Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 12/07/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Pace attraverso conversione e dialogo paziente: così il Papa al concerto della West-Estern Divan Orchestra
  • Padre Lombardi: prorogata di alcuni giorni custodia cautelare di Paolo Gabriele
  • Restauro delle catacombe dei SS. Marcellino e Pietro. Il cardinale Ravasi: valorizzare “catacombe ignote”
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Congo: caschi blu pronti a difendere Goma dai ribelli. Don Gavioli: in città serve cibo
  • Israele e le tensioni nello scacchiere mediorientale: l'analisi di Eric Salerno
  • La Bce: rafforzare le banche, mercato del lavoro ancora debole
  • Hillary Clinton nel Sudest asiatico, missione economica e diplomatica
  • Rapporto Fao-Ocse: cala la produzione agricola mondiale, salgono i prezzi
  • Riapre il Duomo di Modena. Mons. Lanfranchi: segno di speranza per l'Emilia
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: l’esercito bombarda i ribelli a Damasco
  • Valanga sul Monte Bianco: 9 morti, si cercano 4 dispersi
  • Nigeria. Cristiani e musulmani lanciano l’allarme sul rischio di una guerra confessionale
  • Appello dei vescovi asiatici: stop al commercio delle armi, è rubare a chi è affamato
  • Cina: 26 catecumeni battezzati in un villaggio nei pressi di Pechino. Catechisti coppia di ottantenni
  • Il patriarca Béshara Raї: i libanesi siano fedeli alla patria e non a potenze straniere
  • Sud Sudan. Domenica, Messa in suffragio di mons. Mazzolari, ad un anno dalla scomparsa
  • Rwanda. La Commissione Giustizia e Pace ribadisce il suo no alla legge sull’aborto
  • Progetto della Caritas Salerno per i bambini di strada del Bangladesh
  • Il cardinale Sarr: l’Africa riscopra la sua ricchezza culturale, no al livellamento della globalizzazione
  • La Caritas non dimentica i terremotati di Haiti: 119 progetti di solidarietà per 16 milioni di euro
  • Nigeria: Rapporto identifica la “mancanza di giustizia” come causa dei conflitti
  • Incontro tra i leader religiosi e le istituzioni Ue: puntare sulla famiglia per uscire dalla crisi
  • Venezuela. Il governo chiede il sostegno della Chiesa per superare la crisi nel Paese
  • Roma: incontro di preghiera per la pace in Africa promosso da Religions for Peace
  • Ue: 33 milioni gli stranieri nei confini comunitari, di cui 20,5 provenienti da Paesi extraeuropei
  • Mons. Padilla: inquietudine per l’avvenire della Chiesa in Mongolia
  • Tragedia del mare al largo delle coste italiane. Il Jrs: serve sistema europeo di sorveglianza
  • Voci e suoni per la legalità: il 21 luglio magistrati e giornalisti a confronto
  • Quattro Università slovacche organizzano Conferenza internazionale sui Salmi
  • Il Papa e la Santa Sede



    Pace attraverso conversione e dialogo paziente: così il Papa al concerto della West-Estern Divan Orchestra

    ◊   “Per giungere alla pace bisogna impegnarsi, lasciando da parte la violenza e le armi, impegnarsi con la conversione personale e comunitaria, con il dialogo, con la paziente ricerca delle intese possibili”. E’ il messaggio che Benedetto XVI ha espresso ieri sera al termine del concerto offerto dalla West-Estern Divan Orchestra, diretta dal maestro Daniel Barenboim. L’orchestra, composta da musicisti ebrei, cristiani e musulmani, ha eseguito la Sinfonia n. 6, Pastorale, e la Sinfonia n.5 di Ludwig van Beethoven nella suggestiva cornice del cortile del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo. Presenti anche il capo di Stato italiano Giorgio Napolitano con la consorte, ospiti, poi, del Papa per la cena, e il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone. Il servizio di Debora Donnini:

    Le note della Quinta Sinfonia irrompono nella sera di Castel Gandolfo creando un’atmosfera intensa nel giorno della festa di San Benedetto. Il Papa è “lieto” di accogliere quest’orchestra, fondata 13 anni fa dal maestro Daniel Barenboim e dal compianto Edward Said, e nata dall’esperienza che “la musica unisce le persone, al di là di ogni divisione”. La musica, infatti, è “armonia delle differenze”: una sin-fonia, dice il Papa, può uscire “dalla molteplicità dei timbri dei diversi strumenti”, non “magicamente” ma grazie soltanto all’impegno “faticoso” di ogni musicista. Un impegno che richiede sacrifici “nello sforzo di ascoltarsi a vicenda, evitando eccessivi protagonismi e privilegiando la migliore riuscita dell’insieme”. Partendo da questi pensieri, la mente di Benedetto XVI va a un'altra sinfonia, “la grande sinfonia della pace tra i popoli, che non è mai del tutto compiuta”. Va ad una generazione, come la sua e quella dei genitori dello stesso maestro Barenboim, che ha vissuto “le tragedie della Seconda guerra mondiale e della Shoa”:

    “Ed è molto significativo che lei, maestro, dopo aver raggiunto i traguardi più alti per un musicista, abbia voluto dar vita ad un progetto come quello della West-Eastern Divan Orchestra: un gruppo in cui suonano insieme musicisti israeliani, palestinesi e di altri Paesi arabi; persone di religione ebraica, musulmana e cristiana”.

    I numerosi riconoscimenti ottenuti dall’Orchestra ne dimostrano, rileva ancora il Papa, non solo l’eccellenza professionale ma anche “l’impegno etico e spirituale”. Ma un altro significato interessante Benedetto XVI lo rintraccia nell’accostamento delle Sinfonie eseguite, la Quinta e la Sesta di Beethoven, che, dice, “esprimono due aspetti della vita: il dramma e la pace, la lotta dell’uomo contro il destino avverso e l’immersione rasserenante nel’ambiente bucolico”:

    “Il messaggio che vorrei trarne oggi è questo: per giungere alla pace bisogna impegnarsi, lasciando da parte la violenza e le armi, impegnarsi con la conversione personale e comunitaria, con il dialogo, con la paziente ricerca delle intese possibili”.

    Beethoven lavorò a queste due opere, in particolare al loro completamento, quasi contemporaneamente, ricorda il Pontefice. Tant’è vero che vennero eseguite per la prima volta insieme, nel concerto del 22 dicembre del 1808 a Vienna, così come avvenuto questa sera, sottolinea ancora il Papa augurando a tutta la West-Estern Divan Orchestra “di continuare a seminare nel mondo la speranza della pace attraverso il linguaggio universale della musica”.

    Un concetto che ritorna nelle parole del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che ha introdotto il concerto. A unire questi “giovani orchestrali”, ebrei, cristiani e musulmani, ha detto, “non c’è solo la fede nell’unico Dio” ma anche la musica , “lingua universale dell’umanità”. E la musica, ha aggiunto, ricorda che “nonostante tutto, c’è ancora giustizia, amore e pace nel mondo”.

    Poco prima dell’inizio del concerto, nel Giardino del Moro, il Papa ha accolto il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano con la consorte, che si sono intrattenuti con lui per un breve colloquio e hanno assistito al concerto. Quindi, sono stati ospiti del Pontefice per la cena.

    inizio pagina

    Padre Lombardi: prorogata di alcuni giorni custodia cautelare di Paolo Gabriele

    ◊   Il caso dei documenti vaticani trafugati è stato al centro stamani del breafing con i giornalisti tenuto del direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi. Scadono infatti oggi i termini di custodia cautelare di Paolo Gabriele, ex assistente di camera di Benedetto XVI, accusato di furto aggravato di carte private del Papa. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Benedetto XVI incontrerà la prossima settimana a Castel Gandolfo – ha subito anticipato padre Lombardi – la Commissione cardinalizia presieduta dal cardinale Julian Herranz incaricata di svolgere indagini sul caso Vatileaks:

    "La Commissione cardinalizia presieduta dal cardinale Herranz, prevede di concludere il suo lavoro di audizioni e preparazione e di presentazione di un suo primo rapporto in questa settimana e si può prevedere che la Commissione incontri il Santo Padre nella settimana prossima".

    Sarà quindi Benedetto XVI a trarre le sue conclusioni sul rapporto della Commissione.

    Per quanto riguarda invece lo stato del procedimento del Tribunale vaticano, il giudice istruttore deve raccogliere altre testimonianze ed entro 10 giorni sarà conclusa la fase istruttoria, che porterà al rinvio a giudizio o al proscioglimento dell’imputato Paolo Gabriele, i cui termini di custodia cautelare in scadenza oggi saranno quindi prorogati:

    "Il giudice istruttore mi dice che devono ancora raccogliere delle testimonianze e quindi, anche nei prossimi giorni, saranno ancora in questa fase. Gli interrogatori formali con Paolo Gabriele saranno l’ultimo atto di questa fase istruttoria e si prevede che, entro una decina di giorni da oggi, questo avvenga".

    Il giudice istruttore presenterà la sua sentenza – ha aggiunto padre Lombardi – con ogni probabilità ai primi di agosto e, se vi sarà un processo, questo partirà da ottobre in poi.

    Paolo Gabriele è in buone condizioni di salute fisica e psichica, ha rassicurato padre Lombardi, parlando di informazioni ricevute dal legale Carlo Fusco: è sereno e trova conforto nella preghiera. Gabriele è l’unico indagato, seppure altre persone sono state interrogate dal giudice istruttore: lo ha confermato il portavoce vaticano, ribadendo che non vi sono state rogatorie internazionali con l’Italia.

    Si è parlato nel breafing anche dell’incontro di ieri a Castel Gandolfo tra il Papa e il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, svoltosi in un “clima sereno” a dimostrare “sintonia ed amicizia” tra le due personalità. Benedetto XVI profitterà del suo periodo di riposo per scrivere la terza parte del suo libro “Gesù di Nazareth”, dedicata ai Vangeli dell’infanzia.

