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Sommario del 05/07/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Bilanci consuntivi di Santa Sede e Governatorato: gratitudine per il sostegno dei fedeli nonostante la crisi
  • Padre Lombardi: nessun taglio di personale in Vaticano anche se c'è disavanzo
  • Il Bosone di Higgs e la ricerca di Dio. Le parole del Papa sull'Intelligenza creatrice
  • Nomina
  • Comunicato della Sala Stampa della Santa Sede sulla plenaria di Moneyval
  • Congo. Il cardinale Filoni agli operatori pastorali: rafforzate l'impegno missionario
  • Il cardinale Piacenza: il Magistero traccia la strada per superare l'emergenza educativa
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Onu: diminuisce la povertà nel mondo ma non la fame
  • Italia e Germania: insieme per la crescita. Vertice Monti-Merkel a Roma
  • Siria, Assad ammette "errori" nella gestione della crisi, ma rivendica l'appoggio popolare
  • Sabato le elezioni in Libia, le prime dopo l'era Gheddafi
  • Pesanti danni in Bangladesh per le piogge monsoniche
  • Dialogo cristiani-musulmani: al vescovo nigeriano Kaigama il Premio Archivio Disarmo
  • Mons. Crociata alla Coldiretti: l'agricoltura può far uscire dalla crisi
  • Agrigento: la Chiesa siciliana rifiuta i funerali a boss mafioso
  • Presentato il rapporto di Telefono Rosa sulla violenza contro le donne
  • L'Onu approva la prima risoluzione per la libertà su Internet
  • Rapporto Aifa: sempre più alto in Italia il consumo di antidepressivi tra donne e anziani
  • Parte a Rondine il progetto per una nuova classe dirigente per la Sponda Sud del Mediterraneo
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Giappone: Fukushima “è stato un disastro causato dall’uomo”
  • Kenya: impegno dei musulmani di Garissa per proteggere le chiese
  • Mali: a Bamako pressioni per un intervento armato nel nord
  • Onu: responsabilità del Rwanda nelle violenze del Nord-Kivu
  • Legislative in Senegal: alla coalizione del presidente vanno 119 seggi su 150
  • Libano. Mons. Dahdah: la visita del Papa avrà un impatto benefico sul Paese
  • Betlemme patrimonio Unesco: il Patriarcato latino chiede di rispettare lo 'status quo'
  • Libia: per le prossime elezioni mons. Martinelli invita a dare fiducia ai libici
  • Pakistan: bruciato vivo un uomo accusato di blasfemia. La preoccupazione dei vescovi
  • Perù: l’appello dei vescovi ad aprire un dialogo negli scontri di Cajamarca
  • Brasile: la voce dei vescovi per i nativi dell'Amazzonia
  • Gabon: i vescovi condannano il degrado morale nelle scuole cattoliche
  • Inghilterra-Galles: da domani il Sinodo anglicano anche sulle donne vescovo
  • Regno Unito: ancora un fermo no dei vescovi alla legalizzazione del suicidio assistito
  • Kenya: l’impegno ecumenico dei cristiani nella salvaguardia del creato
  • Francia: sempre meno sacerdoti. Tra 10 anni saranno solo diecimila
  • Il Papa e la Santa Sede



    Bilanci consuntivi di Santa Sede e Governatorato: gratitudine per il sostegno dei fedeli nonostante la crisi

    ◊   Si è conclusa ieri in Vaticano la riunione di due giorni del Consiglio di Cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede, presieduta dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone. Oggi sono stati pubblicati i bilanci consuntivi della Santa Sede e del Governatorato. Il servizio di Sergio Centofanti.

    Il Bilancio consuntivo consolidato della Santa Sede per l’anno 2011 chiude con un disavanzo di quasi 15 milioni di euro. I capitoli di spesa più impegnativi sono stati quelli relativi al costo del personale che, al 31 dicembre scorso, contava 2.832 unità, e ai mezzi di comunicazione sociali, considerati nel loro complesso. Su tale risultato – rileva un comunicato - ha influito l’andamento negativo dei mercati finanziari mondiali che non ha consentito di raggiungere gli obiettivi preventivati.

    Il Bilancio consuntivo 2011 del Governatorato - che ha un’amministrazione autonoma ed indipendente da contributi della Santa Sede, e, attraverso le sue diverse Direzioni, provvede alle necessità relative alla gestione dello Stato - si è chiuso con un attivo di quasi 22 milioni di euro. Al 31 dicembre scorso risultavano impiegate 1.887 persone. Particolarmente significativo in ordine a questo risultato è stato l’apporto dato dai Musei Vaticani, che hanno prodotto ricavi che passano dai circa 82 milioni di euro ad oltre 91 milioni di euro, per un totale di più di 5 milioni di visitatori, cifra che, secondo le classifiche specializzate, colloca i Musei Vaticani tra le più prestigiose ed importanti a livello mondiale.

    L’Obolo di San Pietro, cioè le offerte dei fedeli a sostegno della carità del Santo Padre, è passato da 67.704.416 dollari del 2010, a 69.711.722 dollari. Il contributo in base al can. 1271 CIC, vale a dire il sostegno economico prestato dalle circoscrizioni ecclesiastiche di tutto mondo per il mantenimento del servizio che la Curia Romana presta alla Chiesa universale, è passato da 27.362.258 dollari del 2010, a 32.128.675 dollari. Gli ulteriori contributi alla Santa Sede da parte degli Istituti di Vita Consacrata, Società di Vita Apostolica e Fondazioni sono passati da 747.596 dollari del 2010, a 1.194.217 dollari. Complessivamente, pertanto, vi è stato un aumento del 7,54% rispetto al 2010.

    L’Istituto per le Opere di Religione (IOR), come ogni anno, ha offerto al Santo Padre una somma significativa a sostegno del suo ministero apostolico e di carità. Per l’esercizio 2011 si è trattato di 49 milioni di dollari.

    Numerosi sono stati gli interventi dei cardinali, che hanno apprezzato la completezza e la trasparenza dei dati loro offerti. E se è stato riconosciuto l’impegno per il continuo miglioramento dell’amministrazione dei beni e delle risorse della Santa Sede, non si è tuttavia mancato di richiamare alla prudenza e al contenimento delle spese, pur con il mantenimento dei posti di lavoro. Un unanime sentimento di compiacimento è stato rivolto al generoso apporto contributivo reso dai fedeli e dalle istituzioni ecclesiali, tanto più lodevole nel contesto dell’attuale e persistente momento di crisi economica. I membri del Consiglio hanno espresso profonda gratitudine per il sostegno dato, spesso in forma anonima, al ministero universale del Santo Padre, esortando a perseverare in tale opera di bene.

    Infine, il direttore dello Ior, Paolo Cipriani, ha presentato la situazione economica dell’Istituto da lui diretto a cui è seguito un dibattito, nell’ambito del quale sono stati forniti ai cardinali opportuni chiarimenti.

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    Padre Lombardi: nessun taglio di personale in Vaticano anche se c'è disavanzo

    ◊   Sulla riunione del Consiglio di cardinali ha tenuto un briefing con i giornalisti il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi. Ce ne parla Fausta Speranza:

    Padre Lombardi ha innanzitutto annunciato che ci sarà un evento, in autunno, in cui verrà presentata l’attività della Prefettura per gli Affari economici della Santa Sede e il suo Statuto: in quell’occasione si darà – ha detto – un’informazione più precisa del lavoro della Prefettura con i nuovi responsabili, nominati di recente. A questo proposito, ha sottolineato che nella riunione di questi giorni c’erano tutti e quindici i membri del Consiglio che, in questo momento, con le nuove nomine – ha detto – significa “una bella rappresentanza internazionale”.

    Poi Padre Lombardi ha parlato del disavanzo della Santa Sede e dei tanti contributi assicurati nonostante la crisi, sottolineando che molti sono di persone che restano anonime. Ha ricordato che negli ultimi anni ci sono stati anni di avanzo o di disavanzo e che del disavanzo di quest’anno non sono responsabili l’Obolo di San Pietro, che invece aumenta, o altre offerte. Poi “a crescere sostanzialmente” – ha detto – è stato l’introito dei Musei Vaticani in quest’anno particolarmente significativo.

    Dei mezzi di comunicazione vaticani, padre Lombardi ha detto che “certo sono onerosi, ma che “i tagli già annunciati alla Radio Vaticana vengono apprezzati”. Dunque, clima positivo tra i cardinali – ha detto – su come si stanno affrontando i problemi di disavanzo, “comprensibile” - ha sottolineato – in tempi di crisi.

    Infine, su sollecitazione di una domanda, padre Lombardi ha spiegato che il sostegno richiesto alle diocesi non è una tassa, ma significa un invito a chi può di più, a contribuire per chi nella Chiesa ha meno. Si tratta di un sostegno inaugurato circa 30 anni fa e che è sempre più sentito nell’ottica di corresponsabilità.

    A proposito dell’invito a contenere le spese, padre Lombardi ha ribadito che non ci saranno tagli del personale.

    Rispondendo ad altre domande, padre Lombardi ha chiarito che una lettera di attestazione di stima da parte del Papa per il cardinale Bertone è una cosa normale e che per quanto riguarda notizie su Paolo Gabriele, invece, non ce ne sono di nuove da rendere pubbliche. L’inchiesta va avanti.

    Infine, c’è stata la domanda sull'adozione, avvenuta ieri, da parte del comitato Moneyval del Consiglio d'Europa del rapporto finale di valutazione sulla normativa antiriciclaggio della Santa Sede, che sarà pubblicato entro un mese insieme alle eventuali osservazioni vaticane. Padre Lombardi ha detto: “Sono sereno: ci sembra di essere sulla buona strada”.

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    Il Bosone di Higgs e la ricerca di Dio. Le parole del Papa sull'Intelligenza creatrice

    ◊   La comunità scientifica esulta e si pone già nuovi traguardi di ricerca all’indomani della straordinaria scoperta annunciata ieri mattina dal Cern di Ginevra: dopo 48 anni dalla sua formulazione teorica è stata infatti provata l’esistenza di una particella grazie alla quale tutte le altre prendono consistenza, chiamata “Bosone di Higgs”, dal nome dello scienziato britannico che nel 1964 ne aveva formulato l’impianto teorico. Il servizio di Roberta Gisotti.

    Il mondo intero guarda con stupore alla nuova scoperta soprannominata “particella di Dio” che apre nuovi scenari di conoscenza dell’Universo e rimanda pure – come sempre di fronte a nuove conquiste scientifiche - alle domande ultime sull’origine e sul senso della vita. Il bosone teorizzato dal fisico britannico Peter Higgs, oggi 83 anni, - sicuramente ora destinato al Premio Nobel - è la particella che conferisce massa a tutte le altre microparticelle, appesantendole, facendole diventare materia, tranne i fotoni della luce che restano immateriali nel cosmo. Forse l’Universo non ha più segreti? No di certo, gli scienziati sono piuttosto stimolati ad arricchire, aggiornare e rivedere teorie e conoscenze. “Penso che attualmente la fisica sia molto eccitante”, ha commentato Higgs, rimandando ad ulteriori ricerche oltre quel "Modello Standard" ipotizzato dai fisici, che dà ordine all’Universo. Non solo i fisici raccolgono con entusiasmo la possibilità di progredire nelle loro conoscenze, ma l’intera comunità scientifica, in particolare i medici. Interpellati anche i teologi: cambierà la nostra concezione dell’Universo? Sottolineava Tommaso d’Aquino che se non abbiamo idee giuste sulle cose create, non possiamo neanche avere un’idea corretta di Dio. Benedetto XVI a colloquio con i giovani in Piazza San Pietro nel 2006, osservava che la coincidenza tra quanto noi abbiamo pensato e il come si realizza e si comporta la natura siano un enigma e una sfida grandi:

    “La nostra ragione non potrebbe scoprire quest’altra, se non vi fosse un’identica ragione a monte di ambedue”.

    Vediamo allora - proseguiva il Papa - che “c’è una razionalità soggettiva ed una razionalità oggettivata nella materia, che coincidono”:

    “E quanto più noi possiamo strumentalizzare il mondo con la nostra intelligenza, tanto più appare il disegno della Creazione”.

    Del resto concludeva Benedetto XVI o si riconosce “la priorità della ragione, Ragione creatrice che sta all’inizio di tutto” “o si sostiene la priorità dell’irrazionale”, per cui “la ragione sarebbe un prodotto dell’irrazionalità”:

    “Non si può ultimamente 'provare' l’uno o l’altro progetto, ma la grande opzione del Cristianesimo è l’opzione per la razionalità e per la priorità della ragione. Questa mi sembra un’ottima opzione, che ci dimostra come dietro a tutto ci sia una grande Intelligenza, alla quale possiamo affidarci”.

