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Sommario del 09/07/2012
◊ Mezz’ora per ritornare sui luoghi nei quali visse un’esperienza d’eccezione al tempo del Vaticano II e ricordare che l'amore di Dio va annunciato con dinamismo e gioia. Con questa intenzione, Benedetto XVI ha lasciato nella tarda mattinata di oggi la residenza estiva di Castel Gandolfo per compiere una breve visita privata alla comunità dei Padri Verbiti, situata nella vicina località di Nemi. Dopo l’incontro con i vertici della Congregazione religiosa e un rapido scambio di saluti, il Pontefice ha fatto rientro in auto a Castel Gandolfo. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Avrebbe compiuto 38 anni di lì a poco, Joseph Ratzinger, una tra le menti giovani e brillanti convocate a Roma nei primi mesi del 1965 per contribuire alla stesura delle ultime pagine del Vaticano II. Quelle, in particolare, del Decreto Ad Gentes, che alla fine di quello stesso anno avrebbe messo nero su bianco i nuovi principi dell’attività missionaria della Chiesa. Diventato il Papa che tra pochi mesi darà massima solennità alle celebrazioni per 50 anni dall’inizio del Concilio, Benedetto XVI ha voluto rivedere brevemente il luogo in cui per una settimana – dal 29 marzo al 3 aprile 1965 – assieme a quattro vescovi e cinque colleghi teologi soggiornò per stendere la bozza di uno dei quei testi-cardine con i quali la Chiesa stava ridisegnando se stessa e il proprio futuro.
Di fronte al folto gruppo di religiosi della Società del Verbo Divino, guidata dal superiore generale padre Antonio Pernia e dal suo successore, padre Heinz Kulüke, da poco eletto dal capitolo generale in corso e del procuratore generale, padre Giancarlo Girardi – il Papa ha rievocato parlando a braccio quei giorni di 47 anni fa: dal contrasto esterno tra il silenzio nel verde di Nemi e la frenesia di Roma a quello interno al suo gruppo di lavoro, dominato dalla controversia “che io – ha ricordato con una certa simpatia il Pontefice – non ho mai realmente capito tra la scuola di Lovanio e di Münster" (ovvero, ha spiegato, “scopo principale della missione è la implantatio Ecclesiae o l’annunzio Evangelii?)”. Aneddoti e frammenti di ricordi che Benedetto XVI ha collocato come tessere di sfondo attorno al centro del quadro: l’opportunità di aver collaborato – pur essendo “un teologo senza grande importanza, molto giovane, invitato non so perché”, si è schermito – a “un incarico così importante e bello”. L’elaborazione di un testo “quasi accettato unanimemente da tutti i Padri conciliari”:
“Tutto convergeva in un unico dinamismo della necessità di portare la luce della Parola di Dio, la luce dell’amore di Dio nel mondo e di dare una nuova gioia per questo annuncio (...) Il bene che ha la necessità in sé di comunicarsi, di darsi: non può stare in se stesso, la cosa buona, la bontà stessa essenzialmente è communicatio. E questo già appare nel Mistero Trinitario, all’interno di Dio, e si diffonde nella storia della salvezza e nella nostra necessità di dare ad altri il bene che abbiamo ricevuto. Chiaramente il dinamismo missionario vive, e vive solo se c’è la gioia del vangelo, se stiamo nell’esperienza del bene che viene da Dio e che deve e vuol comunicarsi”.
In precedenza, Benedetto XVI si era soffermato in preghiera davanti al Santissimo Sacramento nella cappella della casa dei Verbiti, dove lo attendevano i 150 partecipanti al Capitolo generale, assieme ai membri della Curia generalizia di Roma. Quindi il congedo, al termine di un momento che, pur nella sua stringatezza, ha lasciato nei religiosi, ancora una volta, un’impressione di calore e di genuina amicizia da parte del Papa, come conferma ai nostri microfoni il superiore generale dei Verbiti, padre Antonio Pernia, contattato subito dopo la partenza del Papa:
R. - Ho salutato il Papa, ringraziandolo per la visita specialmente perché si è trattato di una visita molto amichevole, come una visita di famiglia. Tutti i membri del Capitolo, tutta la gente che era qui era emozionata e impressionata anche dalla semplicità e dalla spontaneità mostrate dal Santo Padre.
D. - Fin dall’inizio del Pontificato, Benedetto XVI ha sempre dichiarato la sua totale adesione al Vaticano II e anche un avvenimento all’apparenza piccolo come quello di questa mattina è un segno di questa sintonia del Papa con il Concilio...
R. - Sì, certo. Io non ho dubbi che il Papa si senta in sintonia con lo spirito del Concilio Vaticano II. Nel camminare e conversare informalmente con il Santo Padre, che ha voluto vedere il Lago di Nemi, egli ha espresso la speranza che questo spirito missionario, che il Concilio Vaticano II ha mostrato, continui nella nostra Congregazione e anche nella Chiesa.
D. - Il vostro Istituto è da oltre due settimane riunito in capitolo generale. Quali temi vi stanno guidando e quali scenari pastorali stanno emergendo?
R. - Abbiamo scelto come tema del capitolo un versetto del libro dell’Apocalisse, “Da ogni popolo, lingua e nazione: condividere la vita e la missione interculturali”. Cioè, in questo Capitolo abbiamo deciso di concentrarci sulla questione della nostra interculturalità - come Congregazione - ma anche sulla multiculturalità del mondo di oggi. Su quali siano quindi le necessità missionarie che un mondo multiculturale pone a una Congregazione che è multiculturale essa stessa.
Congo. Il cardinale Filoni ai vescovi: rilancio della Missione ad gentes e formazione permanente
◊ Il rilancio della Missione ad gentes e dell’evangelizzazione in profondità della cultura e della mentalità; la formazione integrale e permanente dei candidati al sacerdozio e alla vita consacrata e dei fedeli laici; la promozione della riconciliazione, della giustizia e della pace; l’accompagnamento umano e spirituale dei sacerdoti e delle persone consacrate; l’invito ai vescovi a mettersi alla scuola di Gesù Buon Pastore e a ripartire da Cristo. Sono queste le indicazioni che il cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ha lasciato ai vescovi congolesi - riferisce l'agenzia Fides - concludendo l’Assemblea plenaria della Conferenza episcopale (Cenco), al termine della sua visita pastorale nella Repubblica Democratica del Congo. “Riparto felice e soddisfatto di aver incontrato una Chiesa viva e missionaria, una Chiesa presente e molto attiva nel campo sociale ed educativo, una Chiesa vicina ai più poveri, che si impegna a farsi carico delle loro necessità vitali, traducendo in azioni l'amore infinito di Gesù per gli uomini, specie i più poveri” ha detto il Prefetto del Dicastero Missionario, sottolineando la difficoltà del contesto in cui la Chiesa opera. “Alcuni di voi vivono nell’insicurezza totale e subiscono anche minacce nello svolgimento della loro missione – ha proseguito il cardinale Filoni -. Ammiro l'ottimismo e la determinazione con cui la maggior parte di voi affronta difficoltà di ogni genere che segnano la vita delle vostre diocesi. Nonostante queste numerose difficoltà, state facendo un lavoro eroico per portare avanti la missione”. Gli aspetti positivi sono purtroppo contrastati da alcune realtà negative: oltre alle conseguenze della povertà, dei conflitti e dell'insicurezza, “la Chiesa sta soffrendo anche e soprattutto a causa dei difetti di comportamento e della mancanza di fedeltà di alcuni suoi membri, sacerdoti e consacrati”, ha messo in evidenza il cardinale Filoni, dicendosi comunque fiducioso che i vescovi conoscono bene la situazione, le sfide e le priorità da affontare. Il Prefetto del Dicastero Missionario ha concluso la sua omelia raccomandando ai vescovi “di vivere nell’unità, mostrando così il volto di Cristo”, e affidando tutti all’intercessione della Vergine Maria, Notre Dame du Congo, Stella dell’Evangelizzazione. Prima di lasciare Kinshasa il porporato si è recato in visita all’Université Catholique du Congo e rivolgendosi al rettore ed ai professori, ha sottolineato “l'ottima reputazione di cui gode l'istituto. Nel suo discorso il Prefetto del Dicastero Missionario ha evidenziato che “l'Università cattolica è un importante strumento di evangelizzazione”, come sottolineato dal Beato Papa Giovanni Paolo II e riconfermato da Papa Benedetto XVI. L’università può e deve offrire un importante contributo alla società africana nel campo dell’educazione e della promozione della giustizia, della pace e della riconciliazione, che sono una priorità per il Paese, ha sottolineato ancora il cardinale Filoni, che ha esortato allo studio della Dottrina sociale della Chiesa per raggiungere tale scopo. (R.P.)
