero di scegliere, se guardare o meno, il canale Sat7. Sembra che la maggioranza dei nostri telespettatori sia non cristiana, ma musulmana e questa è una scelta loro. Nel nostro canale possiamo parlare molto apertamente di molte cose, perché tutto il nostro staff è composto di cristiani mediorientali che incontrano musulmani ogni giorno, per strada. Proprio loro possono spiegare in maniera molto efficace ciò in cui noi cristiani crediamo. In questo modo possiamo costruire ponti, eliminare incomprensioni e riconoscere alla Chiesa una sua identità e legittimità all’interno della società. Tutti i programmi di Sat-7 devono rispondere a tre requisiti: devono essere di intrattenimento, altrimenti nessuno li guarderebbe o li ascolterebbe; devono essere educativi, nel senso che lo spettatore deve avere imparato qualcosa dopo aver visto il programma; e poi, in qualche modo, devono anche avere un contenuto cristiano. Abbiamo un programma per bambini 24 ore su 24 che si chiama Sat-7 Kids e che probabilmente è il nostro canale più famoso: sembra che attualmente abbiamo oltre 9 milioni di telespettatori al giorno, la maggior parte dei quali in Paesi come l’Iraq e l’Arabia Saudita. Questo è uno dei pochi canali dedicati ai bambini in Medio Oriente e sembra essere molto conosciuto anche nelle famiglie non cristiane, perché noi non promuoviamo violenza né odio, solo valori positivi. Si può imparare molto, seguendo i nostri programmi …

    In Medio Oriente, dove c’è grande attesa per il viaggio apostolico di Benedetto XVI in Libano in programma dal 14 al 16 settembre prossimi, sono oltre 300 le emittenti televisive. Cosa rappresenta una realtà, come quella di Sat-7, per i cristiani di questa regione? Risponde padre Ramsine Hage Moussa, della Congregazione dei Missionari Libanesi Maroniti:

    R. – Per i cristiani in Medio Oriente un’emittente come Sat-7, o altre emittenti cristiane, aiutano molto i cristiani ad arricchirsi della nostra cultura. Un’emittente soprattutto che parli arabo e l’occasione per un arricchimento. Penso, quindi, che sia un gran passo, ma ancora c’è tanto da fare per continuare a propagare questa missione.

    D. – Un gran passo anche in un mondo che spesso associa il cristianesimo all’Occidente. Il fatto che ci sia una tv araba che parla agli arabi, cristiani e non cristiani, può rivelarsi una grande testimonianza...

    R. – Quando dico che sono arabo, sono associato subito alla cultura musulmana e succede la stessa cosa quando una persona dice di essere cristiana: viene sempre legata all’Occidente. Il cristianesimo è nato lì, quindi bisogna diffondere questo messaggio attraverso la lingua araba, un messaggio di Cristo in arabo.

    D. – Questa emittente trasmette anche film, documentari, ispirati ad episodi biblici. Quanto in una cultura come quella mediorientale il mezzo del racconto narrativo può aiutare a trasmettere messaggi così alti come quelli cristiani?

    R. – La gente segue di più queste trasmissioni, perché fanno parte della vita quotidiana della persona, e vederli diventa un messaggio per gli altri.

    D. – Tra quanti seguono questa emittente televisiva, Sat 7, molti sono musulmani...

    R. – Certo, il primo interesse è quello di scoprire l’altro, di saperne di più sul cristianesimo. Tanti musulmani vedono, anche per curiosità, i programmi di questa emittente e vogliono scoprire il cristiano con cui convivono. Scoprono così altre dimensioni del Dio che anche loro adorano e pregano.

    D. – L’ignoranza, la non conoscenza dell’altro, possono portare a strumentalizzazioni, a fraintendimenti ed anche ad esasperare i conflitti...

    R. – Un ostacolo, parlando dell’aspetto religioso, risiede nel fatto che è vietato in alcuni Paesi arabi parlare di Cristo. Quindi, la televisione satellitare, soprattutto oggi, può trasmettere questo messaggio, semplicemente, facilmente e gratuitamente, in questi Paesi e in questi luoghi.