    Una domanda particolare è stata infine posta sulla Chiesa in Cina, in riferimento alla recente ordinazione del rev. Taddeo Ma Daqin a vescovo ausiliare della diocesi di Shanghai. Dispiace – ha detto padre Lombardi – che un’ordinazione legittima, voluta dal Papa ed accettata dalle autorità cinesi, abbia poi causato una situazione anomala, per cui il presule si trova costretto nel Seminario e non ci sono contatti diretti con lui. “Dopo la gioia e la soddisfazione, il dispiacere per una situazione non positiva”.

    inizio pagina

    Restauro delle catacombe dei SS. Marcellino e Pietro. Il cardinale Ravasi: valorizzare “catacombe ignote”

    ◊   Si trovano sulla via Casilina a Roma, presso una zona chiamata "ad duas lauros", le catacombe dei Santi Marcellino e Pietro, che finora hanno vissuto solo brevi momenti di aperture straordinarie. A sostenere i costi del restauro che renderà accessibile il sito, è la Fondazione “Heydar Alieyev”, presieduta dalla first lady della Repubblica di Azerbaijan, Mehriban Aliyeva, che recentemente ha firmato un Protocollo assieme al cardinale Gianfranco Ravasi, nella sua veste di presidente della Pontificia Accademia di Archeologia sacra. Nel luogo dove si trovano le catacombe, l'imperatore Costantino fece tra l'altro erigere il Mausoleo dedicato a sua madre, Sant’Elena. Sull’importanza del restauro di queste catacombe, che si estendono per ben 18 mila metri quadri e sono costellate di affreschi del III e IV secolo, Debora Donnini ha intervistato il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura:

    R. – Sta appunto per aprirsi un programma di analisi di queste catacombe: già in passato, sono state condotte delle ricerche, sono stati scoperti molti scheletri e questo vuol dire che si trattava veramente di una necropoli di grande rilievo. Ora, noi abbiamo intenzione di procedere, attraverso il contributo che ci è stato offerto da una Fondazione dell’Azerbaijan, nell’identificazione delle aree che devono essere restaurate e poi, soprattutto, favorire la possibilità dell’accesso: l’accesso non è semplice, avendo sopra degli edifici che sono anche recenti, ma soprattutto avendo sopra il grande Mausoleo di Elena.

    D. – Gli affreschi sono del III e del IV secolo. Fra questi si ritrovano figure oranti, pastori con pecorelle, ma anche scene dell’Antico Testamento, per esempio Giona. Cosa ci dicono sui primi cristiani a Roma?

    R. – L’elemento più significativo è rappresentato, però, non solo dalle scene dell’Antico Testamento rilette in chiave cristiana - Giona, per esempio, con il grosso pesce simbolo della sepoltura e Risurrezione di Cristo - ma è molto più suggestivo riuscire a identificare il trapasso tra la cultura classica e la cultura cristiana. Si usano, infatti, delle immagini che erano proprie del mondo greco-romano e si applicano a Cristo. E’ folgorante, per esempio, un bellissimo affresco in cui è rappresentato Orfeo con la cetra, il quale attira a sé le anime. Tutto questo viene riletto, però, ormai, in chiave cristiana e quindi il nuovo Orfeo che attira a sé le anime diventa Cristo. Per questo motivo, credo sia anche un luogo molto suggestivo per sottolineare il dialogo interreligioso, interculturale, che già nel III e nel IV secolo era in corso. Per cui, non è avvenuto solo il rigetto della grande tradizione pagana, ma anche la sua assunzione, come farà poi la grande tradizione patristica: pensiamo a Sant’Agostino, che senza Platone e Plotino non sarebbe per molti aspetti comprensibile.

    D. – Per il restauro è stato siglato un Protocollo tra la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra e la Fondazione Alieyev della Repubblica di Azerbaijan. Quindi, per la prima volta nella storia recente, un organismo musulmano contribuisce al restauro di un monumento cristiano…

    R. – E’ molto curioso questo legame e tra l’altro con le catacombe c’era un legame curioso in passato, perché durante il periodo dell’ultima guerra, per esempio, erano diventate rifugio dei partigiani e, successivamente, i ragazzini del quartiere di Torpignattara entravano a giocare all’interno di queste catacombe: quindi catacombe con uno spazio quasi “laico”. Ora, abbiamo un intervento di una fondazione culturale - prima di tutto e quindi non strettamente religiosa - di un Paese musulmano, sciita, che agli occhi nostri sembrerebbe essere quasi l’Islam più remoto rispetto al dialogo: invece io ho trovato, in seguito a una visita ufficiale che ho fatto in quello Stato, questa grande disponibilità a voler testimoniare l’incontro tra le culture anche attraverso i segni religiosi.

    D. – Si punta ad aprire almeno una parte di queste catacombe nel 2013, anno in cui ricorre l’anniversario dei 1.700 anni dell’Editto di Costantino. Questo sarà possibile?

    R. – Prima di tutto, questo intervento della Fondazione Alieyev fa parte di un progetto più generale, che noi stiamo considerando, di valorizzazione delle “catacombe ignote”. Il secondo aspetto è che le “catacombe ignote” alcune volte sono di una bellezza straordinaria rispetto alle catacombe note, che pure sono di grande fascino. Io vorrei soltanto ricordare questa catacomba, quando verrà aperta al pubblico almeno in una parte il prossimo anno, e anche – ad esempio – la catacomba di Via Dino Compagni, che è stupenda, ma che è quasi non visitabile per il pubblico, perché purtroppo negli anni Sessanta è stato costruito sopra un palazzo e quindi si deve accedere per una via quasi simile ad un tombino. Terzo, nell’interno di questa catacomba dei Santi Marcellino e Pietro vogliamo inserire idealmente la nostra memoria di Costantino - e cioè la celebrazione che si farà soprattutto a Roma, ma che si farà in particolare a Milano e naturalmente anche nell’area della vicina ex Jugoslavia - un ricordo particolare di Costantino proprio nell’interno di questo luogo, che egli aveva scelto come tomba di sua madre. Le catacombe cristiane di Roma, che sono una novantina, dovrebbero nell’Anno della Fede diventare ancora di più luogo di celebrazione, ma anche di visita, perché lì abbiamo veramente le radici del cristianesimo di Roma: sono sotto terra e hanno fecondato le grandi basiliche che vi sorgono sopra. Per questo motivo, credo che lo stesso titolo che è stato dato a quel documento con cui Benedetto XVI apriva l’Anno della Fede – “Porta Fidei” – è paradossalmente uno dei grandi simboli, bellissimo per altro, presente in una delle catacombe romane: la catacomba di Via Dino Compagni, che ha appunto questa immagine, ripetuta due volte, di apertura della porta verso l’eterno e l’infinito.

    inizio pagina

    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Una sinfonia di pace: Benedetto XVI al termine del concerto della West-Eastern Divan Orchestra diretta da Daniel Barenboim. In prima pagina, intervista di Mario Ponzi al presidente Giorgio Napolitano.

    Per promuovere il diritto all'educazione: nell'informazione internazionale, intervento della Santa Sede a Ginevra.

    Balzo su Londra: in cultura, in attesa delle Olimpiadi, il campione di spada Paolo Pizzo si racconta in un' intervista di Maurizio Fontana.

    La ballata di Sarkis: Sylvie Barnay sull'installazione commissionata all'artista di origine armena dal museo Boijmans va Beuningen, che utilizza un antico "dock" della città portuale di Rotterdam.

    Come se ascoltassimo una parabola: la prefazione di monsignor Adriano Caprioli, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, al volume "Dalle origini al medioevo" (in libreria insieme al volume "Dal medioevo alla riforma del concilio di Trento").

    Musica al servizio dell'annuncio: il coro del Patriarcato Ortodosso di Mosca nella cattedrale di Santa Maria del Fiore.

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Congo: caschi blu pronti a difendere Goma dai ribelli. Don Gavioli: in città serve cibo

    ◊   Tensione nella Repubblica Democratica del Congo. Di fronte al pericolo di un'ulteriore avanzata verso Goma dei ribelli del gruppo M23, le Nazioni Unite sono pronte a difendere in armi il capoluogo della provincia orientale del Nord Kivu, e stanno dunque dispiegando nuovamente intorno alla città i caschi blu della Monuc, la loro Missione nel Paese. I ribelli dal canto loro smentiscono un loro avanzamento verso la città. Salvatore Sabatino:

    L’Onu da una parte, il gruppo ribelle M23 dall’altra. In mezzo Goma, città verso cui starebbero marciando i rivoltosi, che però smentiscono e ripiegano sulle montagne, in attesa – e a dirlo è proprio il loro capo – che si possa aprire un dialogo con il governo di Kinshasa. A protezione della città sono già stati schierati i caschi blu, per volere dello stesso Ban Ki-moon che ieri, tra l’altro, ha contattato telefonicamente sia il presidente dell'ex Zaire, Joseph Kabila, sia l'omologo rwandese, Paul Kagame, sollecitando entrambi a "fare tutto il possibile per disinnescare la tensione e porre fine alla crisi". Il Rwanda, che ha sempre smentito, è accusato di alleanza con l'M23: un folto e preparato gruppo di ex militari che hanno disertato, prendendo il nome dal 23 marzo di tre anni fa, quando fu firmato un accordo di pace di fatto mai rispettato. Guidati dal generale rinnegato Bosco Ntaganda, ricercato per crimini di guerra e contro l'umanità dal Tribunale penale internazionale dell'Aja, nelle scorse settimane avevano invaso alcune località nei pressi di Goma, poi liberate dell’intervento delle truppe regolari.

    “La situazione nel Paese è difficile serve un vero sforzo internazionale per la Pace”: così da Goma parla don Piero Gavioli, direttore del Centro giovanile Don Bosco NGangi, raggiunto telefonicamente da Massimiliano Menichetti:

    R. – La situazione a Goma per ora è calma: la guerra si svolge a 70-80 km a nord. Molta gente fugge dall’interno per venire in città. C’è un campo profughi all’entrata di Goma dove tanti trovano rifugio. Molti vengono a chiedere aiuti anche nel nostro Centro.

    D. – Quanti sono i profughi e da dove vengono queste persone?

    R. – Il gruppo più numeroso è quello composto da persone fuggite, a metà maggio circa, dalla regione del Masisi, quando è cominciata la ribellione. Poi, i conflitti si sono spostati più a Nord, al confine con l’Uganda. Adesso qui ci sono almeno 15-20 mila persone e nessuna struttura, né governativa né appartenente ad ong, che se ne possa occupare in maniera risoluta. Anche il Programma alimentare mondiale ha finito le scorte.

    D. – La popolazione come vive questa situazione e voi cosa state facendo?

    R. – Noi abbiamo in carico i bambini malnutriti. C’è molto scoraggiamento tra la gente e paura, perché dicono che il governo non fa molto per risolvere la questione. Forse ha attivato vie diplomatiche, però manca il soccorso concreto, non ci sono ancora iniziative visibili. Anche le truppe della Monuc, che dovrebbero frammettersi fra i belligeranti, ci sembrano più osservatori che soldati che intervengono per favorire la pace. C’è molta sfiducia, c’è molto scoraggiamento.

