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Sommario del 26/06/2012
Benedetto XVI in visita ai terremotati: non siete soli, la Chiesa vi è vicina
◊ Un segno “di amore e di speranza”: Benedetto XVI si è recato stamani a Rovereto di Novi, uno dei centri maggiormente colpiti dal terremoto che ha scosso nelle scorse settimane il Nord Italia e in particolare l’Emilia Romagna. Una visita breve ma intensa con la quale il Papa ha voluto abbracciare tutte le popolazioni colpite dal sisma. La Chiesa, ha detto, vi è e vi sarà vicina e ha ricordato con commozione don Ivan Martini, il sacerdote morto nel crollo della sua chiesa di Rovereto. Dal Papa anche un forte appello alle istituzioni a farsi carico delle sofferenze di chi è nel bisogno. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“Ho sentito sempre più forte il bisogno di venire di persona in mezzo a voi”: così, con la semplicità di un padre che vuole stare accanto ai figli nel momento del bisogno, Benedetto XVI si è rivolto, da cuore a cuore, ai terremotati di Rovereto di Novi. E con loro, idealmente, ha abbracciato tutti quelli che in Emilia Romagna come in Lombardia e Veneto sono stati colpiti dalle terribili scosse del 20 e 29 maggio scorso. E’ una visita breve, quella del Papa, che dà però grande coraggio. Lo sottolinea, a nome di tutta la popolazione, il presidente della Regione Emilia Romagna, Vasco Errani:
“In questi giorni difficili, Santo Padre, la Sua preghiera, la Sua solidarietà e la Sua visita di oggi ci confortano e ci dicono che possiamo e dobbiamo vincere queste sfida”.
Questo popolo, constata con amarezza il cardinale Carlo Caffarra, ha perduto ciò che aveva di più caro: “le sue case, le sue chiese, i suoi municipi, i luoghi di lavoro”. E tuttavia, non ha perso la fede, la speranza:
“Alcuni giorni or sono, un bambino, a nome di tanti altri bambini mi ha detto: ‘Ci sono tante crepe nelle nostre case, ma nessuna nei nostri cuori’ (…) sì, Santo Padre, pur così duramente flagellato, questo popolo sta ritrovando un’unità più vera e più profonda”.
Una fede, sottolinea l’arcivescovo di Bologna, che si rafforza grazie anche alla testimonianza eroica di tanti sacerdoti come don Ivan Martini, che ha perso la vita nel crollo della sua chiesa a Rovereto di Novi. E proprio con il ricordo di questo sacerdote, inizia il discorso di Benedetto XVI ai terremotati:
“Rendendo omaggio alla sua memoria, rivolgo un particolare saluto a voi, cari sacerdoti, e a tutti i confratelli, che state dimostrando, come già è avvenuto in altre ore difficili della storia di queste terre, il vostro amore generoso per il popolo di Dio”.
Guardando le vostre terre, ha confidato, “ho provato profonda commozione davanti a tante ferite, ma ho visto anche tante mani che le vogliono curare assieme a voi”. E proprio a questa voglia di “ricominciare con forza e coraggio” il Papa dedica un passaggio vibrante del suo discorso:
“Non siete e non sarete soli! In questi giorni, in mezzo a tanta distruzione e dolore, voi avete visto e sentito come tanta gente si è mossa per esprimervi vicinanza, solidarietà e affetto; e questo attraverso tanti segni e aiuti e concreti. La mia presenza in mezzo a voi vuole essere uno di questi segni di amore e di speranza”.
Il Papa ringrazia i volontari, quanti offrono "una testimonianza concreta di solidarietà". Né manca di rivolgere “un forte appello alle istituzioni, ad ogni cittadino ad essere” come il Buon Samaritano, “che non passa indifferente davanti a chi è nel bisogno” ma si fa carico “fino in fondo delle necessità dell’altro”. E assicura che la Chiesa sarà sempre vicina alle loro sofferenze:
“La Chiesa vi è vicina e vi sarà vicina con la sua preghiera e con l’aiuto concreto delle sue organizzazioni, in particolare della Caritas, che si impegnerà anche nella ricostruzione del tessuto comunitario delle parrocchie”.
Vicinanza concreta e spirituale. Il Papa ricorda le parole del Salmo 46: “Dio è per noi rifugio e fortezza”, “perciò non temiamo se trema la terra”:
“La sicurezza di cui parla è quella delle fede, per cui, sì, ci può essere la paura, l’angoscia – le ha provate anche Gesù – ma c’è soprattutto la certezza che Dio è con noi; come il bambino che sa sempre di poter contare sulla mamma e sul papà, perché si sente amato, voluto, qualunque cosa accada”.
Anche se siamo piccoli e fragili, ribadisce il Papa, siamo sicuri nelle mani del Signore, affidati “al suo Amore che è solido come una roccia”. Su questa roccia, aggiunge, “si può costruire, si può ricostruire”. E rammenta che “sulle macerie del dopoguerra – non solo materiali – l’Italia è stata ricostruita” grazie soprattutto “alla fede di tanta gente animata da spirito di vera solidarietà”. Voi, conclude il Papa, siete gente “che tutti gli italiani stimano” per umanità, socievolezza, laboriosità e giovialità. Parole corredate da un’incoraggiante esortazione:
“Rimanete fedeli alla vostra vocazione di gente fraterna e solidale, e affronterete ogni cosa con pazienza e determinazione, respingendo le tentazioni che purtroppo sono connesse a questi momenti di debolezza e di bisogno”.
La gente stretta attorno al Papa: la tua visita è il segno che Dio non ci abbandona
◊ Grande il calore riservato al Papa nelle ore della sosta tra i terremotati. L'inviato Massimiliano Menichetti racconta di questa intensa e commovente visita in Emilia:
Un cielo plumbeo, squarciato dal sole e accarezzato dal vento, ha accompagnato l’arrivo del Santo Padre a San Marino di Carpi. Per le vie di Rovereto di Novi: “Il Signore è la nostra speranza” recita lo striscione all’ingresso del paese, fissato davanti alle case devastate dal terremoto, che ha ucciso, seminato paura e fermato l’economia. Ma è proprio la vicinanza della Chiesa che orienta lo sguardo a Cristo, che il Papa ha portato alle tante persone che lo hanno atteso qui, luogo diventato fantasma nel mezzo della pianura verdeggiante, pennellata dall’oro del grano.
Tanti i vescovi, i parroci, le famiglie, i bambini, i volontari che hanno cantato e applaudito all’arrivo di Benedetto XVI e poi il silenzio dell’ascolto. Il Papa ha pregato davanti alla chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, dove ha perso la vita – schiacciato dalle macerie, mentre tentava di salvare la statua della Madonna – il parroco, don Ivan Martini. In quel momento si è avuta l’impressione che tutto si fermasse e molti gli occhi bagnati dalle lacrime nel ricordo di don Ivan e delle tante vittime che questo sisma ha inghiottito e per la paura che ancora serra la gola. Poi, il centro di Rovereto, dove si intrecciano Via della Chiesa Sud e Via Garibaldi e dove è stato sistemato il gazebo che ha ospitato il Papa, è diventato il centro del mondo, della speranza, della certezza, luogo dal quale attingere per superare la prova.
Qui, dopo i saluti, i ringraziamenti del cardinale Carlo Caffarra, presidente della Conferenza episcopale dell’Emilia Romagna, e del presidente della Regione, Vasco Errani, le parole del Papa, che ha confermato nella fede, avvicinato il suo cuore a tutti i terremotati, orientato a Cristo, pietra che non si sfalda e non abbandona. “Nessuna crepa nei vostri cuori”, ha detto il Papa. Così, alcune delle persone da noi avvicinate hanno commentato le parole di Benedetto XVI:
R. – E’ stato un discorso molto, molto toccante. Ci sprona ad andare avanti, ci dà la forza di andare avanti.
R. – E poi è venuto in un Paese come il nostro…
D. – Non vi aspettavate la visita del Papa?
R. – No, ma ci dà coraggio, non ci sentiamo abbandonati.
R. – Sinceramente non pensavo mi emozionasse. Ero contrario sulla sua visita, ma penso che sia stata di conforto per molte persone. Ho cambiato idea anche io ora e sono molto contento di quello che è successo.
R. – Ci ha colpito un po’ tutto, perché noi siamo persone che siamo tornate adesso dal Malawi: siamo stati via con don Ivan. Mi ha preso il cuore sentir parlare di lui, più di tutto a colpirmi è stato il ringraziamento per quanto ha fatto don Ivan.
D. – Le posso chiedere cosa l’ha colpita di più del discorso del Papa?
R. – La citazione del Salmo che dice “Noi non temiamo se trema la terra”. L’ho sentita molto più vera: l’ho pregata tante volte quella parola lì, ma nel momento in cui vivi un tremore così istintivo hai bisogno di qualcuno che ti confermi che sei prezioso agli occhi di Dio, che non sei qui per caso, che c’è qualcosa che tiene oltre le prove. Per cui ho trovato più verità in questo momento e anche tanta attenzione da parte della gente, anche da parte di chi non crede. E’ stato un momento molto bello. E’ saltato fuori il cuore degli emiliani e questo il Papa lo ha sottolineato e ci ha incoraggiati in questo: a essere quello che siamo. Questo Papa per me rappresenta davvero tanto…
R. – Tra le parole di quel Salmo spiccano proprio le immagini della terra che trema, dei monti che crollano… Allora dici: mamma mia, non ci avevo mai pensato. Queste parole non mi colpivano, ora invece tanto di più. E oltre a questa espressione, mi colpiva anche il fatto di respingere le tentazioni che la paura porta con sé.
D. – Lei ha portato qui tutti i suoi bambini piccoli, perché?
R. – Perché volevo che sentissero il calore del Papa e che non avessero dubbi sulla presenza di Dio, cosa che in questo momento – a volte – può capire. Invece, volevo far sentire l’amore del Signore su di noi.
