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Sommario del 25/06/2012
Nel segno della speranza: attesa per la visita del Papa alle popolazioni terremotate del Nord Italia
◊ Le popolazioni terremotate del Nord Italia attendono con trepidazione l’arrivo del Papa che domani visiterà alcune delle zone maggiormente colpite dal sisma. Benedetto XVI arriverà in elicottero a San Martino di Carpi, alle 10.15, dove lo accoglierà, con l’affetto della popolazione, il vescovo di Carpi, mons. Francesco Cavina, e il capo della Protezione Civile, Franco Gabrielli. Prima tappa sarà la chiesa di Santa Caterina d’Alessandria a Rovereto di Novi, dove ha perso la vita, schiacciato dalle macerie, il parroco don Ivan Martini. Al centro di Rovereto, poi, l’abbraccio con la comunità e il saluto del cardinale arcivescovo di Bologna, Carlo Caffarra, presidente dell’episcopato dell’Emilia Romagna, e quello del presidente della Regione, Vasco Errani. Il servizio del nostro inviato Massimiliano Menichetti:
I campanili lesionati con gli orologi fermi sono l’immagine simbolo ormai nota di questa realtà, ciò che si respira però è anche il raccoglimento e la semplicità: si lavora per togliere le macerie e si attende l’arrivo del Papa. Il Successore di Pietro sarà, per quasi due ore, nella diocesi di Carpi, una delle più colpite, abbraccerà nel cuore e nella preghiera tutti i luoghi devastati dal terremoto: Mantova, Modena, Ferrara e Bologna. E mentre la terra ancora trema, la gente guarda all’incontro di domani con la speranza nel cuore, il desiderio di ricevere comprensione, incoraggiamento, la vicinanza della Chiesa proprio come ha sottolineato, ieri, Benedetto XVI all’Angelus in Piazza San Pietro. Intanto, fervono gli ultimi preparativi per allestire il grande gazebo al centro di Rovereto di Novi dove, intorno alle 11.15, il Papa terrà il suo discorso alla popolazione, dopo i saluti del cardinale Carlo Caffarra, presidente della Conferenza episcopale dell’Emilia Romagna, e del presidente della Regione, Vasco Errani. Circa 50 persone delle zone terremotate potranno parlare con il Papa: rappresentano tutti coloro che sono stati colpiti da questa tragedia, che ha ucciso decine di persone, e messo in ginocchio l’economia della zona. Ad abbracciare Benedetto XVI anche i vescovi, sindaci, parroci, ma anche i rappresentanti della Protezione civile e dei tanti volontari impegnati a rimuovere calcinacci e nell’assistenza a chi soffre o vive nelle tende con poca certezza e tante paure. Secondo gli ultimi dati della Protezione civile sono 45mila gli edifici a rischio, solo 4700 quelli dichiarati agibili. Completamente fermo il settore produttivo.
E per una testimonianza sullo spirito con il quale le comunità terremotate attendono il Papa, Antonella Palermo ha raggiunto telefonicamente, in Emilia Romagna, don Roberto Montecchi, viceparroco di Finale Emilia, uno dei centri più colpiti dal terremoto:
R. – Aspettavamo questa visita, la desideravamo, perché credo che sia uno di quei segni di Chiesa per noi importanti, di comunione di Chiesa. Ci sono ancora tante difficoltà. Lo stato d’animo è uno stato d’animo di paura, ma è anche uno stato d’animo di speranza. Le nostre comunità cristiane, dopo il primo sballottamento - la perdita dei luoghi di culto, la perdita dei luoghi di aggregazione - si sono ritrovate in quelle che sono le nostre tende. Piano, piano abbiamo ripreso la vita normale: la celebrazione dell’Eucarestia, i Sacramenti, i Battesimi e i matrimoni. Ci ritroviamo anche per altri momenti, come quelli di preghiera, quelli di aggregazione. Anche la nostra vita, proprio la vita spirituale, sta ripartendo dopo quello che è stato un primo smottamento... Quindi, la visita del Papa non può che arricchirci, darci uno sprone, farci sentire vicini come Chiesa e vicini pure alla Chiesa, che prega e che sta lavorando anche per noi.
D. – Ritiene che ormai i riflettori dell'informazione si siano spenti sul terremoto?
R. – Se non ci sono altre catastrofi, è naturale che non si parli più del terremoto. Il principale protagonista era il terremoto, ma nel momento in cui il terremoto è venuto meno, è naturale che se ne parli molto meno... Credo, però, che la gente dell’Emilia, la gente di Finale, la gente della Bassa, preferisca così. Quello che ci interessa è rimboccarci le maniche e costruire. Conosco quasi tutta la gente di Finale e la prima cosa che ha fatto dopo le varie scosse è stato "ricominciare". Credo che questo sia lo spirito. Certo, gli aiuti dall’esterno sono sempre una cosa buona, ma penso che l’attenzione non venga tanto dall’informazione, quanto dai tanti che telefonano e dicono: “Noi vorremmo fare questa piccola cosa”. E’ quella l’attenzione che noi accogliamo in maniera più forte, in maniera più vera.
◊ “La cura delle vocazioni è sfida permanente per la Chiesa”: così, nel documento della Congregazione per l’Educazione Cattolica, presentato stamane in Sala Stampa vaticana, in cui si legge anche che “non possono essere taciuti i gravi effetti negativi” dello scandalo degli abusi sessuali. Il documento si intitola “Orientamenti pastorali per la promozione delle vocazioni al ministero sacerdotale”. Sono intervenuti alla conferenza stampa il prefetto della Congregazione stessa, cardinale Zenon Grocholewski; il segretario, mons. Jean-Louis Bruguès e il sottosegretario, mons. Angelo Vincenzo Zani. Il servizio di Fausta Speranza:
Linee guida per orientare la pastorale vocazionale in una situazione – si legge nel documento – di “luci e ombre”. Emerge un Occidente con meno vocazioni, nonostante “una pastorale strutturata e creativa”. E altri continenti, in cui “nonostante la ristrettezza dei mezzi si assiste a un incremento”. Un esempio nelle parole di mons. Vincenzo Zani:
“Per quanto riguarda l’Africa, passiamo da 20.994 candidati nel 2001 a 26.924 candidati al 31 dicembre 2010. In Asia, abbiamo un forte, significativo aumento: passiamo nel 2001 da 26.433 candidati a 33.282 nel 2010”.
L’Occidente è segnato da “sfrenata ricerca di beni materiali”, “graduale marginalizzazione del sacerdote”, “sfrenato attivismo” in cui cadono a volte perfino i preti, e soprattutto “la crisi della famiglia”. Ma – si ricorda - “l’esempio di vita cristiana coerente” o iniziative di nuova evangelizzazione portano comunque sempre frutti. Poi un’ammissione forte sulla “confusione provocata dagli scandali degli abusi sessuali da parte di religiosi”. “Non possono essere taciuti – è scritto – i gravi effetti negativi". Tra le raccomandazioni, “accertare l’idoneità dei chiamati”, l’esclusione di “soggetti segnati da profonde fragilità umane”. Mons. Jean-Louis Bruguès:
“Vanno evitate proposte vocazionali a soggetti segnati da profonde fragilità umana”.
In definitiva, di fronte a tutto ciò, la sfida messa in evidenza dal cardinale Zenon Grocholewski:
“La cura delle vocazioni al sacerdozio è una sfida permanente per la Chiesa. Bisogna offrire una chiara idea della figura del sacerdote ministeriale e della sua necessità e ruolo nella Chiesa”.
Alcuni punti fermi: innanzitutto la preghiera. E la "proposta dell’esperienza della fede, come relazione profonda e personale con Dio". Catechesi, volontariato, scuola, tempo libero, sport: tutto può essere terreno fertile per affrontare gli interrogativi fondamentali dell’esistenza e dunque le scelte di vita.
E resta da dire che in conferenza stampa, a seguito di domande dei giornalisti, sono state ricordate le parole di Benedetto XVI: “La gente chiede al sacerdote di essere esperto nella fede. Per altri campi, ci possono essere altri”. E poi si è accennato alla realtà nuova di Internet, ma soprattutto sono state annunciate diverse iniziative in vista del centenario della Congregazione dell’Educazione Cattolica, che cade nel 2015.