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    Nomina

    ◊   Benedetto XVI ha nominato Vescovo Ausiliare di Zamora (Messico) il Rev.do Jaime Calderón Calderón, Rettore del Seminario Maggiore della medesima diocesi, assegnandogli la sede titolare di Giomnio. Il Rev.do Jaime Calderón Calderón è nato il 1° maggio 1966 a Churintzio, diocesi di Zamora (Messico). È stato ordinato sacerdote per la diocesi di Zamora il 16 febbraio 1991.Ha conseguito la Licenza in Filosofia presso l’Università Pontificia di Messico e poi il Dottorato in Filosofia a Roma, presso l’Università Gregoriana. Come sacerdote ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale, Assessore dei Cavalieri di Colombo a Zamora, Prefetto, Vice-Rettore e - attualmente - Rettore del Seminario Maggiore di Zamora. È anche Coordinatore del Consiglio Presbiterale, Segretario del Collegio di Consultori, Giudice nel Tribunale Ecclesiastico di Zamora e Presidente dell’Organizzazione dei Seminari Messicani (OSMEX).

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    Comunicato della Sala Stampa della Santa Sede sulla plenaria di Moneyval

    ◊   E' in corso a Strasburgo (2-6 luglio) la plenaria di Moneyval (la divisione del Consiglio d’Europa competente per la valutazione dei sistemi antiriciclaggio dei Paesi membri), a cui la Santa Sede partecipa con una delegazione, guidata da mons. Ettore Balestrero, sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati.

    Ieri - riferisce la Sala Stampa vaticana - è stato adottato il Rapporto relativo alla Santa Sede e allo Stato della Città del Vaticano. Come previsto dalle procedure Moneyval, la versione emendata del Rapporto, esito della riunione di ieri, sarà inviata alla Santa Sede, perché entro un mese ne controlli l’accuratezza ed eventualmente vi apporti ulteriori commenti. Il Rapporto sarà pubblicato nel sito web di Moneyval.

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    Congo. Il cardinale Filoni agli operatori pastorali: rafforzate l'impegno missionario

    ◊   La mattina di oggi è stata dedicata dal cardinale Fernando Filoni, alla visita alla diocesi di Kisantu, nell’ambito del viaggio pastorale che il Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli sta compiendo nella Repubblica democratica del Congo. Dopo la visita alla parrocchia di Santa Rita, alla chiesa, ai centri di alfabetizzazione, di cucito e alla falegnameria, il cardinale si è recato al Centro pediatrico di Kimbondo ed infine alla parrocchia e collegio Mater Dei. Al termine della mattinata - riferisce l'agenzia Fides - ha incontrato i rappresentanti dei religiosi, delle religiose, dei catechisti e dei movimenti cattolici del decanato. “Ho notato con soddisfazione che la diocesi di Kisantu è una Chiesa locale viva e in piena crescita. Rende testimonianza a Cristo attraverso il suo impegno per il benessere della popolazione, attraverso le sue opere sociali specializzate nella sanità, nell'istruzione e nello sviluppo” ha detto il cardinale Filoni nel suo discorso, congratulandosi con il vescovo, mons. Fidèle Nsielele Zi Mputu, e con tutti i suoi collaboratori, incoraggiando “a compiere ulteriori progressi sia a livello ecclesiale che sociale”. “Tra i problemi da affrontare, ricordo in particolare la mancanza di profondità della fede da parte di alcuni cristiani – ha proseguito il Prefetto del Dicastero Missionario - il moltiplicarsi delle sette, la disgregrazione della famiglia, la perdita dei valori morali e culturali, la povertà e l'analfabetismo”. Nella prospettiva dell'Anno della Fede, seguendo le indicazioni di Benedetto XVI, il cardinale Filoni ha esortato gli operatori pastorali “a rafforzare l’impegno missionario e a proseguire con coraggio e in profondità l'opera di evangelizzazione”. Anche il Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione sarà occasione di riflessione e riscoperta della fede, per una rinnovata e più convinta adesione al Vangelo. Invitando ad unirsi con il pensiero e la preghiera a questi grandi avvenimenti della Chiesa universale, il porporato ha poi sottolineato: “per una azione missionaria efficace e credibile, è essenziale che siate uniti e solidali. Il segno distintivo del discepolo di Gesù è l'amore, che si trasforma in servizio agli altri. Il vostro amore per Cristo e la Chiesa ha bisogno di essere sostenuto dalla preghiera, dalla lettura della Parola di Dio e dalla celebrazione regolare dei sacramenti, specialmente l'Eucaristia”. Infine il Prefetto del Dicastero Missionario ha invitato gli operatori pastorali a partecipare alle attività di formazione organizzate dalla diocesi, per migliorare la propria cultura religiosa e acquisire una conoscenza più approfondita della dottrina cristiana, al fine di ricoprire un ruolo “sempre più efficace nella Chiesa e nella società”. (R.P.)

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    Il cardinale Piacenza: il Magistero traccia la strada per superare l'emergenza educativa

    ◊   “Il ponte dottrinale fra la formazione seminaristica e la formazione permanente non può che essere costituito dal Magistero che guida la Chiesa” e “nessun educatore, può arbitrariamente presumere di essere al di sopra del Magistero, intuendo prima, meglio e più di esso, le reali esigenze della Chiesa di Cristo!” Lo ha detto il cardinale cardinale Mauro Piacenza intervenendo alla XXII edizione del corso internazionale di formatori per Seminari, che si sta svolgendo a Roma al Pontificio Collegio Internazionale Maria Mater Ecclesiae. I partecipanti alle precedenti edizioni - riferisce l'agenzia Zenit - sono un totale di 1490 sacerdoti provenienti da 96 paesi e 672 diocesi. In questa XXII edizione i partecipanti sono 56, provenienti da 33 Paesi e 53 diocesi. Dopo aver fatto un’analisi della situazione di “emergenza educativa” in cui si trova il mondo, il Prefetto della Congregazione del Clero ha spiegato che “la stessa missione educativa della Chiesa deve continuamente essere rinvigorita, rafforzata e rilanciata da questa autentica passione per l’uomo; passione, che, come dice l’etimologia del termine passio, è innanzitutto condivisione partecipata della medesima condizione di “domanda di significato”. Per comprendere l’umano e per dare ragioni alla piena umanizzazione, il porporato ha proposto l’incontro con Gesù Cristo, che Benedetto XVI ha indicato nella 'Deus caritas est', come: “Incontro con un Avvenimento, una Persona” (n. 1). Secondo il cardinale Piacenza “È possibile dunque affermare che la risposta a ciò che l’uomo è, che non è dentro di lui, si è resa incontrabile, ci è venuta incontro, si è rivelata in quello che era l’ambito più prossimo all’uomo: l’uomo stesso”. Il Prefetto della Congregazione per il Clero ha sottolineato che “tale incontro tra l’umanità, come domanda, e l’Avvenimento di Cristo, come risposta, costituisce la possibilità di ogni formazione autentica”. “L’Avvenimento dell’incontro con Cristo è il primo fattore educativo - ha continuato - proprio perché educa a stare in quella posizione di grato stupore, tipica del senso religioso, che costituisce l’essenza dell’uomo di fronte a Dio”. “Ciò che Cristo vive per natura, noi possiamo vivere per grazia” ha aggiunto, perchè “il percepire se stessi alla Presenza del Mistero permette all’umano di vivere secondo l’alta Vocazione alla quale il Creatore lo ha chiamato: essere immagine e somiglianza di Dio”. “A nessuno sfugga – ha concluso il cardinale Piacenza - come tale “immagine e somiglianza” abbia in Gesù Cristo il proprio unico modello”. (R.P.)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Quando si celebra insieme Dio nella bellezza: in prima pagina, Nigel Marcus Baker, ambasciatore di Gran Bretagna presso la Santa Sede, sul coro di Westminster Abbey a Roma. In cultura, un articolo del maestro Colin Mawby dal titolo "Come si può ascoltare la musica sacra senza interrogarsi su Dio?".

    A tutela delle donne vittime di violenze: nell'informazione internazionale, intervento della Santa Sede a Ginevra.

    Busso e ti bombardo: in cultura, Oddone Camerana su origine e paradossi delle "guerre umanitarie".

    Sulla storia della fotografia in Cina un articolo di Rossella Fabiani dal titolo "Tessere di dialogo per immagini".

    Viaggio terrestre e celeste di Bonaventura: Fortunato Frezza sul cammino delle virtù e il mistero del dono in un convegno del Centro di Studi di Bagnoregio dedicato al "Doctor Seraphicus".

    Tradotto in romeno il libro di Manuel Nin sulla liturgia bizantina: presentati a Oradea anche due volumi sul cardinale Alexandru Todea.

    La verità dell'amore umano: nell'informazione religiosa, un articolo sul documento elaborato dall'assemblea plenaria della Conferenza episcopale spagnola.

    Alle sorgenti spirituali del primo popolo cristiano: nell'informazione vaticana, Maurizio Malvestiti sulla consacrazione, da parte del cardinale Leonardo Sandri, della chiesa di San Gregorio di Narek per la comunità armena in Francia.

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    Oggi in Primo Piano



    Onu: diminuisce la povertà nel mondo ma non la fame

    ◊   La povertà diminuisce nel mondo, ma la fame sembra aumentare: è il bilancio apparentemente contraddittorio che emerge dal Rapporto Onu sugli Obiettivi del Millennio pubblicato in questi giorni. Secondo lo studio, il numero delle persone che vivono in condizioni di estrema povertà è stato ridotto della metà dal 1990. Dimezzata anche la percentuale di popolazione priva di accesso all'acqua potabile, mentre si registra un miglioramento significativo della vita di almeno 100 milioni di abitanti delle baraccopoli. Su questi dati Luca Collodi ha raccolto il commento dell’economista Riccardo Moro:

    R. - Il punto è capire che cos’è la povertà. La povertà è un concetto non facile da definire. Il modo più semplice per definirlo è “la mancanza di denaro”. In realtà ci siamo abituati, in tanti anni di riflessione intorno a questo tema, a riconoscere in questo concetto di povertà, una sorta di multidimensionalità, nel senso che non è solo una questione di denaro, ma è anche una questione di poter accedere ad opportunità, di poter sviluppare i propri talenti. E gli indicatori di povertà, sono diventati sempre più complessi. In questo rapporto effettivamente si vede come con un criterio economico-finanziario, vale a dire, verificando la percentuale della popolazione che vive con meno un 1,25 dollari al giorno - la soglia di povertà assoluta-, la quota della popolazione mondiale che vive in questa condizione è effettivamente diminuita. E allora questo è un segnale positivo. Dopo di che purtroppo, nello stesso rapporto si dice che viceversa altri elementi sono ancora presenti in termini di fatica e di difficoltà.

    D. - Se da un lato diminuisce la povertà, però sembra invece aumentare la fame nel mondo; due dati in contrasto tra loro ..

    R. - In realtà non sono così in contrasto, perché nel momento in cui noi usiamo come misura il parametro di 1.25 dollari al giorno come reddito disponibile per poter vivere, ed usiamo questa cifra misurata nel 1990, anche oggi, noi vediamo che certamente c’è molta più gente che dispone di 1,25 dollari al giorno, ma i costi delle cose che ci occorrono sono notevolmente aumentati. Quello che noi possiamo pagare oggi con 1,25 dollari è meno di quello che si poteva pagare nel 1990, l’anno considerato di partenza. Per cui, è certamente vero che oggi ci sono molte più persone che hanno 1,25 dollari rispetto al passato, ma questo non significa che questa sia una condizione migliore.

    D. - Questa apparente diminuzione della povertà, è legata anche all’aumento delle attività dell’economia dei Paesi emergenti?

    R. - Sì, certamente, in modo particolare per la Cina; su questo non c’è dubbio. La Cina ha avuto uno sviluppo molto consistente dal punto di vista economico negli ultimi anni. Oltre a questo c’è un fenomeno che sta interessando l’America Latina e in modo particolare il Brasile, ma non solo. Un po’ dappertutto, c’è una sorta di ingresso nell’economia formale, di una parte rilevante di popolazione, che esce dalla condizione di informalità. In molti Paesi, sono in atto dei processi per poter registrare anche questa dimensione dell’economia, e questo fa registrare un miglioramento delle economie.

