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Sommario del 13/07/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI al lavoro sul nuovo libro dedicato a Gesù: le sue riflessioni sulla Santa Famiglia
  • Rinuncia in Honduras
  • Vaticano: a settembre in Camerun il Congresso panafricano dei laici cattolici
  • Oggi su l'"Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: 200 morti a Hama. I ribelli chiedono all'Onu una risoluzione vincolante su Assad
  • Mali: una forza internazionale per mettere fine alle violenze
  • Italia. Per il governo "ingiustificato" il giudizio di Moody's. L'opinione di Suor Giuliana Galli
  • Afghanistan. Karzai ai talebani: basta lotta armata, siate un partito politico
  • Germania, sentenza anticirconcisione. Introvigne: a rischio importanza libertà religiosa
  • Italia, cattolici e politica. Patriarca: serviamo il bene comune del Paese
  • Camorra e rifiuti tossici. Un parroco del napoletano: stiamo morendo di cancro
  • "Sorrisi di madri africane" in mostra a Torino
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Il nunzio a Damasco chiede alla comunità internazionale di aiutare la Siria
  • Siria: mons. Nassar denuncia la piaga dei rapimenti
  • Appello dei Francescani: “Dialogo, non armi per la Siria”
  • Vietnam: migliaia di cattolici nell'incontro con mons. Girelli a Tan An
  • Riforma sanitaria Usa: presentata proposta di legge per proteggere la libertà religiosa
  • Onu: al Trattato sulle armi l'esperienza liberiana per un futuro diverso
  • Colombia. I vescovi: "Evangelizzare in mezzo al conflitto per dare speranza"
  • Unicef: nel Sahel il colera fa le prime vittime tra i bambini malnutriti
  • Msf: in Mali curati in due mesi circa 800 bambini affetti da malnutrizione
  • Forum economico delle donne africane sul loro accesso nel campo finanziario
  • Angola: nuova inaugurazione della cattedrale di Lwena
  • Sri Lanka: l'Alto commissario britannico in aiuto di 200 profughi tamil cattolici
  • Sud Corea. Svolta del governo: "Necessario fare più figli per non sparire"
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI al lavoro sul nuovo libro dedicato a Gesù: le sue riflessioni sulla Santa Famiglia

    ◊   Benedetto XVI profitterà del suo periodo di riposo per scrivere la terza parte del suo libro “Gesù di Nazareth”, dedicata ai Vangeli dell’infanzia. Lo ha detto ieri il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, nel corso di un briefing con i giornalisti. Con il servizio di Debora Donnini, ripercorriamo alcune riflessioni sull’infanzia di Gesù, sull’educazione alla preghiera ricevuta nella Santa Famiglia di Nazareth, fatte in questi anni da Benedetto XVI:

    E’ in una Grotta della piccola Betlemme, nella terra di Giuda, che più di duemila anni fa nasce quel un Bimbo che cambierà la storia del mondo: Gesù. Benedetto XVI invita a soffermarsi sulla scena del Natale. I primi testimoni di questo evento, i Pastori, infatti, si trovano davanti non solo il Bambino, ma anche Maria e Giuseppe. “Dio – dice il Papa – ha voluto rivelarsi nascendo in una famiglia umana, e perciò la famiglia umana è diventata icona di Dio!”. La famiglia come “icona della Trinità per l’amore interpersonale” è uno dei temi cari a Benedetto XVI:

    “Giuseppe ha compiuto pienamente il suo ruolo paterno, sotto ogni aspetto. Sicuramente ha educato Gesù alla preghiera, insieme con Maria. Lui, in particolare, lo avrà portato con sé alla sinagoga, nei riti del sabato, come pure a Gerusalemme, per le grandi feste del popolo d’Israele. Giuseppe, secondo la tradizione ebraica, avrà guidato la preghiera domestica sia nella quotidianità – al mattino, alla sera, ai pasti -, sia nelle principali ricorrenze religiose. Così, nel ritmo delle giornate trascorse a Nazaret, tra la semplice casa e il laboratorio di Giuseppe, Gesù ha imparato ad alternare preghiera e lavoro, e ad offrire a Dio anche la fatica per guadagnare il pane necessario alla famiglia”. (Udienza generale, 28 dicembre 2011).

    E come la Santa Famiglia di Nazareth, il Papa esorta le famiglie a essere “Chiesa domestica”, a pregare insieme, a “imparare a pregare in famiglia”. Un altro episodio che il Papa ripercorre è quello della Presentazione di Gesù al Tempio. Maria e Giuseppe portano il Bambino a Gerusalemme. “Come ogni famiglia ebrea osservante della legge – dice il Papa – i genitori si recano al tempio per consacrare a Dio il loro primogenito e offrire il sacrificio” e la loro sarà l’offerta delle famiglie semplici, cioè due colombi.

    Ma, nota Benedetto XVI, la famiglia ebrea, come quella cristiana, prega sì nell’intimità domestica, ma anche “insieme alla comunità”. Il Vangelo di San Luca ci racconta, infatti, che i genitori di Gesù “si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa”. In questo brano evangelico si narra che Gesù rimane al Tempio, all’insaputa dei genitori, i quali dopo tre giorni lo ritrovano mentre discute con i dottori. “Nell’episodio di Gesù dodicenne - sottolinea Benedetto XVI - sono registrate anche le prime parole di Gesù: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo essere in ciò che è del Padre mio?»” Egli quindi “indica chi è il vero Padre”:

    “Domandiamoci: da chi aveva appreso Gesù l’amore per le “cose” del Padre suo? Certamente come figlio ha avuto un’intima conoscenza del Padre suo, di Dio, una profonda relazione personale permanente con Lui, ma, nella sua cultura concreta, ha certamente imparato le preghiere, l’amore verso il Tempio e le Istituzioni di Israele dai propri genitori. Dunque, possiamo affermare che la decisione di Gesù di rimanere nel Tempio era soprattutto frutto della sua intima relazione col Padre, ma anche frutto dell’educazione ricevuta da Maria e da Giuseppe”. (Angelus 27 dicembre 2009).

    Nelle riflessioni del Papa ritorna, dunque, ancora l’importanza dell’educazione alla preghiera e della relazione con il Padre:

    “Da allora, possiamo immaginare, la vita nella Santa Famiglia fu ancora più ricolma di preghiera, perché dal cuore di Gesù fanciullo – e poi adolescente e giovane – non cesserà più di diffondersi e di riflettersi nei cuori di Maria e di Giuseppe questo senso profondo della relazione con Dio Padre”. (Udienza generale, 28 dicembre 2011).

    E’ anche il tenero sguardo di Maria su Gesù che cattura l’attenzione di Benedetto XVI: quando, dice, “i suoi occhi possono fissare con tenerezza materna il volto del figlio, mentre lo avvolge in fasce e lo depone nella mangiatoia”. “La capacità di Maria di vivere nello sguardo di Dio è, per così dire, contagiosa”, dice il Papa e il primo ad esserne contagiato è proprio San Giuseppe: “Possiamo immaginare che anche lui, come la sua sposa (…) abbia vissuto gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza di Gesù gustando, per così dire, la sua presenza nella loro famiglia”.

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    Rinuncia in Honduras

    ◊   In Honduras,Benedetto XVI ha accettato le dimissioni al governo pastorale della diocesi di Choluteca presentate per raggiunti limiti di età da mons. Guido Plante, della Società per le Missioni Estere.