    D. – Quanto una tv come Sat 7 può, in vista dell’imminente viaggio del santo Padre in Libano, portare e rafforzare la propria testimonianza?

    R. – Il viaggio del Papa in Libano sarà un’occasione, non solo per Sat 7, ma per tutte le televisioni, anche quelle musulmane. Loro, infatti, trasmetteranno la visita del Papa in Libano, e anche se vorranno parlare del lato politico di questa visita, sarà comunque una grande testimonianza. Certo, un’emittente cristiana come Sat 7 anche per loro sarebbe una grande testimonianza per portare il messaggio del Papa a tutto il mondo, a quelli che non potranno essere lì dove andrà il Papa. Sarebbe un modo, non solo culturale e sociale, ma anche religioso, per far entrare questo evento in tutte le case mediorientali. Le aspettative, dunque, sono tante e noi dobbiamo pregare per questo viaggio del Papa, perché porti veramente una speranza.

    D. – Come si stanno preparando i cristiani e le comunità cristiane?

    R. – E’ vero che è un viaggio per il Libano, ma in realtà lo è per tutto il Medio Oriente, perché l’occasione si conosce: l’esortazione apostolica del Sinodo del Medio Oriente. Tutto il Medio Oriente, quindi, è coinvolto. Il Papa si reca in Libano per incontrare tutto il Medio Oriente e portare la pace. La gente è molto entusiasta. Lui può portare una speranza e una luce nel buio che esiste lì tra la gente. E noi abbiamo sempre la speranza di continuare e di rafforzare la presenza dei cristiani nel nostro Medio Oriente.

    D. – La speranza di continuare vuol dire anche la speranza di restare...

    R. – Il Libano era composto da una maggioranza cristiana, prima delle guerre del ’74. Erano, infatti, il 65 per cento. Ora è il contrario: siamo il 35 per cento. Questo solo nel Libano, poi accade anche in altri Paesi, in Iraq, in Siria... E’ quindi un messaggio per dire “rimanete dove siete”, perché questa terra non è solo di una religione, ma di tutte le religioni presenti.

    La programmazione di Sat – 7 è distribuita sui quattro canali in arabo e in farsi, e per quattro ore al giorno sul canale turco. Il palinsesto, oltre a documentari e film, comprende anche talkshow che affrontano argomenti legati alla vita di tutti i giorni e ai temi religiosi, approfonditi con il contributo di esperti. Il quartier generale di Sat – 7 si trova a Nicosia, a Cipro. L'80 per cento dei programmi sono prodotti in Medio Oriente, soprattutto in Egitto e in Libano.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria. Accorata testimonianza di mons. Nassar: "La gente a Damasco fugge, prega e spera"