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Il più bel ricordo del Concilio: la visita di Benedetto XVI alla Casa Ad Gentes dei Verbiti a Nemi.
In rilievo, nell'informazione internazionale, la Nigeria travolta dalle violenze: nuove stragi nello Stato di Plateau dove il terrorismo pseudoreligioso aggrava e cerca di strumentalizzare gli scontri etnici.
Voterei per Pietro: in cultura, la lettera del 12 ottobre 1958 scritta, alla vigilia del conclave, dal cardinale Celio Costantini: vi proponeva Agagianian come successore di Pio XII.
Se anche la sofferenza diventa arte: Gaetano Vallini sulle fotografie di Don McCullin in mostra a Reggio Emilia.
La presentazione al libro di Angelo Paoluzi "Voci di carta. Dall'universo della stampa cattolica".
Bacone aveva bisogno dello smartphone: Ernesto D'Avanzo sul progetto FuturIct che fornisce una piattaforma aperta per l'elaborazione dell'immensa quantità di dati presenti nella rete.
Un robusto filo intrecciato alla Parola: Cristiana Dobner su donne e Bibbia nel medioevo.
Un vescovo in terra di missione: l'episcopato parigino del cardinale Emmanuel Suhard in un libro del sociologo Jean-Pierre Guérend.
Le identità strappate dalla Stasi: riguardo a un reportage di Andrea Tarquini su "la Repubblica".
Quant'è difficile credere al figlio del falegname: all'Angelus Benedetto XVI parla dei miracoli compiuti da Gesù.
Nigeria, oltre 100 morti. Mons. Kaigama: nodo è scontro agricoltori-pastori
◊ Dalla Nigeria ancora drammatiche notizie che riguardano i gruppi cristiani. E’ salito ad oltre 100 il numero delle vittime di vari episodi di violenza avvenuti nel fine settimana nello Stato nigeriano di Plateau. Tra i morti ci sono anche due deputati, lo ha riferito il portavoce del governatore. “Il massacro è originato dallo scontro tra agricoltori e pastori – ha affermato con dolore mons. Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza Episcopale della Nigeria – secondo il quale è doveroso intervenire per fermare questa mattanza”. Su quanto sta avvenendo ascoltiamo il presule intervistato da Giancarlo La Vella:
R. – E’ una notizia estremamente triste. Vedere la gente uccisa, vedere che non si dà alcun valore alla vita: è terribile. A questo punto, è difficile dire cosa possiamo fare. Noi preghiamo sempre e il governo sta lavorando con l’agenzia di sicurezza, ma questa situazione continua e noi dobbiamo fare in modo che termini. I pastori si trovano in conflitto con gli agricoltori, perché nelle crisi precedenti hanno perso i loro animali ed è questa, secondo me, la fonte del problema. Spero che il governo locale possa aprire un dialogo tra pastori e agricoltori. E’ facile interpretare questi fatti come una crisi di religione, ma per me si tratta di una crisi economica, dove in fondo è presente anche una questione politica. Dobbiamo vedere quindi le cose come veramente sono.
D. – Più volte lei ha detto che non si tratta di una guerra di religione, ma a questo punto il governo deve intervenire in modo concreto…
R. – Sì, il governo ha l’obbligo di intervenire, perché ha il potere, ha armi, soldati, polizia: l’importante è che si faccia qualcosa. Noi siamo preoccupati e siamo molto tristi nel vedere morire la gente così, come fossero animali.
D. – Secondo lei, il governo ha sottovalutato in passato la situazione? Si poteva intervenie prima?
R. – Io ho sempre promosso il dialogo tra i pastori e gli agricoltori, tra diversi gruppi etnici, ma questo non è mai stato fatto. Ora, è molto difficile aprire un dialogo perché la gente è infuriata: c’è un sentimento profondo di amarezza ed è anche difficile fare una guerra contro chi non si conosce. E’ una situazione molto difficile, però credo che l’agenzia di sicurezza avrà l’intelligenza per trovare il modo di confrontarsi con questi problemi. Noi abbiamo bisogno di pace, vogliamo stare in pace: cristiani con i musulmani, ma anche insieme ad altri gruppi etnici. Noi vogliamo restare in pace e progredire nel campo politico, economico, sociale…
D. – E’ opportuno, secondo lei, che la comunità internazionale si faccia carico – in accordo con il governo nigeriano – di questa situazione, caso mai con un intervento dell’Unione Africana per esempio?
R. – Il governo deve agire in fretta ed è importante che chieda aiuto. La Nigeria deve essere in contatto con altre Nazioni, in Africa ma anche in Europa. Tutte le varie entità internazionali devono agire insieme. Quanto sta accadendo, non è una cosa che la Nigeria possa affrontare da sola. Bisogna cercare insieme delle soluzioni contro questo tipo di terrorismo.
Incontro Annan-Assad: nuovo piano di pace per la Siria
◊ Incontro costruttivo: così il presidente Assad e il mediatore Onu e Lega Araba Annan al termine del loro colloquio a Damasco. Le parti hanno deciso di sottoporre all’opposizione un nuovo piano di pace. Intanto da Mosca, dove gli insorti hanno avuto colloqui con le autorità russe, arriva l’attacco del presidente Putin all’Occidente, colpevole di esportare solo la “democrazia delle bombe”. Benedetta Capelli:
Forse uno spiraglio di pace nel conflitto in Siria. Sia il presidente Assad sia l’inviato di Onu e Lega Araba, Kofi Annan, hanno concordato sul buon esito dell’incontro avuto a Damasco, incontro definito “franco e costruttivo”. Al termine dei colloqui, Annan ha spiegato che è stato deciso un “nuovo approccio” per mettere fine alle violenze in Siria e che sarà sottoposto ai ribelli armati. A far capire che il vento stia cambiano anche la prossima tappa di Annan, atteso in serata a Teheran. Il mediatore si è sempre detto convinto che il solido alleato di Damasco debba essere coinvolto nella crisi siriana. In Iran si discuterà degli esiti del vertice di Ginevra del 30 giugno scorso; riunione nella quale molti Paesi avevano chiesto l’uscita di scena di Assad. A Mosca, altro alleato della Siria, si è svolto un incontro tra l’opposizione siriana e il ministro degli Esteri russo Lavrov. I ribelli hanno affermato che il Paese è ormai diventato “l’arena di un conflitto internazionale” e che è la violenza ad impedire il confronto tra governo e opposizione. Di quest’ultimo punto ha parlato anche il presidente russo Putin che ha invocato per la Siria una soluzione pacifica a lungo termine senza interventi esterni. Il capo del Cremlino ha poi avuto parole forti per l’Occidente che tenta di conservare la sua influenza attraverso le operazioni umanitarie e l'esportazione della "democrazia dei missili e delle bombe". Intanto in Siria non cessa la violenza, secondo l’opposizione sia ad Homs che a Damasco proseguono i bombardamenti ed i combattimenti. Sarebbero una ventina le vittime di oggi.
Egitto. Convocato per domani il parlamento, i militari in seduta d’emergenza
◊ Il presidente del parlamento egiziano ha convocato per domani una riunione della Camera bassa dopo che ieri il presidente Mohammed Morsi ha revocato l'ordine di scioglimento del parlamento deciso dal Consiglio supremo militare. Immediata la reazione dei vertici in divisa, che hanno convocato una seduta d’emergenza “per studiare e discutere le ripercussioni della decisione” del neo capo di Stato. Il servizio di Massimiliano Menichetti:
Il parlamento egiziano tornerà a riunirsi fino alle prossime elezioni parlamentari che dovranno tenersi entro 60 giorni dall'approvazione della nuova Costituzione. Lo ha deciso il neopresidente Morsi, che ieri ha ordinato “la riconvocazione delle sessioni dell’Assemblea” sciolta con un decreto del Consiglio supremo militare il 15 giugno in base a una sentenza di incostituzionalità di alcuni articoli della legge elettorale emessa dai magistrati della Corte Suprema. Decisione questa che aveva consentito ai militari del maresciallo Hussein Tantawi – al potere dalla caduta di Mubarak – di attribuirsi, tra gli altri, anche il potere legislativo, facendo gridare al golpe le forze politiche islamiche. Adesso non è chiaro quali saranno le mosse dei militari, che ieri hanno convocato una seduta d’emergenza “per studiare e discutere le ripercussioni della decisione” di Morsi, che intanto lavora anche a rilanciare l'immagine del Paese. Ieri, nel corso della visita al Cairo del vice segretario di Stato americano, William Burns, è arrivato l'invito del presidente Obama a Morsi a visitare gli Stati Uniti in settembre, a margine dell'Assemblea generale dell'Onu. E sabato prossimo sarà il segretario di Stato, Hillary Clinton, a recarsi nel Paese delle piramidi.
