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Sommario del 21/06/2012
Pressante e accorato appello del Papa per la Siria nel discorso alla Roaco
◊ Benedetto XVI chiede che “non venga risparmiato alcuno sforzo, anche da parte della comunità internazionale, per far uscire la Siria dall’attuale situazione di violenza” e che “sia garantita la necessaria assistenza umanitaria”. L’accorato appello del Papa è contenuto nel discorso, in più lingue, rivolto ai partecipanti all’85.ma Assemblea della Roaco, Riunione delle Opere in aiuto alle Chiese Orientali, ricevuti stamani in udienza nella Sala Clementina, in Vaticano. La Roaco si è riunita in assemblea a Roma da lunedì scorso fino a ieri. Il servizio di Debora Donnini:
Lo sguardo di Benedetto XVI abbraccia la Siria e le sue ferite. Nel discorso alla Roaco, guidata dal suo presidente, il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiesa orientali, il Papa chiede aiuto per questo Paese martoriato:
“Que ne soit épargné aucun effort, également de la part de la communauté...
Non venga risparmiato alcuno sforzo, anche da parte della comunità internazionale, per far uscire la Siria dall’attuale situazione di violenza e di crisi, che dura già da molto tempo e rischia di diventare un conflitto generalizzato che avrebbe conseguenze fortemente negative per il Paese e per l’intera Regione”. E aggiunge:
“J’élève aussi un pressant et douloureux appel pour que, face au besoin extrême…
Elevo anche un pressante e accorato appello perché, davanti al bisogno estremo della popolazione, sia garantita la necessaria assistenza umanitaria, anche a tante persone che hanno dovuto lasciare le loro case, alcune rifugiandosi nei Paesi vicini”. Il valore della vita umana è un bene prezioso da tutelare sempre, ricorda infatti Benedetto XVI che esprime anche la sua vicinanza “alle grandi sofferenze dei fratelli e delle sorelle di Siria, in particolare dei piccoli innocenti e dei più indifesi”:
“Que notre prière, notre engagement et notre fraternité concrète dans le Christ, …
La nostra preghiera - sottolinea - il nostro impegno e la nostra fraternità concreta in Cristo, come olio di consolazione, li aiuti a non smarrire la luce della speranza in questi momenti di buio e ottenga da Dio la sapienza del cuore per chi ha responsabilità, affinché cessi ogni spargimento di sangue e la violenza, che porta solo dolore e morte, lasci spazio alla riconciliazione, alla concordia e alla pace”.
Alla Roaco quest’anno oltre ai rappresentanti della Terra Santa - ad iniziare dal nunzio apostolico in Israele e delegato apostolico in Palestina, mons. Antonio Franco - si sono uniti anche gli arcivescovi maggiori della Chiesa Siro-malabarese dell’India, Sua Beatitudine il cardinale George Alencherry, e della Chiesa Greco-cattolica di Ucraina, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, nonché il nunzio apostolico in Siria, mons. Mario Zenari, e il vescovo presidente della Caritas siriana. Una presenza che, sottolinea Benedetto XVI, permette di “allargare ancora di più lo sguardo della Chiesa di Roma in quella dimensione universale” che “costituisce una delle note essenziali del mistero della Chiesa”.
Il Papa rivolge quindi con forza l’esortazione a perseverare nel movimento di carità che la Congregazione segue affinché la Terra Santa e le altre regioni orientali ricevano “il necessario sostegno spirituale e materiale”. L’attuale congiuntura economico-sociale, annota il Pontefice, colpisce, in modo ancora più preoccupante, le aree del mondo più svantaggiate. E questo processo coinvolge in modo particolare l’Oriente, “madrepatria di antiche tradizioni cristiane”, generando “insicurezza e instabilità anche a livello ecclesiale e in campo ecumenico e interreligioso”. “Si tratta di fattori – sottolinea ancora Benedetto XVI – che alimentano le endemiche ferite della storia e contribuiscono a rendere più fragili il dialogo, la pace e la convivenza fra i popoli, come pure il rispetto dei diritti umani, specialmente quello alla libertà religiosa personale e comunitaria”:
“Dieses Recht muß in seinem öffentlichen Bekenntnis garantiert werden…
Tale diritto - avverte - va garantito nella sua professione pubblica e non solo in termini cultuali, ma anche pastorali, educativi, assistenziali e sociali, tutti aspetti indispensabili al suo effettivo esercizio”. Quindi, il Papa ribadisce il richiamo a essere “segni eloquenti della carità che sgorga dal cuore di Cristo” e “presenta al mondo la Chiesa nella sua più vera identità e missione, ponendola al servizio di Dio, che è Amore”. Benedetto XVI ricorda poi che l’Anno della Fede “offrirà fecondi orientamenti alle Opere di Aiuto alle Chiese Orientali” e chiede l’intercessione di Maria per le Chiese Orientali in madrepatria e nella diaspora:
“Sia Lei a vegliare anche sul prossimo Viaggio che – a Dio piacendo – compirò in Libano per porre il sigillo sull’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi”.
E il Papa conclude proprio con un abbraccio “di padre e di fratello” alla Chiesa e alla nazione libanese.
Dunque nel discorso alla Roaco, il Papa ha levato un pressante appello per la fine delle violenze in Siria. Sulla situazione dei rifugiati che fuggono dal territorio siriano nei Paesi vicini, Manuella Affejee, della redazione francese della nostra emittente, ha intervistato Rosette Héchaimé, coordinatrice regionale della Caritas per l’Africa del Nord e il Medio Oriente:
R. – Les réfugiés syriens vont dans les pays limitrophes….
I rifugiati siriani vanno nei paesi limitrofi, vanno in Giordania, in Libano, in Turchia; la Caritas è certamente presente sul posto con altri organismi d’aiuto, con il Commissariato per i rifugiati e altre Ong, per cercare di rispondere a quello che serve. So che in Libano e in Giordania e anche in Turchia si tratta di portare un aiuto immediato: sono persone che spesso sono partite lasciandosi tutto alle spalle e che hanno bisogno di tutto. E’ stato impiantato un sistema di coordinamento che permette a ogni istituzione di rispondere secondo le proprie possibilità e il proprio campo d’azione.
D. – Come vedete il ruolo della Caritas nel contesto mediorientale attuale?
R. – Caritas, ces dernières années au Moyen Orient…
Caritas, in questi ultimi anni in Medio Oriente, è molto sensibile alle raccomandazioni del Sinodo per il Medio Oriente, di questo Sinodo che ha messo in evidenza il ruolo che i cristiani devono giocare nella loro società. I cristiani potrebbero sentirsi destabilizzati e avere quindi una presenza riservata quando invece avremmo vantaggio a essere più presenti, a sviluppare meccanismi di cittadinanza responsabile e a giocare il nostro ruolo nelle nostre società. Ci sono stati molti cristiani che hanno giocato un ruolo fondamentale nella costruzione della nostra società: non c’è veramente ragione perché questo non continui. Recentemente, il Papa ha parlato della "cultura della fiducia": credo sia qualcosa di molto importante e che bisognerebbe sviluppare. Le nostre Caritas cercano di mettere in pratica le raccomandazioni del Sinodo per il Medio Oriente. Aspettiamo l’Esortazione apostolica e credo che sia necessario prestarle molta attenzione, non soltanto in Medio Oriente ma insieme ad altre società che potranno accompagnarci in questo cammino.
◊ Il Papa ha ricevuto, stamani in Vaticano, il presidente del Montenegro, Filip Vujanović. Scopo principale della visita, informa una nota della Sala Stampa, “era lo scambio degli strumenti di Ratifica dell’Accordo di base fra la Santa Sede e il Montenegro”, a cui hanno proceduto il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e lo stesso presidente del Montenegro. Il servizio di Alessandro Gisotti:
L’Accordo, che era stato firmato nel 2011 – sottolinea il comunicato della Sala Stampa – “è frutto degli ottimi rapporti fra la Santa Sede e il Montenegro, stabilitisi fin dall’indipendenza del Paese”. Il documento riconosce, “nell’ambito civile, la personalità giuridica pubblica della Chiesa cattolica e delle sue principali istituzioni, la libertà e l’indipendenza nell’attività apostolica e nella regolamentazione delle materie di competenza specifica della Chiesa, nonché la libertà di culto e di azione in ambito culturale, educativo, pastorale e caritativo”. Nel corso dei colloqui, prosegue il comunicato, “è stato anche rilevato come l’Accordo rappresenti uno sviluppo positivo nel consolidamento dello Stato di diritto e dei principi democratici sui quali il Montenegro vuole fondare il proprio avvenire”. Inoltre, c’è stato “un fruttuoso scambio di vedute su temi di attualità internazionale e sulla situazione regionale”. In particolare, conclude la nota, “è stato confermato l’apprezzamento con cui la Santa Sede segue il cammino del Montenegro verso l’integrazione europea”. E’ emersa infine “la volontà di mantenere vivo lo spirito di collaborazione con un dialogo costruttivo su temi di interesse comune per la Chiesa e per lo Stato”.
Dunque, stamani, nella Sala dei Trattati del Palazzo Apostolico, il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e il presidente montenegrino, Filip Vujanović, hanno proceduto allo scambio degli strumenti di Ratifica dell'Accordo di Base tra la Santa Sede e il Montenegro, firmato in Vaticano il 24 giugno dell’anno scorso. Sui discorsi tenuti dal cardinale Bertone e il presidente montenegrino per l'occasione, il servizio di Alessandro Gisotti:
“Un giorno assai significativo per le relazioni tra Santa Sede e il Montenegro”: è quanto affermato dal cardinale Tarcisio Bertone nella cerimonia in Vaticano per la ratifica dell’Accordo di Base, firmato un anno fa. Santa Sede e Montenegro, ha detto il porporato, sono convinti che “l’esercizio della libertà religiosa di ogni singolo cittadino e delle comunità religiose in un quadro legale appartiene ai presupposti irrinunciabili dell’odierna cultura occidentale ed è condizione indispensabile per la tutela dei diritti umani in ogni latitudine del pianeta”. Il cardinale Bertone ha ribadito che “non è nelle intenzioni della Santa Sede di ricercare privilegi per la comunità cattolica”. Ed ha sottolineato che questo Accordo “non può che essere per il bene comune del Paese”. Ciò, ha osservato, “sembrava opportuno e anzi necessario, nel nuovo contesto politico e sociale del Montenegro dopo le epocali trasformazioni degli ultimi anni”. Dal canto suo, il presidente Vujanovic ha affermato che l’Accordo conferma gli “eccellenti rapporti bilaterali” con la Santa Sede, stabiliti dopo la ricostruzione del Montenegro indipendente nel 2006. “Con la sua posizione geografica e la sua storia – ha detto – il Montenegro è stato da sempre il ponte tra l’Oriente e l’Occidente e un pacifico e fruttuoso dialogo tra religioni, popoli, Stati e civiltà è un valore profondamente incorporato nelle sue fondamenta". Quindi, ha definito di “particolare importanza” il fatto che il Montenegro sia “il primo Stato con una popolazione a maggioranza ortodossa che ha firmato un tale Accordo con la Santa Sede, confermando anche in tal modo di essere uno Stato ecumenico e aperto al fruttuoso dialogo” tra le religioni.