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    Vaticano: a settembre in Camerun il Congresso panafricano dei laici cattolici

    ◊   "Essere testimoni di Gesù Cristo in Africa oggi. 'Sale della Terra...luce del mondo” è il tema del Congresso panafricano dei laici cattolici, che, promosso dal Pontificio Consiglio per i Laici, si terrà dal 4 al 9 settembre a Yaoundé, Camerun. Il Congresso rientra nella tradizione del Pontificio Consiglio per i Laici di organizzare congressi del laicato cattolico a livello regionale o continentale in differenti parti del mondo. Sede del Congresso, che avrà carattere continentale, sarà l'Università Cattolica dell'Africa Centrale (Ucac). La scelta di tenere il Congresso in Africa giunge dopo la visita del Santo Padre in Camerun e Angola, avvenuta nel marzo 2009, e più recentemente in Benin – nel novembre dello scorso anno – per la presentazione dell'Esortazione Apostolica Post-Sinodale Africae Munus. “L'incontro dimostra – si legge in un Comunicato del Dicastero – l'impegno del Pontificio Consiglio per i Laici di procedere insieme alle Chiese particolari. Esso inoltre aiuta ad incoraggiare i laici a divenire membri attivi della Chiesa Cattolica e testimoni della loro fede in Gesù Cristo in Africa oggi".

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    Oggi su l'"Osservatore Romano"

    ◊   Iniziative efficaci in favore della libertà religiosa: nell'informazione internazionale, intervento della Santa Sede a Ginevra.

    Orrore in Siria: oltre duecento civili massacrati a Tremseh, nella provincia di Hama.

    Sul ventesimo anniversario del rastrellamento del Velodromo, in cultura, un articolo di Jean-Michel Coulet dal titolo "Parigi e gli ebrei".

    Con la musica oltre la ragione: intervista di Marcello Filotei a Riccardo Muti.

    Un genio di periferia: la prefazione di Marco Rizzi all' "Apologia del cristianesimo" di Tertulliano (riproposta dal "Corriere della Sera" nella sua collana "I classici del pensiero libero. Greci e latini") e un articolo dal titolo "Quale fu la prima opera scritta in latino da un cristiano?".

    Pascoli e l'equivoco di Croce: Federico Mazzocchi su quando il critico volle insegnare al poeta.

    Giulia Galeotti recensisce il libro "A fuoco lento. Storie di ordinaria disabilità, ricette per l'inclusione sociale", a cura dell'associazione Come un albero onlus e di Solidarius.

    Perché gli ultimi diventino primi anche in tempo di crisi: nell'informazione religiosa, il primo capitolo del libro di Giovanni Nervo "Una scelta cristiana civile: partire dagli ultimi".

    Terra madre: nell'informazione vaticana, un articolo sul quarto congresso dell'Associazione rurale cattolica internazionale.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: 200 morti a Hama. I ribelli chiedono all'Onu una risoluzione vincolante su Assad

    ◊   La provincia di Hama, ancora teatro di una strage; la peggiore dall’inizio della crisi siriana. Oltre 200 i morti accertati, quasi tutti civili inermi. L'opposizione chiede al Consiglio di sicurezza dell'Onu l'adozione di una risoluzione vincolante contro il regime, mentre il presidente Bashar al Assad, da parte sua, accusa i suoi oppositori tornando a definirli – come sempre ha fatto – dei “terroristi”. Intanto, è stato annunciato ufficialmente che si terrà il 16 luglio a Mosca il colloquio tra l'inviato speciale per la Siria, Kofi Annan, ed il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov. Obiettivo del faccia a faccia, cercare una soluzione praticabile per risolvere la crisi. Sull’escalation di violenza in atto nel Paese, Salvatore Sabatino ha intervistato Vittorio Parsi, docente di Relazioni internazionali presso l’Università Cattolica di Milano:

    R. – A me sembra che il regime di Assad abbia deciso ormai di esasperare i toni della guerra civile, nel senso che sta tentando una soluzione militare. Probabilmente, è consapevole delle poche probabilità che ha di vincere complessivamente la guerra civile, ma nello stesso tempo è anche consapevole del sostanziale blocco della comunità internazionale che non sarà a tempo indefinito per cui c’è in qualche modo un’accelerazione di questa crisi.

    D. – Blocco della comunità internazionale che vede la Russia continuare ad appoggiare il regime. Come si potrà risolvere questa situazione?

    R. – Quella che è in corso in Siria è comunque una guerra civile in cui le violenze vengono commesse da entrambi le parti e la violenza che si è scatenata spinge molte delle componenti della società siriana, non necessariamente “assadiste”, a stare dalla parte di Assad preoccupata da quello che potrebbe succedere dopo. Tanto più se i ribelli vedono prevalere le forze più radicali, come è ragionevole che succeda, mano a mano che lo scontro si fa più violento. E questo credo che sia un calcolo di Assad: far emergere i più radicali nelle forze ribelli per guadagnarsi sostegno e per tenere sotto di sé tutti quelli che pensano che alla fine la sua dittatura sia il male minore. Detto questo, credo che l’unico modo di uscirne sarebbe uno sblocco della posizione russa, che è molto difficile. In questo momento, i russi pensano che sia prevalente mantenere l’appoggio al loro alleato che in qualche modo offre ancora una possibilità di rientro in Medio Oriente, dopo tanti anni che la Russia era sparita dall’area.

    D. – Cosa potrebbe a questo punto far cambiare posizione alla Russia?

    R. – Bisogna calcolare che la Russia ha una popolazione musulmana prevalentemente sunnita importante. Le proiezioni demografiche ci dicono che nei prossimi 20-30 anni la minoranza musulmana russa sarà una minoranza molto consistente. Allora, se dovessero scatenarsi attentati nelle province russe a maggioranza musulmana, dal Caucaso all’Asia centrale, allora questo potrebbe indurre Mosca a rivedere la sua posizione. Non è escluso che qualcuno non stia iniziando a pensare di suscitare tutto sommato un minimo di risveglio di irredentismi ossetini, ceceni, e quant’altro, collegati alla strage di fedeli musulmani contro il regime di Assad.

    D. – Sullo sfondo della crisi siriana c’è il piano di pace di Kofi Annan, che in molti definiscono morto ma che lo stesso mediatore di Onu e Lega araba continua comunque a difendere. E’ un piano secondo lei che ha fallito totalmente o in qualche modo può essere rivisto e riportato in campo?

    R. – Fare la spola tra i vari attori della regione costringe tutti a considerare che la situazione è complessa, e che se si cerca una soluzione politica, questa avrà, di necessità, compromessi che dovranno essere tentati perché l’alternativa a questo è uno sblocco violento della situazione. Sblocco che può venire o facendo pressione – che è un eufemismo – sulla Russia, affinché cambi posizione, oppure da qualche evoluzione nel quadro regionale che coinvolga la Siria senza avere la Siria per obiettivo. Tanto per essere chiari: se la questione del nucleare iraniano porta a qualche nuova accelerazione, allora questa inevitabilmente è una delle conseguenze anche sugli squilibri della Siria senza che necessariamente siano prese iniziative dirette sulla Siria.

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    Mali: una forza internazionale per mettere fine alle violenze

    ◊   La Francia ha prospettato la possibilità di un intervento militare esterno in Mali, dopo le violenze commesse dagli estremisti islamici nel nord del Paese. Per combatterli si sta facendo largo l’idea di dispiegare una forza dell'Unione Africana, con il sostegno dell'Onu e della Nato. Intanto, le autorità del Paese hanno deciso di ricorrere alla Corte penale internazionale (Cpi) di fronte alla distruzione, in particolare dei mausolei, da parte dei gruppi armati legati ad Al Qaeda. Benedetta Capelli ha chiesto l'opinione di Giampaolo Calchi Novati, docente di Storia dell’Africa alla Sapienza di Roma:

    R. – La moltiplicazione di interventi rischia di alimentare una situazione di guerra diffusa in una zona che è già toccata ed è praticamente una zona di guerra perché, al di là dei singoli episodi, la zona sahelo-sahariana è un teatro di guerra, dichiarata o non dichiarata, fra il mondo occidentale nel suo insieme, qualche alleato locale del mondo africano e il cosiddetto sistema jihadista, che poi fa riferimento ad Al Qaeda - che fra l’altro ha in questa parte dell’Africa anche una Al Qaeda specifica che viene chiamata del "Maghreb islamico." C’è una specie di rincorsa: situazioni di carattere nazionale, locale, attingono a cause globali per ottenere armi, appoggi internazionali, etc. e, viceversa, queste guerre a livello mondiale finiscono per alimentare i conflitti locali. E' è un circolo vizioso, quindi, che non si sa fin dove interventi dall’esterno possano interrompere o non piuttosto alimentare.