Sulla complessa situazione egiziana, Massimiliano Menichetti ha chiesto un commento al prof. Massimo Campanini, docente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento:
R. – Ci troviamo di fronte a un vero e proprio ritorno alla rivoluzione: i Fratelli musulmani stanno dimostrando sempre più di voler essere i vindici della rivoluzione che ha battuto Mubarak. In questo modo, riportano il Paese sulla via della legalità, poiché indubbiamente quello che avevano fatto i militari – sciogliendo il Parlamento – poteva configurarsi come una sorta di colpo di Stato: in questo modo i Fratelli musulmani dimostrano invece di essere gli autentici eredi della rivoluzione e di essere coloro che possono indurre il Paese su un cammino democratico. D’altro canto, i militari si dimostrano sempre di più come coloro che vogliono cambiare tutto per non cambiare nulla e che hanno cercato di tenere sotto controllo il processo rivoluzionario per far sì, però, che il regime di Mubarak al fondo non cambiasse e rimanesse – al di là di una cosmesi esteriore - sostanzialmente invariato.
D. – Ma questo può aprire potenzialmente anche un fronte contro la magistratura: il 30 giugno scorso, Morsi ha giurato davanti alla Corte costituzionale e non davanti al parlamento, proprio perché era stato sciolto, ma garantendo che avrebbe rispettato tutti i verdetti della magistratura e della Corte. Di fatto, questo provvedimento va in una direzione opposta…
R. – Questo è indubbiamente vero, però la situazione è talmente magmatica e in fase evolutiva che uno scontro dei poteri istituzionali è nella forza e nella logica delle cose. Io penso che la Corte costituzionale abbia deciso nelle settimane scorse su pressioni molto forti da parte dei militari: in questo modo c’è una svolta molto importante del processo democratico. E’ chiaro che questo scontro dei poteri istituzionali potrebbe essere potenzialmente molto pericoloso, ma non credo che questo atto da parte di Morsi significhi effettivamente una diminuzione della autorevolezza e dell’indipendenza della magistratura, senza che naturalmente che questa magistratura dimostri di essere veramente incline a aiutare il processo democratico in Egitto.
D. – I militari, quindi, dall’inizio della rivoluzione continuano a cercare di tenere il potere e sono una forza economica molto forte nel Paese: a questo punto i militari lasceranno il potere o cosa c’è da aspettarsi?
R. – Io credo che, se i militari esagerassero nel voler tenere il Paese contro la volontà della maggioranza degli egiziani, si potrebbe andare incontro a una svolta molto pericolosa e potenzialmente di guerra civile all’interno dell’Egitto. I militari, però, hanno la possibilità di tenere sotto controllo la situazione non occupando i gangli vitali del potere, ma facendo valere da una parte la loro autorevolezza e la loro potenza economica e, dall’altra, il ruolo che hanno sempre gestito i difensori dello Stato nazionale di interpreti della volontà ufficiale del Paese. Da questo punto di vista, ripeto, c’è in corso uno scontro costituzionale e istituzionale dagli svolgimenti imprevedibili. Bisognerà vedere la logica dei vari equilibri se porterà a uno scontro, oppure se ci sarà una convergenza di interessi: nel senso che i Fratelli musulmani possono istituzionalizzare la rivoluzione e i militari hanno l’occasione di tenere sotto controllo questa istituzionalizzazione della rivoluzione, senza eccedere con le loro interferenze nello svolgimento dei processi politici.
Elezioni in Libia: moderati verso la vittoria, appello per un governo di unità nazionale
◊ In Libia prosegue la conta dei voti delle elezioni di sabato, le prime dopo la caduta di Gheddafi. In attesa dei risultati definitivi, si profila già la vittoria dei "moderati", ovvero dell'Alleanza delle Forze Nazionali, il cui leader, Mahmud Jibril, ha lanciato un appello alle forze islamiste per la formazione di un governo di un’unità nazionale in grado di scrivere la nuova Costituzione. Stati Uniti e Unione Europea hanno parlato delle elezioni come di una grande prova di democrazia. L’opinione di Luciano Ardesi, esperto di questioni nord-africane. L’Intervista è di Benedetta Capelli:
R. – Quello che possiamo dire in questo momento è che in Libia le elezioni non hanno dato, come negli altri Paesi – Egitto, Tunisia e Marocco – il potere ai Fratelli musulmani e ai partiti islamici. Dovremo però attendere i risultati per sapere la composizione dell’assemblea, che prevede 80 seggi ai partiti e 120 seggi ai rappresentanti cosiddetti indipendenti, ma che sono più o meno legati ai partiti. Probabilmente ne uscirà un’assemblea molto variegata, in cui saranno necessarie delle alleanze e, in questo contesto, gli islamici potrebbero ancora trovare – diciamo – una loro collocazione. Del resto questo appare anche nella prima dichiarazione del leader delle forze nazionali, l’ex primo ministro di transizione Mahmud Jibril, che ha già detto che probabilmente sarà necessaria una coalizione di governo.
D. - Un governo di coalizione e anche qui si gioca il futuro democratico della Libia: quali saranno le difficoltà?
R. – Probabilmente un qualche accordo all’interno del parlamento sarà trovato per la formazione del nuovo governo: il problema è sapere se poi questo governo riuscirà a tenere insieme il panorama politico piuttosto variegato della Libia. Dobbiamo tener conto delle variabili tribali, etniche e – come sappiamo – le elezioni si sono svolte in un clima teso proprio per il fatto che i partiti che rappresentano l’est del Paese – e quindi Bengasi e la sua regione, la Cirenaica – hanno contestato la ripartizione dei seggi all’interno del nuovo parlamento ed è probabile che questa tensione si possa poi ripercuotere nel lavoro sia del parlamento, sia del governo. Diciamo quindi che alla prova dei fatti sapremo veramente se la Libia avrà saputo trovare un suo equilibrio.
D. – Il voto è stato caratterizzato da lunghe code ai seggi a Tripoli e, invece, atti di sabotaggio a Bengasi: Stati Uniti ed Europa parlano, però, di una grande prova di democrazia. E’ realmente così?
R. – Sicuramente è stato un appuntamento storico: le prime elezioni libere praticamente dall’indipendenza del Paese, considerando anche il periodo del Re Idris. In questo senso è quindi una data storica, ma come l’esperienza ci dice nei Paesi che affrontano la transizione alla democrazia, la transizione è un fenomeno molto complesso e anche lungo. I partiti politici in Libia non hanno di fatto mai avuto esistenza e quindi c’è una immaturità – per così dire – politica, che del resto si è manifestata anche durante tutti i mesi del governo di transizione: questa immaturità naturalmente non potrà essere cancellata con un colpo di bacchetta magica! Bisogna dare fiducia ai libici che potranno costruire il loro futuro, ma non sarà ovviamente una transizione pacifica, quindi senza scontri e senza contraddizioni. Oltretutto questi scontri - anche militari - sono continuati nelle ultime settimane e pure durante la campagna elettorale e anche questo rappresenta un'altra sfida: quale tipo di esercito nazionale verrà costruito, mettendo insieme le milizie che hanno contribuito alla caduta di Gheddafi? Questo è un grande interrogativo.
Sud Sudan a un anno dall’indipendenza. Mons. Akio: è l'ora dello sviluppo
◊ Un anno difficile: così l’arcivescovo di Juba, mons. Paulino Lukudo, parla del primo anniversario dell’indipendenza del Sud Sudan da Khartoum, sottolineando la soddisfazione del popolo per l’autonomia. Oggi, nel Paese si svolgono celebrazioni ufficiali in presenza di personalità straniere ma senza rappresentanti del Nord Sudan. Tra Juba e Khartoum infatti persistono forti tensioni. Mons. Lukudo Loro sottolinea l’importanza di perseguire la pace in un territorio che conserva sacche di scontri dai Monti Nuba al Nilo Blu. Il servizio di Fausta Speranza:
A un anno dalla secessione, il Sudan, Paese dell’Africa subsahariana, ancora fa i conti con le conseguenze di 20 anni di guerra civile. Nel 2004, per l’Onu era la maggiore emergenza umanitaria del pianeta. Poi gli accordi e, faticosamente, l’avvio della separazione a tutti gli effetti il 9 luglio dell’anno scorso. L’arcivescovo di Torit, nel Sud Sudan, mons. Johnson Akio:
"The last one year has been so special…
L’anno appena trascorso è stato un anno veramente speciale: rispetto a dodici mesi fa, la situazione è diversa e io ho visto molti, molti cambiamenti: prima fra tutti la pace, specialmente nello Stato equatoriale occidentale e centrale. Molti cambiamenti ci sono stati anche riguardo allo sviluppo delle attività: la gente ha conosciuto uno sviluppo, che non c’era mai stato prima".