    ◊   Bombe, spari, violenza, grida, morti imperversano nella città di Damasco in queste ore. La popolazione “soffre, spera, fugge, prega e, in queste ore tragiche, volge lo sguardo ai Beati martiri di Damasco, di cui il 10 luglio abbiamo celebrato la memoria”, racconta all’agenzia Fides mons. Samir Nassar, arcivescovo maronita di Damasco. L’arcivescovo descrive la situazione nella capitale siriana: “Per le strade a Damasco si vede gente che fugge, ci sono i rifugiati che, disperati, attraversano la città alla ricerca di un riparo. La mancanza di strutture di carità, l'embargo e le limitate risorse disponibili non aiutano ad affrontare questa emergenza e contribuiscono ad alimentare l'ansia”. Nell’accorata testimonianza inviata a Fides, l’arcivescovo afferma: “In questa fase di cieca violenza, le nostre voci sono soffocate dal lungo calvario della nazione e da una complessità che blocca qualsiasi soluzione diplomatica. La nazione sta sprofondando nel dolore e nella violenza gratuita e ancora non vede la fine, siamo da oltre sedici mesi in un conflitto prolungato”. Mons. Nassar pone l’accento sulla grave pratica dei sequestri di persona a scopo di estorsione: “Al di là delle divisioni politiche, la disoccupazione e l'insicurezza prolungate hanno favorito il fenomeno terribile di persone rapite a scopo di estorsione. Spesso vengono sequestrate all'uscita di scuola o in fabbrica, e sono figli o padri di famiglia. Dovreste vedere il panico e l'ansia delle famiglie che lottano per raccogliere da parenti, vicini, amici e parrocchie una somma di denaro sufficiente per salvare un figlio, un fratello o il padre rapito. Questa pratica orribile paralizza la vita sociale. La pratica del culto si è indebolita, i bambini non vengono più al catechismo e le attività pastorali languono. Molte famiglie cristiane, terrorizzate, pensano solo a come poter lasciare il paese”. “La comunità cristiana, stremata – conclude l’Arcivescovo – si volge, nel silenzio e nella preghiera, verso i suoi martiri, che il 10 luglio scorso abbiamo solennemente ricordato: i tre fratelli Francesco, Abdel-Mooti e Raffaele Massabki, laici cattolici maroniti, beati e martirizzati durante la persecuzione scatenata dai turchi nel 1860 contro la Chiesa. Essi ci ricordano quanto Gesù disse ai suoi: Non abbiate paura”. (R.P.)

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    Siria: l’Unicef denuncia numerose violazioni dei diritti sui bambini

    ◊   Il portavoce dell’Unicef Italia, Andrea Iacomini, ha denunciato le numerose violazioni dei diritti umani che stanno subendo i bambini in Siria, dove i più piccoli vengono torturati, allontanati dallo loro famiglia, costretti a combattere e rischiano ogni giorno la vita. Anche la Commissione internazionale indipendente di inchiesta sulla Siria – riferisce l’agenzia Sir – ha registrato lo stesso tipo di situazione. “Ogni giorno che la crisi in Siria prosegue viene condannato a morte almeno un bambino – ha affermato Iacomini – sono 500 i piccoli che nell’ultimo anno, hanno perso la vita a causa del conflitto. L‘Unicef – prosegue il portavoce – sin dall‘inizio delle tensioni in Siria sta lavorando per proteggere quanti più bambini possibile, raggiungerli con interventi salvavita e di supporto psicosociale. Ancora troppi sono i rifugiati, oltre 104.000 persone, numero che prevediamo aumenterà entro la fine dell‘anno”. (A.C.)

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    Russia: storica visita a Katyń del patriarca Kirill che ad agosto sarà in Polonia

    ◊   Katyń è una fossa comune per i russi e polacchi, un luogo di dolore. Lo ha detto il patriarca di Mosca e di tutta Russia, Kirill dopo la liturgia celebrata lo scorso 15 luglio nel luogo dove all’inizio del secondo conflitto mondiale, si consumò il tragico eccidio. “Nulla unisce le persone, come i dolori”, ha dichiarato il patriarca, aggiungendo che, da oggi, può iniziare una nuova era nelle relazioni tra le due nazioni. Il capo della Chiesa Ortodossa Russa - riferisce l'agenzia Zenit - si è recato a Katyn, come tappa del suo viaggio pastorale presso la diocesi di Smolensk. In questo luogo ha consacrato la nuova chiesa ortodossa della Resurrezione di Cristo. Sopra uno degli altari laterali della nuova chiesa sarà posta l'immagine di Nostra Signora di Czestochowa, che il patriarca Kirill riceverà come un dono dell’episcopato polacco durante la sua visita in Polonia, che si terrà nel mese di agosto. Davanti all'altare, alla luce dei risultati del dialogo, saranno celebrate anche messe cattoliche. “È tempo di riconoscere che questo luogo è un simbolo terribile della nostra tragedia comune e, con questa consapevolezza, ci stringiamo le mani, come tra fratelli e sorelle che sono passati attraverso il dolore e la tragedia di Katyn”, ha detto il patriarca. “Credo che forse da qui inizia una nuova era nello sviluppo delle relazioni tra la Russia e la Polonia, dalla coscienza di una tragedia comune e di un sacrificio condiviso”, ha aggiunto. Il capo della Chiesa Ortodossa Russa sarà in visita in Polonia dal 16 al 19 agosto. È la prima volta nella storia del cristianesimo che un capo della Chiesa Ortodossa Russa visita questo Paese. Il 17 agosto, a Varsavia, il patriarca di Mosca e di tutta la Russia, Kirill, e il presidente della Conferenza episcopale polacca, mons. Józef Michalik firmeranno il messaggio comune ai rispettivi popoli. Secondo quanto scritto dalla Kai (Agenzia di Informazioni Cattolica in Polonia), mons. Michalik, attende con grande speranza il messaggio cattolico-ortodosso sulla riconciliazione dei popoli. Il massacro di Katyń, crimine stalinista che, nella primavera del 1940, coinvolse almeno 21.768 cittadini polacchi, tra cui più di 10mila ufficiali militari e di polizia, per iniziativa delle massime autorità dell'Unione Sovietica, a seguito di una risoluzione segreta dell’Ufficio Politico del Partito Comunista del Regime Sovietico del 5 marzo 1940, nota come la “decisione di Katyń”. (R.P.)