    D. - Molti, parlando del Mali, definiscono questo Paese ultimamente come il "nuovo Afghanistan". Secondo lei, può essere una definizione appropriata?

    R. – Il Mali dell’Afghanistan non ha niente, a meno di non paragonare all’Afghanistan qualsiasi Paese dove sia in atto un processo di re-islamizzazione. Credo che oggi il paragone più preciso sia con il processo di militarizzazione della regione. Tra l’altro, va ricordato che in Mali la popolazione è tendenzialmente islamizzata, lo sono anche le popolazioni nere, songhaï, peuls che si contrappongono per altri versi i tuareg sono islamizzati e l’islamismo è fortemente presente. L’aspetto un po’ particolare è dato da questa alleanza tattica, per certi versi anche controproducente, che il movimento nazionalista dell’Azawad ha stabilito con il movimento jihadista che fa riferimento ad Al Qaeda. Probabilmente, anche questo riferimento ad Al Qaeda suscita qualche verosimiglianza, un paragone, a lunga distanza con l’Afghanistan.

    D. – Vede un rischio di propagazione nell’area?

    R. - A dire la verità, questa propagazione è un po’ reciproca. Credo che il Mali a sua volta sia stato influenzato da eventi che vengono da altre parti. Si arriva fino a immaginare che ci siano stati collegamenti tra gli shebaab della Somalia ed esponenti che hanno dato origine a questa agitazione nella regione del Mali. Più in generale, c’è un appostamento verso sud dell’attività di guerriglia o di resistenza residuale in parte del famoso periodo di terrorismo dell’Algeria. Si parla di una propagazione dell’instabilità e della militarizzazione a causa dell’esodo di alcune centinaia, forse migliaia, di combattenti dell’esercito libico che avrebbero portato in giro armi e anche militanti. Quindi, come si vede, c’è proprio una completa osmosi di fenomeni, tutti su uno stesso sfondo, fondamentalmente. Credo che, se si dovesse proprio essere molto netti, sia in corso un processo di islamizzazione dell’Africa e, se vogliamo, di "arabizzazione" dell’Africa e questo ovviamente altera gli equilibri di carattere internazionale.

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    Italia. Per il governo "ingiustificato" il giudizio di Moody's. L'opinione di Suor Giuliana Galli

    ◊   “Il giudizio di Moody’s è del tutto ingiustificato e fuorviante”. Lo ha detto il ministro dello Sviluppo Corrado Passera, aggiungendo che ”non tiene conto del lavoro che il nostro Paese sta facendo”. In nottata, l’agenzia di rating ha ribassato il giudizio nei confronti dell’Italia da A3 a Baa2, una previsione dunque negativa. La Commissione Ue ha giudicato inappropriata la tempistica dell'annuncio di Moody's. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Davvero una doccia fredda per il governo. Il declassamento non era nelle previsioni, ma per l’agenzia di rating pesano le prospettive politiche del Paese. Il ministro per lo Sviluppo economico, Corrado Passera, afferma che non è stato tenuto in giusta considerazione il lavoro che il Paese sta facendo per uscire dalla crisi e risanare il debito. Con Passera, il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, convinto “l'Italia e il suo sistema manifatturiero siano molto più forti di quello che appare nelle valutazioni di Moody's". Abbiamo sentito l’opinione di suor Giuliana Galli, componente del Consiglio generale della Compagnia di San Paolo:

    R. – Guardiamo in faccia la realtà senza esagerati pessimismi e senza squilibrati ottimismi. La realtà che ci confronta è quella di sanare una situazione economica che è parecchio malata, chiamata anche “percorso di guerra”: questa la si affronta con quanto l’emergenza impone.

    D. – Ieri, la Banca centrale europea ha detto che le banche devono rafforzasi e tornare a fare credito. Questa è una missione ad oggi, possibile, secondo lei, oppure il sistema finanziario, anche italiano, è ancora in forte difficoltà e dunque ha bisogno ancora di consolidarsi?

    R. – Fare credito o non farlo? L’aver fatto credito a oltranza abbiamo visto cosa ha fatto in America. Per cui tenere occhi attenti alla situazione. Fare prestiti laddove si preveda uno sviluppo, mi sembra giusto, dove invece l’incertezza è troppa e non dà adito a previsioni di riuscita, e quindi si rischia di buttare via del denaro, credo che sarebbe invece imprudente.

    D. – Secondo lei, a livello mondiale ed europeo c’è fiducia in quello che sta facendo l’Italia oggi?

    R. – Io credo di sì, anche perché lo sforzo di questo governo è superiore a qualsiasi altro mai visto nel passato. Certo, a chi si sente toccato su pensioni o su costi dà fastidio. Ma io credo che ci sia questa fiducia in quanto sta facendo Monti e il suo governo.


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    Afghanistan. Karzai ai talebani: basta lotta armata, siate un partito politico

    ◊   Prove di pacificazione in Afghanistan. L’ultimo tentativo di riportare i ribelli talebani nell’ambito del confronto politico viene dallo stesso presidente Karzai. Il capo dello Stato ha esortato la guida spirituale dei talebani, Mullah Omar, a lasciare la lotta armata e a costituire una forza politica ufficiale, candidandosi alle prossime presidenziali. Karzai ha infine chiesto ai talebani di partecipare al processo di ricostruzione del Paese e a sedersi al tavolo delle trattative. Sui motivi di questa proposta di Kabul, Giancarlo La Vella ha intervistato Paolo Branca, docente di Storia dei Paesi islamici all’Università Cattolica di Milano:

    R. - Io penso ci sia una tendenza generalizzata, dopo le "primavere arabe", a sdoganare i movimenti fondamentalisti islamici, che sono stati a lungo nella clandestinità. La speranza è che, partecipando al “gioco democratico”, smorzino gli aspetti più estremi della loro mobilitazione - anche armata - dei decenni scorsi e accettino di confrontarsi con le altre forze politiche della società in cui si trovano. Certamente, l’Afghanistan è un caso limite, per cui si pensa ovviamente, data la natura del terreno ed il carattere tribale del Paese, che questo interlocutore non abbia troppo le carte in regola per offrire delle garanzie.

    D. - Tra l’altro, abbiamo un esempio di Stato gestito nel passato in Afghanistan dai talebani: è pensabile, guardando alla loro ideologia, che possano dialogare con altre parti politiche così diverse da loro?

    R. - Non è impossibile. Ricordiamo che il governo dei talebani era stato riconosciuto soltanto dal Pakistan, dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi, quindi dei grandi amici dell’Occidente che erano stati "sponsor" di questo sciagurato esperimento. Adesso, dopo che, per un certo aspetto, la situazione si è tranquillizzata, il fatto che la parte più moderata di questo movimento possa essere coinvolta in un discorso di unità nazionale, per il benessere e lo sviluppo della nazione può essere positivo dopo tutti questi anni di scontri. Bisogna vedere come questo processo sarà gestito e soprattutto quali risultati porterà.

