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Sommario del 17/07/2012
Giornata della Pace. Don Bizzotto ai giovani: chi costruisce la pace non ha paura del futuro
◊ La pace interiore e la pace esteriore nel mondo odierno percorso da crisi economiche e finanziarie, da crisi delle istituzioni e della democrazia: saranno argomenti al centro della prossima Giornata mondiale della pace del primo gennaio 2013, dedicata dal Papa al tema “Beati gli operatori di pace”. Roberta Gisotti ha intervistato don Albino Bizzotto, fondatore dell’Associazione “Beati i costruttori di pace".
D. – Don Albino, il Papa chiama “tutti a sentirsi responsabili” per costruire la pace: una pace – sottolinea – “interiore ed esteriore”. Dunque, la pace inizia nei nostri cuori?
R. – Certamente, non esiste né un esterno né un interno: la pace vive delle decisioni e del modo in cui noi affrontiamo la realtà, in dialogo e in rapporto con tutti, riconoscendo la dignità e l’originalità di ogni persona e accettando i conflitti per comporli sempre con la non violenza.
D. – Lei ha parlato di dignità. Il Papa fa anche riferimento – a questo proposito – al 50.mo anniversario del Concilio Vaticano II e dell’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII, per richiamare “il primato” della dignità umana per costruire “una città al servizio di ogni uomo”. Don Albino, qual è questa città?
R. – La grande novità che ha portato il Concilio, ma di cui abbiamo immenso bisogno, è di avere il coraggio di credere che lo Spirito, il Signore lo ha dato ad ogni persona, che il Signore è felice dell’umanità di ogni persona e che la possibilità di novità avvenga proprio nell’ascolto di questo Spirito. Infatti, c’è una grande contraddizione tra il mondo delle strutture nel quale ci muoviamo, che è fondato sulla forza, e lo Spirito, invece, che è fondato sul volersi bene.
D. – Benedetto XVI fa riferimento ai tempi attuali e pone in evidenza “la crisi delle istituzioni e della politica”, che in molti casi – scrive – è anche “preoccupante crisi della democrazia”. Anche qui, da dove ripartire per ritrovare la persona e metterla al centro?
R. – Stiamo assistendo ad un mondo nel quale le disgrazie dei più poveri, che sono la maggioranza dell’umanità, non interessano quanto invece le disgrazie dell’economia e delle vicende di un sistema che si è ingrandito e che è un sistema "dopato", ormai ovunque. Questo preoccupa e determina un atteggiamento di paura verso il futuro maggiore che non quello di sentirsi solidali, a partire dai più poveri. Io credo che ancora una volta la felicità di Gesù, di fidarci di un Signore che si prende cura di tutte le sue creature cominciando da chi sta peggio, da chi è messo ai margini, da chi non ha nessuna risorsa per vivere, io credo che questa conversione sarà il punto centrale di una novità per la Chiesa, ma di una novità anche per l’umanità. Io credo che lo Spirito urge, in questo senso, e sempre di più tentiamo di cogliere testimoni che ci mostrino che è possibile vivere in questo mondo, essere felici perché siamo capaci di volere bene a tutti.
D. – Quindi, il messaggio che possiamo mandare ai giovani, che sono quelli che più soffrono di questa paura del futuro, è di vincerla con l’essere solidali?
R. – Sì, io credo che questo sia un passaggio ineludibile. Devo pero dire che io sono testimone, ogni giorno, di tantissima umanità e vorrei sottolineare questo aspetto: non è vero che c’è grande sfiducia nella politica. C’è sfiducia in una politica che si attorciglia intorno all’economia, ma non c’è sfiducia nei confronti di una politica attenta e che accoglie e mette in rete tutto il lavoro che si fa a sostegno di chi soffre.
◊ In Messico, Benedetto XVI ha nominato vescovo di Ecatepec mons. Oscar Roberto Domínguez Couttolenc, dei Missionari di Guadalupe, finora Vescovo di Tlapa. Mons. Oscar Roberto Domínguez Couttolenc, M.G., è nato a Puebla il 13 maggio 1956. Nel 1972 è entrato nel Seminario dei Missionari di Guadalupe e ha seguito gli studi filosofici e teologici nell’Università Intercontinentale del Messico. Dal 1982 è Membro dell’Istituto Santa Maria di Guadalupe per le Missione Estere. E’ stato ordinato sacerdote l’11 agosto 1983. Ha ottenuto una licenza in Filosofia un’altra in Teologia ed un Master in Amministrazione educativa presso l’Università Intercontinentale del Messico. Dal 1983 al 1986 è stato Animatore Vocazionale e Vicario della parrocchia di "Santa María Madre della Chiesa" a Monterrey; dal 1986 al 1991 è stato Missionario nella diocesi di Ngong in Kenia; dal 1991 al 2003 è stato Economo generale dei Missionari di Guadalupe e Direttore amministrativo e giuridico dell’Università Intercontinentale. Dal 2003 al 2007 è stato Vicario Generale dei Missionari di Guadalupe. Il 27 marzo 2007 è stato nominato Vescovo di Tlapa, ricevendo l’ordinazione episcopale l’11 giugno successivo.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ In prima pagina, un articolo di Lucetta Scaraffia dal titolo “Quando le prediche hanno successo: un’idea per la nuova evangelizzazione”.
Nell’informazione internazionale, in rilievo l’economia: l’Fmi taglia le stime sulla crescita mondiale.
Dall’ombra la luce: in cultura, Alfredo Tradigo sulla mostra a Venezia per il centenario della nascita di William Congdon. Sullo stesso tema, stralci da una meditazione di Joseph Ratzinger sulla pittura di Congdon e il Sabato Santo.
Il grande nel piccolo: Marta Lago sulla storia della medaglia miracolosa di Catherine Labouré.
Il teatro è una conchiglia: Silvia Guidi sull’esperienza del sacro e il dramma teatrale.
Un dossier della “Croix” a settant’anni dal rastrellamento nazista a Parigi: dagli archivi emerge un mondo sommerso.
Vitalità della Chiesa accanto a un popolo che soffre: nell’informazione vaticana, la visita del cardinale Fernando Filoni nella Repubblica Democratica del Congo.
Siria, Damasco brucia. L'Unicef: muore un bambino al giorno. Le parole di una suora
◊ In Siria, Damasco continua a bruciare: diverse le testimonianze di esplosioni e assedi da parte dell’esercito in vari quartieri, e circola il timore dell’uso di armi chimiche da parte del regime. Sempre più grave anche la situazione umanitaria: il numero di rifugiati siriani registrati o assistiti dall'Onu nei Paesi vicini è quasi triplicato dall'aprile scorso, salendo a 112 mila, mentre l’Unicef sottolinea che muore un bambino al giorno. La diplomazia intanto sembra ferma nell’attesa di un nuovo pacchetto di sanzioni Ue. La Cina torna a ribadire il suo "no" all’intervento militare, mentre da Mosca si attendono le parole del capo del Cremlino, Vladimir Putin, oggi a colloquio col mediatore Onu, Kofi Annan. E proprio da uno dei quartieri centrali di Damasco, città in fiamme, arriva la testimonianza di suor Marcella delle Salesiane di Maria Ausiliatrice, che gestiscono l’unico ospedale privato della città e che continuano, nonostante tutto, l’apostolato e il servizio. L’intervista è di Gabriella Ceraso:
R. - Viviamo la situazione a sprazzi: alcuni momenti ci arrivano notizie che ci mettono angoscia, in altri ci dicono:” No, no. É passato”. Si sentono certamente le bombe sia di notte che di giorno e sono diventate più frequenti tra ieri e oggi. Abbiamo anche sentito dire che in Italia arrivano notizie fose alterate: anche ieri sera hanno detto che l’ambasciata ha ordinato a tutti di rientrare. Forse è vero, ma per noi religiose questo ordine non vale. Qualcuno ci dice: "Preparatevi anche al martirio", ma qui la convivenza tra noi e loro è stata sempre meravigliosa. Hanno per noi un grande stima. I Salesiani, accanto a noi, fanno l’oratorio con i bambini ortodossi, iracheni, con i rifugiati, tutti i giorni. Noi rischiamo pure: abbiamo dei ragazzi infatti che vengono in casa per guadagnarsi i soldi. La vita è diventata molto più cara e la povera gente esce anche per quei quattro soldi che ha diritto ad avere alla fine del mese.
D. - Vi sentite protetti dalle forze civili?
R. - Sì. Come le ho detto arrivano le voci di protezione. Ci dicono: “Fate attenzione, adesso c’è pericolo, non uscite...”. Qualcuno ha fatto girare la voce: “Adesso arriva il turno dei cristiani”... In qualche parte, come nella città di Homs, davvero hanno mandato via i cristiani, oppure hanno detto: “Se vi volete salvare, lasciate le case". Qui da noi sono arrivati molti profughi provenienti da Homs tra cui tanti bambini terrorizzati. Non so se puntano proprio alla distruzione anche di questa città. Io dico che non è possibile in una città così bella e santa per la presenza dell’apostolo Paolo, che qui è stato convertito direttamente da Cristo, e dove la Madonna veglia su di noi. Questo ci fa ben sperare.
