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Sommario del 11/07/2012
◊ Oggi la Chiesa celebra la Festa di San Benedetto, Patrono d’Europa. Il Papa, che ha posto il suo Pontificato sotto la protezione del Santo di Norcia, ha dedicato al padre del monachesimo occidentale l’udienza generale del 9 aprile 2008, invitando i fedeli a seguire la sua esortazione a non anteporre nulla a Cristo, via per uscire dalle notti oscure della storia. Ce ne parla Sergio Centofanti:
Dalla crisi alla rinascita: questo il percorso compiuto da Benedetto da Norcia, secondo il profilo tracciato dal Papa. Nato nel 480, quattro anni dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, di fronte ad una società passata dal benessere alla miseria, Benedetto dà il suo contributo non puntando il dito ma iniziando a cambiare se stesso. Appena ventenne, si ritira in una grotta nei pressi di Subiaco per superare – dice il Papa - le tre tentazioni fondamentali di ogni essere umano:
“La tentazione dell’autoaffermazione e del desiderio di porre se stesso al centro, la tentazione della sensualità e, infine, la tentazione dell’ira e della vendetta. Era infatti convinzione di Benedetto che, solo dopo aver vinto queste tentazioni, egli avrebbe potuto dire agli altri una parola utile per le loro situazioni di bisogno. E così, riappacificata la sua anima, era in grado di controllare pienamente le pulsioni dell’io, per essere così un creatore di pace intorno a sé”. (Udienza generale del 9 aprile 2008)
“Io, ma non più io – sottolinea il Papa - è questa la formula dell'esistenza cristiana”. Se Gesù vive in noi, allora “trasformiamo il mondo”. E Benedetto si lascia cambiare da Dio attraverso la preghiera, contatto vivo con Cristo, non sterile intimismo consolatorio:
“La preghiera è in primo luogo un atto di ascolto (Prol. 9-11), che deve poi tradursi nell’azione concreta. ‘Il Signore attende che noi rispondiamo ogni giorno coi fatti ai suoi santi insegnamenti’, egli afferma (Prol. 35)”. (Udienza generale del 9 aprile 2008)
La preghiera produce opere: “Ora et labora”. Così i monasteri benedettini forgiano la nuova civiltà europea, rilanciano l’agricoltura, l’artigianato e il commercio, all’insegna della solidarietà, conservano e tramandano la cultura sia pagana che cristiana. Un solo uomo, che ha messo Cristo al centro della propria vita come via per la “vera autorealizzazione”, cambiando se stesso ha cambiato gli altri, un intero mondo. Oggi, l’Europa – spiega il Papa – ha certo bisogno di soluzioni politiche ed economiche per superare la sua crisi, che è prima di tutto crisi d’identità e crisi di valori, ma per “creare un’unità nuova e duratura” ha bisogno soprattutto di “un rinnovamento etico e spirituale che attinga alle radici cristiane del Continente, altrimenti non si può ricostruire l’Europa”:
“Senza questa linfa vitale, l’uomo resta esposto al pericolo di soccombere all’antica tentazione di volersi redimere da sé – utopia che, in modi diversi, nell’Europa del Novecento ha causato, come ha rilevato il Papa Giovanni Paolo II, ‘un regresso senza precedenti nella tormentata storia dell’umanità’ (Insegnamenti, XIII/1, 1990, p. 58)”. (Udienza generale del 9 aprile 2008)
Concerto in onore del Papa alla presenza di Napolitano. Intervista con il maestro Barenboim
◊ Concerto oggi alle 18.00 a Castel Gandolfo in onore del Papa: ad offrirlo sono il maestro Daniel Barenboim e la West-Eastern Divan Orchestra, composta da musicisti ebrei, cristiani e musulmani. In programma, la Sinfonia n. 6, Pastorale, e la Sinfonia n. 5 di Ludwig van Beethoven. Sarà presente anche il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, accompagnato dalla consorte, che poi saranno ospiti del Papa per la cena. Marco Di Battista ha chiesto al maestro Daniel Barenboim di parlarci della modernità della musica di Beethoven:
R. - La musica rimane sempre contemporanea: le sinfonie di Beethoven non sono moderne perché sono state scritte tanti anni fa però sono contemporanee nel senso che hanno un’importanza per il mondo di oggi. E’ un’espressione dell’anima umana che non cambia, anche se la tecnologia ha fatto avanzare il mondo e l’essere umano: però l’anima dell’essere umano è rimasta, nel senso più profondo, la stessa.
D. - Entrando nello specifico, lei inizierà con la sesta di Beethoven, la cui partitura - come è noto - è più espressione del sentimento che pittura…
R. - Non è una sinfonia descrittiva, anzi si sa che mentre scriveva la sinfonia pastorale Beethoven leggeva Kant e la sua filosofia sulla natura. E’ questo che ha ispirato Beethoven, più che la natura come qualcosa di descrittivo. Non è una visualizzazione della natura ma è il sentimento della natura, è il sentimento dell’essere umano davanti a questo fenomeno inesplicabile che è la natura. In questo senso - e non lo dico perché suoniamo per il Papa - è veramente un’espressione quasi religiosa della natura e penso che sia questo il contenuto di quest’opera.
D. – Maestro Barenboim, la quinta inizia con la pausa di croma più famosa della musica: cosa c’è dietro quel respiro?
R. – Non si possono usare le parole per parlare della musica; se si potesse spiegare la musica con le parole, la musica non sarebbe necessaria. Naturalmente l’inizio della sinfonia esprime grande drammaticità ed è proprio una dichiarazione di coraggio e di esaltazione.
D. – La quinta è in do minore, la nona è in re minore. C’è questo collegamento tra il do minore, tonalità tragica per eccellenza, e il re minore che conclude le sinfonie beethoveniane con un inno alla gioia, con un’invocazione a una positività che richiama la fiducia di Beethoven nell’arte e nella musica in particolare, per redimere l’umanità…
R. – Questo è tipico della filosofia beethoveniana; sia la quinta che comincia in do minore e finisce in do maggiore, sia la nona che comincia in re minore e finisce in re maggiore, vogliono esprimere una cosa chiara: il passaggio dal caos all’ordine, il passaggio dell’incertezza a una certezza assoluta. E in questo senso la filosofia beethoveniana è molto positiva.
◊ Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Passo Fundo (Brasile), presentata da S.E. Mons. Pedro Ercílio Simon, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico. Il Papa ha nominato Arcivescovo Metropolita di Passo Fundo (Brasile) S.E. Mons. Antônio Carlos Altieri, S.D.B., trasferendolo dalla diocesi di Caraguatatuba. Mons. Antônio Carlos Altieri, S.D.B., è nato a São Paulo, nell’omonima arcidiocesi, il 18 ottobre 1951. Dopo gli studi liceali nel Collegio salesiano di São Paulo "Coração de Jesus", ha superato l’esame di ammissione alla Facoltà di Medicina. Tuttavia, qualche mese più tardi, dopo un’esperienza missionaria all’estero con i salesiani, è entrato nel Seminario Salesiano. Ha emesso la prima professione il 31 gennaio 1971 e quella perpetua il 29 luglio 1974. Ha compiuto gli studi di filosofia nella Facoltà Salesiana di Lorena e quelli di teologia nell’"Instituto Teológico Pio XI" a São Paulo. Ha conseguito la licenza in Scienze dell’Educazione con specializzazione in Metodologia pedagogica presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma e ha frequentato studi di Pianoforte presso il Conservatorio di São Paulo. Ordinato sacerdote il 17 dicembre 1978, ha svolto poi i seguenti incarichi: Coordinatore della Pastorale e Promotore Vocazionale nella Facoltà Salesiana di Filosofia, Scienze e Lettere e nell’Istituto Salesiano di Pedagogia e Filosofia, entrambi di Lorena (1979-1981); Vicario parrocchiale e Coordinatore della Pastorale dell’Ispettoria Salesiana di São Paulo (1982-1983); Direttore del "post-noviziato" dell’Ispettoria Salesiana di São Paulo e Rettore dell’Istituto Salesiano di Pedagogia e Filosofia di Lorena (1983-1992); Consigliere Ispettoriale dell’Ispettoria Salesiana di São Paulo (1990-1994); Ispettore dell’Ispettoria Salesiana di São Paulo (1994-1999); Superiore della comunità degli studenti-sacerdoti salesiani dell’Università Pontificia Salesiana in Roma (2000-2006). Il 26 luglio 2006 è stato nominato Vescovo di Caraguatatuba e il 28 ottobre successivo ha ricevuto l’ordinazione episcopale.
Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Łódź (Polonia), presentata da S.E. Mons. Władysław Ziółek, in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.Il Papa ha nominato Arcivescovo Metropolita di Łódź (Polonia) S.E. Mons. Marek Jędraszewski, trasferendolo dalla sede titolare di Forlimpopoli e dall’ufficio di Ausiliare di Poznań. Mons. Marek Jędraszewski è nato il 24 febbraio 1949 a Poznań. Dopo aver superato gli esami di maturità, dal 1969 ha frequentato gli studi teologici presso il Seminario di Poznań e il 24 maggio 1973 è stato ordinato sacerdote per tale arcidiocesi. Negli anni 1973-1975 ha svolto il ministero di Vicario parrocchiale a Wilkanów e a Odolanów. In seguito ha proseguito gli studi di filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana, concludendoli con il Dottorato. Sia per la tesi di licenza che per quella del Dottorato egli ha ricevuto la medaglia d’oro. Negli anni 1980-1987 è stato prefetto di disciplina nel Seminario maggiore di Poznań e poi dal 1987 al 1996 è stato direttore del Settimanale diocesano "Przewodnik Katolicki" (Guida Cattolica). Nel 1997 è stato Vicario episcopale per le Comunicazioni sociali. Nel 1991 ha conseguito l’abilitazione in filosofia presso la Pontificia Accademia Teologica di Cracovia. Il 17 maggio 1997 è stato nominato Vescovo titolare di Forlimpopoli e Ausiliare di Poznań, ricevendo l’ordinazione episcopale il 29 giugno dello stesso anno. Attualmente è Vicario Generale dell’arcidiocesi di Poznań. Nella Conferenza Episcopale Polacca è presidente del Dipartimento per la Fede nonché membro della Commissione per l’Insegnamento e l’Educazione Cattolica. Inoltre è Professore presso la Facoltà Teologica dell’Università Statale "Adam Mickiewicz" di Poznań. È membro del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Polacca, eletto dai Presuli come rappresentante dei Vescovi Ausiliari.
Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Portsmouth (Inghilterra), presentata da S.E. Mons. Roger Francis Crispian Hollis, in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Il Papa ha nominato Vescovo di Portsmouth (Inghilterra) il Rev.do Mons. Philip Anthony Egan, del clero della diocesi di Shrewsbury, finora Vicario Generale di quella diocesi. Mons. Philip Anthony Egan è nato ad Altrincham, un sobborgo di Manchester, il 14 novembre 1955. Dopo gli studi classici compiuti al St Ambrose College, Hale Barns e al Kings College dell'Università di Londra, ha compiuto la formazione al sacerdozio nel seminario di Allen Hall (Westminster), proseguendo poi al Venerabile Collegio Inglese a Roma. È stato ordinato sacerdote il 4 agosto 1984, per la diocesi di Shrewsbury. Dal 1984 al 1988 è stato Vicario Parrocchiale a St. Anthony's, Woodehouse Park, Manchester. Dal 1988 al 1991 ha servito come Assistente Cappellano all'Università di Cambridge. Dal 1991 al 1994 è stato Vicario Parrocchiale e Cappellano all'Ospedale Arrow Park di Birkenhead. Nel 1994-1995 ha perfezionato gli studi teologici presso il Boston College, negli Stati Uniti, insegnando poi, fino al 2007, come Professore di Teologia Fondamentale e Decano degli studi al seminario Oscott College di Birmingham. Negli anni 2007-2008, sempre a Boston, ha frequentato i Lonergan Post Doctoral Fellowship Studies. Nel 2008 è diventato Parroco di Our Lady and St. Christopher a Stockport e, nel 2010, Vicario Generale della diocesi di Shrewsbury.
Il Santo Padre ha nominato Vescovo della diocesi di Amravati (India) il Rev.do Elias Gonsalves, finora Direttore del Social Work dell’arcidiocesi di Bombay (India). Il Rev.do Elias Gonsalves è nato il 4 luglio 1961 a Chulne, diocesi di Vasai. Ha frequentato le scuole a Sandor, Vasai, e poi è entrato nel Seminario arcidiocesano St. Pius College di Goregaon, nel 1983. Ha conseguito un Baccalaureato in Storia ed Economia presso l’Università di Bombay, ed un Diploma presso il Coady Institute, Nova Scotia, Canada, dove si è specializzato in Social Development and Community Building. È stato ordinato sacerdote l’11 aprile 1990, incardinato nell’arcidiocesi di Bombay. Al momento della creazione della diocesi di Vasai, ha optato per l’arcidiocesi di Bombay. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: 1990-1991: Assistente parrocchiale presso la Holy Spirit Church, Nandakal, Vasai; 1991-1997: Assistente parrocchiale presso la St. Thomas Church, Sandor, Vasai; 1997-2004: Sacerdote incaricato della Parrocchia Sacred Heart, Roha, Raigard; 1999-2004: Membro del Consiglio Presbiterale; dal 2001: Decano di Raigad; 2004-2005: Studi per il Diploma in Canada; 2005-2008: Parroco della St. Francis Church, Panvel, Raigad; 2008-2009: Assistant Director of Social Work; dal 2009:Director of Social Work.
Riunione straordinaria a Roma del Comitato congiunto islamo-cattolico
◊ Il Comitato congiunto islamo-cattolico ha tenuto ieri una riunione straordinaria a Roma, presieduta da parte cattolica dal cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, e da parte musulmana dal prof. Hamid bin Ahmad Al-Rifaie, presidente del Forum Islamico Internazionale per il Dialogo. I partecipanti hanno avuto uno scambio di opinioni sui rapporti tra cristiani e musulmani nella situazione attuale del mondo. In continuità con il dialogo avviato nel 1995, le due parti hanno concordato di tenere la prossima riunione del Comitato a Roma nella prima settimana di luglio del prossimo anno sul tema "I credenti di fronte al materialismo e al secolarismo".
◊ La pubblicazione satirica tedesca "Titanic" nel suo ultimo numero presenta immagini gravemente offensive della persona e della dignità del Santo Padre. Per questo la Conferenza episcopale tedesca, con il mandato della Segreteria di Stato, ha intrapreso un'azione legale contro la pubblicazione, ottenendo dalla Sezione competente per la Stampa del Tribunale di Amburgo, la intimazione di non diffondere ulteriormente la pubblicazione, in particolare anche via Internet. “Ci rallegriamo per la decisione rapida del tribunale di Amburgo” che “fa capire quando la satira non è più tale ma ferisce e offende la persona”, si legge in un comunicato diffuso dalla Conferenza episcopale tedesca. Nella nota si ribadisce che la rivista satirica “va oltre qualsiasi misura sopportabile”. Già ieri, il portavoce della Conferenza episcopale, Matthias Kopp, aveva definito l’immagine di copertina e l’ultima pagina del “Titanic”, una “violazione dei diritti personali del Papa”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Schiavi d'Europa: in prima pagina, un rapporto dell’Ilo secondo il quale quasi un milione di persone sono vittime di sfruttamento sessuale o lavoro forzato.
Mare mostro: 54 migranti muoiono nel tentativo di raggiungere l’Italia dalla Libia.
Quando era scandaloso chiamarsi fratelli e sorelle: in cultura, Carlo Carletti sulla costruzione dell’identità cristiana nelle lapidi funerarie dei primi secoli.
E se diventasse la superparticella di Dio? Piero Benvenuti sul bosone di Higgs.
Ognuno è solo nel cuore dell’Olocene: Isabella Farinelli su un romanzo di Max Frisch.
Un cammino scandito dal dialogo: nell'informazione religiosa, l’incontro straordinario del Comitato di collegamento islamico-cattolico.
La sanità negata: Mario Ponzi intervista monsignor Jean-Marie Mupendawatu, segretario del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari.
La tragedia dei 54 migranti morti di sete. Mons. Perego: si presidi il Mediterraneo
◊ Sono una cinquantina i migranti sbarcati la notte scorsa nel siracusano. Nelle stesse ore la Guardia di Finanza intercettava, nelle acque dello Jonio calabrese, un’imbarcazione a vela con a bordo 25 persone, tra loro diverse donne e bambini, in prevalenza di origine siriana. Con un secondo sbarco, sempre in Calabria, sono invece arrivati oltre 70 immigrati di varia nazionalità. La maggior parte di chi sbarca sulle coste italiane arriva da Eritrea e Somalia, Paesi da dove provenivano le vittime della tragedia consumatasi in questi giorni nel Mediterraneo e resa nota ieri dall'Alto Commissariato Onu per i Rifugiati. Il Servizio di Francesca Sabatinelli:
Sono morti di sete, dopo aver vissuto un calvario, lo ha testimoniato l’unico superstite, l’unico che può raccontare di quelle 54 vite spezzate a bordo di un gommone in balia del Mediterraneo. Erano partiti dalla Libia circa 15 giorni fa, quasi tutti eritrei, diretti verso le coste italiane e proprio a poca distanza dalla meta i venti hanno respinto in mare aperto questi disgraziati che rimasti senza acqua hanno cominciato a bere quella del mare. Il sopravvissuto è stato ritrovato aggrappato ai resti del gommone da alcuni pescatori tunisini che lo hanno salvato, lui nella sciagura ha perso tre familiari. L’alto commissariato delle Nazioni Unite ci ricorda che solo nel 2012 sono state 1300 le persone arrivate in Italia dalle coste libiche, 170 circa i morti o i dispersi in mare durante le loro disperate traversate. E’ un’altra tragedia consumatasi sulla porta di casa nostra, dice mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, è “una tragedia che non può ancora una volta non aiutarci a pensare a un mondo in fuga, senza vie di fuga: migranti alla ricerca di un Paese, di una casa”:
R. - Di fronte a questi fatti, il primo pensiero va anzitutto alla nostra responsabilità di presidiare un mare, il Mediterraneo, che forse potrebbe essere maggiormente pattugliato perché, soprattutto in questo periodo, partono molte imbarcazioni di profughi, di persone che sono potenziali richiedenti asilo e che certamente hanno bisogno di protezione umanitaria. Oggi, il Mediterraneo, deve diventare anche un luogo in cui tutte le forze marittime, e tutte le forze navali che lo navigano e lo solcano, possano essere anche strumenti importanti per salvare tante persone, rendendo così questo mare una via di fuga sempre più protetta, un canale umanitario che di fatto possa salvaguardare migliaia di persone che fuggono da drammatiche situazioni.