    D. - Il governo Karzai ha riscosso diverse critiche, sinora. Quali possono essere gli obiettivi in questo momento del capo di Stato, da un parte, e dei ribelli dall’altra?

    R. - Da parte del capo dello Stato, penso che sia sempre il solito problema: l’Afghanistan è un Paese poco governabile, soprattutto da parte di un’autorità centralizzata. Entrare quindi in colloquio con gli altri vuol dire, comunque, farsi riconoscere come interlocutore e di questo il governo di Kabul ha estremo bisogno, perché ci sono intere zone del Paese su cui non ha nessun controllo. Da parte dei ribelli, uscire dalla lotta armata - che ha portato tantissimo dolore e distruzione nel Paese - forse potrebbe costituire una svolta e anche loro, da qualche punto di vista, potrebbero essere riconosciuti come interlocutori in un quadro dove le componenti etniche, religiose, ideologiche sono molto diversificate e dove un minimo di compromesso è indispensabile per uscire da questo tunnel senza fine.

    D. - Si avvicina la data del ritiro delle truppe internazionali. E’ pensabile che sarà quello il momento in cui possa iniziare all’interno dell’Afghanistan un vero dialogo?

    R. - No, io penso che sia importante che cominci prima. Una volta ritirate le truppe internazionali, la tentazione di risolvere le cose con la forza potrebbe risorgere, mentre questa presenza internazionale - che garantisce un minimo di stabilità - dovrebbe essere appunto sfruttata per incominciare a fare dei passi verso la distensione, in modo che poi non sia una strada senza ritorno e non si ripiombi nel caos.


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    Germania, sentenza anticirconcisione. Introvigne: a rischio importanza libertà religiosa

    ◊   Il governo tedesco assicura un veloce intervento per garantire “certezza di diritto” alla questione delle circoncisioni. Lo ha detto il portavoce Steffen Seibert dopo la condanna da parte della Conferenza dei Rabbini europei di una sentenza del tribunale di Colonia, che ha definito reato la circoncisione per motivi religiosi, perché lesiva dell’integrità fisica. Il fatto in seguito alle complicazioni dopo l’intervento su un bambino di 4 anni. Alle forti proteste della comunità ebraica, che parla del “peggior attacco dopo l’Olocausto”, si uniscono quelle della comunità musulmana, della Chiesa cattolica ed evangelica tedesche. Di “perplessità su una sentenza rischiosa per tutti”, parla il sociologo Massimo Introvigne, intervistato da Gabriella Ceraso:

    R. – A me pare che il campanello d’allarme che ci viene da questa sentenza, e che da questo punto di vista davvero interessa tutti, è che la libertà religiosa viene considerata come qualche cosa che non è forse poi così importante e che comunque sta sullo stesso piano rispetto ad una lunga serie di altri diritti, alcuni diritti pacificamente riconosciuti, ma qualche volta – come ricordava anche il Papa nell’Enciclica Caritas in Veritate – nuovi diritti, il cui statuto giuridico è dubbio.

    D. – Il tribunale tedesco, in questo caso, invoca l’“integrità fisica”…

    R. – L’“integrità fisica” è certamente un valore, però bisogna distinguere fra pratiche che sono meramente culturali – e penso alla cosiddetta circoncisione femminile e a cose molto dolorose, che sono veri attentati all’identità fisica, vietati in moltissimi Paesi del mondo – e che non attengono all’essenza stessa della religione. E su questo i rabbini che lo hanno ribadito hanno ragione: qui, siamo di fronte ad un nucleo essenzialissimo della fede e non siamo di fronte a qualcosa che mette in pericolo la vita o l’integrità della persona. La stessa sentenza di Colonia lo dice molto curiosamente affermando: i bambini dovrebbero poi decidere da grandi di quale religione vogliono far parte. Se il problema non è dunque più l’integrità fisica, ma è il diritto del minore a non diventare soggetto di una cerimonia religiosa quando non ha ancora la consapevolezza per decidere a quale religione vuole appartenere, allora l’applicazione al Battesimo dei bambini diventa immediatamente evidente…

    D. – E’ lecito e necessario, a questo punto, come ha promesso di fare la Germania, legiferare in maniera precisa su questo argomento?

    R. – E’ lecito, perché evidentemente in Germania esiste un problema. In molti altri Paesi – dagli Stati Uniti all’Italia – questo problema non esiste e la circoncisione si intende con precise garanzie. Evidentemente, in Germania esiste un vuoto legislativo che permette queste interpretazioni e dove ci sono dei problemi di questa natura di solito li risolve il legislatore. Dobbiamo anche ricordare che stiamo parlando della Germania democratica, che ha una tradizione di rispetto delle libertà fondamentali, compresa la libertà religiosa, per cui è normale attendersi che la politica tedesca faccia il suo corso e che il problema possa essere risolto con buon senso, con equilibrio e con consultazione di tutte le parti interessate.

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    Italia, cattolici e politica. Patriarca: serviamo il bene comune del Paese

    ◊   Nel fermento, mai sopito, delle aggregazioni di matrice cattolica interessate a incidere nella vita politica e sociale italiana, va considerato anche il lavoro svolto dalle Settimane sociali dei cattolici italiani. Sulla marcia di preparazione intrapresa dagli organizzatori verso il 47.mo appuntamento – che vivrà i suoi momenti culminanti nel settembre 2013 a Torino – si sofferma Edo Patriarca, segretario del Comitato promotore e presidente delle Settimane sociali, intervistato da Luca Collodi:

    R. – Ci ritroveremo a Torino, perché il Piemonte è una regione importante del Nord e perché sono passati tre anni ormai dalla Settimana Sociale di Reggio Calabria. Ci ritroviamo su un tema caro ai cattolici, che vorremmo fosse poi proposto con forza e convinzione, come quello sulla famiglia e su come la famiglia possa essere un indicatore di qualità per la vita dell’Italia. Credo che Torino 2013 sarà un passaggio importante, soprattutto in una stagione complessa e difficile perché nella storia delle Settimanale sociali questi passaggi hanno fatto bene anche al Paese. Soprattutto, è un passaggio che può aiutare il laicato cattolico a ritrovarsi ancora una volta a convergere e riflettere su come si può davvero incidere sul bene comune della Nazione. Questo Paese può ancora contare, lo dico con umiltà, su questa spina dorsale rappresentata dalle Chiese locali e dal laicato cattolico.

    D. – Guardando alla politica attuale, voglio chiede le che fine ha fatto il documento delle Settimane sociali di Reggio Calabria, più che mai attuale soprattutto nella parte della riforma della legge elettorale. Perché sembra rimosso dalla riflessione del laicato cattolico…

    R. – Il documento approvato a Reggio Calabria è un documento della Chiesa italiana. Finalmente, a settembre, con un po’ di ritardo, saranno pubblicati gli atti della Settimana sociale di Reggio e credo che la rilettura di quell’agenda tornerà a evidenziare come quel percorso del 2010 sia stato di grandissimo rilievo, perché quei temi che abbiamo proposto a Reggio Calabria sono ancora l’agenda del Paese. Cinque aree tematiche di speranza per il Paese, lo ricordo, dedicate a lavoro, scuola, inclusione, mobilità sociale, università, e riforme a partire dalla legge elettorale dando agli elettori un potere reale di scelta e di controllo. Significa che il mondo cattolico, le organizzazioni laicali cattoliche hanno ancora qualcosa da dire. Credo, in fondo, che anche la vicenda di Todi sia stata resa possibile perché Reggio Calabria qualche buon seme nel laicato cattolico, nelle nostre Chiese locali, l’aveva dato.

    D. – Lei non pensa, guardando al rapporto tra cattolici e politici, che resti del tutto intatta una differenza, a mio giudizio negativa, tra un’Italia cattolica un po’elitaria e un Italia cattolica popolare?