Allarme Fmi: l’Europa epicentro della crisi, a rischio la ripresa
◊ La crisi economica non allenta la sua morsa e a pagare il prezzo più alto è l’Europa. L’allarme sulla crescita, lanciato dal Fondo monetario internazionale (Fmi), identifica il Vecchio continente come epicentro della tempesta finanziaria. Eppure, tutto era iniziato negli Stati Uniti, con un effetto contagio allargato al vecchio continente. A detta degli analisti, ora gli Usa stanno uscendo dal tunnel, l’Europa no. Ma allora il problema è davvero la moneta unica? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Ugo Bertone, direttore di “Finanza e Mercati”:
R. - Di fronte ad una crisi partita dagli Stati Uniti, ma che ha investito l’intero mondo, tutti hanno reagito con una manovra di stampo keynesiano, aumentando l’offerta di moneta. Tutti ad eccezione di uno: l’Europa. L’Europa ha scelto la strada dell’austerità, che in parte era imposta dalla necessità di far convivere 17 Paesi con una sola moneta e 17 situazioni diverse. E con la crisi questa barca sta rischiando di imbarcare parecchia acqua. In questo momento, l’Europa è l’epicentro della crisi finanziaria mondiale.
D. - Dal Fondo monetario internazionale si sottolinea anche che il livello degli spread è immotivato sia per la Spagna e per l’Italia. Ad esempio, questo differenziale dovrebbe essere inferiore di almeno 200 punti. Ma allora che cosa è successo?
R. - È successo semplicemente che, a partire dalla decisione dell’Europa di non restituire l’intero debito greco se non alla Bce, ma di far pagare ai creditori uno sconto, i mercati si fidano sempre meno dell’Europa, che guardano con la lente di ingrandimento. Un Paese come l’Italia, ad esempio, che ha accumulato un alto debito pubblico, viene visto come un debitore a rischio e gli fanno pagare un prezzo supplementare. In più, questo atteggiamento è procifico, nel senso che “guaio chiama guaio”. L’Italia è in queste condizioni, ma a partire da un anno a questa parte gli investitori stranieri hanno ritirato e continuano a ritirare e a non rinnovare i loro titoli di Stato sull’Italia e sulla Spagna: cosa che aggrava la situazione, anche se - come detto dal Fondo monetario - le terapie di impatto dei due Paesi sono corrette.
D. - Il fatto che Moody’s abbia abbassato il rating di dieci banche italiane, ma anche di numerosi enti pubblici: che ricadute avrà sulla vita reale?
R. - Questa è una cosa scontata una volta che viene ridotto il rating in un Paese. Semmai, c’è da chiedersi che valore possano avere ancora queste indicazioni e questi giudizi delle agenzie di rating, che cadono dopo che si sono verificati i problemi e sono assolutamente procifici. In questo momento, Moody’s piuttosto che Standard and Poor’s, si limitano a fotografare la situazione esistente e così, a peggiorarla. Inoltre, senza cercare alcun confronto, alcuna volontà di capire cosa sta succedendo. Più che gridare al complotto, bisognerebbe a questo punto chiedere alle agenzie di rivelare come nascono i loro giudizi, come vengono formulati e con quali votazioni.
D. - È ancora il caso di usare la parola “crisi” o sarebbe più opportuno parlare di situazione critica strutturale in Europa?
R. - Io la cancellerei la parola “crisi”. Diciamo che viviamo in un nuovo paradigma. Diciamo che il mondo, rispetto al 2007, è sceso di un paio di gradini e deve abituarsi a vivere la nuova situazione cercando semmai di risalire. Ma di risalire, partendo da una base più bassa. Non è più una crisi: è una condizione strutturale in cui qualcuno è più ricco, ma ahimé, alcuni altri, come noi, sono più poveri.
Istat: oltre 8 milioni di poveri nel 2011. Aumentra divario nord-sud
◊ Sostanziale stabilità della diffusione povertà ma un netto peggioramento delle condizioni per alcune categorie di famiglie e per il mezzogiorno. È quanto emerge nel report Istat sulla povertà in Italia nel 2011. Dati che mostrano un paese ancora nel pieno della crisi e che arrivano nel giorno del declassamento da parte di Moody’s di 23 enti locali e 10 banche italiane e all’indomani delle previsioni di contrazione del Pil per il 2012 certificate dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi). Ce ne parla Marco Guerra:
Nel 2011 l'11,1% delle famiglie in Italia è relativamente povero, per un totale di circa 8,1 milioni di persone e il 5,2% lo è in termini assoluti: circa 3,4 milioni di persone. Rispetto all’anno precedente, l’Istat fotografa una stabilità della povertà in Italia, derivante – si legge nella nota dell’Istituto di statistica – dal peggioramento del fenomeno per le famiglie in cui non vi sono redditi da lavoro o vi sono operai, compensato dalla diminuzione della povertà tra le famiglie di dirigenti e impiegati. Si allarga quindi il divario fra le diverse fasce della popolazione e fra il nord e il sud del Paese, come spiega la Dott.ssa Linda Laura Sabbadini, capo dipartimento delle statistiche sociali dell’Istat:
“Se confrontiamo la situazione con il periodo pre-crisi, la povertà assoluta - cioè i più poveri tra i poveri - cresce per il Sud, per le famiglie di cinque o più componenti, per le famiglie con figli minori, per le famiglie con membri aggregati, di solito anziani, per le famiglie con persona di riferimento con titolo di studio basso, per le famiglie di esiliati dal lavoro e anche di disoccupati. E particolarmente critica èla situazione di Sicilia e Calabria”.
Situazioni aggravate da una crisi che continua ad attanagliare l’economia italiana. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha rivisto al ribasso le stime di crescita del 2012: -1,9. Moody's ha tagliato il rating di 23 enti locali e 10 banche italiane, lo spread sui titoli di Stato continua ad oscillare. Nonostante gli impegni assunti dal governo, i mercati continuano quindi a non avere fiducia nell’Italia. Ci spiega perché Alberto Quadrio Curzio, professore di Economia alla Cattolica di Milano:
“I mercati hanno allargato di nuovo gli spread perché vi è il timore che il contagio, che ha già certamente toccato la Spagna, vada a toccare anche l’Italia. In secondo luogo, perché in caso di necessità, tutti cercano di posizionarsi sui titoli più sicuri e quindi vanno sui titoli tedeschi, sui titoli francesi, che stanno largamente beneficiando di questa situazione anomala. Gli Stati forti, in particolare la Germania, si sono messi in testa che loro stanno pagando i debiti degli altri. Cosa non vera, perché in questo momento loro si stanno avvantaggiando”.
14 anni fa nasceva la Corte penale internazionale: troppi i Paesi ancora fuori
◊ Il 17 luglio di 14 anni fa, con lo Statuto di Roma, nasceva la Corte penale internazionale, che ha sede a L’Aja nei Paesi Bassi. Si occupa dei crimini più seri che riguardano la comunità internazionale: il genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra. Ma purtroppo alcuni Paesi - tra cui Stati Uniti, Israele, Russia e Cina - non hanno mai pienamente aderito. Della funzione del Tribunale e delle mancate ratifiche "eccellenti", Fausta Speranza ha parlato con il giurista Giovanni Giacobbe, docente alle Università La Sapienza e Lumsa di Roma:
R. – A distanza ormai di quasi mezzo secolo dalla fine della Seconda Guerra mondiale, episodi di crimini a carico dell’umanità se ne sono verificati anche recentemente, e se ne continuano a verificare ai nostri giorni. Quindi, l’esistenza di un organo internazionale che dovrebbe impedire – dico “dovrebbe” perché non sempre riesce – il verificarsi di ulteriori crimini contro l’umanità è un fatto estremamente positivo. Altra cosa è verificarne l’efficienza.
D. – Diciamo subito una cosa, però: alcuni Paesi hanno firmato ma non ratificato il Trattato. Tra questi, Israele e Stati Uniti, ma anche Russia e Cina…
R. – Il fatto che si siano voluti dissociare da un’iniziativa che, secondo me, sarebbe segno di grande civiltà, e che poi si colloca lungo la linea dei principi che hanno caratterizzato l’istituzione dell’Onu, è estremamente negativo. Anche perché indebolisce il senso dell’iniziativa e dell’organo internazionale. Ci sono stati gli episodi di Guantanamo che non sono molto entusiasmanti nella considerazione del ruolo degli Stati Uniti. Adesso, credo che Obama stia tentando di superare anche questi aspetti. Anche nella ex Unione Sovietica, nella Russia di oggi, ci sono episodi non proprio di genocidi, però ci sono stati episodi di interventi estremamente pesanti. Quindi, volendo essere malevoli si potrebbe dire che queste grandi potenze vogliono avere mani libere…
D. – Le chiedo uno sguardo allargato: nella storia del Diritto, che cosa ha significato per l’umanità arrivare ad una Corte penale internazionale?