    D. – A Rutshuru, alcune fonti hanno parlato di campi degli sfollati bruciati...

    R. – A Rutshuru non c’erano campi di sfollati, ci sono quartieri: in base alle notizie di cui a sono a conoscenza, queste strutture non sono state toccate. La gente è partita verso l’interno, verso la foresta perché ha avuto paura. Ma ora sta rientrando anche sollecitata dai ribelli dell’M23, che secondo le testimonianze che ho raccolto da alcuni sacerdoti, stanno invitando le persone a riprendere le abitudini di sempre e a rientrare nelle case, senza alcuna minaccia.

    D. – Ma cosa vogliono i ribelli?

    R. – Questo è uno dei segreti che nessuno conosce. Non si capisce bene quale sia l’intesa che hanno con il Rwanda e anche i rapporti con lo Stato congolese, perché ricordiamo che sono ammutinati dell’esercito congolese. Cosa vogliono? Che si rispettino gli accordi di pace presi il 23 marzo del 2009. Si chiamano M23 proprio per indicare quelle promesse che, sotengono, non sono state mantenute. Poi, ci sono interessi economici come lo sfruttamento delle miniere e tutta la frontiera con l’Uganda che è una sorgente di guadagno…

    D. – Come si stabilizza il Paese?

    R. – Servirebbe un impegno veramente internazionale per la pace non solo nel nostro Paese, ma nei Grandi Laghi. Questa conflittualità è molto legata a quello che capita in Uganda e in Rwanda, in misura minore anche in Burundi e, forse, in parte anche con il Sud Sudan. Quindi serve una volontà forte a livello internazionale per la pace, una nuova conferenza di pace, che generi però impegni effettivi. Abbiamo, infatti, l’impressione che ci siano accordi scritti sulla carta, che rimangono sulla carta.

    D. – Vuole lanciare un appello? Che cosa vi serve al Centro?

    R. – Al Centro abbiamo 72 piccoli orfani, di qualche settimana fino ai due anni, e abbiamo bisogno di latte. Il latte ci costa caro: spendiamo attualmente 2300 dollari al mese. Abbiamo bisogno anche di cibo per i malnutriti, cui distribuiamo farina di granoturco, di soia e di sorgo, e poi il cibo di base, cioè polenta e fagioli.

    D. – Per chi volesse aiutarvi, come può fare?

    R. – La cosa migliore è passare attraverso la ong che ci sostiene, che è il Vis, il Volontariato internazionale per lo sviluppo.

    inizio pagina

    Israele e le tensioni nello scacchiere mediorientale: l'analisi di Eric Salerno

    ◊   Il fronte israelo-palestinese si infiamma, con una serie quotidiana di lanci di razzi da Gaza e – in risposta – di raid aerei dello Stato ebraico. Uno stillicidio di vittime che scava il solco di nuove tensioni, in realtà mai sopite, ma che in questo momento sono messe in ombra dalle violenze siriane e dalla difficile normalizzazione egiziana. Sulla situazione in Israele e nell’intera area, Salvatore Sabatino ha intervistato Eric Salerno, esperto di Medio Oriente del quotidiano Il Messaggero:

    R. – Sul fronte interno israeliano, a livello politico, tutto il dibattito è incentrato sulla questione che riguarda gli ebrei-ortodossi e il servizio militare: se devono farlo, per quanto tempo e come. Questo riguarda anche gli arabi di Israele, che qualcuno vorrebbe reclutare nelle forze armate. Secondo elemento di discussione: se Israele intenda attaccare l’Iran o no. La questione palestinese, invece, praticamente non esiste. In questo momento, non esiste nemmeno per i palestinesi che non stanno facendo niente. Parlano forse di andare all’Assemblea generale dell’Onu, a settembre, per rinnovare la loro richiesta di riconoscimento della Palestina come Stato indipendente.

    D. – Il ministro degli Esteri, Lieberman, poche settimane fa ha detto che la situazione in Egitto è molto complicata e non è un caso forse che Israele abbia annunciato che installerà una batteria di anti-missili sulla frontiera meridionale con l’Egitto. Insomma, una situazione di crescente tensione su quel fronte…

    R. – Ci sono stati alcuni incidenti. L’anno scorso c’è stato un attacco nel Sinai egiziano, contro macchine che transitavano lungo il confine dalla parte israeliana, nei pressi di Eilat - zona turistica sul Mar Rosso - ovviamente, si teme in Israele che possano succedere altri incidenti di questo tipo, anche perché in questo momento guardano al Sinai come un territorio in balia di bande più o meno organizzate: organizzazioni qaidiste, movimenti di beduini che sono trafficanti d’armi e di altre cose. Loro sostengono che le forze armate egiziane - nonostante un rafforzamento della loro presenza nel Sinai, autorizzato da Israele nel quadro di una revisione degli accordi di pace - non sono in grado di controllare la situazione e si teme quindi una escalation di violenza.

    D. – Anche sul fronte siriano, ovviamente, non mancano le preoccupazioni nello Stato ebraico, per lo più con il rischio di contagio che questa guerra può avere sul Libano, che da sempre è un vicino abbastanza pericoloso…

    R. – Credo che ciò che soprattutto preoccupa Israele è che, dopo Assad, in Siria - perché ci sarà prima o poi un dopo Assad, anche se non si tratta di una transizione politica, qualcosa sta pur sempre accadendo - possa venir fuori una spaccatura del Paese, o una riunificazione del Paese sotto forze che possono essere ancora meno disponibili di Assad. Bisogna ricordare che Assad ha sempre mantenuto i patti con Israele: suo padre e lui hanno sempre impedito attacchi lungo il confine comune tra i due Paesi. Il timore di azioni terroristiche sul Golan, o nella zona limitrofa, il timore del Libano, riguardano Israele fino ad un certo punto: Israele guarda al Libano più come una minaccia presentata da Hezbollah, ed Hezbollah semmai è vicino ad Assad e all’Iran. Non è certamente un gruppo - essendo loro sciiti - che potrebbe legare con i qaidisti o con altri elementi siriani, che sono più vicini ai Fratelli musulmani, che non sunniti.

    inizio pagina

    La Bce: rafforzare le banche, mercato del lavoro ancora debole

    ◊   Per la Banca Centrale Europea è essenziale che le banche si rafforzino per far ripartire l’economia. L’Istituto di Francoforte ha pubblicato il suo bollettino mensile, esprimendo preoccupazione per l’elevato debito degli Stati e la disoccupazione. Alessandro Guarasci.

    La Bce rimane guardinga. Vi sono ancora troppe tensioni sul debito sovrano, il settore finanziario non è stato ancora adeguatamente ristrutturato, le banche si devono rafforzare per sostenere famiglie e imprese. E poi, l’istituto di Francoforte sottolinea che ''non si segnalano miglioramenti per il prossimo futuro'' del mercato del lavoro dell'area euro e nel secondo trimestre è previsto un ulteriore calo. Ne consegue che la ripresa risente di troppi fattori negativi. Anche le tasse sulla case, cresciute in Francia e in Italia, è il caso dell’Imu, rischiano di deprimere il settore delle costruzioni. Unica consolazione, il livello dei prezzi che quest’anno dovrebbero scendere, e il prossimo anno dovrebbero raggiungere un tasso al di sotto del 2%. Da Roma interviene il ministro dell’Economia Vincenzo Grilli, convinto che per l’economia italiana non sia utile aumentare l'Iva, ma ci vorranno altri sei miliardi se si vuole evitare ai inasprire l'imposta nella seconda metà del 2013. L'economista Luigi Paganetto:

    R. - L’aumento dell’Iva finisce per ridurre gli spazi di domanda interna e questo è uno degli elementi che possono concorrere alla ripresa.

    D. – Come dice la Bce bisogna davvero ristrutturare il sistema bancario, per far ripartire l’economia in Italia e in Europa?

    R. – Se noi dobbiamo far ripartire l’economia internazionale occorre che il sistema bancario torni a fare il finanziatore dell’economia reale, cioè dello sviluppo industriale e dei servizi. Senza di questo sarà difficile riprendere con la lena che è necessaria.

    inizio pagina

    Hillary Clinton nel Sudest asiatico, missione economica e diplomatica

    ◊   Il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, è in missione nel Sudest asiatico. Ieri, la storica visita a Laos: la prima di un segretario di Stato Usa dal 1975, nel Paese ancora guidato da un partito unico comunista e a 42 anni dai bombardamenti segreti americani. Oggi la Clinton è in Cambogia, dove incontrerà i rappresentanti delle dieci nazioni Asean. Nelle prossime ore, peraltro, è previsto un colloquio con il presidente birmano Thein Sein. Del significato di questa visita nel sud est asiatico, Fausta Speranza ha parlato con il prof. Luciano Bozzo, docente di Relazioni internazionali e studi strategici all’Università di Firenze:

    R. - L’interesse degli Stati Uniti per il Sudest Asiatico, evidentemente, è proporzionale a quella che è l’importanza che quello scacchiere assume nella strategia globale americana, cioè in virtù dell’enorme aumento della potenza cinese, della crescente importanza degli scambi nell’area del Pacifico e dell’aumento evidentemente anche della potenza indiana. Quell’area si incunea tra la Cina e l’India: in particolare, i Paesi dell’area di cui stiamo parlando storicamente sono degli avversari e sono percepiti come tali proprio dalla Cina, perché si trovano ai margini della massa continentale dominata dalla potenza cinese.

    D. - La Clinton ha dichiarato: dopo dieci anni focalizzati in Afghanistan e in Iraq, adesso gli investimenti statunitensi guardano a questa parte del mondo, a livello diplomatico, economico e strategico. Che cosa c'è davvero come obiettivo?

    R. - Si avvicina il turno elettorale, le presidenziali americane. Evidentemente, gli Stati Uniti sono in una posizione delicata - se non critica - per quello che riguarda il Medio Oriente, area di crisi non risolte e di due guerre che si sono trascinate stancamente. Non avendo poi portato l’Iraq e l’Afghanistan ai risultati previsti nei tempi voluti e sperati, è chiaro che il massimo interesse del presidente Obama è concentrare l’attenzione della stessa opinione pubblica americana in un’area nuova, promettente e che evidentemente comporta in questo momento molti minori rischi per gli Stati Uniti e maggiori possibilità di sviluppo positivo.