    R. – Credo che questo divario ci sia. Rischiamo un po’ quello che rischia la politica: dei ragionamenti che hanno una loro validità teorica, ma che non hanno niente a che vedere, o poco, con la vita quotidiana delle persone. Credo che questo rischio lo possiamo correre anche noi cattolici, ed è un rischio mortale per la nostra comunità. E’ un lusso che non ci possiamo permettere, perché la vita del popolo è strettamente connessa all’annuncio del Vangelo. Il radicamento popolare del cattolicesimo italiano, va mantenuto intatto. Chi pensa e ha responsabilità oggi in Italia deve misurarsi con la vita delle persone.

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    Camorra e rifiuti tossici. Un parroco del napoletano: stiamo morendo di cancro

    ◊   C'è la mano della camorra dietro lo smaltimento illecito e i roghi di rifiuti e sostanze tossiche, che in alcune zone delle provincie di Napoli e Caserta avvelenano l'aria e diminuiscono l'aspettativa di vita. Zone dove,ormai da anni, nell'indifferenza delle istituzioni e spesso anche dei mass-media, il rischio tumore è di molto superiore alla media nazionale. Fabio Colagrande ha raccolto la testimonianza di don Maurizio Patriciello, parroco a Caivano, provincia di Napoli:

    R. – Ci sono decine e decine di roghi ogni sera, ogni pomeriggio, ma soprattutto di notte, che vengono appiccati: sono tonnellate di pneumatici che bruciano e su questa montagnole, su queste pile, vengono poi fatte bruciare sostanze tossiche che vengono in questo modo smaltite senza lasciare traccia. La mia parrocchia è in provincia di Napoli, ai confini con Caserta, e questo rende più difficile la responsabilità dei vari Comuni che fanno a "scaricabarile"… Siamo a cavallo di due province, Napoli e Caserta, e con la complicità dei fratelli rom - che per pochi soldi sono le prime vittime che, purtroppo, si trasformano in carnefici - appiccano questi roghi che sprigionano un fetore infernale e sostanze tossiche che vengono inalate da bambini, ammalati, adolescenti. C’è questo spettacolo terrificante. I morti per tumore ormai non si contano più. I parroci che stanno in prima linea sanno molto bene quanti funerali hanno celebrato e stanno celebrando. Anche dai manifesti funebri si nota che ormai non c’è più nessuno che supera la soglia dei 50 anni e non bisogna neanche chiedere più perché una persona muore. Ormai stiamo morendo tutti di tumore sotto gli occhi di tutti.

    D. - Don Maurizio, si dice che in questi incendi di rifiuti illegali che appestano e avvelenano l’aria del napoletano e del casertano sia coinvolta la camorra. Cosa dice?

    R. – La camorra ha le mani in pasta dappertutto, su questo non ci sono dubbi. Ma la camorra non avrebbe potuto fare niente se i nostri amministratori locali, se i nostri politici fossero stati attenti al loro territorio, se le forze dell’ordine avessero tutelato il loro territorio. Purtroppo, c’è questa ignavia. Io mi rendo conto che tanta gente ha paura a parlare, ha paura a farsi avanti, su questo non ci sono dubbi. Però, stanno lasciando morire uno dei terreni più fertili che nostro Signore Gesù Cristo aveva regalato all’umanità. E’ uno scempio continuo, sotto gli occhi di tutti. La gente non ne può più. Basta andare su Internet al sito "laterradeifuochi.it" per vedere tutto lo scempio che avviene. La gente è vittima. L’altro giorno sono stato al capezzale di una sorella che sta per andarsene con il Signore ed era una pena grande vedere questa donna che ormai sta per morire, che non riusciva neanche a respirare.

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    "Sorrisi di madri africane" in mostra a Torino

    ◊   Scatti dal Burundi, dalla Somalia, dal Kenya e da altri Paesi africani nei quali è presente il Comitato collaborazione medica (Ccm). Sono quelli che compongono la mostra: “Sorrisi di madri africane” presentata ieri a Torino. Una tappa della campagna "Walking Africa", partita nel 2009 per valorizzare il ruolo della donna nel continente nero. Benedetta Capelli ha intervistato Marilena Bertini, presidente del Ccm:

    R. – Noi siamo un’organizzazione sanitaria che dal 1968 lavora in Africa e sappiamo benissimo, per esperienza diretta, che soprattutto le donne africane non sono affatto quell’Africa triste che ci immaginiamo. I media ci fanno vedere le loro tristezze, ce le fanno vedere nei momenti di crisi, ma in realtà sono donne fortissime, molto determinate, molto volitive, sempre sorridenti, sempre capaci di lavorare insieme, sempre capaci di stare in gruppo. Hanno un senso di socialità, di saper vivere le une con le altre, sia con i loro bambini che con i figli delle vicine, che noi abbiamo completamente scordato e che credo sia proprio uno dei grossissimi valori che dobbiamo imparare di nuovo a scoprire dall’Africa.

    D. – Quali sono, secondo lei, gli scatti più rappresentativi?

    R. – La mostra è divisa in sette sezioni, in cui viene considerato quello che è, partendo dalle donne che sorridono, l’impegno internazionale per migliorare la vita di queste popolazioni, quali sono i determinanti della salute che influenzano profondamente la sopravvivenza, la vita, come l’acqua pulita, la possibilità di avere fogne, la mancanza di guerre, la possibilità di un piccolo commercio, la scolarità, che è estremamente importante, perché questo continente possa crescere. Vengono esternate l’importanza della donna, della donna madre, del legame che c’è tra mamma e bambino. Il manifesto, che fa vedere una donna burundese su un letto con il suo bambino al seno, sorridente, è quello che abbiamo scelto come apertura della campagna e che ci sembra molto rappresentativo di queste donne madri meravigliose.

    D. – Quali sono i Paesi nei quali sono stati realizzati questi scatti da una cooperativa fotografica che si chiama Magnum Photos?

    R. – Sono i tanti Paesi dove CCM lavora. Spesso parliamo di Africa, ma non ha molto senso: è come se parlassimo di Europa, assimilando la Grecia alla Svezia. Anche in Africa ci sono profondissime diversità tra un Paese e l’altro e quindi abbiamo scelto foto di Magnum Photos, scattate in Burundi, in Etiopia, in Kenya, in Mali, in Somalia e in Sud Sudan. Sono esattamente i Paesi dove CCM lavora.

    D. – Tra l’altro è stata anche lanciata una raccolta fondi qual è il senso di questa iniziativa?

    R. – Sì, noi con la mostra, ma con tutta la campagna, vogliamo sensibilizzare sui problemi sanitari nei Paesi a basso reddito e poi anche raccogliere ovviamente fondi. Questa campagna finirà nel 2015, quando dovrebbero essere raggiunti gli obiettivi del millennio, di cui due riguardano proprio la mortalità materno-infantile: cioè l’obiettivo 4, che dice di ridurre di due terzi la mortalità dei bambini di età inferiore ai 5 anni, e l’obiettivo 5, che dice di ridurre di tre quarti la mortalità materna. Questi obiettivi, che in molti Paesi del mondo stanno per essere raggiunti – parlo dell’America Latina e di alcune parti dell’Asia – in realtà nell’Africa sub sahariana sono ancora molto distanti dall’essere raggiunti.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Il nunzio a Damasco chiede alla comunità internazionale di aiutare la Siria

    ◊   "La comunità internazionale si sbrighi ad aiutare la Siria ad uscire da questa trappola infernale". È quanto afferma all'agenzia AsiaNews mons. Mario Zenari, nunzio vaticano a Damasco, che lancia un appello ai Paesi al Consiglio di sicurezza Onu, in particolare Cina e Russia, e Lega Araba a mettere da parte le divisioni e lavorare in modo concreto per fermare una carneficina che in 16 mesi è costata oltre 14mila morti. Il prelato è rientrato nel Paese dopo tre settimane di soggiorno all'estero e trova la situazione molto peggiorata. Mons. Zenari sottolinea che "la situazione si sta aggravando sempre di più. Dopo il mio ritorno è aumentata l'insicurezza, non ci si può muovere liberamente, vi sono continui scontri e rapimenti anche in zone fino a qualche tempo fa sotto controllo". Secondo il nunzio vaticano, "la comunità internazionale deve aiutare la Siria a non cadere nel baratro e cercare di parlare a una sola voce. Da solo il Paese non è in grado di liberarsi di questa tragedia. Senza la collaborazione di tutti, i bellissimi piani di Annan sono carta straccia". Il prelato sottolinea che sempre più persone innocenti sono vittime di questa tragedia, soprattutto bambini. "Le uccisioni di questi piccoli indifesi - conclude - feriscono non solo il popolo siriano, ma tutta l'umanità". (R.P.)