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    India: centinaia di morti e oltre 400 mila senza tetto per le forti inondazioni in Assam

    ◊   Dallo scorso mese di giugno le forti piogge abbattutesi in India hanno causato 109 morti e almeno 400 mila persone senza tetto nello Stato nordorientale di Assam. Secondo gli esperti, la tragedia è stata aggravata dalle conseguenze della corruzione e dalla cattiva gestione delle risorse del fiume Brahmaputra. Si tratta - riferisce l'agenzia Fides - delle peggiori inondazioni registrate negli ultimi tempi. Nel corso degli ultimi 60 anni, le autorità hanno costruito dighe lungo gran parte del corso del fiume, il più importante di Assam, il cui flusso viene alimentato dal disgelo dell’Himalaya e dalle piogge torrenziali più violente del mondo. Queste dighe però non sono state mantenute in maniera adeguata e hanno provocato un aumento della frequenza e dell’intensità delle inondazioni. Muri di sostegno delle acque hanno anche causato devastanti inondazioni nel vicino Bangladesh. (R.P.)

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    Somalia: i rifugiati sono un milione ma il flusso rallenta

    ◊   L’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Acnur) ha diffuso nuovi dati sulla situazione in Somalia, secondo i quali i profughi migrati oltre il confine hanno superato la soglia simbolica del milione. Tuttavia i tentativi di stabilizzazione in atto nel Paese africano – riferisce l’agenzia Misna – hanno rallentato di molto il flusso di migranti, facendo scendere il numero dai 137.000 dei primi sei mesi del 2011 ai 30.000 dello stesso periodo del 2012. L’Acnur ha diffuso una nota secondo la quale “la situazione in gran parte del sud e del centro della Somalia rimane fluida e instabile, sebbene appaia relativamente calma in molte zone. Quest’anno – prosegue la nota – la siccità è stata meno pesante che non lo scorso anno, i raccolti però non saranno abbondanti. Molta gente fa fatica a sopravvivere e le scorte alimentari non garantiscono sufficiente sicurezza”. Il processo di stabilizzazione nel Paese intanto prosegue ed entro fine agosto dovrebbe essere eletto un nuovo presidente, un nuovo parlamento e il governo, con l’adozione di strumenti adeguati per rispondere ai bisogni umanitari della popolazione. (A.C.)