    D. - Dimenticando un po’ il punto di vista statunitense, andiamo ora con lo sguardo ai Paesi del Sudest Asiatico. C’è la questione del Mar cinese meridionale, tra Filippine, Cina e Vietnam, e forse ci sono anche altre questioni più urgenti. Ne delineiamo qualcuna?

    R. - L’aumento dell’importanza economica e geoeconomica dell’area del Pacifico ha aumentato ed enfatizzato l’importanza dei traffici marittimi: sia per l’esportazione delle produzioni cinesi che per l’importazione in Cina delle materie prime, indispensabili alla crescita ed alla stabilità del Paese. A questo si associa poi il problema del controllo di ciò che esiste nei fondali marini, le risorse naturali - petrolio, gas - ma anche delle stesse risorse ittiche, che non sono irrilevanti per alcuni Paesi dell’area, penso per esempio al Vietnam. Tutto ciò ha scatenato la disputa attorno alle isole Spratly e Paracel, che peraltro si trascina da decenni, ma che in qualche modo è stata esacerbata in questi ultimi anni. Ci sono state anche delle situazioni di forte tensione militare, degli scontri tra unità navali, ed è una disputa che vede contrapporsi la Repubblica Popolare cinese, Taiwan, le Filippine e il Vietnam e ognuno di questi attori ha delle rivendicazioni su quell’area.

    inizio pagina

    Rapporto Fao-Ocse: cala la produzione agricola mondiale, salgono i prezzi

    ◊   Fao ed Ocse lanciano l'allarme: la produzione agricola mondiale sta diminuendo mentre i prezzi continuano a crescere. Invitano dunque ad aumentare la produzione agricola del 60% nei prossimi 40 anni per venire incontro alla crescente domanda di cibo e lottare contro la piaga della fame. Chiedono poi di adottare misure urgenti e concrete per calmierare i prezzi dei prodotti agricoli, fermare il degrado ambientale e il cambiamento del clima: aspetti che incidono sulle capacità produttive, in particolare dei Paesi che più soffrono di carenze alimentari. Sulle risposte al problema della fame nel mondo, Giancarlo La Vella ha intervistato l’economista Riccardo Moro:

    R. – Io non credo che sia solo una questione di produzione, anche se evidentemente la disponibilità di prodotto è chiaramente fondamentale. Uno degli elementi più preoccupanti è che siamo di fronte ad un trend di sistematico aumento dei prezzi, o comunque di prezzi che saranno permanentemente elevati e questo per varie ragioni. In prospettiva, noi abbiamo anche bisogno di interrogarci su come aumentare la produzione, ma oggi abbiamo un problema di distribuzione che è inefficace.

    D. – Secondo lei, com’è possibile ridurre gli sprechi per migliorare la produzione attuale che, secondo molti esperti, sarebbe già di per sé sufficiente a sfamare tutto il mondo?

    R. – Abbiamo bisogno di strumenti istituzionali, come la creazione di mercati in cui i produttori possano trovarsi, incontrare i consumatori e vendere i loro prodotti, uscendo così dalla dipendenza da un oligopolio formato da pochi operatori più grandi, come capita in diversi Paesi del sud del mondo, che sono in grado di andare nelle zone più isolate e raccogliere il prodotto ai prezzi che vogliono loro. Se ci fossero dei mercati più diffusi, i prezzi risponderebbero maggiormente alle esigenze sia dei produttori che dei consumatori.

    D. – Considerando inoltre che molta della produzione viene eliminata proprio per non far abbassare eccessivamente i prezzi…

    R. – Sì, purtroppo sì. O che oppure viene segregata… E’ molto brutto da dire, ma alcune situazioni di carestia e di emergenza alimentare sono situazioni in cui fondamentalmente c’è una inefficacia nella distribuzione: non c’è reale mancanza di prodotto. Questo evidentemente è un fenomeno perverso. Lo si risolve nel momento in cui si pone in essere una forte azione di natura istituzionale nella creazione di mercati, ma anche di formazione – dall’altro lato – nel rafforzamento delle organizzazioni sia dei produttori, sia dei consumatori. Questo è un lavoro prezioso, che non può essere dimenticato, accanto al lavoro di miglioramento della produttività.

    D. - Negli schemi economici attuali, come s’inserisce la preziosa opera contro la fame che stanno portando avanti tante organizzazioni non governative e in particolare la Chiesa cattolica?

    R. – Direi che molte organizzazioni fanno un servizio molto positivo. Quello è un ambito in cui veramente c’è una partecipazione aperta di molte forze, che sono interessate a un irrobustimento dei sistemi, piuttosto che non a una logica di profitto di alcune grandi multinazionali, in grado di fare una fortissima azione di lobby.

    D. – Quindi l’azione umanitaria, che è essenzialmente gratuita, riesce o no a spezzare questi schemi economici?

    R. – Se noi abbiamo una visione di brevissimo periodo, ci verrebbe da dire di “no”. In realtà, se noi guardiamo le cose in una prospettiva più ampia, mi sembra che questo lavorio quotidiano di pressione politica, che nasce dal mondo che si è impegnato nell’ambito delle azioni umanitarie, stia creando una cultura nuova. Non per nulla, ad esempio, oggi si parla di sicurezza alimentare, mentre ieri si parlava solo di emergenza fame. Non per nulla si sta parlando sempre di più di sovranità alimentare, della possibilità cioè di ogni comunità di decidere che cosa produrre, pensando alla sua sicurezza alimentare, ma salvaguardando colture in una logica di sostenibilità della vita umana futura e dell’ambiente con la finalità della salvaguardia della vita umana.

    inizio pagina

    Riapre il Duomo di Modena. Mons. Lanfranchi: segno di speranza per l'Emilia

    ◊   Il Duomo di Modena è stato oggi ufficialmente riaperto al culto, dopo la chiusura precauzionale a seguito delle scosse di terremoto del 20 e del 29 maggio che hanno colpito l’Emilia. Alcune crepe già esistenti e la caduta di qualche pietra a causa delle scosse avevano infatti richiesto una temporanea chiusura per la messa in sicurezza delle volte. Per la popolazione emiliana la riapertura del Duomo è un segno di speranza, come sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco l’arcivescovo di Modena, mons. Antonio Lanfranchi:

    R. – Lo è soprattutto per la città di Modena perché c’è un grande attaccamento al proprio Duomo. I modenesi vengono chiamati anche “Gemignani” proprio dal santo protettore, le cui spoglie sono nella cripta del Duomo e c’è una convergenza naturale proprio verso il centro storico e, in particolare, verso la Cattedrale che è sempre molto frequentata. Quindi averla vista chiusa in questo periodo, praticamente dal terremoto, stringeva un po’ il cuore; vederla riaperta è un segno di speranza, segno anche di recupero della propria storia. Il Duomo di Modena è un monumento insigne per arte per la storia era visitato ogni giorno da numerose scolaresche e anche da visitatori interessati proprio all’arte e quindi anche c’è questa componente importante.

    D. – C’è anche un’altra componente storica. Infatti l’odierna riapertura del Duomo coincide con l’anniversario della dedicazione della Cattedrale presieduta il 12 luglio 1184 da Papa Lucio III…

    R. – E’ stata scelta proprio questa data significativa perché in ogni parrocchia si celebra la dedicazione della propria Chiesa. In questo caso, si tratta della dedicazione della Chiesa madre e, quindi, della Chiesa a cui sono collegate tutte le altre chiese. Per questo il segno di speranza è per la Chiesa madre e, quindi, ha una ricaduta su tutta la diocesi.

    D. – La riapertura al momento è solo parziale. Questo vuol dire che occorrono ancora dei lavori?

    R. – C’è ancora indubbiamente da mettere in sicurezza, per precauzione, qualche particolare della volta. A settembre credo che il Duomo sarà aperto a pieno ritmo.

    D. –In Emilia circa la metà delle chiese sono gravemente danneggiate o inagibili. Come stanno procedendo i lavori per la messa in sicurezza o la ricostruzione degli edifici di culto?

    R. –Si è conclusa un po’ la fase di ricognizione e si procede alle altre fasi, quella della messa in sicurezza e degli interventi da fare. Per la diocesi di Modena tutte le chiese del basso modenese, una cinquantina di chiese, sono state danneggiate, distrutte o gravemente danneggiate. Altre invece hanno avuto danni minori. Si tratta quindi adesso di procedere anche a strati. Penso che qualche chiesa fra qualche mese sia in grado di ospitare le celebrazioni e quindi entro Natale alcune chiese verranno certamente restituite alle proprie comunità. Per altre ci vorrà un po’ più di tempo e per altre purtroppo ci vorranno anni. Penso al Duomo di San Felice o anche al Duomo di Finale Emilia dove i lavori saranno più ingenti e anche più delicati. Comunque, il progetto e anche il desiderio condiviso è quello di arrivare all’inverno dotando tutte le comunità di un luogo di culto che è costituito da quelli che chiamiamo anche le sale della comunità oppure di chiese prefabbricate.

    D. – In Emilia, intanto, è stata registrata nella notte un’ennesima scossa, fortunatamente di lieve intensità. L’emergenza non sembra avere fine. Come la popolazione sta convivendo con questo sciame interminabile?

    R. – Sta superando la paura, molti hanno abbandonato le tende. Sono ritornati nelle proprie abitazioni, dove era possibile, oppure in altri ambienti messi a disposizione da amici o dalla società. Indubbiamente, adesso nelle tende il caldo si fa sentire. Stanno diminuendo proprio anche coloro che sono alloggiati ancora nelle tendopoli. Ieri proprio a Finale Emilia mi ha fatto impressione vedere proprio sugli steccati che ne limitavano ancora la zona un po’ pericolosa gli avvisi: “Riapriamo”. Sono piccoli segni che la vita sta riprendendo nei suoi ritmi normali.

