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Sommario del 06/07/2012
◊ Pregare “perché i volontari cristiani, presenti nei territori di missione, sappiano dare testimonianza della carità di Cristo”. Questa l’intenzione di preghiera missionaria di Benedetto XVI per il mese di luglio. Ma cosa vuol dire essere un volontario cristiano nei territori di missione? Michele Raviart lo ha chiesto a Riccardo Giannotta, responsabile dei progetti del Vis, legati al mondo salesiano, e volontario in Kosovo e in Sri Lanka:
R. – Il primo impegno del volontario missionario è quello di portare una testimonianza, una testimonianza di solidarietà, che supera l’aiuto concreto, che è investita di un ruolo e di uno spendersi per un anno o due. Noi garantiamo un volontariato di un certo periodo proprio per riuscire a compiere un servizio e un aiuto che abbia un inizio e una fine, in un contesto specifico, e quindi essere una testimonianza del valore della solidarietà, dell’aiuto e della carità cristiana.
D. – In quali Paesi operate come Vis e quali progetti portate avanti?
R. – Noi operiamo in circa 40 Paesi nel mondo. Quindi, copriamo sia l’America Latina che l’Africa, l’Asia e i Caraibi. Siamo molto diffusi, perché ovviamente le missioni salesiane sono molto diffuse nel mondo. Prevalentemente i nostri progetti sono in ambito educativo e formativo, perché chiaramente il carisma di don Bosco, il carisma dei salesiani, mette sempre in primo piano l’educazione e la formazione. Noi crediamo che attraverso l’educazione e la formazione si possa veramente aiutare le giovani generazioni a divenire padrone del proprio sviluppo e del proprio futuro.
D. – Come viene accolta la missione cristiana in questi Paesi?
D. – Chiaramente, laddove c’è un forte radicamento della presenza cristiana, tutto ciò viene accolto con molta facilità. Laddove invece – faccio l’esempio del Pakistan – i cristiani sono una minoranza, lì la sfida è una sfida diversa, perché si deve riuscire comunque a far passare una testimonianza, che potrebbe essere vista con ostilità. Devo dire, avendo seguito direttamente gli interventi che stiamo facendo in Pakistan, anche dopo l’alluvione dell’agosto 2010, che attraverso il lavoro dei missionari che sono lì, degli operatori che sono sul campo, ho visto cambiare l’atteggiamento delle persone, da un primo atteggiamento di diffidenza in un atteggiamento di estrema accoglienza, perché l’aiuto che veniva dato era un aiuto assolutamente trasversale. Questo ha colpito enormemente la popolazione e ha messo sotto una luce completamente diversa la piccola comunità cristiana del Paese.
D. – Il Papa ha ricordato l’importanza di dare testimonianza della carità di Cristo. Come si traduce questo intento sul campo? Come lo interpretate?
R. – Lo interpretiamo attraverso lo spirito di servizio, cioè dedicare due o tre anni della propria vita a servizio degli altri. La sfida grande però è che si vuole offrire a queste persone, che offrono questa testimonianza, la possibilità poi di riportare la propria crescita anche all’interno del Paese di appartenenza e quindi riuscire ad arricchire la società civile dello stesso Paese, impregnandola di valori che si sono accresciuti o consolidati con queste esperienze di volontariato nelle missioni, all’interno dei progetti del Vis.
◊ C’è grande attesa in tutto il Medio Oriente per il viaggio apostolico che il Papa compirà a settembre in Libano. Un’attesa che si è accresciuta con la pubblicazione del programma della visita, martedì scorso. Sull’importanza che questo evento rappresenta per tutti i cristiani della regione mediorientale, Alessandro Gisotti ha intervistato il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa:
R. - Qui, in Terra Santa, l’attesa è molto alta. Abbiamo già ricevuto tantissime richieste di partecipazione. Sappiamo che - a causa della situazione politica - non sarà facile ottenere i visti. Il Libano, per tutto il Medio Oriente cristiano, è un riferimento molto importante dal punto di vista culturale, anche per la vitalità della Chiesa. Per questo motivo tutti vogliono essere presenti. L’assemblea dei parroci, presieduta dal Patriarca, ha già deciso che il prossimo anno pastorale sarà proprio dedicato allo studio ed alla lettura in tutte le parrocchie, dell’Esortazione post-sinodale che il Papa presenterà. C’è fermento qui, grande fermento e grande attesa.
D. – C’è chiaramente una grande aspettativa per questa Esortazione, dopo un Sinodo così importante, come quello per il Medio Oriente di due anni fa…
R. – Sì, perché sarà la conclusione ed avrà anche l’aspetto operativo: le linee che il Santo Padre ci darà, di indicazione, di azione, anche di indirizzo per i prossimi anni, delle Chiese del Medio Oriente che, come tutti sappiamo, sono in una fase di passaggio molto importante.
D. – Nella sua visita in Libano, Benedetto XVI incontrerà anche i capi religiosi musulmani. Incontro di grande importanza, pensando anche al dialogo tra cristiani e musulmani nel Medio Oriente...
R. – Certamente, uno dei temi importanti del Sinodo del Medio Oriente, è stato proprio il rapporto con l’islam. Le Chiese del Medio Oriente hanno molto da dire su questo, il loro futuro si gioca anche sulla capacità di avere un rapporto sereno e chiaro con l’islam del Medio Oriente, che è anch’esso in grande cambiamento, grande trasformazione. Sarà per questo uno degli incontri più importanti, ed anche una delle indicazioni più rilevanti che il Papa ci darà per il futuro.
D. – Questo viaggio rafforzerà la presenza dei cristiani nel contesto del Medio Oriente con molte situazioni nuove per la cosiddetta "Primavera Araba"?
R. – Sì, la "Primavera Araba", o quello che ne resta, ha cambiato totalmente gli assetti, le relazioni e le dinamiche. Diciamo che, in un certo senso, il Sinodo ha un po’ previsto, e preparato nel suo documento questi cambiamenti. Adesso è importante comunque, passare ad una fase di costruzione: il Medio Oriente sta cambiando, l’islam – che permea la vita del Medio Oriente – sta cambiando, anche noi stiamo cambiando come cristiani e vogliamo essere anche noi protagonisti di questo cambiamento.
D. – Il Papa si recherà in Libano come pellegrino di pace e di pace ce n’è davvero bisogno, basti pensare poi alla Siria, così vicina al Libano...
R. – Il Libano, subisce un po’ le crisi di tutto il Medio Oriente: il conflitto israelo-palestinese, la crisi siriana, la crisi con gli altri Paesi del Medio Oriente – Iran, Iraq – ecco, tutte queste cose arrivano lì. E’ un Paese molto importante, anche un po’ fragile e la presenza del Papa, il suo incoraggiamento, le sue linee, saranno molto importanti. Forse non si potrà cambiare tutto, ma darà un grande incoraggiamento ad andare avanti e a non subire queste situazioni.
◊ In Spagna, il Santo Padre ha nominato Vescovo titolare di Mentesa ed Ausiliare della diocesi di Getafe, il Rev.do José Rico Pavés, Direttore del Segretariato della Commissione Episcopale per la Dottrina della Fede della Conferenza Episcopale Spagnola, e dell’Istituto Teologico San Ildefonso di Toledo.
In Indonesia, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Tanjungkarang, presentata dall’Ecc.mo Mons. Andreas Henrisusanta, S.C.I., in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico ed ha nominato S.E. Mons. Aloysius Sudarso, S.C.I., Arcivescovo di Palembang, Amministratore Apostolico sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis della medesima Diocesi.
Congo: il cardinale Filoni a seminaristi e laici, protagonisti della missione
◊ “Il seminario è come un granaio, a cui occorre prestare la massima attenzione, perché da esso dipende il sostentamento della famiglia, che è la Chiesa. Da qui dobbiamo attingere le risorse necessarie per la Missione”. Utilizzando questa metafora il cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, si è rivolto ai seminaristi ed ai loro formatori, con un discorso pronunciato questa mattina a Kinshasa nel corso della sua visita nella Repubblica Democratica del Congo che si conclude oggi. “E' molto importante per voi saper apprezzare e valorizzare al meglio questo periodo – ha detto il porporato -, che vi offre opportunità preziose e uniche per acquisire conoscenze intellettuali e per la crescita umana e spirituale. Il tempo della formazione in seminario è un tempo di grazia, da vivere in tutta la sua pienezza, con un grande senso di impegno e di responsabilità”. Sulla strada del sacerdozio “è fondamentale riservare una attenzione speciale alla vostra vita spirituale” ha sottolineato il cardinale Filoni, ricordando che le giornate, scandite dal ritmo della preghiera liturgica, “devono trovare sempre il loro momento centrale nella celebrazione della Santa Messa”, inoltre ha raccomandato la celebrazione del sacramento della Penitenza e la direzione spirituale, oltre alla preghiera personale. “Questo contatto intimo con il Signore – ha proseguito - vi aiuterà a comprendere quanto sia essenziale salvaguardare il prezioso dono della castità e del celibato, con una costante vigilanza su se stessi, su come gestire il proprio tempo libero e sull'uso dei mezzi di comunicazione sociale”. Un elemento da non trascurare, che il Papa definisce “prioriario”, è la formazione teologica: di fronte a tanti mali di oggi che derivano dalla confusione dottrinale, “è pertanto necessario attenersi alla fonte autentica del Magistero, che fornisce orientamenti chiari e sicuri” ha ribadito il Prefetto. Infine, il Seminario è “una vera scuola di umanità, vale a dire un luogo dove si fa apprendistato della vita comunitaria” ha messo in evidenza il cardinale Prefetto, ricordando il ruolo importante dei formatori, a cui si è rvolto con questa esortazione: “dovete essere degli esempi in questo campo per i giovani a voi affidati”. Parlando ieri, sempre a Kinshasa, al Comitato nazionale dei Laici ed ai rappresentanti delle Commissioni dei Laici, il cardinale Filoni ha affermato che “grazie all’ammirevole collaborazione dei laici con i loro Pastori, la Chiesa locale è viva, dinamica e missionaria. A tutti voi laici, che avete contribuito all'annuncio del Vangelo ieri e oggi, voglio rendere il meritato tributo, con una menzione speciale per i catechisti”. Sono numerosi i laici che offrono “una eccellente testimonianza di fede e di carità, attraverso il loro impegno in campo politico, economico e culturale”, e il Prefetto del Dicastero Missionario li ha incoraggiati a proseguire nel loro servizio, specialmente in campo politico, segnalando alcune sfide da affrontare sul piano sociale ed ecclesiale, prima fra tutte l’evangelizzazione della cultura. (R.P.)