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    Italia e Germania: insieme per la crescita. Vertice Monti-Merkel a Roma

    ◊   Italia e Germania insieme per superare la crisi, alla luce di ottime relazioni bilaterali. Lo hanno confermato il premier Monti e la cancelliera Merkel che si sono incontrati ieri a Roma. C’è sempre stata intesa ha detto la cancelliera tedesca; lavoriamo bene insieme, perché crediamo nell’economia sociale di mercato altamente competitiva, ha confermato Monti. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    A Villa Madama, il premier Monti e la cancelliera Merkel, sottolineano l’intesa tra i due Paesi necessaria ad affrontare le difficoltà della zona euro. Perché, chiarisce la Merkel, se i vicini Paesi europei hanno problemi ne risente anche la Germania. L’interesse di Berlino quindi è che tutti abbiano un positivo sviluppo economico. Monti dalla sua garantisce ai tedeschi la determinazione italiana a proseguire sulla strada del risanamento del bilancio e delle riforme strutturali in vista della crescita in un domani, speriamo non troppo lontano, si augura il premier. Le riforme italiane sono ottime e prese in tempi rapidissimi, elogia la Merkel. Monti poi precisa: l’Italia non farà domanda per utilizzare i meccanismi di stabilizzazione finanziaria, perché il Paese non è nelle condizioni di Grecia, Irlanda e Portogallo. Accenna poi alle misure nel decreto legge sulla spending review: la qualità della spesa pubblica è un fattore essenziale per la crescita, revisione e riduzione saranno necessarie per evitare sprechi e per evitare l’aumento di due punti dell’Iva, che altrimenti si renderà necessario a partire dal primo ottobre. Monti definisce però inaccettabile il 36% di disoccupazione giovanile. In conclusione: Italia e Germania sono i Paesi più disposti ad una condivisione di sovranità in ambito europeo se questo vuol dire avere strumenti di politica economica più efficaci, dice Monti; vogliamo superare insieme dubbi e debolezze dell’Europa, chiude la Merkel.

    Riguardo i rapporti italo-tedeschi a questo punto si può parlare di concreta schiarita. Francesca Sabatinelli ha chiesto un commento sul vertice Monti - Merkel all’economista Alberto Quadrio Curzio:

    R. – Io credo che Monti abbia saputo intrattenere con la Germania un rapporto che in alcuni momenti è stato di forte determinazione, spinta quasi al punto di contrasto e successivamente, con un atteggiamento molto costruttivo, evidenziando l’interesse comune affinché l’Europa superi questa crisi, rafforzi la propria costruzione e ricominci crescere con bilanci pubblici sani.

    D. – L’impressione è che Angela Merkel stia facendo - e questo si era già notato a Bruxelles - dei passi indietro. Lo stesso fatto di aver sottolineato che l’interesse di Berlino è che tutti Paesi vicini abbiano un positivo sviluppo economico perché altrimenti la Germania è la prima a rimetterci …

    R. – Credo ci siano due aspetti: da un lato sulle misure immediate per contenere l’attacco all’eurozona nel vertice di Bruxelles la Germania, o meglio la signora Merkel, è stata riportata alla fisiologia delle trattative dopo quattro anni nei quali bastava la sua assertività, perché nessun altro trattava, nel senso che la sua parola era definitiva a causa anche di un appiattimento francese sulle sue posizioni. Col vertice di Bruxelles si è ritornati alla politica sana, che è quella fatta di dialogo, di contrasto e anche di compromesso, e credo che questo sia molto utile anche alla Germania, perché è ben vero che un’Europa che rallenta troppo o addirittura cade in una profonda recessione sarebbe un danno tremendo per la Germania, che verso Eurolandia esporta la grande prevalenza dei suoi prodotti. Perciò la Germania ha preso atto che gli altri Paesi sono seri, che vogliono fare le riforme, che le stanno facendo che però vogliono anche avere un dialogo politico e non vogliono semplicemente aderire alle prescrizioni della Germania stessa.

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    Siria, Assad ammette "errori" nella gestione della crisi, ma rivendica l'appoggio popolare

    ◊   In Siria, secondo fonti dell’opposizione sono almeno 13 i morti nelle violenze in varie parti del Paese, mentre per la prima volta, in un intervista ad un quotidiano turco, Bashar el-Assad ha ammesso alcuni “errori” nella gestione della crisi, pur denunciando ingerenze straniere e rivendicando di avere comunque “l’appoggio del popolo”. Intanto, la Cina ha fatto sapere che non parteciperà alla Conferenza degli “amici della Siria” prevista per domani a Parigi, a cui prenderanno parte un centinaio di Paesi occidentali e arabi, e gruppi d’opposizione. Il ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi, in un’intervista a “Panorama”, ha dichiarato che “il conto alla rovescia” per Assad “è iniziato”, pur parlando di un “ritardo” della comunità internazionale. Davide Maggiore ne ha parlato con Marcella Emiliani, esperta di Medio Oriente:

    R. - La comunità internazionale fino ad ora non si è mossa in maniera né veloce né efficace. Certamente però il regime di Bashar al Assad è ormai alle corde. A questo punto bisogna giocarla tutta sul cercare di far scendere la febbre della guerra civile e questo significa, che ci piaccia o meno, salvare un pezzo del regime, offrirgli garanzie, in maniera tale da convincerlo ad andarsene.

    D. - Il ministro Terzi ha parlato di una soluzione diplomatica simile a quella libanese per la crisi siriana. E’ un’opzione praticabile?

    R. – Sì, sarebbe una soluzione praticabile se naturalmente ci fosse qualcuno disposto a garantire per Bashar al Assad, garantire a lui, alla sua famiglia e a una cerchia ristretta di suoi accoliti, una forma di ricovero, salvezza; per ora pochi Paesi si sono offerti di accoglierlo e lui comunque non ha accettato.

    D. – L’ultimo Paese a rifiutare questa possibilità di asilo politico per Assad è stata la Russia: che posizione ha in questo momento Mosca?

    R. - Diciamo che la posizione di Mosca si è addolcita, non ammette un intervento militare esterno che l’Occidente non aveva comunque alcuna intenzione di fare, e vuole assolutamente avere voce in capitolo, perlomeno sulla transizione. Per questo corre un po’ sul filo del rasoio. Rifiuta di ricevere Assad in casa propria perché se facesse un’offerta di questo genere è evidente che ammetterebbe che il regime di Bashar al Assad sta crollando e questo ufficialmente non lo farà mai. Però non è da escludere che sia anche disponibile a riceverlo, come non è da escludere che Assad possa trovare rifugio nel vicino Iran che è il suo unico alleato in Medio Oriente.

    D. – In questo contesto come può essere definito il ruolo della Cina?

    R. – La Cina cerca di sfruttare tutte le congiunture per trarne un qualche vantaggio, la Siria è un Paese chiave per quel che riguarda tutte le vie di snodo del Medio Oriente. Quindi la Cina finché la situazione non cambia drammaticamente sul terreno segue quelli che sono i suoi interessi immediati, che la portano a sostenere questo regime.

    D. – A proposito della situazione sul terreno, continuano anche le diserzioni nell’esercito regolare fedele al presidente in carica. La fine della crisi potrebbe essere quella di un Assad abbandonato anche dei fedelissimi?

    R. – Qui stiamo parlando dei generali dell’esercito. Non è l’esercito il principale punto d’appoggio di Bashar al Assad, sono le teste di cuoio, i vari servizi di sicurezza. Comunque mi sembra che ormai in Turchia si siano rifugiati circa 14 generali, il numero è impressionante. E’ evidente che quando le Forze armate cominciano a disertare la situazione si fa davvero critica. Quello che sia Mosca sia Bashar al Assad fino a un certo punto hanno tentato di fare è di impedire che la crisi si internazionalizzasse. Bashar al Assad da un certo punto in poi ha ritenuto invece di puntare su uno scontro esterno al Paese per distrarre la comunità internazionale dal disastro interno e ormai questa è oggettivamente una crisi internazionalizzata. E’ coinvolta la Turchia, è coinvolto l’Iran, si è creato il club degli “Amici della Siria”, ci sono continui scontri al Consiglio di sicurezza dell’Onu, bisogna però che non scatti un atto bellico vero e proprio da parte della Siria nei confronti di Paesi, non come la Turchia che debole non è, ma per esempio che non cerchi di esportare la conflittualità in un Paese che invece è debolissimo come il Libano.

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    Sabato le elezioni in Libia, le prime dopo l'era Gheddafi

    ◊   La Libia si prepara al voto di sabato per eleggere l’Assemblea Costituente che dovrà redigere la nuova Costituzione dopo l’era Gheddafi. Un appuntamento al quale parteciperanno quasi tre milioni di cittadini che sceglieranno i 200 membri del Congresso. Più di tremila i candidati ammessi, la maggior parte si presenta come indipendente, in corsa anche 630 donne, solo il 3,4% del totale. Diviso il fronte islamista mentre spicca l'Alleanza delle Forze Nazionali di stampo liberale e filo-occidentale. Intanto Amnesty International oggi ha lanciato l’allarme per il Paese dopo le numerose azioni delle milizie armate che ancora non sono confluite nelle forze di polizia. Ma quali sono le insidie che si nascondono dietro il voto di sabato? Benedetta Capelli ha girato la domanda a Arturo Varvelli, ricercatore dell’Ispi, Istituto per gli studi di politica internazionale:

    R. – Le insidie sono – direi – tantissime. E’ certo una grande opportunità, se pensiamo che la Libia non andava ad elezioni libere o quasi libere dai primi anni Cinquanta. Quindi da una parte una grandissima opportunità, ma – dall’altra parte – la scarsa conoscenza delle dinamiche democratiche e la scarsa partecipazione sociale e civile alla gestione del Paese fanno capire quante sono le insidie. Le insidie potrebbero essere numerose: da chi di fatto potrebbe boicottare le elezioni, ci sono già partiti in alcune aree – penso alla Cirenaica e a Bengasi, in particolare, ma anche al sud del Paese dove la situazione è ancora fuori controllo dal punto di vista della pacificazioni. Ci potrebbero poi essere anche gruppi che potrebbero tentare attacchi – seppur limitati – di forma terroristica. Le incognite sono veramente tante!

    D. – Tra l’altro è di oggi un Rapporto di Amnesty International che dice: chi vincerà le elezioni rischia di commettere gli stessi abusi. E’ un pericolo reale questo?

    R. – Certo, è un pericolo reale. Noi già lo vediamo: di fatto i ribelli si sono costituiti in milizie, che hanno sconfitto il regime di Gheddafi, hanno una gestione del potere sul territorio che non è molto dissimile da quanto faceva in passato Gheddafi. Non vi è un monopolio dell’uso della forza da parte dell’autorità centrale, perché ancora queste milizie non si sono sottoposte all’autorità centrale. Dovremmo vedere se le elezioni costituiranno un elemento importante per legittimare nuovamente l’autorità centrale. L’autorità centrale – il Cnt – è percepito come una autorità provvisoria e con una scarsa legittimità interna: è un organismo che si è quasi autonominato ed è sorretto più dall’esterno che non dall’interno. Se i libici ci crederanno, qualcosa potrà cambiare!

    D. – Come mai ci sono tanti indipendenti iscritti nelle liste elettorali?

    R. – La Libia è molto variegata e composita. I localismi – come abbiamo visto – sono prevalsi nei rapporti sociali e nei rapporti politici all’interno del Paese una volta caduto il regime. Il regime teneva insieme elementi molto diversi e il cittadino libico riconosce in sé almeno tre identità: la prima è quella nazionale, che è in buona parte riconosciuta; la seconda è quella regionale e quindi Cirenaica, Fezzan e Tripolitania; e, l’ultima è quella naturalmente legata alla tribù, al clan e in particolare alla città. Nei rapporti politici e nelle formazioni politiche sono prevalsi i localismi: ogni piccola località si è trasformata in un partito, a parte rare eccezioni. Quindi, di fatto, anche un sistema politico che non ha aiutato ad amalgamare e omogeneizzare e ad unire i gruppi, ma che di fatto li rappresenta.

    D. – In questo scenario così variegato, quali sono però le formazioni che si propongono come vincitrici di queste consultazioni?

    R. – Se guardiamo ai due Paesi vicini – Egitto e Tunisia – non possiamo non pensare al fatto che possano prevalere forze legate all’islam, all’islam politico. In Libia bisognerà capire se prevarranno forze legate all’islam che si rifà alla sharia oppure all’islam più secolare. La Fratellanza Musulmana libica è presente. Vi sono poi partiti che sono legati a figure che si rifanno all’islam, come il partito di Ali al-Sallabi, Hakim Bel Haj, e che sono diffusi in tutto il Paese: anche qui bisognerà vedere quali saranno i rapporti di forza alla fine delle elezioni. Sicuramente da questa sfera, dalla sfera cioè dell’islam politico, usciranno i vincitori.

    D. – Priorità assoluta è quella di scrivere la nuova Costituzione: anche qui quali sono i pericoli che si nascondono nella stesura di un testo così importante poi per il futuro della Libia stessa?