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    Nord-Kivu: attacco dei miliziani Mayi Mayi, centinaia di persone in fuga

    ◊   In Congo, nella zona di Walikale nel Nord-Kivu, centinaia di persone sono state costrette a fuggire per l’arrivo dei miliziani Mayi Mayi Raia Mutomboki, che sono entrati nel capoluogo in questi giorni sparando colpi d’arma da fuoco. Provenienti da Bakano – riferisce l’agenzia Misna – i miliziani, che neanche le Forze regolari congolesi sono riuscite a fermare, sarebbero in cerca dei ribelli hutu ruandesi delle Forze democratiche di liberazione del Rwanda (Fdlr). La tensione resta alta nella zona, per la presenza anche dei ribelli del Movimento del 23 marzo, che provocano violenze e reclutano forzatamente numerosi giovani dai villaggi. Domenica scorsa l’Unione Africana, durante il vertice ad Addis Abeba si è impegnata a costituire una forza internazionale neutrale da impiegare sul confine con il Rwanda per arginare le violenze nel Nord-Kivu e sradicare il movimenti di ribellione. L’attivista Omar Kavota, attraverso l’emittente Radio Okapi, ha espresso il favore della popolazione in merito alla proposta dell’Unione, suggerendo che “un futuro contingente deve collaborare con i caschi blu della missione Onu (Monusco) che conoscono bene la regione”. (A.C.)

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    Sahel: record di bambini malnutriti, 1 milione in attesa di ricevere cure

    ◊   L’organizzazione medico-umanitaria Medici Senza Frontiere (Msf) ha denunciato che la regione africana del Sahel ha raggiunto il numero più alto di bambini malnutriti nella storia degli aiuti umanitari. Sarebbero un milione – riferisce l’agenzia Sir – i bambini in attesa di ricevere cure, e secondo l’organizzazione umanitaria questo “è un problema di salute pubblica che richiede soluzioni a lungo termine”. Michel-Olivier Lacharité, responsabile dei progetti Msf in Mali, Ciad e Niger, spiega che “in questa regione, le crisi alimentari sono ricorrenti e cicliche, ma quest‘anno, altri fattori hanno creato sacche dove la malnutrizione è ancora più alta del solito. Questi includono i prezzi di mercato più elevati, l‘instabilità nel nord del Mali e in Nigeria, e un‘epidemia di morbillo nel Ciad orientale”. Nel sud del Niger e nel Ciad orientale, inoltre, la situazione è stata aggravata da una stagione delle piogge più pesante del solito, anticipando il picco stagionale di malaria. I programmi nutrizionali di Msf negli ultimi sei mesi sono stati destinati a circa 56.000 bambini gravemente malnutriti in sette dei Paesi della regione. Tuttavia i Paesi più colpiti, quest’anno per la prima volta, in collaborazione con le organizzazioni umanitarie internazionali, hanno elaborato dei piani preventivi per rispondere all’emergenza, che interessano la cura di circa un milione di bambini malnutriti e la distribuzione di cibo. (A.C.)

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    Madagascar: la denutrizione cronica è uno dei problemi più gravi del Paese

    ◊   Il Madagascar è uno dei sei Paesi dove si registra il maggior tasso di denutrizione al mondo. La metà di tutti i bambini del Paese con meno di cinque anni di età soffrono di denutrizione cronica, e diversificare la loro dieta alimentare costituisce un elemento chiave del Programma Nazionale di Nutrizione Comunitaria avviato in 6 mila Centri di tutta la regione insulare africana. La denutrizione cronica, infatti, non dipende solo dall’accesso ai generi alimentari ma anche dalla loro varietà. Gli abitanti del Paese sono abituati a mangiare riso, ma è necessario che imparino a variare la loro alimentazione e quella dei loro figli in base ai prodotti locali. L’obiettivo del Programma consiste nella dimostrazione di come si preparano i cibi e soprattutto come si conservano i generi alimentari. Nel Centro nutrizionale di Rantolava, 450 chilometri dalla capitale, è stato riservato uno spazio per la coltivazione di diversi ortaggi come zucchine, pomodori, cavoli, moringas, patate dolci, fagiolini e cavolo cinese. A differenza della denutrizione severa, che si manifesta con un drastico calo di peso, gli effetti di quella cronica sono meno evidenti e si mostrano in modo più sottile, ritardando la crescita. I genitori spesso non si rendono conto di quanto i propri figli stiano soffrendo, rispetto ai bambini normali sono più fragili e più vulnerabili alle malattie come diarrea o malaria. Anche lo sviluppo cognitivo è limitato e non hanno buoni esiti scolastici. Tuttavia, la diversificazione delle diete infantili non è la soluzione in sé al problema in Madagascar. Secondo l’Unicef, è altrettanto importante migliorare l’accesso all’acqua pulita, all’igiene e all’assistenza sanitaria, quindi ridurre i matrimoni precoci e migliorare l’alimentazione di adolescenti e donne, in particolare quelle incinte e nel periodo di allattamento. (R.P.)