R. – Ha significato un consolidamento del ruolo della comunità internazionale a tutela dei diritti fondamentali della persona, perché sostanzialmente è questo che la Corte internazionale dovrebbe garantire. Quindi, è un fatto estremamente positivo. Naturalmente, sia queste defezioni sia le difficoltà di rendere effettiva la tutela che la Corte deve realizzare ancora impongono di ritenere che c’è tanto cammino da fare. Come accade per tutti gli organismi internazionali, è necessario che ci sia il consenso, perché l’Ordine internazionale si fonda sul consenso. Adesso, stiamo assistendo anche a questa vicenda della Siria, dove l’Onu tenta di intervenire: però, essendovi alcuni Paesi che pongono il veto nel Consiglio di sicurezza, non si può intervenire. Quindi, il limite del diritto internazionale, degli organismi internazionali, è il fatto che sia necessario il consenso. E quindi, quando questo consenso non c’è, questi organismi non funzionano.
Mali: a migliaia riparano in Burkina Faso aiutati dai Camilliani
◊ Sono migliaia le persone che in questi giorni stanno fuggendo dal Mali colpito da una drammatica carestia ma anche da una vasta offensiva dei gruppi integralisti islamici che seminano terrore e distruzione e contro cui si è scagliato il premier Modibo Diarra che ha annunciato anche l'apertura di consultazioni per la creazione di un governo di unità nazionale. Molti dei profughi hanno trovato rifugio in Burkina Faso, dove è attiva la "task force" dei Camilliani che cerca di creare condizioni ottimali per quanto riguarda igiene, acqua, cibo, sanità. Al microfono di Cecilia Seppia, il racconto di Fratel Luca Perletti missionario della diocesi di Dorì da poco rientrato in Italia.
R. - La situazione al momento sembra abbastanza sotto controllo dal punto di vista di problematiche come epidemie o cose simili che possono verificarsi in questi casi però sembra l’inizio di una situazione seria. Non ci sono indicatori molto gravi per quanto riguarda gli sfollati, però ovviamente la presenza di 65 mila persone in una zona già di per sé povera e con poche risorse, è un indicatore che le cose diventeranno abbastanza difficile da sostenere. La popolazione infantile inoltre è consistente e ci sono anche casi riportati di malnutrizione e occuparci di questo, sarebbe un altro dei nostri obbiettivi.
D. - Voi state anche studiando il possibile impegno di una "task force" dei Camilliani a sostegno di questa popolazione profuga del Mali…
R. - L’intervento vorrebbe essere di integrazione di quanto già stanno facendo le agenzie umanitarie, dando particolare enfasi al nostro specifico, che è la sanità, avvalendoci poi degli ospedali che abbiamo in Burkina. Per cui una parte del nostro servizio in collaborazione con le agenzie già presenti sul posto, sarebbe appunto quello offrire i nostri ospedali per quanto riguarda la chirurgia e soprattutto la pediatria, in riferimento al servizio che già facciamo nella capitale Ouagadougou.
D. - Carestia ed insicurezza dicevamo sono il movente alla base di questo esodo dal Mali. Ricordiamo anche che in Mali è anche in corso un’offensiva da parte dei gruppi integralisti islamici; notizie recenti parlano anche del gruppo Ansar Dine che distrugge mausolei, templi sacri antichissimi. C’è quindi una situazione davvero complicata...
R. - Direi proprio di sì. Noi abbiamo raccolto le testimonianze degli sfollati, i quali ci hanno riferito con paura che non intendono tornare nel Paese, finché la situazione non si sarà calmata. Considerando che si trovano in un contesto molto difficile - perché essendo in un Paese straniero e certamente povero e senza la possibilità per quanto riguardo i Touareg di vivere la vita nomadica perché costretti a stare nei campi - il fatto che abbiano paura di tornare la dice lunga sulla situazione difficile che si sta vivendo in Mali. Poi, noi abbiamo avuto modo di incrociare alcuni convogli militari stranieri e questo ci ha molto impressionato: significa che ci sono in atto delle manovre militari molto più grandi di cui ancora non si sa ancora molto.
D. - Situazione difficile in Mali, ma situazione difficile anche nel Paese che ospita, nel Burkina Faso. Quindi si rischia di aggiungere emergenza all’emergenza...
R. - Questo è uno dei problemi che l’amministratore diocesano ci faceva presente quando ci ha chiamato. La paura è che possa poi generarsi un conflitto tra i due gruppi: i locali, che comunque hanno sofferto una carestia nel corso di quest’anno, e questi sfollati che, di fatto, vengono aiutati più dagli altri. Per cui, il rischio è che la situazione degeneri in un conflitto tra poveri.
D. - Voi come Task Force, state cercando anche di collaborare con le istituzioni che sono presenti sul posto. In che modo?
R. - Il nostro primo partner sarà la diocesi di Dori, attraverso la Caritas che si chiama Ocades. In aggiunta, uniremo i nostri servizi con le agenzie sovrastatali come l’Unhcr, l’Alto commissariato dell’Onu per i Rifugiati.
Perù. Attivisti contro la multinazionale che vuole l'oro di "Conga": a rischio l'ambiente
◊ E' una miniera il luogo della discordia e delle violenze che da qualche tempo avvengono in Perù. Da una parte, c'è l'azienda "Newmont Mining" che intende sfruttare il giacimento di oro della miniera "Conga", dall'altra gli attivisti che ne osteggiano l'apertura sostenendo che essa danneggerebbe gravemente i bacini d'cqua circostanti. A far da mediatrice nella vicenda, che ha giù fatto alcuni morti e numerosi feriti, è la Chiesa locale. Padre Guillermo Ortiz, responsabile dei programmi in lingua spagnola della nostra emittente, ne parla al microfono di Silvia Koch:
R. – Questo problema è presente anche in altri Paesi oltre al Perù – in Bolivia, in Colombia, in Argentina – che hanno queste risorse minerarie. In Bolivia, per esempio, dove c’è violenza, gli agricoltori, i lavoratori delle miniere, per esempio a Malcucota, a 300 km da La Paz, hanno avuto questi problemi.
D. – Un problema quindi di contrapposizione tra gli interessi delle multinazionali, che vogliono sfruttare le risorse locali, quelli dei governi locali e delle popolazioni...
R. – Sì, in genere questi Paesi non hanno i macchinari per estrarre i minerali, così arrivano alcune ditte dal Canada, dagli Stati Uniti... E' accaduto con la gente del posto anche in Paraguay, dove ci sono stati morti per questo conflitto, nella riserva forestale: sette poliziotti e undici contadini.
D. – Quali sono le strade indicate dai vescovi locali per cercare di raggiungere una pacificazione nei conflitti?
R. – Noi abbiamo un Consiglio episcopale per tutta l’America Latina, che è il Celam, e questo ora sta lavorando per aiutare la gente nella mediazione di questi conflitti.
D. – Naturalmente, forse, perché i sacerdoti hanno un canale privilegiato di dialogo con le popolazioni locali e sono vicini alle esigenze locali...
D. – Certamente, la Chiesa è lì. Il nostro documento di Aparecida già parla di questo, perché non è un problema di oggi e i conflitti sono presenti da tempo. Al numero 473, il documento di Aparecida dice che la ricchezza naturale dell’America Latina e dei Caraibi sperimenta oggi uno sfruttamento irrazionale, che sta lasciando dietro di sé una scia di distruzione e perfino di morte in tutte le nostre regioni. L’enorme responsabilità di questo processo pesa sull’attuale modello di sviluppo economico, che privilegia uno smisurato desiderio di ricchezza, non curandosi della vita delle persone e dei popoli né del rispetto razionale della natura. La devastazione – dicono – delle nostre foreste e della biodiversità, a causa di un atteggiamento predatorio ed egoista, coinvolge la responsabilità morale di chi la promuove, perché mette in pericolo la vita di milioni di persone, specialmente dell’habitat dei contadini e degli indigeni, che vengono spinti verso terre di bassa qualità o nelle grandi città, dove vanno a vivere ammucchiati in miserevoli periferie. La nostra regione, parlando di tutta l’America Latina e dei Caraibi, ha bisogno di progredire nel proprio sviluppo agroindustriale, per valorizzare le ricchezze delle sue terre e le sue risorse umane, a servizio del bene comune.