    R. – I pericoli sono naturalmente quelli legati ai diritti civili. Bisognerà capire quali forze prevarranno: certamente l’islam, ma bisognerà anche qui capire come finirà all’interno della Costituzione, con quali meccanismi di tutela dei diritti civili - come noi li conosciamo in Occidente – prevarranno. Sicuramente è un campo aperto, a cominciare dalla sharia: la Dichiarazione Costituzionale, che è stata fatta l’anno scorso, vede la sharia come la principale fonte del diritto nel futuro nel Paese, ma non sicuramente l’unica. Alcuni gruppi islamici hanno già contestato il fatto che non sia scritto che sia l’unica. Ci sono poi le forze liberali, più liberali e più progressiste, che io penso faranno una battaglia molto forte per conservare il Paese sul campo della laicità. Io penso che, tutto sommato, alla fine possa prevalere questa seconda parte.

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    Pesanti danni in Bangladesh per le piogge monsoniche

    ◊   Gravissime inondazioni stanno colpendo il Bangladesh. Le piogge monsoniche si stanno abbattendo in particolare sui distretti della regione nord-orientale, dove stanno per straripare i fiumi Brahmaputra e Dharla. Almeno 300 mila persone in 500 villaggi sono già rimaste senza casa, cibo e acqua potabile. I collegamenti sono bloccati. In questa drammatica situazione si moltiplica lo sforzo delle organizzazioni umanitarie, tra queste Terre Des Hommes. Sulla situazione Giancarlo La Vella ha intervistato Rossella Panuzzo, portavoce dell’organizzazione:

    R. – Il fiume Brahmaputra che arriva dall’India con una portata ancora molto alta sta lentamente scendendo. Quindi si spera nelle prossime ore in un miglioramento della situazione per quanto riguarda il lato meteorologico ma questo miglioramento sta mettendo in evidenza la situazione molto grave a livello della popolazione. In Bangladesh i terreni più bassi sono quelli abitati dalle persone più povere sono quelli a rischio sempre di inondazione.

    D. – Come vivono le persone alle quali improvvisamente l’acqua ha spazzato via la casa e tutti i beni primari?

    R. – Vivono molto male. Le latrine sono inutilizzabili e anzi c’è un inquinamento dell’acqua quindi è difficile bere e avere acqua potabile. I terreni che coltivano vengono sempre di più erosi ad ogni inondazione, quindi si prospetta effettivamente un periodo di forte problema di approvvigionamento di viveri e naturalmente c’è sempre in agguato la possibilità di un’epidemia di colera.

    D. – Nell’immediato di che cosa c’è bisogno per alleviare una situazione così grave che riguarda tante persone?

    R. – Assolutamente continuare la consegna di viveri, estenderla a più persone possibili. Un’attenzione costante ai bambini con il problema della diarrea, di solito le prime vittime di malattie portate dall’acqua non potabile. Poi sicuramente dovremo vedere se sarà possibile riparare i danni delle tante scuole danneggiate. Ci hanno detto che ci sono circa 74 scuole danneggiate nel distretto.

    D. – Come riuscite ad operare in queste regioni colpite dalle inondazioni dove immagino sia anche difficile il movimento sulla terra?

    R. – Assolutamente, è difficile però come Terre des hommes siamo in quella regione dal 1974 quindi lavoriamo in accordo con le autorità locali e quindi ci vengono messe a disposizione mezzi. Purtroppo il Bangladesh è uno Stato dove è ricorrente il problema delle inondazioni, in qualche maniera nei prossimi giorni cerchiamo di incrementare questi aiuti che abbiamo già attivato speriamo nelle prossime settimane ci sia un’uscita dalla prima emergenza e dopodiché ci sarà tutta la post-emergenza che era quella della ricostruzione di case e di scuole.

    D. – Come è possibile sia pure da lontano aiutare queste persone?

    R. – Abbiamo messo nel nostro sito che è www.terredeshommes.it un appello di raccolta fondi tramite il sito trovate tutte le informazioni del caso e si può addirittura fare una donazione online.

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    Dialogo cristiani-musulmani: al vescovo nigeriano Kaigama il Premio Archivio Disarmo

    ◊   Il coraggio e l’impegno per promuovere ogni giorno il dialogo tra cristiani e musulmani nel grande Paese africano dilaniato dalle violenze interreligiose. Con questa motivazione mons. Ignatius Kaigama, arcivescovo di Jos in Nigeria e presidente della Conferenza episcopale nigeriana, è stato insignito del Premio Archivio Disarmo – Colombe d’oro per la pace 2012. Alla premiazione tenutasi ieri sera a Roma era presente per noi Marco Guerra che lo ha intervistato:

    R. - This is a historic day for me...
    E’ un giorno storico per me perché rappresenta un apprezzamento del lavoro per la pace che ho portato avanti in collaborazione con molte persone in Nigeria. Qui con me c’è una rappresentanza del governo del Plateau State: il governatore e il portavoce del parlamento dell’assemblea unicamerale e l’ex vice governatore. Siamo tutti qui perché siamo onorati che l’Archivio Disarmo ci dia la possibilità di avere visibilità e stia incoraggiando il lavoro che stiamo facendo. Quindi mi sento incoraggiato a venire qui a ricevere questo premio. Questo mi darà ancora più forza per portare avanti il mio lavoro, affinché si raggiunga la pace con i musulmani, con tutti i gruppi etnici, nel Plateau State e in tutta la Nigeria.

    D. - Che tipo di sforzi sta facendo la Chiesa in Nigeria per incoraggiare il dialogo tra cristiani e musulmani?

    R. - There is a continuing effort...
    C'è uno sforzo continuo per diventare amici con i nostri fratelli e sorelle musulmani; ho visto che molto sta accadendo in questi giorni. Con l’avvento di Boko Haram i buoni cristiani e i buoni musulmani si sono uniti e parlano con una sola voce contro il male di questa organizzazione. Molte Ong, molti gruppi giovanili e anche gli stessi musulmani stanno organizzando sessioni di lavoro, seminari per animare e sensibilizzare le persone a lavorare per una coesistenza pacifica. Vedo che c’è una buona volontà tra i leader cristiani e musulmani così come tra i giovani. Credo che con questa buona volontà, riusciremo a superare il male di Boko Haram.

    D. - Lei è venuto anche per rivolgere un appello alla comunità internazionale e al governo nigeriano..

    R. - To the international community we need...
    Per quanto riguarda la comunità internazionale abbiamo bisogno di più solidarietà e di più sforzi collettivi per affrontare il male provocato del terrorismo. Il terrorismo non risparmia nessuno; può cominciare in Nigeria e diffondersi in tutte le parti dell’Africa e del mondo. Il male che ha colpito la Nigeria inevitabilmente colpirà il mondo. Speriamo che saranno portati avanti degli sforzi comuni per contrastare la minaccia del terrorismo, che nel nostro caso, è rappresentato dal Boko Haram. I governi esteri ci possono aiutare in molti modi: possono unire le forze di intelligence, aiutarci nell’addestramento delle nostre forze militari, la polizia i soldati, degli uffici immigrazione. Inoltre possono aiutarci ad avere tutti gli strumenti per essere in grado di rintracciare da dove provengono le violenze. Prima di tutto dobbiamo lavorare insieme per contrastare la corruzione perché la corruzione è alla base di tutto questo. La corruzione porta alla povertà, alla disoccupazione e al malcontento. Se contrastiamo la corruzione insieme, come un’unica famiglia universale, potremo superare tutte queste crisi e ci sarà la pace nel mondo.

    D. - Quindi qual è la strada giusta per fermare la violenza?

    R. - We should stop...
    Dovremmo fermarci. Ognuno dovrebbe smettere di fare il male. Bisogna perseguire la strada del bene e concentrarsi su cosa è bene per l’umanità. Facciamo un appello ai responsabili di questa violenza, affinché si fermino ed operino un radicale cambiamento del cuore e una conversione, perché il male genera il male. Se non lo faranno, chi è al governo, farà il possibile per sfidarli, per combatterli, e cercare di renderli più deboli con i mezzi che la legge ci permette.

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    Mons. Crociata alla Coldiretti: l'agricoltura può far uscire dalla crisi

    ◊   Il segretario generale della Cei, mons. Mariano Crociata, rilancia il valore della concertazione. Mons. Crociata ha parlato durante l’assemblea generale della Coldiretti, che ha messo in evidenza come con la crisi cambino i consumi degli italiani. L’Istat aggiunge che il 35.8% degli italiani ha ridotto i consumi alimentari. Alessandro Guarasci:

    Nel piatto degli italiani, dice la Coldiretti, c’è più pasta, +3%, e meno bistecche, -6%. E poi si rinuncia alla colazione al bar. Insomma, la crisi porta a consumare maggiormente ciò che costa meno. Il presidente di Coldiretti, Sergio Marini, afferma che bisogna rivedere il modello di sviluppo, perché “la mercificazione del cibo accende focolai di rivolte e costringe un miliardo di persone a soffrire la fame”. E poi bisogna rivedere gli stili di vita interni. C ‘è una burocrazia che tutela l’ambiente e la qualità di cosa mangiamo, ma c’è un altro tipo di burocrazia che fa solo danni, dice Marini:

    “C’è tanta altra burocrazia che ci fa perdere un sacco di tempo. Tagliare quella significherebbe – a nostro giudizio – recuperare uno o due punti di Pil in questo Paese. Molto spesso la burocrazia, pur di mantenersi, si inventa operazioni pratiche, che però vanno poi a cadere naturalmente nelle imprese e lì riducono la competitività e fanno perdere un sacco di tempo”.

    Mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei, afferma che l’agricoltura può far ripartire l’economia. E poi è vero che siamo in un momento di sacrifici per tutti, ma non va dimenticato il valore della concertazione:

    “L’attività di concertazione, e quindi di condivisione delle difficoltà, costituisce un elemento di coesione sociale non secondario”.

    Il ministro dell’Agricoltura Catania annuncia che presto saranno messi a disposizione i terreni del demanio.

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    Agrigento: la Chiesa siciliana rifiuta i funerali a boss mafioso

    ◊   L'arcivescovo di Agrigento, mons. Francesco Montenegro, ha vietato la celebrazione dei funerali religiosi per Giuseppe Lo Mascolo, 73 anni, arrestato la settimana scorsa perchè ritenuto il vice-capo della cosca di Siculiana e morto sabato, cinque giorni dopo l'arresto. La salma è stata benedetta nella chiesa del Santissimo Crocifisso da don Leopoldo Argento, che ha pronunciato solo una preghiera, attenendosi alle direttive dell'arcivescovo. Il gesto è stato apprezzato dal Consorzio agrigentino per la legalità. Ma quale messaggio ha voluto mandare la Chiesa siciliana con questa decisione? Marco Guerra lo ha chiesto allo stesso don Leopoldo, parroco di Agrigento:

    R. – E’ una scelta di Chiesa, della Chiesa di Sicilia. Noi ci siamo incontrati nel 1993, il 10 maggio nella Valle dei Templi con il beato Giovanni Paolo II. Abbiamo sentito tutti le parole del Papa che hanno stigmatizzato i mafiosi, ma non solo questo, li ha invitati alla conversione. Credo che quel grido sia rimasto nei cuori di tutti, dei vescovi, dei sacerdoti, delle comunità cristiane che abbiamo portato con noi. Da allora credo che qualcosa sia cambiata perché tutti sentiamo la responsabilità del non far passare atteggiamenti che sicuramente non vanno verso il Vangelo e a dare un segno: la Chiesa non condanna ma siamo chiamati a fare una correzione fraterna.

    D. – Come è stata accolta dalla comunità locale questa scelta?

    R. – Intanto c’è silenzio, adesso la gente non parla. Credo che questo silenzio sia comunque importante. E’ chiaro che la gente si chieda: perché è successo questo, come mai non è stata celebrata l’Eucaristia? Il motivo è questo: l’Eucaristia è la preghiera più alta, è la comunione con Dio e con i fratelli. Se questa comunione con Dio e con i fratelli viene infranta da comportamenti certamente che vanno contro il Vangelo è chiaro che noi non possiamo, se prima non siamo in comunione con Dio, pregare e celebrare l’Eucaristia. Io sono convinta che questo popolo comprenderà quanto abbiamo fatto.

    D. - Cosa stanno facendo la Chiesa e le comunità locali di fedeli per combattere il fenomeno mafioso?

    R. - Questo sicuramente non è un fatto isolato, ma già nella diocesi di Piazza Armerina il vescovo qualche anno fa ha preso una decisione molto ferma nei confronti di chi si fregia del nome di mafioso. I nostri vescovi chiedono di purificare le feste religiose e ci stanno chiedendo di stare molto attenti a tutti i comitati, a tutte quelle aggregazioni che ruotano attorno alle fette patronali, laddove nel passato ci sono state infiltrazioni. Credo inoltre che ci sia una sinergia tra la Chiesa e alcune forze laiche, i movimenti, come Libera, con la presenza di don Ciotti in molte comunità quando accade qualcosa, e questo dimostra che c’è una volontà della Chiesa di Sicilia di prendere sul serio questo problema.