D. – Il Papa ha parlato di cuori che "non sono lesionati", al contrario delle case. Ha parlato del non cadere nella tentazione. Che cosa l’ha colpita di più?
R. – Il riferimento che il Papa ha fatto alla tentazione dello sconforto, che è esattamente il contrario della virtù cristiana della speranza. Personalmente, credo che l’intervento del Papa – almeno per quanto mi riguarda – ha rafforzato la mia fede a livello individuale e a livello collettivo la nostra speranza in un futuro migliore, anche nelle nostre vicende quotidiane.
D. – Anche lei ha portato qui la famiglia, perché questa scelta?
R. – Perché i bambini sono stati molto colpiti, in senso negativo ovviamente, dal terremoto. Ho voluto portarli qui intanto per incontrare la presenza del Santo Padre e per testimoniare, tramite questa presenza, il fatto che Dio comunque non ci abbandona mai, che l’amore di Dio ci segue comunque anche nei momenti più difficili della nostra vita individuale e collettiva.
La comunità provata, sofferente, ma viva, segno di una Chiesa che non cede ha dunque accolto il Papa che, a sua volta, si è stretto in preghiera con l’intera popolazione e ha ascoltato oltre 120 persone rispetto ai 50 previsti in rappresentanza di ogni zona terremotata, tra cui famiglie, vescovi, autorità, esponenti della Protezione Civile. Ha ricambiato l’amore ricevuto, tracciando percorsi di ricostruzione del cuore, dello spirito e Rovereto ha mostrato il volto della comunità, Chiesa viva, rinnovata nella fede. Istantanee visibili negli occhi di centinaia di persone.
Il rettore del seminario di Carpi: con il Papa la Chiesa si china sulle nostre necessità
◊ Su quale sia il valore della visita del Papa in Emilia, e in particolare della vicinanza della Chiesa ai terremotati, Massimiliano Menichetti ha raccolto la testimonianza di don Massimo Dotti, rettore del seminario diocesano di Carpi:
R. – Sta nel fatto che non siamo soli, nel fatto che nonostante tutte le inquietudini, le difficoltà e anche gli scenari non troppo ottimistici che abbiamo di fronte – perché in realtà non abbiamo tantissime risposte su come sarà la nostra città, come sarà la nostra chiesa, come saranno le nostre istituzioni – tuttavia la Chiesa si fa vicina a noi, il Papa ci viene incontro e l’affetto, il legame ecclesiale, è qualcosa di reale, di effettivo e di forte.
D. – Di fatto, cosa avete portato voi al Papa?
R. – Penso la voglia di andare oltre, di crescere anche dentro questa vicenda che ci è capitata in modo così improvviso e il desiderio di sentirsi legati alla Chiesa universale. Così come Gesù si avvicinava alle persone in difficoltà, il Papa ci viene incontro e vediamo un segno tangibile che l’appartenenza alla Chiesa è un qualcosa che si sente anche nei momenti di grande difficoltà.
D. – Voi qui come avete vissuto e come state vivendo questa emergenza?
R. – Noi abbiamo accolto in seminario diverse realtà diocesane che hanno bisogno, in questi giorni, di speranza, di forza, di voglia di rimettersi in gioco, specialmente i ragazzi, i giovani che più di tutti vogliono andare oltre questo momento così difficile.
D. – I sacerdoti come stanno vivendo, a fianco della popolazione, questo momento?
R. – I sacerdoti hanno dato un esempio di dedizione e di attaccamento alle loro comunità esemplare: i sacerdoti anche anziani – che erano legati alle loro chiese, che le tenevano proprio come dei gioiellini – si trovano ora senza niente. Ma sentono la loro missione e il loro ruolo è nel tenere unita la comunità. Adesso abbiamo bisogno che le nostre comunità rimangano unite e il sacerdote è chiaramente un punto di riferimento in tutti i sensi: da una chiacchierata alla vita sacramentale, all’annuncio della Parola, all’organizzazione delle attività estive, che non si sono fermate, come i centri estivi. Tutte quelle cose che sono abituati a fare, pur se con qualche difficoltà in più, stanno funzionando e si stanno attivando.
D. – Alcuni mi hanno detto che, in questa situazione drammatica, molti hanno riscoperto la vicinanza, la presenza della comunità…
R. – Effettivamente, vicino alle nostre comunità, le persone si sono strette. I nostri campi, i nostri oratori sono diventati improvvisamente e spontaneamente delle piccole tendopoli o delle grandi tendopoli. Le cucine delle parrocchie hanno cominciato a funzionare e hanno fatto da mangiare per giorni, quasi ininterrottamente. La gente istintivamente si è unita e si è unita in un posto simbolico che, anche nei paesi, è la chiesa, la parrocchia, il campetto parrocchiale: è simbolicamente, ma realmente è un po’ il centro di tutta la vita, anche civile.
Mons. Paglia neopresidente del dicastero della Famiglia: "E' al centro della nuova evangelizzazione"
◊ Mons. Vincenzo Paglia è stato nominato da Benedetto XVI presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia al posto del cardinale Ennio Antonelli. Mons. Paglia, finora vescovo di Terni-Narni-Amelia, è stato elevato alla dignità di arcivescovo. Ordinato sacerdote nel 1970, è stato parroco nella Basilica di Santa Maria in Trastevere e prefetto della terza prefettura di Roma. Ordinato vescovo nel 2000, dopo poco è stato nominato presidente della Federazione biblica cattolica internazionale e poi presidente della Commissione Ecumenismo e dialogo della Cei. È consigliere spirituale della Comunità di Sant’Egidio. Ed è inoltre postulatore della Causa di beatificazione dell'arcivescovo di San Salvador, Oscar Arnulfo Romero. All’annuncio della nomina a capo del dicastero sulla Famiglia, Fausta Speranza ha raggiunto telefonicamente mons. Vincenzo Paglia:
R. – Sì, non c’è dubbio che ancora una volta, come già altre volte nella mia vita, sono chiamato a nuove responsabilità. Cerco, come ho sempre cercato di fare, di rispondere con prontezza alla chiamata del Signore. Questa volta il Papa mi chiede di prendere l’incarico del Pontificio Consiglio che ha come tema la famiglia, con tutte le sue molteplici sfaccettature, e per me ha un significato il fatto che me lo chieda nel giorno nel quale Benedetto XVI è in visita alle famiglie dei terremotati in Emilia. E’ come dire che debbo seguire questo esempio: di stare su questa frontiera con la stessa passione con cui Benedetto XVI sta in questo giorno e da sempre. Penso anche a cosa è stata l’esperienza a Milano sulla frontiera della famiglia. E poi c’è gratitudine al Signore, un ringraziamento al Papa e una preghiera, perché questo ministero possa essere al servizio della Chiesa e delle famiglie.
D. – La famiglia, con il suo ruolo centrale nella società, è al centro anche della nuova evangelizzazione...
R. – Non c’è dubbio che l’insistenza che la famiglia torni ad essere al centro dell’educazione e anche dell’evangelizzazione è un tema che già è stato sottolineato in maniera straordinaria da Giovanni Paolo II, in particolare. Non posso dimenticare che proprio l’istituzione del Pontificio Consiglio della Famiglia sia stata fatta quattro giorni prima dell’attentato a Giovanni Paolo II: come quasi a firmarla con il sangue. E credo sia importante che tutti ne prendiamo coscienza, a partire anche dalle famiglie. Ed è ovvio che, in un tempo nel quale la famiglia naturale vive momenti difficilissimi, ci sia bisogno di una dimensione culturale da irrobustire, per far tornare la famiglia come voluta da Dio nel cuore della cultura, della società, della politica, della stessa economia. E questo è un impegno assolutamente straordinario. Poi, c’è la famiglia cristiana, quella irrobustita dal Sacramento, tanto che è in qualche modo segno e strumento della comunione fra tutti. In questo senso, c’è una responsabilità delle famiglie cristiane di fronte alla società contemporanea che assume una prospettiva davvero alta. Dobbiamo avere grandi ambizioni, grandi sogni sulla famiglia.
◊ Giornata importante per la Curia Romana che, oltre al dicastero della Famiglia, vede rinnovate molte cariche di primo piano. Benedetto XVI ha chiamato a ricoprire il ruolo di archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa l’arcivescovo Jean-Louis Bruguès, finora segretario della Congregazione per l'Educazione Cattolica. Inoltre, il Papa ha nominato vicepresidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei l’arcivescovo Joseph Augustine Di Noia, finora segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Quest’ultimo ruolo viene assunto, per volontà del Pontefice, da mons. Arthur Roche, finora vescovo di Leeds e ora elevato alla dignità di arcivescovo.
Benedetto XVI ha poi accolto la rinuncia presentata per raggiunti limiti di età dall’arcivescovo Piergiuseppe Vacchelli all'incarico di segretario aggiunto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli e di presidente delle Pontificie Opere Missionarie, chiamando a succedergli negli stessi incarichi il vescovo di Kigoma, Protase Rugambwa, ed elevandolo in pari tempo alla dignità di arcivescovo. Infine, Benedetto XVI ha accolto la rinuncia presentata per raggiunti limiti di età dal vescovo Gianfranco Girotti, all'incarico di reggente della Penitenzieria Apostolica e ha chiamato al suo posto mons. Krzysztof Józef Nykiel, finora officiale della Congregazione per la Dottrina della Fede.