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    Ghana: l’arcivescovo di Accra contro corruzione e illegalità diffusa nel Paese

    ◊   Un duro ammonimento contro la corruzione e l’illegalità dilagante in Ghana e un appello ai cristiani a contrastare questa piaga con la testimonianza personale. A lanciarli domenica scorsa è stato l’arcivescovo di Accra Charles Gabriel Palmer-Buckle, durante una visita pastorale in una parrocchia della capitale. “Il latrocinio e la corruzione - ha detto il presule, ripreso oggi dall’agenzia di informazione ghanese Gna - sono diffusi in tutti i settori della società: nelle scuole, negli ospedali, nel governo, tra le Forze dell’ordine e anche nei mercati”. Mons. Palmer-Buckle ha parlato di “insegnanti che chiedono soldi per lezioni private, senza avere svolto il loro lavoro durante le ore di insegnamento”; di “operatori sanitari che chiedono denaro prima di curare pazienti anche in situazioni di emergenza”; e di “dipendenti pubblici che usano le ore di lavoro e i soldi dello Stato per fare altro a scapito della nazione”. Molte di queste stesse persone che stanno depredando il Paese, ha osservato il presule, “sono le prime a chiedere salari e stipendi giusti”. Anche la verità è scomparsa in Ghana: “Le forze dell’ordine sono diventate inaffidabili, mentre alcuni commercianti non esitano a vendere prodotti scaduti per il proprio profitto, senza alcuna considerazione per la salute dei consumatori”. “Per i cristiani – ha quindi sottolineato mons. Palmer-Buckle - l’unica soluzione è di seguire gli insegnamenti di Cristo e diventare testimoni della Sua Parola”. “Come cristiani - ha aggiunto – dobbiamo essere pronti a seguirlo anche nella nostra vita personale”. L’arcivescovo di Accra ha quindi esortato i fedeli a guardarsi dai falsi profeti e dalle loro sedicenti profezie, ricordando, in conclusione, che ogni cristiano è un profeta e che questo “non è solo una persona capace di predire il futuro, ma qualcuno che, ispirato da Dio, testimonia Cristo in difesa della verità, di chi non ha voce e della giustizia per tutti”. La denuncia di mons. Palmer-Buckle giunge a una mese da quella rivolta alla classe politica del Paese da mons. Peter Kwasi Sarpong, arcivescovo emerito di Kumasi. Intervenendo a un convegno in vista delle prossime elezioni del 7 ed il 28 dicembre, il presule aveva puntato il dito contro un modello politico e partitico caratterizzati dal “tribalismo, dall’appropriazione indebita, dalla vendetta” e da false promesse agli elettori. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Sudafrica: i volontari di una parrocchia di Soweto, nel giorno di Mandela