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    Siria: mons. Nassar denuncia la piaga dei rapimenti

    ◊   “La regola del silenzio contro la violenza cieca di questo tempo. Le nostre voci sono soffocate, da una parte, da un lungo e pesante calvario e, dall’altra, da una complessità che blocca ogni soluzione diplomatica”. È quanto afferma mons. Samir Nassar, arcivescovo maronita di Damasco che, in una nota pervenuta all'agenzia Sir, commenta la situazione in Siria. L’arcivescovo parla di una nazione che “sta sprofondando nella sofferenza e nella violenza gratuita senza vedere vie di uscita”. “Uscire in strada - aggiunge - significa incontrare rifugiati arrabbiati che cercano una dimora e assistenza. La mancanza di strutture di carità, l’embargo e le limitate risorse disponibili alimentano l’ansia”. Una situazione resa ancor più drammatica dalle “divisioni politiche, dalla disoccupazione, dall’insicurezza che favoriscono l’ondata terribile di rapimenti a scopo di estorsione che gettano nel panico le famiglie costrette a pagare un riscatto chiedendo aiuto a parenti, amici e parrocchie”. La piaga dei rapimenti, denuncia mons. Nassar, “terrorizza la vita sociale ed ecclesiale; la pratica religiosa già indebolita si abbassa ancora di più, i bambini non frequentano più il catechismo e le attività pastorali. Le famiglie terrorizzate non pensano che ad emigrare, cosa impossibile vista la chiusura dei consolati e il divieto ufficiale, di lasciarle passare ai valichi di frontiera. Una situazione deprimente”. (R.P.)

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    Appello dei Francescani: “Dialogo, non armi per la Siria”

    ◊   “La Siria ha bisogno di dialogo, non di armi”: è l’appello lanciato dai francescani in Siria, tramite padre Romualdo Fernandez, direttore del Centro ecumenico di Tabbaleh (Damasco) e rettore del santuario dedicato alla Conversione di San Paolo, nella capitale siriana. In un colloquio con l’agenzia Fides, padre Fernandez rimarca che “la strada maestra per uscire dalla crisi è quella del dialogo fra le parti. Chiediamo a tutti di accettare di sedersi attorno a un tavolo e di avviare un confronto, che possa evitare violenze, morti, stragi e massacri, che da troppo tempo insanguinano il Paese”. Sull’ultimo massacro nell’area di Hama, afferma che “è una tragedia, le notizie sono confuse, la verità è la prima vittima”. Secondo il frate, “se le potenze straniere continuano a fornire armi e a finanziare le parti in lotta, la guerra continuerà e le vittime aumenteranno. Questa non è la via della pace: la via della pace passa attraverso il dialogo”. Come cristiani, nota padre Ferenandez, “siamo aperti a tutti i nostri fratelli, di ogni religione”; come francescani, ripete, “siamo a fianco della popolazione che soffre, dei cristiani e dei musulmani, e non lasceremo mai questo Paese. Resteremo in Siria, a servizio del Vangelo. C’eravamo ieri, ci siamo oggi e ci saremo domani, in tempi di pace e in tempo di guerra, in tempi bui e in tempi luminosi. Nella certezza che il Signore ci vuole qui e che provvederà a noi”. (R.P.)

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    Vietnam: migliaia di cattolici nell'incontro con mons. Girelli a Tan An

    ◊   Un incontro con più di tremila sacerdoti e fedeli cattolici di Tan An, nel Delta del Mekong, ha segnato la nuova visita che mons. Leopoldo Girelli, rappresentante non residente della Santa Sede, sta compiendo in Vietnam. La stampa governativa - riporta l'agenzia AsiaNews - riferisce che mons. Girelli ha detto di essere molto felice di poter visitare la provincia di Long An ove risiedono oltre 36mila cattolici e che è una delle zone industrializzate del Paese. In una regione che ha necessità di compiere maggiori sforzi per assicurare un equo sviluppo economico, il nunzio ha raccomandato di avere fiducia in Dio, di essere solidali gli uni con gli altri per costruire un mondo migliore e pacifico. In questa visita, mons. Girelli ha potuto recarsi anche nella diocesi di My Tho, nella provincia di Tien Giang (anch'essa nel sud) e ha in programma di andare in altre della medesima zona, a partire da Dong Thap. (R.P.)

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    Riforma sanitaria Usa: presentata proposta di legge per proteggere la libertà religiosa

    ◊   Una legge per esonerare le organizzazioni e le istituzioni religiose dalle sanzioni e penalizzazioni fiscali previste per i datori di lavoro che, per motivi religiosi e morali, non ottemperano all’obbligo di fornire farmaci abortivi e contraccettivi ai propri dipendenti. A proporla – riporta l’agenzia Cns - è il senatore repubblicano Jim Sensenbrenner dopo il via libera dato lo scorso 28 giugno dalla Corte Suprema alla riforma sanitaria varata dall’Amministrazione Obama. Come è noto, il punto chiave della riforma, è il cosiddetto individual mandate, ovvero l’obbligo per tutti i cittadini di essere coperti da un’assicurazione sanitaria entro il 2014, pena il pagamento di una sanzione. Un punto ritenuto legittimo dai giudici supremi e in linea di principio condiviso anche dall’episcopato, che tuttavia contesta, tra l’altro, l’estensione della copertura sanitaria obbligatoria anche alle pratiche abortive e contraccettive, in quanto lesiva della libertà religiosa e di coscienza. Per i vescovi, infatti, il maggiore rischio è che le assicurazioni sanitarie (soprattutto a seguito delle direttive del Dipartimento per la Salute e i Servizi Umani – Hhs) diventino un veicolo per diffondere queste pratiche, costringendo i datori di lavoro delle istituzioni e organizzazioni religiose, quali ospedali, cliniche, università, scuole, agenzie caritative, a violare i principi morali e religiosi o a cessare le attività. E proprio questo è l’argomento di Sensenbrenner e dei 57 sostenitori del “Religious Freedom Tax Repeal Act”: secondo il senatore del Wisconsin, infatti, le sanzioni previste sono insostenibili e la riforma avrà quindi come effetto quello di espellere le comunità religiose dal settore educativo, sanitario e assistenziale. Sulla nuova proposta la Conferenza episcopale (Usccb) non si è ancora pronunciata ufficialmente, ma la “Catholic Association”, una nuova associazione di laici impegnati a fare sentire la voce dei cattolici nell’arena pubblica, e l’organizzazione interreligiosa “Conference Cause”, hanno espresso interesse per l’iniziativa. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Onu: al Trattato sulle armi l'esperienza liberiana per un futuro diverso