In particolare, la nomina di mons. Di Noia è stata accompagnata da una nota della Congregazione per la Dottrina della Fede, nella quale si afferma come la scelta di destinare a tale ruolo una personalità di così alto profilo sia “segno di sollecitudine pastorale del Santo Padre per i cattolici tradizionalisti in comunione con la Santa Sede” e insieme del “suo forte desiderio di riconciliazione con le comunità tradizionaliste non unite alla Sede di Pietro”. La nota prosegue ricordando che la Pontificia Commissione Ecclesia Dei, guidata dal cardinale William J. Levada, è stata fondata nel 1988 dal Beato Giovanni Paolo II per facilitare la “piena comunione ecclesiale dei sacerdoti, seminaristi, comunità o singoli religiosi fino ad oggi in vario modo legati alla Fraternità fondata da mons. Lefebvre” e per promuovere la cura pastorale dei fedeli legati all'antica tradizione liturgica latina della Chiesa cattolica. Nel 2009, la Pontificia Commissione era strutturalmente collegata alla Congregazione per la Dottrina della Fede per affrontare le questioni dottrinali nel dialogo in corso tra la Santa Sede e la Fraternità Sacerdotale San Pio X.
“Come rispettato teologo domenicano – si legge ancora nella nota della Dottrina della Fede – l’arcivescovo Di Noia ha dedicato molta attenzione a questi temi dottrinali, nonché alla priorità dell’ermeneutica della continuità e della riforma nella giusta interpretazione del Concilio Vaticano II, un’area di importanza cruciale nel dialogo tra le Santa Sede e la Fraternità Sacerdotale”. Tale dialogo, si precisa, “è proseguito negli ultimi tre anni” sotto la guida del cardinale Levada, con l'assistenza di mons. Guido Pozzo, segretario della Pontificia Commissione.
La nota ricorda i passati incarichi di mons. Di Noia, in precedenza segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. In tale dicastero, si rammenta, il presule – assieme al cardinale prefetto Antonio Canizares” – ha “supervisionato la riorganizzazione del dicastero e la preparazione di un nuovo Regolamento seguendo le indicazioni di Papa Motu Proprio di Benedetto XVI del 30 agosto 2011, Quaerit Semper. L’esperienza di mons. Di Noia e il continuo legame con la Congregazione per il Culto Divino faciliteranno lo sviluppo di alcune desiderate disposizioni liturgiche nella celebrazione del Missale Romanum del 1962”. Inoltre, conclude la nota, “il rispetto ampio che l'arcivescovo Di Noia gode nella comunità ebraica aiuterà a risolvere alcuni problemi sorti in materia di relazioni cattolico-ebraiche, allo steso modo in cui è progredito il cammino verso la riconciliazione delle comunità tradizionaliste”.
Uomo, ambiente e agricoltura al Congresso internazionale sulla vita rurale
◊ Con il discorso del cardinale Peter Turkson alla Fao è cominciato, ieri, il quarto Congresso mondiale sulla vita rurale, organizzato dal Pontificio Consiglio "Giustizia e Pace" con la collaborazione dell’Icra, l’organizzazione di ong cattoliche dedicate all’agricoltura. Il tema degli incontri di questa edizione è “evoluzioni e problemi del mondo rurale davanti alle sfide della globalizzazione". Il servizio di Michele Raviart:
Giovanni Paolo II si rivolse agli agricoltori, nel 1993, come a degli uomini privilegiati, che avevano la fortuna di “sentire, dentro la vita che sboccia, il mistero perenne della creazione”. E il rapporto tra uomo, terra e divino è stato uno dei cardini della Dottrina sociale della Chiesa in tutto il Novecento. A partire dall’Enciclica di Giovanni XXIII, “Mater et Magistra” del 1962, dopo la quale venne convocato il primo incontro dei cattolici sulla vita rurale, fino alla “Caritas in veritate” di Benedetto XVI. Mons. Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio "Giustizia e Pace":
“Il ruolo dell’agricoltura oggi è sempre fondamentale per il Magistero della Dottrina sociale della Chiesa, perché ricorda come il settore agricolo non sia un settore che deve rimanere perennemente emarginato o depresso, ma sia un settore fondamentale assieme agli altri nella realizzazione del bene comune nazionale e mondiale”.
Al centro di tutto c’è la relazione d’amore dell’uomo con Dio, con gli altri e con il Creato. In questo senso l’uomo deve svilupparsi integralmente con l’ambiente, che non può essere ridotto ad una mera risorsa da sfruttare. Don Franco Appi, docente di morale sociale e assistente ecclesiastico dell’Icra:
“Ho sempre difficoltà a considerare l’ambiente come una cornice all’interno della quale ci troviamo, perché noi stessi in qualche misura siamo ambiente. Se invece di usare il termine ‘ambiente’ usiamo il termine ‘natura’ noi comprendiamo come noi stessi siamo natura e questo ci fa capire cosa vuol dire ‘ecologia umana’, che è un’espressione utilizzata ampiamente da Giovanni Paolo II. Il che significa che il rispetto della vita dell’uomo è uguale al rispetto della vita dell’ambiente, della vita della natura. Una delle affermazioni nella "Caritas in veritate" è che noi come trattiamo l’ambiente così trattiamo l’uomo”.
In questo tempo in cui la finanza ha spesso superato ogni barriera etica, ecco che appare necessario riportare l’uomo al centro dell’economia, anche in agricoltura e specialmente nei Paesi più poveri, dove difficoltà nei campi e fame vanno di pari passo. La riflessione di Flaminia Giovanelli, sotto-segretario di “Giustizia e Pace”:
“Abbiamo sentito, anche ieri, alla Fao che i problemi della fame e della povertà sono ancora molto gravi e, soprattutto, che i poveri sono i poveri del mondo rurale. Paradossalmente, i popoli che patiscono la fame sono proprio i popoli in cui il maggior numero di abitanti sono contadini”.
Ed è in questi Paesi che si impegnano le Ong cattoliche che si occupano di agricoltura, riunite sotto l’ègida dell’Icra, con finanziamenti di microcredito e progetti di sviluppo rurale, come la creazione di pozzi d’acqua. Vincenzo Conso, segretario dell’Icra:
“L’obiettivo è essenzialmente quello di fare memoria del congresso del 1962 e nello stesso tempo rilanciare dopo la Caritas in veritate, l’impegno complessivo dell’organizzazione e delle organizzazioni che compongono l’Icra. Abbiamo 62 organizzazioni in quattro continenti, solo in Oceania non siamo presenti. Associamo circa 7 milioni di persone soprattutto nei Paesi in via di sviluppo”.
Tra gli obiettivi che il congresso si propone di realizzare, la creazione di un osservatorio sulla distribuzione del cibo nel pianeta, nell’ottica della sicurezza alimentare e dell’autosostentamento e il rafforzamento della società civile in Africa.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Ho visto che la vita ricomincia: Benedetto XVI tra le popolazioni terremotate dell'Emilia.
Al servizio della vita umana: nell'informazione internazionale, intervento della Santa Sede alla conferenza Onu sullo sviluppo sostenibile.
Testimoni di fedeltà. Il 27 giugno di 35 anni fa l'arcivescovo Joseph Ratzinger veniva creato cardinale da Papa Paolo VI: in cultura, il discorso tenuto dal Pontefice nell'Aula delle udienze durante il concistoro pubblico e l'omelia pronunciata, due giorni dopo, solennità dei Santi Pietro e Paolo, nella Messa concelebrata con i neo cardinali.
Come dire il nuovo in teologia: il cardinale Giacomo Biffi recensisce il volume di Inos Biffi "Per ritrovare il mistero smarrito".
Un diplomatico che mente non raggiunge il suo scopo: il cardinale Jean-Louis Tauran sul servizio alla verità e alla pace dopo la seconda guerra mondiale.
Dal 28 giugno al 14 ottobre "il Munch che non ti aspetti" alla Tate Modern di Londra.
Un messaggio per contesti globali: nell'informazione religiosa, l'incontro dei segretari generali degli episcopati d'Europa sulla nuova evangelizzazione.
Novità nel rito dei Palli: nell'informazione vaticana, sulla Messa dei santi Pietro e Paolo, intervista di Gianluca Biccini a monsignor Guido Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice.
Ue, Merkel e Van Rompuy distanti sulla necessità degli Eurobond
◊ Incontro tra i ministri delle finanze di Francia, Germania, Italia e Spagna oggi a Parigi per preparare attivamente il Consiglio Europeo di giovedì prossimo, da cui potrebbe uscire il nuovo profilo economico dell’Unione; numerosi ed importantissimi, infatti, i temi in agenda, tra i quali l’unione bancaria e di bilancio. Un vertice sul quale non mancano anticipazioni, come quella apparsa oggi sul Financial Times, che parla di una possibile stretta sugli Stati "non virtuosi". L’Europa potrebbe riscrivere, infatti, le Finanziarie dei Paesi dell'Eurozona che in futuro violeranno le regole su deficit e debito pubblico. Salvatore Sabatino ha chiesto a Gianfranco Viesti, docente di Economia Applicata presso l’Università di Bari, se questa proposta può rientrare nell'ambito del piano di trasformazione dell’area Euro in unione fiscale:
R. – Può rientrare come passo numero due. Il passo numero uno che serve all’Europa è una soluzione definitiva della crisi delle finanze pubbliche e dell’indebitamento degli Stati membri: abbiamo bisogno di un intervento forte che dia garanzia illimitata sul fatto che nessuno uscirà dall’Euro e nessuno Stato fallirà. E’ evidente che il contraltare di questo, al punto due, deve essere il fatto che tutti gli Stati assumano degli impegni ancora più forti nei confronti dell’Unione.
D. – Per quanto riguarda invece l’unione bancaria, come si può creare un meccanismo di messa in sicurezza del sistema bancario?
R. – Questo è uno dei punti meno forti politicamente, nel senso che a vantaggio di tutti, la circostanza che rimanga un’Europa bancaria con capitali che circolano e che le banche non abbiano problemi di rischi di fallimento per tutti quanti, comporta una cessione di sovranità alle autorità comunitarie, alla Banca Centrale Europea, sulla quale ci sia una certa disponibilità da parte degli Stati membri. Ma questo è un passo accessorio al passo cruciale sulle finanze pubbliche...