D. – Mons. Perego, chi fugge è eritreo, somalo, proviene da luoghi massacrati da conflitti, dalla carestia, dalla siccità. In che modo, se possibile, si può intervenire direttamente in quei Paesi?
R. – Credo che questa situazione interpelli in due direzioni: la prima è certamente quella di rafforzare la cooperazione internazionale, che in questi anni invece ha avuto una grave battuta di arresto legata alla crisi, ma legata forse anche ad una non attenzione a questi Paesi. Un secondo aspetto, certamente importante, è intervenire all’interno di questi Paesi, ma anche nei Paesi di transito, affinché ci sia un maggiore controllo. Tante volte la politica internazionale interviene laddove ci sono grossi interessi economici, al contrario, laddove non ci sono, tante volte le persone vengono abbandonate a se stesse, oppure abbandonate a trafficanti che controllano il viaggio di queste persone in fuga. Queste due direzioni credo che siano due direzioni importanti sulle quali dovrebbe muoversi la politica e importanti anche per l’azione di sviluppo nella quale siamo tutti impegnati.
D. – Questo suo è un richiamo soprattutto a Paesi, come l’Italia, che si affacciano sul Mediterraneo, ormai diventato uno dei tratti di mare più percorsi proprio da chi è in fuga...
R. – Io credo che l’Italia, nel contesto europeo, possa avere questa grossa vocazione oggi di diventare una porta d’ingresso per l’Europa per tante persone che sono effettivamente in una situazione drammatica. Credo possa stimolare anche la coscienza europea a fare in modo che effettivamente, come del resto è stato proposto a livello europeo, ci sia una gestione del diritto d’asilo in maniera comunitaria, inteso come un diritto d’asilo europeo, e con la capacità, effettivamente, per ognuno dei 27, di organizzare strutture, servizi e anche percorsi di legalità che aiutino effettivamente l’accoglienza, ma che aiutino soprattutto il poter ricominciare da parte di queste persone una vita, all’interno di una situazione di tranquillità dove possono dare il massimo di se stessi. Non dimentichiamo che tante volte dai rifugiati, che noi abbiamo accolto negli ultimi anni, sono uscite persone fondamentali nella storia economica, sociale e politica dell’Italia, ma anche dell’Europa.
Nelle acque del Mediterraneo si continua, dunque, a morire. Stupisce il fatto che il barcone su cui sono morti i 54 immigrati abbia vagato in mare senza ricevere soccorsi addirittura per 15 giorni. C’è un motivo per cui, in questi casi, le operazioni di soccorso possono essere scoraggiate? Adriana Masotti l’ha chiesto a Gabriele Del Grande di Fortress Europe, osservatorio on line sulle vittime dell’immigrazione verso l’Europa:
R. – Abbiamo un unico precedente di condanna di pescatori per un salvataggio: era il 2007. E’ un precedente che sicuramente può, a volte, intimorire i pescatori o i mercantili dal prestare soccorso. C’è anche da chiedersi come mai in quel tratto di mare non ci fossero militari: come mai le navi della nostra Marina Militare, della nostra Guardia di Finanza, della nostra Guardia Costiera, in altri tempi così attive a fare respingimenti in Libia, questa volta non fossero lì per pattugliare, per intercettare e per soccorrere questa barca…
D. – La politica dei respingimenti e gli accordi tra l’Italia e la Libia - stipulati dal precedente governo italiano - venivano giustificati con la volontà di prevenire le morti in mare: impedire le partenze per impedire le morti. Ma in queste politiche c’è qualcosa che non torna...
R. – Ci sono molte cose che non tornano. E’ impensabile reprimere, per mano militare, la volontà delle persone di spostarsi! Gli accordi firmati in passato hanno avuto l’unica conseguenza di spostare le rotte e quindi di renderle più pericolose e più lunghe. Quest’anno gli sbarchi sono drasticamente diminuiti, sono arrivate soltanto 1.300 persone dall’inizio dell’anno, eppure i morti in mare continuano e continueranno fintanto che qualcuno continuerà a tentare la traversata. L’unica vera soluzione sarebbe, invece, aprire alla mobilità: se queste persone avessero la possibilità di fare quel viaggio comodamente seduti, su un aereo low cost, diretto nei nostri Paesi, non staremmo oggi qua a chiederci quale potrebbe essere la soluzione per evitare così tanti morti. Sono ormai più di 20 mila i morti negli ultimi 20 anni alle frontiere dell’Europa.
D. – Ma l’Europa continua a temere di essere invasa dagli immigrati. E’ un timore giustificato?
R. – No, non è un timore giustificato. Anzitutto gli arrivi non sono mai passati via mare. Via mare arrivano pochissime persone rispetto al totale: pensiamo all’Italia, dove abbiamo 5 milioni di stranieri residenti nel nostro Paese e più della metà sono europei e dunque persone che non sono mai arrivate dal mare. In realtà l’unico fattore che regola gli arrivi e il numero degli arrivi è il mercato del lavoro. La dimostrazione di questo è il fatto che negli anni in cui l’economia tirava – anche in Italia – arrivavano moltissime persone anche via mare; negli anni della crisi non sta arrivando più nessuno. Il grande tema adesso, parlando di immigrazione, è il ritorno: centinaia di migliaia di persone stanno lasciando l’Europa per il semplice fatto che c’è crisi, che non c’è più lavoro. Quindi l’Europa dovrebbe smettere di avere paura e governare, appunto, le proprie frontiere, le proprie politiche sulla mobilità in modo più pragmatico e più attento ai diritti e alle vite delle persone. Il vero sforzo politico deve essere, secondo me, non tanto diretto nell’aumento del salvataggio – cosa pur necessaria – quanto nel rendere possibile viaggiare in altri modi. Il problema è nel diritto alla mobilità: siamo nel 2012 e penso che in un mondo globalizzato, in un villaggio globale, spostarsi da una parte all’altra di un mare, come il Mediterraneo, dovrebbe essere un qualcosa che appartiene alla normalità.
Crisi economica. La Spagna taglia le tredicesime e alza l'Iva al 21%
◊ La Spagna taglia le tredicesime per i dipendenti pubblici e porta l'Iva dal 18 al 21%. Ad annunciarlo oggi il premier Rajoy in Parlamento, che ha definito la manovra "necessaria". Le misure di austerity seguono la decisione dei 17 Paesi dell’Eurogruppo e dei 27 ministri dell’economia dell’Ecofin che nelle ultime 24 ore da Bruxelles hanno confermato gli aiuti a Madrid in cambio di una rigorosa politica di bilancio. Massimiliano Menichetti:
L’obiettivo è ridurre il deficit di 65 miliardi di Euro in due anni e mezzo per salvare la Spagna dalla crisi economica e rispettare gli impegni presi con l’Unione Europea. Il premier spagnolo Mariano Rajoy ha portato oggi in Parlamento le misure di austerity che ridisegnano il volto economico del Paese iberico. Annunciato il taglio delle tredicesime per il 2012 di parlamentari, impiegati e alte cariche dell'amministrazione pubblica, ridotti i giorni di ferie e i permessi sindacali. Riviste al ribasso anche le indennità per i sindaci e il numero dei consiglieri degli enti locali che scenderà di circa il 30%. L'Iva sale dal 18% al 21%, per alcuni beni alimentari sale dall'8% al 10%. Solo su uno stretto paniere di beni definiti di assoluta necessità, come il pane, l'aliquota resta al 4%. Sulla percezione di questi tagli nel Paese sentiamo Antonio Pelayo, giornalista della testata spagnola di Antena Tres:
R. – Stiamo vivendo momenti di ansia e di incertezza ma anche di non rassegnazione davanti alla crisi. La crisi da noi è veramente profonda, sarà difficile uscirne anche se penso ci riusciremo. Questo governo che ha una assoluta maggioranza parlamentare ha per così dire le mani libere per decidere misure che sono veramente molto dure e molto poco popolari.
D. – Non sono misure popolari ma sembrano essere accettate…
R. – L’opposizione e l’opinione pubblica sanno benissimo che non è colpa di questo governo se si devono prendere queste misure. L’economia spagnola è in uno stato pessimo. La gente è cosciente che non c’è un’altra alternativa.
D. - Una delle maggiori cause della crisi in Spagna è stata la bolla speculativa sull’edilizia. E’ un problema che si sta affrontando adesso?