    ◊   “L’esperienza della Liberia, dell’Africa e di altri Paesi nel mondo dimostra che senza un Trattato forte, le violenze armate e le guerre continueranno ad essere alimentate da irresponsabili trasferimenti di armi”: così la presidente liberiana Ellen Johnson Sirleaf ha sottolineato ieri l’importanza della Conferenza dell’Onu in corso a New York per l’elaborazione di un Trattato sul commercio delle armi convenzionali. Ricordando la tragedia delle guerra civile liberiana - riferisce l'agenzia Misna - che tra il 1989 e il 2003 ha devastato il Paese africano lasciando ferite difficili da rimarginare e un bilancio di circa 250.000 vittime, Sirleaf ha chiesto un Trattato forte “che possa cambiare in meglio il mondo”. Le parole della presidente liberiana giungono mentre i negoziati di New York procedono secondo alcuni osservatori con fatica. Uno dei punti critici riguarda l’inclusione o meno nel Trattato di armi leggere e munizioni. Ma, come spesso avvenuto in passato e come dimostra la grande circolazione di armi registrata in Africa occidentale, le armi leggere sono la vera arma di distruzione di massa dei Paesi poveri di questo continente e contribuiscono a mantenere instabili intere regioni per decenni. Sirleaf, che è anche stata insignita del premio Nobel per la Pace, ha evidenziato gli effetti negativi delle armi anche sul piano economico e si è auspicata che nel Trattato siano incluse armi leggere e munizioni. I lavori della Conferenza dell’Onu per il Trattato sul commercio di armamenti sono cominciati il 2 luglio. Fino al 27 luglio i rappresentanti di 193 Stati negozieranno quello che è considerato dalla società civile internazionale un atto fondamentale per controllare il commercio di armi con regole chiare e condivise. (R.P.)

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    Colombia. I vescovi: "Evangelizzare in mezzo al conflitto per dare speranza"

    ◊   Si conclude oggi la 93.ma Assemblea plenaria dei vescovi della Colombia. Secondo le informazioni raccolte dall’agenzia Fides, tra i problemi che i vescovi hanno affrontato c'è la situazione di tensione e paura a causa della violenza, registrata in diverse zone, come il vicariato apostolico di Tierradentro. Lo stesso vicario apostolico, mons. Edgar Hernando Tirado Mazo, è intervenuto durante l’Assemblea per informare che la Chiesa sta lavorando per cambiare questa situazione. Attraverso le Commissioni parrocchiali di Pastorale sociale (Coppas), si cerca di arrivare ai fedeli in modo di creare una coscienza sociale, al fine di lavorare per uno sviluppo degno e così, lavorare anche per la pace e per la giustizia. "L'evangelizzazione non si ferma ad elementi teorici ma passa immediatamente ad azioni concrete, e cerca sempre il dialogo permanente con tutti" ha detto il vicario apostolico. Per il vescovo di Santa Marta, mons. Ugo Puccini Banfi, i problemi più urgenti sono la prostituzione e la droga. "Perfino gruppi di turisti stranieri arrivano nelle nostre località, come Taganga, soltanto per cercare droga e prostituzione" ha riferito il vescovo. "La povera gente del nostro popolo, dinanzi alla ricchezza del turista, perde la dignità e cede. Abbiamo davanti una grande sfida, dobbiamo riproporre la pastorale del mare, con i pescatori, e la pastorale del turismo". L’appello dei vescovi all’apertura dell’Assemblea, era stato quello di far cessare il conflitto armato nel Paese e concludere le trattative di pace con la guerriglia. Questo è diventato il tema principale della situazione della diocesi di Buenaventura, condivisa con altre diocesi. La presenza di gruppi armati illegali, il traffico indiscriminato di droga, le continue minacce di morte e lo sfruttamento minerario incontrollato, non hanno comunque trattenuto il vescovo di Buenaventura, mons. Héctor Epalza Quintero, dal portare il messaggio evangelico di speranza agli abitanti di questa regione della Colombia. “Viviamo una realtà difficile che coinvolge diversi attori, tutti al di fuori della legge, che si contendono il territorio a Buenaventura, nella Valle del Cauca, dove c'è una realtà sociale e politica molto complessa" ha detto il vescovo. La diocesi di Buenaventura, attraverso la Commissione diocesana "Vita, Giustizia, Solidarietà e Pace", è stata la prima a denunciare gli abusi contro la vita, come quando ha dato notizia dell'assassinio di quattordici donne nei centri abitati e di altri 60 omicidi avvenuti nelle miniere d'oro a cielo aperto, a Zaragoza, nella zona rurale. “Dobbiamo evangelizzare in mezzo al conflitto, riempire di speranza, di fede e di amore questo popolo che continua a credere. Ci impegniamo a vivere in missione permanente attraverso la Missione continentale della Nuova Evangelizzazione" ha concluso mons. Epalza. (R.P.)

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    Unicef: nel Sahel il colera fa le prime vittime tra i bambini malnutriti

    ◊   Mentre è iniziata la stagione delle piogge nel Sahel, una recente recrudescenza di colera che ha ucciso oltre 60 persone e indebolito circa 2.800, sta mettendo a rischio sempre più persone, in particolare i bambini malnutriti. E’ il monito lanciato a Ginevra dall’Unicef. Secondo il ministero della Sanità del Mali - riferisce l'agenzia Sir - la scorsa settimana un focolaio nel nord del Paese ha ucciso due bambini e contagiato 34 persone, tra molti piccoli. Nel 2012 il colera ha già ucciso quasi 700 persone in Africa occidentale e centrale e sono stati segnalati più di 29 mila casi. In Niger vivono circa 400mila bambini bisognosi di trattamento salvavita per grave malnutrizione. Essa, “insieme alla fuga forzata e alle piogge fa della regione - spiega Manuel Fontaine, direttore regionale Unicef per l‘Africa occidentale e centrale - costituisce il terreno ideale per il colera, che colpisce più duramente i bambini più piccoli”. L’impatto è “devastante”, perciò “non si può curare la malnutrizione e ignorare il colera”. Per una “strategia integrata” contro l’infezione, spiega, occorre “formare gli operatori sanitari in materia di igiene, sensibilizzare le persone su come trattare l‘acqua potabile con compresse di cloro”, fornire “servizi igienico-sanitari adeguati alle scuole, ripristinare punti d‘acqua e distribuire kit per le malattie diarroiche e soluzioni orali per la reidratazione”. (R.P.)

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    Msf: in Mali curati in due mesi circa 800 bambini affetti da malnutrizione

    ◊   L’organizzazione Medici Senza Frontiere (Msf) ha messo in evidenza, attraverso il proprio sito, la situazione dei soccorsi che sta svolgendo in Mali, nella zona di Timbuctu, dove da aprile si susseguono scontri e saccheggi da parte di Tuareg e gruppi armati islamici. In due mesi, l’organizzazione ha effettuato più di 1.500 visite, 6.300 consulti medici, ha ammesso oltre 300 pazienti all’ospedale e curato almeno 800 bambini malnutriti. “Garantire cure mediche in questa zona instabile è una sfida, ma anche una necessità”, sottolinea Mego Terzian, responsabile dell’emergenza per Msf. “L’instabilità impedisce l’accesso delle organizzazioni umanitarie e il nord del Mali resta inaccessibile per gli occidentali – continua – tuttavia, manteniamo la nostra presenza”. Sono solo cinque gli operatori umanitari internazionali di Msf che, insieme al personale locale, forniscono assistenza medica nei reparti di pediatria, medicina generale, ginecologia e chirurgia. Così come i due terzi della popolazione, anche una parte del personale medico dell’ospedale è fuggita. Uno dei problemi maggiori, ricorda Terzian, è la saltuaria mancanza di carburante che blocca la fornitura d’acqua e di elettricità e di conseguenza anche il funzionamento dell’ospedale, oltre alla carenza di medicinali nella struttura. (A.C.)