Presentato in Vaticano l'Anno della Fede: un percorso per la Nuova Evangelizzazione
◊ E’ stato presentato stamani presso la Sala Stampa vaticana l’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI per il periodo 11 ottobre 2012 – 24 novembre 2013. L’Anno della fede, attraverso un calendario fitto di grandi eventi, ha lo scopo di sostenere la fede di tanti credenti – ha detto mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione – che nella fatica quotidiana non cessano di affidare la propria esistenza al Signore. Il servizio di Stefano Leszczynski:
“Solo credendo la fede cresce e si rafforza” (Pf7). Alla luce delle riflessioni contenute nella Lettera Apostolica Porta fidei, Benedetto XVI ha indetto un Anno della fede che avrà inizio in concomitanza con il cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano II (1962) e il ventesimo del Catechismo della Chiesa Cattolica (1992). Obiettivo principe dell’Anno della fede – ha spiegato il presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, mons. Rino Fisichella – è quello di sostenere la fede di tanti credenti che nella fatica quotidiana non cessano di affidare con convinzione e coraggio la propria esistenza al Signore Gesù:
"L’ultimo Anno della Fede è stato fatto nel 1968 e il desiderio era quello di ricordare il martirio dell’Apostolo Pietro secondo la tradizione. Non dimentichiamo che era il ’68 e il ’68 richiama alla mente di tutti un particolare momento nella storia. Quindi il Papa, in quella circostanza, volle concludere l’Anno della Fede con la professione di fede, volutamente realizzata, chiamata e ricordata ancora ai nostri giorni come il 'Credo del Popolo di Dio'. Quindi ci sono momenti straordinari, indipendentemente dai Giubilei; momenti straordinari in cui per circostanze peculiari, in questo caso il 50.mo di apertura del Concilio Vaticano II e il 20.mo anniversario del Catechismo della Chiesa Cattolica si è pensato di poterlo far diventare un momento, appunto, di riflessione soprattutto in un contesto di crisi generalizzata. Noi non ci nascondiamo che esiste una crisi di fede".
Nell’attuale contesto caratterizzato da un secolarismo – ha spiegato mons. Fisichella - che spinge a “vivere nel mondo come se Dio non esistesse”, l’Anno della Fede si propone come un percorso che la comunità cristiana offre ai tanti che vivono con la nostalgia di Dio e il desiderio di incontrarlo di nuovo. Gli obiettivi indicati dal Papa per l’Anno della Fede nella Lettera apostolica Porta fidei vengono ripercorsi con un programma che coinvolge la vita ordinaria di ogni credente e la pastorale ordinaria per dare vita alla nuova evangelizzazione. Al riguardo, la Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti ha approvato il formulario di una santa Messa speciale “Per la Nuova Evangelizzazione”. Un ruolo fondamentale nella trasmissione della fede e nel rinnovamento dello spirito missionario avranno nella viglia di Pentecoste tutti i movimenti, antichi e nuovi:
"Mi auguro che possa essere, ovviamente, una presenza estremamente significativa, anche perché l’Anno della Fede è un anno che spinge i movimenti a ritrovare nella nuova evangelizzazione un elemento di comune partecipazione per la crescita della Chiesa".
Il primo avvenimento dell’Anno della Fede sarà domenica 21 ottobre con la canonizzazione di 6 martiri e confessori della fede. Poi, tante le iniziative indirizzate ai giovani in vista della Gmg in Brasile ed ai laici anche attraverso l’esperienza delle Confraternite e della pietà popolare:
"La pietà popolare è un’espressione molto importante delle vita di fede, perché è quella vita di fede che si raccoglie in modo particolare, ad esempio, nei santuari. I santuari sono un luogo privilegiato di nuova evangelizzazione e sono degli spazi privilegiati anche per la fede. Ci sono milioni e milioni di persone che ogni anno frequentano i santuari, ma ci sono anche centinaia e centinaia di persone che vivono nelle confraternite".
L’Anno della Fede avrà poi un proprio logo a segnare tutti gli avvenimenti ufficiali e un proprio inno. Per essere informati su tutti gli avvenimenti collegati inoltre è stato approntato un sito Internet: www.annusfidei.va, in italiano, inglese, spagnolo, francese, tedesco e polacco.
◊ C’è grande attesa tra le popolazioni terremotate del Nord Italia, per la visita che Benedetto XVI compirà martedì prossimo. Se l’Emilia Romagna è la regione più colpita, molte altre province limitrofe hanno subito danni ingenti, in particolare a chiese ed abitazioni. Per questo, la visita del Papa è un segno di vicinanza e consolazione per tutti i terremotati, non solo quelli dell'Emilia. E’ quanto sottolinea il vescovo di Mantova, mons. Roberto Busti, intervistato da Antonella Palermo:
R. – Vediamo nel Papa non soltanto la vicinanza di parole o di preghiere, ma una vicinanza concreta, molto concreta, che con i vescovi abbiamo sperimentata subito dopo l’assemblea annuale della Cei, quando ha voluto vederci, ha voluto conoscere da noi quello che era successo. Eravamo solo all’inizio del terremoto, perché la seconda scossa è avvenuta qualche giorno dopo. Il Papa ha mostrato immediatamente un interesse concreto e ci ha fatto giungere un suo aiuto particolare, subito, per far fronte alle prime esigenze. Quindi, è con grande gioia ed anche con grande speranza che dico al Papa “grazie”, perché viene in questi luoghi, che sono stati tutti, indipendentemente dai confini, coinvolti. La sua visita, dunque, è di grande aiuto: è una visita di consolazione a tutte le persone che vivono questo momento di disagio così forte, così triste.
D. – Il Papa sarà in alcune località colpite, come segno di solidarietà a tutte le zone toccate dal sisma, tra Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, lo vogliamo ricordare...
R. – La mia diocesi è proprio confinante con l'Emilia Romagna. Tante volte, forse, nell’immaginario di tutti, la Lombardia termina con il Po. In realtà non è vero, c’è un Oltrepo mantovano che si spinge proprio direttamente verso queste terre dell’Emilia Romagna. Per esempio, nella mia diocesi, proprio nell’Oltrepo mantovano, abbiamo addirittura 127 chiese, più o meno danneggiate, e per alcune di queste si dovrà discutere se tenerle ancora o purtroppo abbatterle. Non è una cosa da poco abbattere una chiesa! La gente si chiede: “Ma come? La chiesa in cui sono stato battezzato, la chiesa dove mi sono sposato, la chiesa dove ho portato i miei defunti non c’è più, non deve esserci più?”. E’ come toccare il cuore...
D. – Come la Chiesa sta aiutando le persone colpite dal sisma?
R. – Noi stiamo aiutando, collaborando con i vari campi che la Protezione Civile ha aperto e che rimangono ancora aperti. La Caritas è lì proprio per l’accompagnamento diretto della popolazione con i volontari, con attività di ascolto, di animazione nei luoghi di accoglienza. I nostri oratori hanno preso subito l’avvio per tenere vicini i ragazzi. Stiamo pensando poi a mettere su dei centri di comunità, con delle strutture polifunzionali, per le attività sia liturgiche che sociali che ricreative, e stiamo vedendo di collocarli da una parte e dall’altra con l’aiuto di Caritas italiana.
D. – Che appello vuole fare ai microfoni della Radio Vaticana?
R. – L’appello da parte della mia diocesi, ma penso anche di tante altre, è quello di promuovere – il Papa stesso lo ha suggerito – qualche gemellaggio, il che non significa mettere a posto tutto, ma dare un aiuto a qualche comunità locale, proprio perché possano, almeno per prima cosa – è quello che stiamo tentando di fare – riaprire le chiese. Ecco, chiediamo di sentire questa dimensione di fraternità ecclesiale, che è una fraternità profondamente umana, perché le nostre strutture sono davvero il rifugio di tutti, anche di coloro che magari a questo fanno appello poco, ma sanno che in certi momenti lì possono andare, lì possono trovare una parola, lì possono trovare un aiuto.
◊ Si chiude domani a Rio de Janeiro il Vertice sullo sviluppo sostenibile, apertosi ieri, a 20 anni dallo storico Summit sulla Terra. Si tratta di un confronto a tutto campo sul futuro dell’ambiente, mentre i manifestanti del “Vertice dei Popoli” hanno sfilato nel centro della città brasiliana per riaffermare i propri diritti. Il servizio di Francesca Ambrogetti:
“Debole e senza ambizioni”: così, è stato giudicato da molti osservatori il documento in esame da ieri della Conferenza internazionale per lo sviluppo sostenibile "Rio+20". I capi di Stato e di governo riuniti a Rio de Janeiro hanno aperto un dibattito dal quale si spera emerga una risoluzione più forte e decisa. Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha attribuito la debolezza delle proposte al contrasto tra gli interessi dei diversi Paesi. Più ottimista Dilma Roussef, presidente del Brasile che ha detto: “Sono convinta che saremo all’altezza della sfida della situazione globale”. Vent’anni dopo il Vertice della terra la situazione ambientale è peggiorata, ma si è aperto un profondo dibattito; si continua a sperare che si traduca in obiettivi concreti economici, ambientali, e sociali. Non la pensano così gli esponenti del "controvertice" convocati da varie organizzazioni sociali, che hanno protestato ieri a Rio. Da loro, la denuncia che i governi continuano a puntare più allo sviluppo che alla difesa dell’ambiente e dei settori più deboli della società.