Nigeria. Nasce l'Osservatorio della libertà religiosa. Intervista con Massimo Introvigne
◊ Dall'inizio dell'anno le comunità cristiane in Nigeria sono state vittime di numerosi attacchi, che hanno provocato numerosi morti, soprattutto durante le celebrazioni domenicali. Il governo italiano, mentre continua a sollecitare una risposta europea a questa emergenza, scende in campo con una sua iniziativa, intrapresa dall'Osservatorio della libertà religiosa, neonata organizzazione promossa dal Ministero degli esteri in collaborazione con Roma Capitale. L'iniziativa sarà presentata giovedì 19 luglio all'Associazione della Stampa Estera di Roma dal sociologo Massimo Introvigne, coordinatore dell'Osservatorio. Fabio Colagrande lo ha intervistato.
R. – L’Italia si sta adoperando perché la questione dei cristiani in Africa, in particolare della Nigeria, sia messa all’ordine del giorno nei vari documenti dell’Unione Europea e anche delle Nazioni Unite. Tuttavia, ci rendiamo conto che i tempi tecnici delle iniziative internazionali sono molto lunghi e, purtroppo, i cristiani continuano a morire. Questa, quindi, è proprio una delle funzioni dell’Osservatorio. L’Italia sta promuovendo delle iniziative di carattere bilaterale con la Nigeria, un governo amico, con cui i rapporti sono buoni. A questo era finalizzata la missione dei giorni scorsi dell’onorevole Boniver e, per la verità, alcune iniziative sono già partite nel campo di addestramento delle forze di sicurezza della polizia di frontiera e anche di funzionari nigeriani. In questo campo, l’Italia ha delle eccellenze che sono riconosciute al nostro Paese. Anche grandi Paesi hanno richiesto l’assistenza dell’Italia per la formazione di forze dell’ordine contro eventi di tipo violento o terroristico. Quindi, senza affatto trascurare l’importanza che si muovano poi le organizzazioni internazionali, l’Italia è già partita dopo la cooperazione bilaterale.
D. – Quindi, lei conferma che c’è la volontà del governo nigeriano di collaborare su questo aspetto...
R. – Il governo nigeriano, in questo momento, ha come presidente un cristiano, Goodluck Jonathan, e non è quindi certamente promotore, ma è vittima di queste violenze, che mirano anche a rovesciare l’attuale governo. Tuttavia, l’offensiva terroristica non nasce soltanto dall’interno della Nigeria. Sappiamo che il movimento responsabile della maggior parte delle violenze – senza escludere, come i vescovi ci ricordano, talora anche cause locali - Boko Haram, gode anche di sostegni e di armi che vengono dall’estero. Quindi, il governo si trova di fronte ad un problema molto complesso ed è giusto che sia sostenuto anche dall’aiuto internazionale.
D. – C’è anche la necessità, quindi, di isolare le centrali del terrorismo anticristiano, che come vediamo sono molto presenti nei Paesi africani...
R. – Questa, come dire, è la seconda gamba dell’iniziativa italiana, che stiamo promuovendo: far passare la consapevolezza del problema da una serie di eventi locali ad un’emergenza continentale regionale. E’ certo, infatti, che ognuno degli eventi locali possa anche essere attribuito a cause episodiche, però queste sono tutte tessere che vanno poi a comporre un mosaico e, in questo mosaico, operano anche delle centrali di tipo terroristico, che soffiano sul fuoco, che aizzano le difficoltà locali, e il cui programma è un vero programma di pulizia religiosa, una nozione che assomiglia molto alla polizia etnica, per mettere in fuga i cristiani, per indurli ad emigrare, per farli vivere comunque in una situazione di paura che li trasformi a poco a poco in cittadini di serie b.
Il nuovo arcivescovo di Gorizia, mons. Redaelli: vado a servire una Chiesa maestra di dialogo
◊ L’arcidiocesi di Gorizia vive in queste settimane la fase di passaggio in vista dell’arrivo del suo nuovo pastore, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, che succede a mons. Dino De Antoni, il quale lascia per raggiunti limiti di età. A mons. Redaelli, in precedenza vescovo ausiliare di Milano, Isabella Piro ha chiesto con quali sentimenti ha accolto la nomina al nuovo incarico:
R. – Innanzitutto, con sentimenti di riconoscenza verso il Signore e verso il Santo Padre che è interprete nei miei confronti della volontà di Dio. Poi, certo, anche con sentimenti di gioia per un incarico che mi permetterà di essere pastore in senso pieno di una Chiesa che per me è totalmente nuova.
D. – Nella lettera che ha indirizzato ai suoi nuovi fedeli ha fatto riferimento al suo motto episcopale tratto da un passo dell’Apocalisse…
R. – Sì mi ha colpito questa frase che c’è nel capitolo 21: “Vieni ti mostrerò la fidanzata la sposa dell’agnello”. E’ la frase che l’Angelo dice all’autore dell’Apocalisse, Giovanni, per presentargli la sposa dell’agnello, cioè la Città santa, la nuova Gerusalemme. L’intuizione era questa, che al vescovo fosse più che ad altri data un po’ questa grazia dello Spirito, di vedere l’azione dello Spirito Santo che sta preparando la Chiesa, pur in mezzo a tante fatiche e contraddizioni, a essere davvero la sposa dell’agnello. Questa è una grazia che vorrei chiedere al Signore anche in questa occasione: di vedere, anzitutto nella Chiesa di Gorizia, l’opera che sta facendo lo Spirito Santo.
D. - Gorizia è un’arcidiocesi di confine, italiana ma anche con un’anima nordeuropea…
R. - Il dialogo caratterizza questa Chiesa, il confronto tra diverse culture, diverse lingue. E’ certamente una Chiesa ben inserita nel cammino di tutte le Chiese del nordest proprio per mettersi in dialogo con le necessità di oggi, con il mondo di oggi: il Vangelo è quello di sempre ma diventa il Vangelo di oggi.
D. – Lei lascia l’incarico di vescovo ausiliare di Milano. Tra gli ultimi eventi che Lei ha avuto modo di seguire c’è sicuramente il settimo Incontro mondiale delle famiglie che si è tenuto a Milano i primi di giugno ,alla presenza di Benedetto XVI. Cosa Le ha lasciato questo evento e quali ricordi porterà con sé?
R. - Certamente, il fatto che le famiglie ci sono e hanno tanta voglia di vivere così con semplicità, pur con le loro fatiche, perché non bisogna nascondere anche le loro crisi. Hanno tanta voglia di vivere il Vangelo nel mondo di oggi, di cogliere poi nell’insegnamento del Vangelo - che il Santo Padre, quando è venuto, ci ha rappresentato con la sua semplicità ma anche con la sua chiarezza e limpidezza - e di cogliere in questo un segno di grande speranza, la possibilità di continuare, di non fermarsi e come cristiani, in questo momento di crisi generalizzata, testimoniare che c’è qualcosa di bello, si può andare avanti.
D. - Quali sono gli auspici e le speranze che serba nel suo cuore per il suo futuro?
R. – Questa grande speranza, per la Chiesa di Gorizia ma anche per la nostra Chiesa italiana, di vivere un po’ questo periodo di fatica e anche di transizione come un momento di purificazione e di rinnovamento evangelico. Quindi, confermando quanto di positivo ci viene da una tradizione secolare di fede molto viva, però anche sapendo aprirci allo Spirito Santo e alle strade che ci indicherà perché lo Spirito opera anche al di là di quello che noi vediamo. Mi pare bello, nella conclusione dell’Apocalisse, quello che lo Spirito insieme alla sposa dice: “Vieni Signore Gesù”. C’è questa attesa definitiva dello Sposo: alla fine c’è il Regno di Dio e questo deve riempirci di grande speranza.
Artisti e teologi insieme al Convegno "Il teatro e l'esperienza del sacro"
◊ Si è tenuto nei giorni scorsi a San Miniato il convegno “Il teatro e l’esperienza del sacro”, organizzato dal Servizio nazionale per il Progetto culturale della Cei, occasione di incontro e confronto tra artisti, teologi e quanti si occupano di cultura all’interno della comunità cristiana. Angelica Ciccone ha intervistato Vittorio Sozzi, responsabile del Progetto culturale:
R. – Dopo aver dato vita al Festival dei teatri del sacro, abbiamo ritenuto opportuno fermarci un momento per riflettere sul tema del rapporto tra il teatro e la dimensione del sacro. Non abbiamo affrontato tutti gli aspetti, perché in una giornata e mezza non era possibile, però abbiamo messo a fuoco quelli essenziali. Come dire: Dio nel teatro e tutta la questione dell’inquietudine espressa dall’esperienza teatrale oltre che, logicamente, il rapporto tra Chiesa e teatro.
D. – Quali sono le più importanti indicazioni emerse?
R. – La conferma della via intrapresa, cioè quella di creare occasioni di confronto, ma anche di visibilità alle numerose compagnie teatrali, amatoriali, ma anche professionistiche, che operano nella comunità ecclesiale, e da queste avviare un dialogo che, tra l’altro, è già a buon punto con i professionisti del teatro, a diverso titolo, che sono fortemente interessati e che si interrogano, nell’esercitare la loro professione, sulla questione del sacro e sulla dimensione del sacro.