Il cardinale Turkson alla Fao: sviluppare l'economia rurale per eliminare le cause della povertà
◊ Guardare alla "Caritas in veritate" come strumento di orientamento generale e di criteri basilari per il futuro: questo l’auspicio espresso, stamani, dal cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, intervenuto a Roma, presso la sede della Fao, al quarto Congresso mondiale sulla vita rurale. Organizzato dallo stesso dicastero e intitolato “Evoluzioni e problemi del mondo rurale davanti alle sfide della globalizzazione”, il Congresso si svolge a cinquant’anni dal primo Incontro Internazionale dei cattolici sulla vita rurale che si tenne nel 1962, subito dopo la pubblicazione dell’Enciclica "Mater et Magistra" di Giovanni XXIII. In particolare, il cardinale Turkson si è soffermato sul tema dello sviluppo integrale dell’uomo e della terra. Il servizio di Isabella Piro:
Prospettive a lungo termine, investimenti mirati nelle infrastrutture, coinvolgimento e rafforzamento dei principali attori delle zone rurali: sono queste le tre linee-guida indicate dal cardinale Turkson perché il mondo rurale affronti la globalizzazione. Sono linee-guida che si rifanno all’Enciclica "Caritas in veritate" di Benedetto XVI, uno strumento – dice il porporato – di orientamento generale e di criteri basilari per il futuro. Nel suo intervento, il cardinale Turkson parte da un’esperienza personale: il suo Paese d’origine, il Ghana, è stato a lungo meta di estrazioni minerarie, soprattutto d’oro. Ma tali operazioni, spiega, non hanno affatto migliorato le condizioni della popolazione locale, il cui 80% vive ancora con meno di due dollari al giorno, mentre meno del 10% dei profitti minerari restano nel Paese.
E come il Ghana, continua il porporato, ci sono tante altre zone rurali, nel mondo, rapidamente trasformate dagli ambigui processi della globalizzazione che ha ulteriormente complicato le sfide delle comunità rurali. La crisi economica e finanziaria, infatti, ha portato all’aumento dei prezzi alimentari, provocando speculazioni. E non solo: anche i prezzi del petrolio influenzano quelli del cibo, provocando il fenomeno degli espropri terrieri e costringendo gli agricoltori ad allontanarsi dalle loro terre. Oggi, circa 2 miliardi di persone vivono ancora nell’insicurezza alimentare, sottolinea il presidente di "Giustizia e pace", e questo è uno scandalo, un’offesa contro il Creatore ed i suoi figli.
Cosa fare, dunque? L’approccio deve essere integrale, dice il cardinale Turkson, perché la natura non può essere intesa come un qualcosa di separato dalla cultura e dalla società umana. Di qui, la necessità di una prospettiva olistica e a lungo termine dei bisogni e delle potenzialità umane, così da eliminare alla radice le cause strutturali della povertà. La terra è una benedizione del Signore, ricorda il porporato, e quindi un riferimento essenziale per il suo sviluppo devono essere gli insegnamenti della Chiesa che ha sempre guardato con attenzione ai diritti fondamentali dell’uomo, offrendogli non solo il sostegno della fede, ma anche le competenze necessarie alla vita pratica.
Anche perché, conclude il porporato, è vero che la vita rurale dona un contributo vitale allo sviluppo umano integrale di tutta la società, ma è vero anche che la stessa vita rurale vuole le opportunità per sviluppare se stessa. Solo guardando ad entrambi gli aspetti, quindi, si può sperare in un miglioramento delle regioni povere. L’auspicio del cardinale Turkson, dunque, è che il quarto Congresso sulla vita rurale porti ognuno a riscoprire le proprie responsabilità ed a rafforzare la solidarietà.
Mons. Tomasi su debito estero e diritti umani: l’economia rispetti sempre i più deboli
◊ La Santa Sede sostiene uno sforzo di “maggiore trasparenza” nella concessione di prestiti per lo sviluppo dei Paesi svantaggiati. E’ quanto sottolineato dall’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, intervenuto in questi giorni alla sede Onu di Ginevra sul tema “debito estero e diritti umani”. Il servizio di Alessandro Gisotti:
L’arcivescovo Tomasi ha ribadito che “ogni attività economica deve rispettare la dignità umana”. Dunque, anche la “ricchezza e il debito devono servire il bene comune”. Altrimenti, se la giustizia è violata, il debito diventa uno strumento di “sfruttamento, specialmente dei poveri e degli emarginati”. Mons. Tomasi ha avvertito che le “relazioni finanziarie che accrescono l’ineguaglianza” sono “contrarie alla giustizia”. Ed ha ribadito la necessità di combattere la corruzione “a tutti i livelli” in modo da evitare gli errori del passato quando i prestiti erano presi da leader politici per fini dubbi e non per il bene delle popolazioni povere. Per questo, ha detto l’Osservatore vaticano presso l’Onu di Ginevra, la Santa Sede sostiene una riforma che “corregga le ingiustizie del passato”. Al contempo, ha evidenziato il presule, una maggiore trasparenza aiuterà anche a “prevenire livelli di debito insostenibili per le nazioni in via si sviluppo”. Il debito sovrano, ha osservato mons. Tomasi, “non deve essere visto come un problema esclusivamente economico”. Il debito incide, infatti, sulle “future generazioni così come su quelle condizioni sociali che permettono il godimento dei diritti umani di un gran numero di persone”.
◊ Il Papa ha ricevuto stamani in udienza Fra’ Matthew Festing, principe e Gran Maestro del Sovrano Ordine di Malta, e seguito; il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi e il cardinale José Manuel Estepa Llaurens, Arcivescovo Ordinario Militare emerito per la Spagna.
In Indonesia, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Ketapang in Indonesia, presentata dall’Ecc.mo Mons. Blasius Pujaraharja, in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico e ha nominato Vescovo della Diocesi di Ketapang, il Rev. do Pius Riana Prapdi, Vicario Generale dell’Arcidiocesi di Semarang.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Tra i terremotati per portare la solidarietà della Chiesa: all’Angelus il Papa parla della visita che compirà martedì in Emilia.
Nell'informazione internazionale, in primo piano l'Egitto: l’islamico Mohammed Mursi proclamato vincitore delle elezioni presidenziali.
In cultura, Giulia Galeotti intervista Greg Burke, nuovo “advisor” per la comunicazione della Segreteria di Stato.
Anche l’abito fa il monaco: Giuseppe Buffon sull'apertura del Museo dei Cappuccini a Roma, nel complesso di Santa Maria della Concezione a via Veneto.
Un volantino contro Hitler: Angelo Paoluzi sui settant'anni dalla nascita del movimento di resistenza La Rosa Bianca contro l’ideologia nazista.
Natale negli altoforni: Claudia di Giovanni sul ritrovamento nella Filmoteca Vaticana della pellicola della Messa celebrata da Paolo VI il 24 dicembre 1968 all’Italsider di Taranto.
Montini e lo scrivere da cattolici: Eliana Versace sui cento anni dalla nascita del quotidiano “L'Italia”.
Egitto: la sfida democratica dei Fratelli Musulmani, Morsi presidente con il 51,73%
◊ Alla fine in Egitto i risultati ufficiali delle urne hanno dato ragione ai Fratelli Musulmani. E a Mohamed Morsi, il nuovo presidente egiziano, il primo democraticamente eletto dopo 30 anni di regime di Hosni Mubarak. Una vittoria ottenuta con il 51,73% dei voti riconosciuta anche dal rivale politico Ahmad Shafiq e dalla comunità internazionale, Stati Uniti in testa. Resta tuttavia da risolvere la difficile questione istituzionale del Paese, che vede il potere legislativo ancora nelle mani della giunta militare. Sul nuovo assetto della politica egiziana, Stefano Leszczynski ha intervistato Maria Grazia Enardu, docente di storia delle relazioni internazionali all’Università di Firenze.
R. – Il Consiglio supremo militare ha preventivamente sciolto il Parlamento e quindi dovranno o rieleggerlo o convalidarlo; il Consiglio militare ha anche anticipato, con un forte emendamento, quello che sarà scritto nella Costituzione: da questo momento in poi, queste forze dovranno lavorare insieme e soprattutto dovranno posizionarsi in modo migliore quelle forze centriste moderate, liberali e innovatrici che non sono riuscite a vincere le elezioni perché erano troppo divise. Però d’ora in poi l’Egitto entra nella democrazia.
D. – La giunta militare, tuttavia, pur congratulandosi e riconoscendo la vittoria di Morsi ha detto che bisogna lavorare per la riconciliazione. Suona quasi più una minaccia nei confronti dei Fratelli Musulmani, che sono ancora in piazza, piuttosto che un invito…
R. – E’ minaccia residua, però, perché l’esercito egiziano tutto può fare, ma non sparare sulla piazza: qui non siamo in Siria! Inoltre l’esercito egiziano è tenuto con una sorta di “guinzaglio economico” dagli americani, che vogliono assoluta stabilità in un Paese che deve essere stabile e poi ricordiamo che anche il nuovo presidente ha un suo "lato americano": ha studiato negli Stati Uniti, ha due figli che sono cittadini americani e quindi per essere un Fratello musulmano tutto è fuorché un islamista senza alcun limite.
D. – Morsi ha parlato subito dell’importanza dell’Iran e del dialogo con l’Iran per garantire un equilibrio strategico; allo stesso tempo ha ricevuto gli auguri e i complimenti del presidente Obama. Il nuovo Egitto potrà essere effettivamente un punto di contatto tra Stati Uniti e Teheran?