Intanto, l’Italia ha accolto la proposta della Cina di stanziare fondi per sostenere la promozione delle tecnologie innovative e sostenibili nei Paesi in via di sviluppo. Sul significato di questo incontro, Cristiane Murray, della redazione brasiliana della nostra emittente, ha intervistato il cardinale Odilo Pedro Scherer, arcivescovo di San Paolo e Inviato speciale del Papa al Vertice "Rio+20":
R. – E’ un grande palcoscenico, dove compaiono rappresentanti di tutte le nazioni, anche se qualche capo di Stato importante non è venuto. Ci sono stati giorni di negoziazioni tra le commissioni rappresentative degli Stati ed anche la rappresentanza della Santa Sede ha lavorato sodo, perché si arrivasse ad un documento di consenso. La speranza è che questo documento rappresenti un passo in avanti, per quelle mete fondamentali, importanti, che si devono raggiungere, e cioè la preservazione della vita, che non può essere estromessa, e, dall’altra parte, lo sviluppo sostenibile, in particolare delle nazioni più povere, che hanno bisogno di essere sostenute dalle nazioni sviluppate, che possono e devono aiutare i Paesi meno sviluppati.
D. – Quindi la Santa Sede ha anche un determinato peso in queste negoziazioni, non è solo un’osservatrice?
R. – La Santa Sede è Osservatore permanente all'Onu, ma qui non si tratta dell’Onu, si tratta di una conferenza di nazioni. Qui a Rio la Santa Sede è, quindi, presente a titolo pieno, anche nelle negoziazioni, non solo come osservatore: ha la parola, interviene ed è intervenuta nelle negoziazioni per arrivare a un risultato.
◊ Solo nel 2011, oltre duemilia persone hanno perso la vita nella traversata per raggiungere l’Europa. A loro e ai tanti che continuano a mettere a repentaglio la vita per sfuggire alla fame e alle persecuzioni è dedicata “Morire di speranza”, veglia di preghiera ecumenica, organizzata da Comunità di Sant’Egidio, Centro Astalli, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Fondazione "Migrantes", Caritas Italiana ed Acli. Per l’occasione, il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del dicastero per i Migranti e gli Itineranti, pronuncerà un'omelia di cui vi anticipiamo i passaggi principali nel servizio di Marco Guerra:
L’ennesima tragedia nel Canale di Otranto, in cui hanno perso la vita sette migranti, “deve farci riflettere su ciò che sta accadendo intorno a noi”. Prende spunto dagli ultimi fatti di cronaca l’omelia del cardinale Vegliò dedicata a quanti via mare o attraversando il deserto cercano di approdare nei Paesi sviluppati portando “con sé il sogno di un nuovo inizio”. Viaggi rischiosi - sottolinea il porporato - durante i quali “spesso cadono vittime dei contrabbandieri”; criminali che spesso li lasciano soli, a bordo di vere e proprie carrette del mare. A tali pericoli si aggiunge poi il mancato soccorso di migranti alla deriva da parte dei mezzi navali dei Paesi europei, che porta a concludere questi viaggi in “disastri”. Per il presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti, questo accade anche perché “molti governi hanno risposto all'arrivo dei rifugiati e dei richiedenti asilo con politiche restrittive, abbassando gli standard umanitari allo scopo di rendere più difficile l’ingresso”. “Attualmente – afferma ancora il porporato -, senza visto, è quasi impossibile arrivare in aereo in un Paese europeo e chiedere asilo. Di conseguenza, i rifugiati sono costretti ad affidarsi ai trafficanti di persone”. Tutto ciò va a scapito delle tre “soluzioni durature” individuate dal cardinale, ossia “il rimpatrio volontario, il reinsediamento e l'integrazione”. Per questo motivo, il cardinale Vegliò rilancia l’appello del Papa a “rispettare i diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo e che essi possano presto ricongiungersi con i propri cari”. Il porporato infine risponde all’interrogativo su cosa può fare la comunità cristiana di fronte questo fenomeno, indicando il messaggio di conforto e speranza diffuso dal Vangelo. “Non sono richiesti particolari sforzi – precisa il presidente del dicastero vaticano - ma qualcosa che è alla portata di tutti e cioè praticare le ‘opere di misericordia’”. “Se vogliamo unirci a Gesù - prosegue -, dobbiamo cominciare ad unirci a quanti sono al margine della società”. “Alla fine – conclude - ognuno di noi dovrà rispondere a questa realtà”.
Sul significato della Veglia di stasera, Patricia Ynestroza ha intervistato il padre gesuita Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli:
R. - La veglia è per far memoria delle persone che sono state costrette a lasciare il proprio Paese scappando, e hanno perso la vita in mare. Noi non sapremo mai il numero reale delle persone che sono morte nel Mediterraneo o nel tentativo di attraversare il deserto. Queste persone vanno ricordate soprattutto per dire a chi ha il dovere di governare questo fenomeno, che bisogna aprire gli occhi e non essere più indifferenti: aiutando quindi le persone costrette a scappare, affinché per loro sia possibile - in sicurezza – giungere in quei Paesi firmatari della Convenzione di Ginevra per esercitare il loro diritto all’asilo politico.
D. - Qual è la situazione dei rifugiati e degli immigrati in Italia?
R. – La difficoltà dei rifiugiati che arrivano in Italia è soprattutto quella di arrivare in un Paese dove manca un sistema unitario definito per la loro accoglienza, che deve essere dignitosa e rispettosa dei loro diritti.
Mons. Franco: nessun cambiamento di posizione della Santa Sede su Gerusalemme Est
◊ Tra i temi affrontati nell’assemblea della Roaco, in questi giorni a Roma, anche la situazione in Terra Santa. Manuella Affejee, della redazione francese della nostra emittente, ha chiesto un commento all’arcivescovo Antonio Franco, nunzio apostolico in Israele e delegato apostolico in Palestina a fine mandato, a proposito di alcune voci riportate dalla stampa su un possibile cambiamento di posizione della Santa Sede su Gerusalemme Est:
“Vorrei dire che non c’è niente da chiarire, perché la posizione della Santa Sede su Gerusalemme Est è molto chiara! È stata affermata nell’Accordo di Base con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina nell’anno 2000, e sarà ancora richiamata se si porterà a conclusione l’Accordo che stiamo discutendo adesso con i palestinesi. Non ha niente a che vedere con l’Accordo che stiamo elaborando con Israele, perché questo riguarda la situazione della Chiesa in Israele, soprattutto riguarda la questione fiscale e le attività della Chiesa in Israele. Non c’è determinazione geografica, non c’è assolutamente riferimento a edifici o ad altre località in Gerusalemme Est. Quindi, non c’è nessun cambiamento. Questo è stato ben precisato ai nostri amici palestinesi”.
◊ Il Papa ha ricevuto stamani l’arcivescovo Nikola Eterović, segretario generale del Sinodo del Vescovi.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ In prima pagina, l'appello del Papa perché cessino le sanguinose violenze in Siria.
Nell'informazione internazionale, lo scambio degli strumenti di ratifica dell'Accordo di base fra Santa Sede e Montenegro.
Un'amicizia dalle radici antiche: in cultura, l'arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, alla conferenza, a Roma, per i vent'anni dei rapporti diplomatici fra Georgia e Santa Sede.
L'inquietudine del Precursore, crocevia tra due mondi: Silvia Guidi sul San Giovanni Battista di Giuseppe Ducrot che ha preso il posto della statua di Houdon nella basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri.
Dove s'annida il diavolo: Leonardo Lugaresi sull'attualità della seconda rinuncia battesimale nella Chiesa antica.
La rosa dei venti dell'arte: Antonio Paolucci sull'ottava edizione, ad Arezzo, del progetto "Piccoli grandi musei" dedicata alla valorizzazione delle eccellenze artistiche italiane.
Per non morire di speranza: nell'informazione religiosa, il cardinale Antonio Maria Vegliò alla celebrazione ecumenica, nella basilica di Santa Maria in Trastevere, in memoria delle vittime dell'immigrazione.
Per l'uomo che ha nostalgia di Dio: nell'informazione vaticana, la presentazione dell'Anno della fede.
Egitto: blindati presidiano Il Cairo, rimandati i risultati delle presidenziali
◊ Sale la tensione in Egitto. I risultati ufficiali delle presidenziali attesi per oggi sono stati rimandati a data da destinarsi. Intanto, la giunta militare ha convocato il Consiglio nazionale di difesa ed i mezzi blindati presidiano il centro del Cairo. I Fratelli Musulmani hanno assicurato che non ci saranno fiammate di violenza se la Commissione elettorale dovesse proclamare vincitore delle presidenziali Ahmed Shafiq, ex premier del regime Mubarak, che nel ballottaggio dello scorso fine settimana ha sfidato il loro candidato, Mohammed Mursi. Massimiliano Menichetti ha parlato della situazione nel Paese con lo storico Claudio Lo Jacono, presidente dell’Istituto per l’Oriente:
R. – La situazione è completamente in mano ai militari, com’è sempre stato dalla cosiddetta “primavera araba”. L’Egitto, come già tanti anni fa un grande studioso, Abd al-Malik sottolineava, è una società militare, militarizzata fino in fondo, anche nei suoi aspetti apparentemente civili. Per cui il potere che ora doveva essere consegnato dal Consiglio militare egiziano agli organi eletti è entrato in uno stato di sospensione.
D. – Però è stato di fatto prima istaurato e poi convocato il Consiglio nazionale di difesa e mezzi blindati presidiano tuttora il centro del Cairo…
R. – Il Consiglio nazionale di difesa vuole dare dimostrazione di avere il controllo del Paese: quello che vuole evitare - a tutti i costi - è il precipitare dell’Egitto in una situazione di caos generalizzato. Gli stessi Fratelli Musulmani hanno fatto delle dichiarazioni non esplosive da questo punto di vista: hanno parlato di eventuale imbroglio, ma non di chiamata all’insurrezione. Ora si guarderà ai circa 400 ricorsi per brogli avvenuti in questa tornata decisiva. Si è in una situazione nella quale il tempo gioca contro il Consiglio nazionale di difesa che avrebbe voluto, forse, una vittoria di Shafiq. Di fronte ad una possibile - probabile dicono molti osservatori - vittoria dei Fratelli Musulmani il quadro è dunque abbastanza pesante.