D. – Perché è importante oggi recuperare il rapporto tra teatro e dimensione sacra?
R. – Fondamentalmente, perché il teatro aiuta la persona ad andare a fondo nelle questioni che toccano la sua vita, che toccano la sua esistenza. Direi che questo sia l’aspetto proprio della dimensione più intima, dell’aspetto più intimo della vita di un uomo e della donna. La comunità ecclesiale che valorizza i diversi linguaggi di comunicazione non può trascurare questo che, per certi aspetti, può sembrare un linguaggio di nicchia cui pochi accedono. In realtà, poi, ha un grande fascino anche sulle persone che meno frequentano i teatri.
D. – Nei secoli la Chiesa ha spesso utilizzato il teatro come mezzo di evangelizzazione. Quanto è ancora valido questo strumento di fronte alla realtà del continente digitale?
R. – Anche nell’epoca digitale gli uomini e le donne hanno bisogno di fare esperienza e il cammino di un uomo e di una donna deve essere segnato dalle esperienze che vive, che vive con altri in una comunità. Il teatro offre questa grande opportunità. Credo, quindi, che quanto più ci inoltreremo in questa società del virtuale, tanto più ci sarà bisogno di occasioni che aiutino le persone a vivere un’esperienza di comunità. E il teatro è un’opportunità enorme.
Siria: appello al dialogo e alla riconciliazione del patriarca Gregorio III
◊ Mentre la crisi siriana si aggrava, di fronte a quella che è stata ormai definita una “guerra civile”; mentre “prevale il linguaggio della violenza e la voce della moderazione si indebolisce” “urge uno sforzo di dialogo e di riconciliazione”: è quanto afferma Gregorio III Laham, patriarca dei greco-melkiti di Damasco, in una nota inviata in esclusiva all’agenzia Fides. Il patriarca, confidando nello spirito del popolo siriano, afferma: “I siriani, grazie alla loro lunga storia, possono risolvere questa crisi pericolosa aiutandosi a vicenda, attraverso l’amore e il perdono. Lanciamo un appello urgente per il dialogo, la riconciliazione, la pace: questa è una delle lingue più rare, che molti non vogliono ascoltare. Noi cristiani, ai quali è stato affidato il Vangelo della pace, ci sentiamo chiamati a promuoverla”. Analizzando la crisi siriana, il patriarca nota: “I pericoli maggiori in Siria oggi sono l'anarchia, la mancanza di sicurezza e l'afflusso massiccio di armi da molte parti. La violenza genera violenza, che raggiunge tutti i cittadini, senza distinzione di razza, religione o colore politico”. In tale contesto “i cristiani vivono gli stessi pericoli, ma sono l'anello più debole. Indifesi, sono i più vulnerabili allo sfruttamento, all’estorsione, al sequestro di persona, agli abusi. Nonostante questo, non vi è alcun conflitto tra cristiani e musulmani. Non ci sono persecuzioni e i cristiani non sono presi di mira in quanto tali, ma sono tra le vittime del caos e della mancanza di sicurezza”. Fra gli elementi negativi, a detta del Patriarca, vi è “l'interferenza di elementi stranieri, arabi e occidentali, che portano armi, denaro e informazioni a senso unico. Questa interferenza è dannosa anche alla cosiddetta opposizione, e danneggia l'unità nazionale, in quanto indebolisce anche la voce della moderazione”. Sull’atteggiamento delle Chiese, il patriarca Gregorio III Laham afferma: “Le Chiese cattoliche in Siria, di tutte le confessioni, hanno alzato la loro voce, chiedendo riforme, libertà, democrazia, lotta contro la corruzione, sostegno allo sviluppo, libertà di parola. Oggi chiediamo di fermare il ciclo di uccisioni e distruzione, soprattutto contro i civili in difficoltà, di tutte le fedi, che in realtà sono le vere vittime. La Chiesa ha sempre rifuggito il settarismo, evitando di schierarsi, e puntando ai valori etici ed evangelici”. Per questo, nota, va respinta una certa “campagna condotta contro i Pastori delle Chiese in Siria”, accusati di collusione con il regime, ribadendo “la credibilità, la trasparenza, la fedeltà e la oggettività dei Pastori che sono in costante contatto con sacerdoti, monaci, suore, laici”. Essi, aggiunge la nota, “promuovono l'invito al dialogo e alla riconciliazione, il rifiuto della violenza. Lavorano per salvaguardare la sicurezza dei civili inermi nel conflitto in corso, in modo da non esporli al pericolo, per non diventare bersagli di attacchi di una fazione o dell'altra”. Il patriarca esprime, infine, “molte speranze nelle iniziative della società civile per rafforzare la cordialità e i legami fra i siriani, che il conflitto ha distrutto. Preghiamo per il successo del movimento Mussalaha , in cui sono attivi delegati di tutte le Chiese, per portare l'unità e l'amore nei cuori di tutti. Questo è ciò che pone le basi per soluzioni efficaci al tragico conflitto”. In quest’opera, conclude, “abbiamo bisogno del sostegno del Papa e ci auguriamo che la prossima visita del Papa in Libano sarà un aiuto particolare per la Siria, perché il conflitto possa cessare e il Paese rifiorire. Per questo chiediamo l’aiuto di tutti i nostri fratelli cristiani, in Medio Oriente e in tutto il mondo”. (R.P.)
Pakistan: sequestrata, stuprata e convertita a forza la sorella di un pastore cristiano
◊ La sorella di un Pastore cristiano protestante è stata sequestrata, ripetutamente violenta e costretta a convertirsi all'Islam. E’ quanto accaduto nella città di Chunian, a sud di Lahore, nella provincia del Punjab. Come riferiscono fonti locali dell'agenzia Fides, la giovane Muzamal Arif, sorella del Pastore Aurangzeb, è stata rapita circa un mese fa da alcuni uomini musulmani mentre tornava a casa dal college. E’ stata trattenuta per giorni, subendo abusi sessuali, minacce e violenze. In tale stato di terrore e prostrazione, le è stata estorta prima una dichiarazione di conversione all’islam, poi il matrimonio. La ragazza risulta ora musulmana e sposata con Muhammad Nadeem. La sua famiglia ha denunciato l’accaduto alla stazione di polizia di Chunian, ma la polizia non ha condotto nessuna inchiesta, presentando invece un rapporto del tribunale che attesta come la ragazza sia musulmana e regolarmente sposata. Fra l’altro la ragazza è minorenne e, secondo la legge, non è consentito il matrimonio ai minori. “Ma la famiglia dei rapitori è ricca e potente e riesce a bypassare anche tale disposizione legale” notano i cristiani locali. Il Pastore Mustaq Gill, presidente della Ong Lead (“Legal Evangelical Association Development”), che si sta occupando del caso, spiega a Fides: “La pratica di conversioni forzate e di matrimoni forzati è diffusa: ricchi e potenti musulmani ne approfittano, specie nelle aree rurali, e fanno vittime fra le ragazze delle minoranze religiose”. Secondo dati dell’Agenzia Fides, vi sono in Pakistan circa 1.000 casi del genere ogni anno, ai danni di ragazze cristiane e indù. Per contrastare il fenomeno, ampiamente riconosciuto dalle autorità civili, la “Commissione Nazionale per le Minoranze Religiose” ha elaborato un progetto di legge, che i cristiani sostengono e sperano venga presto preso in esame dal Parlamento. (R.P.)