R. – Certo, ma il problema è di tale entità che non si può trovare la soluzione con una bacchetta magica! Stiamo parlando di centinaia di migliaia di appartamenti non venduti che gravano sulle banche spagnole che adesso si trovano a essere proprietarie di case vuote e non facilmente vendibili, per cui sarà un problema difficile da risolvere e che ha inciso sulla salute delle banche stesse.
D. – In questo contesto si svolge oggi anche la cosiddetta “Marcia nera” quella dei minatori, da 43 giorni in sciopero, che protestano contro gli ulteriori tagli nel settore…
R. – Questo è stato un settore aiutato sempre da tutti i governi. Adesso questi aiuti devono essere ridotti. Io credo che sia una marcia che alla fine si renderà conto dell’evidenza: non si può continuare a dare soldi. Le miniere spagnole non sono redditizie; costa molto meno comprare il carbone dalla Polonia e dalla Corea che trovarlo in Spagna. Molta gente sarà costretta al prepensionamento, inevitabilmente molte miniere dovranno chiudere.
Infine, c'è da dire che la decisone dell’esecutivo spagnolo segue il sostegno espresso ieri dall’Unione Europea che oggi parla di "passo importante" dell'esecutivo Rajoy. Di fatto ieri Eurogruppo ed Ecofin hanno rinnovato l'accordo sulle misure antispread, il Fondo salva Stati, e il sostegno a Madrid che entro fine mese vedrà arrivare una prima tranche di aiuti da 30 miliardi di Euro. La Spagna ha ottenuto anche un anno di proroga per la riduzione del deficit sotto il 3% in cambio di una rigorosa e attenta politica economica.
Egitto: scontro aperto tra presidente e Alta Corte sulla riapertura del Parlamento
◊ Mentre centinaia di migliaia di persone, in gran parte sostenitori dei Fratelli musulmani, esultavano in Piazza Tahrir per il decreto del presidente Morsi per ridare vita al Parlamento, l'Alta Corte Costituzionale annunciava a sua volta la sospensione dello stesso decreto. Il Parlamento, a maggioranza islamista, era stato sciolto dal Consiglio Supremo delle Forze Armate il 15 giugno, dopo che la Corte Costituzionale aveva dichiarato illegittima la legge elettorale sulla base della quale era stato eletto, tra novembre e gennaio, un terzo dei deputati. Del decreto proposto dal presidente e del braccio di ferro in atto tra poteri in Egitto, Fausta Speranza ha parlato con il prof. Claudio Lo Jacono, direttore della rivista Oriente moderno:
R. – Io credo che fondamentalmente Morsi abbia cercato di accelerare un processo di “travaso” - diciamo - del potere dall’apparato militare all’apparato civile: chiede cioè una misura che possa agevolarlo nel suo lavoro, perché avere un parlamento che non è schierato sulle sue posizioni, renderebbe il suo lavoro molto, molto complicato. Di fatto il potere, se si va a vedere oltre l’apparenza, è sempre nelle mani dell’apparato militare: il Comitato Supremo delle Forze Armate ha ancora una fortissima capacità di incidere sulla vita politica ed economica del Paese. Perciò il tentativo di Morsi era quello di guadagnare credibilità, ma l’unico modo per farlo era di vanificare la misura che era stata presa dalla Corte Costituzionale egiziana, che aveva dichiarato invalide le ultime prove elettorali.
D. – In ogni caso, tutti questi colpi di scena, che si susseguono in queste settimane cruciali per la transizione in Egitto, sembrano avere lo stesso significato: un braccio di ferro tra presidente e Fratelli musulmani da una parte, militari e potere giudiziario dall’altra. E’ così?
R. – E’ esattamente questo: è ancora una situazione d’instabilità, di fatto, dell’assetto politico istituzionale dell’Egitto. Ci sono ancora in ballo delle decisioni fondamentali di chi comanderà il Paese, di chi lo guiderà. Un momento in cui ci sono due protagonisti, due co-protagonisti: ognuno di questi non vuole cedere del tutto all’altro. Già è stato importante che sia stata accettata la nomina di Morsi, ma l’apparato militare vuole rimanere fortemente in una posizione da cui condizionare gli equilibri e gli assetti del Paese, interni e anche internazionali probabilmente.
D. – In qualche modo nella dialettica della democrazia c’è il compromesso e il braccio di ferro: questa, però, sembra una situazione un po’ diversa in cui alcuni poteri sembrano in bilico…
R. – Certo, perché questo grandissimo cambiamento nel più grande Paese arabo si è mosso tutto sul filo tra insurrezione della piazza e – diciamo – cambiamento istituzionale e costituzionale. La piazza in qualche modo vuole far sentire la sua voce, anche forte dei suoi quasi mille morti avuti durante il periodo di Mubarak. Questo condiziona parecchio gli equilibri, anche perché è una piazza che ha appoggiato per alcuni versi il cambiamento democratico, ma non tutta schierata con Morsi – anche dalle elezioni si è vista questa spaccatura a metà del Paese – e che però sta lì come un convitato e neanche tanto assente. Ogni tanto si raduna, fa sentire che c’è e che vuole in qualche modo un cambiamento in chiave proprio democratica, proprio come la intendiamo noi all’occidentale. E’ una piazza che sta chiedendo questo ed è uno strumento non particolarmente gradito agli apparati istituzionali.
17 anni fa il genocidio di Srebrenica costato la vita a 8 mila musulmani bosniaci
◊ Sono migliaia le persone affluite stamani a Srebrenica, situata nell'entità serba della Bosnia ed Eregovina, per partecipare alla cerimonia di commemorazione delle vittime del genocidio di 17 anni fa, costato la vita ad oltre 8 mila musulmani bosniaci. Il presidente americano, Barack Obama, ha condannato i tentativi di negare il genocidio ed ha espresso soddisfazione per i processi all’Aia dei due principali responsabili del massacro, Ratko Mladic e Radovan Karadzic. Da quel drammatico giorno, l’11 luglio 1995, Srebrenica è diventata una questione di coraggio. Chi non lo ha avuto? Risponde, al microfono di Emanuela Campanile, il giornalista e scrittore Luca Leone, esperto di Balcani:
R. - Sono sempre gli stessi. Manca ai politici locali, che anzi sguazzano nel nazionalismo e nel negazionismo. E' mancato e manca ai politici internazionali; spesso manca anche ai giudici del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja. Manca ai giornalisti che hanno paura di chiamare il genocidio col suo nome nonostante ci siano quattro sentenze internazionali che riconoscono che quello di Sebrenica del luglio del 1995 è stato un genocidio.
D. – Qual è la lezione di questa vicenda?
R. – Da un lato è che spesso il lato oscuro torna a prevalere nei popoli e nei politici. L’altro grande lato oscuro è il profondo disinteresse e la profonda ignoranza che caratterizza i popoli e i governanti europei. E, al contempo, il fatto che ancora oggi nessuno voglia prendersi le proprie responsabilità. Tutti avevano gli strumenti per prevedere quanto stava per accadere ma nessuno ha fatto mai nulla. Questa gente è stata completamente abbandonata e se non fosse stato per le donne di Sebrenica, oggi probabilmente nessuno parlerebbe di questo genocidio. Sono state loro a scendere in piazza per fare in modo che uscisse fuori la verità.
D. - Una storia nel cuore d’Europa non ancora risolta…
R. – Da un lato è giusto che tutte le carte vengano controllate e che tutto venga soppesato adeguatamente prima di emettere delle sentenze, ma i battenti del Tribunale Penale Internazionale dovrebbero chiudere nel dicembre del 2014. Questo vuol dire che, ad oggi, non ci sarebbe il tempo neanche per arrivare a sentenze di primo grado, sia nel processo di primo grado contro Mladic sia in quello contro Karadzic. E i giudici si trovano nella condizione difficile di dover trovare una soluzione di compromesso per poter fare il loro lavoro.
Giornata mondiale della popolazione: le sfide più grandi, invecchiamento e lavoro
◊ Si celebra oggi la Giornata mondiale della popolazione, istituita dall’Onu nel 1989, in anni di grave preoccupazione per l’incremento esponenziale del numero di abitanti del Pianeta rispetto alle risorse disponibili per sfamare l’intera umanità. Allora si era già raggiunta la soglia dei 5 miliardi. Un appuntamento dunque atteso per fare il punto su tendenze demografiche e sviluppo. Oggi siamo oltre 7 miliardi sulla Terra. Roberta Gisotti ha intervistato il prof. Antonio Golini, demografo dell’Università “La Sapienza” di Roma:
D. - Professore sono cadute le paure degli anni ’90, quando l’imperativo era quasi “diminuire o morire”?
R. - Sì, negli anni ‘90 c’è stato un periodo di così forte esplosione demografica, che la paura era diffusa. Poi è arrivata la Conferenza mondiale del 94, al Cairo, e giustamente in quell’occasione si è legato il problema della popolazione al problema dello sviluppo economico e sociale, tanto è vero che quella Conferenza si chiamò “sulla popolazione e lo sviluppo”. Effettivamente, il problema come fu posto allora è rimasto tale e quale: alcune popolazioni continuano a crescere a ritmo abbastanza elevato, soprattutto nell’Africa Subsahariana, ma c’è poi il problema grave delle forti disparità nella condizione socio-economica. Se non si risolve la disparità nella condizione socio-economica, non si riesce a risolvere il problema demografico, anche per le aree arretrate.
D. - Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, nel suo messaggio per la Giornata parla di incognite, in rapporto al settore alimentare, energetico, finanziario…
R. - Non c’è dubbio che il problema dei 7 miliardi di abitanti, della prospettiva di arrivare ai 9 miliardi e delle grandi disparità fra le parti del mondo, costituiscono giustamente una preoccupazione per il segretario generale dell’Onu; ma devo dire che si tratta di una preoccupazione per tutti noi, se consideriamo che da qui al 2050, l’Europa si accinge a veder diminuire i propri abitanti e da qui al 2050 l’Africa vedrà invece aumentarli di un miliardo di persone. E’ evidente che uno squilibrio così forte e così intenso, porta a cascata una serie di problemi e preoccupazioni - compresa quella per esempio migratoria - che impongono una diversa visione del mondo, ed una diversa visione della gestione delle cose del mondo, più equa e più sostenibile per tutti.
D. - Quali sfide più urgenti si pongono oggi? Per esempio l’invecchiamento della popolazione…
R. - Certo, l’invecchiamento per noi occidentali è un problema primario, ma lo è diventato anche per la Cina, perché - con la dissennata politica del ‘figlio unico’ - la Cina ha provocato un invecchiamento della popolazione a cui non sanno come far fronte. Però, l’innovazione tecnologica è una di quelle cose che possono fare la differenza: ovunque, si stanno progettando ed attuando prototipi, per ora, che poi diventeranno produzioni in larga serie, di robot-umanoidi che possono assicurare assistenza alle persone anziane. Quindi, noi siamo in vista di una nuova rivoluzione - dopo quelle agricola, industriale e tecnologica - ovvero quella dei robot. Allora, io credo che la preoccupazione più grande, sarà quella del lavoro, e quindi se ci sarà abbastanza lavoro per tutti. Già la crisi recente mostra come la difficoltà grossa che abbiamo noi in occidente, ma anche in oriente, sia proprio quella del lavoro, ed è qui che dovranno puntare tutte le politiche per cercare di riequilibrare un po’ le cose del mondo.
Nata la prima bambina nell'ospedale Cimpaye, in Burundi, grazie ai fondi della Regione Sicilia
◊ E’ nata il 7 luglio scorso la prima bambina nell’ospedale Cimapaye Sicilia, in Burundi. Una grande gioia per i genitori ma anche per il personale della struttura, aperta grazie alla Fondazione San Raffaele Giglio di Cefalù. L’ospedale è stato costruito dalla locale diocesi grazie ai fondi della Regione Sicilia in un’area poverissima dove costantemente le donne muoiono di parto. Il servizio di Benedetta Capelli:
Ci sono due circostanze che rendono questa storia affascinante. La prima è che la bambina nata lo scorso 7 luglio si chiama come l’ospedale nel quale ha visto la luce per la prima volta ossia “Dono di Dio”. La seconda è che la sua venuta al mondo non è stata una gioia solo per i suoi genitori, al quinto figlio, ma anche per tutta la comunità di medici e infermieri che in Burundi hanno lasciato il cuore. Si tratta del personale del San Raffaele Giglio di Cefalù, che da tempo compie missioni sanitarie per supportare i loro colleghi africani e portare materiale, donato anche da altri ospedali siciliani, una cosa non scontata di questi tempi. Una felicità partita dunque da uno dei Paesi più poveri al mondo e arrivata fino al sud Italia. Il presidente del San Raffaele Giglio, Stefano Cirillo:
“Una grande emozione perché raccogliamo finalmente un risultato dopo un paio di anni spesi a lavorare per questo progetto umanitario. Questo era un progetto già iniziato da altri, rimasto un’opera incompiuta, in Burundi - un’area tra le più povere del mondo - dove la mortalità infantile, neonatale e materna è tra le più alte. Un’area assolutamente non coperta dal punto di vista sanitario, quindi, l’aver completato un ospedale, averlo arredato, averlo reso fruibile prima con attività ambulatoriali, oggi anche con quelle chirurgiche - con una sala parto ed una sala operatoria - per noi è un grande risultato”.
Tutto inizia con un incontro avvenuto a Roma nella sede della Fao. In quell’occasione il presidente del Burundi chiese aiuto a Stefano Cirillo nell’organizzazione della sanità del Paese. Poi la partenza di una missione del San Raffaele Giglio, la scoperta di un ospedale non completato e la decisione di ripartire da quelle mura. Ancora Stefano Cirillo:
“Esistono soltanto capanne e si raggiunge l’ospedale a piedi, dopo ore di cammino. Noi abbiamo avuto questa opportunità all’inizio di giugno - volendo provare ecografi e volendo addestrare un po’ di personale medico e gli infermieri - e nel tentativo appunto di far venire qualche persona, ci siamo trovati dietro la porta dell’ospedale centinaia di donne gravide che erano venute a piedi da tutte le campagne facendo ore ed ore di cammino. Bisogna ricordare che questa è un’area dove non esiste assolutamente niente, dove c’è povertà assoluta. Noi vogliamo dare loro una speranza su un’assistenza, che diventa anche molto spesso la soluzione alla sofferenza e soprattutto la possibilità di salvare tante mamme. Per quanto riguarda la mortalità materna - postpartum o intrapartum - mentre da noi muore di parto una donna ogni 100mila, là muore una ogni 100. C’è una bella differenza”.
Molte le persone coinvolte in questa missione e tra di loro c’è il dott. Rosario Squatrito:
“Da un punto di vista umano è un’esperienza estremamente importante perché è un Paese molto difficile con una realtà molto complessa che però ci ha accolto in maniera affettuosa e soprattutto con un grande bisogno. Dal punto di vista professionale è stata anche un momento di scommessa perché in un Paese in cui veramente tutto è molto più complesso tutto è reso difficile dalla logistica, dalla cultura e dall’assenza di molte risorse fondamentali, essere medico in una realtà del genere assume ancora di più un ruolo estremamente importante e interessante anche per noi. Non abbiamo intenzione di sostituirci ai loro medici e ai loro infermieri ma vogliamo rendere i loro medici e i loro infermieri autonomi nella gestione delle attività e trasferire tutto il nostro supporto per tutto quello che può essere l’ambito sanitario e organizzativo”.
Appena tornato dal Burundi Vincenzo Modena, coordinatore infermieristico:
“La mia attività è stata su due fronti, quello della formazione del personale medico e infermieristico e quello della logistica, cioè predisporre i locali, i carrelli, gli armadi, tutti i luoghi di lavoro con tutto il materiale occorrente per le attività che in quel locale deve essere svolto. Sapere che la bambina è nata all’interno di una struttura che il sottoscritto, insieme ai compagni, ai colleghi, ha messo a disposizione sia da un punto di vista delle conoscenze ma anche da un punto di vista fisico, della presenza, dei presidi, riempie di orgoglio. Siamo soprattutto partecipi di questo sogno che stanno vivendo anche loro!”.
Una felicità costellata di tanti momenti importanti come fotografie, che si sfogliano giorno per giorno:
“L’immagine che più mi è rimasta impressa è quella delle donne burundesi piene di una grandissima dignità che per la prima volta si accingevano ad eseguire una ecografia e che, avvisate della possibilità di conoscere il sesso del nascituro, si trovavano davanti a emozioni indescrivibili perché non avevano mai visto un ecografo, non avevano mai visto un’ecografia. Venire a conoscenza del fatto che avrebbero potuto sapere addirittura il sesso del nascituro questo le sconvolgeva da un punto di vista emotivo! E nonostante l’emozione mantenevano una dignità e un rispetto nei confronti del personale sanitario; sono molto rispettosi nei confronti del personale sanitario e straniero. Una volta conosciuto il sesso e finita l’ecografia, si alzavano e andavano via con un sorriso trattenuto che poi esplodeva all’uscita dell’ambulatorio quando incontravano le altre future mamme raccontando: “Ho saputo che il bambino che nascerà è una femmina… è un maschietto…” E lì esplodeva proprio la loro gioia: sapevano di andare a casa e portare notizie che prima sarebbero state impensabili. Queste sono immagini che mi resteranno per sempre”.
Vacanze solidali: la testimonianza di una giovane in partenza per la Guinea Bissau
◊ Vacanze solidali, campi di lavoro, viaggi missionari: sono ogni anno di più i giovani che scelgono di dedicarsi ad esperienze di questo tipo, trascorrendo le proprie vacanze a servizio dei Paesi più poveri del mondo. Angelica Ciccone ha intervistato Irene Benedetto del Movimento giovanile Costruire, studentessa di 22 anni che è stata nell’agosto di 4 anni fa in Uruguay e tra pochi giorni partirà per la Guinea Bissau:
R. – Non è sempre facile trovare un tempo, anche continuato, da dedicare agli altri. Il periodo estivo mi sembra un buon tempo e anche una buona opportunità per mettersi a servizio degli altri. Per quanto mi riguarda non è soltanto una questione di aiuti umanitari o comunque di aiuto concreto ai poveri, ma trova la sua ragione profonda anche nella testimonianza del mio essere cristiana. Forse sacrificare qualche giorno di mare e di sole potrebbe non apparire la scelta più popolare, ma ho fiducia nell’esperienza che mi aspetta.