D. – Il presidente del Consiglio europeo, Van Rompuy, ha pubblicato un rapporto nel quale sottolinea che bisogna esplorare la prospettiva degli Eurobond nel medio termine. Come si può conciliare la sua posizione con quella nettamente contraria della Merkel?
R. – Non si concilia. Siamo ormai da due anni almeno in questa situazione, ma i rischi di questa situazione diventano sempre più forti, per cui c’è bisogno che la pressione comune di tutti gli Stati membri, a cominciare dall’Italia, sul governo tedesco sia più forte, perché i tedeschi chiedano le garanzie che ritengono necessarie, ma aprano il passo ad una soluzione del genere.
D. – Anche perché se non s’interviene, è in pericolo anche la Germania...
R. – Siamo in pericolo tutti. Stiamo veramente giocando con il fuoco da molti mesi e rischiamo trasformazioni inimmaginabili e tutte fortemente negative per le imprese, per i cittadini, per le banche. E’ il momento che la classe dirigente europea prenda delle decisioni all’altezza di queste sfide.
D. – C’è da segnalare infine anche un allarme dell’Ocse, in vista proprio del Consiglio europeo dei prossimi giorni: se non arrivassero dal vertice risposte forti, si legge in un documento, ci potrebbero essere fenomeni di contagio per Italia e Spagna. A quel punto le cose si complicherebbero ulteriormente...
R. – Questo è un rischio che corriamo da mesi e non a caso lo stesso Fondo monetario, l’Ocse, il governo americano, stanno pressando molto, perché è un effetto a catena quello che si rischia e come in tutte le reazioni a catena si sa da dove cominciano – anche da un Paese marginale come la Grecia o da una banca relativamente marginale come Merrill Lynch nel 2008 – e non si sa poi dove vanno a finire. Quindi, tutti i nostri partner internazionali sono sulla linea che occorra una soluzione forte e definitiva a questa questione dalla quale ricominciare a costruire. E’ questo il vero nodo del Consiglio. Siamo tutti un po’ scettici che ce la si possa fare, e purtroppo ogni "bricolage" in questo momento, è insufficiente rispetto alla necessità di dare un segnale diverso ai mercati internazionali.
Egitto. Fratelli musulmani lavorano alla nascita del governo
◊ In Egitto, il neoeletto presidente, Mohammed Morsi dei Fratelli Musulmani, ha avviato le consultazioni per la formazione del governo. Ieri, un’intervista attribuita dall’agenzia iraniana Fars a Morsi, e smentita dal Cairo, aveva sollevato il punto di una possibile revisione degli accordi di pace tra Egitto e Israele e di un avvicinamento a Teheran. Sulla situazione politica egiziana, Davide Maggiore ha sentito l’opinione di Mario Maiolini, esperto di Medio Oriente e già ambasciatore italiano a Riad:
R. – Non solo la pressione dei militari, ma l’importanza dell’aiuto e delle simpatie del mondo occidentale per gli investimenti e per il futuro economico del Paese spingono il nuovo sistema egiziano ad un comportamento rispettoso degli accordi internazionali. Credo che i rapporti con Israele per ora rimarranno piùo meno quelli che si sono delineati da ultimo, ma tutto dipende dal come si evolverà la situazione interna in Egitto. Le difficoltà interne - e di difficoltà il nuovo governo, il nuovo presidente, ne avrà soprattutto nel settore economico - portano indubbiamente a scaricare sull’esterno certe tensioni interne.
D. – Come cambia lo scenario mediorientale con un Egitto guidato dai Fratelli musulmani?
R. – Lo scenario mediorientale senz’altro è destinato a cambiare, soprattutto data l’influenza che l’Egitto esercita su tutta la cultura e la politica del mondo arabo. Quanto è avvenuto in Egitto è destinato a dare un impulso a tutti i movimenti che cercano di portare di più l’attenzione del mondo politico sulla necessità di rispondere alle esigenze delle società. In questo senso il corso politico che gli Stati Uniti hanno adottato da tempo, con il discorso programmatico di Obama e col discorso del Cairo, sembra essere quello più in sintonia con questi mutamenti.
D. - A livello interno, come è stato detto, una delle sfide per i Fratelli musulmani è quella di ottenere attraverso la presidenza ciò che non hanno realizzato con la vecchia maggioranza parlamentare. Ma ne hanno realmente la possibilità e il potere in questo momento?
R. – Per ora, indubbiamente, è positivo che la maggioranza - una maggioranza in un certo senso relativa, perché è stato alto il tasso di astensione - abbia potuto esprimere il suo presidente. Comunque, è positiva questa apertura di al-Morsi alle altre forze politiche, a cominciare dalle minoranze religiose e dalle varie istanze laiche che non hanno trovato molta voce nelle elezioni e soprattutto nel ballottaggio. Al-Morsi ha l’appoggio di un’opinione pubblica che vuole cambiamento e giustizia sociale. Quindi, i militari per ora stanno a guardare cosa si può fare per contemperare il nuovo al vecchio.
D . - Ma l’appoggio dei Fratelli musulmani al cosiddetto movimento di piazza Tahrir è effettivo o solo momentaneo e strumentale?
R. – Io penso che i fratelli musulmani stanno dimostrando una grandissima flessibilità e senso pratico, senso pratico che viene dalle difficoltà dell’Egitto. Devono tenere conto che esistono minoranze religiose e che gli accordi internazionali devono essere rispettati; altrimenti significherebbe non più investimenti, non più i prestiti dalla Banca mondiale, dal Fondo monetario, e soprattutto i grandi aiuti che vengono all’Egitto e alle forze armate egiziane dagli Stati Uniti.
Giornata di lotta alla droga. Italia, cresce l'allarme del mix di stupefacenti
◊ In Italia un milione di persone assume cocaina, oltre 300 mila di queste ne fa un consumo ripetuto e periodico; l’eroina ha tra i 200 e i 250 mila consumatori; le droghe sintetiche, come ad esempio l’ecstasy, sono consumate da circa 300 mila persone, mentre la cannabis viene fumata dal 30% dei minori di 19 anni e dal 50% di giovani al di sotto dei 25. Sono le cifre dell’attuale utilizzo di stupefacenti nella penisola, in attesa che, in occasione della Giornata mondiale dedicata alla lotta alla droga, le Nazioni Unite diffondano oggi il loro annuale rapporto sulla situazione in tutti i Paesi. Francesca Sabatinelli ha intervistato Riccardo De Facci, vice presidente del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza, con delega alle tossicodipendenze:
R. - Per certi aspetti dobbiamo ringraziare la crisi. E’ una battuta, ovviamente, per dire che i consumi di cocaina e di altre sostanze “non classiche” - perché verrebbero chiamate ‘nuove droghe’ ma nuove non lo sono ormai da anni - sono abbastanza in crisi e questo è leagto alla crisi del sistema economico: ci sono meno soldi e quindi c’è una certa calmierazione dopo un decennio in cui abbiamo avuto un’esplosione dell’uso di cocaina. Però abbiamo un dato importante: purtroppo questi 10 anni ci restituiscono stili di vita, non più solo giovanili, in cui il consumo di sostanze varie tra di loro sta diventando la norma. Un esempio: ormai sempre di più noi diciamo che purtroppo non esiste contesto giovanile dove non esiste una sostanza addizionale. Noi addirittura parliamo di ‘cocaine’ usate in parte per il divertimento, ma anche per le prestazionalità di alcuni lavori, per reggere alcuni ritmi, sempre di più, in altri contesti, troviamo le ketamine, le nuove sostanze sempre più costruite, quasi disegnate chimicamente sui bisogni delle persone. Ecstasy, metanfetamine, nuove anfetamine, alla fine queste sostanze rispondono a due grandi bisogni: il bisogno di relazione degli adolescenti e il bisogno di sentirsi forti e adeguati a qualsiasi prova. Sono chimicamente costruite, per cui la forte preoccupazione che abbiamo è che sempre di più il mondo dell’illegalità sta costruendo sostanze chimiche per rispondere ai bisogni sempre nuovi del mondo giovanile soprattutto.
D. - Tutto questo sta sostituendo il consumo dell’eroina che negli ultimi anni era decisamente in calo o anche quella sta riavendo un’impennata?
R. - Abbiamo una sorta di cronicità dell’eroina: stiamo parlando di circa 150 mila persone ancora in Italia con dipendenza grave da eroina, sono però sempre più fasce di marginalità. L’elemento preoccupante è che l’eroina insieme ad altre sostanze sta ritornando ad essere una delle tante usate anche da alcuni gruppi giovanili. Attualmente i giovani hanno imparato a usare cocaina ed eroina insieme per due effetti: l’eroina per dare una percezione di calma interna, di autosedazione rispetto all’ansia del vivere, e poi la cocaina per sentirsi forti e adeguati al ritmo. Quindi, tendenze che molto spesso non sono più uniformi, c’è moltissima sperimentazione.
D. – I decessi per overdose negli anni sono diminuiti, ma oggi ve ne sono di altri sempre legati alla droga…
R. – Passato l’allarme morti per overdose e per HIV degli anni ’90, 2000-2001, abbiamo attualmente due nuove tendenze sulle quali bisognerà lavorare molto. C’è una modalità di consumo di sostanze varie tra di loro che sta iniziando a provocare tutta una serie di incidenti di persone che guidano sotto effetto di sostanze psicoattive. Inoltre, incominciano a esserci delle morti che più che ad una sostanza sono legate molto spesso a un mix di sostanze diverse. Le morti sono in diminuzione rispetto a un diretto consumo della sostanza, ma sono in aumento per effetti collaterali complementari a questo consumo mixato.