    D. – L’approvazione del decreto legge sugli aiuti alle aree terremotate con l’istituzione di un fondo, in tre anni, di 2,5 miliardi di euro per la ricostruzione è un primo passo proprio per avviare un percorso virtuoso…

    R. – Fondamentale, perché il lavoro è un impegno primario; la ricostruzione dipende molto anche dalla possibilità di lavoro. Sarebbe un grave danno se le imprese non potessero riprendere in breve tempo perché questo significherebbe o traslocare in altri ambienti, magari con l’intenzione che questo ‘trasloco’ sia momentaneo, ma poi sappiamo come può avvenire. C’è il rischio proprio di quella che veniva chiamata una desertificazione, cioè un abbandonare definitivamente questi luoghi. Quindi, tutti gli sforzi che si fanno per mantenere il lavoro in questi luoghi sono segni di vitalità, sono segni di futuro. Devo dire che in molti imprenditori che ho conosciuto c’è proprio la ferma volontà di ripartire e quindi vanno sostenuti.

    inizio pagina

    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: l’esercito bombarda i ribelli a Damasco

    ◊   Ancora alto il livello di violenze in Siria. Sono 5 le vittime di diversi bombardamenti e scontri tra forze governative e ribelli. Per la prima volta – denuncia l’opposizione – l’esercito ha sparato colpi di mortaio su gruppi dell’opposizione a Damasco. Intanto il ministero degli Esteri siriano ha formalmente licenziato l’ambasciatore di Damasco in Iraq che ieri aveva annunciato la sua defezione, esortando l’esercito ad unirsi agli insorti. Intanto sul fronte politico, il presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy ha affermato oggi che “l’opzione militare non è la soluzione” per risolvere la crisi in Siria. Parlando con i leader religiosi di tutta Europa, il leader ha poi sottolineato che l’Ue sta lavorando politicamente e diplomaticamente, ma non militarmente. Infine da ricordare le parole del padre gesuita Paolo Dall’Oglio, fondatore del monastero siro-cattolico di Deir Mar Musa, a nord di Damasco. “In molte zone del Paese siamo in presenza di una guerra civile, di uno scontro per la supremazia della terra tra alawiti e sunniti. In quelle zone - ha sottolineato il missionario - è necessario l'intervento di interposizione dei caschi blu dell'Onu. La Siria - ha concluso padre Dall’Oglio - rischi di trasformarsi in un Ruanda o in una Bosnia”.

    inizio pagina

    Valanga sul Monte Bianco: 9 morti, si cercano 4 dispersi

    ◊   Tragedia sul massiccio del Monte Bianco. Una valanga che si è staccata dalle pendici del Mont Maudit, il Monte Maledetto, nel versante francese, ha causato la morte di almeno nove persone, tra cui due tedeschi, due spagnoli e due svizzeri, oltre a nove feriti. E si sta lottando contro il tempo per salvare i dispersi che sarebbero al momento almeno quattro persone - forse britannici e spagnoli - secondo le prime indiscrezioni che si rincorrono nella valle. A provocare la valanga che ha travolto questa mattina all'alba gli alpinisti sarebbe stato - secondo quanto si è appreso - il crollo di un seracco dalle pendici del Mont Maudit. La massa di ghiaccio si è staccata verso le 4.30 e ha causato la slavina che si è abbattuta sul ripido pendio che porta al Colle. Sul posto stanno operando, assieme alle squadre di soccorso dell'Alta Savoia di Chamonix, anche il soccorso alpino valdostano e il soccorso alpino della guardia di finanza di Entreves con alcune unità cinofile specializzate nella ricerca in valanga. Secondo le autorità francesi, è la ''valanga più letale degli ultimi anni''. Da parte sua, il ministro dell'Interno. Il Mont Maudit, che arriva a 4.465 metri, è uno degli itinerari che conducono al Monte Bianco.

    inizio pagina

    Nigeria. Cristiani e musulmani lanciano l’allarme sul rischio di una guerra confessionale

    ◊   Gli attacchi perpetrati dalla setta islamista Boko Haram rischiano di far esplodere un conflitto confessionale di ampie dimensioni, afferma un rapporto elaborato da una delegazione congiunta cristiano-islamica che ha visitato di recente la Nigeria. I 12 membri della delegazione – riferisce l’Agenzia Fides - erano guidati dal segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese (World Council of Churches, WCC), Olav Fyske Tveit, e dal principe giordano Ghazi bin Muhammad, presidente del Royal Aal al-Bayt Institute for Islamic Thought. “Esiste la possibilità che le tensioni e i conflitti correnti possano essere inghiottiti dalla loro dimensione religiosa, specialmente lungo le linee di tensione religiose geografiche” afferma il rapporto che avverte: indicare nel solo elemento religioso la causa del conflitto rischia di creare “una profezia che si auto-avvera”. Una tipica “linea di tensione religiosa geografica” è la cosiddetta Middle Belt, della quale fa parte lo Stato di Plateau, l’area della Nigeria centrale al confine tra il sud, in maggioranza cristiano, e il nord, in gran parte islamico. Proprio nello Stato di Plateau si sono registrati gli ultimi massacri, causati da antiche rivalità tra allevatori Fulani musulmani e agricoltori Birom cristiani. La delegazione cristiano-islamica nota che “sebbene in Nigeria si registrino le violenze peggiori tra le due fedi dai tempi della guerra bosniaca del 1992-95, le loro cause profonde vanno oltre la religione”. “Corruzione, malgoverno, dispute fondiarie e la mancanza di aiuti alle vittime e di punizione per gli autori delle stragi, sono fonte di tensione specialmente nella cosiddetta Middle Belt”. In questa area si scaricano le tensioni causate dal “divario economico tra gli Stati produttori di petrolio del Sud e quelli privi di risorse del Nord” alle quali si aggiungono i conflitti locali latenti tra agricoltori e allevatori. Per cercare di promuovere la riconciliazione in Nigeria, il WCC e la Royal Aal al-Bayt Institute for Islamic Thought hanno infine deciso di pubblicare dei libri da distribuire nelle scuole locali, per spiegare i fondamenti teologici della pace in entrambe le religioni, e di lanciare un manifesto per la cooperazione interreligiosa.

    inizio pagina

    Appello dei vescovi asiatici: stop al commercio delle armi, è rubare a chi è affamato

    ◊   I vescovi asiatici chiedono “la fine delle guerre e delle ostilità nei diversi contesti dell’Asia”, “un maggiore impegno delle istituzioni per la pace globale”, “lo stop immediato al traffico delle armi”, che contribuisce a insanguinare il continente. Come riferito all’Agenzia Fides dal padre cappuccino Nithiya Sagayam, segretario dell’Ufficio per lo Sviluppo Umano, in seno alla Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia (FABC), i vescovi hanno aderito all’iniziativa lanciata dal suo Ufficio FABC in occasione dl 50° anniversario dell'Enciclica di Papa Giovanni XXIII “Pacem in Terris” e in vista delle “Settimana per il Disarmo”, promossa a livello delle Nazioni Unite, mentre molte nazioni si accingono a firmare il Trattato sul Commercio delle Armi, che intende limitare e regolamentare il fenomeno. Hanno aderito all’appello numerosi leader religiosi dell’Asia, tra cui due cardinali, 20 arcivescovi, 10 vescovi, nonché altri 5.000 rappresentanti di diverse fedi, dato che il testo è stato poi esteso alle altre comunità religiose. L’appello è stato consegnato al segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. Il documento si rivolge ai leader mondiali chiedendo di “lavorare per la pace e l'armonia attraverso il disarmo” e “approvando il Trattato sul commercio delle armi”. “Ogni arma che si produce è un furto a coloro che hanno fame” si ricorda. Il commercio delle armi, che a livello globale ha un volume di affari di 1.000 miliardi di dollari l’anno, è una causa importante di forti e ampi abusi sui diritti umani. Alcuni governi investono più in spese militari che su sviluppo sociale, infrastrutture di comunicazione e sanità messi insieme. I vescovi ricordano che il Trattato sul commercio delle armi, che prevede meccanismi di controllo e monitoraggio, “fornirà un importante contributo alla promozione di una vera cultura della pace, attraverso una collaborazione responsabile tra gli stati”. Il commercio delle armi alimenta le guerre, genera gravi ritardi nello sviluppo umano, produce instabilità e conflitto, diffonde una cultura di violenza e criminalità. L’obiettivo ultimo, si rimarca, deve essere il disarmo, che eviti violenza, morte e genocidi.

    inizio pagina

    Cina: 26 catecumeni battezzati in un villaggio nei pressi di Pechino. Catechisti coppia di ottantenni

    ◊   La cronaca ecclesiale vibra ancora dell’ennesima, ferma presa di posizione della Santa Sede, con i relativi provvedimenti sanzionatori, riguardanti la nuova ordinazione episcopale senza mandato papale avvenuta in Cina, ad Harbin, il 6 luglio scorso. Viceversa, lontano dai riflettori, la Chiesa cattolica cinese continua a rivelarsi un giardino ricco di germogli, che vive in piena sintonia con il Papa. A dimostrarlo è quanto avvenuto proprio il giorno prima dell’ordinazione illegittima in un piccolo villaggio alla periferia di Pechino, nel distretto di Chan Ping. Qui, secondo informazioni della Fides, 26 catecumeni hanno ricevuto il Battesimo nella parrocchia di Yong Ning, dedicata al Sacro Cuore, al termine di un cammino curato dal parroco, don Zhang Tian Lu, e in particolare da una coppia di catechisti ottantenni, a loro volta battezzati nell’agosto di un anno fa. Un esempio di trasmissione della fede scaturito in un ambiente tutt’altro che semplice per la presenza aggressiva di una setta protestante. Tuttavia, scrive la Fides, “i cattolici, con la loro testimonianza di fede, si sono guadagnati il rispetto della gente locale e anche delle autorità, che hanno riconosciuto la correttezza della comunità cattolica”. Ai primi passi dei nuovi catecumeni si salda idealmente la saldezza di fede di mons. Lucas Li Jing Feng, vescovo novantenne della diocesi di Feng Xiang, nella provincia dello Shaan Xi. In una lettera a sacerdoti e fedeli, assicura: “Seguiamo costantemente gli insegnamenti della Lettera apostolica Porta Fidei e la Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede con Indicazioni Pastorali per l’Anno della Fede, per vivere l’Anno della Fede voluto da Papa Benedetto XVI”. “Ciò che ci ha detto il Papa oggi – scrive ancora il presule, riferito dalla Fides – domani sarà per noi un prezioso deposito della fede. Quindi abbiamo l’obbligo di approfondirlo, applicarlo e diffonderlo (…) Avete la responsabilità di far sapere ai fedeli che l’Anno della Fede è una ispirazione dello Spirito Santo al Papa, è un modo attraverso cui lo Spirito Santo guida la Chiesa”. (A cura di Alessandro De Carolis)

    inizio pagina

    Il patriarca Béshara Raї: i libanesi siano fedeli alla patria e non a potenze straniere