La Segreteria di Stato smentisce le illazioni di Panorama: "del tutto false"
◊ “Sono evidentemente del tutto false e prive di qualsiasi riscontro” le affermazioni riportate da un articolo di Panorama riguardanti la presunta esistenza di un figlio di un cardinale “al vertice di uno degli organismi finanziari della Santa Sede”: è quanto precisa la Segreteria di Stato, come riferisce in una dichiarazione orale il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi.
“Per tali affermazioni e altre non veritiere contenute nell’articolo, che si ritengono palesemente denigratorie ed esulanti dai legittimi limiti del diritto di cronaca – sottolinea padre Lombardi - la Segreteria di Stato si riserva ogni opportuna iniziativa a tutela dei diritti delle persone interessate”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Di fronte al mistero della sofferenza, in prima pagina, un articolo di Ferdinando Cancelli dal titolo "La sacra inutilità del silenzio".
In rilievo, nell'informazione internazionale, la proroga della missione dell'Onu nel Sud Sudan, alla vigilia del primo anniversario dell'indipendenza.
L'icona più geniale del XX secolo: in cultura, anticipazione del saggio di Martin Mosebach (in uscita sul prossimo numero di "Vita e Pensiero") sulla Madonna di Lourdes che, snobbata come figura kitsch, è invece la creazione artistica più eloquente.
Un articolo di Michele Dau dal titolo "In cerca del volto umano dell'economia": le attività produttive non sono solo una gara tra individui ma l'espressione della vita di una comunità.
Caravaggio ritrovato: secondo Antonio Paolucci è puro ottimismo induttivo.
Il figlio di San Paolo: Silvia Guidi su una mostra, a Termoli, dedicata a Timoteo, discepolo prediletto dell'Apostolo delle genti.
Cavaliere cristiano in terra incognita: Gabriella Uluhogian recensisce il libro dell'arcivescovo Claudio Gugerotti dal titolo "Caucaso e dintorni. Viaggio in una cristianità di frontiera".
C'è chi morte la vita e chi l'aspetta: Andrea Monda sul romanzo "L'America non esiste" del fratello Antonio.
La prima volta di Bartolomeo e il gran muftì: nell'informazione religiosa, un articolo sullo storico incontro, a Istanbul, nella sede del Patriarcato ortodosso.
Quegli occhi in cerca di speranza: nell'informazione vaticana, il sotto-segretario del Pontificio Consiglio Cor Unum, mons. Segundo Tejado Munoz, racconta la sua visita ad Haiti e in Guatemala.
Appello dal Vertice dei "Paesi amici della Siria", a Parigi: Assad deve lasciare il potere
◊ Il presidente siriano Bashar al-Assad deve cedere il potere per dare credibilità al processo di transizione: è quanto scritto nelle conclusioni adottate da tutti i Paesi presenti al vertice di Parigi degli "Amici della Siria". Intanto, dalle pagine di un quotidiano turco Assad afferma che dimostrerà al mondo che resisterà fino alla fine. A pesare sulla crisi le posizioni di Cina e Russia che hanno boicottato la riunione nella capitale francese. Il servizio di Marco Guerra:
"Coloro la cui presenza potrebbe minare la credibilità del processo di transizione dovrebbero farsi da parte. A tale riguardo Bashar al-Assad dovrebbe cedere il potere". È questo il punto fermo su cui hanno concordato le circa 100 delegazioni del vertice di Parigi, fra Paesi arabi e occidentali e l’opposizione interna siriana. Dimissioni di Assad che sono stato oggetto anche dei vari interventi che si sono susseguiti in mattinata. Ad aprire il vertice, il presidente francese Holland che, facendo riferimento alle assenze di Cina e Russia, ha detto che la crisi siriana è diventata una minaccia alla sicurezza internazionale. L’inquilino dell’Eliseo ha chiesto quindi a tutta la comunità internazionale di assumersi cinque precisi impegni, fra cui sanzioni più dure nei confronti di Damasco e il rifiuto di ogni impunità per i crimini. Dichiarazioni a cui hanno fatto eco il capo del Consiglio nazionale dell'opposizione, che ha chiesto l’istituzione di una no-fly zone, e il segretario di stato Usa Clinton che, senza usare mezzi termini, ha affermato che Pechino e Mosca “pagheranno un prezzo” per il loro sostegno al regime siriano e ha chiesto di fare pressioni sui due Paesi affinché Consiglio di sicurezza dell’Onu approvi una risoluzione che imponga conseguenze ''immediate'' a Damasco. Intanto non si fermano le violenze: l’esercito siriano ha riconquistato le roccaforti dei ribelli nella provincia settentrionale di Idlib e l’opposizione denuncia bombardamenti sulla città di Daraya con almeno una vittima tra i civili, mentre secondo l’Onu Il numero dei rifugiati siriani nei Paesi vicini ha superato le 100mila persone.
Attesa per lo storico voto di domani in Libia. Favoriti i Fratelli Musulmani
◊ Vigilia di elezioni in Libia, le prime dopo la caduta di Gheddafi. Molte le incognite sulle consultazioni dominate dalle difficoltà di organizzare la macchina elettorale e dai malumori di molte regioni del Paese che non hanno gradito la ripartizione dei seggi della futura Assemblea Costituente. I 200 eletti, scelti da quasi tre milioni di cittadini, dovranno redigere e approvare la nuova Costituzione. A vigilare sul voto un team di osservatori internazionali, preoccupati dalla crescente insicurezza nel Paese. Le forze dell’ordine da tempo non riescono a fronteggiare le violazioni commesse dalle milizie armate. Tra i favoriti spicca il partito di "Giustizia e Sviluppo", ramo politico della Fratellanza Musulmana. Sarà una vittoria scontata? Risponde Renzo Guolo, docente di Sociologia delle Religioni presso l'Università di Padova. L’intervista è di Benedetta Capelli:
R. – Diciamo che è probabile, se non altro perché la Fratellanza, in Libia come altrove, è storicamente una delle formazioni più organizzate e radicate da lungo tempo, e il suo statuto di essere insieme confraternita religiosa e partito politico la favorisce. Questo, infatti, le ha permesso anche negli anni della clandestinità di mantenere una certa forza. Si tratterà di capire se riuscirà a vincere "in solitaria", com’è accaduto altrove,oppure no. Dipende dai numeri.
D. – L’assemblea costituente dovrà redigere la Costituzione. Si discute molto sulla sharia come unica fonte del diritto...
R. – E’ un dibattito in corso. Vi è un’ala - chiamiamola moderata - che guarda di più all’esperienza dell’Akp turco, sia in Ennada tunisina ma anche nei Fratelli Musulmani, in qualche modo, non si ritiene la sharia l’unica fonte del diritto o comunque un elemento coercitivo. Certo quando parliamo di Fratellanza, parliamo di atteggiamenti e di correnti che sono estremamente diversificati al loro interno. Per ora vincitrice pare l’anima pragmatica, quindi disposta ad affermazioni di principio forti ma poi pronta, per esempio, a collaborare con altre forze di diversa matrice nel governo quotidiano. Il caso libico è un po’ diverso, perché le formazioni sono molto radicate e radicalizzate, anche perché la repressione del colonnello Gheddafi è stata durissima. Come altrove, i Fratelli Musulmani si trovano però a scontare la concorrenza di un’ala salafita, addirittura nel caso libico, come Ouattan, ossia di un’ala ex jihadista che formalmente ha rinunciato alla lotta armata – hanno combattuto soprattutto nel vicino Afghanistan – e che si è detta disposta a mettersi nel gioco della democrazia. Questo è un grande passo avanti, se pensiamo che solo qualche anno fa, loro ritenevano idolatria la sola partecipazione alla competizione elettorale.