R. – L’Egitto è, nella sua lunga storia e soprattutto nell’ultimo secolo, uno dei Paesi più importanti, se non il più importante, del Medio Oriente: ha sempre avuto un forte ruolo di leadership, anche ai tempi di Nasser aveva un ruolo di neutralismo e terzomondismo che era assai importante. Se l’Egitto - il nuovo Egitto - riuscirà a stemperare alcune tensioni, a bilanciare il rancore che l’Arabia Saudita ha verso l’Iran e a riportare l’Iran in un discorso generale, tutti ci guadagneranno e anche gli americani.
D. – Alla fine, in sostanza, si può dire che è un po’ il paradosso del Medio Oriente è che la promessa di stabilità arriva proprio attraverso quei partiti islamici che facevano tanto paura all’Occidente?
R. – I Fratelli musulmani, per essere islamici, sono molto sui generis: sono egiziani e l’islam egiziano è sempre stato moderato rispetto ad altre versioni di islam. Quindi non deve farci paura! Inoltre per molti anni Fratelli Musulmani ed esercito hanno - in qualche modo – trattato, anche quando i Fratelli Musulmani stavano in galera. Quindi troveranno altre strade, anche perché l’Egitto ha bisogno di stabilità e i Fratelli Musulmani saranno molto pragmatici. Questo presidente ha un vantaggio: è un presidente abbastanza anonimo, non è era il candidato favorito della prima ora dei Fratelli Musulmani, e quindi non ha molto da pagare al suo passato, ma deve soltanto in qualche modo inventarsi un futuro, soprattutto per l’economia.
D. – Uno dei nodi che dovrà sciogliere il presidente è anche quello dei rapporti con le minoranze religiose, in particolare cristiane, presenti nel Paese. Se la saprà cavare?
R. – Penso di sì. Questo suo aspetto occidentale depone molto bene. D’altra parte i cristiani sono preoccupati soprattutto da alcuni aspetti, su cui si può discutere, ma se l’economia dell’Egitto ricomincia a marciare, tutti ne avranno beneficio e questo alleggerirà automaticamente molte tensioni politiche.
D. – L’Egitto, capofila dei Paesi della cosiddetta “primavera araba”: i Fratelli Musulmani con questo successo possono sperare anche di allargarsi agli altri Stati nord africani?
R. – L’Egitto ha sempre avuto una doppia funzione di leadership più verso il Medio Oriente asiatico, che non verso il Nord Africa in senso stretto. Però è sempre stato, o perlomeno lo è stato nel periodo Nasser e Sadat, un Paese assai importante, entrato in decadenza politica – curiosamente – con il Trattato di pace con Israele. Se manterrà ora questo suo ruolo determinante in modo nuovo, probabilmente diventerà un Paese leader, anche come esempio verso quei Paesi – come la Siria – che invece stanno andando in tutt’altra direzione.
Nuove sanzioni Ue contro la Siria. Tensione tra Damasco e Ankara per l'abbattimento dell'aereo turco
◊ La comunità internazionale in allerta per un possibile allargamento della crisi siriana. Dopo l’abbattimento da parte della contraerea di Damasco di un aereo turco, c’è il timore che la Turchia, Paese membro della Nato, possa chiedere un intervento armato contro la Siria. L’episodio è stato condannato da gran parte della comunità internazionale, mentre stamani il Consiglio europeo dei ministri degli esteri ha approvato in Lussemburgo una serie di nuove sanzioni nei confronti di Damasco, che, dalla sua, ribadisce l’inutilità delle nuove disposizioni europee e che il suolo siriano è sacro. Ma quale efficacia può avere la politica delle sanzioni nei confronti della Siria? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Antonio Ferrari, analista ed esperto dell’area mediorientale:
R. – Che possa essere efficace e che comunque possa indebolire ancora di più il regime del presidente Assad è probabile, ma che possa risolvere la situazione io credo che - per il momento - sia quasi escluso. E questo per una ragione molto semplice: noi dobbiamo ricordare che la Siria non è la Libia; la Libia politicamente non contava assolutamente niente, né all’interno del mondo arabo, né in chiave internazionale. Contava dal punto di vista economico, contava il petrolio… La Siria è invece un problema per tutto il mondo. Se noi pensiamo al rapporto con l’Iran, e paradossalmente l’Iran potrebbe giocare persino una carta importante per cercare di placare le cose; pensiamo alla presenza di hezbollah, in Libano; consideriamo Hamas, che oggi è meno legato alla Siria, ma con la quale ha comunque un "cordone ombelicale"; consideriamo poi che la Siria sta sulla testa di Israele e Israele non ha sbraitato troppo contro il regime di Assad; e, poi, c’è questo problema con la Turchia che, forse, è il problema più serio di tutti. Anche perché la Turchia ha molti modi di premere sulla Siria, a cominciare da quello energetico: può tagliare l’elettricità, che in gran parte arriva proprio dalla Turchia.
D. – Le normative Nato prevedono che in caso di abbattimento di un aereo – com’è avvenuto – possa scattare immediatamente un’azione militare...
R. – Sì, però è anche vero quello che dicono altri membri del Consiglio di Sicurezza, membri permanenti con diritto di veto: finché non si arriva a chiarire, in maniera inequivocabile, che quell’aereo non era nello spazio aereo internazionale, allora sì questo può essere un casus belli e bisognerà evitare la guerra, magari con qualche iniziativa; ma se fosse stato nello spazio aereo siriano, è possibile che la situazione diventi molto più pesante. A questo punto credo che sia la diplomazia internazionale - in un caso e nell’altro - che deve farsi sentire. Quindi le sanzioni sono importanti, ma non bastano. Putin ha detto una cosa: la Siria risolva i suoi problemi al suo interno. Il che significa: noi continuiamo a mettere il veto. Forse si poteva superare il veto della Cina, ma anche la Cina ha degli interessi, questa volta assolutamente energetici; mentre la Russia ha altri interessi, che non sono energetici e che non sono nemmeno quelli della vendita di armi, ma sono - attraverso la Siria - dimostrare che la Russia è ancora lì, come lo era nel passato, quando c’era la guerra fredda e c’erano due superpotenze.
D. – Su che cosa si potrebbero incontrare la Russia e gli altri Paesi membri?
R. – L’unica possibilità era il piano Annan. Il piano Annan, forse rivisitandolo o bilanciandolo, si potrebbe attuare. Non dimentichiamo che ci sono anche troppi ostacoli internazionali: un’Europa che parla per Paesi e non come unità; un’America che non ha alcun interesse a puntare ad altre avventure, soprattutto a pochi mesi dalle elezioni, che dovrebbero riconfermare Obama alla presidenza degli Stati Uniti. Anche in questo momento di crisi economica internazionale, andare a riaccendere il Medio Oriente potrebbe diventare pericoloso.
D. – Finché la crisi siriana non metterà in forse la pax internationalis, non potrebbe neanche scattare una missione Onu di nessun tipo?
R. – La missione Onu possibile è quella degli osservatori, è quella disarmata; non è quella di un intervento in armi. Una missione Onu o Nato con ingresso in armi, secondo me è oggi impossibile.
Settimana decisiva per l'Euro e la Grecia: occhi puntati sul Consiglio europeo di Bruxelles
◊ In Europa, quella appena iniziata è una settimana cruciale per il futuro della moneta unica e per la permanenza della Grecia nell’area Euro. Giovedì e venerdì ci sarà a Bruxelles il Consiglio europeo, che però non vedrà la presenza del neo premier ellenico Samaras, bloccato ad Atene per motivi di salute. Un vertice che dovrà esprimere una posizione comune sui temi economici, nonostante le tante divergenze emerse in più occasioni. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Carlo Altomonte, docente di Politica Economica Europea presso l’Università Bocconi di Milano:
R. – Quello che si sa è che il Consiglio europeo dovrebbe approvare una prima road map, un primo piano di medio periodo per garantire proprio la irreversibilità dell’Euro. Oltre al pacchetto crescita, si dovrebbe quindi iniziare a parlare concretamente sia di unione bancaria che di unione fiscale e quindi di Eurobond.
D. – Nel frattempo è stata rimandata la missione della trojka ad Atene con il rischio concreto di ritardi nel versamento della prossima tranche del prestito concesso alla Grecia. Un segnale, questo, che è comunque preoccupante…
R. – Sì, il problema greco continua ad essere presente. Evidentemente il nuovo governo è sicuramente favorevole alla moneta unica, ma evidentemente ci sono anche gravi problemi di gestione del piano in Grecia ed evidentemente esiste anche la necessità di rivedere questo piano compatibilmente, però, con le esigenze dei creditori. Quindi ritengo che la Grecia continuerà a essere una fonte di preoccupazione, però eviterei di giudicare la tenuta della moneta unica dal destino della Grecia. Saranno più importanti a questo scopo le decisioni del Consiglio europeo annunciate tra giovedì e venerdì per tutta l’area Euro.
D. – Intanto, cresce la tensione per la presunta violazione dell’accordo con Unione Europea e Fondo Monetario internazionale da parte della Grecia, che prevedeva la riduzione dei funzionari pubblici. Questo può far saltare, secondo lei, l’aggiornamento del memorandum che prevedeva – lo ricordiamo – il rinvio di due anni chiesto da Atene per l’attuazione del piano di austerity?