D. – Come si profilano i due candidati in politica estera?
R. – Il Consiglio nazionale di difesa è sicuramente filooccidentale. Shafiq, il vecchio presidente del Consiglio all’epoca di Mubarak, che passa ora per essere un liberista, tutto sommato è stato il braccio esecutivo di un dittatore che ha governato l’Egitto per 29 anni; al contrario di Mursi dei Fratelli Musulmani, perché i Fratelli Musulmani, sia pure non terroristi, costituiscono una componente importante della popolazione egiziana non certo filooccidentale.
D. - I militari hanno garantito che restituiranno il potere entro il 30 giugno, appena si saprà con certezza chi sarà eletto presidente…
R. – Avverrà senz’altro se decideranno di far vincere Shafiq. Ho delle forti perplessità se dovranno accondiscendere all’elezione di Mursi. In questo caso c’è il tempo sufficiente per un accordo – diciamo - extra-parlamentare tra i vertici militari e lo stesso Mursi: va bene diventi presidente, però attenzione perché la sua politica non potrà andare a cozzare contro quella che è stata la politica degli ultimi decenni dell’Egitto, che è poi il polo di tutto il mondo arabo e assolutamente non evitabile in qualsiasi consultazione o riassetto territoriale dell’area.
D. – In questo scenario c’è anche il mistero dello stato di salute dell’ex presidente Mubarak. Ha a che fare con l’incertezza nel Paese?
R. – Si fa un grande discutere in Egitto se nel caso di morte effettiva dell’ex presidente, gli si debbano rendere gli onori con un funerale militare: questo mi sembra del tutto da escludere, perché sarebbe considerata una provocazione da parte di tutti coloro che non solo sono scesi in piazza, ma che si aspettano di girare pagina. Infondo, la sua morte è relativa dal punto di vista politico, poiché politicamente era già scomparso da un anno e mezzo. Per cui dal punto di vista concreto non credo ci sia relazione tra l’incertezza della morte e la situazione nel Paese. E’ senza dubbio un elemento in più di emotività, ma tutto sommato i seguaci di Mubarak, credo, facciano affidamento sul Consiglio nazionale di difesa e non tanto su altri personaggi.
◊ Una sentenza che va contro l’obiezione di coscienza e che ci richiama ancora di più ad un impegno in favore della vita. Così, Lucio Romano presidente dell’associazione pro-life "Scienza e Vita" sulla decisione della Corte Costituzionale che ha dichiarato “manifestamente inammissibile”, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge n. 194 sull'aborto. Il caso era stato sollevato dal Giudice Tutelare del Tribunale di Spoleto dopo la richiesta di una sedicenne di abortire senza il permesso dei genitori. In realtà l’articolo non si riferisce alle minorenni, ma riguarda le circostanze che legittimano l'interruzione di qualsiasi gravidanza. Il giudice faceva appello, tra le altre cose, ad un pronunciamento della Corte di Giustizia europea che definisce l'embrione come ''soggetto da tutelarsi in maniera assoluta''. Si dovranno attendere ora le motivazioni per capire la natura della decisione della Consulta. Al microfono di Massimiliano Menichetti, lo stesso presidente di "Scienza e Vita", Lucio Romano:
R. – Era prevedibile che la Corte Costituzionale rigettasse l’istanza del giudice del Tribunale di Spoleto. D’altra parte questo non vuol significare che si deroghi dall’impegno da parte di tutte le realtà associative e non a difesa e a tutela della vita, ma soprattutto a porre un argine ad un tentativo - nemmeno tanto recondito, ma piuttosto esplicito – di mettere in discussione un diritto costituzionale, che è quello dell’obiezione di coscienza.
D. - Perché dice che era una decisione prevedibile?
R. – Era prevedibile sia sotto il profilo giuridico, sia sotto il profilo sostanziale, sia sotto il profilo formale. Quello che a noi interessa particolarmente è che ci sia la possibilità da parte di laici e cattolici di intervenire, attraverso un dialogo costruttivo e virtuoso, attraverso delle procedure che avviino al riconoscimento democratico della tutela della vita e del fondamento del diritto alla vita di una civiltà che possa essere rispettosa di tutti e soprattutto dei più fragili e indifesi.
D. – Il ricorso guardava anche al pronunciamento della Corte di giustizia europea che definisce l’embrione come soggetto da tutelarsi in maniera assoluta…
R. – La Corte di giustizia europea si è espressa in maniera inequivocabilmente chiara sulla soggettività dell’embrione e quindi questo rappresenta un punto di riferimento ineludibile per qualsiasi dialettica legislativa e culturale.
Giornata nazionale per la lotta contro le leucemie. Intervista al prof. Mandelli
◊ Ritorna, oggi, la “Giornata Nazionale per la lotta contro leucemie, linfomi e mieloma”, promossa dall’Ail, associazione impegnata nella ricerca, nella cura e nel sostegno dei malati di queste forme tumorali e delle loro famiglie. Nella conferenza stampa, tenuta ieri a Roma, è stato presentato il numero verde messo a disposizione per la Giornata, l’800.22.65.24, per chiedere informazioni sulle terapie e si è dato conto dei successi più recenti, in particolare riguardo alla leucemia meloide cronica. Al microfono di Adriana Masotti, l’ematologo Franco Mandelli, presidente nazionale dell’Ail:
R. – La leucemia mieloide cronica era una malattia in cui le cure consistevano solo nel trapianto di midollo perché non c’erano farmaci attivi. Poi è stato identificato un farmaco, che agisce a livello molecolare, quindi, blocca la trasformazione leucemica. Con queste terapie si deve andare avanti per molto tempo, ma il trapianto di midollo non esiste più, se non eccezionalmente, perché la cura dà dei risultati incredibilmente buoni. Questo riguardo alla leucemia mieloide cronica. Però, ci sono tante altre malattie tumorali del sangue in cui abbiamo realizzato, nel mondo, delle acquisizioni scientifiche che hanno cambiato la cura delle malattie e quindi la prognosi. Ci sono malattie che guariscono addirittura nella stragrande maggioranza dei casi, ma anche se non si arriva sempre alla guarigione, si arriva alla cura.
D. - Tutti questi progressi incentivano anche la generosità di tanti, che in questa occasione della Giornata, viene chiamata in causa. Ma c’è un’altra iniziativa: un numero verde, attivo dalle 8.00 alle 20.00, a cui risponderanno illustri ematologi italiani -anche lei- sulle richieste dei malati stessi. Vuol dirci qualcosa su questo?
R. - Ci si potrebbe domandare: se nei centri di ematologia i medici, i biologi, gli infermieri sono bravissimi, che bisogno c’è di creare una linea in cui non si paga nulla e si può parlare con grandi esperti? Il motivo è semplice: in ospedale, il tempo a disposizione per parlare con un malato è molto limitato; ma a parte questo, il malato può vergognarsi di fare domande al suo medico. Invece, al telefono, non ha bisogno di dire il suo nome; quindi i malati parlano liberamente e si sentono tranquilli dopo aver ricevuto risposte che li soddisfano. In altre parole si tolgono dei dubbi. E questi dubbi, qualche volta, rendono la vita del malato non bella.
D. - Concludiamo con un’altra iniziati dell’Ail: “Sognando Itaca”: che cos’è?
R. - È veramente un sogno. Ma noi lo abbiamo realizzato organizzando mini crociere all’inizio lungo tutte le coste italiane, quest’anno lungo l’Adriatico. I malati che vi prendono parte, quando sono in barca non pensano più alla loro malattia, ma pensano alla libertà che dà il mare, che dà il vento, che danno le onde. Quindi è una specie di terapia contro la depressione che può comportare una malattia qualche volta anche grave. Posso finire facendo un appello? Non dobbiamo dimenticarci di una cosa meravigliosa: quella di donare il proprio sangue. Perché il sangue, serve per tutti i nostri malati ematologici, ma può servire dopo un incidente, prima di un intervento chirurgico… La donazione del sangue può salvare una vita. Quindi invito tutti, giovani e meno giovani, a diventare donatori di sangue.
Giovani e formazione al centro del IX Simposio dei docenti universitari
◊ “Giovani, formazione ed Università”, è il tema del IX Simposio Internazionale dei docenti universitari promosso dall’Ufficio diocesano per la Pastorale Universitaria, che si apre oggi pomeriggio a Roma. L’incontro, che si concluderà sabato, vede la presenza di oltre 500 docenti provenienti da tutto il mondo e di 100 relatori. La riflessione del prof. Cesare Mirabelli, presidente del comitato scientifico del Simposio al microfono di Marina Tomarro.
R. – Il IX Simposio dei docenti universitari ha una caratterizzazione un po’ diversa rispetto ai precedenti, perché è centrato molto sui giovani e sulla loro presenza nella società. Quindi, è l’università che si apre in qualche modo a considerare non solamente i problemi della ricerca e della formazione come fatto dei docenti, ma con una responsabilità nei confronti delle nuove generazioni e un’apertura a come esse possano inserirsi nel mondo del lavoro e della ricerca ed essere valorizzate in questo.
D. – Secondo lei, dove e in che cosa le università dovrebbero innovarsi per aiutare meglio i giovani ad andare incontro al mondo del lavoro?
R. – Devono innovarsi, considerando i giovani, anzitutto, non solamente come dei discenti, ma come coloro che partecipano alla vita universitaria. Devono innovarsi anzitutto orientandoli nella scelta dei percorsi formativi, che sono più idonei rispetto alle loro esigenze e anche alle loro attitudini e nel corso dei loro studi, non lasciarli, come spesso avviene, isolati, in qualche misura, non accompagnati nell’uso delle potenzialità formative che l’università ha. C’è da dire che l’università italiana, nel suo complesso, ha un buon livello di formazione. Lo vediamo quando i giovani laureati nelle nostre università si aprono ad una competizione internazionale, svolgono attività di ricerca in centri di eccellenza, al di fuori del nostro Paese, e quindi non in un’atmosfera diremmo chiusa, nella quale non vi è competizione. Vi è, quindi, una buona fascia di giovani, che è molto preparata.
D. – La Chiesa in che modo può aiutare l’università, a portare avanti questo compito?
R. – Se si ha una concezione dell’università non solamente come momento di apprendimento, di conoscenze, in chiave tecnica strumentale, ma di crescita formativa, allora è un ambiente che certamente non può essere estraneo alla Chiesa. La Chiesa per sua natura ha carattere universale. L’università tende a questo, ad un’universalità del sapere, e questo porta ad una vicinanza. Forse si può sottolineare un elemento ancora ulteriore: chi fa ricerca universitaria, chi fa ricerca in senso generale, è orientato a verificare la verità delle cose. Mi pare che questo sia anche un obiettivo della Chiesa: formare e mostrare la verità delle cose.