    ◊   Il loro slogan è “Fai la differenza” e allora porteranno coperte e cibo, puliranno strade e dipingeranno pareti. Nella Giornata internazionale di Nelson Mandela, i volontari della parrocchia del Santo Rosario a Soweto si metteranno al servizio dei più deboli come sempre. “È da mesi – dice all'agenzia Misna il parroco, padre Francis Manana – che raccogliamo coperte, cibo e medicinali per le famiglie povere: la Giornata di Nelson Mandela deve cominciare il 1° gennaio e finire il 31 dicembre”. Come milioni di sudafricani, oggi i volontari della parrocchia del Santo Rosario impegneranno almeno 67 minuti della loro giornata nel tentativo di aiutare gli altri. Il servizio reso alla collettività è anche un omaggio a Mandela, eroe della lotta contro l’apartheid e primo presidente del Sudafrica democratico che si batté per la libertà 67 anni fa oggi ne compie 94. Iniziative, dibattiti e riflessioni continueranno nei prossimi giorni in tutto il Sudafrica. Il quotidiano The Independent racconta dei preparativi in corso nelle università, nelle scuole, nei condomini o nelle prigioni; si tratti di far visita a un anziano, di riparare finestre, piantare alberi o costruire aule. La Giornata di Nelson Mandela ha forse un sapore speciale a Soweto, township simbolo sia della lotta contro l’apartheid sia degli squilibri sociali e delle contraddizioni del nuovo Sudafrica. Padre Francis, un missionario comboniano, sta ultimando i preparativi per un incontro che si terrà in chiesa domenica. “Gli anziani che hanno lottato contro il segregazionismo – dice il parroco – discuteranno con i ragazzi dell’essere leader nella società d’oggi”. L’incontro ha già un titolo: “Sulle orme di Mandela”. (R.P.)

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    Sierra Leone: raccolta fondi delle Chiese per avviare “Radio Shalom”

    ◊   Si chiamerà “Radio Shalom” ed avrà l’obiettivo di trasmettere un messaggio di pace in Sierra Leone, Paese devastato da dieci anni di guerra civile, conclusasi nel 2002. È questo il progetto portato avanti dal Consiglio delle Chiese cristiane della Sierra Leone (Ccsl), insieme all’Associazione mondiale per la comunicazione cristiana (Wacc), organismo con sede a Toronto. Una raccolta fondi è stata quindi lanciata attraverso il sito Internet (www.globalgiving.com) e numerosi sono stati i donatori che, finora, hanno dato il loro contributo. Radio Shalom, si legge sul sito, “vuole trasmettere programmi che promuovano la pace e la riconciliazione, soprattutto nelle scuole, ribadendo l’importanza della cura dei bambini di strada e degli orfani e dell’occupazione giovanile”. Voce delle 19 “Chiese storiche” del Paese, l’emittente sarà “bipartisan, obiettiva e formativa, così che la fiducia ed il rispetto già esistente per i cristiani sia mantenuto”. Sottolineando il suo carattere interreligioso, Radio Shalom si ripromette quindi di “raggiungere ascoltatori di tutte le età e di tutte le religioni grazie a programmi che aiutino a superare il trauma dei conflitti passati e a lavorare per la soluzione dei problemi del Paese”. “Comunicare una cultura di pace è cruciale per ricostruire la nazione – afferma Ebun James-Dekam, segretario generale del Ccsl – e per promuovere il processo di riconciliazione. Creare una stazione radiofonica imparziale ed indipendente, perciò, significa dare ai cittadini la possibilità di discutere i problemi che affliggono la Sierra Leone e di lavorare per una pace duratura nel Paese”. Considerando, inoltre, che in Sierra Leone circa l’80% della popolazione non legge né scrive in inglese, “la radio diventa il mezzo più efficace per trasmettere un’informazione accurata” e per “rafforzare il dialogo interreligioso”. Infine, in vista delle elezioni generali che si terranno il 17 novembre, Radio Shalom ha in programma di trasmettere informazioni sul sistema elettorale, i principi democratici e la responsabilità dei cittadini, lasciando il microfono proprio a loro, affinché possano discutere apertamente sull’attualità del Paese. (A cura di Isabella Piro)

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    Perù: i vescovi chiedono una novena di preghiera per il dialogo e la pace