L’Onu ha esteso di un altro anno il mandato della sua missione umanitaria nel Sud Sudan. Non mancano, infatti, le difficoltà e le questioni irrisolte. C’è la disputa sul petrolio con le esportazioni bloccate, perchè non c’è ancora accordo sulle tariffe per il transito del greggio. E poi soprattutto la condizione umanitaria di alcune persone del sud rimaste nel nord. Si parla in particolare dell’etnia dei Nuba e di restrizioni e abusi. Mons. Akio descrive un Paese in evoluzione:
"Peace in other segment of the area…
Ci sono però alcune zone dove ancora si è un po’ preoccupati per la pace a causa di focolai di conflitti che ancora ci sono. Questi cambiamenti hanno ovviamente coinvolto anche la Chiesa: la gente torna a casa dopo essere stata in esilio e la nostra Chiesa, che era prima una piccola realtà, sta crescendo e sta diventando una grande realtà, che conta un grande numero di fedeli. Molte delle persone sono rientrate e il numero è ancora più grande, perché sono rientrati con i figli nati in altri Paesi. Erano dei rifugiati e ora sono rientrati in un Paese che i figli non hanno mai conosciuto. Adesso, però, quello che vediamo è la necessità di infrastrutture. Ho deciso di fare un giro per l’intera diocesi per raccogliere le reali opinioni delle persone: cosa volevamo dirmi o chiedermi: sono stato in 8 paesi. Quando ho visitato questi luoghi, ho avuto la possibilità di ascoltare direttamente da loro come fosse nata in loro la fede e che cosa avessero fatto, cosa fanno ora e cosa faranno in futuro. Molte scuole sono state costruite dal governo, ma adesso bisogna vedere come verranno curate. Il governo ha costruito diverse scuole, perché vuole cercare di fare la differenza: era imbarazzante vedere i nostri figli dover andare in altri Paesi, perché c’erano le scuole e altri servizi. Gli ospedali non sono ancora rinnovati. Prima c’erano i servizi, ma non erano accessibili a molti di noi… Ora, sto vedendo come siano più accessibili e come stia cambiando la situazione".
Mons. Akio sottolinea poi l’importanza dell’informazione in un Paese che sta affrontando cambiamenti così significativi:
“Change I would like…
Un cambiamento che vorrei ancora vedere è rappresentato dalla realtà della radio, della nostra 'Radio Emmanuel': perché la radio può essere usata per raggiungere molte persone e quando riesce a raggiungerle, esse hanno informazioni su quanto sta avvenendo da loro e nel resto del mondo. Ci sono tanti mezzi per arrivare alla pace: noi usiamo l’acqua come strumento per camminare verso la pace, usiamo la scuola per la pace, usiamo i sistemi di comunicazione per la pace. Ma ora che c’è la pace ho visto i cambiamenti e vedo che è necessario che la gente di qui sia informata anche attraverso la radio su quanto accade nel suo Paese".
◊ In Italia comincia oggi al Senato l’esame del decreto legge sulla revisione della spesa pubblica, che dovrebbe essere approvato entro il prossimo 3 agosto. Le misure principali riguardano la pubblica amministrazione. Per gli statali in esubero, oltre 24 mila tra cui 8 mila pensionabili, potrebbe scattare il meccanismo della mobilità lunga, con il 60% effettivo dello stipendio per 48 mesi. Si tratta di provvedimenti epocali, come sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco il prof. Leonardo Becchetti, docente di economia Politica all'Università Tor Vergata:
R. – Molti avevano invocato parità di condizioni tra settore pubblico e settore privato. Il governo ha dimostrato di violare anche questo ultimo tabù. E’ molto importante che in un momento difficile come questo ci sia una equa ripartizione degli oneri. Credo, però, che ancora non sia stato fatto abbastanza per toccare il settore che ha causato la crisi. Parlo in particolare dei mercati finanziari. Continuiamo timidamente a ragionare su una tassa sulle transazioni, ma la sua applicazione ancora è lontana. Il luogo fondamentale dove bisognava intervenire fin dall’inizio è quello appunto dell’alta finanza. Ancora oggi i governi sono tutti timidamente d’accordo nel fatto che bisogna farlo, ma non stanno riuscendo ad incidere come dovrebbero.
D. - Il premier Mario Monti ha affermato che dichiarazioni come quelle del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi - che riferendosi alla spending review aveva parlato di 'macelleria sociale' - fanno aumentare i tassi e anche lo spread. E lo spread, effettivamente, è tornato a salire…
R. – Sono d’accordo col premier sul fatto che chi ha responsabilità istituzionali, soprattutto in questo momento, deve moderare le parole e tenere conto degli effetti che queste parole hanno sui mercati finanziari. Dall’altra parte, però, penso che bisogna intervenire in maniera più decisa sui mercati finanziari, altrimenti tutto quello che stiamo facendo è come portare acqua con un secchio bucato. I guadagni che stiamo ottenendo con sacrifici durissimi, in termini di spending review, rischiano di essere vanificati dagli aumenti di costo del debito che si manifesterebbero attraverso l’aumento degli spread.
D. – Sono previsti tagli nei settori della scuola, della giustizia, della sanità. Sperando che questi tagli non siano vani, per il sistema Italia sono provvedimenti sostenibili?
R. – Intanto bisogna dire che la spesa pubblica in Italia - se togliamo la spesa per interessi che è molto alta perché il debito è alto - è inferiore a quella di quasi tutti gli altri Paesi europei che è intorno al 32 per cento. In Inghilterra e in Irlanda siamo al 40 per cento. Quindi in realtà noi non abbiamo una spesa pubblica fuori controllo. Il nostro è un problema assolutamente finanziario. Dipende dal debito accumulato in passato. Quello che è certo è che se tagliamo solo la spesa e questi tagli di spesa non ci servono per ridurre le tasse - che è il provvedimento che darebbe una boccata d’ossigeno ai nostri cittadini - e se le riduzioni di spesa non sono accompagnate da riduzioni di tasse, sicuramente queste misure non determinano effetti espansivi ma rischiano di determinare effetti recessivi. Finora siamo riusciti solo ad evitare aumenti ulteriori di tasse ma non a ridurre le tasse sul lavoro e sui consumi. Ecco perché c’è bisogno di un intervento eccezionale sui mercati finanziari per ridurre questo livello di spread che è eccezionale. Giustamente il premier Monti ha detto che gli spread veri dell’Italia non dovrebbero essere più di 200 punti. Quindi tutto quello che è in più è in eccesso per la speculazione, eccesso dei timori dei mercati. Bisogna intervenire in maniera straordinaria su quell’eccesso di spread, altrimenti tutti i sacrifici che stiamo facendo rischiano di essere inutili.
Nasce in Italia il Forum per l’inclusione dei disabili nel mondo del lavoro
◊ Nel contesto dell’odierna crisi, rischiano di rimanere ancora più indietro le fasce deboli della società: in particolare i disabili. Così, la legge che prevede per i datori di lavoro, pubblici e privati, l’obbligo di assumere quote di portatori di handicap viene oggi elusa con maggiore frequenza. Nei giorni scorsi è nato il Forum permanente per l’inclusione lavorativa di persone disabili, promosso da Comunità di Capodarco, Opera Don Calabria e Provincia di Roma: il Forum ha lanciato un appello a rispettare la legge e a ripartire, proprio nel mezzo della crisi, dalle fasce più deboli. Luca Attanasio ha intervistato a questo proposito Luigi Politano, vice-presidente di Capodarco:
D. – Si dice crisi e immediatamente parlando di disabilità, si pensa, in un’impresa i disabili portano ulteriori perdite ma è proprio così?
R. – Questo, a mio avviso, non è assolutamente vero. Anzi, ci sono tante esperienze in aziende con cui noi abbiamo anche rapporti che ci testimoniano come in realtà la presenza di persone disabili a volte abbia un effetto estremamente positivo anche sugli altri lavoratori, laddove soprattutto le imprese riescono a coinvolgere i loro dipendenti disabili insieme agli altri in un processo anche culturale di crescita e di condivisione.
D. – La comunità di Capodarco è una delle realtà più avanzate nella inclusione dei disabili. Qual è la vostra idea e la vostra strategia?