Le inquietudini della fede in un libro-intervista con i cardinali Scola e Ravasi
◊ Il trascendente, la fede, la ricerca del fine ultimo dell’esistenza. Questi i temi del volume “Le inquietudini della fede”, edito da Marcianum Press e presentato oggi ai Musei Vaticani. Il libro raccoglie una serie di interviste curate dal regista Salvatore Nocita a grandi personalità del mondo della Chiesa e della cultura ed è stato ispirato dal suo film “La strada di Paolo”, presentato allo scorso Festival del Cinema di Roma e prodotto da Officina della Comunicazione e Fai Service, in collaborazione con il Ponitificio Consiglio della Cultura, "Rai cinema" e Fondazione ente dello Spettacolo. Sui i temi e le ragioni di questo libro, Michele Raviart ha intervistato mons. Dario Edoardo Viganò, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo e autore della prefazione al volume:
R. – Il libro nasce, a partire dalla produzione di un film, “La strada di Paolo”, di Salvatore Nocita, e dal desiderio di far riflettere alcuni personaggi sull’idea del cammino, cioè del viaggio, dell’essere “homo viator”, alla ricerca di qualcuno o di qualcosa. Quindi, il libro è appunto configurato come un insieme di interviste, che hanno domande molto simili per tutti gli intervistati, con risposte che muovono su percorsi differenti, che convergono sull’idea che l’uomo non è un viandante, ma vuole essere un pellegrino; sono diverse le distanze tra ciascuna persona e il punto di approdo, ma il cammino è nella direzione giusta.
D. – Quali sono gli interventi che l’hanno più colpita?
R. – Innanzitutto, due pastori della Chiesa: il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, come pure il cardinale Ravasi, uomo di grande cultura. Certo, non ci sono solo i pastori, e penso a Lucetta Scaraffia, docente universitaria, che in un’intervista mostra la capacità di leggere dentro la professione della docenza, l’inquietudine dei giovani e di confrontarla con la propria personale inquietudine. Penso ad un artista come Roberto Vecchioni o anche ad un non credente, come Salvatore Natoli.
D. – Il cardinale Scola parla del tormento dell’uomo, capace dell’infinito e costretto alla finitudine. Il cardinale Ravasi si sofferma sulla necessità dell’uomo di essere aiutato dall’alto per comprendere il trascendente. Sono queste le inquietudini della fede?
R. – Le inquietudini sono oggi quelle che muovono il cuore dell’uomo da sempre, penso al problema del male, al problema della salvezza, al problema dell’incontro, del “meticciato” di culture, come ama chiamarlo il cardinale Scola; sono le inquietudini che ciascuno di noi incontra e con le quali deve fare i conti giorno dopo giorno, appunto la fatica del vivere, mettere insieme questi pezzi di esistenza rispetto ad un cammino, che nella cultura occidentale è un cammino metafisico, che riconosce il tempo che passa e gli spazi attraversati come avvicinamento continuo a quel luogo unico, grande che è il luogo del mistero di Dio, e proprio perché è il luogo del mistero di Dio è anche il luogo del mistero dell’uomo.
D. – Il libro è stato ispirato dal film “La strada di Paolo”, una storia ambientata a Gerusalemme, che parla di un “Paolo” di oggi, del suo viaggio e della sua conversione. Come il cinema può aiutare a parlare di fede?
R. – Il cinema è una grande storia, sono dei racconti, e noi sappiamo che quando incontriamo le persone, chiediamo in genere, dopo che entriamo in confidenza: “raccontami qualcosa di te”. Il racconto è esattamente l’esperienza in cui ciascuno racconta la propria identità. Quindi, il cinema in fondo racconta le identità di una cultura, di un popolo, racconta le identità personali. In questo senso, il cinema è particolarmente fecondo come luogo di confronto e di dialogo con l’esperienza della fede.
"Fa suonare la campana": l'audiolibro dedicato a don Tonino Bello
◊ “Fa suonare le campane”: è il titolo dell’audio-libro su don Tonino Bello, presentato oggi nella Sala Marconi della Radio Vaticana e frutto della collaborazione tra "Caritas Italiana" e il Centro Europeo Risorse Umane. C’era per noi, Benedetta Capelli:
"Ho letto da qualche parte che gli uomini hanno un'ala soltanto: possono volare solo rimanendo abbracciati…."
E’ la voce di Michele Placido ad aprire l’audiolibro dedicato al Servo di Dio, don Tonino Bello, scomparso nel 1993 dopo una vita intensa nella quale, tra le tante cose, fondò il movimento “Pax Christi”. Memorabile la marcia della pace alla quale partecipò, un anno primo di morire, partendo da Ancona e arrivando nella martoriata Sarajevo. "Profeta della pace" o "vescovo della tenerezza": sono tante le definizioni assegnate a don Tonino ma di lui si ricorda soprattutto la semplicità. Mons. Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana:
“Il titolo stesso dell’audiolibro è così semplice: ‘Fa suonare le campane’. Ad una bambina che gli chiedeva “Chi è il vescovo?” rispondeva “E’ colui che fa suonare la campana”. E’ bellissimo, noi possiamo sorridere, possiamo anche ridere, però bisogna dargli un significato profondo, il significato contenuto nella campana stessa come suono di raccordo e di raccolta delle persone, richiamando quello che era una credenza nella pietà popolare, la voce di Dio. Ecco, don Tonino proprio Santo, voce di Dio, che travalicando il tempo e ogni forma di società si fa freschezza per l’uomo e le persone di oggi”.
Uomo di straordinaria capacità comunicativa con una dote innata: coniare espressioni nuove, pregnanti, di grande impatto ma soprattutto ricche di un significato profondo. E’ il caso della “Chiesa del grembiule”:
“E’ la dimensione autentica della Chiesa. La Chiesa nasce lì, è viva e si esprime proprio nella dimensione del grembiule, perché richiama Gesù Cristo che fa l’Eucaristia e che volendo trasmettere il senso autentico dell’Eucaristia si fa servitore di tutti. Ecco che cos’è l’Eucaristia: essere al servizio di tutti, ma non con un servizio qualsiasi, proponendosi come servizio, persona al servizio, perché la vita è servizio”.
"Questa sera, Signore, voglio pregarti ad alta voce. Tanto all’infuori di te, non mi sente nessuno anche l’ultima coppia di innamorati se n’è andata…"
Oltre a Michele Placido, gli scritti sono affidati alla lettura di attori, giornalisti e anche al giovane calciatore Andrea Poli, centrocampista dell’Inter. Un mosaico che si avvale della collaborazione del cantante Niccolò Fabi e che è stato prodotto per raccontare don Tonino come pastore di anime. Lo sottolinea Roberto Tietto, del Centro Europe Risorse Umane, curatore dell’audiolibro:
“Da qui allora abbiamo alternato delle vere e proprie poesie che lui ha fatto ad altri, scritti o stralci di omelie, soprattutto legate all’ultimo periodo della sua vita terrena, quindi arricchita da una prova fisica che stava vivendo. Davvero l’esperienza che facciamo, al di là dell’aspetto prettamente tecnico e produttivo, è una grande esperienza personale, direi quasi spirituale, perché per mesi entriamo non solo culturalmente, ma anche con l’anima, nel nuotare nella vita di questi personaggi, che sono veramente straordinari e sono tutti, ognuno nel proprio ambito, dove ha operato, di grandissima attualità”.
Un’attualità evidenziata anche da mons. Francesco Soddu:
“E’ l’autorità dei Santi, che travalicano ogni epoca, ogni tempo, ogni circostanza, e si propongono come freschezza della Parola di Dio in atto. Ecco, questo può dirsi di don Tonino Bello, può dirsi di qualsiasi altra persona incamminata nella strada della santità, così come dovrebbe essere di ogni cristiano. Ecco, perché la figura di don Tonino Bello è molto attuale e sentita viva da tutti”.
Siria: tregua a Homs, ma i civili non possono ancora lasciare la città
◊ E’ tregua fra esercito siriano e ribelli: dopo lunghi e difficili negoziati, è stato raggiunto un accordo di cessate-il-fuoco per consentire l’uscita dei civili intrappolati a Homs. Tuttavia, riferiscono fonti dell'agenzia Fides a Homs, l’evacuazione non è ancora iniziata perché i ribelli non hanno ancora dato il “via libera”, mentre testimoni locali riferiscono di colpi di mortaio sulla città anche questa mattina. Secondo l’accordo, la tregua dovrebbe durare per l’intera giornata di oggi e poi, nei prossimi giorni, per due ore al giorno, al mattino. Nel negoziato fra le parti sono coinvolte la Croce Rossa Internazionale, la Mezzaluna Rossa e alcuni sacerdoti cristiani vicini alle famiglie dei civili intrappolati, esponenti del movimento interreligioso per la riconciliazione “Mussalaha”. Come riferiscono fonti di Fides a Homs, i civili sono circa 800 (400 cristiani e 400 musulmani sunniti), nei quartieri di Hamidiyeh e Bustan Al Diwan. A costoro si aggiungono altre mille famiglie, tutte musulmane, che si trovano nell’area di Khalidiyeh, ma anche di Warcheh e Salibi. I civili sono assistiti da alcuni sacerdoti cristiani cattolici e ortodossi, che intendono facilitare le operazioni di salvataggio. “La tregua ci dà una speranza, ci appelliamo ora a tutti perché possa iniziare la sospirata uscita dei civili, fra i quali donne, bambini sotto i dieci anni, anziani bisognosi di cure” dice a Fides il sacerdote greco cattolico padre Abdallah Amaz, che si trova ad Homs. Da altri quartieri della città, intanto, molte famiglie stanno fuggendo, trasferendosi soprattutto a Jaramana, area residenziale alle porte di Homs, a maggioranza cristiana e drusa. La Chiesa siriana ha lanciato un appello per l’assistenza di almeno 500 famiglie di profughi cristiani fuggiti da Homs nei mesi scorsi che hanno trovato rifugio a Marmarita, vicino al confine libanese, per i quali si sta facendo ogni sforzo per fornire cibo, alloggio temporaneo e assistenza medica. (R.P.)