Le vittime della tortura e l'esperienza cristiana di Acat
◊ Cercare Gesù nel corpo sofferente di chi, come lui, in tantissime parti del mondo ancora oggi subisce la tortura, ogni forma di vessazione, la condanna a morte. È questa la via intrapresa da Acat, "Azione dei Cristiani per l’Abolizione della Tortura", un’Associazione ecumenica nata negli anni ‘70 in Francia con una sua attivissima branca in Italia. Spiritualità e politica, lotta per i diritti umani e preghiera sono i punti cardinali del suo impegno. Massimo Corti, uno dei suoi dirigenti, spiega a Luca Attanasio storia e attività dell'organismo:
R. – Acat vuol dire azione dei cristiani per l’abolizione della tortura. E' un’"azione": noi vogliamo muoverci ed agire. E’ nata in Francia nel 1974 dopo che la conferenza del pastore valdese Tullio Vinay emozionò tanto due persone che dissero: noi non possiamo essere cristiani e far finta di nulla. Acat è nata per sensibilizzare le Chiese cristiane, ecumenicamente: non possono tacere davanti al fenomeno della tortura e della pena di morte. E’ nata per questo scopo, è nata per agire direttamente nei Paesi e nei posti dove la tortura viene purtroppo ancora praticata. In Italia, Acat è nata nel 1983. Poi è nata la federazione internazionale dell’Acat, che rappresenta 15 Acat africane e più di 15 Acat in Europa, in Asia e in America.
D. – Tutto ruota attorno alla figura del Cristo perseguitato, torturato e condannato a morte…
R. – Noi di Acat, tra le tante azioni che facciamo, preghiamo perché pregare è una delle azioni principali. Una delle sessioni di preghiera che abbiamo fatto era intitolata: “Discepoli di un torturato e felici di esserlo”, perché Gesù è stato per noi l’esempio della condanna alla tortura e alla pena di morte che ci fa forti per lottare contro questi fenomeni.
D. – Cosa fate durante l’anno e per la Giornata del 26 giugno?
R. - Durante l’anno, facciamo tutte le attività che fanno le associazioni per i diritti umani. Mandiamo lettere, facciamo petizioni stiamo facendo una petizione all’Onu per una moratoria sulla pena di morte. Ogni mese scegliamo due casi per i quali tutti i nostri iscritti e i nostri amici inviano lettere. Il 26 giugno è la Giornata mondiale per le vittime della tortura, in questa occasione le Acat di tutto il mondo pregano. La Nuit de veilleurs è un sito a cui ci si può iscrivere: si sceglie un periodo, un turno, e si prega a turni per tutta la notte per le vittime della tortura. Venite a trovarci sul nostro sito, si sono notizie interessanti e potete partecipare anche voi alla nostra azione.
Sempre più alto il rischio usura in Italia: nel mirino disoccupati e oltre 1 mln di famiglie
◊ Disoccupazione giovanile e indebitamento delle famiglie, ma anche bilanci economici in deficit degli enti locali e il gioco d’azzardo: sono le cause all’origine del massiccio ricorso all’usura in Italia. L’allarme arriva dalla Consulta Nazionale Antiusura che oggi a Roma ha presentato una ricerca comparativa sulle regioni italiane. Una piaga diffusa da nord a sud, anche se difficilmente misurabile, visto che i singoli a differenza di imprenditori e negozianti non denunciano mai i loro usurai, perché non tutelati dalla legge. Domani i partecipanti all’assemblea saranno presenti all'Udienza generale del Papa. Cecilia Seppia ha intervistato mons. Alberto D'Urso segretario generale della Consulta
R. – I dati della ricerca si riferiscono soprattutto al Mezzogiorno, dove gli aumenti di situazioni “redditorie” in deficit sono notevolissimi. C’è un aumento di 133 mila unità rispetto al 2010 degli inattivi, cioè di soggetti che non cercano un impiego, ma sono disponibili a lavorare, e sono in aumento i sottoccupati part-time. Si pensi poi alla situazione giovanile, dove gli occupati a tempo determinato sono cresciuti del 48%. E si pensi all’età in cui si esce oggi dalla famiglia, che si è spostata notevolmente. Basta pensare a questi dati, per rendersi conto di uno scenario che è davvero preoccupante.
D. – Un male sommerso quello dell’usura, ma molto diffuso in Italia. La maggior parte delle denunce presentate alle autorità giudiziarie arriva dal Mezzogiorno, però non danno una misura attendibile, reale di questo problema...
R. – Purtroppo l’usura è presente su tutto il territorio italiano. Il discorso delle denunce è un discorso legato alle persone coraggiose, soprattutto per quanto riguarda la famiglia, perché se un ritorno c’è per gli imprenditori, per gli artigiani, è perché si può ricorrere all’art. 14 della legge 10896. Per le famiglie invece questo diritto non è previsto, anche se è incostituzionale. Tra le cose che stiamo chiedendo al governo è che possa esserci questo ristoro anche per le famiglie. E’ inutile pretendere che le famiglie facciano la denuncia, quando queste poi non hanno lacrime per piangere e non possono pagarsi un avvocato che porti avanti la loro causa.
D. – Lei conferma anche dai dati del 2011 che le famiglie sono il bersaglio, le vittime più facili dell’usura, ma quali sono le cause?
R. – Attualmente, la causa principale è la disoccupazione, la perdita del lavoro e non c’è un’educazione ad uno stile di vita più sobrio. Penso, uno per tutti, all’incentivazione che si ha all’azzardo, che ha coinvolto lo scorso anno non meno di 15 milioni di italiani, per un fatturato di oltre 80 miliardi di lire. Stiamo aspettando una legge che condanni la pubblicità ingannevole, una legge che dia più potere ai sindaci, perché questi luoghi di divertimento, di azzardo stiano lontani dalle scuole, dai mercati, dalle chiese. E stiamo insistendo perché ci sia anche una maggiore attenzione verso i minori, che non dovrebbero poter entrare in questi locali, dove invece sono presentissimi.
D. – Bisogno di norme, di leggi, ma come si combatte l’usura e soprattutto cosa ha fatto la Consulta per arginare questo fenomeno?
R. – La Consulta sta agendo con tutte le fondazioni, educando e percorrendo la strada della prevenzione. Anche qui solidarietà, educazione alla legalità e poi tutoraggio e accompagnamento delle vittime dell’usura, perché non ricadano, con una vita non educata, negli stessi sbagli. Poi ci sono dei fatti oggettivi, perché il pane bisogna pur comprarlo e tra le altre assurdità vi sono più tasse sul pane che non sul gioco d’azzardo.
D. – Ecco, lei dice, dunque, che bisognerebbe attivare un circolo virtuoso per combattere questo male, a partire proprio dalle autorità. Quindi c’è un appello che vorreste fare?
R. – C’è un appello di carattere sociale alle autorità, perché le cause possano essere limitate. Non basta fare una legge sull’usura, bisogna anche fare leggi sulle cause che promuovono l’usura ed eliminarle. Poi c’è un appello alle agenzie educative, a cominciare dalla Chiesa, perché davvero la gente abbia uno stile di vita più sobrio.
D. – Domani i convegnisti saranno all'Udienza generale del Papa, un segno veramente molto bello...
R. – Ci saranno anche tante vittime con noi, che abbiamo aiutato. Una parola di conforto dal Papa è davvero utile.
La poesia del quotidiano. Presentato il libro "Le stesse parole" di Antonella Palermo
◊ “Le stesse parole”: si intitola così il libro di Antonella Palermo, che verrà presentato questa sera a Roma, alla Casa delle Letterature, da Elio Pecora e Alberto Toni, con la presenza dell’autrice. E’ una raccolta di poesie per le Edizioni Lieto Colle con la prefazione di Davide Rondoni ed è la prima opera pubblicata dalla Palermo, giornalista della nostra emittente. Rosario Tronnolone l’ha intervistata chiedendole prima di tutto in che modo si sia avvicinata alla scrittura:
R. – Per me, la scrittura, a un certo punto, è diventata sempre di più un’urgenza, una necessità. Non con quella consapevolezza chiara, almeno all’origine, di volermi esporre. E’ stato un accostamento, sì, progressivo. Ho iniziato prima sotto forma di brevissimi racconti, che ancora conservo nel cassetto. Poi, piano piano, mi sono resa conto che probabilmente la mia vocazione era quella del verso. E infatti ho capito che mi era molto più congeniale, progressivamente, asciugare questa scrittura e quindi – come si suol dire – lavorare per sottrazione. Tant’è che alla fine – io stessa – constatato che il verso è molto essenziale.
D. – Spesso, nelle tue poesie quello di cui parli è una interiorità - perché la si percepisce perfettamente - ma come incarnata in oggetti reali, come se il sentimento non fosse descritto da parole astratte, ma venisse suggerito con una immagine reale, con una immagine quotidiana…
R. – Esatto, ed è quello che il poeta Davide Rondoni - che mi ha voluto veramente regalare questa pagina di prefazione - ha messo in evidenza, proprio questo tratto, che poi probabilmente è il segreto della scrittura capace di visione a partire dalla vita quotidiana, forse anche quella più banale, più sottovalutata, fatta di piatti che si lavano, di panni stesi al sole, di ascolto delle campane che suonano… Ecco, a partire da questo tipo di visione, poi la poesia, laddove c’è, è capace di elevarsi e sì di manifestare sentimenti che si spera possano essere universali e quindi lì – si auspica – che ci si possa ritrovare.