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    Presentato il rapporto di Telefono Rosa sulla violenza contro le donne

    ◊   E’ stato presentato oggi a Roma il rapporto di Telefono Rosa che raccoglie i dati sulla violenza contro le donne nel 2011. Particolarmente preoccupante il dato secondo cui l’87% delle violenze avviene all’interno delle mura domestiche o da parte di persone conosciute. Dall’inizio del 2012 sono già 61 le donne uccise in questo contesto. E la violenza contro le donne ha anche altre conseguenze, più a largo raggio. Lo ha spiegato a Davide Maggiore, Gabriella Moscatelli, presidente di Telefono Rosa:

    R. – E’ tutta la famiglia a rimetterci, perché la donna scappa di casa, perché i bambini debbono essere trattati psicologicamente. Quindi, noi dovremmo fare un piano fin dalla più tenera età dei bambini per la prevenzione e, nel momento in cui invece avvengono questi episodi in famiglia, cercare di trattare sia l’uomo che la donna, affinché capiscano che i loro comportamenti, oltre ad essere abominevoli - perché l’uomo sopraffà la donna - sono abominevoli nei confronti di questi ragazzi che stanno crescendo.

    D. – In questo senso, il rapporto di quest’anno sottolinea un fenomeno in particolare...

    R. – La violenza assistita, ossia la violenza alla quale assistono i ragazzi. I ragazzi che assistono diventano uomini a loro volta violenti e le donne invece sono portate a subire quella stessa violenza che subisce la madre, una volta grandi. Quindi, noi oggi dobbiamo parlare della violenza nei confronti delle donne, ma dobbiamo sottolineare la violenza alla quale i bambini assistono e che li porta a loro volta ad essere soggetti violenti.

    D. – Concretamente cosa significa questo?

    R. – Nell’immediato i bambini diventano bambini irrequieti, bambini che nei comportamenti con gli altri sono spesso violenti. E già in questo, nella scuola, bisognerebbe identificarli e trattarli, cosa che non viene fatta. Altrettanto le bambine: denunciano disagi. E noi dovremmo intervenire, proprio a questo punto, sia sui bambini che sulle bambine, perché intervenendo presto probabilmente noi recupereremmo tutti e due: sia il maschio che la femmina.

    D. – Spesso questi contrasti danno vita a veri e propri episodi criminali, ma cosa si può fare prima che questo accada?

    R. – Io credo che sin dalla più tenera età noi dovremmo intervenire nelle scuole sia sui bambini sia sugli insegnanti, per aiutare i bambini a tirar fuori, se ci sono, delle problematiche all’interno della famiglia, e per aiutare gli insegnanti ad individuare immediatamente il problema. E poi uomini e donne devono essere umili e devono cercare aiuto laddove si comincia a vedere che il rapporto diventa un rapporto violento. Il terzo, estraneo, preparato a questo può veramente aiutare la coppia.

    D. – E questa prevenzione è anche un modo di agire in difesa della famiglia...

    R. – Io dico che la famiglia è il punto di partenza per ognuno di noi. Finché è possibile, l’uomo si dovrebbe convincere a farsi aiutare ed iniziare un percorso con la propria compagna, con la propria moglie, proprio nell’interesse di quella famiglia della quale noi parliamo sempre.

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    L'Onu approva la prima risoluzione per la libertà su Internet

    ◊   Il Consiglio per i diritti umani dell'Onu ha approvato a Ginevra la sua prima risoluzione a difesa della libertà su Internet. Malgrado l'opposizione di Cina, Russia e India, sono state decine le nazioni che hanno appoggiato il testo, che è stato co-sponsorizzato da 85 paesi, 30 dei quali fanno parte del Consiglio. “E' la prima risoluzione delle Nazioni Unite che conferma che i diritti umani nel mondo di Internet devono essere protetti con lo stesso impegno che si mette nel mondo reale”, ha detto ai giornalisti l'ambasciatrice statunitense, Eileen Chamberlain Donahoe. Intanto, è on line la Declaration of Internet Freedom: la petizione, nata due giorni fa, contro i tentativi di legiferare su copyright o privacy, come la proposta di legge (Sopa) negli Stati Uniti o il provvedimento Acta nell’Unione Europea, che però è stato già bocciato ieri dall’Europarlamento. E di privacy in particolare si discute dopo che un giudice negli Usa ha stabilito che il twitter di un ragazzo sia da prendere come elemento processuale in quanto dichiarazione pubblica. I suoi avvocati difendevano la presunta privacy della affermazione. Di libertà e di privacy su Internet Fausta Speranza ha parlato con uno dei massimi esperti di sicurezza informatica a livello mondiale, l’hacker Fabio Ghioni, noto in Italia per il caso Telecom. Oggi è consulente di governi e istituzioni internazionali:

    R. – Per quanto riguarda la decisione del giudice, se io scrivo un sms a una persona o gli mando una e-mail privata è davvero privacy. E’ una cosa da me a te. Altra cosa se io dico qualcosa in un contesto pubblico, come ad esempio una conferenza. Ecco, diciamo che i social network - come Twitter, Facebook e quant’altro – sono come delle conferenze aperte 24 ore su 24: ci sono un tot di utenti che hanno la possibilità di vedere, senza nessun tipo di restrizione, qualunque cosa una persona pubblica. E, quindi, quando la persona la pubblica, se ne deve assumere la responsabilità, come se la pubblicasse su un quotidiano. Questa non è privacy. Tra l’altro la legge sulla privacy definisce molto chiaramente quale siano le informazioni da tutelare e cioè ci sono tre dati fondamentali protetti: preferenze sessuali, stato di salute e orientamento politico. E bisogna dire che Facebook e Twitter fanno esattamente queste domande e molte persone rispondono! E, dunque, una volta che si è risposto a queste domande, di privacy non se ne può più parlare! E poi bisogna dire che una cosa è la libertà, un’altra è la responsabilità! Se per libertà qualcuno intendesse che io sono libero di andare per le strade con una mazza da baseball e prendere a mazzate le persone, penso che dovremmo ben ragionare…. La stessa cosa vale su Internet: non può essere libertà assoluta. E vale per dichiarazioni, affermazioni che vengono fatte: se una persona le fa, se ne deve anche assumere la responsabilità.

    D. –Internet ha aperto orizzonti, ha fatto cadere barriere di spazio e di tempo e dunque si parla tanto della bella libertà che si è presa il mondo di essere più “connesso”. E sembra che nessuno voglia parlare di limiti… però ci dovrebbe essere e ci può essere una forma di controllo, di gestione di Internet?

    R. – Il controllo serve a tutelare tutti quegli utenti che usano Internet - come quelli che usano, ad esempio, la Biblioteca del Congresso Americano - per acquisire conoscenza, per espandere le proprie facoltà comunicative in territori dove prima non potevano, per espandere le proprie conoscenze ed eventualmente anche fare business, come effetto collaterale. Una persona che si crea una identità falsa è paragonabile ad una persona che si crea una identità falsa nel mondo reale: come se io andassi in giro con una carta di identità falsa o mi presentassi con false credenziali in un contesto pubblico qualunque. Perché dovrei farlo? Qual è la libertà dentro questo? La libertà, forse, di nascondermi? E’ questa la libertà di cui stiamo parlando? Perché bisogna far anche emergere di quale libertà stiamo parlando: una cosa è la libertà di dire qualcosa e assumersene la responsabilità, una cosa è quella di poter fare qualunque cosa passandola liscia. Questa io non la considero libertà, la considero istigazione a delinquere. Bisogna passare a ragionare da ‘io che posso comunicare’ a ‘io che posso comunicare facendo del male a chiunque’.

    D. – Tra il XIV, XV e XVI secolo il mondo cambiava: nuove tecnologie e conquiste coloniali. Di fronte ai cambiamenti, la società si inventava il diritto internazionale, che prima non c’era. Cambiavano le prospettive e, dunque, il diritto non era più solo nazionale. Oggi, di fronte al nuovo mondo del cyber world, ci vorrebbe un nuovo diritto che non può che essere sovranazionale. Ma probabilmente, a parte il tempo e le difficoltà per elaborarlo, ci sono anche interessi in gioco che contrastano…

    R. – Internet è a tutti gli effetti una nazione a se stante, perché non può essere un territorio presidiato dai governi nazionali che hanno delle caratteristiche simmetriche. Internet non ha queste caratteristiche e la soluzione a tutto questo è quello di concepire veramente un nuovo territorio e di avere il coraggio di dare nome e cognome a Internet come nuova nazione. Se si trovasse il modo di fare questo, secondo me, ci sarebbero molte meno persone che usano la rete come quel territorio dove fare quello che vogliono, senza assumersene la responsabilità. Ci vorrebbero regole e se qualcuno le viola la prima penalità dovrebbe essere l’espulsione dalla Rete.

    D. – Mentre aspettiamo che la società elabori una nuova legislazione per stare al passo con la tecnologia, parliamo di responsabilità personale del singolo utente. C’è in realtà molta irresponsabilità nell’uso di Internet: anche la consegna – per esempio – di dati personali ai social network avviene con estrema facilità, ma non è così indolore come sembra…

    R. – No, infatti, non è assolutamente indolore! Una volta che i dati vengono consegnati al social network sono di fatto di proprietà del social network e il social network può farne quello che vuole. Questo vale anche per le foto. Questo è il prezzo che si paga nell’utilizzo – diciamo tra virgolette – gratuito di questi strumenti. Basta ovviamente esserne coscienti, ma la maggior parte delle persone – e secondo me stiamo parlando proprio di una percentuale altissima, che supera addirittura il 90 per cento – non ci pensa proprio, ne è completamente ignara finché non succede qualcosa… Consideriamo che ovviamente costa custodire i dati, trattarli e metterli a disposizione: non lo fanno naturalmente come opera umanitaria, ma lo fanno perché hanno il loro tornaconto. Possono essere messe a disposizione di diverse autorità e interessano moltissimo alle compagnie pubblicitarie. Sono informazioni che loro hanno e le informazioni hanno un mercato, un mercato – tra l’altro – molto florido.

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    Rapporto Aifa: sempre più alto in Italia il consumo di antidepressivi tra donne e anziani

    ◊   In Italia il consumo di antidepressivi nell'ultimo decennio "è cresciuto in maniera drammatica", soprattutto tra le donne e gli anziani, tanto che il 15% degli over 75 ne fa uso. E' l'allarme lanciato dall'Aifa, l’Agenzia del Farmaco, durante la presentazione, oggi a Roma, del rapporto sul consumo di farmaci nel Paese. Nel 2011 il mercato farmaceutico totale è stato pari a 26,3 miliardi di euro, di cui tre quarti rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale che risparmia il 4,6% rispetto all’anno precedente. Ma qual è oggi il rapporto degli italiani con i medicinali? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Luca Pani, direttore generale dell’Aifa:

    R. - Il rapporto degli italiani con i medicinali sta maturando, ha bisogno ancora di un po’ di strada per diventare completamente maturo; non a caso noi col decreto liberalizzazioni, dietro indirizzo del governo e del Ministero della Salute, abbiamo spostato alcuni farmaci in automedicazione perché il rapporto di maturità del cittadino verso i farmaci sta migliorando. C’è ancora strada da fare perché bisogna stare attenti alla propria appropriatezza prescrittiva sia da parte del medico come tutti raccomandano ma anche da parte dei pazienti. Anche i pazienti devono pensare che sono una parte di questa appropriatezza prescrittiva. Non si può demandare completamente sempre ai farmaci la cura di determinate patologie o almeno non solo; c’è anche il bisogno di intervenire con stili di vita attenti, ordinati, che consentano al farmaco di funzionare meglio e di aver meno effetti collaterali. Il contesto della salute umana e il controllo della protezione della salute umana sono inseriti in un’ipotesi globale. Non può essere soltanto il farmaco il responsabile del miglioramento della salute.

    D. - Quindi non solo cura ma puntare molto anche sulla prevenzione…

    R. - Prevenzione e stili di vita. Non posso pensare di dovermi curare la pressione alta se continuo a mettere un chilo di sale ogni volta in tutto quello che mangio; sarebbe meglio iniziare a fare una dieta iposodica, con poco sodio, una dieta per perdere chili e vedere se magari diminuisce la pressione. Tutto questo è il farmaco con cui diminuisco la pressione.

    D. - In un momento di forte crisi come è possibile arrivare al giusto punto tra taglio della spesa farmaceutica e garanzia per i cittadini dal punto di vista dei farmaci?

    R. – La spesa farmaceutica va analizzata. Bisogna fare tagli che, se sono necessari perché il governo ci dice che quelle sono le risorse che noi abbiamo, ci diano modo di scegliere tra l’armamentario di farmaci che noi abbiamo, quelli che consentono ai cittadini di avere sempre assicurato un livello essenziale di assistenza farmacologica che è quello che fino ad oggi il nostro Paese ha dato egregiamente.