R. – Più in generale in una parte della classe politica, soprattutto nel Nord Europa, esiste una vera e propria mancanza di fiducia sulla capacità del sistema politico ed economico greco di gestire il piano di aiuti. Quindi, esiste un sentimento diffuso secondo il quale è quasi inutile andare a negoziare con la Grecia, perché comunque il Paese è ormai incapace di rispettare qualunque tipo di piano. Evidentemente, notizie di questo tipo non aiutano e potrebbero addirittura portare ad una crisi dei rapporti con il resto dell’Unione Europa. Da questo punto di vista, penso che fondamentalmente l’uscita della Grecia dall’Euro non rappresenti un problema strutturale per la tenuta della moneta unica: in pratica, la tenuta dell’Euro non dipenderà da come sta andando il negoziato con la Grecia, se il Consiglio europeo darà una road map chiara e condivisa di lungo periodo.
D. – Oltre alla Grecia ci sono anche altri Paesi in difficoltà: si parla sempre più insistentemente di una possibile richiesta di aiuti anche da parte di Cipro. Questo vuol dire che il famoso effetto contagio è già iniziato?
R. – Cipro ha un’economia molto particolare, molto "bancarizzata", ma anche molto piccola. Quindi, immaginare che il "contagio" sia esteso a Cipro, francamente mi sembra una interpretazione un po’ eccessiva. Il punto è capire se il Consiglio Europeo di giovedì e venerdì darà delle risposte nel medio periodo, ma non nel breve periodo; a quel punto ci sarà una recrudescenza delle tensioni sul mercato finanziario per Spagna e Italia, che piccoli non sono... Allora a quel punto davvero bisognerà capire come e in che misura le istituzioni europee riusciranno a far fronte comune contro la crisi. Bisognerà usare gli strumenti esistenti e la Banca Centrale in particolare al fine di mettere insieme questa road map di medio periodo che ci porterà all’unione bancaria e all’unione fiscale. Di questo ho pochi dubbi, ma con le esigenze di breve periodo i mercati vogliono risposte subito e evidentemente il sistema politico queste risposte subito non le può dare: servono dei tempi tecnici per mettere in piedi queste cose e quindi bisognerà in qualche modo spegnere gli incendi che potrebbero appiccarsi.
Afghanistan: carabiniere muore in un'esplosione, il cordoglio di Napolitano
◊ Afghanistan: il carabiniere italiano Manuele Braj, 30enne originario di Galatina è morto ed altri due militari sono rimasti feriti in seguito ad una esplosione avvenuta stamani in un campo d’addestramento della polizia afghana ad Adraskan, nell’Afghanistan occidentale. I militari dell'Arma appartengono ad uno speciale nucleo addestrativo. Il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, appresa con profonda commozione la notizia, ha espresso i suoi sentimenti di solidale partecipazione al dolore dei familiari del caduto, rendendosi interprete del profondo cordoglio di tutto il Paese. Dal canto suo, mons. Vincenzo Pelvi, ordinario militare per l’Italia afferma che la notizia “ancora una volta ferisce il cuore di ogni italiano”, ma “non ci si può fermare: il lavoro di addestramento che compiono i militari italiani in Afghanistan, in particolare Carabinieri e Guardia di Finanza, è per la protezione e la sicurezza di quella gente”. Sulla situazione nel Paese, Giancarlo La Vella ha intervistato Maurizio Salvi dell'Ansa, appena rientrato da Kabul:
R. – La situazione è veramente preoccupante soprattutto perché – fra l’altro – arrivano soltanto alcune delle notizie delle offensive e degli attacchi che i talebani portano avanti quotidianamente. Bisogna dire che, come ogni anno dopo l’inverno, gli insorti si impegnano in una "offensiva di primavera-estate" che quest'anno si chiama “offensiva farouk” e che comporta attacchi in quasi tutte le province del Paese. Abbiamo visto una settimana fa l’attacco in un hotel e in un parco a poche decine di chilometri da Kabul, ma questa è veramente una questione quasi quotidiana. Quello che si capisce è che i talebani non sono per niente interessati al problema che l’Isaf – la Forza internazionale di assistenza alla sicurezza – si ritirerà entro il 2014. Vogliono affermare la loro forza oggi e far capire che sono gli unici interlocutori di qualunque scenario si dovesse concretizzare nei prossimi mesi in Afghanistan.
D. – Qual è la parte debole del governo di Kabul, che impedisce di avere la meglio su queste forze di opposizione?
R. – La lunga pratica di cooperazione con l’Occidente, nel senso che in questo momento Kabul ha firmato una serie di accordi di cooperazione strategica con Stati Uniti, Giappone, Francia, Gran Bretagna, Italia. Questo ha posto il presidente Karzai in una posizione evidente di schieramento con l’Occidente, e questo non piace ai talebani che, invece, sono più propensi a immaginare uno Stato islamico che sia aderente ai concetti della sharia, la legge islamica, e considera quindi Karzai come un fantoccio. Bisogna dire che effettivamente Karzai dipende, in questo momento, in gran parte dall’aiuto occidentale, senza il quale il suo esercito e le sue forze di polizia non potrebbero andare avanti.
D. – Una situazione nella quale sembra si allontani sempre di più l’ipotesi di un dialogo con i talebani moderati?
R. – Sì. E’ probabile che ci sia uno scenario di questo genere: l’Alto Consiglio per la pace, creato da Karzai, dopo quasi due anni di attività non è riuscito a concludere nulla. Di recente Karzai ha annunciato che il presidente dell'Alto Consiglio si recherà in Arabia Saudita e in Pakistan per cercare di creare i presupposti per un rilancio del dialogo. Però una cosa è certa: i margini sono molto stretti e se un dialogo ci sarà dovrà essere per forza con i talebani del Consiglio di Quetta che fa riferimento al mullah Omar. Senza il mullah Omar è molto difficile che si possa mai raggiungere un’ipotesi di pace in Afghanistan.
Giornata mondiale contro la tortura, una piaga difficile da sradicare
◊ Si celebra domani la Giornata mondiale contro la tortura, un abominio che, nonostante il divieto legislativo, continua ad essere esercitato in molti Paesi e spesso dalle stesse autorità al potere. La tortura si nasconde ma esiste, e fa migliaia di vittime. Il servizio di Francesca Sabatinelli:
Si condanna, si persegue, eppure la tortura si insinua ovunque. E’ un crimine contro l’umanità “democratico”, perché non risparmia nessuno, neanche i bambini, come documentano le recenti vicende siriane. Ed è un crimine “trasversale”, perché si adotta in Paesi dilaniati da conflitti, in quelli dominati da dittatura, e anche laddove ragioni di sicurezza nazionale finiscono con il giustificarlo, umiliando e annullando qualsiasi documento internazionale sui diritti umani: gli Stati Uniti con i fatti di Abu Ghraib e Guantanamo ne sono un esempio. L’ultimo rapporto di "Amnesty International" ci dice che nel 2011 la tortura è stata applicata in 101 Paesi, in molti casi contro chi ha “preso parte a manifestazioni antigovernative”. Ed è il primo articolo della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, del 1984, a ricordarci che si tratta di un “atto con il quale sono inflitti ad una persona dolore o sofferenza forti, fisiche o mentali” per ottenere informazioni, confessioni, per punirla o intimidirla. A ratificare tale Convenzione sono stati 145 Paesi, tra questi anche l’Italia, che ancora oggi non ha nel suo ordinamento il reato di tortura, e che è stata messa sotto osservazione dal Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa per i trattamenti riservati dalle forze dell’ordine a chi si trova in carcere, negli ospedali psichiatrici giudiziari, o in stato di fermo in caserme e questure.
Un impressionante numero di chi ha subito tortura è costituito dai rifugiati. Si calcola che un rifugiato su quattro di quelli che arrivano in Italia ne sia stato vittima. Il Consiglio Italiano per i Rifugiati (Cir), da 16 anni gestisce progetti diretti all’accoglienza e alla cura di queste persone. In occasione della Giornata mondiale contro la tortura, il Cir presenta stasera a Roma, al Teatro Quirino, uno spettacolo teatrale, ad ingresso gratuito, realizzato con alcuni rifugiati. La riflessione di Fiorella Rathaus, responsabile dei progetti Cir diretti alle vittime di tortura:
R. – Il torturato spesso è una persona che è stata colpita nel corpo ma anche – e molto spesso – nella mente. Per questo, noi preferiamo parlare di ferite invisibili. Ed è una persona che è stata colpita non tanto per carpirle parole e collaborazione – a volte anche sì, ma è molto più raro – ma piuttosto per ridurre al silenzio lei stessa o la sua comunità di riferimento. Quindi, possiamo dire che la tortura è soprattutto un mezzo con cui si tenta di mettere il silenziatore a chiunque si opponga, in qualsiasi modo, al potere prevalente; la tortura è qualcosa che mira a distruggere l’identità profonda di chi viene torturato. E purtroppo è esercitata anche in Paesi che noi riteniamo democratici, non è assolutamente un fenomeno relegato a situazioni estreme, di dittatura, e gli ultimi anni ce l’hanno dimostrato in maniera prepotente.