R. - Negli ultimi anni della nostra storia e della storia di questo Paese, l’inserimento lavorativo che ha richiesto più attenzione è soprattutto quello delle disabilità complesse di tipo psichico perché è ancora più complicato fare l’inserimento al lavoro. La nostra strategia è che bisogna mettere in piedi processi di accompagno all’inserimento al lavoro, soprattutto se la persona ha difficoltà sul piano psichico bisogna creare e attuare una serie di meccanismi - alcuni dei quali sono previsti all’interno della legge 68, come le convenzioni e i tirocini -, una serie di percorsi che facilitino l’inserimento al lavoro.
D. – Nasce il Forum formazione e lavoro per le persone con disabilità…
R. - Bisogna ripartire in questo Paese, cioè riaffermare un cambiamento culturale. In questi ultimi anni con la crisi tutta una serie di attenzione alle fasce deboli, alle fasce svantaggiate stanno venendo meno, bisogna reinvertire la rotta. Il Forum deve servire in primo luogo a questo. Il welfare non è un lusso. Il Forum deve mettere insieme tutte le cose che già ci sono creando un’alleanza tra le associazioni, le famiglie, i territori e le istituzioni.
La Chiesa in Mongolia festeggia i 20 anni di vita
◊ La Chiesa cattolica in Mongolia in festa per celebrare i 20 anni di presenza nel Paese asiatico uscito nel 1991 da 70 anni di dittatura comunista. L’anno seguente veniva aperta la prima missione mongola, con l’arrivo nella capitale di mons. Wencelaslao Padilla, allora nunzio apostolico nella Corea del Sud, oggi prefetto apostolico di Ulaan Bataar. Una Chiesa piccola che oggi conta circa 800 fedeli su una popolazione di 2 milioni di abitanti, una Chiesa che vuole crescere e contribuire allo sviluppo della Mongolia. Roberta Gisotti ha intervistato padre Ernesto Viscardi, missionario della Consolata, viceprefetto apostolico:
R. – E’ una prima tappa di un cammino iniziato nel ’92 con i primi tre missionari che sono arrivati qui in Mongolia e direi che è stato un cammino lento, però attento alle situazioni che il Paese viveva. Un cammino anche attento a tutti i bisogni di una prima evangelizzazione, quindi un momento di riflessione, di memoria, ma anche di progettazione verso il futuro.
D. – Quando la Chiesa ha inaugurato la sua presenza, la Mongolia usciva dal regime comunista. Qual è la situazione oggi rispetto a vent’anni fa?
R. – Direi che la situazione sociale è totalmente cambiata. L’uscita dei russi lasciava un Paese con tutte le cose da fare. Oggi come oggi questo è un Paese che si presenta al mondo con una crescita annua del 17 per cento, è uno dei Paesi che sta crescendo in maniera vistosa soprattutto in questi anni grazie alla ricchezza del territorio. Quindi è un Paese che sta cambiando dal punto di vista economico, con questi grossi investimenti dall’estero, soprattutto nel ramo delle miniere di carbone, di rame, di uranio, di oro, etc. E’ un Paese che sotto la spinta e la ricchezza economica sta cambiando anche dal punto di vista sociale e culturale. Questi cambiamenti hanno i loro aspetti belli ed hanno i loro aspetti negativi. Questa modernità che sta entrando, questa apertura al grande mercato mondiale sta in qualche maniera erodendo un po’ la ricchezza e le tradizioni di questo Paese ma dandogli la possibilità di una crescita e di un livello di vita per tutti certamente molto più alto. E’ chiaro che questo pone alla Chiesa grossi interrogativi. Primo fra tutti il proiettare questa situazione nei prossimi anni, cosa sarà la Mongolia fra 5 anni, cosa sarà il suo tessuto sociale, come sarà il suo livello di vita e quali saranno i bisogni religiosi a partire da ora. Noi stiamo vivendo con il nostro popolo mongolo questo cammino di transizione che non è facile nel senso che avviene in uno spazio di tempo molto breve rispetto a quanto le culture europee hanno potuto vivere lungo i secoli. Quello che si spera è che sia lo Stato, sia l’Amministrazione, ma direi anche il ceto culturale di questo Paese possano in qualche maniera gestire in maniera efficiente e positiva questa transizione che sta avvenendo.
D. La Chiesa cattolica è cresciuta ma resta una piccola minoranza?
R. – Siamo 825 cattolici su 2 milioni e 800 mila abitanti.
D. - Quali sono i rapporti con le autorità civili e con fedeli delle altre confessioni?
R. – Il vescovo attuale, mons. Padilla, durante gli anni ha sempre cercato di mantenere un rapporto aperto, un rapporto cordiale, di collaborazione anche con le varie Amministrazioni. Il Paese dichiara una libertà religiosa dal punto di vista della legge nazionale. Di fatto poi questa libertà religiosa, questo principio viene applicato in maniera molto diversa secondo le diverse regioni. A livello più locale ogni istituzione religiosa, la nostra compresa ha bisogno del permesso specifico per potere esercitare attività religiose in un dato luogo e tutte le volte che c’è da aprire un centro c’è da fare tutta una lunga trafila burocratica per ottenere il permesso e poi non si è sempre sicuri di poterlo ottenere. Dal punto di vista di problematiche vere e proprie, come espulsioni di missionari, non ce ne sono state, di fatto però lo Stato ci tiene d’occhio per quello che facciamo.
D. - Quali sono le attività che la Chiesa riesce a svolgere?
R. – La nostra Chiesa conta ormai in questi vent’anni l’apertura di cinque parrocchie. Attorno a questi centri parrocchiali hanno iniziato una serie di attività anche sociali molto apprezzate dalle autorità locali che vanno dai ragazzi di strada, che è stata certamente la prima attività, alle mense per i poveri delle suore di Madre Teresa, alle scuole di recupero delle suore di Saint Paul de Chartres, ai centri scolastici per formazione come la scuola dei salesiani, a una serie di asili, di attività sociali che si erano sviluppate fin dall’inizio e che hanno permesso alla Chiesa di presentarsi e di far vedere la sua carta d’identità, di far capire un po’ allo Stato che certamente non aveva esperienza di Chiesa cattolica e rimane ancora molto nebulosa l’idea fra Vaticano e Chiesa cattolica. Oggi come oggi la presenza della Chiesa cattolica è capita. Si intuisce anche l’importanza che ha la nostra Chiesa anche a livello mondiale. L’anno scorso c’è stata questa visita del nostro presidente al Papa che è stato un momento molto importante per la presenza della nostra Chiesa.
Africa: aborti in aumento e crollo della famiglia a nove anni dal Protocollo di Maputo
◊ Sei milioni di aborti solo nel 2011; ampia diffusione di pratiche come la sterilizzazione delle donne; ricorso sistematico alla contraccezione e a metodi di controllo delle nascite, che promuovono un programma di radicale trasformazione delle società africane, orientandole verso le ideologie distruttive della vita umana: sono le conseguenze del “Protocollo di Maputo”, di cui ricorre il nono anniversario della sua approvazione da parte dell'Assemblea dell'Unione Africana” a Maputo, in Mozambico nel 2003. A fare il bilancio dei danni provocati da queste linee guida è padre Shenan Boquet, presidente dell’Ong “Human Life International” (Hli), impegnata in tutto il mondo in difesa della vita nascente. Il religioso, sentito dalla Fides, spiega che il protocollo “ha messo in moto una agenda che ha radicalmente influenzato il continente africano, incoraggiando i gruppi di controllo della popolazione in Africa. I sostenitori del Protocollo di Maputo – prosegue padre Boquet - vogliono farci credere che l'obiettivo primario del loro documento è la lotta alla mutilazione genitale femminile (Mgf), un crimine efferato che viola la dignità delle donne e colpisce quasi due milioni di donne africane ogni anno”. Tuttavia, la Mgf è menzionata solo una volta nel documento, che si concentra perlopiù su temi come la legalizzazione dell'aborto, la contraccezione e la sterilizzazione. “Il documento – aggiunge – promuove un cambiamento della famiglia tradizionale chiedendo l'eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne, che è sempre ingiusta e immorale. Tuttavia l'uso di questo termine all'interno del protocollo è destinato a promuovere il libero esercizio dei diritti sessuali delle donne, vale a dire la libertà di ricorrere ad aborto, contraccezione e sterilizzazione”. Il Protocollo chiede il libero uso e la distribuzione di contraccettivi abortivi e stabilisce che gli Stati africani adottino “nuovi metodi pedagogici per modificare i modelli sociali e culturali di comportamento di donne e uomini. E’ il tentativo radicale di ridisegnare e riorientare le menti e le vite di milioni di persone, con una propaganda di morte che distrugge il fondamento stesso di una società e mette in discussione la sua esistenza futura”, afferma padre Boquet. “Tali politiche provocano il crollo della famiglia, la crescita del numero degli orfani, delle famiglie senza padre e della promiscuità” conclude il presidente del Human Life International, secondo il quale la mentalità contraccettiva e abortiva, legalizzata e approvata dal Protocollo di Maputo, “non porterà ad un minor numero di aborti, come i suoi sostenitori vorrebbero farci credere, ma molti più aborti”. Infatti, secondo le stesse associazioni che promuovono il controllo della popolazione come “Planned Parenthood”, il numero degli aborti in realtà è cresciuto in Africa tra il 2003 e il 2008. (M.G.)