D. – Che appuntamento sarà quello di domani?
R. – E' un appuntamento importante, ma si tratterà di capire soprattutto se questo potere riceverà una legittimazione capace anche di mettere ordine. Le varie fazioni tribali, le varie fazioni cittadine che si sono combattute, anche in questi mesi, a volte persino a colpi di kalashnikov tra loro, rendono la situazione molto instabile. In più vi è il grandissimo problema, mai risolto, del rapporto centro-periferia tra Tripolitania e Cirenaica. Anche in questa occasione gli elementi della Cirenaica, da dove è partita la rivolta, si lamentano che, per effetti dei collegi elettorali, il peso dei tripolitani sarebbe maggiore. Quindi, questa è un’annosa questione, che si ripercuote da sempre e che va risolta pena l’esplosione di un nuovo conflitto tra le diverse aree geografiche del Paese.
D. – Ad oggi molti Paesi investiti dalla cosiddetta "Primavera Araba" sono andati alle urne. Che bilancio si può fare? Sono cambiati un po’ gli equilibri in quella regione?
R. – Sicuramente noi abbiamo visto la vittoria di un clan politico, ma questo era anche abbastanza scontato. Sostanzialmente le due grandi forze in campo, al di là dei promotori delle rivolte, erano quelle dei militari, gli eredi dei regimi nazionalisti, e i Fratelli Musulmani o le formazioni islamiste, che non sono solo partiti politici ma anche espressioni di organizzazioni religiose. Fanno riferimento ad un codice culturale condiviso, comprensibile a una larga parte della popolazione, di cui una parte non è istruita, e che comprende meglio i codici molto semplici, trasmissibili simbolicamente. Il peso dell’Islam in questi Paesi è evidente così come la sua influenza in termini elettorali. Si tratterà, appunto, di vedere finalmente questi partiti islamisti alla prova del governo. Anche questi Paesi sono dentro al meccanismo dei flussi globali dell’economia, per esempio. Quindi, come affronteranno questi temi, ci dirà molto anche del futuro di questi Paesi. Il grande problema è invece il tema dei diritti umani, sia per quanto riguarda la libertà religiosa sia per quanto riguarda la questione delle cosiddette minoranze religiose, a partire da quelle cristiane, sia per quanto riguarda i diritti delle donne. Su questo misureremo davvero quanto di nuovo c’è in questo corso inaugurato dalla "Primavera Araba".
Elezioni a Timor Est: se emerge stabilità, i Caschi blu potrebbero ritirarsi dal Paese
◊ Circa 600 mila abitanti di Timor Est sono chiamati alle urne domani per scegliere, tra i candidati di 21 partiti, il nuovo Parlamento. Un voto cruciale perché se emerge stabilità nel Paese, che ha festeggiato dieci anni di indipendenza a maggio, l’Onu potrebbe decidere il ritiro dei Caschi blu. L’Onu ha aiutato la transizione verso l'indipendenza dall'ex colonia portoghese perché il Paese era vittima di lotte interne per il potere. Nel Paese, il 41 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà e c’è un allarmante tasso di disoccupazione tra i giovani. Su questo voto, Fausta Speranza ha intervistato Fabrizio Dal Passo, docente di storia all’Università La Sapienza:
R. – Essere una piccolissima isola - anzi una parte di isola - in un arcipelago formato da altre isole controllate dall’Indonesia o comunque da altre potenze, tra cui anche la vicina Australia, ha creato l’interesse specifico per questo tipo di area. Una piccola area, però influente ed importante, giocata su questo “chiaro-scuro” di presenza religiosa contrastante tra i tanti cristiani sull’isola e la maggioranza musulmana di tutta la macro area circostante.
D. – Come fotografare lo status quo raggiunto in questo momento?
R. – Uno status quo molto difficile: i Caschi blu sicuramente hanno dato un sostegno importantissimo, per garantire l’indipendenza e per garantire il peacekeeping nell’area. Chiaramente, però, dall’inizio di questo secolo – dal 1999 al 2000, fino al 2002 quando è stata riconosciuta l’indipendenza – c’è stata una violenta guerra civile, che ancora non è del tutto terminata, ha degli strasichi. Quindi, credo che con difficoltà si stia pensando di smobilitare l’area ma non sono convintissimo che questo aiuti una vera pacificazione sociale. Questo conflitto sicuramente non terminerà del tutto, dal mio punto di vista, neanche con delle elezioni a grande maggioranza favorevoli all’attuale compagine presidenziale. Questo conflitto, però va fatto rientrare nell’ambito dell’attività Onu, in un più ampio contesto di problematiche internazionali. In sostanza, che cosa viene fuori: a parte Timor Est, pensiamo anche alla Siria, ad altre aree più vicine a noi – il vicino Oriente, il Nord Africa, come anche altre aree in Africa ed in Asia - sono in qualche modo le increspature di un sistema globalizzato, che sta mostrando delle falle. In un contesto internazionale di grande, improvviso, cogente interesse – pensiamo all’Iraq, al Kuwait o ad altre aree ancora – la comunità internazionale è spinta sicuramente da motivazioni molto più forti ed immediate verso queste emergenze. Timor Est, ma potremmo fare l’esempio anche della Bosnia, del Kosovo - basta essere aggiornati e vedere quello che accade - ci rendiamo conto che sono aree molto meno influenti e che vengono un po’ lasciate alla mercé di scontri etnici e religiosi, a volte anche cruenti – pensiamo al Rwanda – che lasciano degli strascichi per molti e molti anni.
D. – Quindi diciamo che Timor Est è stata un po’ dimenticata?
R. – Credo di sì. Secondo me, l’attività di peacekeeping, anche se è stata molto ben portata avanti dall’Onu – questo è innegabile – non ha avuto la possibilità effettiva di creare un sistema, una struttura stabile di potere, in grado di garantire se stessa.
D. – Che cosa in questi anni, però, è maturato. Qualche passo avanti lo vede?
R. – Io mi permetto di portare una piccola testimonianza come docente: uno studente che proveniva da Timor Est mi ha molto colpito, perché non soltanto aveva una grande preparazione sulla storia europea, ma esprimeva l’idea di speranza spinta da una fede cristiana profonda che mi ha molto colpito. Lui è convinto che la sua popolazione alla fine ce la farà, e altri come lui, proprio perché spinta da un comune sentire e da una volontà di miglioramento delle condizioni di quel posto che – ripeto - da secoli ha conosciuto una serie ininterrotta di dominazioni e di schiavitù da parte di grandi potenze, come furono l’Olanda, il Portogallo ma anche in tempi più recenti con l’Indonesia.
◊ In Italia scende il potere d’acquisto. Secondo i dati dell’Istat diffusi oggi, nel primo trimestre del 2012, tenuto conto dell'inflazione, il potere d'acquisto delle famiglie consumatrici, cioè il reddito disponibile in termini reali, è calato dell'1% su base congiunturale e del 2% su base annua. Un dato preoccupante per Luigi Campiglio, professore di "Politica Economica" presso l'Università Cattolica di Milano. Debora Donnini lo ha intervistato:
R. – E’ preoccupante, perché segnala l’origine di questa crisi italiana oggi, cioè una diminuzione drastica e quasi improvvisa della domanda interna dei consumi. Questo, oggi, è il nodo centrale.
D. – C’è una diminuzione della domanda perché c’è preoccupazione, ma anche perché ci sono tasse, aumenti e tagli…
R. – Sì, la situazione è duplice: una diminuzione tendenziale - che è in corso ormai da parecchi anni - del reddito disponibile delle famiglie e del potere d’acquisto delle famiglie, ma a questo oggi si aggiunge un clima di incertezza sul futuro, che certamente non giova. I fattori principali di queste incertezze, direi che sono due: le prospettive di aumento della pressione fiscale che si accompagnano ad una situazione sempre più difficile dell’occupazione.
D. – L’Istat segnala, però, che nel primo trimestre 2012 la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici, misurata al netto della stagionalità, è stata del 9,2%, quindi invariata rispetto al trimestre precedente ed addirittura in aumento di 0,4 punti percentuali, nei confronti del primo trimestre 2011. Questo è un dato che fa sperare? E’ un dato in contrasto rispetto a quello precedente oppure no?
R. – Di fronte ad un aumento del tasso di risparmio, insieme ad una diminuzione del potere d’acquisto, la risposta è che questo aumento del tasso di risparmio è tecnicamente un aumento del risparmio precauzionale. Detto in modo un po’ più diretto, si tratta del timore, della paura delle famiglie consumatrici rispetto al futuro.
D. – Secondo lei, per esempio, con i tagli di questa spending review, la tassazione, la disoccupazione, cosa cambierà per le famiglie italiane?
R. – L’effetto simultaneo, sottolineo simultaneo, della pressione fiscale e della riduzione della spesa pubblica, avrà un impatto accentuato sui timori delle famiglie. Quello che è in gioco non è solamente la questione della ricerca di un avanzo nel bilancio pubblico, ma anche il significato che in prospettiva noi pensiamo di dare per un ruolo del settore pubblico nell’economia. Un ruolo che, in termini di spesa pro-capite, in Italia è inferiore a quello della Germania, della Francia, degli altri Paesi che hanno un livello di Pil pro-capite maggiore del nostro.