Mali: verso un governo di unità nazionale
◊ La prossima apertura di “concertazioni nazionali” con le forze vive della nazione per la “formazione di un governo di unità nazionale” è stata annunciata in un intervento radiotelevisivo dal primo ministro Cheick Modibo Diarra. Sul futuro delle istituzioni di transizione, è stata la comunità regionale e internazionale a esercitare pressioni per la creazione di un esecutivo inclusivo entro fine mese e per risolvere le tensioni politiche prevalse finora a Bamako. Per quanto riguarda la crisi nel Nord, gli scenari sono ancora molto aperti, come riferito dallo stesso capo del governo. “Il Mali si sta preparando a tutte le opzioni possibili per riconquistare il Nord” ha dichiarato Diarra, precisando di essere in attesa di “proposte della Comunità economica dei Stati dell’Africa occidentale (Cedeao/Ecowas)”. Negli ultimi giorni - riferisce l'agenzia Misna - una missione tecnica della Cedeao si è recata a Bamako per confrontarsi con il governo sul suo possibile invio di 3000 militari per un intervento al Nord. Prima di dispiegare un suo contingente, l’organismo regionale aspetta una richiesta formale di aiuto da parte delle autorità maliane e il via libera dell’Onu. Tuttavia l’opzione militare sta ancora dividendo classe politica e società maliana: una parte di loro ritiene che l’esercito nazionale può da solo avere la meglio sulle ribellioni tuareg (Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad, Mnla) e islamiche di Ansar Al Din e del Movimento per l’unicità e il jihad in Africa occidentale (Mujao), che da aprile controllano le regioni settentrionali. Se alcuni Paesi della regione, tra cui Niger e Guinea, spingono per un intervento armato, altri, come l’Algeria, si oppongono a qualsiasi “ingerenza esterna”. Da Bruxelles l’Unione Europea (Ue) ha dato il suo via libera a una missione di assistenza civile in materia di lotta al terrorismo nel Sahel, denominata ‘Eucap Sahel’. In un primo tempo le sue attività si concentreranno in Niger, un Paese che ne ha fatto richiesta, ma potrebbero essere estese al vicino Mali e alla Mauritania. “La nuova missione contribuirà a rafforzare le capacità locali di lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata, fenomeni notevolmente aumentati anche in conseguenza del conflitto in Libia” ha dichiarato Catherine Ashton, Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera e di sicurezza. Dal Nord del Mali è invece arrivata la smentita a dichiarazioni ‘positive’ rilanciate negli ultimi giorni dai media nazionali e internazionali. I tuareg dell’Mnla hanno smentito un’informazione in circolazione da domenica su una loro rinuncia all’obiettivo dell’indipendenza dell’Azawad. Lo hanno fatto con un comunicato pubblicato sul proprio sito internet, in data 15 luglio. Tuttavia l’Mnla ha cercato di rassicurare la comunità internazionale, dicendosi “disponibile a negoziare per la soluzione definitiva del conflitto che da più di 50 anni ci oppone al Mali”. Appena la “nostra legittimità verrà riconosciuta, ci impegniamo a lottare contro i narco-terroristi che minacciano l’intera regione del Sahel tenendo conto delle preoccupazioni internazionali”. Dalle regioni settentrionali è anche giunto un allarme umanitario da parte della Croce Rossa. “La popolazione non riesce più a soddisfare i propri bisogni elementari di cibo, che scarseggia ed è molto caro a causa di raccolti insufficienti nel 2011 e del conflitto in atto” ha sottolineato Jean-Nicolas Marti, capo della delegazione per il Mali e il Niger. L’intervento di assistenza alimentare della Croce Rossa è cominciato le scorso fine settimana nelle zone di Gao e Timbuctù, dove entro tre settimane 160.000 persone dovrebbero ricevere riso, fagioli, olio e sale. L’organizzazione internazionale si è anche impegnata a comprare dai pastori locali più di 10.000 capi di bestiame per consentire a 5000 famiglie di avere soldi in contanti. (R.P.)
Lagos: il sostegno alle donne africane è la chiave per superare la povertà
◊ Nel corso del II Vertice Economico delle Donne Africane, appena concluso a Lagos, dopo due giorni di lavori è emerso che il sostegno economico alle donne è la chiave per far fronte alla povertà e per raggiungere una crescita più sostenibile del paese. Tra i partecipanti, numerose imprenditrici, bancarie, alte funzionarie e attiviste hanno sollecitato i leader politici ed economici a contribuire al rafforzamento della figura femminile e alla rimozione degli ostacoli che ne impediscono lo sviluppo. La partecipazione femminile in politica - riferisce l'agenzia Fides - è molto bassa, è necessario anche affrontare problemi come l’istruzione o l’accesso ai servizi sanitari, che continuano a relegare la figura femminile in secondo piano. Oltre la metà delle donne che muoiono di parto in tutto il mondo sono africane, nell’Africa Subsahariana le donne gestiscono solo il 26% delle piccole imprese. Grazie alla recente iniziativa africana Volti Nuovi, Voci Nuove, concentrata sullo sviluppo agricolo del continente, è prevista per i prossimi 2 anni la creazione di un database che coinvolgerà le donne nei settori dell’economia e della finanza. (R.P.)
Nigeria: migliaia di sfollati da Jos per l’avvio delle operazioni antiterrorismo
◊ A seguito di un difficile negoziato tra rappresentanti della comunità e dell’esercito, a Jos, in Nigeria, migliaia di persone di etnia fulani e religione musulmana hanno dovuto lasciare i propri villaggi per l’avvio di un’operazione anti-terrorismo dell’esercito nigeriano. L’operazione, che dovrebbe avere inizio oggi, è stata decisa dopo la strage provocata dalla rivalità tra le comunità di contadini e allevatori. Il governo – riferisce l’agenzia Misna – sostiene che le violenze del 7 e 8 luglio scorsi, che hanno provocato 58 morti, avvenute in alcuni villaggi berom a maggioranza cristiana, non siano responsabilità delle comunità fulani ma causati da criminali che userebbero la popolazione come scudo umano. Secondo il portavoce delle unità militari, la popolazione potrebbe ritornare nelle proprie case entro due settimane, tuttavia nel frattempo la situazione rimane problematica, sia per la difficoltà di gestire un gran numero di sfollati, sia per l’incertezza sui tempi. (A.C.)
Congo: l'Onu condanna le violenze dei gruppi armati. Grave la situazione umanitaria
◊ Il Consiglio di sicurezza dell’Onu “condanna fermamente gli attacchi nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) da parte del gruppo di soldati ribelli conosciuto come M23” e chiede “l’immediata cessazione di tutte le forme di sostegno ai gruppi armati nel Paese e alle Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (Fdlr)”. E’ quanto si legge in una dichiarazione rilasciata alla stampa e ripresa dall'agenzia Sir, nella quale i membri del Consiglio invitano inoltre “tutti i Paesi della regione a cooperare attivamente con le autorità congolesi in vista della smobilitazione del M23” e dell’arresto dei suoi comandanti. Il Consiglio di sicurezza esprime anche “profonda preoccupazione per la situazione in rapido deterioramento nella provincia del Nord Kivu della Rdc, per il peggioramento della situazione umanitaria nella parte orientale del Paese, per il crescente numero di sfollati e rifugiati, le notizie di violenze sessuali e di impiego di bambini soldato”. Pieno sostegno dal Consiglio alla Missione Onu di stabilizzazione nel Paese (Monusco) e alle sue operazioni nella Rdc orientale, tra cui “gli sforzi per aiutare il governo congolese a proteggere i civili sfollati o minacciati a seguito delle violenze dei gruppi armati”. (R.P.)
Londra 2012: migliaia di campane suoneranno per l’apertura dei Giochi olimpici
◊ La Chiesa cattolica inglese, insieme alle altre Chiese cristiane, ha accolto l’invito giunto dal Comitato organizzatore dei Giochi Olimpici di Londra a far suonare, il 27 luglio alle 8:12, tutti i campanili dei luoghi di culto nell’intera nazione. La richiesta – riferisce l’agenzia Sir – è stata fatta propria dalla Chiesa cattolica, che già da tempo sta guardando alle Olimpiadi come un’occasione di evangelizzazione. Migliaia di campane suoneranno dunque contemporaneamente, a partire da quella di St. Edward, nella cattedrale di Westminster, e l’iniziativa ha ricevuto gli auguri da parte del Primate cattolico Vincent Nichols e del reverendo Ian Bunce, responsabile della Missione battista per il Regno Unito. James Parker, indicato dalla Chiesa come responsabile delle attività di evangelizzazione durante i Giochi Olimpici, ha affermato che “le persone si sveglieranno, il giorno della cerimonia di apertura dei giochi olimpici, con un’aspettativa nei loro cuori. Speriamo – ha proseguito – che vi saranno notizie, a livello internazionale, sul fatto che i campanili cristiani hanno suonato per ricordare alle isole inglesi e al resto del mondo le radici cristiane di questo evento”. (A.C.)
Olimpiadi: il 28 luglio una Messa per tutti gli atleti cattolici a Westminster
◊ Una messa per tutti gli atleti di fede cattolica che partecipano alle Olimpiadi Londra 2012. Sarà celebrata sabato 28 luglio, alle 14.30, nella cattedrale di Westminster, la chiesa madre del cattolicesimo inglese, nel cuore di Londra. Così i vescovi di Inghilterra e Galles invitano “gli atleti cattolici a unirsi al resto della comunità nel ringraziare Dio per le molte opportunità che i Giochi presentano, non soltanto alla nostra nazione, ma all’intero mondo, in questo momento”. A parlare - riferisce l'agenzia Sir - è James Parker, che rappresenta la Chiesa cattolica nella charity ecumenica “More than gold”, che sta trasformando le Olimpiadi in una importante occasione di evangelizzazione. Alla Messa di apertura, il 28 luglio, parteciperanno gli arcivescovi di Westminster, Vincent Nichols e Southwark, Peter Smith, il vescovo di Brentwood, Thomas McMahon, vescovi diocesani da tutto il Paese, il nunzio apostolico nel Regno Unito, Antonio Mennini e l’arcivescovo del Porto Rico, Roberto Gonzalez Nieves. “Ci saranno - aggiunge James Parker - molti, ex campioni olimpici o professionisti dello sport, provenienti da tutto il mondo, che sono cattolici e si trovano a Londra per partecipare ai giochi. Questi uomini e donne conoscono benissimo l’importanza di mantenere Dio fermamente al suo posto nel loro viaggio sportivo. Vengono invitati a unirsi al resto della comunità cattolica nel ringraziare Dio per le molte opportunità che i Giochi presentano, non soltanto alla nostra nazione, ma al mondo intero in questo momento”. (R.P.)