Mali: dai Paesi africani appelli per un governo di unità per superare le tensioni
◊ Una nuova condanna delle violenze nel nord del Mali e della distruzione di alcuni monumenti storici a Timbuctù e l’esortazione a formare entro il 31 luglio un governo di unità nazionale per completare il processo di transizione politica scaturito in seguito al golpe del 22 marzo scorso. È quanto espresso dai Paesi del gruppo di contatto per il Mali riuniti nel fine settimana a Ouagadougou, in Burkina Faso. All’esecutivo di unità spetterebbe il compito di aprire la strada dei negoziati con i gruppi ribelli che controllano il nord del Paese da ormai tre mesi. Nel comunicato finale della riunione - ripreso dall'agenzia Misna - si fa anche indiretto riferimento alla possibilità di un ricorso all’intervento armato invitando la Comunità economica dei Paesi dell’Africa occidentale (Cedao) a difendere i civili e l’integrità territoriale del Paese. Intanto, nel primo intervento pubblico rilasciato dopo essere stato respinto da Gao e Timbuctù ad opera dei gruppi armati islamisti, il Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla) ha criticato il vertice di Ouagadougou, l’azione diplomatica dello stesso Burkina Faso e lamentato la maggiore presenza sul territorio dei gruppi rivali islamisti. L’Mnla, di matrice tuareg, ha accusato i Paesi della regione di cercare accordi con Mujao, Al Qaida nel Maghreb islamico e Ansar al Din pur essendo questi gruppi implicati nel rapimento di cittadini stranieri e in traffici illeciti. Fonti della Misna a Gao, hanno però riferito che dalla fuoriuscita dell’Mnla la situazione per i civili è migliorata. Gli islamisti sono infatti in grado di mantenere un certo ordine e, contrariamente all’Mnla, si sono astenuti da violenze e soprusi ai danni dei civili rimasti in città. (M.G.)
Sud Sudan: "Sos Villaggi dei Bambini" avvia spazi per l’infanzia e accoglie minori senza cure
◊ Fornire protezione, nutrizione e cure sanitarie ai figli dei profughi rimpatriati dal Sudan al Sud Sudan. È la missione che sta portando avanti la Onlus Sos Villaggi dei Bambini nelle aree di frontiera del Sud Sudan, dove incombe un flusso di mille rifugiati al giorno rimpatriati da Khartoum, in un contesto in cui mancano ripari, acqua potabile e cibo. In una nota della stessa organizzazione si informa che dopo l’avvio dei Centri temporanei Sos, a Juba e Malakal, i mesi di maggio e giugno sono serviti allo staff di Sos Villaggi dei Bambini per formare gli educatori responsabili degli spazi dedicati ai bambini, su temi quali la tutela dei minori, la nutrizione e l'igiene. Vicino al centro di transito Unhcr di Malakal, dedicato ai rimpatriati che arrivano da Renk, lo staff Sos ha avviato il primo spazio dedicato all’infanzia, che attualmente è frequentato da 110 bambini. Alcuni di questi hanno i genitori al Centro di transito, altri sono stati separati dalle loro famiglie e per loro sono state avviate le procedure per rintracciare i genitori e riunificarli. Nel frattempo, i bambini privi di cure accolti nel Villaggio Sos di Malakal in seguito al rimpatrio, saranno ospitati nelle Case famiglia Sos e nella Casa del giovane Sos, a seconda della loro età, come previsto nel programma di emergenza. “Il futuro è ancora imprevedibile. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Iom) prevede di rimpatriare altre 42.000 persone da Khartoum a Malakal nei prossimi mesi” afferma Zamzam Kome, Responsabile del Programma di Emergenza Sos in Sudan. “L’accordo d'intesa firmato tra Sudan e Sud Sudan per i bambini separati dalle famiglie è scaduto il 30 giugno 2012 - prosegue l’esponente della Onlus - ma ci auguriamo che venga prorogato al 31 dicembre, dando il tempo sufficiente per offrire accoglienza a tutti i bambini non accompagnati a sud”. “Noi di Sos Villaggi dei Bambini siamo pronti a sostenerli e prenderci cura di loro”, conclude Zamzam Kome. (M.G.)
Kenya: la prima scuola per i 1500 bambini del campo rifugiati di Dadaab
◊ E’ stata appena ultimata la costruzione della prima scuola a più piani nel campo rifugiati di Dadaab, in Kenya. Oltre 1500 bambini del campo di Dagahaley avranno così la possibilità di studiare. Si è reso necessario costruire questa nuova scuola a causa dell’elevato afflusso di profughi arrivati a Dadaab. Il progetto - riferisce l'agenzia Fides - è stato co-finanziato dall’Unhcr, dalla Cooperazione Italiana e dalla Fondazione Avsi che, per la realizzazione dei lavori, ha dovuto affrontare situazioni di grande difficoltà dovute ad un nuovo tipo di pericolo: il terrorismo. Anche se i rapimenti e le improvvise esplosioni sono diventate una cosa comune a Dadaab, il team di Avsi è riuscito a portare a termine con successo il progetto realizzando una delle scuole più belle della zona. Il 3 luglio sono iniziate le attività del complesso scolastico formato da 29 aule, un Centro per la prima infanzia, una biblioteca e una cucina. Accanto alla scuola primaria Dagahaley, Avsi ha terminato un altro edificio a piani costituito da 8 aule che si trovano in una delle scuole più affollate del complesso di Dadaab, Illyes, una scuola elementare dove studiano più di 3000 bambini. Questi edifici sono i primi a Dadaab ad essere costruzioni a due piani, e forniscono una istruzione di qualità a migliaia di bambini. (R.P.)
Russia: giornata di lutto per le vittime dell’alluvione
◊ Giornata di lutto in Russia per le 171 vittime delle inondazioni che hanno colpito le regioni meridionali che si affacciano sulla costa del Mar Nero. Le ingenti piogge cadute tra il 6 e il 7 luglio hanno provocato anche 24mila sfollati e l’inondazione di circa 5200 abitazioni. Il governatore della regione di Krasnogar, citato dall'agenzia AsiaNews, Alexander Tkachev ha definito le inondazioni "una tragedia senza precedenti". Dopo aver sorvolato il luogo del disastro in elicottero, il presidente Vladimir Putin ha ordinato un'inchiesta sulla tragedia, per la quale le autorità locali potrebbero essere accusate di negligenza. Secondo attivisti locali, la gente non sarebbe stata avvertita della reale gravità della situazione. Inoltre, l'apertura delle paratoie di una diga locale avrebbe peggiorato la situazione, incanalando enormi quantità d'acqua verso le zone abitate. Tuttavia, i funzionari continuano a negare ogni accusa. Le immagini trasmesse dalle televisioni locali, mostrano che l'acqua ha raggiunto i 28cm di altezza, costringendo molte persone a rifugiarsi sugli alberi o sui tetti delle case. A Krimski, di gran lunga la città più colpita con 159 morti, l'onda di acqua e fango ha raggiunto addirittura i sette metri di altezza, a causa del crollo della diga di Neberdzhayevsk, situata su una montagna sovrastante. Anche l'area di Gelendzhik, vicino al Mar Nero, e la città portuale di Novorossiysk sono rimaste colpite in modo grave. (M.G.)