    D. - A proposito degli antidepressivi ci sono stati giorni fa notizie abbastanza allarmanti legate all’uso degli antidepressivi che aumentano proprio in periodo di crisi…

    R. - Nonostante la tendenza all’uso degli antidepressivi, all’uso delle terapie psicofarmacologiche, esploda in certi periodi dell’anno questa è comunque una categoria, la malattia depressiva, le malattie psichiatriche, che di solito globalmente sono malattie poco curate perché c'è una vergogna ancora molto alta. In generale l’uso di antidepressivi, di psicofarmaci - non sono solo antidepressivi, sono spesso anche ansiolitici o ipnotici per dormire meglio -, aumenta nei periodi di crisi mentre nei periodi di gravissima crisi, come le guerre, le malattie molto gravi come la depressione suicidaria e il suicidio diminuiscono. Quindi ci sono dati che fanno riflettere sulla percezione della crisi, sui disturbi sintomatici della crisi. Sto pensando per esempio alla difficoltà di andare a dormire, di concentrazione, stanchezza: sono sintomi neurovegetativi, psicosomatici, usando un termine un po’ abusato; quelli sicuramente aumentano nei periodi di crisi perché c’è l’incertezza del futuro.

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    Parte a Rondine il progetto per una nuova classe dirigente per la Sponda Sud del Mediterraneo

    ◊   Un mare tra due sponde, un ponte tra due mondi" è il titolo del simposio internazionale che oggi e domani inaugura a Rondine (Arezzo) il progetto triennale "Una nuova classe dirigente per la Sponda Sud del Mediterraneo". Sulla scia dei quindici anni di esperienza formativa del suo Studentato Internazionale, l'Associazione Rondine-Cittadella della Pace propone un'esperienza educativa a giovani professionisti provenienti dai Paesi che stanno attraversando la cosiddetta "Primavera araba", come Egitto, Libia e Tunisia. L'obiettivo, oltre a creare i leader di domani, è quello di creare ponti di fiducia e amicizia tra mondi vicini fisicamente, ma spesso lontani culturalmente. Fabio Colagrande ha intervistato Franco Vaccari, fondatore e presidente di Rondine:

    R. – Non eravamo mai approdati a questi nuovi Paesi: da quando si è scatenata la “Primavera araba” - questa grande rivoluzione, questo grande sommovimento culturale, spirituale, religioso - l'abbiamo seguita con grande attenzione e le relazioni che si sono maturate in questo anno e mezzo ci hanno portato a dire: proviamo il metodo di Rondine di formazione di classe dirigente anche verso questi Paesi. Anche perché - come diciamo nel titolo – in effetti c’è un mare tra noi, ma c’è un oceano di ignoranza, di pregiudizi. Noi dobbiamo lavorare con forza, affinché le future generazioni partano già bene, con il piede giusto, si conoscano e abbattano i pregiudizi: questo vuol dire la metafora della costruzione di ponti e quindi conoscenza vera, diretta ed elaborazione anche di un immaginario collettivo nuovo, quasi come un nuovo continente, dove Europa e sud del Mediterraneo comincino a concepirsi come una realtà assolutamente diversificata, ma anche unica per il destino del mondo.

    D. – Perché un simposio internazionale per inaugurare questo progetto, simposio al quale partecipano – tra gli altri – il cardinale Tauran e il ministro Riccardi?

    R. – Un Simposio per sondare istituzionalmente, culturalmente e direi anche scientificamente un’operazione di lungo respiro. Il progetto è triennale: lo seguiremo tutti insieme; ne aggiusteremo il tiro strada facendo, vedendo le imperfezioni del primo anno, ma speriamo molto anche sui punti luminosi, e quindi lo rafforzeremo. Sarà seguito come un investimento, perché il governo italiano punta molto su questa sponda sud e il ministro Riccardi si spende con forza e con grande determinazione.

    D. – Tunisia, Egitto, Libia sono tre Paesi che dimostrano, però, le luci e le ombre anche legate alla “Primavera araba”. Come dobbiamo guardare a questo fenomeno storico che è ancora in atto?

    R. – Dobbiamo guardare – direi - con grande vigilanza e attenzione, ma senza che questo inibisca una simpatia umana. Noi siamo “infettati” da pregiudizi e i pregiudizi – come sappiamo – si compongono da molti elementi: uno, non l’unico ma certamente importante, è l’ignoranza. Noi non conosciamo cosa stia succedendo in quei Paesi; l’informazione è come sempre parziale e spesso ad usum di interessi parziali. In questo modo, noi vogliamo invece porre un luogo dove ci siano delle conoscenze autentiche: verranno qui i primi quindici giovani che sono stati protagonisti veri di questi movimenti, in modi anche molto diversi. Dall’Egitto avremo anche i musulmani e i copti e quindi avremo i cristiani e gli islamici; dalla Tunisia avremo anche le personalità e i giovani con forti personalità che, dalla poesia all’economia, hanno ispirato questi movimenti e che stanno costruendo già nel loro immaginario il loro cuore e il loro futuro. Noi dobbiamo preservare queste perle preziose, incoraggiarle e innestarle in forti rapporti di amicizia e di cooperazione. Ecco perché c’è il ministro Riccardi, ecco perché c’è il cardinale Tauran, ecco perché ci sono gli ambasciatori di Egitto e di Tunisia…. E’ un vero simposio, che si mette intorno ad una grande scommessa di formazione, di cui spesso si parla, ma che poi è sempre difficile da realizzare o è fatta in maniera – a volte – dispersiva.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Giappone: Fukushima “è stato un disastro causato dall’uomo”

    ◊   La tragedia che ha colpito la zona di Fukushima l'11 marzo 2011 "è stata causata da un errore umano e non può in alcun modo essere considerata un disastro naturale. Il governo, la Tepco e le autorità di controllo hanno sbagliato tutto: si poteva e si doveva prevedere il disastro nucleare". È quanto afferma la Commissione parlamentare indipendente di inchiesta che ha presentato oggi il proprio Rapporto in Parlamento. La Commissione è composta da 10 esperti in materia guidati da Kiyoshi Kurokawa, professore emerito dell'Università di Tokyo. L'accusa presente nel Rapporto non è rivolta a un qualche tecnico della centrale, ma all'intero apparato di organismi preposti alla sicurezza della centrale e del territorio: "È chiaro che questo disastro è stato causato dall'uomo - si legge nelle conclusioni -. I governi, le autorità di regolamentazione e la Tepco hanno mancato di senso di responsabilità nel proteggere le vite delle persone e della società". Il terremoto e lo tsunami che hanno colpito le coste della prefettura di Fukushima - provocando una parziale fusione del nocciolo della centrale nucleare - erano insomma "eventi gestibili. C'è stato un corto circuito tra governo, authority e gestore Tepco, che hanno brillato per la mancanza di governance tra di loro". Nella realtà, dicono i commissari, "l'11 marzo la centrale nucleare di Fukushima era in condizioni vulnerabili che non garantivano di far fronte al terremoto e allo tsunami. Pur avendo una serie di opportunità di adottare misure, le autorità di regolamentazione e la Tepco hanno deliberatamente rinviato le decisioni, non hanno intrapreso azioni di tutela". L'inchiesta "scagiona" di fatto l'utilizzo dell'energia atomica nel Sol Levante. Il Paese ha una enorme sete di energia, che nasce dal proprio sviluppo industriale: sin dal secondo Dopoguerra, nonostante le bombe su Nagasaki e Hiroshima, i giapponesi hanno lavorato per stanziare centrali nucleari su tutto il territorio. Al momento sono più di 50, ma quasi tutte inattive: sull'onda dell'emozione post-disastro, infatti, il governo ha ordinato una revisione totale di tutti gli impianti. Ora però le cose stanno cambiando. Dopo più di un anno di fermo, il Prodotto interno lordo del Paese è precipitato e la disponibilità energetica è calata del 30 %. Il nuovo premier Noda si è imposto e ha ottenuto la riapertura di 2 reattori "assumendosi tutta la responsabilità del caso". (R.P.)

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    Kenya: impegno dei musulmani di Garissa per proteggere le chiese

    ◊   La comunità musulmana si impegna a formare squadre di volontari per proteggere le chiese nella Provincia nord-orientale: lo ha detto Adan Wachu, segretario del Supremo consiglio dei musulmani e presidente del Consiglio interreligioso del Kenya, pochi giorni dopo gli attentati nella città di Garissa. Secondo l’emittente pubblica Kenya Broadcasting Corporation (Kbc), la decisione è legata all’idea che gli attentatori mirino a innescare un conflitto tra la maggioranza musulmana e la minoranza cristiana nelle regioni al confine con la Somalia. A Garissa, domenica, negli attentati contro la cattedrale cattolica e una chiesa della congregazione Africa Inland Independent Church sono state uccise 17 persone. Ieri la Kenya Broadcasting Corporation ha riferito che la strage è stata rivendicata con un messaggio diffuso su internet da un esponente del gruppo somalo Al Shabaab. Nel testo si minacciano nuovi attentati se il Kenya non interromperà l’offensiva militare nel sud della Somalia a sostegno del governo di Mogadiscio. Martedì il governo ha convocato i leader religiosi musulmani, cristiani delle diverse denominazioni protestanti e cattolici; da loro è giunta un’unanime condanna dell’attentato. (R.P.)

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    Mali: a Bamako pressioni per un intervento armato nel nord

    ◊   “Liberate il Nord” e “Lo Stato anche al Nord” sono alcuni degli slogan intonati ieri da centinaia di maliani originari delle regioni settentrionali ma rifugiati a Bamako durante un sit-in organizzato nella capitale per chiedere al governo e alla comunità internazionale di “intervenire in fretta” per risolvere la crisi nel Nord, da tre mesi in mano a ribelli islamici e tuareg. “Da quasi 100 giorni la nostra gente vive nell’angoscia e nel terrore eppure il governo non si sta muovendo, non si decide a inviare soldati al fronte e non si decide a negoziare. Siamo finiti in un’impasse” ha detto Arbonka Boubeye Maïga, segretario del Collettivo dei cittadini del Nord (Coren) che ha organizzato la manifestazione. Un appello simile - riferisce l'agenzia Misna - è arrivato dal parlamento di Bamako. In un documento intitolato “Ristabilire l’integrità territoriale”, i deputati invitano i maliani ad “attuare una resistenza implacabile all’occupazione e a rafforzare la solidarietà con ogni mezzo possibile”. Da qualche giorno il capoluogo di Gao è in mano agli islamici di Ansar al Din che hanno prevalso sui tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla). I due appelli di Bamako giungono in un momento di stallo politico della transizione ma anche della diplomazia regionale e internazionale. Da una parte ci sono forti tensioni tra le forze politiche sulla gestione della transizione e della crisi nel Nord, soprattutto dopo l’allontanamento forzato del presidente ad interim, Dioncounda Traoré, vittima di un’aggressione a fine maggio. A queste lotte per il potere si aggiungono divisioni tra movimenti di sostenitori e oppositori alla giunta militare, autrice del colpo di Stato del 22 marzo, che gode ancora di una certa influenza sulle istituzioni. Sul piano internazionale da giorni è attesa una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che dovrebbe dare il via libera a un intervento armato regionale e/o africano nelle regioni settentrionali del Mali. Pressioni per l’adozione del testo vengono esercitate dalla Francia ma anche da Paesi dell’Africa occidentale, tra cui Niger e Guinea, mentre, finora, la vicina Algeria è stata più reticente. Intanto i mediatori della Comunità economica dei paesi dell’Africa occidentale (Cedeao/Ecowas) hanno annunciato che Traoré parteciperà al vertice convocato per sabato a Ouagadougou: nella capitale burkinabè dovrebbe nascere un governo di unità nazionale, con la partecipazione delle principali forze politiche e di rappresentanti della società civile. A guidarlo sarà sempre l’attuale primo ministro Cheick Modibo Diarra. La formazione di un gabinetto inclusivo è stata presentata dalla Cedeao come “necessaria” per risolvere la crisi del Nord. Sempre dall’organismo regionale è arrivata la decisione di ritirare al leader della giunta militare, il capitano Amadou Sanogo, lo statuto di ex capo di Stato e tutti i benefici che ne derivano, concessigli a maggio in occasione della firma degli accordi per un ritorno al potere dei civili. (R.P.)