D. – Già sei stata in Uruguay qualche anno fa: che tipo di esperienza umana e religiosa hai vissuto in quel viaggio?
R. – Avevo appena fatto gli esami di maturità ed ero timorosa. E’ stata importante sicuramente da un punto di vista umano, anzitutto perché sono entrata in contatto con una nuova cultura, con una nuova terra, con una nuova lingua, ma anche per tutte quelle situazioni di povertà materiale che in alcuni posti era ben visibile. Probabilmente l’esperienza umana più forte è stata quella di non voler capire a tutti i costi, ma di essere lì a condividere ciò che ci veniva chiesto. Ci siamo trovati davanti a situazioni di bisogno e non propriamente materiale, ma bisogno di Dio, laddove non c’era neanche la coscienza e la consapevolezza di questo bisogno. Lì non si poteva far altro che testimoniare l’amore in quelle situazioni, anche con gesti piccoli come animare una festa per i bambini della parrocchia o fare visita alle famiglie più lontane della parrocchia.
D. – Che riflessi ha avuto questa esperienza sulla tua vita quotidiana?
R. – Un riflesso importante è stato proprio quello di aprire gli orizzonti e non solo quelli umani, ma anche quelli del cuore: portarti dentro tante persone, tante famiglie, tante situazioni, sentire vicine queste persone e percepire che è nato un legame che resta, nonostante i chilometri, perché è nato in Dio. Continuare poi concretamente a sostenere il lavoro e i progetti dei missionari di quel Paese. Nella vita quotidiana si continua poi sicuramente a dare attenzione all’altro, a chi ci è vicino, nelle piccole cose e senza la presunzione di cambiare le cose, ma semplicemente condividendole.
D. – Quanto è indispensabile essere preparati per vivere bene questa esperienza?
R. – Penso che nessuno mai si senta pronto per una esperienza del genere. C’è sempre la sensazione di non essere all’altezza e di non saper fare bene quello che ci verrà chiesto durante la permanenza. Penso che se non avessi fatto un cammino di formazione cristiana e missionaria, sicuramente mi sarebbe mancato un forte sostegno. E’ importante anche tutto l’aspetto tecnico della preparazione: vengono fatti una serie di incontri per la conoscenza geografica, politica e sociale del Paese; l’aspetto delle vaccinazioni, del cibo e dell’abbigliamento. C’è poi un punto di forza, che sento importante per me: partire con un gruppo di giovani che, come me, condivide il cammino missionario. Per noi la comunità è il fulcro sul quale basare il nostro viaggio e la nostra esperienza.
D. – Cosa ti aspetti da questa partenza per la Guinea Bissau?
R. – Provo a partire col cuore libero e questa libertà mi permetterà di fare più spazio a quello che vivrò. Sinceramente non so cosa succederà, come andrà o come tornerò… Ma ho una certezza: la convinzione che se questo viaggio è un progetto di Dio, allora non c’è neanche da pensare troppo, perché sicuramente avrà in serbo per noi cose belle.
Siria: ancora scontri e vittime. Mosca chiede di prolungare la missione Onu
◊ In Siria si registrano nuovi scontri tra forze governative e ribelli nel quartiere di Qadam, a Damasco. A riferirlo sono i Comitati locali di coordinamento dell'opposizione e l'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus). I bombardamenti governativi sono ripresi stamani in diverse località, in particolare a Quseir, nella provincia di Homs, e in alcuni villaggi vicino a Lattakia. Secondo la stessa fonte, sono 68 le persone morte ieri, tra cui 19 nella provincia di Dayr az Zor. Sul versante politico, intanto, la Russia ha presentato ai membri del Consiglio di Sicurezza dell'Onu una bozza di risoluzione chiedendo il prolungamento di 3 mesi della missione delle Nazioni Unite in Siria. Nel testo si esclude anche l'ipotesi di sanzioni nei confronti di Damasco. Secondo la Russia, la missione degli osservatori internazionali dovrebbe concentrarsi sulla ricerca di una soluzione politica del conflitto. La proposta è stata presentata alla vigilia della relazione dell'inviato speciale di Onu e Lega Araba, Kofi Annan il quale prosegue la sua missione nel tentativo di coinvolgere Iran e Iraq nel piano di pace. "Il mio viaggio - ha detto ieri in una conferenza stampa congiunta con il premier iracheno Nouri al-Maliki - ha toccata Damasco, Teheran e Baghdad. Ho avuto la possibilità di discutere con i leader per fermare le uccisioni, nell'interesse del popolo siriano e per evitare l'estendersi del conflitto ai Paesi vicini". Annan ha infatti messo in guardia entrambi i Paesi sul pericolo che quella che ormai è una guerra civile possa allargarsi oltre i confini siriani. In proposito, il premier iracheno ha garantito il suo sostegno alla mediazione di Annan che poco prima, dopo l'incontro con il ministro iraniano degli Esteri, Ali Akbar Salehi, aveva sostenuto che Teheran può giocare "un ruolo positivo" e di aver trovato in Iran "sostegno e cooperazione". Affermazione che ha trovato eco in quanto detto dall'esponente iraniano, che il suo Paese è "parte della soluzione". (A.L.)
Anche il Forum siriano delle famiglie aderisce al Comitato interreligioso di pace
◊ Il “Forum siriano delle famiglie” ha aderito al movimento interreligioso “Mussalaha” (Riconciliazione) che si sta adoperando per cercare una via di dialogo intersiriano fra le parti nell’attuale conflitto civile. La “Mussalaha” intende dimostrare che esiste una “terza via” possibile, alternativa alla guerra e alle armi, quella della società civile. Come riferito all'agenzia Fides, Salman Al Assaf Binari, fondatore del Forum, che riunisce figure influenti nella società siriana, dei clan e delle diverse comunità, attorno ai principi fondanti e al valore della famiglia, ha rimarcato l’urgenza di “riconciliazione, fratellanza, lealtà e appartenenza”, esprimendo sostegno all’opera di riconciliazione, di dialogo e a un’era di riforme. Khalil Noè, presidente del comitato esecutivo del Forum, ha detto che la Mussalaha “mostra una serie di indizi importanti sulla salute della società siriana: in primo luogo l'unità del popolo siriano, che costituisce una sola famiglia; poi il comune impegno contro settarismo e violenza; quindi la consapevolezza e la volontà di sedersi attorno al tavolo del dialogo. Questi – ha detto – sono i fattori per ottenere l’uscita dalla crisi”. Del Forum fanno parte anche personalità religiose: padre Gabriel Khajo ha sottolineato il bisogno di perdono e di amore, ricordando che l'essere umano è la pietra angolare della società e la famiglia è la principale fonte di educazione. Padre Hermes Shiba, vicario patriarcale della antica Chiesa Assira ha sollevato una accorata preghiera “perché Dio circondi questo Forum con lo Spirito di amore, riconciliazione e di pace”, dicendo che “Dio ci ha creati per vivere in pace e in sicurezza: la pace genera l'amore: amiamoci gli uni gli altri e ad amiamo il nostro Paese” . Comitati locali della Mussalaha sono presenti nelle province di Daraa, Deir Ezzor, Idleb, Hama, Homs e hanno iniziato a ottenere i primi risultati positivi, attirando le simpatie di governo e opposizione. Di recente oltre 800 personalità siriane si sono trovate a Deir Zor, in provincia di Hassaké, per affermare che l'unica via d'uscita dalla crisi è il dialogo interno e una azione non violenta. (R.P.)
Laos: l’eredità della guerra in Vietnam al centro della visita di Hillary Clinton
◊ Hillary Clinton è arrivata a Vientiane, capitale del Laos, per una visita incentrata sulla drammatica eredità della guerra in Vietnam. Si parlerà in particolare, degli effetti dell’uso dell’agente arancio, un potente erbicida usato dagli Stati Uniti tra il 1961 e il 1979. Nel corso della “seconda guerra di Indocina”, nel sud del Vietnam, nel Laos e in Cambogia furono infatti utilizzati prodotti chimici per scopi militari. Milioni di ettari di foreste furono distrutti provocando inondazioni senza precedenti, erosione del suolo nella stagione delle piogge, siccità e incendi boschivi nella stagione secca. Drammatiche anche le conseguenze per la salute dell’uomo, con un rilevante incremento di varie patologie, tra cui malformazioni e tumori. A 42 anni dai bombardamenti segreti statunitensi in Laos, il viaggio di Hillary Clinton, primo segretario di Stato americano a recarsi nel Paese da 57 anni, riflette la “priorità strategica della politica estera” di Washington. “Dopo 10 anni in cui ci siamo focalizzati sui conflitti in Afghanistan e in Iraq - ha affermato - vogliamo incrementare i nostri investimenti, diplomatici, economici, strategici, in questa parte del mondo”. Al centro dei colloqui - ricorda l'agenzia AsiaNews - figura anche il controverso progetto della diga di Xayaburi sul fiume Mekong che, secondo gli ambientalisti, avrebbe effetti devastanti per la fauna ittica e milioni di persone. Il progetto prevede la costruzione di un impianto idroelettrico da 3,5 miliardi di dollari e dalla portata di 1.260 megawatt, in una zona remota nel nord del Laos. Sono circa 65 milioni le persone che vivono lungo il fiume Mekong, il cui corso si snoda attraverso Myanmar, Thailandia, Laos, Cambogia e Vietnam. Il fiume, lungo 4.880 chilometri e ritenuto il secondo più ricco al mondo per biodiversità, è minacciato da molti progetti di dighe idroelettriche, tra cui quella di Xayaburi. (A.L.)