Brasile: presentata la preghiera ufficiale per la Gmg 2013
◊ Una preghiera a Dio Padre affinché aiuti i giovani ad essere “gli evangelizzatori di cui la Chiesa ha bisogno nel Terzo Millennio”, “i discepoli missionari della nuova evangelizzazione”, “grandi costruttori della cultura della vita e della pace e protagonisti di un mondo nuovo”: è questa l’orazione ufficiale della Giornata mondiale della gioventù 2013, che avrà luogo a Rio de Janeiro dal 23 al 28 luglio del prossimo anno. La preghiera è stata presentata nei giorni scorsi da mons. Orani João Tempesta, arcivescovo di Rio de Janeiro e presidente del Comitato organizzatore dell’evento. Il presule ne ha dato lettura al termine di una Santa Messa, distribuendone poi copia ai tanti giovani presenti all’evento. La preghiera è stata stampata su un volantino che riporta anche, sul retro, le immagini dei cinque patroni della Gmg – ovvero la Vergine di Aparecida, San Sebastiano, Sant'Antonio di Santana Galvão, Santa Teresa del Bambino Gesù e il Beato Giovanni Paolo II. Ad essere raffigurati anche i tredici intercessori del grande evento dedicato ai giovani: si tratta dei Santi Rosa da Lima,Teresa delle Ande, San Giorgio e i Santi André Kim e compagni, e dei Beati Laura Vicuna, José de Anchieta, Albertina Berkenbrock, Chiara Luce Badano, Suor Dulce, Adilio Daronch, Pier Giorgio Frassati, Isidoro Bakanja e Federico Ozanam. Domenica prossima, invece, verrà reso noto l’Inno ufficiale della Gmg: il canto è stato selezionato dal Comitato organizzatore in base ad un concorso che ha preso il via a novembre 2011. Requisito fondamentale dell’Inno è l’adesione al tema della Giornata, scelto da Benedetto XVI: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni "(Mt 28,19). (I.P.)
Pakistan: i talebani bloccano le vaccinazioni antipolio, a rischio 250 mila bambini
◊ Quasi 250mila bambini pakistani non riceveranno il vaccino antipolio, dopo che il governo ne ha bloccato la distribuzione per le minacce di alcuni gruppi talebani nelle regioni tribali del North e South Waziristan. Gli estremisti hanno fermato il programma sanitario in segno di protesta contro gli attacchi dei droni americani. Lanciate ieri in tutto il Paese, le Giornate d'immunizzazione nazionale erano le prime nel loro genere da anni. Nel North Waziristan - riferisce l'agenzia Asianews - almeno 160mila bambini non sono stati vaccinati; stessa sorte per 80mila piccoli nel South Waziristan. In entrambi i casi, i leader dei gruppi talebani hanno "avvertito" i dipartimenti sanitari e le amministrazioni locali di non mandare nei villaggi alcun operatore, o non avrebbero garantito per la loro sicurezza. In un primo momento, la campagna avrebbe dovuto interessare almeno un milione di bambini delle Federally Administered Tribal Areas (Fata). Tuttavia, il numero dei soggetti interessati era sceso a 754mila, quando alcuni funzionari del dipartimento sanitario del Fata avevano comunicato che circa 300mila bambini erano già stati curati in base a loro programmi di prevenzione. Oltre al North e South Waziristan - dove ciascuna regione ha registrato un caso di polio dall'inizio dell'anno - il governo non è riuscito a raggiungere i bambini delle regioni tribali di Khyber, Orakzai, Kurram, Mohmand e Bajaur, per mancanza di sicurezza. Dei 23 casi di polio segnalati nel 2012 in tutto il Pakistan, nove erano del Khyber. Il Pakistan è uno dei tre Paesi al mondo - insieme a Nigeria e Afghanistan - in cui la poliomielite è endemica. Nel 2011, quasi 200 bambini sono rimasti paralizzati: secondo la rivista medica Lancet è il dato peggiore negli ultimi 10 anni. (R.P.)
Indonesia: ogni anno muoiono 150 mila bambini a causa di malattie prevenibili
◊ Circa 150 mila bambini con meno di cinque anni di età muoiono in Indonesia ogni anno a causa di malattie prevenibili e oltre 10 mila donne perdono la vita per complicazioni postparto. A segnalare questa emergenza - riferisce l'agenzia Fides - è l’ultima ricerca pubblicata dall’Unicef, nella quale si evidenzia che l’alto tasso di mortalità infantile è dovuto principalmente alla mancanza di assistenza sanitaria per le famiglie più povere e prive di istruzione. Molti piccoli muoiono per malattie come la diarrea o la dengue, causate dalle precarie condizioni igieniche nelle quali vivono. Il fenomeno è particolarmente grave soprattutto nelle zone più remote dell’arcipelago indonesiano. Per prevenire tante malattie e salvare altrettante vite sarebbe sufficiente seguire uno stile di vita sano e condizioni sanitarie basilari. In Indonesia vivono 240 milioni di persone, tra queste il 12,5% con meno di un dollaro al giorno. (R.P.)
Sud Corea: i vescovi contro consumismo e spreco delle risorse naturali
◊ Il mondo "è stato creato da Dio sulla base della giustizia. Il Creatore ha dato a ciascuno secondo le proprie necessità: siamo stati noi uomini, con la nostra frenesia, a consumare troppo. Dobbiamo tornare alla giustizia divina anche in campo agricolo". È il senso del Messaggio inviato da mons. Mattia Ri Iong-hoon, presidente della Commissione episcopale coreana Giustizia e Pace, ai contadini cattolici in occasione della Domenica degli agricoltori, che si è celebrata nel Paese lo scorso 15 luglio. Nel testo il presule, anche vescovo di Suwon, scrive: "Dio ha creato il mondo basandosi sulla giustizia e sull'equità, garantendo risorse naturali sufficienti per tutti. Noi le abbiamo esaurite, ed è per questo che ora si verificano carestie, squilibri energetici e disparità fra zone urbane e zone rurali. Questi fattori sono contrari alla volontà divina e vanno corretti". Il Messaggio, intitolato "Il Padre mio è il padrone della vigna", attacca anche l'Accordo di libero scambio fra Corea del Sud e Stati Uniti, firmato due anni fa ed entrato in vigore fra mille polemiche lo scorso marzo: "Questo impegno deve essere rivisto per il bene dei più deboli, dato che così com'è minaccia l'accesso alle risorse naturali e rischia di creare nuovi squilibri sociali nel nostro Paese". L'Accordo è stato oggetto di numerose proteste popolari. Esso prevede in particolare - riferisce l'agenzia AsiaNews - un comma che impone ai coltivatori diretti coreani e agli allevatori di suino di vendere i propri prodotti innanzitutto allo Stato - a prezzi calmierati - che li destina all'esportazione in America. Contro questa imposizione, che di fatto "statalizza" una parte dell'economia rurale, sono scese in piazza centinaia di migliaia di persone che tuttavia non ne hanno ottenuto la revoca. Infine, il presule ricorda a tutti i fedeli l'importanza della campagna per la riabilitazione delle aree rurali: "Dobbiamo costruire una comunità solidale sulla base delle prime comunità cristiane. Questa campagna serve per ottenere una vera comunione fra le comunità rurali e quelle urbane per la condivisione dei beni primari e dei valori di Cristo". (R.P.)
Le sfide in Africa alla 70.ma Congregazione dei Procuratori dei Gesuiti
◊ Si è svolta in Kenya, dal 9 al 15 luglio, la 70.ma Congregazione dei Procuratori della Compagnia di Gesù, alla quale hanno preso parte 97 Gesuiti eletti dalle rispettive province. I temi discussi – riferisce l’agenzia Fides – sono stati numerosi, tra cui l’attenzione ad una visione più universale della missione, il rapporto con la Chiesa, l’importanza tra le reti apostoliche tra le province, il discernimento, la spiritualità. Un argomento importante, che ha occupato un’intera giornata, è stato quello della sfida dell’Africa, considerata una delle priorità per la Congregazione. L’intervento del Superiore provinciale dell’Africa Orientale, padre Agbonkhianmeghe E. Orobator, ha messo in evidenza quattro tematiche centrali: “ripensare l'Africa da una prospettiva diversa; l'Africa come un continente profondamente religioso, l'Africa come portatrice di molteplici valori religiosi; la religione in Africa è un fenomeno vivo. Le sfide sono costituite dalle tensioni religiose e dalla religione di fronte al sottosviluppo”. Ha poi concluso affermando che “dai dati disponibili, è chiaro che il centro di gravità del cristianesimo si sta spostando sensibilmente da nord a sud, vale a dire da Europa e Nord America, ad Africa, Asia e America Latina”. Il Superiore Generale dei Gesuiti ha, infine, incoraggiato “ad approfondire la nostra responsabilità pastorale nei diversi contesti culturali ed ecclesiali in cui operiamo”, ed esortato ad “una maggiore universalità”, sottolineando il servizio ai poveri e la collaborazione con gli altri. (A.C.)