D. – Volevo leggere, o meglio farti leggere, i versi che in assoluto io amo di più di questa tua raccolta e che è la poesia “Fatica”…
R. – Sono tre versi: “Mi tiro a lucido il sorriso, stendo l’anima ad asciugare, ma il sole fa fatica, come me”. Credo di averli appuntati mentre ero in autobus, perché poi la poesia arriva anche quando e dove meno te l’aspetti. C’era in me molta fatica: la fatica del quotidiano, la fatica della solitudine, la fatica di dover affrontare nuove giornate, magari sempre uguali, con quegli stessi sentimenti che ti tirano giù, che poi è la fatica anche a farsi avvicinare dalle persone…
D. – Questo libro, però, è la dimostrazione che esiste la possibilità di questo contatto: una mano tesa c’è e quindi anche la tua copertina così serena, così speranzosa…
R. – E’ la sagoma di una bambina, vista di spalle… potrei essere io, con il sole, che è legato con un filo al collo di questa persona…
D. – ...come fosse un palloncino…
R. – Vorrei prendere in prestito delle parole che una persona a cui parlavo un po’ di questo libro e del suo titolo – “Le stesse parole” – mi ha detto: le stesse parole può indicare una ripetitività senza speranza o, invece, una essenzialità che consente di resistere in qualsiasi circostanza. Mi sembra che abbia letto bene.
Nigeria: appello dei vescovi contro il terrorismo
◊ “È un compito primario del governo garantire la sicurezza della vita e delle proprietà dei cittadini di tutta la nazione. Non ci sono scuse per non adempiere a questo compito primario”. È l’ammonimento lanciato dai vescovi della Nigeria alle autorità civili e militari perché agiscano con decisione per fermare l’ondata di violenza scatenata in diverse aree del Paese dalla setta Boko Haram. Nel comunicato della Conferenza episcopale della Nigeria, inviato all’agenzia Fides, si ricordano le vittime dei recenti attentati commessi da Boko Haram: “le persone che sono morte nelle esplosioni delle bombe e negli attacchi di rappresaglia sono tutti figli innocenti di Dio, uomini, donne e bambini, cristiani e musulmani, di tribù differenti, tutti nigeriani, tutti egualmente creati e amati da Dio”. Tra gli obiettivi colpiti vi sono diverse chiese cristiane e i vescovi sottolineano: “ci sia o meno una strategia, queste azioni sottopongono ad una forte pressione i già fragili rapporti tra le comunità cristiane e musulmane della Nigeria. I sentimenti di rabbia ed odio stanno crescendo giorno per giorno e hanno raggiunto un livello pericoloso. Dobbiamo tutti agire subito e con decisione per fermare e disinnescare la tensione”. I vescovi, dal canto loro, si impegnano a predicare la pace e la riconciliazione, sforzandosi di placare gli animi, ma avvertono che senza garanzie di sicurezza, le loro prediche rischiano di “cadere su orecchi sordi, e coloro che cercano la rappresaglia come forma di deterrenza non saranno controllabili. C’è un pericolo palpabile nell’aria”. Riferendosi alla comunità islamica, i vescovi affermano: “notiamo con soddisfazione che molti dei leader riconosciuti musulmani hanno chiaramente condannato queste azioni violente e criminali. Ma la condanna verbale non è sufficiente. C'è bisogno di un'azione concreta e pro-attiva per far desistere i responsabili delle violenza da continuare a provocare il caos nella nostra nazione in nome della religione”. (R.P.)
Nigeria: banchi vuoti nella chiesa di Damaturu dopo gli attentati di Boko Haram
◊ “Tre su quattro sono andati via” dice all'agenzia Misna padre James John, raccontando della messa domenicale nella “chiesa piccola” con “tanti banchi vuoti”. Damaturu, diocesi di Maiduguri, nord-est della Nigeria: molti igbo, originari del sud petrolifero e cristiano, sono andati via per paura degli attentati di Boko Haram. Per avere un’idea delle sofferenze di questa piccola comunità, minoritaria ma essenziale nel tessuto sociale della diocesi, basta affacciarsi nella chiesa di Santa Maria. Non l’edificio vecchio, dove fino a novembre ogni domenica si celebravano due messe, ma quello piccolo che gli sta accanto. È qui che i fedeli rimasti si incontrano per condividere le ansie e rinnovare la fede. “Domenica – sottolinea padre James – eravamo davvero in pochi: per il gasolio del generatore e le altre spese necessarie alla comunità abbiamo raccolto solo 6000 naira e non i 30.000 che tempo fa erano la normalità”. La domenica non si celebrano più due messe ma solo una e con tanta paura. “Negli ultimi mesi – spiega padre James – sono partite circa i tre quarti delle famiglie igbo, l’etnia di gran lunga maggioritaria se si considera la comunità cristiana”. A spingerle a partire sono gli agguati rivendicati sempre più di frequente da Boko Haram, un gruppo che sostiene di battersi per l’applicazione della legge islamica in tutta la Nigeria. L’emergenza è cominciata nel 2009 nella città di Maiduguru, a est di Damaturu, quando anche a causa della repressione dell’esercito si contarono 900 vittime. Padre James ricorda bene quei fatti, perché è nato e cresciuto in questa diocesi. Dice che se il governo nigeriano non si deciderà a intervenire “crollerà tutto”. Poche ore prima che ieri nella chiesa piccola di Santa Maria cominciasse la messa l’assalto di un commando di Boko Haram alla prigione della città ha consentito la fuga di una quarantina di detenuti. Il parroco sospira. Non ha bisogno di leggere l’articolo pubblicato dal quotidiano This Day in prima pagina: “Ieri a causa delle minacce di nuovi attentati molti cristiani non si sono recati in chiesa nelle regioni settentrionali del paese, in particolare a Kaduna, Kano e Jos”. (R.P.)
Iraq: aperti due luoghi di culto, segno di speranza per i cristiani
◊ I cristiani in Iraq continuano ad essere una presenza viva. Come espressione della volontà di non abbandonare il Paese nonostante i pericoli è stata aperta a Kirkuk una piccola cappella attigua alla sede dell’arcivescovado, dedicata ai martiri cristiani dell’Iraq del post 2003. È stata riaperta a Sulemaniya, inoltre, la chiesa della Vergine Maria, che l’arcivescovo di Kirkuk, mons. Loius Sako, ha definito, durante la celebrazione di apertura, come “luogo di pellegrinaggio ed accoglienza per i gruppi religiosi e per i giovani che vogliono pregare e dare un senso alla loro vita”. Il blog Baghdadhope riferisce che questo Centro di culto diventerà un punto di riferimento per l’apertura di una casa come quella fondata da padre Paolo Dall’Oglio in Siria, luogo di fede e di dialogo interreligioso. Il gesuita, infatti, continua la sua opera nel Kurdistan iracheno dopo essere stato espulso dal territorio siriano. Mons. Sako ha espresso sentimenti di gioia per la presenza di padre Dall’Oglio nel Paese, definendolo come uomo di coraggio, speranza e fede. “A padre Dall’Oglio ho ricordato – ha proseguito l’arcivescovo – che se gli uomini gli hanno chiuso una porta il Signore gliene ha aperta un’altra”. Mons. Sako ha poi riferito di alcuni incontri avuti con il Console Generale americano di stanza ad Erbil e con la moglie del presidente iracheno, Hero Talabani, durante i quali sono stati affrontati i temi relativi ai problemi dei rifugiati, degli alloggi, dell’istruzione e del lavoro. (A.C.)
Usa: cautela dei vescovi dopo la decisione della Corte suprema sull'immigrazione
◊ Un passo in avanti verso una riforma umana dell'immigrazione ma da considerarsi con cautela, perché manca ancora un sistema migratorio giusto: è il senso della nota pubblicata dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti d’America, giunta all'agenzia Fides, circa la decisione della Corte Suprema del 25 giugno che ha respinto alcune delle disposizioni contenute nella legge sull'immigrazione in Arizona. In particolare quelle che avrebbero permesso gli arresti senza mandato di persone sospettate di un reato che preveda l’espulsione, che avrebbero configurato come un crimine la ricerca di lavoro nello stato, che avrebbero fatto diventare la presenza dei senza-documenti un crimine di stato, lasciando tuttavia in vigore il controllo totale delle autorità sui migranti. I vescovi hanno trovato motivo di speranza nella decisione (Arizona contro Stati Uniti) in quanto ritengono che essa rifletta il loro appello per avere leggi umane e giuste sull'immigrazione, e la loro preoccupazione perché questo tipo di leggi potrebbero dividere le famiglie. La cautela sta nel fatto che potrebbe essere aggiunta una nuova disposizione, secondo cui gli immigrati dovrebbero portare sempre con sé i documenti. La nota firmata dall'arcivescovo di Los Angeles, mons. José H. Gomez, presidente della Commissione per le Migrazioni della Conferenza episcopale, afferma che "la decisione della Corte Suprema di non accettare tutte le disposizioni dell’Arizona, conferma il forte ruolo del governo federale in materia di immigrazione"; allo stesso tempo chiede al Congresso di prendere provvedimenti per attuare una riforma urgente della legge. Il testo ricorda anche che la Chiesa cattolica negli Stati Uniti continuerà a lottare per una "riforma del sistema migratorio nazionale che sia umana e giusta". "La Chiesa continuerà a stare al fianco dei migranti e delle loro famiglie, cercando sempre la giustizia" conclude l'arcivescovo Gomez. (R.P.)