Nigeria: ancora roghi e violenze a Kaduna
◊ A Damaturu è stato parzialmente revocato il coprifuoco, ma a Kaduna, l’altra città della Nigeria settentrionale epicentro della crisi cominciata domenica, non si fermano le rappresaglie indiscriminate: lo dicono all'agenzia Misna missionari, che riferiscono in particolare di chiese bruciate e roghi di case di musulmani. Secondo il portavoce dell’amministrazione dello Stato nord-orientale di Yobe, da oggi gli abitanti di Damaturu possono muoversi liberamente dalle dieci di mattina alle quattro del pomeriggio. La misura sembra riflettere quello che alcuni giornali definiscono “un ritorno alla calma” in una città sconvolta da due giorni di scontri a fuoco tra soldati e militanti del gruppo armato Boko Haram. Secondo il portavoce dello Stato di Yobe, nella battaglia sono state uccise almeno 40 persone, per lo più civili. In una nota diffusa su internet, un presunto portavoce di Boko Haram ha rivendicato una serie di agguati a caserme di polizia e basi dell’esercito. L’offensiva di Damaturu, si sostiene nel comunicato, si inserirebbe nel tentativo di “rovesciare un governo ingiusto e miscredente e sostituirlo con un sistema islamico”. La tensione resta alta anche a Kaduna, una città circa 500 chilometri a ovest di Damaturu. Secondo le fonti della Misna, nonostante il coprifuoco le rappresaglie innescate dall’attentato dinamitardo che domenica ha colpito la Sharon Pentecostal Church sono continuate ancora ieri. “Nelle strade del centro – dice un missionario – si vedono solo militari e poliziotti ma dai quartieri di periferia continuano ad arrivare telefonate raggelanti: quattro chiese date alle fiamme solo ieri nell’area di Malili, roghi di case di musulmani in altre zone a maggioranza cristiana”. Come conferma una corrispondenza del giornale The Vanguard, i quartieri più caldi sono Bardarawa e Barnawa, entrambi situati a nord del fiume che attraversa la città. “Si ripete – dicono alla Misna – più o meno lo stesso schema: nelle zone a maggioranza musulmana e fulani sono prese di mira le chiese, mentre nelle aree per lo più cristiane o igbo ce la si prende con i vicini di casa di fede islamica, rischiando di distruggere anni di amicizia e rapporti cordiali”. (R.P.)
I vescovi brasiliani a Rio+20: non escludere i poveri condannati alla miseria
◊ “La Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb), si attende che l'incontro Rio+20 confermi l'impegno della costruzione di un ‘modello di sviluppo alternativo, integrale e solidale, basato su un'etica che includa la responsabilità per un'autentica ecologia naturale e umana, che si fonda nel Vangelo della giustizia, della solidarietà e della destinazione universale dei beni, che superi la logica utilitaristica e individualistica che non sottomette i poteri economici e tecnologici ai criteri etici’ (V Conferenza generale dell'episcopato dell'America Latina e Caraibi - documento di Aparecida n. 474c).” Riprendendo il documento di Aparecida, i vescovi del Brasile hanno voluto offrire il loro contributo in occasione della Conferenza Rio+20, che si tiene nella città di Rio de Janeiro. Nel messaggio - riporta l'agenzia Fides - si sottolinea che già nella Conferenza di Aparecida, nel 2007, i vescovi dell’America Latina e dei Caraibi avevano denunciato la necessità di “ripensare il rapporto dell’uomo con l’ambiente, in quanto spesso si subordina la preservazione della natura allo sviluppo economico”. E’ dovere di tutti, specialmente di quanti guidano le nazioni, garantire alle generazioni presenti e future, una casa comune, “il pianeta terra”, che sia integro e non sottoposto alla distruzione. Tale obiettivo si potrà raggiungere “con la subordinazione dello sviluppo economico alla giustizia sociale, nel rispetto della persona, della natura e dei popoli”. Secondo la Cnbb ognuno, e in primo luogo i governanti del mondo, “deve assumersi con coraggio e determinazione l'impegno di rivedere modi e decisioni che, nel corso della storia, hanno escluso e condannato i poveri alla miseria e alla morte”. La Chiesa del Brasile, soprattutto attraverso la Campagna di Fraternità, ha richiamato costantemente l’attenzione sulla “distruzione della natura provocata da uno sviluppo economico predatorio, alimentato da uno stile di vita consumista” che ha avuto, tra le altre conseguenze, la deforestazione, l'inquinamento, la scarsità d'acqua e il cambiamento climatico. “Coloro che stanno soffrendo l'impatto di tutto questo sono i poveri e gli esclusi” sottolinea il documento dei vescovi, che ribadisce: “E’ imperativo educarci a rapporti nuovi ed etici con l'ambiente”. Il documento, firmato dal presidente, dal vicepresidente e dal segretario generale della Cnbb, si conclude con questa esortazione: “I cristiani in modo particolare, mossi dalla solidarietà che genera fraternità e comunione, sono chiamati a lavorare per la conservazione dell'ambiente e a collaborare nella costruzione di una società giusta, ecologicamente sostenibile". (R.P.)
Rio+20. Comece: la crescita economica non sia l’unico obiettivo dello sviluppo umano
◊ Sostenibilità, responsabilità, sviluppo, cooperazione, conversione dei cuori e delle menti: sono le parole-chiave dell’appello lanciato dalla Comece (Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione Europea) a Rio+20, la conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile che si è aperta ieri a Rio de Janeiro. A lanciare l’appello è stato il card. Reinhard Marx, in qualità di presidente della Comece, il quale ha pronunciato un intervento dal titolo “Responsabilità comune per il mondo di domani”. “Dal punto di vista cristiano – ha detto il porporato – il riconoscimento della dignità umana è alla base di ogni sviluppo sostenibile”. In questo senso, “la sostenibilità come principio di uno sviluppo umano integrale ha l’obiettivo di trovare un equilibrio tra i bisogni sociali, economici e ambientali”, senza per questo “mettere a rischio le scelte di vita delle generazioni future”. Di qui, l’invito del cardinale Marx affinché “la sostenibilità sia applicata alla solidarietà”, soprattutto nei confronti “dei poveri e degli emarginati”. Quanto al riscaldamento globale, il presidente della Comeceha ribadito che la responsabilità di tale fenomeno è “innanzitutto del mondo sviluppato” ed è quindi compito della regione settentrionale del globo, e dell’Unione Europea in particolare, “assumersi la percentuale più alta di tale responsabilità, mentre ai Paesi in via di sviluppo dovrebbero essere garantite misure e condizioni speciali”. Poi, il card. Marx si è soffermato sul tema della “green economy” ed ha specificato che, per essere adeguata ad uno sviluppo sostenibile, essa deve includere “cambiamenti non solo nella produzione, ma anche nei consumi”. Infatti, l’attuale modello di consumo “pone troppa enfasi nell’uso di beni materiali e tende ad ignorare le altre dimensioni della dignità umana”. Per questo, il porporato ha richiamato l’importanza della moderazione, intesa non come “rinuncia al desiderio di beni materiali”, quanto come “discernimento di ciò che è essenziale e di ciò che è superfluo”. In quest’ottica, fondamentale anche la revisione di uno stile di vita che consuma troppa energia ed immette troppa anidride carbonica nell’aria a causa dei combustibili fossili, una minaccia per la sicurezza alimentare dei Paesi in via di sviluppo. “La crescita economica non può più essere l’unico obiettivo dello sviluppo umano – ha detto ancora il cardinale Marx – Bisogna, invece, trovare altri indicatori per misurare lo sviluppo, come i tassi di iscrizione scolastica o l’aspettativa di vita, elementi che vanno oltre una prospettiva economica concentrata esclusivamente sul Pil di un Paese”. Naturalmente, il tutto senza dimenticare “il fattore ecologico”, in mancanza del quale, ha affermato il porporato, “non si può raggiungere la giustizia sociale”. Ed per questo che “i cristiani devono avere un atteggiamento critico nei confronti di stili di vita focalizzati unilateralmente sul consumo ed in particolare sull’uso sproporzionato di energia”. “La cooperazione dovrà essere l’imperativo del futuro”, ha detto ancora il presidente della Comece, suggerendo poi che l’attuale programma Onu per l’ambiente (Unep) si trasformi in un’agenzia specializzata del settore, così da “rafforzare la sinergia degli oltre 500 accordi multilaterali sull’ambiente, già esistenti”. Il principio di sussidiarietà, deve inoltre guidare le priorità politiche delle autorità a tutti i livelli, guardando anche alla partecipazione attiva della società civile, del settore privato e della Chiesa. Quello che occorre, in sostanza, ha concluso il cardinale Max, è “una conversione dei cuori e delle menti”, poiché “lo sviluppo non è unidimensionale e non riguarda solo la lotta alla povertà e alla fame e l’accesso all’acqua potabile, alle cure sanitarie e all’educazione”. Si tratta, invece, di “diventare generosi, di mostrare solidarietà, di lavorare ad una nuova cultura che rispetti il Creato, la giustizia ed il vero ed autentico sviluppo umano”. L’auspicio della Comece, dunque, è che il vertice di Rio de Janeiro “abbia il coraggio di decidere in favore di soluzioni giuste”. (I.P.)
Pakistan: il ministro cattolico Akram Gill parla di democrazia solida nel Paese
◊ “La democrazia è solida in Pakistan, non vedo pericoli di un colpo di stato”: lo dice all’agenzia Fides Akram Gill, politico cattolico, finora Ministro di stato per l’Armonia Nazionale, commentando la difficile fase politica nel Paese, dove nei giorni scorsi il Primo Ministro Raza Gilani è stato destituito dalla Corte Suprema. “Il cammino democratico e istituzionale per la risoluzione della crisi procede spedito: domani avremo un nuovo Primo Ministro, entro pochi giorni un nuovo governo, che riceverà poi la fiducia dal Parlamento federale. Il Paese sta dando una risposta chiara. Lo Stato di diritto e la democrazia hanno prevalso, a scapito di quanti intendessero mettere la nazione nel caos” rimarca. Akram Gill prosegue: “In quanto politici cristiani, stiamo vivendo con apprensione ma con fede questa fase critica, con tutti gli altri nostri connazionali, dato che ci sentiamo parte integrante del Paese e vogliamo contribuire al progresso e al bene della nazione. Siamo certi che nel nuovo esecutivo ci sarà il Ministero dell’Armonia Nazionale, che intende tutelare la vita e la condizione delle minoranze religiose”. Fra le priorità, una nuova legge per impedire matrimoni forzati e conversioni forzate, fenomeni che oggi colpiscono e fanno soffrire le minoranze religiose indù e cristiane. (R.P.)