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    Onu: responsabilità del Rwanda nelle violenze del Nord-Kivu

    ◊   È stato diffuso il rapporto annuale del Comitato di sanzioni dell’Onu sulla Repubblica Democratica del Congo, un documento di 48 pagine che evidenzia le responsabilità del governo ruandese nel clima di violenza del Nord-Kivu, già a partire dal 1994. Il rapporto – riferisce l’agenzia Misna – aaccusa il governo di Kigali di “fornire materiale militare, armi e munizioni ai ribelli del Movimento del 23 marzo” e di “dare sostegno e protezione al generale latitante Bosco Ntaganda”, ricercato per crimini di guerra. A sostegno dell’accusa verso il Rwanda ci sarebbero foto di armi e attrezzature militare di provenienza ruandese e le testimonianze di 80 soldati ammutinati dell’esercito congolese, tra i quali 31 cittadini ruandesi che si erano arruolati nel Movimento del 23 marzo, i quali hanno descritto le modalità di reclutamento di persone per conto del Movimento da parte di ufficiali del Ruanda. Il documento Onu cita inoltre il ministro della Difesa di Kigali James Kabarebe e il capo di stato maggiore Charles Kayonga tra gli ufficiali ruandesi coinvolti. Alcuni osservatori sottolineano, però, che probabilmente non ci saranno sanzioni effettive da parte del Consiglio di sicurezza, poiché il Rwanda gode del sostegno di molti tra i 15 Stati rappresentati nell’Onu. L’organizzazione congolese di difesa dei diritti umani Voix des sans voix (Vsv), che aveva già denunciato violenze, stupri e incendi nel Nord-Kivu, attraverso un comunicato ha affermato che “è giunta l’ora che la comunità internazionale condanni senza mezze misure il presidente Paul Kagame e lo spinga a un dialogo sincero con il suo vicino di casa, ad aprire uno spazio democratico in Rwanda e a dialogare con i suoi compatrioti delle Fdlr (Forze democratiche di liberazione del Rwanda, hutu)”. Vsv ha, inoltre, sottolineato che “le velleità di espansione, gli interessi economici milionari, a cominciare dallo sfruttamento illecito delle risorse naturali congolesi, e il perdurare della presenza delle Fdlr nell’est congolese rappresentano anche una minaccia per la pace, la stabilità e la sicurezza di tutta l’Africa centrale”. (A.C.)

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    Legislative in Senegal: alla coalizione del presidente vanno 119 seggi su 150

    ◊   A distanza di tre giorni dalle elezioni legislative in Senegal, la commissione elettorale ha ieri diffuso i primi dati sulla composizione del nuovo parlamento. Secondo i risultati – riferisce l’agenzia Misna – la coalizione Bennoo Bokk Yakaar (in lingua wolof significa Uniti con la stessa speranza), che sostiene il neopresidente Macky Sall, ha ottenuto 119 dei 150 seggi disponibili. Al Partito Democratico senegalese, a cui è legato l’ex presidente Abdoulaye Wade, saranno assegnati solo 12 seggi. Grazie alla legge sulle pari opportunità del 2010, saranno almeno 70 le donne che siederanno in parlamento. Arriva anche la conferma dei dati sull’affluenza alle urne, diffusi nei giorni scorsi, secondo i quali ha votato solo il 37% degli aventi diritto, dato comunque superiore alle legislative del 2007, che avevano patito il boicottaggio da parte dei partiti di opposizione. (A.C.)

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    Libano. Mons. Dahdah: la visita del Papa avrà un impatto benefico sul Paese

    ◊   “La visita del Papa è molto attesa nonostante la situazione un po’ instabile dentro e fuori il Libano, in Siria in modo particolare. Siamo certi che la sua presenza, la sua voce, le sue parole avranno un impatto benefico nel nostro Paese che ha fortemente voluto questo viaggio apostolico”. Così il vicario apostolico dei latini di Beirut, mons. Paul Dahdah, commenta all'agenzia Sir il prossimo viaggio in Libano (14-16 settembre) di Benedetto XVI per la firma e la pubblicazione dell’esortazione apostolica post-sinodale frutto dell’Assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei vescovi dell’ottobre 2010. Secondo il vicario l’Esortazione conterrà degli “appelli a tutta la società mediorientale, ai cristiani della Regione perché non emigrino, alla coesistenza pacifica e al dialogo”. Un Esortazione che per questo rappresenta una sfida per le chiese mediorientali divise nei loro riti: “dobbiamo ricordare che non siamo né di Paolo, né di Apollo, né di Cefa, ma di Cristo”. Nell’intervista mons. Dahdah non manca, infine, di esprimere preoccupazione per quanto sta accadendo in Siria ed in altri paesi mediorientali, nei quali non vede “i germogli, gli odori e i risvegli” di quella che in Occidente tutti chiamano “Primavera araba”. (R.P.)

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    Betlemme patrimonio Unesco: il Patriarcato latino chiede di rispettare lo 'status quo'

    ◊   Il Patriarcato latino di Gerusalemme “saluta con favore” la decisione del 29 giugno con la quale la chiesa della Natività di Betlemme, in Cisgiordania, è stata inserita nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Nella sua nota, ripresa dall'agenzia Sir, il Patriarcato sottolinea che Betlemme, “prima di essere riconosciuta come primo sito in territorio palestinese inserito nella lista dell’Unesco, apparteneva già al Patrimonio Mondiale dell’Umanità, se si considera che due miliardi di cristiani venerano il luogo e che un miliardo di musulmani riconosce Gesù come un profeta”. Per il Patriarcato, la dichiarazione dell’Unesco è “molto positiva” e segno di “una vittoria diplomatica”. Nella decisione si può riconoscere, afferma il Patriarcato, “l’interessamento dei Palestinesi ai Luoghi Santi cristiani, e il loro desiderio di incoraggiare i pellegrinaggi e il turismo religioso”. Betlemme, con i suoi due milioni di visitatori nel 2011, è il primo sito turistico dei Territori palestinesi. L’inserimento nel patrimonio mondiale, inoltre, manifesta “l’intenzione di proteggere questi Luoghi Santi dalle intemperie atmosferiche e da altri rischi”. Tuttavia il Patriarcato auspica che “sia l’Unesco che l’Autorità palestinese rispettino il regolamento interno, lo Status quo”, che regola i rapporti tra le diverse comunità cristiane e i loro diritti e doveri in relazione al funzionamento e alla manutenzione della Basilica della Natività, e “non intervengano se non in casi eccezionali”. (R.P.)

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    Libia: per le prossime elezioni mons. Martinelli invita a dare fiducia ai libici

    ◊   “Per la prima volta nella sua storia, in Libia si tengono elezioni veramente libere. Vogliamo meravigliarci se ci saranno dei problemi? Io non mi meraviglio. Spero comunque che il voto avvenga nella pace e sia corretto”. Così mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, commenta all’agenzia Fides la vigilia del voto del 7 luglio per eleggere i 200 rappresentanti dell'Assemblea nazionale libica, che dovrà poi nominare il nuovo governo ad interim e una commissione per scrivere la nuova Costituzione. “Vedo che la popolazione sta maturando questo evento, all’inizio c’era un po’ di indecisione ma adesso penso che siano in grado di affrontare questa prova, con la volontà di superarla” dice mons. Martinelli. Il vicario apostolico di Tripoli nota anche un altro aspetto della situazione: “se la Libia sta facendo la sua parte e sono apprezzabili gli sforzi che sta portando avanti per ritrovare un suo equilibrio, vedo pure che ci sono gruppi e organizzazioni straniere e internazionali che, con la scusa di aiutare la Libia, fanno i loro interessi o comunque non hanno una condotta trasparente. Tutti quanti ci sforziamo di aiutare la Libia, ma quante sono le persone che lo fanno con vero disinteresse, con purezza di cuore e di spirito ?” si chiede mons. Martinelli. “Il 9 luglio – conclude il vicario apostolico di Tripoli - mi recherò in pellegrinaggio a Lourdes per pregare la Madonna, che è riconosciuta anche dal mondo musulmano come la madre del Profeta Issa, cioè Gesù, perché possa aiutare questo popolo a crescere e a ritrovare la pace”. (R.P.)

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    Pakistan: bruciato vivo un uomo accusato di blasfemia. La preoccupazione dei vescovi

    ◊   Ghulam Abbas, un uomo accusato di blasfemia è stato bruciato vivo da una folla inferocita di islamisti radicali all’esterno della stazione di polizia di Chani Ghoth, nell’area della cittadina di Bahawalpur, nella provincia del Punjab. Come confermano fonti locali all'agenzia Fides, l’uomo, probabilmente un disabile mentale di religione musulmana, era stato arrestato alcuni giorni fa in seguito a una denuncia di presunta blasfemia, con l’accusa di aver bruciato pagine del Corano. Alcuni leader religiosi locali hanno aizzato la folla che ieri si è riversata in strada ed ha poi fatto irruzione negli uffici della polizia, ferendo circa 15 agenti. I radicali hanno forzato la porta della cella, tirato fuori il prigioniero, lo hanno cosparso di benzina e bruciato vivo. Anche alcuni veicoli della polizia sono stati dati alle fiamme, in una rivolta che è durata circa due ore. L’episodio ha scosso fortemente la società civile pakistana, riportando a galla la annosa questione dell’abuso della legge sulla blasfemia. Peter Jacob, Segretario esecutivo della Commissione “Giustizia e Pace” della Conferenza episcopale del Pakistan, ha dichiarato a Fides: “Stiamo verificando i fatti e le circostanze di un episodio così grave e inaudito. E’ un fatto davvero esecrabile. La violenza è aumentata, anche quella che prende come pretesto la religione. Eliminare una vita umana, tantopiù in modo extragiudiziale, è sempre inaccettabile. A preoccuparci sono l’impunità, l’illegalità, la libertà di quanti possono farsi giustizia da soli, uccidendo impunemente. Le istituzioni, come il Parlamento e la Magistratura, devono fare la loro parte. Chiediamo una maggiore attenzione del nuovo Primo Ministro perché non si abbassi la guardia sul rispetto dei diritti umani in Pakistan”. La Commissione riferisce che, nel 2012, due musulmani e un cristiano sono stati uccisi in via extragiudiziale, per accuse di blasfemia. Altre Ong, come “Masihi Foundation” e “Life for All”, hanno fortemente condannato l'accaduto come “atto barbarico e disumano”. In una nota inviata a Fides, ribadiscono che “si abusa della legge sulla blasfemia” e invitano le autorità ad agire “contro l'illegalità e la brutalità”, perché “nessuno è al di sopra della legge”. Le Ong chiedono l’intervento del presidente della Corte Suprema per “garantire lo stato di diritto nel Paese”. (R.P.)

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    Perù: l’appello dei vescovi ad aprire un dialogo negli scontri di Cajamarca

    ◊   La Conferenza episcopale peruviana, tramite il suo presidente mons. Salvador Piñeiro García-Calderón, è intervenuta nuovamente in merito violenti episodi avvenuti il 3 luglio a Cajamarca attraverso un comunicato inviato all’agenzia Fides dal titolo “La violenza non può essere un mezzo per raggiungere lo sviluppo dei popoli”. Nel testo i vescovi si rivolgono ai protagonisti dello scontro “perchè mettano da parte i discorsi che incitano alla violenza, valutino la forza impiegata per controllare gli scontri, riflettano insieme sulle soluzioni comuni e in particolare rinuncino alla violenza come mezzo per raggiungere gli obiettivi di una comunità o di un popolo”. L’appello, che esprime anche il dolore della Chiesa per le vittime, esorta le parti del conflitto a “riprendere il dialogo, come unica via per risolvere in modo razionale e pacifico i conflitti”. Il comunicato si conclude con la disponibilità da parte della Chiesa a mediare poiché, ricordano i vescovi, “la Chiesa annuncia il valore della vita e il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo, promuove l'atteggiamento di rispetto per la natura e promuove una cultura di pace e dialogo”. Intanto ieri nuovi scontri sono avvenuti nella città, nei pressi della cattedrale, dove la polizia ha dovuto usare i lacrimogeni per disperdere dei manifestanti che hanno reagito con lanci di bottiglie di vetro e altri oggetti. (A.C.)