    ◊   "Tutti i politici libanesi prendono ordini dall'estero", mancano quindi di indipendenza, mentre "la nostra salvezza è nella nostra unità interna" e "la lealtà verso il Paese dovrebbe essere al primo posto". Parole dure quelle pronunciate ieri dal patriarca maronita Béshara Raї che, incontrando i giornalisti, ha accoratamente descritto la situazione del suo Paese, nella prospettiva della ricerca del bene comune. La dipendenza da interessi esterni, per il patriarca – riferisce AsiaNews - "è il motivo per il quale il Paese è paralizzato, perché è legato ad alleanze straniere. Il Libano deve giocare il suo ruolo di guida nel mondo arabo, specialmente da quando gli arabi hanno detto di aver bisogno del Libano". Anche il ritorno degli assassini politici - la settimana scorsa c'è stato il tentativo di uccidere il parlamentare Butros Harb - hanno, per il patriarca Raї, la stessa origine. "E' il risultato della mancanza di lealtà verso lo Stato e della proliferazione delle armi, possedute in gran quantità ovunque da palestinesi, Hezbollah, partiti milizie e persone". "Tutti coloro che portano avanti degli omicidi hanno copertura politica". "Il Libano, invece – ha aggiunto - è un valore di civilizzazione preziosa e unica nella comunità internazionale. Merita la nostra incondizionata fedeltà. Guardando alla nostra storia, alla composizione della nostra società e alla nostra posizione geografica, non abbiamo alcun interesse a rapporti ostili con chiunque altro". "Il Libano è aperto a tutto il mondo, senza essere al servizio di nessuno", per questo ha auspicato "che sia proclamata la neutralità del Libano, ossia che siamo riconosciuti come un Paese al di fuori della politica degli assi regionali e internazionali". "I libanesi debbono essere uniti e dichiarare la loro fedeltà allo Stato. Nessuno – ha concluso il patriarca Béshara Raї - ha il diritto di imporre la propria opinione agli altri", "noi viviamo in un Paese democratico e non vogliamo accettare dittature".

    inizio pagina

    Sud Sudan. Domenica, Messa in suffragio di mons. Mazzolari, ad un anno dalla scomparsa

    ◊   È trascorso un anno dalla scomparsa di mons. Cesare Mazzolari, vescovo di Rumbek, in Sud Sudan, deceduto improvvisamente il 16 luglio 2011 a causa di un malore, mentre celebrava la Santa Messa. Il suo ricordo è ancora molto vivo nella memoria dei fedeli, e non solo, che si preparano a commemorarlo, domenica prossima, 15 luglio, con una Messa solenne nel piazzale antistante la Cattedrale della Sacra Famiglia a Rumbek. La celebrazione si terrà alle 10 e sarà presieduta dall’amministratore diocesano, padre Fernando Colombo; seguirà quindi una processione all’interno della Cattedrale fino alla tomba del compianto presule. Lì, verrà posta una targa commemorativa. Tutti i fedeli sono stati invitati a partecipare, mentre altre celebrazioni sono state organizzate, a livello locale, dalle singole parrocchie della diocesi. “Mons. Mazzolari – dice padre Colombo in un’intervista rilasciata all’emittente diocesana ‘Radio Good News’ – verrà ricordato per il suo impegno nell’incoraggiare la crescita e lo sviluppo di tante iniziative a beneficio della Chiesa in Sud Sudan”. “Sarà difficile trovare una persona come lui – continua padre Colombo – ma la diocesi continuerà a pregare per la sua anima, per non dimenticare l’eredità di ottimismo e buona volontà lasciata da mons. Mazzolari”. Nato il 9 febbraio 1937 a Brescia, il compianto presule era entrato nei Comboniani ed era stato ordinato sacerdote il 17 marzo 1962. Dopo un periodo negli Stati Uniti, a fianco dei minatori neri e messicani, nel 1981 era arrivato in Sudan, prima nella diocesi di Tombura, poi nell'arcidiocesi di Juba. Divenuto amministratore apostolico della diocesi di Rumbek nel 1990, l’anno successivo aveva riavviato la missione di Yirol, la prima di una lunga serie. Tre anni più tardi, veniva catturato e tenuto in ostaggio per un giorno intero dai guerriglieri dell’Esercito sudanese di liberazione popolare, gruppo armato indipendentista in lotta contro il governo di Khartoum. Il 6 gennaio 1999 Giovanni Paolo II lo aveva consacrato vescovo. La sua ultima missione era stata l’indipendenza del Sud Sudan, proclamata il 9 luglio 2011: in quell’occasione, mons. Mazzolari aveva pronunciato il suo ultimo discorso, un’invocazione al Signore affinché desse al nuovo Stato, il 54.mo dell’Africa, “il coraggio e la saggezza di lavorare in modo onesto”, rendendolo in grado di “lavorare insieme alle altre nazioni del mondo con sincera solidarietà”. “Signore, pianta nel profondo nelle nostre anime sudanesi – pregava mons. Mazzolari - la consapevolezza che ciò che davvero conta per la nascita di una nuova nazione è che noi, come individui del popolo sudanese, faremo la nostra parte per il Paese. Non dovremo dunque chiederci cosa faranno gli altri per noi, ma cosa noi, sud sudanesi, faremo per il Sud Sudan, per provvedere alla nostra famiglia e al bene comune della nostra nazione”. (A cura di Isabella Piro)

    inizio pagina

    Rwanda. La Commissione Giustizia e Pace ribadisce il suo no alla legge sull’aborto

    ◊   “Una legge che va contro il diritto alla vita della persona umana”: così mons. Servilien Nzakamwita, presidente della Commissione Giustizia e pace della Conferenza episcopale del Rwanda (Cepr), definisce la normativa sull’interruzione volontaria di gravidanza. Nell’Assemblea ordinaria della Commissione, svoltasi due giorni fa, il presule si è soffermato sulla legge - già approvata da Camera e Senato ed in procinto di essere firmata dal Capo dello Stato, Paul Kagame - che autorizza l’interruzione volontaria di gravidanza se una donna è rimasta incinta in seguito ad una violenza, se è vittima di un matrimonio forzato, se ha avuto rapporti con un congiunto fino al secondo grado di parentela o se la gravidanza mette seriamente in pericolo la sua vita o quella del bambino. “La Chiesa condanna questa legge – afferma mons. Nzakamwita – e non cesserà mai di opporvisi”, tanto più che “la comunità cristiana si era già detta categoricamente contraria alla sua approvazione”. Insieme ad esponenti di altre religioni, infatti, la Cepr ha formato un forum, denominato “Rwanda peace plan” proprio per ribadire i valori della vita, “dell’educazione alla giustizia e del rispetto dei diritti fondamentali della persona umana”. Tra gli altri temi trattati dall’Assemblea di Giustizia e pace, anche “l’aumento delle violenze domestiche basate sul genere e che, attualmente, si concretizzano in atti criminali contro i congiunti”, e la gestione dei conflitti dopo la chiusura dei tribunali Gacaca, ovvero i tribunali simili alle “corti popolari”, composti non da giudici, bensì da membri della società civile, eletti all’interno delle diverse comunità locali. A tali tribunali, lo Stato aveva affidato il compito di giudicare gli imputati accusati di aver partecipato agli eccidi del 1994, con la sola eccezione dei responsabili di genocidi livello nazionale, il cui giudizio è rimasto di competenza dei tribunali convenzionali. “In effetti – ha sottolineato mons. Nzakamwita – in alcuni casi, i tribunali Gacaca hanno creato problemi che, se non risolti pacificamente e cristianamente, rischiano di ostacolare il processo di unità e di riconciliazione nazionale”. Infine, l’Assembla di Giustizia e pace ha deciso di implementare l’autonomia finanziaria della Commissione e di istituire una struttura in cui i suoi membri possano operare a tutti i livelli, anche a quello delle comunità di base. (A cura di Isabella Piro)

    inizio pagina

    Progetto della Caritas Salerno per i bambini di strada del Bangladesh

    ◊   Hanno tra i sei e i quattordici anni e la loro “scuola” sono le discariche o comunque i luoghi dove si accumulano gli scarti di tutti che per loro sono invece “ricchezza”. Si tratta dei “tokai”, i bambini di strada del Bangladesh, piccole ombre che scalano i rifiuti alla ricerca di plastica, carta, stracci o qualsiasi tipo di materiale che possa essere riciclato. Piccoli quasi tutti ‘abbandonati’, anche se raramente orfani. Per loro, riferisce l'agenzia Sir, si è mossa con un progetto di assistenza specifico la Caritas diocesana di Salerno-Campagna-Acerno, che oggi ha presentato il progetto “Tokai Songho”. Don Marco Russo, direttore della Caritas diocesana, padre Riccardo Tobanelli, missionario saveriano impegnato da anni in Bangladesh, e la volontaria salernitana Maria Cristina Palumbo, hanno spiegato ai media la difficile realtà in cui sono costretti a vivere i bambini ai quali la Caritas diocesana sta cercando di donare una famiglia e soprattutto un futuro diverso. Questa iniziativa di solidarietà, promossa dalla Caritas diocesana, è sostenuta dalla comunità ecclesiale di Salerno mediante adozioni a distanza e donazioni libere. (A.D.C.)

    inizio pagina

    Il cardinale Sarr: l’Africa riscopra la sua ricchezza culturale, no al livellamento della globalizzazione

    ◊   “È giunto il tempo in Africa di dire no al livellamento culturale, conseguenza della globalizzazione” ha affermato il cardinale Adrien Sarr, arcivescovo di Dakar (Senegal) e primo vicepresidente del Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (SECAM/SCEAM), nella relazione introduttiva al Comitato di direzione del Forum “Fede, cultura e sviluppo” che si è tenuto ad Abidjan (Costa d’Avorio) dal 10 all’11 luglio. L’incontro – riferisce l’Agenzia Fides - aveva lo scopo di preparare il Seminario “Cultura e Sviluppo in Africa” che si terrà nel novembre 2012 a Dar-es-Salam, in Tanzania, organizzato dal SECAM/SCEAM in collaborazione con il Pontificio Consiglio della Cultura. La necessità di creare un forum dedicato a “Cultura e Sviluppo in Africa” era emersa dalle raccomandazioni di un meeting organizzato ad Abidjan nel 2010 dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e dal Pontificio Consiglio della Cultura. Un’urgenza che è stata ribadita dal cardinale Sarr, il quale ha sottolineato: “È tempo di riscoprire la ricchezza delle culture africane, e di tradurre in comportamento costante, individuale e comunitario, e a tutti i livelli sociali, i valori della solidarietà, il rispetto per la sacralità della vita, il significato del bambino, della donna, dell’anziano, della famiglia, che sono veicolati dalle nostre culture. È arrivato davvero il momento di promuovere la cultura africana, senza complessi di inferiorità o di superiorità. È giunto il momento di avere l'audacia di rifiutare uno sviluppo che non tiene in considerazione la nostra cultura”.