Varata la spending review. Diotallevi: cittadini disposti a fare sacrifici che abbiano senso
◊ Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al decreto di attuazione della delega sulla revisione delle circoscrizioni giudiziarie. E fa discutere il varo della spending review varata in nottata dal governo. Per il segretario del Pd Pierluigi Bersani bisogna fare “attenzione a non dare una mazzata al Servizio sanitario nazionale”. Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, del Pdl, parla di una “manovra che si abbatte duramente con tagli molto pesanti”. Alessandro Guarasci ha sentito il parere di Luca Diotallevi, vicepresidente del Comitato Organizzatore delle Settimane Sociali dei cattolici italiani:
R. – Questo taglio alla spesa pubblica è molto al di sotto di quanto l’Europa ci aveva richiesto, è molto al di sotto di quello che servirebbe, e la dimostrazione è la non risoluzione dei problemi, che porterebbero all’aumento dell’Iva, ma semplicemente il procrastinare quest’aumento a dopo le prossime elezioni. Noi siamo in una situazione molto difficile, cui ci hanno portato decenni di malgoverno. Il tempo si è fatto strettissimo e noi dobbiamo costruire consenso intorno ad una politica durissima. Io segnalo semplicemente la grande vicinanza che c’è tra le richieste della Bce e l’agenda della 46.ma Settimana dei cattolici italiani, per dire che c’è spazio per una grande alleanza, come fu quella che nella metà degli anni 40 portò l’Italia fuori dai disastri della dittatura e della guerra. Oggi noi abbiamo bisogno di dare consenso a questo tipo di riforma. Le persone sono disponibili a grandi sacrifici, ma che abbiano senso.
D. – Però, quantomeno sul fronte delle province, è stato avviato un percorso per ridurle in modo consistente. Questo è positivo?
R. – Sarebbe positivo se non ci trovassimo di fronte sostanzialmente a poco più che ad un annuncio, un annuncio che si ripete da tantissimi anni, che questa volta forse porterà a qualcosa di più concreto, ma che ancora è lungi dal portare ad un risultato.
D. – Questo vuol dire che, secondo lei, i cosiddetti enti inutili sono stati appena toccati?
R. – Pensiamo ai trasferimenti ‘graziosi’ alle imprese, di cui si occupa il Memorandum di Giavazzi e dell’esecuzione del quale, per ora, non c’è traccia; dei soldi ai sindacati; delle tante spese inutili; degli microcomuni; del numero esorbitante dei parlamentari, dei loro privilegi, e potremmo continuare.
D. – Per gli statali sembra finire l’era del posto fisso. Una rivoluzione che spesso è stata già annunciata in passato, ma che non è stata mai avviata...
R. – Noi abbiamo bisogno urgentemente che questa era cominci, però non possiamo dire – come lei giustamente afferma – che sia cominciata.
D. – Sulla sanità, secondo lei, è stato raggiunto un buon compromesso? Insomma, non saltano gli ospedali piccoli, però quantomeno viene toccata la spesa farmaceutica...
R. – No, il compromesso è ancora al di sotto di quello che era necessario raggiungere. Il piccolo ospedale, innanzitutto, non è una garanzia per il malato, perché il malato ha bisogno di un medico esperto. Il piccolo ospedale, invece, porta il medico a prendere il pieno stipendio, ma a fare pochissimi interventi - pensiamo al settore della chirurgia o della medicina interna – e quindi il malato nel piccolo ospedale fatalmente finisce magari in mano ad un medico ottimamente intenzionato, ma poco esperto.
Bosone di Higgs: interviste con il Premio Nobel Werner Arber e il padre gesuita Gabriele Gionti
◊ L’annuncio della scoperta del Bosone di Higgs, la cosiddetta “particella di Dio” - che spiega come le microparticelle dell’Universo acquistino una massa – ha rilanciato il dibattito sul rapporto tra scienza e fede, sul problema dell’origine delle cose e quindi sulla questione di Dio. Mario Galgano ha sentito in proposito il Premio Nobel svizzero Werner Arber, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze:
“Von der Naturwissenschaft her ist alles, was sich zusammenbildet …."
Dal punto di vista delle scienze naturali bisogna dire che ogni cosa che si forma e che diventa un organismo complesso riceve dagli scienziati una considerazione particolare. Non si può però descrivere questo Bosone come “particella di Dio”, nel senso che non dimostra affatto dal punto di vista scientifico l’esistenza o meno di Dio. Dal punto di vista religioso bisogna però dire che dietro ogni particella esistente c’è la mano di Dio. Quindi, in definitiva, ogni cosa – anche gli atomi – sono dal punto di vista religioso una particella di Dio. D’altra parte, trovo molto importante il fatto che ci sia un lavoro internazionale su questa tematica. La ricerca è oggi più che mai legata a una collaborazione internazionale. Soprattutto per quanto riguarda gli esperimenti con materie molto complesse è importante che ci sia un lavoro fatto in diversi laboratori. Solo cosi possiamo veramente essere certi di arrivare a risultati soddisfacenti.
Ma questa scoperta scientifica cosa dice alla fede? Emer McCarthy lo ha chiesto al padre gesuita Gabriele Gionti, fisico teorico della Specola Vaticana:
R. – Se una persona ha fede e crede in un Dio benevolo, che ha creato l’Universo, il fatto che lui creda viene ulteriormente confermato dal trovare la simmetria che esiste nella natura, la quale appunto dimostra che la natura ha una struttura razionale; e con la sua fede trova confermato il fatto che questo mondo abbia questa simmetria ulteriore, come per esempio quella che si trova attraverso il Bosone di Higgs, che dà appunto massa alle particelle elementari. Questa simmetria è una prova indiretta, se vogliamo, del fatto che esiste un Dio benevolo, che ha creato questo Universo. Tuttavia questa non è una prova scientifica, è solo un’ulteriore conferma di un presupposto di fede, in cui se uno crede, trova una conferma di fede, ma non una conferma scientifica.
Le reliquie di Sant'Antonio per la prima volta in pellegrinaggio in Francia
◊ E’ in corso in Francia il primo pellegrinaggio delle reliquie di Sant’Antonio di Padova. I sacri resti vengono esposti alla venerazione dei fedeli in varie regioni nel Sud del Paese dove il religioso francescano predicò il Vangelo tra il 1222 e il 1227. Padre Enzo Poiàna, rettore della Basilica del Santo di Padova, ci spiega il carisma di uno dei santi più amati al mondo, e non solo dai cattolici. L'intervista è di Emanuela Campanile:
R. – Sant’Antonio nel suo tempo così come anche oggi continua a proporre l’essenziale della fede cristiana, che è – da una parte – il Vangelo e – dall’altra – la carità. Dalla mia esperienza, in questi sette anni abbondanti di servizio qui alla Basilica come rettore, mi sono accorto che Sant’Antonio non è una presenza nel ricordo, ma è una presenza viva, con cui stabilire un rapporto. Questo rapporto i devoti di Sant’Antonio ce l’hanno così confidenziale che a volte è commovente ascoltare le loro esperienze e ascoltare come si affidino anche al Santo.
D. – Testimonianza delle parole di Sant’Antonio è la Biblioteca della Basilica…
R. – Tra i testi antichi ci sono anche i Sermoni di Sant’Antonio: questa raccolta di riflessioni, di studi, di testi, preparati ad uso dei predicatori, affinché si preparassero e studiassero la Sacra Scrittura e potessero quindi predicare secondo la tradizione della Chiesa.
D. – Tra l’altro, se non sbaglio, Sant’Antonio fu proprio il primo nell’Ordine francescano anche a insegnare teologia…
R. – Sì, questo è un altro aspetto importante. Io credo che Sant’Antonio abbia portato un contributo notevole al francescanesimo. Il francescanesimo non è soltanto Francesco: il francescanesimo è fatto da Francesco e dai suoi seguaci, uno di questi seguaci è Antonio, che aveva capito che l’ignoranza delle Scritture era un pericolo per la professione della retta fede da parte dell’Ordine e di tutti i frati e si preoccupò di istruire i frati.
D. – Qual è la responsabilità di essere rettore della Basilica del Santo?
R. – E’ la responsabilità, prima di tutto, di dover mantenere il più possibile fede all’insegnamento e alla spiritualità di Sant’Antonio; dover poi fare i conti con un Santo che è venerato a livello internazionale, ma anche al di fuori dei confini della Chiesa cattolica: ci sono esperienze mie personali di incontro con buddisti, induisti, islamici che esprimono una devozione nei confronti di questo Santo.
D. – Questo lei come se lo spiega?
R. – Io non riesco a spiegarmelo, perché mi dico che San Francesco è conosciuto universalmente mentre Sant’Antonio è meno conosciuto dal punto di vista della sua importanza come dotto, come teologo, come conoscitore, come scrigno della Sacra Scrittura, ma è conosciuto come se fosse una persona viva, nella realtà quotidiana di tante, tante persone.