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    Brasile: la voce dei vescovi per i nativi dell'Amazzonia

    ◊   “Uno dei problemi affrontati attualmente dalle popolazioni dell'Amazzonia è quello dei grandi progetti che, oltre ad avere un enorme impatto sull'ambiente, generano profitti per alcuni e causano numerosi impatti sociali negativi per le città in cui si realizzano”: questo il tema principale della conferenza stampa tenuta martedì scorso dal Workshop “San Pio X”, nell’ambito del X Incontro dei Vescovi dell’Amazzonia, che si svolge a Santarém-Pa, in Brasile. Mons. Jesus Berdonces, vescovo della Prelatura di Cameta e presidente della Regione brasiliana Nord I, ha sottolineato che l'Amazzonia è considerata ancora oggi come una colonia, dove le persone vengono, prendono la materia prima, si arricchiscono, e poi se ne vanno. “Questo è un modello capitalistico, adottato dal governo nella regione dell’Amazzonia, che non tiene conto delle persone che vivono lì. Per loro la gente è solo un dettaglio che ostacola lo sviluppo” si legge nella nota inviata dalla Conferenza episcopale brasiliana (Cnbb) all’agenzia Fides. Ma esiste anche un altro modello raccomandato dalla Chiesa, il cui obbiettivo sono le persone che si trovano in Amazzonia: "La Chiesa sostiene la promozione dell'agricoltura familiare, sostiene che i profitti della ricchezza (sia mineraria che dell’agricoltura) debbano rimanere in Amazzonia, e che le persone debbano essere coinvolte". Mons. Roque Paloschi ha sottolineato l’importanza di sapere chi stia godendo i profitti di questi grandi progetti, che oltre ad avere la benedizione del governo, sono finanziati con denaro pubblico. Ha fatto inoltre notare che le popolazioni non hanno garanzie e le loro terre sono quasi sempre utilizzate arbitrariamente per qualche “business agricolo” e da gruppi economici che arrivano nella zona. Mons. Mosé Joao Pontelo ha denunciato che i problemi ci sono, e richiedono la responsabilità e l'intervento dei Pastori, che sono i leader della Chiesa in questa zona. Ha detto anche che l'attuale incontro di Santarém segna la strada da seguire nei prossimi cinque anni. La X riunione dei vescovi preparerà un documento, come conclusione finale, e tre lettere, indirizzate ai governanti degli Stati dell'Amazzonia, al Popolo di Dio e al Santo Padre Benedetto XVI. (R.P.)

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    Gabon: i vescovi condannano il degrado morale nelle scuole cattoliche

    ◊   Prostituzione, traffico di droga, pratiche esoteriche: sono i segnali di un forte degrado morale che regna fra gli studenti delle scuole cattoliche in Gabon. A denunciarli, la stessa Conferenza episcopale del Paese che nei giorni scorsi ha tenuto un incontro con la stampa per ribadire la propria condanna di tali comportamenti. All’evento erano presenti il vicario generale dell’arcidiocesi di Libreville, mons. Patrick Nguéma Edou, le suore della Congregazione dell’Immacolata Concezione di Castres (il cui carisma è proprio l’educazione dei giovani), l’Associazione dei genitori degli studenti cattolici, il ministro per la Famiglia e gli affari sociali, Honorine Nzé Bitéghé, ed alcuni rappresentanti dell’Unicef. Mettendo in luce la missione dell’insegnamento cattolico, ovvero il saper trasmettere un’educazione di qualità e far apprendere agli studenti i valori morali, mons. Nguéma Edou ha espresso la sua indignazione per tali avvenimenti ed ha ribadito che la Chiesa non può restare in silenzio. “Lasciar correre – ha detto il presule – non può che condurci a temere che, a breve termine, le nostre istituzioni di formazione saranno davvero in pericolo e che l’avvenire dei nostri giovani sarà ormai compromesso”. Secondo il vicario generale di Libreville, “tali atteggiamenti non devono lasciare le persone indifferenti” e poiché “Dio non vuole la morte del peccatore, bensì la sua conversione, non è mai troppo tardi per queste ‘pecorelle smarrite’ per tornare sulla retta via”. Dal suo canto, l’Associazione dei genitori degli studenti cattolici ha puntato il dito contro gli adulti che inducono i giovani sulla cattiva strada: “Noi condanniamo decisamente – hanno detto i rappresentanti dell’organizzazione – tutti gli adulti criminali, gli spacciatori, gli stupratori che commettono tali abomini non solo nella propria casa, ma anche nelle altre famiglie”. Infine, il ministro per la Famiglia e gli affari sociali, Nzé Bitéghé, ha ribadito l’impegno dello Stato nel perseguire giuridicamente i colpevoli ed i mandati di tali reati. (I.P.)

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    Inghilterra-Galles: da domani il Sinodo anglicano anche sulle donne vescovo

    ◊   È un Sinodo anglicano di cruciale importanza quello che si apre domani all’università di York, per concludersi martedì 10 luglio. All’ordine del giorno di lunedì 9 luglio c’è la discussione sulla possibilità che i fedeli contrari alle donne possano essere seguiti da un uomo vescovo. Ed è proprio questa eccezione alla generale introduzione dei vescovi donna a dividere la Chiesa. La clausola 5, emendamento previsto dai presuli, prevede che i vescovi uomini, ai quali i fedeli contrari alla politica generale della Chiesa possono ricorrere, non abbiano mai ordinato donne e non credano nell’episcopato femminile. La Chiesa di Inghilterra - riferisce l'agenzia Sir - tenta così di mantenere al proprio interno chi si oppone ancora alle donne, si tratti degli evangelici o degli anglocattolici, 1.500 dei quali sono passati, insieme a 80 pastori, alla Chiesa cattolica negli scorsi mesi grazie alla costituzione apostolica di Benedetto XVI “Anglicanorum coetibus” che permette loro di mantenere parti della liturgia anglicana. La presenza di un’area all’interno della Chiesa, nella quale possano ritrovarsi gli oppositori delle donne vescovo, risulta inaccettabile per chi sostiene che un aggiornamento dell’intera legislazione debba essere demandato alla Commissione dei vescovi per l’abolizione della clausola. Se il Sinodo procedesse in questa direzione la legislazione tornerebbe ai vescovi anglicani, che potrebbero decidere di rimuovere l’emendamento a favore dei fedeli contrari alle donne vescovo, per rimandare il tutto al Sinodo a novembre 2012 o a febbraio 2013 per un’approvazione definitiva. È anche possibile che il Sinodo proceda con l’approvazione finale della legislazione, che porterebbe alla prima ordinazione delle donne vescovo alla fine del 2013 o nei primi mesi del 2014. Il Sinodo discuterà e approverà anche, domenica 8 luglio, un rapporto sulla guerriglia di un anno fa preparato dalla commissione “Mission and public affairs division” che si occupa del settore sociale, intitolato “Testing of the bridges” (“Mettere alla prova i ponti”). Nella relazione, che denuncia come alcune convinzioni sui disordini (importanza dei social network, ruolo chiave delle gang) siano infondate, si esplora il ruolo delle chiese in queste situazioni di conflitto. Aperte come rifugio durante la guerriglia, con pastori e fedeli pronti ad aiutare, le chiese hanno avuto un ruolo chiave. Martedì 10 luglio l’addio del Sinodo al primate anglicano Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury, che lascerà il suo incarico alla fine di dicembre per diventare “Master”, ovvero preside del Magdalene college di Cambridge. (R.P.)

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    Regno Unito: ancora un fermo no dei vescovi alla legalizzazione del suicidio assistito

    ◊   È di nuovo polemica in Gran Bretagna sul tema della legalizzazione del suicidio assistito. A riaprire il dibattito l’iniziativa del Gruppo interparlamentare per la scelta sul fine vita (All-Party Parliamentary Group on Choice at the End of Life) e dell’associazione ‘Dignità nella morte’ (“Dignity in Dying”) che hanno lanciato una consultazione nazionale su un nuovo disegno di legge in tal senso presentato dal Governo Cameron. L’iniziativa segue le raccomandazioni del “Rapporto Falconer” pubblicato lo scorso gennaio che chiedeva di consentire il suicidio assistito ai malati terminali con un’aspettativa di vita inferiore a un anno. Secondo la commissione presieduta da Lord Falconer, i medici dovrebbero poter prescrivere dosi letali di medicine ai malati terminali, purché questi abbiano espresso chiaramente il desiderio di morire, siano in possesso delle facoltà mentali, assumano autonomamente tali farmaci. Dura la reazione dell’arcivescovo di Southwark, mons. Peter Smith, che si occupa di temi bioetici ed è alla guida del Dipartimento per la responsabilità cristiana e la cittadinanza della Conferenza dei vescovi d’Inghilterra e Galles (Cbcew). In una nota diffusa nella stessa giornata di ieri, il presule ricorda polemicamente che l’iniziativa del gruppo parlamentare è l’ultima di “una serie di proposte presentate e ripetutamente bocciate dal Parlamento in questi ultimi cinque anni”, e che anche l’Associazione dei medici britannici (Bma) ha ribadito di recente la propria contrarietà alla modifica della legislazione in vigore. “La legge attuale ha lo scopo fondamentale di difendere la dignità umana di tutti e di proteggere le persone più vulnerabili”, sottolinea la nota. Mons. Smith ribadisce quindi che “piuttosto che porre prematuramente fine alla vita di una persona quello che è necessario per i malati terminali sono cure palliative universalmente accessibili e adeguatamente finanziate”. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Kenya: l’impegno ecumenico dei cristiani nella salvaguardia del creato

    ◊   “Realizzare il sogno di costruire una società, un pianeta e una Chiesa sani”: è questo l’impegno preso congiuntamente dalla Conferenza episcopale del Kenya (Kec) e dall’Alleanza delle religioni e conservazione (Arc), un’organizzazione non governativa che opera con i diversi gruppi di fedeli nel mondo per tutelare l’ambiente. In una nota a firma di mons. James Maria Wainaina, presidente della Commissione episcopale per la vita e l’apostolato dei laici, la Chiesa del Kenya scrive: “La tradizione cattolica insegna che la creazione è parte del piano di salvezza di Dio” e quindi “tutti i fedeli di Cristo devono mostrare rispetto per il Creatore attraverso una buona gestione del Creato”. Di qui, l’impegno che la Kec ha preso insieme all’Arc per “sviluppare un piano pastorale a lungo termine sulla salvaguardia del Creato”. Tutti i gruppi di fedeli sono quindi invitati “a proteggere l’ambiente nelle loro istituzioni”. “Tale iniziativa – si legge ancora nella nota – rappresenta un approccio pastorale all’ecologia, in particolare a guardare all’ambiente dal punto di vista della fede”. Per questo, la Kec ribadisce l’importanza di dedicare alcune catechesi ed omelie a questo tema, così che “tutti i cristiani partecipino attivamente e in modo integrale alla salvaguardia del pianeta Terra”. L’invito della Chiesa keniota è rivolto a “religiosi, sacerdoti, catechisti, laici, giovani, donne e uomini che diano priorità all’impegno nella tutela ambientale come modo di portare avanti la missione di Dio, del quale l’uomo è immagine”. L’impegno dei cristiani deve coinvolgere “l’educazione, la pastorizia e l’agricoltura” e deve svilupparsi “nelle istituzioni, nelle scuole, nelle parrocchie, nei centri pastorali”. “La cooperazione, la creatività ed il contributo di tutti – conclude la nota – sono necessari per realizzare, insieme, il sogno della salvaguardia del Creato”. (I.P.)

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    Francia: sempre meno sacerdoti. Tra 10 anni saranno solo diecimila

    ◊   Aumentano in Francia i sacerdoti anziani. Secondo alcuni dati della Conferenza episcopale, nel giro di un decennio si prevede che ne rimarranno circa diecimila, di cui cinquemila over 75, poco più di quattromila con meno di 75 anni e mille con un’età media di 33 anni. Nel 2008, invece, erano quindicimila i preti con un’età intorno ai 70 anni. Per queste ragioni - riporta L'Osservatore Romano - è operativo da alcuni giorni in tutte le diocesi francesi un nuovo gruppo di lavoro per il sostegno, l’ascolto e l’accompagnamento dei sacerdoti anziani. In missione, invece, sono poco più di quattromila, la maggior parte religiosi, poco meno di duecento i fidei donum, contro i circa settecento dell’Italia. «Anche se il quadro reale è meno severo delle cifre, e in Francia ci sono una Chiesa e una missione che conservano importanti elementi di dinamismo — ha dichiarato padre Emmanuel Lafont, direttore delle Pontificie opere missionarie di Francia — la situazione è comunque preoccupante. Nella nostra società francese, multiculturale e multireligiosa, sempre meno cristiana, la percentuale dei praticanti è del 3-5%». Il gruppo di lavoro, oltre che preoccuparsi del clero anziano, è nato dall’esigenza di fornire ai sacerdoti in pensione un supporto psicologico. «Spesso — ha spiegato mons. Michel Bonnet, presidente onorario della Mutuelle Saint-Martin — si ritrovano soli e senza il conforto e il sostegno di un familiare perché a causa della loro missione pastorale sono stati costretti a cambiare città». Per far sì che i sacerdoti anziani possano ancora sentirsi utili alla Chiesa e alla società, il gruppo di lavoro interviene offrendo gli strumenti adeguati al sostegno. «Di volta in volta — ha spiegato Joël Defontaine, professore emerito di economia della salute e componente del gruppo di lavoro — affronteremo diverse tematiche quali l’invecchiamento del clero, il ricorso al sussidio, l’assistenza sociale. Siamo in grado di fare una diagnosi e offrire soluzioni. Il gruppo fornirà risposte sociali e medico-sociali ai diversi stadi dell’invecchiamento e alle sue esigenze: dalla consegna di cibo a domicilio, alle cure e all’assistenza medica domiciliare. Siamo in debito con i nostri sacerdoti anziani, dunque bisogna dar loro prova di solidarietà». (T.C.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 187

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