Vietnam, appello al governo: "Fermare la violenza sui cattolici di Vinh”
◊ Urge che il governo del Vietnam faccia cessare immediatamente “gli atti brutali di repressione contro i sacerdoti cattolici e i fedeli nella parrocchia di Con Cuong”, nella diocesi di Vinh. E’ l’appello inviato all’agenzia Fides dalla “Federazione dei mass media cattolici vietnamiti”, che riunisce sacerdoti, intellettuali, giornalisti, editori cattolici vietnamiti presenti in diversi Paesi del mondo, in Asia e in Europa, America e Australia. Fra i firmatari dell’appello vi sono mons. Vincent Nguyen Van Long, vescovo ausiliare di Melbourne (Australia) e mons. Peter Nguyen Van Tai, direttore della sezione vietnamita di “Radio Veritas Asia” (Filippine). Il comunicato rimarca che, secondo informazioni giunte dalla diocesi di Vinh, forze militari e di polizia continuano a perseguitare preti, religiosi e fedeli laici nella parrocchia di Con Cuong, impedendo la normale pratica del culto e la celebrazione della Santa Messa. Per questo la Federazione “condanna severamente e denuncia alla comunità internazionale le persecuzioni”, chiede al governo di fermare le violenze, di “garantire la sicurezza nei luoghi di culto di tutte le religioni” e di “rispettare i diritti umani e libertà religiosa”. La Federazione si dice “in comunione e condivisione con i fratelli e sorelle di Con Cuong” e invita tutti a pregare per loro. Nell’area, notano fonti di Fides, è in atto una rinascita del senso religioso. Come avviene in molte aree rurali, le autorità locali del distretto di Con Cuong non vedono di buon occhio questo risveglio di fede e lo scoraggiano in tutti i modi. I cristiani locali, però, non cedono alle pressioni e continuano a celebrare liturgie e a riunirsi per pregare. Il 1° luglio scorso oltre 500 uomini di polizia e militari hanno fatto irruzione nella Cappella dove celebrava la Messa padre Nguyen Dinh Thuc, e hanno percosso i presenti, compiendo atti vandalici all’interno della cappella. Alla repressione, afferma il comunicato ricevuto da Fides, ha partecipato il presidente del Comitato del Fronte Patriottico del distretto di Con Cuong. Alcune suore sono state arrestate, mentre nei giorni successivi i fedeli delle parrocchie vicine sono giunti sul posto per manifestare solidarietà e vicinanza ai fedeli di Con Cuong. (R.P.)
Panama: in vista del voto del 2014 i vescovi propongono un "Patto etico elettorale"
◊ La Conferenza episcopale del Panama ha manifestato la sua preoccupazione per il modo di procedere dei politici e per il confronto che si viene a creare fra di loro, dominato da aggressività ed intolleranza. La Chiesa, dinanzi a questa situazione, ha lanciato un appello alla pace e alla firma di un Patto Etico Elettorale. I vescovi hanno presentato l’iniziativa attraverso un comunicato pubblicato alla fine della riunione della Conferenza episcopale, appena conclusa. "Ora diventa imprescindibile la partecipazione consapevole dei cittadini - si legge nel comunicato ripreso dall'agenzia Fides - dinanzi ai vizi politici come le lunghe campagne elettorali, la compra-vendita dei voti, le false promesse, il discredito dei contendenti, la concorrenza sleale e il fanatismo". Il comunicato segnala come una delle cause della situazione, la mancanza di un dialogo sincero e aperto, e propone come urgente l’iniziativa di stipulare un “Patto Etico Elettorale” con lo scopo di celebrare nel 2014 un processo elettorale democratico, partecipato e con tutte le garanzie, in un ambito di trasparenza e rispetto mutuo. Questo Patto dovrà impegnare non solo i Partiti politici, ma anche i mass media e gli altri gruppi della società panamense. Non è la prima volta, negli ultimi mesi, che i vescovi si pronunciano riguardo sulla vita politica del Paese. A febbraio la Chiesa ha dovuto fare da mediatrice fra diversi gruppi in un conflitto che rischiava di bloccare parte del Paese. (R.P.)
Guatemala: circa 200 persone, soprattutto bambini, lottano con la fame
◊ Nel territorio della Parrocchia “San Giuseppe”, affidata ai missionari salesiani del municipio di San Pedro Carchá, ci sono circa 120 villaggi della etnia Maya-Q'eqchi', non tutti in pace tra loro. Da diversi mesi nella Finca San Vicente, a causa di una divisione delle terre, le tensioni sono aumentate e sono sfociate nell’invasione del villaggio di Sechac Nazareno. Nel corso dell’assalto sono state bruciate case e distrutto quanto era stato seminato dai contadini, costretti a fuggire dalla propria terra per riversarsi nel vicino municipio di Chisec. Secondo un comunicato dell’Ans pervenuto all’agenzia Fides, le famiglie di sfollati sono 40, composte per lo più da bambini, per un totale di circa 200 persone, che ora lottano con la fame, lontane dalle loro terre e senza raccolto. Per far fronte a questa emergenza è intervenuta la comunità salesiana del municipio di San Pedro Carchá, che ha consegnato 14 kg di riso per ogni famiglia, e tornerà anche la settimana prossima per portare nuovi rifornimenti. (R.P.)
Perù: il presidente annuncia l’intervento della Chiesa nel dialogo a Cajamarca
◊ Dopo una settimana di accese proteste contro il progetto minerario Conga, che hanno causato cinque morti a Cajamarca, il governo peruviano ha mantenuto lo stato di emergenza nella regione e finalmente ha dichiarato l'inizio di un dialogo mediato dalla Chiesa cattolica. Lo stesso Presidente del Perù, Ollanta Humala, lo ha annunciato alla stampa locale. Nella nota inviata all’agenzia Fides si informa che oggi il presidente della regione di Cajamarca, Gregorio Santos, riceverà l'arcivescovo di Trujillo ed ex-presidente della Conferenza episcopale, mons. Miguel Cabrejos, accompagnato dal sacerdote Gaston Garatea, per stabilire le modalità di dialogo e proporre vie di soluzione definitiva al problema. Gli abitanti di Cajamarca sono in sciopero da più di 30 giorni per protestare contro il progetto minerario Conga, che prevede un investimento di circa 4.800 milioni di dollari. La popolazione teme la contaminazione delle locali riserve d'acqua con pesanti conseguenze sulla loro vita. Il governo aveva dato il via ai lavori dopo che la Società Yanacocha (che appartiene sempre al progetto Conga) aveva apparentemente accettato le nuove condizioni imposte dal Presidente peruviano, Ollanta Humala. Tra queste figurano il mantenimento di due dei quattro laghi che si intendono prosciugare per estrarre oro e rame; creare una riserva d'acqua 4 volte superiore a quanto proposto all'inizio; creare un fondo sociale e 10.000 posti di lavoro. Ma la popolazione è scettica circa il rispetto degli impegni da parte delle società minerarie. (R.P.)
Papua Nuova Guinea: 100.mo dalla nascita di Pietro To Rot, primo Beato del Paese
◊ Si celebrano in questi giorni, in Papua Nuova Guinea, i 100 anni dalla nascita del Beato Pietro To Rot, catechista laico e martire, ucciso nel 1945 per essersi opposto alla poligamia. La Chiesa papuana si è preparata all’evento attraverso diverse iniziative svolte nell’arco di un Anno dedicato a questa figura esemplare, dichiarato beato da Giovanni Paolo II nel 1995. Tra i principali appuntamenti – riferisce l’agenzia Fides – ci sono state catechesi mensili sul tema della famiglia e della vita, la ‘peregrinatio’ delle reliquie del Beato nelle parrocchie della diocesi di Rabaul e il pellegrinaggio dei Vescovi della Papua Nuova Guinea e Isole Salomone a Rakunai, il luogo di nascita del Beato. Mons. Francesco Panfilo, vescovo di Rabaul, che per celebrare l’evento ha diffuso una lettera pastorale dal titolo ‘Il Beato To Rot, un campione della vita familiare’, sottolinea che “la santità di questo laico semplice e umile e ricorda a tutti i fedeli cattolici di Papua Nuova Guinea e Isole Salomone, l'importanza dell'istituzione della famiglia e del matrimonio cristiano, auspicando che “le celebrazioni in onore del Beato portino maggiore santità nelle nostre famiglie e, soprattutto, che i giovani possano scoprire l'importanza del sacramento del matrimonio”. Benedetto XVI, al termine della visita 'ad limina' dei vescovi della Papua Nuova Guinea e Isole Salomone a Roma il 9 giugno scorso, ha incoraggiato tutte le coppie sposate a guardare alla figura del Beato come “esempio di coraggio e quindi ad aiutare gli altri a considerare la famiglia come un dono”. Papa Benedetto XVI ha inviato in Papua Nuova Guinea il Cardinale Joseph Zen di Hong Kong in occasione della celebrazione del centenario, ricordando che il Beato “ha offerto la vita a Cristo come un marito e padre di famiglia”. Per l’anniversario in corso è stata inaugurata dalla diocesi di Bereina, guidata da mons. Rochus Tatamai, anche un’emittente radiotelevisiva chiamata “La voce di Pietro To Rot”, che produce servizi radio, tv e web. Il vescovo ha sottolineato la volontà di “testimoniare Cristo tramite il lavoro dei mass media, soprattutto radio e televisione, con Internet e i social network”. “La voce di Pietro To Rot”, trasmette nelle località di Kerema, Vunapope, Malmaluan, Bereina, Lorengau e nel prossimo futuro a Port Moresby. Il progetto vede una piena collaborazione ecumenica con le altre Chiese cristiane, per la diffusione dei valori umani e cristiani nella società. Il network cattolico fornirà, inoltre, servizi, programmi e produzioni televisivi alla “Kundu2”, emittente del servizio televisivo pubblico in Papua: in tal modo, raggiungerà un pubblico molto vasto nel Paese. Su Internet il nuovo network è visibile agli indirizzi www.voiceoftorot.com e www.torot.tv . (A.C.)