Congo: nell'est oltre 220mila sfollati interni a causa della guerriglia M23
◊ Oltre 220.000 persone sono sfollate nell’est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) da quando un gruppo di militari disertori delle Forze armate nazionali congolesi (Fardc) ha dato vita ad una nuova formazione di guerriglia, l’M23. Il dato è riportato dell’agenzia Irin, ripresa dalla Fides, promossa dall’ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari, secondo la quale gli sfollati interni nella regione hanno superato i due milioni, per la prima volta dal 2009. Circa 20.000 congolesi, tra cui 600 soldati delle Fardc, hanno cercato rifugio in Uganda e in Rwanda. Quest’ultimo Paese è però accusato di appoggiare l’M23 da un rapporto di Human Rights Watch, pubblicato all’inizio di giugno, e da una relazione aggiuntiva al rapporto del Gruppo di esperti sulla Rdc. L’appoggio rwandese consisterebbe, secondo il documento Onu, nel rifornimento di armi, nel trasporto di uomini ed equipaggiamenti dell’M23 attraverso il territorio rwandese, e nel reclutamento di rwandesi e congolesi che vivono in Rwanda da inserire nelle file del movimento. Il documento afferma inoltre che il Rwanda appoggerebbe altri 6 gruppi armati attivi nella regione. Le accuse sono state respinte del governo di Kigali. Il Rwanda afferma che il suo unico interesse nell’est della Rdc deriva dalla presenza nell’area delle Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda (Fdlr), un gruppo formato inizialmente dalle milizie hutu responsabili dei massacri rwandesi del 1994 che hanno trovato rifugio nell’allora Zaire. Ma il rapporto Onu afferma che tra le persone reclutate dal governo rwandese per rimpolpare i ranghi dell’M23 vi sarebbero pure ex appartenenti alle Fdlr che si erano arresi e si erano ristabiliti in Rwanda. Come più volte denunciato da più parti, compresi i missionari e gli stessi vescovi congolesi, l’instabilità dell’est della Rdc è funzionale alla predazione delle enormi ricchezze naturali dell’area. I vescovi hanno ribadito la loro netta opposizione alla “balcanizzazione del Paese”, che potrebbe iniziare proprio dall’est, staccando le due province del Kivu dal resto del Paese. (R.P.)
Africa Occidentale. Allarme colera: a rischio carestia 23 milioni di persone
◊ In Africa Occidentale sono molteplici i fattori che alimentano il rischio di un’epidemia di colera su scala regionale. Tra questi, l’insicurezza alimentare, l’inizio della stagione umida e la fuga dal Mali di migliaia di persone a causa del conflitto nel nord del Paese. A lanciare l’allarme è l’Unicef ricordando che, dall’inizio dell’anno, sono oltre 700 le persone morte per colera in questa regione dell’Africa. La malnutrizione è una piaga sempre più preoccupante. Il crollo della produzione di cereali a causa di piogge irregolari e insufficienti ha gravissime ripercussioni in diversi Paesi dell’Africa Occidentale. Si stima siano circa 23 milioni le persone a rischio carestia, tra cui almeno 40 mila bambini in Niger. A rendere la situazione ancora più drammatica è il conflitto nel nord del Mali. Finora – ricorda l’agenzia Misna - sono almeno 300 mila le persone fuggite dalle regioni settentrionali del Paese. Per mettere in fuga la popolazione, gli estremisti islamici hanno anche distrutto e danneggiato monumenti e tombe della città di Timbuctu, dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Il colera colpisce in modo endemico soprattutto le aree più povere del pianeta, dove generalmente è più difficile avere accesso ad acqua pulita e a sistemi sanitari adeguati. (A.L.)
Vescovi Usa: preoccupazione per il progetto di legge sull'agricoltura
◊ La Conferenza episcopale statunitense (Usccb), insieme ai Catholic Relief Services (Crs) e alla National Catholic Rural Life Conference (Ncrlc), esprime preoccupazione per la versione del Farm Bill (Legge sull’agricoltura) proposta dalla Commissione parlamentare per l’agricoltura. In una lettera a Frank D. Lucas e Collin Peterson, rispettivamente presidente e primo membro della Commissione, i vescovi Stephen E. Blaire (Stockton, California) e Richard E. Pates (Des Moines, Iowa), insieme a Carolyn Y. Woo, presidente Crs, e a James F. Ennis, direttore esecutivo Ncrlc, scrivono: “Il Farm Bill non può limitarsi a tagli sproporzionati a servizi essenziali per le persone che soffrono la fame, poveri e vulnerabili”. Gli autori della lettera - riferisce l'agenzia Sir - affermano la necessità di “sostenere programmi per l’alimentazione” e “per le aziende a conduzione familiare di piccole e medie dimensioni”, e di “aiutare le comunità rurali, in patria all‘estero, a prosperare”. I vescovi Blaire e Pates sono, rispettivamente, presidente della Commissione giustizia interna e sviluppo umano, e della Commissione giustizia internazionale e pace della Usccb. Pur riconoscendo alcuni aspetti positivi nella proposta di legge, il documento dei vescovi e delle realtà cattoliche esprime anche preoccupazione per i tagli di oltre 16 miliardi di dollari al programma Supplemental Nutrition Assistance (Snap), definendoli “ingiustificati e sbagliati”. (R.P.)
Croazia. I vescovi: immorale e disumano il progetto di legge sulla fecondazione assistita
◊ “La bozza finale del progetto di legge sulla fecondazione assistita è immorale e disumana e la sua attuazione avrebbe conseguenze imprevedibili sulla società croata”: lo scrive chiaramente la Conferenza episcopale della Croazia (Ccb) in una dichiarazione pubblicata due giorni fa. Nel testo, i vescovi evidenziano, punto per punto, le criticità del disegno normativo, affermando che esso “è incompatibile con la Costituzione nazionale” perché “il diritto alla vita del nascituro non è garantito sin dal concepimento”. Allo stesso tempo, il progetto di legge è “disumano” in quanto ha un “carattere eugenetico”, ponendo come obiettivo “il concepimento, la gestazione e la nascita di un bambino sano”, il che implica “l’uso illimitato della diagnosi pre-impianto”. La bozza di normativa, inoltre, non servirebbe a “guarire le cause dell’infertilità” e “non risolverebbe, bensì moltiplicherebbe i problemi medici, legali ed etici” della fecondazione assistita, soprattutto per quanto riguarda il trattamento degli embrioni congelati, “la cui sorte non è ben chiara e definita”. E non solo: dal punto di vista professionale, ribadiscono i vescovi croati, il progetto di legge “mina la dignità del medico che, applicando una normativa simile, finirebbe per violare il Giuramento di Ippocrate ed il Codice deontologico”. La Ccb evidenzia, poi, un’ulteriore criticità nel fatto che tale tipo di fecondazione assistita, destinata “ad un’ampia cerchia di utenti” recherebbe danno “al matrimonio e alla famiglia, istituzioni-cardine della società, nel tentativo di equiparare ad esse altre forme di convivenza”. Invece di fare “gli interessi futuri dei cittadini croati”, sottolineano quindi i presuli di Zagabria, la normativa proposta “favorisce le finanze delle società farmaceutiche e delle case di cura”. Ed è ritenuto grave il fatto che il progetto di legge “non sia inflessibile in presenza di abusi e violazioni della norma stessa, poiché non prevede pene severe per la reiterazione di reati o per crimini commessi da gruppi organizzati”. Allo stesso modo, non è prevista “la revoca dell’abilitazione all’esercizio della professione per il personale medico che violi la normativa”, il quale andrebbe incontro solo a “sanzioni economiche e non a pene detentive”. La Chiesa croata, inoltre, rileva una certa fretta nel voler far approvare tale progetto di legge “prima della pausa estiva dei lavori del Parlamento”, mentre invece “dato il suo contenuto e la sua importanza, il testo in esame richiede un ampio dibattito democratico con una discussione aperta dei differenti punti di vista, così da fornire ai cittadini un’informazione credibile”. Quanto ai sostenitori della normativa che ribadiscono di doverla approvare perché così hanno promesso ai cittadini durante la campagna elettorale, i vescovi affermano: “Né una promessa né una vittoria alle urne conferisce il potere di vita o di morte o dà campo libero alla minaccia di valori fondamentali come il matrimonio e la famiglia”. Di qui, l’appello che la Ccb lancia affinché i parlamentari, “soprattutto quelli che si dichiarano cattolici, non macchino la propria coscienza attuando tale legislazione che va direttamente contro la vita e la dignità del matrimonio e della famiglia”. L’invito ai fedeli, infine, è a “pregare e a dimostrare il loro impegno nella cultura della vita”. (A cura di Isabella Piro)
Usa: due ex comunità episcopaliane entrano in comunione con la Chiesa cattolica
◊ Due ex comunità episcopaliane del Sud della California sono entrate in piena comunione con la Chiesa cattolica. Come riporta l’agenzia Cns, le comunità di Sant’Agostino di Canterbury, a Oceanside-Carlsbad e del Beato John Henry Newman, a Santa Ana, sono state ammesse ufficialmente il 3 luglio nel nuovo Ordinariato personale della Cattedra di San Pietro, eretto dal Santo Padre lo scorso gennaio per gli anglicani che desiderano entrare in piena comunione con Roma mantenendo alcune forme e tradizioni della liturgia della Chiesa d’Inghilterra, secondo quanto stabilito dalla Costituzione apostolica “Anglicanorum Coetibus”. A presiedere la liturgia nella Basilica della Missione di San Juan Capistrano, mons. Tod D. Brown, vescovo di Orange. Tra i concelebranti mons. Jeffrey Steenson, già vescovo episcopaliano nominato dal Santo Padre a guidare il nuovo Ordinariato e padre Andrew Bartus, ex pastore anglicano della comunità del Beato John Henry Newman che ha ricevuto contestualmente la nuova ordinazione sacerdotale, accompagnato dalla moglie. Nell’omelia mons. Steenson si è soffermato sulla sfida “di essere uomini e donne di comunione”, ricordando ai presenti che con il loro ingresso nella Chiesa cattolica l’impegno per l’unità dovrà continuare: “I nostri cuori – ha detto - sono pieni di gioia e gratitudine, ma da questo momento dobbiamo essere attenti ad ogni passo che compiamo perché la nostra sia una testimonianza di questo dono dell’unità”. Alla celebrazione era presente anche George Ortiz-Guzman, già pastore anglicano della comunità di Sant’Agostino di Canterbury e anch’egli aspirante sacerdote cattolico. La comunità conta attualmente una cinquantina di fedeli, 38 dei quali sono stati accolti nella Chiesa cattolica durante la liturgia, mentre i restanti devono ancora decidere. Il nuovo Ordinariato della Cattedra di San Pietro è il secondo ordinariato personale per gli ex anglicani eretto dal Santo Padre dopo quello di Nostra Signora di Walsingham nel Regno Unito. Di recente un terzo Ordinariato è stato istituito anche in Australia.