Myanmar: la tensione resta alta, proseguono gli aiuti umanitari del Pam
◊ Il Programma Alimentare Mondiale (Pam) ha approntato un piano di assistenza per i prossimi tre mesi per fornire beni di prima necessità allo stato di Rakhine, nei territori ovest del Myanmar. La situazione è drammatica e le organizzazioni stanno lavorando a pieno ritmo per portare gli aiuti umanitari nella zona. Attualmente – riferisce l’agenzia Misna – si contano circa 90.000 sfollati e l’Onu sta gestendo 40 campi profughi in sei città. La cattiva rete stradale non favorisce il trasporto degli aiuti, anche se il responsabile delle comunicazioni per l’Asia del Pam, Marcus Prior, afferma che “gli aiuti alla popolazione sono arrivati rapidamente” perché gli operatori conoscono bene quella regione e sanno come muoversi. “Certo, bisogna tener conto dell’attuale quadro di insicurezza anche per garantire i nostri operatori”, ha concluso Prior. Intanto la situazione di violenza nella zona, che sta contrapponendo la comunità buddista a quella musulmana, resta carica di tensione. Proseguono gli scontri che fin’ora hanno causato circa 80 morti. Le ultime vittime risalgono a ieri quando, nel villaggio di Yathedaung, sono state uccise tre persone. (A.C.)
Barcone con 200 migranti si rovescia nell’Oceano Indiano. Almeno 75 i morti
◊ Ennesima tragedia dell’immigrazione nell’Oceano Indiano. Almeno 75 persone sono morte nel naufragio di un barcone che trasportava circa 200 migranti partiti dallo Sri Lanka e diretti in Australia. Il bilancio provvisorio è stato fornito dalle autorità dell’Astralia occidentale che si sono recate sul posto per i soccorsi con alcuni mezzi aerei. L’imbarcazione si è capovolta 120 miglia a nord dell'isola australiana di Christmas ma in acque indonesiane. (M.G.)
Comore: allagamenti, danni alle coltivazioni, malattie per le forti piogge
◊ In seguito alle forti precipitazioni registrate nella stagione umida che va da novembre a maggio, circa 65 mila abitanti delle isole Comore, corrispondenti all’8% dell’intera popolazione, sono stati gravemente colpiti da inondazioni, mancanza di elettricità, aumento nella diffusione di malattie. Un fenomeno piovoso così grave - osserva l'agenzia Fides - non si era mai verificato prima. Secondo gli operatori umanitari locali, altre 80 mila persone nella capitale, Moroni, e nelle zone limitrofe hanno subito l’interruzione delle risorse idriche e necessitano di disinfettanti per l’acqua. Gravemente danneggiati anche i produttori di vaniglia dell’isola principale Grand Comore, che hanno visto distrutti l’80-90% dei raccolti. La distribuzione di energia della centrale elettrica di Moroni continua a peggiorare e funziona con sole 3 onde medie, con un gap di 17 onde medie. Sull’isola di Anjouan sono aumentati i casi di malaria, in particolare nella regione orientale di Pomoni dove si sono quintuplicati rispetto al periodo precedente alle inondazioni. Si registrano anche altri casi di febbri non identificate. (R.P.)
Brasile: si è spento il missionario padre Cappelli, apostolo dei lebbrosi
◊ Grazie all’azione intensa e capillare di un missionario cappuccino marchigiano, padre Beniamino Cappelli, deceduto il 19 maggio scorso a Salvador da Bahia (Brasile), la lebbra che, fino a un ventennio fa imperversava nella zona Nord Est di Barra do Rio S. Francisco, è scomparsa definitivamente. Egli aveva iniziato a lavorare con gli hanseniani nel lebbrosario di Aguas Claras, un sobborgo di Salvador, conoscendo sia i risvolti del male che il disagio di chi ne è colpito, soprattutto per la considerazione in cui sono tenuti i malati. Arrivato a Barra, padre Beniamino trovò una situazione spaventosa: la lebbra imperversava indisturbata tra l’indifferenza di tutti. Allora, incoraggiato dal vescovo mons. Itamar Vian, oggi arcivescovo di Feira de Santana, scelse i luoghi strategici in cui costruire “Centros de saúde” che gli hanseniani avrebbero potuto raggiungere facilmente per le cure necessarie. Angìco, Olhos de Agua, Santo Antônio, Sucuruju e altri tre piccoli ambulatori divennero i luoghi da cui si irradiò l’attività che, studiata all’ospedale San Raffaele del Monte Tabor di Salvador, fondato negli anni ‘90 da don Luigi Verzè, recapitò praticamente a domicilio la medicina che ha debellato la lebbra, un flagello che in altri luoghi del Brasile sta, invece, aumentando. Il segreto del successo è stato proprio questo: lasciare il malato in casa, “costringendolo” a recarsi al vicino dispensario come un malato qualsiasi, ritirare la sua medicina e curarsi regolarmente. Questo semplice accorgimento è servito anche a liberare la gente da quell’alone di terrore che avvolgeva la malattia e l’ammalato. Non solo: le visite periodiche del medico volontario di turno hanno permesso di scoprire altre gravi situazioni riguardanti i bambini e gli anziani: i primi colpiti troppo frequentemente da gravi malattie dentarie, gli altri condannati a una cecità precoce perché nessuno interveniva sulle cateratte, considerate inguaribili. Il San Raffaele si fece carico anche di questa ulteriore assistenza e aprì un gabinetto dentistico-oftalmico per i bambini delle scuole, visitandoli tutti e intervenendo su oltre 500, soprattutto con cure preventive. Particolare attenzione fu data alle visite oculistiche perché la sabbia bianca e impalpabile che circonda le case provoca una continua irritazione agli occhi con conseguenze facilmente immaginabili. Restano, comunque, la malnutrizione e la mancanza di igiene, causa di numerose malattie, di un’alta mortalità infantile (60%) e di una vita media che arriva si e no ai 50 anni. Il medico è un lusso che nel vasto municipio Nord Est si vede solo in tempo di elezioni, quando i candidati ve ne portano qualcuno di corsa, con la promessa di lasciarvelo solo se avrà successo la propria candidatura. Frei Benjamin ha rimesso a nuovo l’ospedale cittadino, benefica provvidenza per gente semplice, povera, per il 60% ancora analfabeta e che sopravvive grazie alle calorie di un piatto di riso, ai fagioli e alla farina di mandioca. E’ stata la sua ultima fatica per gente confinata sul limitare del famigerato Nord Est brasiliano, dove la vita è insidiata da pericoli che un’assistenza sanitaria tempestiva potrebbe rendere simile a quella di chi è nato fuori dal poligono “da seca”, in cui sole e polvere inceneriscono uomini e cose. (R.P.)
Ghana: appello della Chiesa contro la corruzione dei partiti politici
◊ Abbandonare il sistema politico attuale, basato sui partiti politici, perché disfunzionale e distruttivo, e mantenere invece tutti gli altri elementi positivi della democrazia per mandare avanti il Ghana: questa la proposta avanzata da mons. Peter Kwasi Sarpong, arcivescovo emerito di Kumasi. Il presule ha tenuto un intervento sul tema “Verità, integrità e sviluppo democratico. Come procede il Ghana?”, durante un incontro organizzato dal “Centro per la libertà”, con l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione in vista delle prossime elezioni: tra il 7 ed il 28 dicembre, infatti, i cittadini del Paese saranno chiamati alle urne per eleggere il nuovo presidente ed il Parlamento. “Al posto dei partiti – ha detto mons. Kwasi Sarpong – io ritengo che sia urgente sviluppare un sistema politico che combini il lato migliore della governance tradizionale del Ghana con il lato migliore della democrazia”. Guardando alla storia del Paese, poi, il presule ha ricordato: “La politica del Ghana è stata caratterizzata da inganni, promesse impossibili, imprese non realizzabili; i politici, per ottenere voti, hanno promesso cielo e terra ai cittadini e molti di loro sono apparsi privi di integrità, prosciugando così il ‘serbatoio’ della vera democrazia”. Mons. Kwasi Sarpong ha quindi puntato il dito contro quel tipo di democrazia caratterizzata solo dal sostegno alla maggioranza e dal rifiuto totale dell’opposizione, dal “tribalismo dei politici, dall’appropriazione indebita, dalla vendetta, dai fenomeni di propaganda”. Tutti aspetti che, se non verranno messi fuori legge, ha concluso il presule, daranno ancora vita a “fenomeni come brogli elettorali, scomparsa delle urne di voto, risultati numericamente superiori agli elettori registrati nei seggi”. Intanto, proprio per scongiurare il ripetersi di situazioni analoghe alle prossime consultazioni, la Commissione elettorale del Ghana ha deciso abolire il vecchio registro cartaceo degli aventi diritto al voto e di introdurne uno nuovo, compilato tramite i dati biometrici dei cittadini. La raccolta dati - oltre a nazionalità e residenza vengono prese anche le impronte digitali in formato elettronico – è stata avviata nel mese di marzo e dà diritto ad una tessera elettorale plastificata in cui compare una foto della persona ed un codice a barre con un numero di registrazione che consente di votare. (I.P.)
Togo: i vescovi condannano i gravi incidenti a Lomé contro la parrocchia di Sant'Agostino
◊ I vescovi del Togo condannano fortemente gli atti sacrileghi commessi dalle Forze dell’ordine a Lomé, nella parrocchia Sant’Agostino d’Amoutivé, dove il 13 giugno scorso sono stati lanciati gas lacrimogeni allo scopo di bloccare persone che cercavano rifugio nel luogo di culto. In una dichiarazione pubblicata lunedì, i presuli - in questi giorni riuniti a Lomé per la II assemblea ordinaria dell’anno – esprimono “profonda disapprovazione” e “viva preoccupazione”. Il lancio dei gas lacrimogeni ha provocato danni alla chiesa e traumatizzato i bambini della vicina scuola primaria, provocando inoltre sgomento tra i fedeli che si trovavano nel luogo di culto per l’adorazione eucaristica. “La Conferenza dei vescovi tiene a ricordare che le chiese sono luoghi sacri che devono essere rispettati come tali - si legge nel documento -. Ogni intrusione brutale al loro interno costituisce un atto di violazione inaccettabile e una profanazione”. I presuli ricordano inoltre che “da sempre, è comunemente ammesso nel mondo intero che le chiese sono considerate come luoghi di rifugio e di asilo”. “Che le responsabilità siano individuate e le vittime riconosciute e ristabilite nei loro diritti e nella loro dignità” scrivono i vescovi che chiedono al “governo, primo responsabile della sicurezza pubblica di prendere misure idonee e concertate al fine di proteggere la vita dei cittadini e la loro integrità fisica”. (T.C.)