India: nel Tamil Nadu cristiani ancora bersaglio degli estremisti indù
◊ Un morto, oltre 15 feriti, case saccheggiate e date alle fiamme: è il bilancio dell'attacco compiuto da un gruppo di estremisti indù contro la comunità cristiana protestante di Vanagiri Menavar, nel distretto di Nagapattinam (Tamil Nadu). L'assalto è avvenuto lo scorso 23 giugno ed è il quinto dall'inizio del 2012. Nell'abitato vivono 30 famiglie cristiane e 10 indù. Sajan K George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic) - riferisce l'agenzia AsiaNews - denuncia un aumento delle violenze contro i cristiani del Tamil Nadu. Tre dei cinque attacchi si sono verificati nel solo mese di aprile. Le tensioni sono iniziate il 21 giugno, quando una folla di estremisti indù del Bharathia Janatha Party (Bjp) e del Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss) si reca a Vanagiri Menavar e ordina alla popolazione indù di boicottare i cristiani, impendendo loro di pregare e andare a messa. Gli estremisti avevano già fatto visita al villaggio in maggio con le stesse richieste. Per evitare scontri, le autorità locali organizzano il 23 giugno un incontro di riconciliazione fra le due comunità. Alla riunione partecipa anche Thiru K.A Jayapal, ministro per la Pesca, che però non riesce a convincere gli estremisti a lasciare il villaggio. In serata, gli indù attaccano le abitazioni cristiane con spade e bastoni, incendiano e saccheggiano quattro edifici, costringendo la popolazione alla fuga. Nello scontro 15 persone rimangono ferite, fra cui due in gravissime condizioni. Dopo l'assalto, le famiglie rimaste nel villaggio contattano la stazione di polizia di Poompuhar che però si rifiutano di collaborare, costringendo i cristiani a rivolgersi alle autorità del distretto di Nagapattinam. Esse permettono il deposito della denuncia, ma non danno il via a nessuna indagine, lasciando impuniti gli autori del gesto. Il 24 giugno, Mahalingam, uno dei cristiani feriti viene trovato morto in ospedale in circostanze poco chiare. Secondo il figlio Rajendran, anch'egli ricoverato, l'uomo era a letto in condizioni stazionarie e sarebbe stato ucciso dagli estremisti. La notizia scatena il panico e le poche famiglie ancora residenti a Vanagiri Menavar fuggono e a tutt'oggi sono accampati ad alcuni chilometri dal villaggio. Nel 2012 gli estremisti indù hanno intensificato i loro attacchi contro la minoranza cristiana in Tamil Nadu. L'11 aprile scorso nella città di Emapur, nel distretto di Villupuram, un gruppo di radicali ha picchiato un pastore protestante. Il 21 aprile a Paganeri (Shivagangai), una folla di 100 attivisti del Bjp ha assaltato 15 cristiani, picchiandoli fino a tramortirli e sequestrando loro bibbie e altro materiale missionario. L'incidente più recente si è verificato il 30 aprile nel villaggio Banglawmedu. Dopo la denuncia di alcuni estremisti, la polizia locale ha fatto irruzione in una chiesa protestante, accusando V. Neethirajan, pastore responsabile della comunità, di proselitismo. L'uomo stava tenendo un corso biblico di tre giorni ad alcuni bambini del villaggio, fra cui alcuni di religione indù. Per intimidirlo agenti ed estremisti hanno devastato l'aula di studio e costretto gli studenti ad uscire. (R.P.)
Laos: epurazioni e arresti per chi pratica la fede cristiana
◊ Funzionari governativi laotiani hanno arrestato due cristiani locali, assieme ad altri due fedeli di origine thailandese. Il fermo è avvenuto nei giorni scorsi nella provincia di Luang Namtha, nel nord-ovest del Paese, ma è emerso solo ieri in seguito alla denuncia di un'organizzazione locale. Fonti di Human Rights Watch for Lao Religious Freedom (Hrwlrf) raccontano che gli agenti hanno prelevato il gruppetto da una residenza privata nel distretto di Long, perché colpevoli di diffondere "senza permesso" la fede cristiana. In un secondo episodio, le autorità laotiane hanno anche arrestato un pastore nella stessa provincia e cacciato due agenti della sicurezza a Savannakhet, in seguito alla scelta di "convertirsi al cristianesimo". Fonti di Hrwlrf a Luang Namtha - riprese dall'agenzia AsiaNews - riferiscono che il 16 giugno scorso i quattro cristiani - due laotiani e due thai - sono stati arrestati e incriminati per "diffusione della fede cristiana, senza l'approvazione degli ufficiali di governo". Un testimone, dietro garanzia di anonimato, parla di vicenda "ironica", visto che è pressoché impossibile ottenere le autorizzazioni di rito per poter svolgere l'opera di evangelizzazione. I fratelli cristiani thai Jonasa e Phanthakorn Wiwatdamrong, assieme ai due laotiani - uno conosciuto col nome di battesimo, Chalar, mentre l'altra identità è tuttora ignota - sono stati trasferiti nel carcere provinciale di Luang Namtha. Attivisti denunciano che, secondo la normale procedura, essi dovevano rimanere almeno 36 ore nella prigione del villaggio o del distretto, per completare le indagini preliminari. In questo caso, invece, è stato subito disposto il trasferimento nel principale complesso detentivo della provincia. In un secondo episodio, il comandante dell'esercito del distretto di Phin, nella provincia di Savannakhet, il 14 giugno scorso ha cacciato due membri della sicurezza del villaggio di Alowmai, identificati con i nomi di Khamsorn e Tonglai, per essersi convertiti al cristianesimo. In Laos, nazione guidata da un regime comunista, la maggioranza della popolazione (il 67%) è buddista; su un totale di sei milioni di abitanti, i cristiani sono il 2% circa della popolazione, di cui lo 0,7% cattolici. I casi più frequenti di persecuzioni a sfondo religioso avvengono ai danni della comunità cristiana protestante. (R.P.)
Malaysia: sì della Chiesa a una Commissione per la verità e la riconciliazione
◊ La Chiesa malaysiana vede con favore l’istituzione di una “Commissione per la verità e la riconciliazione”, che esamini questioni come la corruzione e la discriminazione nel Paese. Come riferito all'agenzia Fides da fonti nella Chiesa locale, la proposta è stata lanciata dal movimento per la trasparenza “Bersih” che, a partire dallo scorso anno, promuove una vasta campagna nella società civile malaysiana, per chiedere trasparenza nel processo elettorale. Mons. Paul Tan Chee Ing, vescovo di Melaka-Johor e presidente della Conferenza episcopale, ha espresso sostegno all’idea della Commissione che, secondo il presidente del movimento “Bersih”, dovrebbe occuparsi di indagare i rapporti fra le diverse componenti etniche e religione nella società malaysiana. “L’attuale governo, infatti, discrimina coloro che non professano l'islam” ha detto Ambiga Sreenevasan, presidente di “Bersih”, invocando come urgente una riconciliazione nazionale. In una nota inviata a Fides, mons. Paul Tan dice di sostenere la proposta di “Bersih” perché essa “non prende le parti di un blocco politico”. Il vescovo si sofferma in particolare sulla libertà religiosa, notandone i legami con la verità, che “scaturisce dalla dignità di ogni essere umano”. “Ogni uomo nasce con uno slancio intrinseco verso la libertà e verso la ricerca della verità che dovrebbe portare, in ultima analisi, ad amare” spiega il vescovo. “Ma per raggiungere la vera libertà, è necessario rimuovere tutti gli ostacoli, come pregiudizi, opinioni distorte, odio, rabbia, avidità, che porta alla corruzione. Ciò significa che la riconciliazione con gli altri è un prerequisito per raggiungere la vera libertà”. Per questo, conclude il vescovo, tutta la società malaysiana dovrebbe appoggiare una Commissione di tal genere, perchè “tocca la natura fondamentale di ogni essere umano”. Sul tema delle discriminazioni verso i cittadini non musulmani, sollevato più volte dal “Malaysian Consultative Council of Buddhism, Christianity, Hinduism, Sikhism and Taoism", mons. Tan cita alcuni esempi: l'enorme difficoltà per ottenere l'approvazione per la costruzione di una chiesa o di un tempio; la mancanza di luoghi di sepoltura per i non-musulmani, il problema della conversioni forzate all’islam, e chiede un impegno del governo “per rimediare a questa discriminazione”. (R.P.)
Paraguay: respinto ricorso del presidente Lugo, dure reazioni dai Paesi sudamericani
◊ Il presidente del Paraguay Fernando Lugo, che venerdì scorso era stato destituito dalla sua carica dal Senato, ha visto respinto ieri il ricorso che aveva presentato alla Camera costituzionale della Corte Suprema del Paraguay. Secondo quanto riferisce l’agenzia Misna, il ricorso è stato respinto “in limine”, senza cioè esaminare l’incostituzionalità della decisione del Senato che Lugo aveva denunciato. Al momento il suo posto è stato occupato dal vice-presidente Federico Franco, con il quale c’era da tempo una rivalità sempre più accesa. L’operato di Lugo era stato spesso ostacolato anche dal Parlamento, soprattutto per iniziative prese in favore delle classi meno abbienti che andavano a danneggiare le classi privilegiate. La reazione della popolazione non è stata molto accesa, in compenso, però, la destituzione di Lugo ha provocato dure repliche da parte dei Paesi circostanti, che l’hanno definita un golpe bianco. Gli ambasciatori in Paraguay di Argentina, Colombia, Perù, Brasile, Uruguay ed Ecuador sono stati ritirati dai rispettivi governi, mentre il nuovo presidente Franco non è stato riconosciuto da Venezuela, Bolivia, Ecuador, El Salvador e Nicaragua. Il Cile, invece, pur denunciando l’illegittimità del processo, ha affermato di non voler imporre sanzioni commerciali “per non colpire la popolazione”. Domani si terrà un vertice straordinario sull’Organizzazione degli Stati Americani per discutere la difficile situazione. (A.C.)