    ◊   Una novena di preghiera per promuovere il dialogo e la pace in Perù: è quanto chiede ai fedeli la Conferenza episcopale locale (Cep), in una nota diffusa in vista della Festa dell’indipendenza nazionale, che ricorrerà il 28 luglio. Nel documento, a firma del presidente della Cep, mons. Salvador Piñeiro García-Calderón, si legge che “in prossimità della Festa dell’indipendenza, celebrazione dell’unità tra tutti i peruviani, la Chiesa, consapevole della situazione che si vive in alcune regioni del Paese, e con il desiderio di contribuire efficacemente alla soluzione degli attuali conflitti tra i popoli, ritiene sia giunto il momento di unirsi in preghiera per chiedere aiuto al Dio della pace”. In particolare, i vescovi citano la drammatica spirale di violenza che avvolge il distretto di Cajamarca dove già si contano 5 morti e numerosi feriti. Oggetto del contendere, il giacimento di oro della miniera "Conga" che l'azienda "Newmont Mining" intende sfruttare, mentre gli attivisti ne osteggiano l'apertura sostenendo che essa danneggerebbe gravemente i bacini d'acqua circostanti. Di qui, l’appello che la Cep lancia “alla società civile, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, a tutti coloro che amano la giustizia e la pace, a tutte le istituzioni e le strutture religiose del Paese”, affinché partecipino alla novena di preghiera per chiedere “alla Vergine del Carmelo, patrona di molti popoli latino-americani, il prezioso e valido dono della pace”. (I.P.)

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    Bielorussia: icona della Madonna di Czestochowa in pellegrinaggio a difesa della vita

    ◊   Centinaia di fedeli hanno accolto l’Icona della Madonna di Czestochowa che è arrivata in Bielorussia il 12 luglio dalla Russia, nell’ambito del pellegrinaggio mondiale a difesa della vita “Da oceano a oceano” promosso da varie organizzazioni pro-vita di diversi Paesi. L’icona - riferisce l'agenzia Sir - è stata ufficialmente consegnata dal coordinatore della parte russa del pellegrinaggio, Igor Beloborodov, al rappresentante del movimento pro-vita ortodosso bielorusso padre Paul Serdiuk. In Bielorussia, l’Icona della Madonna di Czestochowa sta visitando diverse Chiese cristiane nel corso di un pellegrinaggio che fino al 23 luglio toccherà più di 20 città. In seguito, dopo aver visitato l’Ucraina, il 27 luglio la Madonna di Czestochowa sarà presente al meeting nazionale giovanile cattolico di Ivianiec in Bielorussia. Da lì ripartirà per visitare la Lettonia e altri Paesi europei. Il pellegrinaggio è iniziato poco più di un mese fa a Vladivostok, in Russia. Secondo padre Mikhail Gorovoj, della Chiesa ortodossa russa, il pellegrinaggio ha anche il merito “di avvicinare spiritualmente i cristiani di oriente e occidente”. (R.P.)

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    Scozia: appello dei vescovi contro la legalizzazione delle unioni gay

    ◊   Il governo di Edimburgo sottoponga la legalizzazione del matrimonio omosessuale ad un referendum popolare: è quanto chiede il cardinale Keith O’Brien, presidente della Conferenza episcopale scozzese. Benché la proposta di trasformare le unioni civili in veri e propri matrimoni riguardi soltanto l’Inghilterra e il Galles, essa sarà votata da tutti i parlamentari di Westminster, compresi quelli scozzesi. La richiesta del cardinale O’ Brien parte da una considerazione: nel 2014, in Scozia si terrà un referendum sull’indipendenza dal Regno Unito ed una consultazione popolare sull’argomento ha ottenuto soltanto 26mila risposte. Sui matrimoni omosessuali, invece, il sondaggio della popolazione ha contato più di 80mila riscontri, il che significa, rimarca il presule, che “si tratta di un tema molto dibattuto, che può essere deciso solo dalla volontà popolare, dato il visibile interesse che raccoglie tra i cittadini”. Di qui, l’appello del presidente dei vescovi scozzesi affinché il governo locale indica un referendum sull’argomento, fissandone la data prima di quello sull’indipendenza. Già in precedenza, il cardinale O’Brien aveva ribadito che “un matrimonio tra omosessuali sarebbe uno sconvolgimento radicale di un diritto umano universalmente accettato”. Questa proposta, quindi, finirebbe per “ridefinire il matrimonio per l’intera società”, con il rischio di “portare a unioni di tre persone anziché solo di due”. (I.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 200

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