    inizio pagina

    La Caritas non dimentica i terremotati di Haiti: 119 progetti di solidarietà per 16 milioni di euro

    ◊   A due anni e mezzo dal violento sisma che l’ha sconvolta, “Haiti si presenta come un Paese ancora in bilico: in attesa degli aiuti internazionali, dello sviluppo definitivo, di quel salto che possa garantirgli l’inizio di un nuovo percorso. Un Paese con poche forze che stenta a rialzarsi”. L’analisi – riferisce l’Agenzia Sir - è contenuta nel rapporto “Caritas italiana ad Haiti: un impegno di comunione”. Dopo due anni e mezzo, Caritas italiana continua a restare accanto alla popolazione locale. Finora, si legge nel rapporto, sono 119 i progetti di solidarietà avviati, per quasi 16 milioni di euro, per l’assistenza degli sfollati (5), ma anche, nella prospettiva della ricostruzione, per la formazione (27), l’animazione e l’istruzione, e in ambito socio-economico, idrico-sanitario, agricolo (63). I fondi raccolti grazie alla solidarietà di moltissime persone, singolarmente e attraverso le parrocchie delle diocesi italiane in seguito alla colletta nazionale indetta dalla Cei, ammontano a € 24.735.118,19 (dati al 20/06/2012). “È stato così possibile pianificare e realizzare progetti strutturati e pluriennali”. I tutto all’insegna della “comunione” perché, spiega il direttore Caritas, don Francesco Soddu, “l’ascolto è il primo pilastro” dei progetti: “è condizione essenziale per apprendere, comprendere, entrare in relazione e creare basi di comunione con la popolazione locale”. Il rapporto è consultabile su www.caritasitaliana.it.

    inizio pagina

    Nigeria: Rapporto identifica la “mancanza di giustizia” come causa dei conflitti

    ◊   Il Consiglio ecumenico delle Chiese e l’Istituto reale Aal al-Bayt per gli studi islamici hanno pubblicato un Rapporto dal quale emerge come le violenze e i conflitti che stanno attraversando la Nigeria sono il prodotto di fattori diversi tra loro, ma che hanno come denominatore comune la “mancanza di giustizia”. Il Rapporto – frutto del lavoro di una delegazione guidata dai rappresentanti delle due istituzioni che ha visitato a fine maggio la Nigeria centrale e settentrionale – sottolinea che “dietro la crisi in Nigeria ci sono fattori religiosi, politici, economici, etnico-sociali e giuridici”. Dal documento, riferisce l’agenzia Misna, emerge il divario esistente tra il sud ricco di petrolio, a maggioranza cristiana, e il nord povero di risorse naturali, per lo più musulmano, soprattutto in termini di accesso all’impiego e ai servizi sanitari e scolastici. Viene denunciata anche la disparità, sancita da alcune prescrizioni costituzionali, tra gli indigeni e gli immigrati. Il paradosso è che, si afferma nel Rapporto, “nello Stato di Plateau gruppi di ‘immigrati’ erano già presenti sul territorio più di un secolo fa, molto prima dell’indipendenza della Nigeria del 1960, ma sono definiti ancora ‘immigrati’ perché gli ‘indigeni’ vogliono monopolizzare i benefici e le opportunità disponibili”. (A.C.)

    inizio pagina

    Incontro tra i leader religiosi e le istituzioni Ue: puntare sulla famiglia per uscire dalla crisi

    ◊   “Solidarietà intergenerazionale: stabilire i parametri per la società di domani in Europa”: su questo tema si è tenuto stamani a Bruxelles, in Belgio, il summit annuale tra i leader religiosi europei e i vertici istituzionali dell’Ue. L’incontro, l’ottavo in ordine di tempo, è stato promosso da José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, e co-presieduto da Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo, e Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio Ue. Tra i rappresentanti cattolici presenti, anche mons. André-Joseph Léonard, arcivescovo di Malines-Bruxelles, il quale, nel suo intervento, ha ribadito che “di fronte alla crisi economica, e non solo, che attanaglia l’Europa” è necessario puntare al “rafforzamento della famiglia, unico metodo sostenibile per uscire dalla congiuntura attuale”. Tutto ciò, naturalmente, ha sottolineato il presule, “implica passi coraggiosi nel campo della politica fiscale, un sostegno finanziario per il terzo o il quarto figlio, e misure sociali che promuovano l’equilibrio tra il lavoro e la vita familiare”. Dal suo canto, mons. Giovanni Ambrosio, vice presidente della Commissione degli Episcopati della Comunità europea (Comece), ha sottolineato la necessità che l’Europa e i suoi Stati membri preservino la domenica come giorno di riposo settimanale comune: “Specialmente per la famiglia, per la vita spirituale dei suoi membri e per i rapporti umani, sia interni che esterni al nucleo familiare, la domenica come giorno settimanale comune da dedicare al riposo è di fondamentale importanza”. Il presule ha inoltre richiamato l’impegno che le Chiese europee, insieme ai sindacati e alle organizzazioni civili, hanno portato avanti per tutelare la dimensione festiva della domenica. Sulla drammatica situazione della disoccupazione in Spagna si è invece soffermato mons. Adolfo Gonzales Montes, vescovo di Almeria, il quale ha denunciato “le pratiche politiche irresponsabili ed immorali che portano a sacrificare le generazioni più giovani”, tanto che attualmente il tasso di disoccupati, in Spagna, arriva al 50%. Per questo, mons. Gonzales Montes ha invitato l’Unione Europea a “promuovere misure davvero efficaci per combattere la disoccupazione giovanile e a sostenere il ruolo dei fondi europei, inclusi quelli da destinare alle politiche giovanili”. Infine, mons. Virgil Bercea, vescovo di Oradea Mare, in Romania, e secondo vice presidente della Comece, ha chiesto alle istituzioni europee di creare meccanismi specifici per contribuire ad uno sviluppo economico più veloce dei Paesi dell’Ue: “Tali meccanismi – ha spiegato il presule – dovrebbero comprendere la trasparenza nella gestione del denaro pubblico, la garanzia di un sistema giudiziario indipendente, lo sradicamento della corruzione, la tutela dei diritti umani e della libertà religiosa”. (I.P.)

    inizio pagina

    Venezuela. Il governo chiede il sostegno della Chiesa per superare la crisi nel Paese

    ◊   Incontro al vertice, il primo da diverso tempo, tra governo e vescovi venezuelani, riuniti per la 98.ma Assemblea plenaria. Due giorni fa, a Caracas, nella sede della Conferenza episcopale (Cev), si sono, infatti, incontrati il presidente ed il vicepresidente della Cev, mons. Diego Padrón e mons. Mario Moronta, ed il vicepresidente della Repubblica venezuelana, Elías Jaua, accompagnato dai ministri della Gioventù, Mari Pili Hernandez, e dell’Interno, Tarek El Aissami, sotto la cui giurisdizione rientra la Direzione dei Culti, ovvero l’organo di collegamento tra lo Stato e la Chiesa cattolica. Nel suo indirizzo di saluto, Elías Jaua ha riconosciuto l’importanza del ruolo che la Chiesa gioca all’interno della società venezuelana e, sottolineando le difficoltà in cui versa attualmente il Paese, ha chiesto ai presuli di collaborare per il superamento dei problemi che affliggono la popolazione, come la violenza ed il clima di tensione. Dal suo canto mons. Moronta ha ribadito le emergenze da affrontare per continuare lo sviluppo del Paese, manifestando poi la profonda volontà della Chiesa locale di contribuire ad un clima di comprensione e riconciliazione nazionale. Il presule ha così richiamato i punti salienti della prolusione pronunciata, sabato scorso, da mons. Padrón, in apertura della Plenaria: il presidente della Cev ha, infatti, ricordato, come obiettivo prioritario della Chiesa venezuelana, “l’essere mediatrice della riconciliazione” e servire la popolazione senza distinzioni di classe, credo o ideologie. Richiamando, poi, l’impegno della Cev nello sviluppo del Paese, in particolare della sua democrazia, libertà e sicurezza, mons. Padrón ha ribadito: “La paura della popolazione, esasperata dalla violenza e dall’insicurezza, è sfociata in una crisi nazionale”. Quanto al clima di segretezza che si respira in Venezuela su alcune notizie rilevanti, come la salute del presidente Chavez o la reale situazione delle carceri, il presule ha sottolineato che in questo modo “non si favorisce affatto la tranquillità della nazione”. Allo stesso tempo, il presidente della Cev ha espresso l’auspicio che le prossime elezioni presidenziali, in programma ad ottobre, si svolgano pacificamente, facendo sì che “si ristabiliscano l’unità e lo sviluppo dei cittadini, nella cultura e nella speranza”. Tra gli altri temi in discussione durante la Plenaria, che si conclude oggi, ci sono anche l’approvazione e l’attuazione del Piano pastorale per il triennio 2012-2015, lo sviluppo dell’evangelizzazione, la formazione cristiana e l’impegno sociopolitico. (I.P.)

    inizio pagina

    Roma: incontro di preghiera per la pace in Africa promosso da Religions for Peace

    ◊   Si svolgerà questa sera, in Piazza Santa Cecilia a Roma, un incontro di preghiera per la pace in Africa, dal titolo “Non nominerai invano…”, promosso da Religions for Peace insieme a rappresentanti di diverse organizzazioni e comunità impegnati nel dialogo. “Non possiamo voltarci dall’altra parte – spiegano i promotori – mentre si verificano tali violenze, ancora più gravi perché perpetrate ricorrendo abusivamente a motivi religiosi”. Negli ultimi tempi, infatti, si susseguono con maggior frequenza drammatici attentati contro fedeli in preghiera in diversi luoghi del continente africano. L’invito è quello di “partecipare ad un momento di raccoglimento in memoria delle vittime, durante il quale ci uniremo spiritualmente alle preghiere che rappresentanti delle varie tradizioni religiose esprimeranno per invocare la pace e la luce necessaria a guidare le nostre azioni e perseguire la giustizia”. La scelta del luogo non è stata casuale, ma “vuole sottolineare un legame ideale, con una persona, Santa Cecilia, martirizzata a causa della fede – sottolinea infine il comunicato – che in punto di morte chiese che quel luogo, la sua casa di famiglia, fosse destinato per sempre alla preghiera”. (A.C.)