Le Cinque Terre a otto mesi dall’alluvione: la testimonianza di un parroco
◊ Il 25 ottobre dello scorso anno una tremenda alluvione ha colpito le Cinque Terre, perle della costa ligure dove era solito trascorrere lunghi periodi di villeggiatura il poeta Eugenio Montale che proprio a Monterosso, l’ultimo dei paesini venendo da La Spezia, ha tratto ispirazione per molti suoi lavori. Il parroco di San Giovanni Battista, don Antonio Carozza, ripercorre al microfono di Roberta Barbi questi ultimi 8 mesi in cui la gente si è data particolarmente da fare:
I ricordi della tragedia sono ancora vivi negli occhi degli abitanti di Monterosso. Ai più anziani tra loro – e non sono pochi in Liguria – il fango e l’acqua che invadevano le strade hanno certamente richiamato alla mente quel fango e quell’acqua che già nel 1966 piegarono così duramente la costa ligure. Ma oggi come allora questa gente spigolosa e fiera, che parla poco e lavora molto, non ha perso tempo per ricostruire, come testimonia don Antonio Carozza:
“Noi già dopo una settimana abbiamo ripulito dal grosso la chiesa e la chiesa ha ripreso il suo ruolo di riferimento, anche se all’inizio le persone erano state evacuate e c’era poca gente. La settimana dopo il disastro abbiamo riaperto la chiesa per i funerali del volontario Sandro Usai che purtroppo ha dato la vita”.
Da tre anni don Antonio ricopre l’incarico di parroco a San Giovanni Battista a Monterosso a Mare, una delle chiese più colpite dall’alluvione. La parrocchia è affidata alla Famiglia religiosa dei Discepoli che qui hanno anche un istituto intitolato a padre Semeria, creato inizialmente per l’assistenza degli orfani di guerra. Don Antonio conosce bene la sua gente e, nell’ora del dolore, ha saputo trovare il modo giusto per sostenerla:
“Mi pongo sempre in questo atteggiamento più di ascolto e di vicinanza alla gente, senza forzarla. Gli abitanti di Monterosso hanno un carattere abbastanza chiuso, sono loro che quando uno si avvicina piano, piano, dopo i primi momenti cominciano ad aprirsi. Anche per l’esperienza che ho avuto in missione, il primo aiuto che si può dare è la disponibilità all’ascolto e a stare vicino. C’è stata più di qualche persona che mi diceva proprio questo: non ci abbandonare, non ci lasciare, non te ne andare”.
Ora che entra nel vivo la stagione turistica, però, l’alluvione di Monterosso sembra soltanto un ricordo, anche se non troppo lontano, asciugato dal sole di luglio. A farsi sentire, semmai, è la crisi, alla quale però, come sempre, gli abitanti non si arrendono:
“La popolazione si è rimboccata le maniche, già per Pasqua era quasi tutto pronto, tutte le attività sono attualmente aperte, bar, ristoranti e servizi vari hanno ripreso pienamente l’attività”.
Anche un’esperienza drammatica come quella vissuta da queste popolazioni può insegnare qualcosa, l’importante, sottolinea don Antonio, è farne tesoro:
“Nel disastro si sono riscoperti il valore della reciprocità, della condivisione, della solidarietà, cose importantissime che oggi purtroppo normalmente non si vivono più”.
Ma al di là dell’emergenza, a Monterosso, in quella terra di Liguria schiacciata tra montagna e mare, vive una comunità che si riunisce intorno alla chiesa di San Giovanni Battista. Padre Antonio ce la presenta così:
“La comunità è ancora molto sparpagliata nel senso che la partecipazione è soprattutto di gente adulta e turisti che da Pasqua in poi sono presenti. La maggior parte della popolazione di Monterosso, esclusi quelli che lavorano, viene da fuori, sono pendolari. Monterosso non ha una grande fetta di famiglie giovani. La partecipazione non è grande, ci si deve accontentare e cercare di lavorare con quello che si ha”.
La sfida da vincere, qui, riguarda i giovani, portarli in parrocchia può essere addirittura un’impresa:
“La grande difficoltà che ho incontrato è che a livello giovanile non ho trovato nessun movimento, i giovani subito dopo la Cresima non partecipano più, anche perché c’è la cultura di pendere in giro quelli che continuano dopa la Cresima. Si sta cercando anche in questo di sensibilizzare, di trascinare, di creare un movimento anche per i ragazzi, di tipo oratorio, per creare attività con questi ragazzi, averli più partecipi e non solo per quanto riguarda la Chiesa ma anche per fare aggregazione”.
Concorso internazionale "Strumenti di Pace" a Rovereto, presente Lech Walesa
◊ Le parole di tre Nobel per la pace trasformate in un testo di musica colta. E’ l’idea alla base del Concorso di composizione internazionale “Strumenti di pace”, che stasera vedrà il Nobel Lech Wałesa premiare il vincitore della terza edizione del Concorso. La cerimonia e il concerto finali si svolgeranno a Rovereto, in provincia di Trento, sede della Fondazione Opera Campana dei Caduti che ha promosso l’iniziativa e che da decenni lavora a servizio degli ideali di fraternità e tolleranza fra i popoli. Il servizio di Alessandro De Carolis:
“La vera rivoluzione è quella dello spirito” avrebbe voluto dire nel 1991 Aung San Suu Kyi, appena insignita del Nobel per la pace. Lo scrisse nel suo discorso di accettazione del Premio, che proprio nei giorni scorsi ha potuto finalmente ritirare, dopo oltre 20 anni di prigione patiti in difesa della democrazia in Birmania. “Non cederemo alla violenza. Non saremo privati delle libertà”, assicurò invece di persona un ancor giovane e roccioso Lech Wałesa nel ritirare il Nobel per la pace edizione 1983, davanti a una platea che non poteva ancora prevedere cosa avrebbe prodotto nel sistema socialista di matrice sovietica la “spallata” degli operai di Danzica. Tutte parole ispirate a principi altissimi, ma non certo pensate per essere musicate e cantate. E’ invece questa l’intuizione del direttore artistico del Concorso “Strumenti di pace” di Rovereto, Marcello Filotei. Nelle due precedenti edizioni del Premio, a cadenza biennale, erano state parole tratte da Bibbia, Torah e Corano a dover essere orchestrate dagli autori partecipanti. Quest’anno invece da testi intrisi di valori religiosi si è voluto passare a parole di indubbio valore civile, ma comunque “intonate” allo spirito della Campana dei Caduti di Rovereto, da quasi 90 anni simbolo simbolo internazionale di pace, come conferma il reggente della Fondazione promotrice, Alberto Robol:
“Quest’anno abbiamo consentito che la ragione civile, politica, che ha al suo interno un grande valore assoluto pure essa, fosse l’essenzialità contemporanea. Quindi, la campana con i suoi rintocchi, accompagnata da questa essenzialità d’altro tipo, ma parimenti importante, ha consentito lo studio specifico, dettagliato, del pensiero di alcuni grandi personaggi, che hanno fatto la storia del XX secolo e stanno facendo quella del XXI secolo: mi riferisco a Wałęsa, negli anni ’80 dello scorso secolo, che assieme a Papa Wojtyla è il personaggio chiave della realtà polacca e non solo; mi riferisco a Obama, presidente degli Stati Uniti, che proprio in questi giorni ha ottenuto il grande risultato della riforma della sanità; mi riferisco al premio Nobel della Birmania, Aung San Suu Kyi, che quest’anno è stata liberata dopo anni di prigionia. La campana ha cercato con questo plurimo messaggio di essere sempre nel cuore profondo della ricerca spirituale, a favore dell’affermazione della pace nel mondo e nel cuore degli uomini”.
All’Auditorium Melotti di Rovereto, la Brussels Philarmonic, diretta da Michel Tabachnik, eseguirà stasera, alle 21, l’opera vincitrice di Leonardo Schiavo, giovane compositore vicentino, che con il suo “A poco a poco” ha convinto la giuria internazionale del Concorso, presieduta dal celebre compositore Ivan Fedele, ad assegnargli la palma del vincitore. E a essere eseguita sarà anche “Times like that” creata per l’occasione dallo stesso Ivan Fedele, il quale – come vuole la tradizione del Premio – ha dovuto creare anch’egli una partitura originale sugli stessi testi. Testi dei quali fanno parte anche parole del Nobel 2009, l’attuale presidente statunitense, Barack Obama. “E facile cantare in tempi felici – dichiarò in un discorso del 2010 – Ma è duro farlo di fronte agli insulti, alle paure, alla minaccia della violenza, in mezzo all'assordante silenzio dell'inazione”. E in un altro discorso del 2008 aveva detto: “Il cambiamento non arriverà se aspettiamo qualcun altro o qualche altro momento”.