D. – La tortura è anche "tortura di genere", tra le vittime ci sono molte donne…
R. – Esatto. E su di loro la tortura è esercitata sempre attraverso lo stupro. I fatti della ex-Jugoslavia ci hanno insegnato che è un vero strumento di guerra. Sul corpo della donna si fa la guerra tra gli uomini, in un certo modo. Un utilizzo altrettanto drammatico, oltre che nella ex-Jugoslavia, l’abbiamo visto nel Rwanda, sulle donne tutsi. Fin qui abbiamo parlato di quando la donna è utilizzata per colpire anche la comunità maschile, ma anche nei riguardi della donna che in prima persona svolge attività politica o altro impegno o che viene perseguitata per altre ragioni, la tortura prende sempre e necessariamente la forma dello stupro.
D. – Quali sono i Paesi di provenienza delle persone che arrivano da voi?
R. – Al Cir ci capita spesso di incontrare il continente africano. C’è anche da dire però che in Italia, ad esempio, l’arrivo di richiedenti asilo dal Sud America è abbastanza scarso. Quindi non vorrei dare una conclusione reale che dia conto di quello che succede nel mondo. Sappiamo che in oltre 100 Paesi la tortura è largamente utilizzata, questo è il dato che ci deve preoccupare. E’ utilizzata anche in Paesi cosiddetti democratici, per cui mi sottrarrei da questa definizione di quali sono i Paesi buoni e quali quelli cattivi. Per quella che è la nostra esperienza, abbiamo molte persone provenienti dalla Costa d’Avorio, dalla Repubblica Democratica del Congo, Paese devastato ormai da anni e che ha visto forme di torture e di violenza fuori da qualsiasi criterio e riferimento possibili. Esperienze estreme sono avvenute in Paesi asiatici come l’ Afghanistan, altro Paese devastato. E poi c’è la Somalia. Davvero, è difficile indicare un inizio e una fine a questo elenco. Ultimamente abbiamo avuto molte persone provenienti dall’Eritrea che hanno subito torture nel Paese d’origine ma anche durante il viaggio e durante la permanenza nei centri di detenzione libici.
D. – Che cosa accomuna le persone che arrivano: l’essere completamente devastate? Annientate nella loro identità?
R. – Assolutamente sì. Quello che viene fuori è veramente la totale "esplosione psichica". E questo è l’obiettivo spesso raggiunto della tortura. Noi vediamo persone con difficoltà estreme. Vedere così da vicino il male, il male incarnato, il male fatto volontariamente da un uomo su un altro uomo, è un’esperienza assolutamente indicibile. Devo dire che è un’esperienza che, anche per noi che ascoltiamo le diverse storie, è devastante e inenarrabile. In realtà, si tenta ancora di utilizzare parole umane per entrare in un ambito che di umano non ha più niente: è il disumano puro!
D. – In questi anni – più di 15 – voi avete messo in atto una serie di azioni a sostegno di queste persone: dall’assistenza legale all’assistenza psicologica... Che margine di recupero c’è?
R. – Laddove la presa in carico è sufficientemente precoce, le possibilità di recupero ci sono, ci sono sicuramente. La tortura mira a distruggere l’identità profonda della persona, il nostro compito è quello di restituire a queste persone tutto quello che può aiutarle a recuperare questi pezzi di identità e tutto quello che può aiutarli a rimetterli insieme. Laddove si riesce a intervenire tempestivamente, in termini di cura medica e psicologica, le possibilità di successo ci sono e ci sono in modo molto chiaro. Sono ferite che rimangono dentro, seppellite da qualche parte, il rischio è che possano riaffiorare. Però, nonostante questo, si può riuscire a raggiungere un livello di vita decente, e questo è quello a cui dobbiamo puntare. Parlare di totale guarigione, è un po’ teorico. Però, senz’altro assistiamo a percorsi di recupero che veramente anche oggi, dopo 15 anni, ci tolgono il fiato e ci restituiscono – per fortuna! – emozioni fondamentali.
Il Forum del mondo del lavoro: pura demagogia lasciare l'Euro
◊ No al ritorno alla Lira. Lo dice il Forum delle associazioni e delle persone d’ispirazione cattolica del mondo del lavoro che oggi ha organizzato a Roma un convegno per rilanciare l’idea degli Stati Uniti d’Europa. Un appuntamento pensato anche in vista del Consiglio Europeo del 28 giugno. Il servizio di Alessandro Guarasci:
Indietro non si torna. Il Forum dice no a un possibile salto indietro alla Lira, così come prospettato recentemente da alcuni politici del centro-destra tra cui Berlusconi. Il presidente delle Acli Andrea Olivero:
“E’ pura demagogia inseguire la pancia degli italiani che in questo momento sono presi dall’ansia e dallo sconforto. Non si torna indietro sia perché danneggerebbe il Paese sia perché sarebbe antistorico, sarebbe andare contro lo sviluppo che proprio i cattolici hanno impresso alla storia europea”.
Dunque, la cooperazione europea va rafforzata, perché da soli si fa poca strada e perché l’attuale crisi, è stato detto nel convegno, è il frutto anche di un deficit politico dell’Europa, della incapacità di far crescere unitariamente la dimensione delle relazioni economiche e quella politico istituzionale. Sono in gioco anche i diritti: la centralità della persona, la libertà nella solidarietà, la sussidiarietà diffusa, il rispetto del pluralismo culturale. Raffaele Bonanni, leader della Cisl:
“Se dovesse essere il modello economico che sta emergendo, quello cinese, anche il modello culturale, sociale e politico ci sarebbe da inorridire. Ecco perché occorre lavorare per l’Europa”.
E poi bisogna salvaguardare anche il modello produttivo europeo, puntando di più sullo sviluppo, come dice Giorgio Guerrini, presidente di Confartigianato:
“Avere politiche europee di sviluppo, politiche europee che guardano al sistema produttivo, soprattutto quello di dimensioni piccole e medie”.
Valori questi che nascono anche dalle radici cristiane del Vecchio Continente.
Cresce la dipendenza da gioco d'azzardo. Gli enti locali chiedono più poteri di intervento
◊ In dieci anni nelle città italiane è cresciuta a livelli allarmanti la diffusione delle sale giochi generando problemi sociali di pertinenza delle amministrazioni locali e delle Asl che, tuttavia, nel merito non hanno alcun potere di intervento. Se ne è parlato oggi a Roma nel seminario “La diffusione del gioco d’azzardo nei territori urbani: riflessi sulle competenze amministrative e sociali degli enti locali” organizzato da Legautonomie. Il servizio è di Paolo Ondarza:
Locali di scommesse e gioco d’azzardo continuano ad aprire in tutta Italia e le conseguenze, ormai si sa, sono spesso devastanti sul piano clinico e sociale. Il confine tra gioco e dipendenza è non sempre chiaro e cresce la diffusione della ludopatia, malattia di dipendenza compulsiva dal gioco. Comuni, Province e Regioni non vogliono restare spettatori passivi di questa piaga. Il direttore generale di Legautonmie, Loreto del Cimmuto:
“Considerando l’impatto che questo fenomeno ha sul territorio, sui servizi sociali erogati dai comuni e ovviamente sul servizio sanitario, le Asl, le autonomie locali vogliono poter disporre di alcuni poteri regolamentari per disciplinarne l’impatto del gioco sul territorio, a tutela soprattutto delle fasce più deboli delle popolazioni come i minori”.
Talvolta il tentativo da parte di alcuni comuni di tutelare cittadini ostaggi delle slot machine è stato bloccato dalla giustizia. E’il caso di Verbania la cui amministrazione ha dovuto risarcire l’azienda di scommesse verso la quale aveva sporto denuncia. Ancora Del Cimmuto:
“Il comune di Verbania aveva adottato un regolamento per disciplinare gli orari nella sale da gioco. Evidentemente il Tar ha ritenuto che questo non potesse ricadere nella competenza del comune”.
Ecco allora che da Legautonomie partono alcune importanti richieste:
“Valutare l’impatto sociale dell’apertura delle sale gioco. Devolvere ai comuni una parte del gettito erariale derivante dal gioco. Infine, accrescere la collaborazione con l'associazionismo interessato a queste tematiche perchè insieme possiamo elaborare linee guida da offrire agli enti locali per interventi di natura sociale e clinica".