    inizio pagina

    Ue: 33 milioni gli stranieri nei confini comunitari, di cui 20,5 provenienti da Paesi extraeuropei

    ◊   “Oltre 33 milioni di persone straniere vivono nei Paesi aderenti all’Unione Europea”. Sono dati Eurostat, relativi al 2011, sui residenti nei confini comunitari, nati in altri Stati. Di questi 33 milioni, oltre 12 milioni - riferisce l'agenzia Sir - sono cittadini Ue che vivono in altri Paesi membri dell’Unione, mentre le persone provenienti da oltre i confini Ue, e che conservano cittadinanza extra-Ue, sono 20,5 milioni (ossia il 4,1% della popolazione totale comunitaria, che è pari a 500 milioni di abitanti). Eurostat segnala che “nel 2011 il maggior numero di stranieri risiedeva in Germania”, con circa 7,2 milioni di persone, pari al 9% della popolazione tedesca. Seguono Spagna (5,7 milioni di stranieri), Italia (4,6), Regno Unito (4,5) e Francia (3,8 milioni). In rapporto agli abitanti, le percentuali maggiori di stranieri si registrano invece in Lussemburgo (43% del totale), seguito da Cipro (20%), Lettonia ed Estonia (persone con passaporto russo). Le percentuali più modeste di stranieri si riscontrano invece in Polonia, Bulgaria, Lituania e Slovacchia (meno del 2%). Ulteriore curiosità: sempre nell’Ue vivono 50 milioni di persone che sono nate al di fuori dei confini comunitari, ampia parte delle quali ha quindi acquisito in seguito la nazionalità di un Paese europeo. (R.G.)

    inizio pagina

    Mons. Padilla: inquietudine per l’avvenire della Chiesa in Mongolia

    ◊   Si sono conclusi ieri i due giorni di festeggiamenti per il 20.mo anniversario della presenza della Chiesa cattolica in Mongolia. Ma il bilancio che traccia mons. Wenceslao Padilla, prefetto apostolico di Ulan Bator, è in chiaroscuro. In una Lettera pastorale intitolata “Celebrare i 20 anni della presenza cattolica in Mongolia”, mons. Padilla ricorda la difficile nascita della piccola comunità cattolica nel Paese, avviata nel 1992 per opera di tre missionari della Congregazione del Cuore Immacolato di Maria: “Costituita all’inizio da zero fedeli – scrive il presule – oggi essa conta più di 835 fratelli e sorelle nella fede, senza pensare a tutti coloro che si preparano al battesimo”. Quindi, il prefetto apostolico di Ulan Bator cita i tanti passi avanti compiuti negli ultimi due decenni: i numerosi centri di accoglienza gestiti dalla Chiesa e destinati ai bambini di strada, ai giovani, agli anziani e ai disabili; i tanti centri sanitari per i più poveri; l’impegno dei missionari nel settore dell’istruzione che ha portato all’apertura di asili, scuole primarie, biblioteche e centri sociali. Ma tra tante luci, non mancano le ombre: nella sua Lettera pastorale, mons. Padilla cita, da una parte, la crisi economica che si è riversata sulla società mongola; dall’altra, la scoperta del potenziale minerario del Paese che ha “profondamente modificato la vita della popolazione e che avrà gravi conseguenze sulla Chiesa”. Infatti, secondo mons. Padilla, “l’apparente prosperità nasconde un’inflazione galoppante”, mentre il governo, “in modo incoerente, distribuisce a ciascun cittadino del denaro e delle azioni delle società minerarie”. Lo Stato, inoltre, “invece di sviluppare l’economia, permette alle imprese meno attente alla questione ecologica di saccheggiare le risorse naturali della Mongolia”. Tutto questo, scrive mons. Padilla, “va a scapito della Chiesa cattolica che, in quanto organismo non a scopo di lucro, non gode dei benefici economici promessi ai cittadini”. Essa, infatti, “dipende dai fondi esteri per sopravvivere e portare avanti il suo servizio alla popolazione; tuttavia, negli ultimi tempi, la recessione economica e la propaganda governativa sulla nuova prosperità della Mongolia hanno dissuaso i donatori a contribuire come negli anni precedenti”. “È probabile quindi – sottolinea il presule – che i missionari dovranno rinunciare a gran parte dei loro progetti”. Ma i problemi non finiscono qui: come afferma padre Kuafa Hervé, vicario della Chiesa locale dei Santi Pietro e Paolo, il tono dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato mongolo “non è più molto amichevole”. La rinascita dello sciamanesimo e una certa diffidenza nei confronti dell’Occidente, al quale è sempre associato il cristianesimo, infatti, “hanno fatto cambiare l’atteggiamento del governo e di una gran parte della popolazione”, tanto che ora “non è più permesso evangelizzare all’esterno delle istituzioni della Chiesa, i minori di 16 anni devono avere l’autorizzazione scritta dei loro genitori per frequentare il catechismo e i sacerdoti non possono più portare segni distintivi in pubblico”. Insomma, conclude padre Hervé, si tratta di “una Chiesa sotto sorveglianza” che, in qualche caso, ha vissuto anche il divieto di celebrare la Messa in alcune regioni del Paese. Tuttavia, il tono conclusivo della Lettera di mons. Padilla è pieno di speranza: “Il ruolo della Chiesa resta lo stesso – afferma il presule – ovvero testimoniare il Vangelo, con i suoi valori, ed insegnare ad accogliere e sostenere i più poveri”. (A cura di Isabella Piro)

    inizio pagina

    Tragedia del mare al largo delle coste italiane. Il Jrs: serve sistema europeo di sorveglianza

    ◊   Migliori sistemi coordinati di ricerca e salvataggio dei migranti che attraversano il Mediterraneo per raggiungere l’Europa su imbarcazioni di fortuna. A chiederlo è il Jesuit Refugee Serfice (Jrs) il Servizio dei Gesuiti per i rifugiati, dopo l’ultima tragedia del mare costata la vita a 54 africani che tentavano di raggiungere le coste italiane dalla Libia. “È assolutamente ingiustificabile che un’imbarcazione con 55 migranti sia abbandonata al suo destino in uno dei mari più trafficati e controllati del mondo”, ha dichiarato il responsabile delle politiche europee del Jrs, Stefan Kessler. E di tragedia evitabile parla anche il Presidente di Jrs Italia, padre Giovanni La Manna, sottolineando che questa ennesima disgrazia “ripropone domande le cui risposte non possono essere ulteriormente rinviate”. Il Jrs chiede quindi ai Governi e ai leader europei di mettere in campo sistemi di monitoraggio e salvataggio che permettano ai migranti che cercano protezione in Europa di farlo in sicurezza. L’attuale progetto di un “Sistema europeo di sorveglianza delle frontiere” (Eurosur) allo studio del Parlamento Europeo è ritenuto in questo senso inadeguato, perché incentrato sul controllo delle frontiere a scapito dei diritti umani, come rilevato in una recente lettera inviata a Strasburgo da Jrs Europa insieme ad altre ong. “La proposta – spiega Kessler - non dà alcuna attenzione alla ricerca e al salvataggio e non prevede alcuna misura per ridurre il rischio di morti in mare e il costo umano dei sistemi di controllo delle frontiere. Secondo il responsabile del Jrs Europa sarebbe inoltre importante che il progetto Eurosur fissi chiaramente le competenze di ciascun Governo europeo per la ricerca e il salvataggio. Il Jrs chiede infine all’Europa di accogliere più rifugiati, per non metterli nella condizione di dovere intraprendere pericolosi viaggi della speranza verso le coste europee. (A cura di Lisa Zengarini)

    inizio pagina

    Voci e suoni per la legalità: il 21 luglio magistrati e giornalisti a confronto

    ◊   Si terrà sabato 21 luglio a Corchiano, in provincia di Viterbo, la manifestazione "Voci e suoni per la legalità", realizzata in coincidenza con il ventennale della strage di Via d’Amelio, dove il 19 luglio 1992 perse la vita il giudice Paolo Borsellino. L’evento proporrà un confronto tra magistrati e giornalisti sui temi della legalità, in collaborazione con Libera, con l'Associazione Comuni virtuosi e con Ucsi Lazio. Tra i partecipanti, l’onorevole Fabio Granata - vicepresidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere - don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e dell’Associazione Libera, Franco Roberti, dal 2009 Procuratore Capo della Repubblica di Salerno, Gianfranco Donadio, procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia, e Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Suprema corte d'assise. A interloquire con i magistrati ci sarà il giornalista di Repubblica, Attilio Bolzoni, esperto di mafia. Saranno presenti anche alcuni sindaci che fanno parte dell’Associazione Comuni virtuosi, una rete di enti locali che opera a favore di una armoniosa e sostenibile gestione dei propri territori, intervistati dal giornalista del Messaggero, Arnaldo Sassi. A dare il ritmo alla serata ci saranno artisti importanti tra i quali Francesco Zampaglione, ex membro dei Tiromancino. Il giorno prima, nello stesso luogo, si svolgerà la XIII edizione del Premio Fescennino d’oro, al quale saranno presenti il maestro Nicola Piovani e Leo Gullotta come ospite d’onore. (A.C.)

    inizio pagina

    Quattro Università slovacche organizzano Conferenza internazionale sui Salmi

    ◊   “I Salmi visti con gli occhi dei loro autori e la loro successiva ricezione”. È questo il titolo scelto dalla Conferenza internazionale promossa da quattro Facoltà slovacche di teologia dell’Università Comenius, dell’Università di Trnava, dell’Università cattolica di Ruzomberok e dell’Università di Presov, in programma il 13 e il 14 settembre a Badín. Occasione principale dell'evento, spiega l'agenzia Sir, è la raccolta di nuovi punti di vista sugli autori dei Salmi e su come essi siano stati accolti nei diversi contesti storici e culturali. Secondo Blazej Strba, membro del comitato organizzatore, il contributo della Conferenza è evidente a più livelli. “È un grande onore – ha detto – ma anche una sfida per la comunità biblica slovacca poter accogliere eminenti biblisti quali l’italiano Gianni Barbiero, il tedesco Frank-Lothar Hossfeld e altri esperti dalla vicina Repubblica Ceca”. La Conferenza, ha soggiunto, offre inoltre ai biblisti “la grande opportunità di presentare i risultati delle loro ricerche sui Salmi e ai biblisti slovacchi l’opportunità di migliorare la loro attività professionale al servizio della Parola di Dio”. La Conferenza si inserisce nel più ampio progetto dei “Commentari dell’Antico Testamento”. (A.D.C.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 194

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.org/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.