Giornalisti in esilio: un quarto proviene dall’Africa Orientale
◊ È stato pubblicato, in occasione della Giornata mondiale dei rifugiati, il rapporto “Giornalisti in esilio 2012” che fa il punto della situazione internazionale sulla libertà dei giornalisti in diverse zone del mondo. Ciò che emerge - riferisce l'agenzia Misna - è una particolare e drammatica condizione dell’Africa Orientale, soprattutto Eritrea, Etiopia, Ruanda e Somalia, dove i giornalisti costretti a fuggire hanno costituito, negli ultimi 12 mesi, un quarto dei 57 reporter totali che hanno dovuto lasciare il proprio Paese per motivi di sicurezza. Il rapporto rileva che le motivazioni della fuga sono fondate. In Somalia da gennaio sono stati uccisi sei giornalisti e nessun colpevole è stato arrestato. In genere si scappa da situazioni di pericolo di morte, o per sfuggire al carcere, a sanzioni e a pestaggi. Il rapporto conclude affermando che questo problema, oltre a spingere i giornalisti in condizioni di povertà e incertezza, provoca anche il deterioramento della libertà di stampa in tutti i Paesi che essi si lasciano alle spalle. (A.C.)
Filippine: i vescovi contro le politiche di pianificazione familiare decise dal governo
◊ “Uno spreco di denaro”: così il segretario generale della Conferenza episcopale delle Filippine, padre Melvine Castro, bolla lo stanziamento di fondi deciso dal governo nazionale per le politiche di pianificazione familiare. Una decisione annunciata ieri dal Dipartimento della Sanità, che ha stabilito di investire 500 milioni di moneta locale, pari a circa 10 milioni di euro, in un piano di controllo delle nascite. L’obiettivo dichiarato dall’esecutivo è quello di ridurre la mortalità materna ed infantile, in linea con gli Obiettivi per lo sviluppo del Millennio. Ma in realtà, afferma padre Castro, per risolvere tale questione “quello che occorre veramente è fornire servizi sanitari adeguati alle donne incinte e ai nascituri” ed è per questo che “i milioni andrebbe stanziati per migliorare la sanità pubblica, e non sprecati nell’acquisto di contraccettivi”. Il governo, quindi, continua il segretario generale dei vescovi filippini, non “strumentalizzi le donne” e non ricorra a “false giustificazioni per promuovere l’uso del preservativo e di altri metodi artificiali di pianificazione familiare”. Infine, padre Castro si dice fiducioso del fatto che la popolazione non appoggerà il piano del governo: “Credo che i filippini, ben consapevoli, non lo accetteranno e la loro moralità non cadrà così in basso”. (I.P.)
Pakistan: seminario sul concetto di Dio nel cristianesimo, presenti leader islamici
◊ Si è tenuto nei giorni scorsi in Pakistan, nella regione del Punjab, il seminario su “Il concetto di Dio nel cristianesimo”, una tre giorni di approfondimento alla quale hanno preso parte circa 40 persone tra cui anche diverse personalità islamiche. L’incontro – riferisce l’agenzia AsiaNews – è stato promosso da Asher William, direttore di Pakistan Outreach, un’organizzazione che si occupa di sviluppare il dialogo tra le religioni. Durante il seminario sono state consegnate 15 copie della Bibbia ai leader musulmani e ad altri presenti, gesto carico di significato che l’organizzatore ha definito “una pietra miliare” nella sua vita. Tahir Abas Naqvi, delegato islamico fregiato del titolo di Al-Haaj per aver compiuto due volte il pellegrinaggio alla Mecca e per il suo grado di sapienza negli studi islamici, ha affermato che “tenere fra le mani la Santa Bibbia è un'esperienza meravigliosa e un giorno da ricordare”. Ha poi aggiunto che in passato aveva dei pregiudizi sui cristiani ma poi ha scoperto “persone amichevoli, amabili e cittadini impegnati” in particolare nei settori della “sanità e istruzione”. Anche l’esperto di legge islamica Ejaz Mehmood, presente al seminario, si è espresso con toni favorevoli, invitando le comunità di cristiani e musulmani a “vivere assieme in pace”. Ha, infine, criticato le norme introdotte dal governo che discriminano le minoranze religiose. (A.C.)
Nepal: no agli aborti selettivi da leader cristiani, protestanti e indù
◊ Diversi leader religiosi cristiani e indù, insieme a medici e attivisti pro-life, in questi giorni in Nepal stanno lanciando appelli al governo per denunciare la pratica degli aborti selettivi illegali che si sta diffondendo sempre più nel Paese. La situazione – riferisce l’agenzia AsiaNews – si sta aggravando soprattutto nelle fasce più povere della popolazione tra le quali, a causa della crisi economica e dell’instabilità politica, alcune organizzazioni straniere stanno spingendo all’aborto numerose donne. In molte regioni, inoltre, c’è la credenza che se non si hanno figli maschi non si va in paradiso, per cui molti uomini costringono le donne ad aborti selettivi in base al sesso. Il pastore protestante K. B. Rokaya, attivista per i diritti umani, afferma che “l’aborto è una pratica criminale che va condannata. Un bambino – prosegue – è un dono di Dio ed ha diritto a nascere”. Il pastore ha poi invitato il governo ad incentivare politiche di sostegno per le famiglie e ad applicare la legge. In Nepal, infatti, l’aborto è illegale tranne che per alcune situazioni particolari in cui c’è il rischio per la salute della donna, oppure nei casi di stupro o se la donna non è capace di intendere e di volere. La pratica degli aborti selettivi viene fatta abusivamente e in strutture non idonee, con la conseguenza di gravi ripercussioni sulla salute fisica e psicologica della donna. (A.C.)
Ecuador: forum su bambini e adolescenti a rischio
◊ Si è aperto ieri a Quito, il forum “Bambini e adolescenti a rischio nell'attuale realtà socio-politica dell'Ecuador". Patrocinato dall'Università Politecnica Salesiana dell'Ecuador Ups, che ospita i lavori, e dal Progetto salesiano Ecuador, il forum, che si concluderà domani, vuole essere uno spazio di profonda analisi delle questioni che portano bambini, bambine e adolescenti a ritrovarsi in situazioni a rischio nell'attuale contesto socio-politico del Paese, oltre a confrontare e pianificare le risposte da dare, da parte del pubblico e del privato, per garantire il rispetto dei diritti dei minori. Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, nel suo discorso di apertura del forum, il rettore dell’Università Politecnica, padre Javier Herran, ha ricordato che la questione presenta nuovi scenari rispetto al passato: “Oggi lo Stato è presente, legifera partendo da una visione di sviluppo e del Paese, interviene, autorizza le attività private ma regola le loro azioni. Tutto questo è incorniciato nel rispetto degli accordi internazionali, nella definizione dei diritti, nei piani di sviluppo”. Tuttavia, ha ricordato il rettore, “la realtà di bambini e adolescenti a rischio continua ad essere presente, e la soluzione delle cause che la determinano non sembra facile”. Padre Francisco Sánchez, coordinatore del Progetto Salesiano Ecuador, svolge la sua attività con bambini e adolescenti di strada dal 1977. Attualmente il progetto è presente in 7 città (Quito, Guayaquil, Cuenca, Esmeraldas, Santo Domingo, Ambato e San Lorenzo) e si occupa di circa 5000 bambini e adolescenti, operando per la prevenzione, la restituzione e l'esercizio dei diritti di bambini e adolescenti. Oltre all’azione diretta con i bambini, gli adolescenti e le famiglie, è anche impegnato a sviluppare strategie istituzionali e inter-istituzionali di analisi e di dibattito su tali questioni. Nel suo intervento padre Francisco Sánchez ha ricordato che “i tempi attuali che sta vivendo la società ecuadoriana e latino-americana, ci sfidano a comprendere e ad affrontare urgentemente i cambiamenti che avvengono nel piano sociale e politico, e che, ovviamente coinvolgono il mondo dell'infanzia, e naturalmente hanno le loro ripercussioni anche sui bambini e sugli adolescenti che vivono in situazioni di alto rischio o di elevata vulnerabilità (vita di strada, maltrattamenti, sfruttamento del lavoro, violazioni, droga...). In questo contesto, assumiamo la sfida e la responsabilità di creare, a livello interistituzionale e della società civile, le opportunità di riflessione che orientino le attività e i modelli istituzionali. Per questo scopo è essenziale contare sulla partecipazione di tutti i protagonisti coinvolti in questo problema, e che ovviamente siano anche parte attiva dei cambiamenti necessari e delle innovazioni istituzionali". (R.P.)
Terra Santa: ampliamento per l'ospedale interreligioso Saint Louis di Gerusalemme
◊ Serviranno 2 milioni di euro nell’ospedale Saint Louis di Gerusalemme, in Terra Santa, per rendere a norma le camere e creare 10 nuovi posti letto. Fino ad ora, si legge sul portale del Patriarcato latino di Gerusalemme è stato reperito soltanto mezzo milione, ma le suore di San Giuseppe, che gestiscono la struttura sanitaria, sperano di trovare i fondi necessari per portare a termine i lavori entro il 2016, per garantire accoglienza ad un totale di 60 pazienti. Fondato dal Patriarcato latino e dal Consolato francese più di 160 anni fa, l’ospedale gode di ottima fama, sia per la qualità delle cure che per l’accoglienza riservata ai degenti, quale che sia la religione professata, ed è l’unico a Gerusalemme ad essere specializzato nella terapia del dolore e in oncologia. Inserito nel sistema sanitario israeliano consente l’incontro di pazienti ebrei, medici cristiani e famiglie musulmane, mentre vi offrono collaborazione una trentina di volontari provenienti dai quattro angoli della terra. L’ospedale ha ricevuto dalla Knesset nel 1988, il “premio per la Qualità della Vita”. Succede spesso che pazienti cristiani, ebrei o musulmani dividano la stessa camera, cosa che dà vita a dialogo e condivisione. (T.C.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 173