Al via i "Giardini di Luglio" della Filarmonica Romana
◊ I Giardini di Luglio della Filarmonica Romana si aprono, a partire da oggi e fino all’8 luglio, per una serie di appuntamenti d’arte, spettacolo e convivialità, richiamando un pubblico di giovani e anziani per percorrere avventure inusuali nelle culture del mondo. Il servizio di Luca Pellegrini:
Nel cuore di Roma c’è un Bosco Filarmonico, un luogo dove le vicende dell’arte e della natura si incontrano e dove l’Accademia Filarmonica, che ne cura la bellezza, lo apre ogni estate al pubblico per una serie di appuntamenti che vanno dalla danza alla musica, dalla fotografia al gioco, installazioni nel verde e visite guidate alla flora incantata. Sandro Cappelletto, direttore artistico, dimostra una curiosità innata, una voglia di stupire, una fantasia accattivante nelle proposte che scorrono dal pomeriggio alla notte. Si inizia ricordando il centenario della nascita in un musicista assolutamente singolare, John Cage, e si chiude con l’esecuzione di uno dei falsi beethoveniani più divertenti della storia, come racconta il direttore:
R. – Mi sono reso conto che c’è veramente un dolce e – nello stesso tempo – un travolgente moto di affetti per lui, per la sua musica. E’ il suo modo di stare nella musica, di stare nella storia dell’arte che ancora affascina: il suo aver portato certe dinamiche della cultura orientale nella cultura occidentale degli Stati Uniti, da dove rimbalzeranno in Europa. John Cage è stato anche uno scacchista, faceva yoga, gli faceva piacere la convivialità. Era un uomo di una grandissima dolcezza. La storia di Beethoven è una storia divertentissima e io trovo molto istruttiva. Nel 1926, Benito Mussolini, capo del governo italiano, chiede di diventare socio effettivo dell’Accademia Filarmonica Romana: il Consiglio dell’Accademia accetta la richiesta. Nel 1927, come per sdebitarsi di questo riconoscimento, Mussolini dona alla Filarmonica un manoscritto autografo di Beethoven, una parte per violino assolo, con tanto di titolo: Bonn, che è la città natale, e firma beethoveniana. La sua scrittura sembra quella, una scrittura nervosa, tutta tesa verso destra e in alto, però è una clamorosa patacca e ineseguibile. Questa è una storia istruttiva, perché? Perché si vede come da un lato Mussolini fosse, oltretutto, anche molto vanaglorioso e incompetente, proprio lui che si diceva violinista; e, dall’altra, come spesso il rapporto della politica con le arti sia strumentale, sia in qualche modo viziato già nell’approccio iniziale. La suonerà Fulvio Luciani, che è un nostro magnifico violinista, così com’è e quindi inascoltabile. Per renderla poi più digeribile, ci faremo sopra delle variazioni beethoveniane, cioè con materiali veramente beethoveniani.
D. - Anche quest’anno cinque “Nazioni in festa” nei giardini.
R. - Sì, ci sono cinque nazioni: Armenia, Austria, Iran, Norvegia e Burkina Faso. Ognuna porta i suoi artisti, dei film, delle immagini, delle iniziative anche di teatro. A noi è piaciuto mettere insieme, in queste “Nazioni in festa” le nazioni più ricche del mondo, e la Norvegia è tra queste; l’Austria è un Paese molto ricco; e le nazioni più povere e il Burkina Faso è la nazione più povere del mondo: saranno, però, unite dall’arte, dalla musica, dal teatro, dallo spettacolo, dalla verità che raccontano questi concerti e queste performance.
Egitto: la Chiesa copto cattolica si congratula con Morsi e prega per la riconciliazione
◊ La Chiesa Copta dell’Egitto e dei Paesi della diaspora ha inviato un messaggio di congratulazioni al neo presidente Mohammed Morsi. Nella missiva - a firma dell’Amministratore del Patriarcato copto cattolico, mons. Kyrillos William – vengono assicurate le preghiere della Chiesa copta affinché il nuovo presidente Morsi possa avere successo nella costruzione di uno Stato democratico e moderno, rispettoso dei diritti e delle libertà di ciascuno, in cui siano garantite la sicurezza, la pace e la giustizia sociale. I vertici della Chiesa copta auspicano, infine, che sotto la guida del presidente Morsi il popolo egiziano possa procedere sulla via della riconciliazione e che tutte le differenze di qualsiasi natura possano essere accantonate. E sull'elezione del presidente Mohamed Morsi è intervenuto anche mons. Youhannes Zakaria, vescovo copto cattolico di Luxor, che all'agenzia Fides ha dichiarato di giudicare positiva la vittoria di Mohammed Morsi, "con la speranza che ora tutti lavorino con spirito di collaborazione a rinnovare il Paese”.Il primo discorso da Presidente eletto del candidato dei Fratelli Musulmani è giudicato con favore da mons. Zakaria. “Le sue parole danno tranquillità - dice il vescovo -, in particolare l’affermazione di voler essere il Presidente di tutti gli egiziani, di migliorare l’economia anche rilanciando il turismo”. Come spiega mons. Zakaria, l’economia sarà una prova decisiva per la futura dirigenza del Paese: “Nella provincia di Luxor la maggioranza ha votato per Ahmed Shafiq perché era considerato il candidato più adatto per rassicurare i turisti. I Fratelli Musulmani durante la campagna elettorale avevano fatto alcune dichiarazioni preoccupanti al riguardo, ma occorre distinguere tra la propaganda elettorale e le azioni concrete che verranno intraprese una volta che si è al governo”. “In Egitto – conclude il Vescovo - abbiamo diversi problemi da affrontare. In primo luogo quello economico, la disoccupazione è molto elevata. Qui a Luxor con il crollo del turismo quasi tutti sono disoccupati. La società egiziana è tranquilla ma ora dopo le parole vuole i fatti”. (S.L.)
Siria: messaggio del Sinodo greco melkita sul conflitto
◊ Urge essere “testimoni dei valori del Vangelo in Siria”, e “riscoprire la nostra vocazione a diventare luce, sale e lievito nelle società arabe”: è l’appello lanciato dai Padri Sinodali a conclusione del Sinodo della Chiesa greco-cattolica melkita, conclusosi ieri in Libano. Al Sinodo, presieduto dal Patriarca Gregorio III Laham, che risiede a Damasco in Siria, hanno partecipato vescovi e rappresentanti da Medio Oriente, Americhe, Australia. Nel messaggio finale dell’Assemblea, pervenuto all’agenzia Fides, i Padri Sinodali si soffermano sulle “situazioni drammatiche in cui versa la nostra regione in generale e la Siria in particolare”, esprimendo il timore che “ il sangue versato si lascerà alle spalle rancori e ferite che sarà difficile sanare”. “Questo – si afferma – è più pericoloso della guerra stessa”, mentre si assicura che “la Chiesa rimarrà a fianco di tutti i suoi figli, in particolare quelli che sono emigrati dalle loro case”. I vescovi sono “in attesa della storica visita del Papa in Libano e nel Medio Oriente - prevista a settembre, a conclusione del Sinodo dei vescovi del Medio Oriente - per ribadire le ragioni della giustizia e della pace, in particolare in Palestina e in Siria”. Invitano, dunque, tutti i fedeli a vivere l’attesa per l’arrivo del Papa “nella preghiera, nelle chiese e nella case, per ottenere la giustizia e la pace”. In particolare, il Sinodo esorta i leader del Libano a “continuare il dialogo nazionale”, notando che il Libano è “terra di sicurezza, ospitalità, apertura ai fratelli arabi” e la sua missione è di avere “amore e fiducia in loro”. Il Sinodo, che ha esaminato anche questioni interne sulla formazione del clero e ha nominato alcuni vescovi, ha anche recepito le Linee guida del Sinodo dei vescovi sulla Nuova Evangelizzazione, che si terrà a Roma nel prossimo ottobre. L’Assemblea, infine, ha approvato l'apertura del processo di beatificazione di Boutros Wadih Kassab, laico, padre e apostolo del delta egiziano, che ha vissuto le virtù cristiane ed evangeliche, incaricandone il Patriarcato di Alessandria, a cui Kassab apparteneva. (R.P.)
Siria: i cristiani in prima linea nella solidarietà verso chi soffre per il conflitto
◊ Le comunità cristiane in Siria e le Chiese cristiane di tutto il Medio Oriente sono fortemente impegnate nell’aiuto e nella solidarietà verso tutti coloro che soffrono a causa del conflitto in corso, sostenendo profughi, famiglie impoverite, disoccupati, emarginati, malati, operando nell’assistenza senza alcuna distinzione di religione, comunità, etnia. L’embargo e la crisi economica, infatti, stanno mettendo a dura prova migliaia di famiglie, in tutto il Paese. Gli aiuti della Caritas, spiega all'agenzia Fides mons. Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo e presidente della Caritas Siria, “si concentrano in tre aree principali: salute, affitto di abitazioni, aiuti scolastici”. Infatti “si garantisce assistenza medica a migliaia di persone, bambini, anziani, mentre, d’altro canto, si offre un sostegno alle famiglie pagando le spese scolastiche dei bambini, o si provvede all’assistenza permanente di anziani e malati”. Ad Aleppo la Caritas sta aiutando oltre 440 famiglie, mentre a Damasco, dopo lo scoppio di una bomba, la Caritas ha contribuito a riparare la casa di circa 50 famiglie. Caritas Siria, rimarca il vescovo, sta operando grazie al sostegno delle Caritas partner europee e del Nord America. Come riferito da fonti locali all’agenzia Fides, è iniziata, inoltre, l’opera di aiuto delle Chiese del Medio Oriente. Il “Middle East Council of Churches”, organismo ecumenico che include tutte le Chiese delle diverse confessioni, ha avviato progetti di solidarietà in Siria, grazie alla presenza capillare delle diverse comunità cristiane nel Paese: in coordinamento con la Chiesa cattolica e con la Chiesa Ortodossa, si stanno aiutando famiglie di profughi a Qara e anche nell’area di Homs. (R.P.)