(A cura di Lisa zengarini)
Onu: i diritti umani vanno tutelati anche sul Web
◊ I diritti umani, tra cui la libertà di espressione, devono essere tutelati anche su Internet. E’ quanto sancisce una risoluzione votata dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. “Gli stessi diritti che le persone hanno offline – si legge nel testo approvato a Ginevra - devono essere protetti online, in particolare la libertà di espressione, che è applicabile indipendentemente dalle frontiere e su ogni media scelto”. Il documento si spinge inoltre fino a considerare “la natura globale e aperta della rete una forza nell'accelerazione del progresso verso lo sviluppo nelle sue varie forme” chiedendo “a tutti gli stati di promuovere e facilitare l'accesso a Internet”. La risoluzione, promossa dalla Svezia, è stata sottoscritta da vari Paesi. Tra questi anche Cina e Cuba, che avevano espresso alcune riserve durante la discussione preliminare. Ma poi hanno riconosciuto “la natura globale e aperta di Internet come una forza cruciale per il progresso”. Ha appoggiato la risoluzione anche la Tunisia, Paese dove ha avuto inizio la cosiddetta “primavera araba”, proprio su impulso della rete. “Il risultato più rilevante della rivoluzione - ha detto l'ambasciatore tunisino Moncef Baa - è il diritto alla libertà di espressione ed è per questo che in Tunisia c'è un grande impegno nel consolidare i diritti di Internet”. (A.L.)
Filippine: la Chiesa si prepara per il V centenario dell'evangelizzazione del Paese
◊ L’inizio di un percorso spirituale, lungo nove anni, per preparare i fedeli alla storica celebrazione, il 16 marzo 2021, del quinto centenario dell’inizio dell’evangelizzazione delle Filippine: è quanto hanno deciso i vescovi del Paese nel corso della plenaria che si è conclusa lunedì scorso, con la pubblicazione di una lettera pastorale intitolata “Live Christ, Share Christ”, (“Vivi Cristo, condividi Cristo”). Nel documento – ripreso da “L’Osservatore Romano” - i presuli ripercorrono le primissime tappe del lungo percorso di evangelizzazione del Paese: la prima Messa sul suolo filippino, celebrata sull’isola di Limasawa il 31 marzo del 1521, domenica di Pasqua; i primi due nativi battezzati, il Rajah Humabon e sua moglie Hara Amihan che assunsero rispettivamente i nomi Carlos e Juana; il dono di una statua del Santo Niño da parte di Ferdinando Magellano conservata oggi a Cebu. La lettera annuncia che il cammino spirituale di preparazione al centenario avrà ufficialmente inizio il prossimo 21 ottobre quando, in coincidenza con l’inizio dell’Anno della Fede, Benedetto XVI aggiungerà al novero dei santi Pedro Calungsod, il proto-martire d’origine Visayan morto per la fede nel 1672 a Guam. La canonizzazione – ricordano inoltre i presuli filippini - avverrà durante il XIII Sinodo dei Vescovi sulla Nuova Evangelizzazione. Nel documento si sottolinea che “questa nuova evangelizzazione” è soprattutto indirizzata a coloro che si sono allontanati dalla fede e dalla Chiesa nei Paesi tradizionalmente cattolici, specialmente in Occidente. “Ciò che, invece, noi siamo chiamati a compiere per la nuova evangelizzazione in Asia – affermano i vescovi - riguarda “i nuovi metodi e mezzi per trasmettere la Buona Novella" in modo più efficace. In questo senso i fedeli filippini sono chiamati a “divenire sempre più autentici testimoni della fede, specialmente verso i nostri vicini asiatici, come frutto della nostra intensificata intimità con il Signore”. L’assemblea della Conferenza episcopale filippina è stata aperta, lo scorso fine settimana, con la lettura del messaggio di Benedetto XVI, a firma del cardinale Segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Nel testo, il Santo Padre esprime l’augurio che “le iniziative portate avanti dai pastori delle Filippine producano copiosi frutti capaci di guidare i cristiani alla fede, alla libertà e alla pace di Cristo”. (L.Z.)
India: la Conferenza dei Superiori delle congregazioni a confronto con i giovani religiosi
◊ Fissare una road-map per riconfigurare il futuro della vita consacrata in India con il contributo dei giovani. Questo l’obiettivo del convegno “Leadership for Consacrated Life 2020” che vede riuniti in questi giorni a Okhla, alla periferia di New Delhi, religiosi e religiose di età compresa tra i 30 e i 35 anni e appartenenti a un centinaio di congregazioni presenti nel Paese. Organizzato dalla Conferenza dei Superiori religiosi dell’India (Cri), il convegno – riferisce l’agenzia Ucan - conclude una serie di incontri regionali convocati in questi due anni per discutere insieme alle nuove leve religiose le strategie su come affrontare le nuove sfide della modernità. Dodici in particolare i punti al centro della riflessione di questa ultima sessione: come promuovere la buona governance nelle congregazioni religiose; la necessaria conoscenza e padronanza delle tecnologie moderne quale condizione imprescindibile per diventare buoni leader e la promozione di maggiori sinergie per rendere più incisiva la missione evangelizzatrice dei religiosi e delle religiose in India. I partecipanti presenteranno quindi le loro proposte di azione per realizzare questi obiettivi di qui al 2020. (L.Z.)
Colonia: incontro degli addetti stampa e portavoce delle Conferenze episcopali europee
◊ Il rapporto tra i media e la Chiesa cattolica è il filo conduttore dell’incontro degli addetti stampa e portavoce delle Conferenze episcopali d’Europa che si svolge da oggi al 14 luglio a Colonia. L’appuntamento nella città tedesca, dove giungono vescovi, presbiteri e laici da tutto il continente, si articola in diverse sessioni e sono previste presentazioni di rapporti sul Ccee e sulla Comece nonché momenti aperti di confronto e visite a strumenti della comunicazione sociale presenti a Colonia. Fra i temi in agenda figurano la situazione della Chiesa tedesca alla luce della visita del Papa, media e Chiesa cattolica in Germania, come comunicare sui temi finanziari relativi alla vita delle Chiese. Una sessione speciale è riservata al tema “L’anno della fede: ciò che le conferenze episcopali hanno in progetto e come comunicarlo”. Uno spazio specifico durante i lavori degli addetti stampa e portavoce delle Conferenze episcopali - riporta l'agenzia Sir - sarà riservato alla presentazione del servizio Sir Europa, a cura del direttore Paolo Bustaffa. I partecipanti incontreranno anche alcune personalità laiche ed ecclesiali fra cui mons. Heiner Koch, vescovo ausiliare di Colonia, mons. Hans Langendorfer, segretario generale della Conferenza episcopale tedesca, Ludwig Ring-Eifel, direttore dell’agenzia Kna, Thomas Juncker, direttore del Katholische Medienhaus. (R.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 193