Siria: iniziativa di pace del movimento interreligioso di riconciliazione "Mussalaha"
◊ “Mussalaha”, il movimento interreligioso di riconciliazione, nato spontaneamente nella società civile in alcune città siriane, sta muovendo passi avanti e ha ottenuto l’attenzione di Ali Haidar, Ministro per la riconciliazione nazionale. Il Comitato popolare della “Mussalaha”, come riferiscono fonti dell'agenzia Fides, si è riunito nei giorni scorsi nella regione di Homs, alla presenza del Ministro Haidar, socialista e proveniente dal partito di opposizione “Syrian Social Nationalist Party”. All’incontro hanno partecipato il governatore di Homs, Sheikh Ahmad, diversi leader tribali, rappresentanti di tutte le etnie e religioni, leader delle comunità arabe, personalità civili della città di Homs, leader della società civile, fra i quali Akram Qalish, il sacerdote siro-cattolico padre Michael Naaman, lo sceicco Habib Fendi, professionisti e semplici cittadini di buona volontà. Tutti hanno testimoniato il desiderio di “stendere la mano della riconciliazione per fermare l’emorragia delle ferite in Siria” e per “riunire i figli della Siria nell’amore e nella riconciliazione”. L’assemblea ha rimarcato il rifiuto del settarismo, esprimendo il desiderio di costruire “una civiltà dell'amore e della convivenza” tra i figli della stessa patria. I partecipanti, riaffermando la priorità dell’amicizia e della fraternità, hanno poi insistito sull’urgenza di fermare la violenza, e promuovere un’opera di riconciliazione sul territorio, per ricostruire un tessuto sociale sfilacciato, basandosi sul perdono e sulla comprensione. Alle istanze della società civile, il ministro Ali Haider ha detto di avere “le porte aperte” e di ritrovarsi in un progetto di riconciliazione nazionale, aggiungendo che il ministero ha una visione e una strategia che presto sarà resa pubblica. Il ministro Haidar ha pagato un prezzo personale nel conflitto, dato che suo figlio, Ismael Haidar, è stato assassinato nel maggio scorso. Il suo Ministero, ha annunciato, creerà un sito web interattivo, con linee telefoniche per ricevere segnalazioni dirette dai cittadini. Il Ministero per la riconciliazione, ha concluso Haidar, è “dimora di tutti i siriani, senza alcuna eccezione”, assicurando che la sua Commissione di lavoro “sarà composta da 23 milioni di siriani”. (R.P.)
Turchia. Processo per l'assassinio di mons. Padovese: seduta ancora rinviata
◊ Si è svolta mercoledì la sesta udienza del processo contro Murat Altun, l’assassino di mons. Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia, ucciso il 3 giugno 2010. E’ durata solo dieci minuti, il tempo necessario per il giudice di ascoltare le richieste della difesa di Altun e di aggiornare la seduta al prossimo 10 ottobre. A illustrare all'agenzia Sir l’esito dell’udienza è John Farhad, uno dei collaboratori più stretti di mons. Padovese, che pur non essendo presente in aula, cita le parole di un legale della Chiesa presente nel pubblico in aula. “L’avvocato di Altun avrebbe chiesto al giudice di controllare i tabulati telefonici degli ultimi sei mesi tra Murat e mons. Padovese”. Una richiesta questa che, secondo Farhad, potrebbe essere volta a rispolverare il movente passionale dell’omicidio. “Nella stessa udienza - spiega Farhad - ha testimoniato lo zio dell’omicida che ha confermato come il nipote, nel mese di aprile precedente all’omicidio, avesse soggiornato da lui per circa 10 giorni portandolo anche dal medico perché stanco”. Le continue richieste della Difesa di Altun, a detta del collaboratore di mons. Padovese, “servono solo ad allungare i tempi del processo e consentire di trovare una strategia efficace per evitare una pena dura all’accusato”. “Questo processo - ricorda, infatti, Farhad - si sta celebrando senza un avvocato difensore di mons. Padovese. La Chiesa cattolica di qui, non essendo riconosciuta giuridicamente, non può nominare un avvocato, lo stesso vale per l’Ordine dei Cappuccini cui apparteneva mons. Padovese. Se ci fosse stato un nostro legale in aula avrebbe potuto parlare, fare obiezioni cercando di smontare le tesi a sostegno di Altun. Invece possiamo seguire il processo come semplici spettatori, seduti tra il pubblico presente alle udienze. Non ci resta, quindi, che sperare nella capacità di giudizio del giudice”. La prima udienza del processo, risale al 5 ottobre scorso, e si concluse dopo 15 minuti con il rinvio al 30 novembre. In questa seconda udienza, che durò solo 4 minuti, l’avvocato difensore aveva chiesto il trasferimento del suo assistito presso l’ospedale ad Adana per motivi di salute, richiesta respinta dal giudice. Il 22 febbraio si è tenuta la terza udienza, durata poco meno di 4 ore, nella quale sono stati ascoltati diversi testimoni, la quarta udienza risale invece al 18 aprile. La quinta udienza, di soli sette minuti, si è svolta il 6 giugno. (R.P.)
Europa: impegno degli episcopati per la coesione sociale e regionale
◊ “Lo scopo della politica regionale” dell’Unione europea, così come è definito dai Trattati, “è di ridurre le disparità tra le regioni e di promuovere lo sviluppo territoriale bilanciato ed eque opportunità” fra le diverse aree del continente. “La politica regionale è un’espressione di solidarietà all’interno dell’Ue. Per i cristiani la solidarietà è una naturale espressione della loro fede”. Per questo le chiese cristiane “sono convinte, soprattutto in un momento in cui il processo di unificazione europea è sottoposto a un test severo, la politica regionale comunitaria è di estrema importanza per la coesione definita dai Trattati”. Un documento congiunto diffuso ieri da Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea), Commissione chiesa e società della Conferenza delle chiese europee, dal Consiglio delle chiese evangeliche in Germania e dal Commissariato dei vescovi tedeschi, ribadisce l’importanza della politica di coesione dell’Ue27 e ne affronta la riforma avviata dalla Commissione - nell’ambito della determinazione del Quadro finanziario pluriennale - con la pubblicazione di una vasta documentazione lo scorso 6 ottobre, relativa al riordino del Fondi strutturali (fra cui i fondi di coesione, il fondo sociale, il fondo per lo sviluppo agricolo). La Commissione degli episcopati della Comunità europea, assieme a Cec, Ekd e Kath Buro, intitolano il documento sulla politica di coesione sociale e regionale “Il ruolo degli attori ecclesiali nella politica di coesione europea”. Il testo di respiro ecumenico tende a rilevare l’impegno delle comunità cristiane sul versante concreto della solidarietà. Il documento illustra infatti l’impegno ecclesiale per la solidarietà nazionale e transnazionale, nel campo dell’educazione, in quello della cultura, dello sport, per l’inclusione sociale delle fasce meno abbienti o escluse, anche grazie a Caritas, Diaconia, disparati servizi legati al welfare. Le Chiese si pongono dunque come interlocutori dell’Ue nella prossima revisione della stessa politica di coesione regionale attuata dai 27. (R.P.)
Mali: l'Onu apre a intervento militare nel Nord. Nel Paese è allarme colera
◊ Preoccupazioni per il deterioramento del quadro umanitario, per i legami tra gruppi ribelli e gruppi terroristici, ma anche una prima apertura alla possibilità di un intervento armato nel nord del Mali: in questi termini, ieri, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha adottato all’unanimità una risoluzione in cui si fa riferimento alla richiesta di autorizzare una forza di stabilizzazione avanzata dalla Comunità economica dei paesi dell’Africa occidentale (Cedeao). Nella risoluzione il Consiglio ha detto di essere pronto a esaminare ulteriormente questa richiesta e ha incoraggiato una stretta cooperazione tra le autorità di transizione del Mali , la Cedeao, l’Unione Africana e gli altri Paesi al fine di preparare dettagliate opzioni sul mandato di questa eventuale forza di stabilizzazione. Nel comunicato si denunciano le violenze, le recenti notizie di patrimoni culturali distrutti in particolare a Timbuctù e i legami tra i gruppi ribelli e Al Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi). La preoccupazione del Consiglio riguarda anche la proliferazione di armi in tutta la regione del Sahel segnata tra l’altro da un periodo di siccità che sta avendo gravi ripercussioni sulle condizioni di vita della popolazione. “Gli ospedali saccheggiati, la mancanza di farmaci e di personale specializzato – dicono fonti dell'agenzia Misna a Gao – stanno purtroppo impedendo una risposta efficace contro alcuni focolai di colera registrati in alcuni villaggi intorno alla città”. Secondo il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr), la situazione sarebbe almeno per ora sotto controllo con 32 casi registrati e due soltanto mortali. Della generale situazione nel nord del Paese e di possibili forme di collaborazione il primo ministro di transizione Cheick Modibo Diarra parlerà oggi in Marocco dove è arrivato ieri per una visita di due giorni. (R.P.)
Sudan-Sud Sudan: missione di pace a Juba e Khartoum
◊ L’arcivescovo emerito di Città del Capo e Premio Nobel per la pace Desmond Tutu guida una delegazione internazionale che sarà a Juba e a Khartoum con l’obiettivo di favorire i negoziati di pace tra i due Sudan in coincidenza con il primo anniversario dell’indipendenza del Sud, proclamata il 9 luglio 2011. Oltre a Tutu - riferisce l'agenzia Misna - della delegazione fanno parte l’ex presidente della Finlandia e premio Nobel per la pace Martii Athisaari e l’ex presidente dell’Irlanda e Alto commissario dell’Onu per i diritti umani Mary Robinson. Secondo il quotidiano Sudan Tribune, i tre sono arrivati ad Addis Abeba ieri, nel giorno della ripresa dei colloqui tra i due Sudan sulla creazione di una zona demilitarizzata alla frontiera e altre questioni “attinenti alla sicurezza”. Il Sud Sudan è divenuto indipendente da Khartoum nel rispetto dell’Accordo di pace globale che nel 2005 mise fine a un conflitto civile ultraventennale. Tra il marzo e l’aprile scorso, i contrasti tra i due Paesi sono sfociati in scontri armati e bombardamenti lungo la frontiera. A dividere è anzitutto il controllo dei giacimenti di petrolio situati nei pressi di una controversa linea di confine tracciata dai colonizzatori inglesi nel 1956. Una recente risoluzione del Consiglio di sicurezza prevede la possibilità di sanzioni nei confronti di Juba e Khartoum se, nonostante l’aiuto di una mediazione dell’Unione Africana, non saranno in grado di risolvere i loro disaccordi entro il 2 agosto. (R.P.)