India: battaglia legale della Chiesa per salvare le scuole cattoliche del Karnataka
◊ I cattolici del Karnataka, guidati da mons. Bernard Moras, arcivescovo di Bangalore e presidente del Karnataka Region Catholic Bishops' Council (Krcbc), ricorreranno alla Corte suprema per fermare il tentativo del governo locale di modificare lo status di “minoranza” per gli istituti scolastici. Sadananda Gowda, capo del governo del Karnataka, ha infatti affermato che lo status di "minoranza" sarà concesso solo a quelle scuole in cui il 75% degli studenti appartiene a una comunità di minoranza. In caso contrario, tali istituti non potranno godere dei privilegi concessi dal Right to Education Act (Rte), la legge che prevede la scuola obbligatoria gratuita per tutti i ragazzi dai 6 ai 14 anni. In base a una sentenza della Corte suprema dell’aprile scorso, dal prossimo anno scolastico tutte le scuole pubbliche e private dell'India dovranno riservare il 25% dei posti a bambini e ragazzi poveri. Il tribunale ha escluso da tale obbligo gli istituti delle minoranze che non ricevono aiuti: una simile regola infatti sarebbe stata troppo gravosa per i bilanci di scuole che, in realtà, già accolgono bambini e ragazzi di fasce sociali disagiate. Se la proposta del governo del Karnataka dovesse diventare legge, diversi istituti delle minoranze - soprattutto nelle aree rurali - sarebbero costretti a chiudere: molti infatti non raggiungono il 75% di studenti non indù. Mons. Moras, che guiderà in tribunale 95 istituti cattolici, diocesani e non, spiega all'agenzia AsiaNews che le autorità giocano sulla definizione di istituti delle minoranze solo per continuare a "perseguitare, intimidire e tormentare" la vulnerabile comunità cristiana. "La Corte suprema - sottolinea - ha già chiarito i vari punti del Rte e la sua sentenza non ha bisogno di essere interpretata. Un istituto di minoranza è tale per la composizione del consiglio scolastico, non in base al numero di studenti". Il prelato denuncia poi altri tentativi del governo di trasformare il Karnataka in uno Stato del tutto indù: “Le autorità hanno introdotto in molti testi scolastici la parola 'induizzazione' ed elementi della mitologia e della filosofia induista, per plasmare le menti dei più piccoli. Abbiamo contestato anche questa situazione, ma nessuno ha fatto qualcosa. Il governo ha già speso 111 milioni di rupie (circa 1,6 milioni di euro) per stampare i libri”. In questa lotta, spiega il prelato, “non siamo soli: anche diverse comunità sikh e musulmane sono preoccupate. Quella del governo è una lotta contro ogni forma di minoranza: chiediamo solo di vedere rispettati e garantiti i nostri diritti costituzionali”. (M.G.)
India: la Chiesa di Goa chiede al governo di tutelare i lavoratori
◊ “Dare prova di umanità” nei confronti dei lavoratori del settore minerario: è quanto chiede la Chiesa cattolica di Goa, piccolo Stato occidentale dell’India. In una lettera scritta dal Consiglio per la pace e la giustizia sociale (Csjp) dell’arcidiocesi locale e indirizzata al governo guidato dal Partito nazionalista indù (Bjp), si espone il caso di 230 minatori assunti nell’industria estrattiva statale dall’esecutivo precedente, espressione del Partito del Congresso. Assunzioni che il Bjp aveva fortemente criticato, definendole una strategia dovuta alle imminenti elezioni e pensata per guadagnare voti. Nell’ottica della lotta alla corruzione, quindi, una volta saliti al potere, gli indù hanno sospeso l’assunzione dei 230 neo-impiegati. Ma, come scrive nella lettera padre Maverick Fernandes, segretario generale del Csjp, rifiutare il lavoro a tali persone equivale violare i loro diritti umani, anche perché “una volta assunti dall’industria statale, la maggior parte di questi operai ha lasciato il precedente impiego”. Sospendere la nuova assunzione, quindi, significa “togliere a 230 persone il loro unico mezzo di sussistenza, senza alcuna colpa da parte loro. E questo richiama una questione di umanità”. Tra l’altro, padre Fernandes sottolinea che “le procedure di assunzione erano state perfettamente rispettate e ciascun candidato aveva risposto in maniera soddisfacente ai requisiti richiesti dal tipo di impiego”. Di conseguenza, conclude il Csjp, “è incomprensibile che il governo impedisca ai 230 impiegati di prendere servizio, senza neanche una motivazione scritta”. (I.P.)
Repubblica Ceca: il dibattito parlamentare sui beni della Chiesa a un punto morto
◊ “Il dibattito sulla stesura del disegno di legge riguardante l’accordo sui beni della Chiesa e delle organizzazioni religiose è giunto a un’impasse”. Lo si legge in un comunicato congiunto diffuso in questi giorni dai leader della Conferenza episcopale ceca, del Concilio ecumenico delle Chiese e della Federazione delle comunità ebraiche in Repubblica Ceca. Secondo i firmatari – riporta l’agenzia Sir - al posto di “un dibattito oggettivo” si è creato “uno scontro politico” caratterizzato “dall’assenza di moralità” e dall’incapacità di percepire la realtà dei fatti in merito alla questione dell’indennizzo per i danni causati dal regime comunista. I firmatari del documento criticano il fatto che il Parlamento, che ha approvato la legge in terza lettura, accusi le Chiese e le comunità religiose di “scorrettezza e disonestà”, poiché questa è “un’offesa contro tutti i fedeli” che vivono in Repubblica Ceca. I firmatari invitano dunque tutte le parti a raggiungere presto un accordo così che “lo Stato possa: porre fine al sostegno finanziario erogato alle Chiese e alle comunità religiose; terminare l’immobilizzazione delle terre che erano inizialmente di proprietà della Chiesa in modo tale da poter consentire lo sviluppo dei villaggi e delle città; porre fine alla preoccupante situazione di insicurezza legale in materia di diritto di proprietà in Repubblica Ceca per stimolare lo sviluppo e gli investimenti, la costruzione delle infrastrutture e contribuire allo sviluppo del mercato del lavoro; risolvere infine la questione del passato comunista tramite una restituzione parziale chiudendo così in maniera positiva il capitolo relativo al regime totalitario”. I rappresentanti delle Chiese e delle organizzazioni religiose considerano la legge relativa all’accordo sui beni “un compromesso per il bene di tutte le parti interessate: Chiese, Stato e l’intera società”. (R.P.)
Portogallo: la Chiesa plaude la bocciatura del taglio alle tredicesime ai dipendenti pubblici
◊ Una decisione che è in linea con le preoccupazioni della Chiesa per l’equità sociale. Così la Commissione nazionale della Giustizia e della Pace della Conferenza episcopale portoghese (Cnjp) ha salutato la sentenza della Corte Costituzionale che ieri ha bocciato la soppressione della tredicesima e della quattordicesima mensilità, imposta dal Governo ai dipendenti pubblici e ai pensionati che guadagnano più di mille euro al mese per risanare i conti pubblici del Paese duramente colpiti dalla crisi economica. I giudici hanno così accolto il ricorso dell’opposizione e dei sindacati secondo i quali la norma “viola il principio di uguaglianza”, costringendo una parte della popolazione ad un sacrificio supplementare rispetto agli altri cittadini. Una posizione condivisa dal presidente della Commissione giustizia e pace Alfredo Bruto da Costa. "I sacrifici imposti dalla crisi devono essere equamente distribuiti" e la decisione della Corte Costituzionale è in linea con questo principio di equità, ha dichiarato all’agenzia dei vescovi Ecclesia il responsabile della Cnjp . A suo giudizio è “importante” che la Corte abbia riaffermato due principi di fondo: che il Governo deve preoccuparsi della “equa ripartizione dei sacrifici " e che questa attenzione “non venga meno quando il Paese si trova difficoltà". Questo - ha aggiunto – non significa necessariamente un ulteriore giro di vite sull’austerità, perché "tutto dipende da come il Governo compenserà questa sospensione con misure alternative". “Spetta all’esecutivo - ha concluso da Costa - scegliere quelle che comportano meno sacrifici” per i cittadini. (L.Z.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 191