Nigeria: per il presidente Jonathan “Boko Haram vuole destabilizzare il governo”
◊ La setta islamista Boko Haram vuole destabilizzare il governo e per questo attacca i luoghi di culto cristiani, cercando di dividere i cristiani dai musulmani. È questo il senso del discorso del Presidente della Nigeria, Goodluck Jonathan, trasmesso ieri, dalla radio e dalla televisione nazionali. Il Presidente nigeriano ha osservato che Boko Haram ha avviato la sua campagna di terrore attaccando obiettivi militari, ma poi, quando ha visto che questa strategia non funzionava, ha iniziato ad attaccare i luoghi di culto cristiani, con la speranza di avviare una spirale di rappresaglie. Goodluck Jonathan ha dichiarato che non è da sorprendersi se Boko Haram dovesse attaccare pure luoghi di culto islamici, per cercare di elevare la tensione e provocare un conflitto tra le due maggiori comunità di credenti del Paese. Per contrastare il terrorismo di Boko Haram il Presidente ha annunciato un ricambio dei vertici della sicurezza. Nel frattempo a Damaturu, città nel nord-est della Nigeria, teatro la scorsa settimana di una sanguinosa battaglia tra membri della setta e forze di sicurezza, un commando di Boko Haram ha assalito la prigione uccidendo quattro guardie e liberando 40 detenuti. (R.P.)
Sudan: chiusa una scuola cattolica, 200 studenti in cerca di una nuova sede
◊ Un’ingiunzione di sgombero e i sigilli posti dalle autorità: è quanto accaduto ad una scuola gestita da religiosi a Omdurman, in Sudan, secondo quanto riportato dall’agenzia Misna. La decisione del governo sembrerebbe legata alla partenza della maggior parte degli studenti, di origine sud sudanese, che hanno fatto ritorno nella propria terra. In realtà esponenti della Chiesa sudanese affermano che le ragioni di base siano da una parte la carenza di strutture a disposizione del ministero dell’Istruzione, e dall’altra i contrasti ancora molto forti tra Khartoum e Juba legati a questioni irrisolte dopo l’indipendenza del Sud. I sigilli posti alla scuola comprendono tutto il territorio circostante, dove è impedita anche la possibilità di andare a celebrare la messa. L’istituto scolastico aveva beneficiato di numerosi interventi di ristrutturazione in previsione dell’inizio dell’anno scolastico del 7 luglio. Al momento, per i circa 200 studenti rimasti, si sta cercando un nuovo posto a Khartoum, nella parte opposta del fiume. (A.C.)
Giornata del Marittimo: Ban Ki-moon elogia il coraggio dei marinai mercantili
◊ Gratitudine e apprezzamento per il lavoro dei marinai mercantili in tutto il mondo è stato espresso dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, in occasione della Giornata del Marittimo che viene celebrata oggi. Nel messaggio scritto per la circostanza, Ban Ki-moon ha ricordato il milione e mezzo di marinai che in tutti i mari trasportano la maggior parte delle merci, spesso a rischio della vita a causa del problema legato alla pirateria. “Celebriamo donne e uomini coraggiosi, dal capitano al mozzo – ha affermato il Segretario dell’Onu – che dalle coste sabbiose al blu più profondo degli oceani, da tutti gli angoli del mondo, permettono al settore dei trasporti marittimi di essere la base dell’economia mondiale e promuovere un maggiore progresso per tutti”. L’International Marittime Organization (Imo), l’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dello sviluppo e della sicurezza dei trasporti marittimi, ha avviato un programma quinquennale per elaborare misure che rendano la navigazione meno rischiosa facendo fronte ai pericoli che la minacciano. Inoltre, ha ricordato Ban Ki-moon, l’Imo si sta impegnando nel miglioramento delle prestazioni ambientali, adottando più di 20 convenzioni internazionali che regolano l’impatto ambientale del settore marittimo. Si tratta di misure che riguardano le emissioni di gas di scarico in atmosfera, l’uso di vernici antivegetative nocive sugli scafi delle navi, lo scarico di acque reflue, lo scarico dei rifiuti e l’inquinamento da idrocarburi. Tali convenzioni si applicano al 90% della flotta mondiale e sono in gran parte già in vigore. (A.C.)
L’arcivescovo di Santo Domingo interviene sul problema degli haitiani irregolari
◊ L’arcivescovo di Santo Domingo, Nicolas de Jesus Lopez, è intervenuto in risposta alle lamentele della Pastorale haitiana in merito al rifiuto del governo dominicano di dare i documenti agli immigrati che sono nel Paese da più di 12 anni e regolarizzare i permessi di lavoro a coloro che lavorano. “Si devono cercare soluzioni giuste e umanitarie – ha affermato il cardinale in una nota all’agenzia Fides – forse con un’amnistia o procurando i documenti agli operai e agli impiegati, come suggerito da alcuni datori di lavoro, ma questa situazione deve diventare regolare”. Il problema della migrazione haitiana nella Repubblica Domenicana è una questione difficile e sempre più giungono pressioni da gruppi stranieri preoccupati dei propri interessi. L’arcivescovo ha ribadito la necessità della trasparenza da parte degli organismi locali, ma ha anche affermato che nessun Paese straniero può interferire sul tema dell’immigrazione. La maggior parte dei lavoratori haitiani senza documenti è occupato nelle zone agricole, nel campo edile e nel commercio ma senza contratto. (A.C.)
Messico: emarginazione e povertà per la popolazione del Chiapas
◊ Nonostante le ricchezze naturali di cui dispone lo Stato messicano del Chiapas, la povertà continua ad essere il principale stigma da combattere. Il Chiapas vive in condizioni di arretratezza sociale, culturale ed economica di almeno 50 anni. Secondo gli economisti, la povertà nella quale vive la popolazione - riferisce l'agenzia Fides - non è coerente con gli standard di un Paese che è membro dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocde). Su quasi 4.8 milioni di abitanti, in questo Stato vive la più alta percentuale di popolazione che parla esclusivamente la lingua indigena, sono 36 ogni 100 cittadini. La condizione di emarginazione e abbandono si estende per 73,311 chilometri quadrati di territorio, e, secondo le stime del Consejo Nacional de Evaluación de la Política de Desarrollo Social (Coneval), in sei dei dieci municipi dello Stato si registra la maggior parte della popolazione che vive in condizioni di povertà estrema, emarginazione e denutrizione. Fino al 2010, secondo i dati dell’Instituto Nacional de Estadística y Geografía (Inegi), circa il 59,5% della popolazione del Chiapas, dell’età di 5 anni e oltre, si dichiaravano cattolica, a livello nazionale sono l’83%. Nello Stato i protestanti o gli evangelici sono il 19,3%, gli appartenenti ad altre religioni l’8,4%, mentre l’11,9% non professa alcuna religione. Piccole comunità cristiane autonome sparse in tutto il Paese hanno preso piede proprio grazie alle condizioni di emarginazione, povertà e disinteresse da parte delle istituzioni verso i quasi 5 milioni di abitanti. (R.P.)
Brasile: gli indigeni Xavante lottano per recuperare la loro terra di origine
◊ La popolazione indigena Xavante di Marãiwatsédé, nello Stato del Mato Grosso, continua a lottare per recuperare il suo territorio di origine. Nonostante nel 1998 il Governo brasiliano abbia riconosciuto, attraverso la Fundación Nacional del Indio (Funai), Marãiwatsédé come territorio indigeno, omologato con 165.241 ettari, politici e imprenditori corrotti della regione hanno portato avanti un processo di invasione illegale dell’area, cercando di impedire la restituzione della terra alla popolazione. Solo nel 2004 - riferisce l'agenzia Fides - il Governo ha riconsegnato la proprietà, anche se buona parte continua ad essere occupata da allevatori e agricoltori, che la mantengono sotto minacce, violenza e coercizioni. Dopo 40 anni di esilio, gli Xavante di Marãiwatsédé si sono ritrovati un panorama desolante: distrutto quasi il 90% della foresta amazzonica, da cui i loro antenati avevano ricavato il sostentamento. Nella maggior parte del terreno deforestato la vita è quasi completamente scomparsa. (R.P.)