◊ Nonostante il monito nei giorni scorsi della Santa Sede e le critiche dei cattolici locali, è avvenuta questa mattina nella cattedrale di Harbin, nel Heilongjiang, l’ordinazione episcopale senza mandato pontificio, quindi illecita, del rev. Giuseppe Yue Fusheng. La liturgia è stata presieduta da mons. Johan Fang Xinyao di Linyi (Shandong), presidente nazionale dell'Associazione patriottica. Secondo un resoconto online apparso su "Chiesa cattolica in Cina", pubblicazione in cinese a cura dell'Associazione patriottica e ripresa dall’agenzia AsiaNews, durante la liturgia, invece del mandato del Papa, è stata letta la lettera del Consiglio dei vescovi, un organismo approvato dal governo e non riconosciuto dalla Santa Sede. Con l'ordinazione di Yue, si è risolta la "scomparsa" di padre Giuseppe Zhao Hongchun, amministratore apostolico di Harbin, riconosciuto dalla Santa Sede. Subito dopo la cerimonia infatti, padre Giuseppe e padre Zhang Xisheng, il suo vice-parroco, sono stati rilasciati. Padre Zhao era stato fermato il 4 luglio pomeriggio, mentre padre Zhang era stato sequestrato dalla pubblica sicurezza nella mattina di ieri. La Santa Sede, in una nota della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli aveva condannato e biasimato mercoledì scorso l’ordinazione episcopale. Un atto - aveva detto - “che danneggia l’unità della Chiesa e tutta l’opera di evangelizzazione e produrrà divisioni, lacerazioni e tensioni nella comunità cattolica in Cina”. “Se si vuole che la Chiesa in Cina sia cattolica, non si deve” infatti – sottolineava la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli – “procedere a ordinazioni episcopali che non abbiano la previa approvazione del Santo Padre”. Lo stesso rev. Yue Fusheng “è stato informato da tempo” che “la sua ordinazione sarà illegittima”, che “la Santa Sede non lo riconoscerà come il vescovo di Harbin” e che “egli sarà privo dell’autorità di governare la comunità cattolica diocesana”, violando la norma del Codice di Diritto canonico, che prevede per i trasgressori la scomunica latae sententiae. “La nomina dei vescovi – puntualizzava la nota della Santa Sede – è una questione non politica, ma religiosa”, come spiega Benedetto XVI nella Lettera a tutti i membri della Chiesa cattolica in Cina, del maggio 2007. Quando il Papa “concede il mandato apostolico per l’ordinazione di un vescovo” – si legge nel documento – “esercita la sua suprema autorità spirituale: autorità ed intervento, che rimangono nell’ambito strettamente religioso”. (R.P.)
Argentina: condannati gli ex dittatori per i figli di desaparecidos
◊ Gli ex dittatori argentini Jorge Videla e Reynaldo Bignone sono stati condannati rispettivamente a 50 e 15 anni di carcere con l’accusa di aver autorizzato la sistematica sottrazione di neonati, figli di desaparecidos. La sentenza, cui danno ampio risalto i media argentini, è stata emessa ieri dal Tribunal Oral Federal 6 (Tof6) che ha parlato di una “pratica sistematica” dove le vittime erano le donne detenute in stato di gravidanza. Prima di dare lettura della sentenza - riferisce l'agenzia Misna - la presidente del tribunale, Maria del Carmen Roqueta, ha respinto i ricorsi presentati dagli accusati affermando che gli atti contestati sono “di lesa umanità”. Azioni, ha poi aggiunto, commesse “alterando e sopprimendo identità durante il sequestro, la prigionia, la scomparsa o la morte delle madri nel segno di un piano generale di annichilimento di parte della popolazione civile con la giustificazione di combattere la sovversione, mettendo in atto metodi di terrorismo di Stato tra il 1976 e il 1983, gli anni dell’ultima dittatura militare”. Subito dopo la sentenza, scrive il giornale argentino Clarin, la presidente di Abuelas de Plaza de Mayo , Estela de Carlotto, ha abbracciato Francisco Madariaga, uno dei 35 casi di neonati sottratti e al centro di questo processo. Di questi 25 hanno recuperato le loro vere identità, tra cui i due deputati Victoria Donda e Juan Cabandié. Nel processo si è dibattuto del caso della stessa figlia di Carlotto, Laura, di cui non si conoscono le sorti. Secondo stime correnti, durante la dittatura furono un migliaio i neonati sottratti ai legittimi genitori, di questi un centinaio hanno scoperto la verità sul loro passato. Insieme a Videla e Bignone ieri sono stati condannati altri sette esponenti della giunta militare con pene detentive dai 5 ai 40 anni. (R.P.)
Bolivia: la Chiesa sostiene la marcia di Tipnis e condanna la violenza
◊ “In molte occasioni la Chiesa cattolica ha condannato l'uso della violenza, considerata inutile e contraria alla dignità di ogni uomo ed al proprio esercizio dei diritti fondamentali... Un dialogo responsabile invece presuppone apertura, ascolto e rispetto reciproco, per raggiungere le soluzioni desiderate, al servizio della dignità delle persone e del bene comune della società”: sono le parole di un comunicato letto da mons. Oscar Aparicio, vescovo ausiliare di La Paz, segretario della Conferenza episcopale, durante una conferenza stampa convocata ieri per rilanciare l’appello al dialogo. La Segreteria generale della Conferenza episcopale boliviana ha manifestato infatti grande preoccupazione per l’azione repressiva esercitata dalle forze dell'ordine contro i partecipanti alla IX Marcia del Tipnis (Territorio Indigeno e Parco Nazionale Isiboro Secure), tra cui donne e bambini, organizzata due giorni fa a difesa di questa zona indigena, per evitare la costruzione di una autostrada che la attraverserebbe. Diverse istituzioni hanno manifestato appoggio alle popolazioni locali: la Cob (Centrale Operaia della Bolivia), la Federazione degli Insegnanti delle scuole di La Paz, molti settori sociali, la Chiesa cattolica nella persona del vescovo della diocesi di El Alto, mons. Jesus Juarez, che è vicepresidente della Pastorale sociale Caritas boliviana, il quale ha lanciato un appello per aprire il dialogo e trovare degli autentici accordi. Proprio ieri è iniziato a Cochabamba l'incontro del Consiglio permanente della Conferenza episcopale boliviana, durante il quale si parlerà di questa situazione e di altri problemi sociali della Bolivia. La situazione è diventata tesa dopo l'approvazione della "consultazione" sulla costruzione dell’autostrada nella zona del Tipnis, malgrado il governo abbia specificato che si tratta solo di una consultazione e non dell’approvazione definitiva per la costruzione dell'opera. (R.P.)
Pakistan: shock e vergogna per il caso dell’uomo arso vivo per l'accusa di blasfemia
◊ C’è forte preoccupazione, profondo dolore e shock per il caso dell’uomo accusato di blasfemia e arso vivo nei pressi di Bahawalpur, in Punjab. La località si trova della diocesi di Multan e un team della Commissione diocesana “Giustizia e Pace” si è attivato per chiarire i diversi aspetti del caso: sembra infatti che l’uomo non fosse della zona, secondo alcuni era un disabile mentale, non si conosce la sua famiglia di provenienza. Come riferito all'agenzia Fides, il team “Giustizia e Pace” non ha ancora potuto recarsi sul luogo del delitto perché al momento non sono garantiti ordine e sicurezza. Nell’area di Bahawalpur vi sono gruppi radicali islamici che hanno avuto forte peso in tale episodio. Mons. Andrew Francis, vescovo di Multan, che si tiene in costante contatto con i cristiani di Bahawalpur, ha detto a Fides: “Condanniamo l’indicibile e macabro gesto, come ogni forma di disumana violenza. Provo vergogna a pensare che sia avvenuto nella mia diocesi. Come Chiesa locale continuiamo a porre molta attenzione e a seguire la vicenda e le sue implicazioni, con prudenza e con la preghiera”. Il vescovo, che è anche Presidente della “Commissione per il Dialogo interreligioso” nella Conferenza episcopale, afferma che “la Chiesa raddoppierà gli sforzi nel dialogo con i leader musulmani”, per fermare ogni forma di estremismo. La vicenda ha creato sconcerto in tutta la società, nella politica, fra le minoranze religiose. Il presidente del Pakistan Asif Ali Zardari, definendo l’incidente “straziante”, ha ordinato una inchiesta per indagare sul linciaggio. In una nota inviata a Fides, Paul Bhatti, Consigliere del Primo Ministro per l’Armonia nazionale, ha espresso profondo dolore e preoccupazione, notando che “a nessuno dovrebbe essere permesso di appropriarsi della legge”, auspicando che “sia fatta giustizia”. (R.P.)