Bolivia: appello della Chiesa per evitare la violenza e aprire il dialogo
◊ La Chiesa cattolica e la Defensoria del Pueblo hanno sollecitato il governo della Bolivia e la polizia, i cui agenti da qualche giorno manifestano chiedendo un aumento salariale, a parlare senza assumere posizioni radicali, per evitare la violenza. Il Segretario generale della Conferenza episcopale boliviana (Ceb), mons. Oscar Aparicio, ha lanciato a nome della Chiesa un "appello urgente per instaurare al più presto possibile un dialogo aperto e responsabile, per evitare la violenza che avrebbe conseguenze spiacevoli". "Inoltre nessuna pretesa, per quanto legittima possa essere, deve lasciare la popolazione indifesa" ha detto mons. Aparicio in un comunicato inviato alla stampa internazionale e all’agenzia Fides, riferendosi alla misura adottata dalla polizia di non andare a pattugliare le strade, chiedendo salari più alti. Nel frattempo la Defensoria del Pueblo ha dichiarato: "Siamo preoccupati per la situazione di impotenza in cui si trova la popolazione, in assenza di protezione da parte della polizia. Facciamo appello ad entrambe le parti perché cerchino una soluzione nel quadro del dialogo e della pace, evitando posizioni radicali e senza compromessi che impediscono soluzioni e accordi pacifici". Sergenti, caporali e truppe di polizia sono in rivolta in circa 20 unità e centri di comando in tutto il Paese, e hanno perfino saccheggiato i loro stessi uffici, una direzione di Intelligence e il Tribunale disciplinare, ad un isolato dal palazzo presidenziale di La Paz. Secondo i dati inviati alla Fides, i ribelli chiedono un salario minimo di 2.000 bolivianos (circa 287 dollari), la pensione con il 100% del loro stipendio e l'annullamento di una legge che vieta loro di esprimersi come opinione pubblica. Il Ministro dell’Interno Carlos Romero, ha risposto dicendo che il primo punto è plausibile, ma ha chiesto il dialogo, e non ha detto nulla sulle altre due richieste. (R.P.)
Uganda. Il monte Elgon frana sui villaggi: centinaia di dispersi
◊ Sarebbero decine le vittime e 450 i dispersi della valanga che ieri notte nella regione orientale del monte Elgon ha travolto alcuni piccoli villaggi della zona di Bududa, alle pendici dell’altura di Bugisu. Lo riferiscono le autorità ugandesi secondo cui il massiccio smottamento di una parete della montagna è stato provocato dalle intense piogge degli ultimi giorni. Squadre della Croce Rossa inviate sul posto - riferisce l'agenzia Misna - parlano di almeno 11 villaggi rimasti coinvolti nelle frane, avvisando che gli abitanti di altrettanti centri vanno messi in sicurezza al più presto. I soccorritori raccontano inoltre di superstiti che scavano a mani nude nel fango, per cercare di recuperare utensili e oggetti custoditi nelle capanne. Diversi quotidiani ipotizzano, sulla base delle testimonianze, che il bilancio dell’incidente potrebbe essere molto più elevato considerando che in ognuno dei villaggi spazzati via dalla massa di detriti e terra abitavano all’incirca 80 persone. I superstiti sarebbero, finora, 72. Il governo di Kampala ha disposto l’invio di aiuti e deciso il trasferimento degli abitanti della zona nel distretto di Kiryandongo. (R.P.)
Afghanistan: morti e dispersi a causa delle forti precipitazioni degli ultimi giorni
◊ Oltre un centinaio di abitazioni ed altrettanti ettari di terreni agricoli e di allevamenti di animali sono andati distrutti in seguito alle forti precipitazioni che si sono susseguite ininterrottamente per 5 giorni nella parte settentrionale dell’Afghanistan. Secondo le autorità afghane e delle Nazioni Unite - riporta l'agenzia Fides - i morti finora registrati sarebbero 37. Di questi 24 in quattro distretti, compresa la capitale provinciale di Chaghcharan, altri 13 nel distretto di Yaftal. Numerose anche le persone scomparse. Una simile tipologia di pioggia e grandine non è comune in questo periodo dell’anno. Nella regione l’inverno è stato il più rigoroso degli ultimi 15 anni, con nevicate intense del tutto inusuali. Gli esperti avevano previsto che, con lo scioglimento delle nevi, le acque dei fiumi sarebbero cresciute, provocando inondazioni nel nord montagnoso del Paese durante la primavera boreale. A maggio gli allagamenti nella provincia di Sari Pul, vicino quella di Ghor, hanno fatto registrare una cinquantina di morti, per la maggior parte donne e bambini. Le condizioni meteo non sembrano migliorare e si temono gravi peggioramenti. Le Autorità che gesticono le calamità nazionali locali hanno calcolato che 135 abitazioni in Badakhshan sono andate completamente distrutte, obbligando gli abitanti ad allontanarsi. Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, molte delle strade sterrate sono state gravemente inondate, rendendo difficile la distribuzione degli aiuti. (R.P.)
Austria: si apre a Vienna una mostra sulla vita del cardinale Mindszenty
◊ Si apre questa sera a Vienna - riporta l'agenzia Sir - la mostra “Fidelissimus Pastor. Il martirio bianco del cardinale Mindszenty”, organizzata sotto l’alto patrocinio del cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, del cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest, e di mons. Gyula Márfi, arcivescovo di Veszprém. “La presentazione della vita intera di Mindszenty è organizzata secondo unità tematiche corrispondenti alle tappe più importanti della sua esistenza. La prima parte presenta la terra di nascita”, spiega Gergely Kovács, curatore principale della mostra. La seconda affronta invece il ministero come vescovo di Veszprém e poi come principe primate di Esztergom, i suoi anni passati nelle carceri dei nazisti e dei comunisti; i partecipanti potranno vedere per la prima volta gli oggetti che conservano la sua memoria a Veszprém. A seguire è il momento delle giornate della rivoluzione del 1956, la liberazione del cardinale dal carcere, la presentazione del periodo della sua semi-cattività all’ambasciata americana di Budapest; infine, il servizio pastorale agli ungheresi emigrati in tutto il mondo. La mostra, a titolo gratuito, è allestita al Palazzo Porcia di Vienna fino al 10 agosto; dal 20 agosto al 10 ottobre sarà trasferita a Veszprém. (R.P.)
Roma: museo dei Cappuccini nel Convento dell’Immacolata di via Veneto
◊ Questo pomeriggio alle ore 18.00 sarà inaugurato a Roma il museo dei Cappuccini, ricavato all’interno del convento dell’Immacolata di via Vittorio Veneto. Il museo si sviluppa in otto sale disposte intono al chiostro, in ognuna delle quali sono state allestite sezioni che, partendo dalle origini del luogo, ne ripercorrono la storia e presentano la vita di coloro che si sono ispirati e si ispirano a S. Francesco, ricordato da un quadro del Caravaggio, e alle testimonianze esemplari dei Santi cappuccini. Vi si possono infatti ammirare opere di grande pregio, come antichi testi manoscritti, semplici oggetti di uso quotidiano, ma che mettono in luce il felice connubio tra misticismo e semplicità di vita, caratteristiche che hanno avvicinato l’Ordine cappuccino al popolo, soprattutto nei tempi di pubbliche calamità. All’inaugurazione interverranno mons. Matteo Maria Zuppi, ausiliare per il settore Centro; il Ministro generale dell’Ordine dei Frati Cappuccini, padre Mauro Jhöeri; Renata Polverini, Presidente della regione Lazio, Anna Maria Cancellieri, Ministro dell’Interno, Lorenzo Ornaghi, Ministro per i Beni e le Attività culturali e altre autorità religiose e civili. Voluto dalla Provincia Romana dei Frati Minori Cappuccini, il Museo usufruisce della collaborazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno - Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione - e si avvale del Patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali della Regione Lazio e di Roma Capitale. Il progetto scientifico è a cura di Marco Pizzo, con la collaborazione di un importante comitato scientifico. (A cura di padre Egidio Picucci)
A una suora comboniana il riconoscimento del Dipartimento Usa per la tratta nel Sinai
◊ Il dipartimento Usa del traffico di persone (Tip) ha conferito a suor Azezet Kidane, una suora comboniana risidente a Gerusalemme, il riconoscimento di eroe. La cerimonia, riferisce il portale del Patriarcato latino di Gerusalemme www.lpj.org, si è svolta il 19 giugno scorso. La religiosa – membro attivo della Commissione per il coordinamento dell’attività pastorale con i lavoratori stranieri e richiedenti asilo del Patriarcato latino – è stata premiata per il suo contributo straordinario nell’esporre e guidare, insieme con i medici per i diritti umani in Israele, una campagna per sviluppare l'attenzione mondiale al traffico sistematico, rapimenti e torture di rifugiati nel deserto del Sinai prima del loro ingresso in Israele. La consegna del riconoscimento è coincisa con la pubblicazione annuale del Resoconto sul traffico di persone del Dipartimento di Stato Usa. “Nei due anni scorsi, centinaia di richiedenti asilo, vittime di torture e traffico, hanno condiviso con me, le loro voci tremanti, le storie inenarrabili di prolungata sofferenza fisica ed emotiva da parte di trafficanti nel deserto del Sinai – ha detto suor Azeret –. Nessun essere umano vorrebbe mai sentire le testimonianze scioccanti che ho raccolto quotidianamente nella clinica aperta dai medici per i diritti umani in Israele. Proprio in questo momento – ha proseguito – richiedenti asilo sono detenuti con la forza, torturati ed uccisi nel Sinai ed il mondo non fa abbastanza per salvarli da questi orrori. Con i medici per i diritti umani in Israele facciamo tutto ciò che possiamo per aiutare queste vittime, ma i nostri sforzi non sono la soluzione. Hanno bisogno di aiuto e non possiamo volger loro le spalle. Spero che questo riconoscimento darà voce alle vittime e porterà ad un’azione internazionale ed alla cooperazione che garantisca trattamento per le vittime in Israele e lo smantellamento di campi di traffico e tortura nel deserto del Sinai”. Attraverso le storie raccolte dai Medici per i diritti umani Israele è emerso che il 59% dei nuovi pazienti della clinica sono stati esposti a torture o trattamenti crudeli, inumani o degradanti da parte dei trafficanti nel deserto del Sinai. L’81% dei pazienti della clinica ha riferito di essere stato incatenato o tenuto in cattività nel Sinai, mentre il 39% riporta di essere stato esposto a torture o di aver assistito alla morte di altre persone sulla via verso Israele. Infine, l’11% dei pazienti mostra cicatrici sul corpo, e almeno in 178 affermano di essere stati bersagli di spari nell’attraversamento del confine Egitto-Israele. (T.C.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 178