Algeria: destino comune di cristiani e musulmani nel 50.mo di indipendenza del Paese
◊ “Cristiani e musulmani abbiamo un contributo da apportare all’umanità. E’ una responsabilità che ci incombe”: è quanto scrive mons. Claude Rault, vescovo di Laghouat-Gardaïa, in Algeria, nell’editoriale del “Billet mensuel” di luglio della sua diocesi, esprimendo alcune considerazioni sul 50° anniversario dell’indipendenza del Paese maghrebino. Richiamando ad un impegno fraterno quanti oggi vivono in Algeria, il presule ricorda le profonde tracce lasciate dagli avvenimenti che hanno portato all’indipendenza e, riferendosi ai rapporti con la Francia, le ferite non ancora guarite da una parte e dall’altra del Mediterraneo. “Ma segni forti d’amicizia e legami profondi continuano ad annodarsi tra i due paesi – continua mons. Rault –. Siamo tutti persuasi che un mutuo arricchimento si raggiunge attraverso la convivialità e gli impegni che condividiamo”. E riflettendo sulla presenza in Algeria di persone di etnie e religioni differenti il vescovo di Laghouat-Gardaïa aggiunge che “senza essere dello stesso sangue, della stessa cultura, della stessa religione, sentiamo che un destino comune ci lega”. Il presule spiega poi che l’Algeria “ha vissuto ore dolorose nel momento della guerra di liberazione” e anche nel decennio “nero”, “che ha fatto tante vittime innocenti”, ed auspica una pace durevole “basata su una totale riconciliazione tra tutti i suoi figli e i paesi vicini”. Considerando inoltre i diversi sentimenti che hanno sperimentato algerini e francesi in questi ultimi 50 anni, mons. Rault afferma che “parole e atti che guariscono e riconciliano sono ancora da trovare perché una nuova pagina di storia possa essere scritta insieme”. Infine il presule, citando il cardinale Léon-Etienne Duval che sosteneva di credere nella potenza rivoluzionaria dell’amore fraterno, esprime il proposito di voler apportare il proprio contributo nella costruzione di un ponte di fraternità tra le due rive del Mediterraneo. (T.C.)
Repubblica Ceca: la Camera approva la legge sui beni della Chiesa
◊ Dopo l’acceso dibattito di queste ultime settimane, la Camera dei Deputati della Repubblica Ceca ha approvato, con 93 voti favorevoli e 89 contrari, il disegno di legge riguardante l’accordo sui beni della Chiesa e delle organizzazioni religiose. Un passo importante salutato con soddisfazione dalla Conferenza episcopale, che insieme alla Chiesa ortodossa, a quella protestate e alla comunità ebraica, si batte da più di 20 anni per la restituzione delle proprietà religiose confiscate tra il 1948 e il 1989 dal passato regime comunista, un patrimonio di circa 2.500 immobili e 200mila ettari di terreni. Resta l’ostacolo del voto al Senato, dove la maggioranza è nelle mani dei socialdemocratici e dei comunisti, contrari alla legge ritenuta troppo onerosa per lo Stato. Il suo più che probabile veto potrebbe essere bocciato dalla Camera dei Deputati, ma solo a condizione che essa ottenga la maggioranza assoluta dei suoi membri. Il testo approvato è il frutto di un accordo raggiunto in questi mesi tra le Chiese e il Governo di Praga dopo un annoso contenzioso ereditato dal passato regime comunista. L’accordo prevede la restituzione del 56% dei beni confiscati, mentre la parte rimanente sarebbe liquidata nei prossimi trent’anni con un indennizzo dell’ammontare complessivo di 59 miliardi di corone (2,3 miliardi di euro) aggiornati al tasso di inflazione. Termina contestualmente anche il regime in cui era lo Stato a pagare i salari di sacerdoti e religiosi. I rappresentanti delle Chiese e delle organizzazioni religiose ceche considerano la legge “un compromesso per il bene di tutte le parti interessate: Chiese, Stato e l’intera società”. (L.Z.)
Approvato dalla Cei il nuovo regolamento per i Centri missionari diocesani
◊ La presidenza della Conferenza episcopale italiana (Cei) ha approvato lo schema di regolamento per i Centri missionari diocesani che sostituisce il precedente Statuto, risalente al 1969. Indicando “Natura e finalità” del Centro missionario diocesano, il regolamento precisa che esso “è lo strumento principale di cui il vescovo, primo responsabile della vita missionaria della Chiesa particolare, si serve per promuovere, dirigere e coordinare l’attività missionaria”. Inoltre - riferisce l'agenzia Fides - “include la direzione diocesana delle Pontificie Opere Missionarie, che contribuiscono alla pastorale missionaria per il loro carattere universale e per il loro specifico sostegno alla missione ad gentes”. Spetta al Centro missionario diocesano, tra l’altro, “predisporre e realizzare, insieme agli Istituti di vita consacrata, alle Società di vita apostolica e agli altri Organismi missionari presenti in diocesi, percorsi di animazione e formazione per far riscoprire e vivere l’impegno missionario come realtà costitutiva della Chiesa e vocazione naturale di ogni cristiano; promuovere e organizzare, in particolare, la partecipazione della comunità ecclesiale locale alle collette missionarie a carattere universale, con particolare riguardo alla raccolta di offerte in occasione della Giornata Missionaria Mondiale e della Giornata Missionaria dei Ragazzi; sensibilizzare i fedeli ai bisogni delle Chiese più povere e alle iniziative di solidarietà in loro favore”. Il direttore del Centro missionario diocesano, che “viene scelto e nominato dal vescovo tra persone dotate della necessaria sensibilità e competenza”, è direttore diocesano delle Pontificie Opere Missionarie. (R.P.)
Francia: ad agosto giovani ministranti in pellegrinaggio a Roma
◊ “Servire il Signore, gioia dell’uomo, gioia di Dio”: su questo tema si svolgerà, dal 25 al 31 agosto, il pellegrinaggio a Roma di 2.600 ministranti francesi. Tra loro, anche dieci vescovi ed un centinaio di sacerdoti e seminaristi, provenienti da più della metà delle diocesi della Francia. L’evento, organizzato dalla Commissione episcopale della liturgia, si articolerà in momenti di preghiera, testimonianze, celebrazioni eucaristiche e penitenziali, processioni, ma anche visite ai principali siti cattolici di Roma e momenti conviviali. Culmine del pellegrinaggio sarà, il 29 agosto, la partecipazione all’udienza generale di Benedetto XVI. “Il tema scelto – spiega una nota pubblicata sul sito della Conferenza episcopale francese – vuole far sì che i giovani prendano coscienza della loro partecipazione al servizio della Chiesa universale e ad una fraternità nazionale, non solamente parrocchiale”. Per questo, tale pellegrinaggio “sarà l’occasione per compiere un vero cammino di fede”. “Sull’esempio delle Giornate mondiali della gioventù – spiega mons. Philippe Jean Louis Breton, membro della Commissione episcopale della liturgia – questo pellegrinaggio sarà una testimonianza importante per stimolare l’attaccamento dei ragazzi alla Chiesa”. Anche perché, in effetti, continua il presule, “essi la ritengono in decadenza, guardando al volto invecchiato che si riflette in molte comunità parrocchiali”. Ma così facendo, i giovani “sfortunatamente dimenticano tutto quello che, in parallelo, viene creato ed istituito per incoraggiarli”. Richiamando, poi, lo spirito che anima il pellegrinaggio, ovvero “un rinnovamento all’interno di una speranza invincibile”, mons. Beton sottolinea che “il servizio all’altare del ministrante contribuisce davvero alla bellezza e alla vitalità delle liturgie domenicali; esso è fonte di gioia per il celebrante e per i fedeli che partecipano alla Messa”. Infine, il presule si dice fiducioso del fatto che “servire Messa porta i giovani a porsi la domanda della vocazione sacerdotale e infatti, numerosi sacerdoti testimoniano che tale vicinanza all’Eucaristia ha fatto crescere in loro il desiderio di consacrarsi totalmente a Dio e di mettersi al servizio dei loro fratelli”. (I.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 199