Laos: cristiani arrestati perchè “spiegavano la Bibbia”
◊ I fedeli cristiani di almeno 15 villaggi della provincia di Luang Namtha, nel Nord Laos, hanno segnalato casi di intimidazioni e minacce da parte di alcuni agenti di polizia che li hanno diffidati dal diffondere la fede cristiana. A volte, dopo gli avvertimenti, scattano gli arresti: nei giorni scorsi quattro persone, tra cui due cittadini thailandesi, sono state arrestate dalla polizia della provincia di Luang Namtha, perchè accusate di “spiegare la Bibbia ad un uomo laotiano, in casa di un cristiano locale”. I loro effetti personali sono stati sequestrati dalla polizia e i quattro sono stati trasportati nel carcere provinciale di Luang Namtha. Mentre, secondo la prassi, gli arrestati vengono di solito detenuti in una prigione locale, nell’attesa dello svolgimento delle indagini, in questo caso i quattro sono stati trasferiti subito nel carcere provinciale, pur in assenza di accuse formali. Secondo l’organizzazione “Christian Solidarity Worldwide”, ai prigionieri non è stato consentito nessun contatto con i membri delle loro famiglie o con degli avvocati. Alcuni cristiani laotiani stanno cercando di aiutarli perché le prigioni del Laos non forniscono cibo e risorse adeguate per i detenuti. Della vicenda - riferisce l'agenzia Fiodes - è stata informata l’ambasciata thailandese in Laos. Tali arresti seguono quello di un Pastore cristiano protestante di 53 anni, noto come Asa, arrestato il 6 giugno, sempre nella provincia di Luang Namtha, per aver predicato la fede cristiana. Due anni fa la polizia laotiana lo aveva costretto a firmare alcuni documenti concordando che non avrebbe proclamato Cristo e portato la gente al cristianesimo. Una terza serie di arresti in provincia di Luang Namtha è avvenuta il 24 marzo, quando sei cristiani, tutti cittadini thailandesi, sono stati arrestati per “attività di diffusione della fede cristiana”. I sei sono stati rilasciati dopo alcune settimane, dopo aver pagato una forte multa. Tali casi, nota l’Ong Csw, “fanno parte di un modello di repressione religiosa in atto nella provincia di Luang Namtha”. (R.P.)
Filippine: ucciso un cooperante olandese. Come padre Tentorio difendeva i più poveri
◊ Ancora sangue nelle Filippine. Un killer giunto su una moto ha sparato a un cooperante olandese che ha speso tanti anni della propria vita per difendere i diritti dei più deboli. Sembra la cronaca della morte di padre Fausto Tentorio, il missionario del Pime ucciso nell'Arakan Valley a ottobre. E invece purtroppo è una notizia di mercoledì scorso che viene dalla provincia di Pampanga, sull'isola di Luzon. A cadere sotto i colpi del killer - riferisce l'agenzia Zenit - è stato un cooperante olandese, Willem Geertman di 67 anni. È stato ucciso a San Fernando fuori dall'ufficio dell'Alay Bayan Inc, l'ong di cui era il direttore. Geertman viveva nelle Filippine da 46 anni e con la sua organizzazione era in prima linea nella difesa dei piccoli contadini, dei pescatori e delle popolazioni tribali. Nell'ambito di questa attività si batteva contro l'istituzione della zona economica speciale dell'Aurora Pacific (Apeco) e del Porto libero di Casiguran, due progetti che avrebbero un impatto pesantissimo sulla vita degli agricoltori e dei pescatori locali. La Conferenza episcopale filippina ha duramente condannato l'uccisione di Geertman, puntando il dito sulla piaga di queste ripetuti omicidi che rimangono impuniti. «È un fatto triste e ci offende profondamente - ha dichiarato il vescovo ausiliare di Manila Broderick Padillo, presidente del Segretariato per l'azione sociale, la giustizia e la pace della Chiesa filippina -. Un'altra persona che aiutava la gente delle Filippine è stata uccisa». Mons.Padillo ha chiamato in causa sulla vicenda direttamente il presidente Benigno Aquino III: «A due anni dal suo insediamento - ha detto - la questione delle esecuzioni extragiudiziali rimane irrisolta. Lo sfido ad affrontare nel discorso sullo Stato dell'unione che oggi terrà in Parlamento il tema delle violazioni dei diritti umani nelle Filippine e a dirci che cosa sta facendo il suo governo per affrontarlo». (R.P.)
Ucraina: lettera aperta dei leader religiosi sulla legge linguistica
◊ In una lettera aperta indirizzata al presidente dell’Ucraina, Viktor Yanukovyc, i leader delle Chiese e delle organizzazioni religiose ucraine hanno definito il nuovo disegno di legge sul regime linguistico “una strada che porta al precipizio, al conflitto civile, alla disintegrazione dello Stato”. I firmatari della lettera - riferisce l'agenzia Sir - hanno espresso profonda preoccupazione per il fatto che il Consiglio supremo ucraino abbia approvato il controverso disegno di legge il 3 luglio che riconosce lo status di lingue regionali agli idiomi (fra cui il russo) parlati dalle minoranze che rappresentano meno del 10% della popolazione di una singola regione; un provvedimento ritenuto in contrasto con la tutela dell’identità nazionale ucraina. Secondo i rappresentanti religiosi, “l’acuirsi delle divisioni linguistiche e lo scontro politico porterebbero all’inasprimento delle divisioni sociali e alla destabilizzazione delle fondamenta dell’indipendenza dello Stato ucraino”. Per questo i leader delle religioni chiedono al presidente dell’Ucraina di “non firmare il disegno di legge, ma di porre il proprio veto e di rimandarlo al Consiglio supremo per un esame più completo e approfondito che possa portare a una decisione equilibrata”. Invitano inoltre il presidente Viktor Yanukovyc a farsi promotore di un “dialogo sociale e professionale a livello nazionale sulle questioni linguistiche” in modo tale da poter creare una solida base per la preparazione della nuova legge. (R.P.)
Vescovi umbri in Romania: sostegno ai cattolici e dialogo con ortodossi ed ebrei
◊ Si conclude oggi il viaggio ecumenico dei vescovi umbri in Romania, iniziato il 3 luglio con una celebrazione nella cattedrale di Bucarest presieduta dall’arcivescovo cattolico mons. Ioan Robu. La delegazione – riferisce l’agenzia Sir – ha poi incontrato il Presidente della Repubblica Traian Basescu per discutere della situazione internazionale. L’incontro è stato anche l’occasione per mons. Vincenzo Paglia di ricordare i cordiali rapporti che intercorrono tra gli umbri e i circa 25 mila rumeni che vivono e lavorano nella regione dell’Italia centrale, ma anche sottolineare la concessione data ai fedeli ortodossi di utilizzare due chiese per praticare la loro fede. I vescovi hanno poi visitato i monasteri di Stravropoleos e Antim, incontrato il Patriarca della Chiesa Ortodossa di Romania, Sua Beatitudine Daniel Ciobotea, e l’arcivescovo ortodosso Teodosie. L’arcivescovo di Spoleto-Norcia, mons. Renato Boccardo, ha sottolineato che “la condizione di minoranza che caratterizza la presenza della comunità cattolica in un Paese ortodosso sollecita entrambe le parti ad un impegno serio di reciproca accoglienza e collaborazione”. Tra le ultime tappe del viaggio c’è stata la visita alla sinagoga di Bucarest, dove l’episcopato umbro è stato accolto dal rabbino e dal presidente della comunità ebraica. Mons. Domenico Sorrentino, vice presidente della Conferenza episcopale umbra, ha ricordato la figura di Giuseppe Placido Nicolini, vescovo di Assisi dal 1928 al 1973, insignito del titolo di Giusto tra le nazioni per aver salvato più di 300 ebrei dalla Shoah. (A.C.)
Spello: mostra sulla benefica influenza di Costantino nell’”Aurea Umbria”
◊ “Aurea Umbria. Una regione dell'Impero nell'era di Costantino": il titolo della mostra presentata oggi a Roma nella sede della stampa estera, in programma a Spello dal 29 luglio al 9 dicembre 2012. L’originale rassegna si propone di raccontare la vita in Umbria durante i secoli III-VI d.C., quando grazie alla riorganizzazione istituzionale, economica e sociale promossa da Costantino, l’Impero espresse una vitalità inconsueta, prima di concludere la sua vicenda epocale. La mostra presenterà materiali archeologici, espressione dell’arte ufficiale (ritratti, dediche, miliari) ma anche manifestazione della vita lussuosa delle aristocrazie (mosaici, arredi), insieme a documenti della più umile quotidianità. La ricerca storica e archeologica, infatti, è in grado oggi – ha sottolineato il curatore della Mostra Valerio Massimo Manfredi - di configurare il volto di un’età tardoantica, che fu “aurea” per la sua prosperità, e non di “ferrea” decadenza, come a lungo la storiografia moderna ha proposto. A corredare la rassegna saranno itinerari tra musei, monumenti e siti che conservano oggetti e tracce della tarda antichità dell’Umbria. Un'occasione unica per conoscere il vasto patrimonio culturale dell'Umbria attraverso percorsi tematici che coinvolgeranno il suggestivo borgo di Spello ed oltre trenta comuni della regione. (R.G.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 188