Argentina: conclusa la Settimana su integrazione sociale e lavoro
◊ "Il vero cammino per l'inclusione sociale è il lavoro retribuito in modo dignitoso. Rinnoviamo il nostro impegno per la cultura del lavoro. Rifiutiamo il diffondersi negativo di comportamenti consumistici e materialisti, senza apprezzamento per il lavoro": sono alcuni dei punti sottolineati nel messaggio finale della Settimana Sociale 2012 celebrata in Argentina, che si è conclusa ieri, a Mar del Plata, ed ha avuto come slogan "Lavoro, dignità e giustizia sociale". Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, presentando le conclusioni dell’evento, i vescovi della Commissione episcopale della Pastorale Sociale hanno affermato: "Vogliamo riconfermare l'impegno di promuovere lo sviluppo integrale e di eliminare la povertà in questo percorso della celebrazione del Bicentenario. Vogliamo diventare parte di questo percorso e contribuire a generare una nazione più equa". Le conclusioni di questo "spazio per realizzare accordi e proposte per il bene comune", come hanno definito la Settimana Sociale, ruotano intorno ai temi trattati: "La distribuzione della ricchezza, il lavoro in nero, la disoccupazione, lavoro e gioventù, lavoro e questione ambientale”. La Messa di chiusura della Settimana Sociale è stata presieduta da mons. Jorge Lozano, Vescovo di Gualeguaychú e presidente della Commissione episcopale della Pastorale Sociale (Cepas), concelebrata da mons. Alcides Jorge Pedro Casaretto, vescovo emerito di San Isidro, e da molti sacerdoti. (R.P.)
Taiwan: appello dei cattolici per il disarmo
◊ Investire per aiutare i Paesi poveri, non per incrementare le armi: questo, in sintesi, il contenuto della lettera aperta inviata al presidente di Taiwan, Ma Ying-jeou, da tre gruppi cattolici, ovvero Pax Christi, il dipartimento Giustizia e Pace della Caritas locale e l’Associazione dei religiosi maggiori del Paese. “Dovremmo ricordare la lezione della guerra – si legge nella missiva – Essa non porta mai la pace, ma solo dolore, sofferenze e sacrifici nella vita di milione di persone innocenti”. Di qui, un suggerimento: “ Perché non investire fondi in tecnologie, risorse umane ed aiuti ai Paesi poveri?”. La lettera, che arriva a pochi giorni dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul trattato per il commercio di armi, in programma a New York dal 2 al 27 luglio, invita anche gli esponenti di altre religioni a compiere un’azione congiunta per chiedere il disarmo. Dal suo canto, il presidente Ma ha risposto alla missiva, ringraziando per la proposta che - ha detto - sarà tenuta in considerazione. Eletto presidente nel maggio 2008, Ma Ying-jeou ha già firmato da allora tre accordi con gli Stati Uniti per l’acquisto di armi. (I.P.)
Africa centrale: seminario per studenti dedicato a riconciliazione, giustizia e pace
◊ “Riconciliazione, giustizia e pace: studenti, muoviamoci!”. Questo l’incoraggiante tema del seminario di formazione svoltosi nei giorni scorsi a N’Djamena, in Ciad, e dedicato ai membri della “Gioventù studentesca cristiana internazionale” (Jeci) dell’Africa centrale. Le sessioni di lavoro sono state dedicate a “Riconciliazione, giustizia e pace nella regione dell’Africa centrale: il contributo della Jeci”, “I ‘jecisti’ artigiani di pace, difensori della giustizia e promotori della riconciliazione in Africa”, “La creazione dei Centri di pace negli Istituti di formazione”. Al termine del seminario, informa una nota, “sono state formulate anche raccomandazioni per i governi, la Chiesa, i giovani e gli organismi internazionali”. Per quanto riguarda i governi, i seminaristi hanno chiesto loro “di porre l’accento sulla formazione della gioventù e sull’educazione civica, tenendo contro della realtà dei singoli Paesi”. Di qui, la necessità di “rendere effettiva la libera circolazione nelle nazioni appartenenti all’Unione Africana, di lottare contro la corruzione e l’ingiustizia sociale, di condurre un dialogo permanente con i gruppi sociali e la Chiesa”. E alla stessa Chiesa la Jeci chiede “di rendere i cappellani studenteschi disponibili all’accompagnamento spirituale dei giovani, di ridurre i costi della formazione nelle istituzioni cattoliche, di incoraggiare i giovani ad impegnarsi nel prendere decisioni, di continuare a denunciare le violazioni dei diritti dell’uomo e di diffondere tra i ragazzi gli insegnamenti della Dottrina sociale della Chiesa”. Quanto ai giovani, vengono esortati affinché diventino gli uni per gli altri “leader evangelici, seminatori della cultura della riconciliazione, della giustizia e della pace, organizzando attività per il rafforzamento dell’unità tra tutti gli uomini”. Allargando, poi, lo sguardo alle organizzazioni internazionali, la Jeci chiede che esse si impegnino di più nei progetti per i giovani e li tengano in maggior considerazione, “accompagnandoli nella loro ricerca di una vita migliore e senza cedere ai ricatti dei politici africani, come se nel continente andasse tutto per il meglio”. L’ultimo appello la Jeci lo rivolge alla comunità internazionale, affinché “usi tutto il suo peso perché i presidenti africani rispettino le aspirazioni profonde dei loro popoli, mantenendosi sempre neutrale nella risoluzione di conflitti nel continente”. (I.P.)
Europa: la Comece pubblica un volume su "Scienza ed etica"
◊ Come trattare un paziente in stato vegetativo? Quali sono le prospettive di miglioramento dell’uomo attraverso le tecnologie? Come combattere il traffico di organi ed il turismo dei trapianti? Cosa si intende esattamente per ‘salute sessuale e riproduttiva’? Sono queste alcune delle questioni tecniche cruciali con le quali sempre più spesso si devono confrontare i legislatori dell’Unione Europea. Per offrire una panoramica dei problemi etici sollevati da tali questioni, il segretariato della Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea) ha pubblicato ora un volume intitolato “Riflessioni su scienza ed etica”. “Tale volume – informa una nota – edito dal Gruppo di riflessione bioetica della Comece, fornisce un’analisi delle principali questioni etiche e propone una riflessione ed alcune raccomandazioni utili ai legislatori europei”. Il volume si concentra, in particolare, sul tema della salute sessuale e riproduttiva, argomento che la Comece definisce “fortemente ambiguo, poiché sembra includere il diritto all’aborto, in contraddizione con l’interpretazione del diritto internazionale e della legislazione europea”. Inoltre, si legge nella nota, “l’uso ripetuto del termine ‘salute sessuale e riproduttiva’ in dichiarazioni, risoluzioni e raccomandazioni, tende a farlo entrare nel linguaggio comune e contribuisce, tramite il costume giuridico, alla formazione di un ‘diritto’, nonostante le riserve espresse da numerosi Stati, attori principali del diritto internazionale, e sebbene nessuna convenzione e nessun trattato internazionale di portata universale ne faccia menzione”. Il volume “Riflessioni su etica e scienza” è disponibile in francese ed in inglese e si può scaricare dal sito Internet della Comece. Infine, da ricordare che il Gruppo di riflessione bioetica assiste il segretariato della Comece dal 1996; formato da quindici esperti di importanti discipline come la teologia, l’etica, la filosofia, il diritto e la medicina, si riunisce due volte l’anno per discutere dell’impatto del progresso scientifico e delle innovazioni biotecnologiche sulla vita dell’uomo. (I.P.)
Bonn: convegno mondiale su crescita, cultura e formazione
◊ “Crescita, cultura e formazione per tutti sono la chiave per una pacifica interazione, per uno sviluppo sostenibile e per il dialogo interculturale”, lo ha dichiarato Reinhard Hartstein, vice direttore generale di Deutsche Welle, dando inizio ai lavori di Deutsche Welle Global Media Forum a Bonn, in corso fino al 27 giugno. Oltre 1.800 partecipanti, provenienti da ogni angolo del mondo, stanno già discutendo i temi di “Cultura, formazione e media – per un mondo sostenibile”. “La formazione per tutti e’ la chiave per il progresso e la prosperità economica di una nazione, che a sua volta guida la crescita dell’economia globale”, ha sostenuto Hartstein. Al contrario, emergenze nel settore formativo portano a povertà e tensioni sociali, fonte di conflitti armati. “Quindi il nostro traguardo dovrebbe essere quello di distribuire meglio opportunità formative nel mondo intero”. I mezzi di comunicazione dovrebbero coinvolgere il pubblico, creare trasparenza su un’educazione deficitaria e portare sempre più all’attenzione di tutti questo tema. Essi dovrebbero considerarsi come educatori e abbracciare il mondo della formazione quale loro obiettivo”. Vari i seminari su queste tematiche in via di svolgimento, quali: Lo sviluppo ecologico e’ una contraddizione o un’opportunità? Come Google e altri settori tecnologici presentano i problemi formativi? Cosa si richiede per assicurare ai giovani un lavoro, al di là della formazione? La pace la si può insegnare? L’educazione alla pace e’ indispensabile o meramente un’illusione? Quale il ruolo dei media nel formare una cultura politica nel Medio Oriente e nel Nord Africa? I tre giorni di lavoro si presentano molto interessanti e c’e’ attesa per quanto il Ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, dirà su questo tema. (Da Bonn, Enzo Farinella)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 177