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    Forum economico delle donne africane sul loro accesso nel campo finanziario

    ◊   Si sta svolgendo a Lagos il secondo Forum economico delle donne africane sul tema “Finzanziare il futuro con le donne africane”, promosso dall’organizzazione New Faces New Voices (Nfnv) insieme alla Banca di Sviluppo Africana. Alla conferenza – riferisce l’agenzia Misna – partecipano rappresentanti governativi, ricercatori, operatori economici e finanziari ed esponenti della società civile, con l’obiettivo di delineare strumenti per facilitare l’accesso da parte delle donne ai finanziamenti per le imprese, rafforzare le loro competenze in materia bancaria e di bilancio e aumentare il numero di donne che ricoprono ruoli dirigenziali nel campo della finanza. Gli organizzatori sottolineano che “in Africa le donne sono delle risorse umane ancora poco sfruttate. Investire sulle donne – proseguono – consentirebbe di accelerare la crescita economica del continente”. Le donne africane, infatti, faticano ad accedere ai finanziamenti per sviluppare le proprie attività, nonostante il loro ruolo sia fondamentale soprattutto in alcuni settori come quello agricolo, dove attraverso il loro lavoro producono oltre il 50% del cibo consumato nel continente. Per queste lavoratrici, tuttavia, ieri è arrivata una buona notizia: è stato sbloccato dalla Comunità economica dei paesi dell’Africa occidentale (Cedeao/Ecowas) e dal Nuovo partenariato per lo sviluppo dell’Africa (Nepad) un milione di euro, versato dalla Spagna, destinato a creare un fondo di garanzia proprio per le donne imprenditrici del settore agricolo. Il progetto comincerà dalla Sierra Leone e dal Burkina Faso e durerà due anni. (A.C.)

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    Angola: nuova inaugurazione della cattedrale di Lwena

    ◊   Il nunzio apostolico di São Tomé e Príncipe, mons. Novatus Rugambwa, ha presieduto domenica scorsa, insieme ad alcuni vescovi angolani, la celebrazione della re-inaugurazione della cattedrale della diocesi di Lwena, in provincia di Moxico. Alla celebrazione, durata diverse ore e profondamente vissuta dai numerosi fedeli, hanno partecipato anche le autorità governative. L’inaugurazione della cattedrale, seguita ai lavori di ricostruzione e restauro, è un segno di rinascita e di pace. Durante i 34 anni della guerra in Angola (dal 1968, inizio della lotta armata per l'indipendenza, fino al 2002, firma della pace) il deterioramento delle strutture ad ogni livello - della popolazione e della Chiesa - è stato incalcolabile. Secondo le informazioni diffuse dall’agenzia Ans riprese dalla Fides, la diocesi di Lwena, che si estende su una superficie di 233.000 Km quadrati, ha vissuto sotto il segno della persecuzione e della violenza. Molte comunità cristiane che per anni – alcune anche per decenni – non hanno più avuto o incontrato un sacerdote o un missionario si sono mantenute vive, nel totale isolamento imposto dalla situazione della guerra, grazie al coraggio e alla decisa testimonianza di tantissimi catechisti laici, in alcuni casi giunta fino al martirio. Con il sopraggiungere della pace, nel 2002, la Chiesa locale ha iniziato un percorso di ricostruzione del tessuto sociale ed ecclesiale. Mons. Tirso Blanco, vescovo di Lwena dal marzo 2008, ha promosso la realizzazione di un seminario propedeutico diocesano, la graduale riattivazione di antiche chiese e missioni (frutto principale del lungo lavoro missionario dei benedettini portoghesi in epoca coloniale), il ritorno o l’arrivo di molte congregazioni religiose nel territorio della diocesi. A Lwena è presente dal 1982 anche una comunità salesiana in cui operano quattro salesiani che seguono la parrocchia, alcune comunità cristiane sparse nel territorio rurale, l’oratorio-centro giovanile, una scuola elementare e media, centri di alfabetizzazione e di formazione professionale. (R.P.)

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    Sri Lanka: l'Alto commissario britannico in aiuto di 200 profughi tamil cattolici

    ◊   È una condizione "amara e dolorosa" quella dei profughi di Mullikulam, cacciati dal proprio villaggio 20 anni fa e oggi relegati in una giungla. Così John Rankin, Alto commissario britannico in Sri Lanka, ha definito la situazione in cui vivono oltre 200 tamil. Ieri - riferisce l'agenzia AsiaNews - Rankin ha incontrato di persona queste 148 famiglie cattoliche, e ha promesso loro di "discutere questa pietosa situazione con gli altri ambasciatori e con il governo del Paese". Presenti a questo incontro, anche padre Raajanayagam, altri due sacerdoti, una suora e due funzionari del movimento Nafso (National Fisheries Solidarity). La storia di queste famiglie - tra i tanti sfollati interni prodotti da 30 anni di guerra civile - è drammatica. Costretta ad abbandonare il villaggio di Mullikulam per la prima volta nel 1990, la popolazione non vi ha mai fatto ritorno ed è stata smembrata tra campi profughi. Nel 2012, a conflitto finito già da tre anni, la gente avrebbe dovuto godere dei programmi di reinsediamento del governo per i profughi. In realtà, sono stati mandati nella giungla di Marichchikattu, senza nulla - case, utensili, tende, canne da pesca, ecc. - con cui poter ricominciare una nuova vita. "Il problema - hanno spiegato alcune persone a Rankin - è che noi abbiamo tutti i documenti di proprietà in regola, ma le autorità non ci permettono di tornare a Mullikulam. Lì vivevamo di pesca e di agricoltura: qui non abbiamo nulla, e dipendiamo solo dalla carità degli altri". "Non so - sottolinea ad AsiaNews padre Raajanayagam - per quanto tempo ancora questa gente dovrà vivere in una situazione simile. Per tutti loro ci sono solo due bagni. L'acqua potabile è razionata dalla Marina militare. Per lavarsi, devono andare vicino al lago". Secondo i profughi, il motivo per cui non possono tornare al loro villaggio dipende dalla Marina, che usa le loro case e proprietà. "Cosa abbiamo fatto di male? - si chiedono alcuni -. Un tempo avevamo terreni che ci permettevano di vivere e mantenere le nostre famiglie. Adesso, viviamo sotto gli alberi come mendicanti!". (R.P.)

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    Sud Corea. Svolta del governo: "Necessario fare più figli per non sparire"

    ◊   L’Istituto coreano per la salute e gli affari sociali ha pubblicato un documento, in occasione della Giornata mondiale della popolazione, in cui afferma che se non aumenta il tasso di natalità la Corea rischia di perdere il suo status di potenza internazionale. “Abbiamo bisogno di portare il tasso di natalità almeno all'1,8% entro il prossimo decennio – si legge nel documento – per mantenere la popolazione intorno ai 50 milioni. Soltanto così saremo in grado di mantenere il nostro potere sociale, economico e militare. In caso contrario, siamo costretti a sparire”. Il tasso di natalità nel Paese asiatico è tra i più bassi del mondo – riferisce l’agenzia AsiaNews – e si attesta sull’1,05%. Attraverso questi appelli, il governo coreano dà, di fatto, ragione alla Chiesa cattolica, da anni impegnata in diversi programmi a sostegno della famiglia e della procreazione. Il problema è che “troppe persone evitano il matrimonio e l'idea di fare figli” sottolinea l’Istituto. “Il governo – prosegue – deve mettere in atto un nuovo sistema che fornisca assistenza sanitaria e assicurazioni a coloro che decidono di mettere su famiglia. Serve inoltre un cambiamento della mentalità comune, forse il fattore più preoccupante”. (A.C.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 195

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.org/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.