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Sommario del 18/06/2012
◊ La liturgia postconciliare ha avvicinato di più i fedeli allo spirito della Messa, ma presenta “molte incomprensioni e irregolarità”. È una delle considerazioni di Benedetto XVI contenute nel videomessaggio ascoltato dalle migliaia di persone che hanno preso parte, ieri pomeriggio, alla grande Messa conclusiva del 50.mo Congresso eucaristico internazionale di Dublino. Forti le parole del Papa sul clero responsabile degli abusi contro i minori: le loro azioni spaventose, ha detto, hanno minato “la credibilità del messaggio della Chiesa”. Annunciata anche la sede del Congresso 2016: sarà la città di Cebu nelle Filippine. Il servizio di Alessandro De Carolis:
“Un mistero”. È disarmato, quasi, Benedetto XVI davanti all’orrore. Il Papa si rivolge da Roma a chi da una settimana ha approfondito la densità del Sacramento dell’Eucaristia e dal Pane di vita cerca forza e luce per sentire col cuore e toccare con mano che la Chiesa irlandese è davvero sulla via del rinnovamento. Eppure, Benedetto XVI non può tacere. “Siete eredi di una Chiesa che è stata una potente forza di bene nel mondo”, riconosce con il rispetto dovuto a quelle “generazioni di monaci, martiri e missionari” che – dice – hanno coniugato, in quella terra, Vangelo ed eroismo. E tuttavia qualcuno, afferma, ha sporcato in modo “orribile” questa “grande storia di fede”. Quelli che, sacerdoti o consacrati, hanno abusato di chi invece dovevano proteggere:
“How are we to explain the fact…
Come possiamo spiegare il fatto che persone le quali hanno ricevuto regolarmente il Corpo del Signore e confessato i propri peccati nel sacramento della Penitenza abbiano offeso in tale maniera? Rimane un mistero. Eppure evidentemente il loro cristianesimo non veniva più nutrito dall’incontro gioioso con Gesù Cristo: era divenuto semplicemente un’abitudine”.
Fede e abitudine sono strade che non s’incrociano. Il Papa trova anzi parole che sembrano voler cantare l’unicità del dono che Dio ha fatto alla Chiesa e all’umanità rivelando Cristo:
“Our catholic faith, imbued with a radical…
La nostra fede cattolica, imbevuta di un senso profondo della presenza di Dio, rapita dalla bellezza della creazione che ci circonda, e purificata mediante la penitenza personale e la consapevolezza del perdono di Dio, è una eredità che sicuramente è perfezionata e nutrita quando è deposta con regolarità sull’altare del Signore nel Sacrificio della Messa”.
E qui c’è un altro snodo importante. La fede che diventa perfetta sull’altare della Messa necessita, afferma, di celebrazioni gioiose, semplici, ma preparate “nella maniera più degna e riverente possibile”. Il Vaticano II, constata il Papa, rinnovando la liturgia ha ottenuto un risultato molto grande…
“…but it is equally clear that there…
ma è ugualmente chiaro che vi sono state molte incomprensioni ed irregolarità. Il rinnovamento delle forme esterne, desiderato dai Padri Conciliari, era proteso a rendere più facile l’entrare nell’intima profondità del mistero”.
Un desiderio, però, rimasto incompiuto perché, “non raramente – ha obiettato Benedetto XVI – la revisione delle forme liturgiche è rimasta ad un livello esteriore, e la ‘partecipazione attiva’ è stata confusa con l’agire esterno”:
“Hence much still remains to be done…
Pertanto, rimane ancora molto da fare sulla via del vero rinnovamento liturgico. In un mondo cambiato, sempre più fisso sulle cose materiali, dobbiamo imparare a riconoscere di nuovo la presenza misteriosa del Signore Risorto, il solo che può dar respiro e profondità alla nostra vita”.
Quindi, il Papa indica alla Chiesa il futuro prossimo del suo itinerario – incanalato tra le sponde dell’Anno della fede e del 50.mo anniversario del Concilio – e chiude il raduno di Dublino aprendo al prossimo, al continente che per la Chiesa è terra di antica presenza e recenti martirii, l’Asia:
“At the same time, I would like…
“Allo stesso tempo, desidero invitarvi ad unirvi a me nell’invocare la benedizione di Dio sul prossimo Congresso Eucaristico Internazionale, che si terrà nel 2016 nella città di Cebu!”
“Al popolo delle Filippine – conclude – invio il mio caloroso saluto e l’assicurazione della mia vicinanza nella preghiera durante il periodo di preparazione di questa grande riunione ecclesiale”.
◊ Il Papa ha ricevuto, stamani, in successive udienze il signor Eduardo Gutiérrez Sáenz de Buruaga, Ambasciatore di Spagna, per la presentazione delle Lettere Credenziali; il cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino, Arcivescovo di San Cristóbal de La Habana (Cuba) e un gruppo di presuli della Conferenza Episcopale della Colombia, in Visita "ad Limina Apostolorum". Sabato scorso, il Santo Padre ha ricevuto in udienza il cardinale Paul Josef Cordes, Presidente Emerito del Pontificio Consiglio “Cor Unum”.
Il cardinale Bertone: si tenta di destabilizzare la Chiesa e dividere il Papa dai suoi collaboratori
◊ C’è una "volontà di divisione che viene dal maligno", un clima di "meschinità" e menzogna che ignora o cancella il luminoso cammino della Chiesa, unita al Papa: così, il cardinale segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone, in una lunga intervista al settimanale "Famiglia Cristiana". Il porporato si sofferma su quanto sta accadendo in Vaticano: dalla fuga di documenti privati, alle ipotesi di complotto, all'allontanamento del prof. Gotti Tedeschi dalla presidenza dello Ior, invocando il senso della “ricerca della verità” e della “proporzione dei fatti”. Il servizio di Gabriella Ceraso:
Il cardinale Bertone afferma che è in atto un tentativo per destabilizzare la Chiesa e fermare la grande "azione chiarificatrice e purificatrice" svolta da Benedetto XVI. C’è, sottolinea, un “tentativo accanito di creare divisioni tra il Santo Padre e i suoi collaboratori e tra questi, e c’è qualcosa di iniquo nel voler colpire chi si dedica con maggior passione e fiducia al bene della Chiesa". Io, prosegue, "sono al centro della mischia e vivo queste vicende con dolore". Il cardinale Bertone parla - con "Famiglia Cristiana" - di quanto accade in questi giorni nella vita della Chiesa, con particolare riferimento alla fuga di documenti riservati dal Vaticano. “Il tradimento della fiducia che c’è stato, è il fatto più doloroso”, afferma, “ma è accaduto”; il lavoro della Commissione cardinalizia e l’indagine in corso dimostrano però la volontà di fare totale chiarezza. "E’ un atto immorale di inaudita gravità pubblicare lettere e documenti inviati al Santo Padre, da persone che hanno diritto alla privacy", ribadisce il porporato, "un vulnus a un diritto costituzionale", da osservare e far osservare. Il segretario di Stato vaticano esclude ogni coinvolgimento di cardinali o lotte fra personalità ecclesiastiche "per la conquista di un fantomatico potere". Il cardinale Bertone rilancia altresì un impegno di collegialità e un’unità di intenti in Vaticano, che, afferma, "non esiste altrove". Nessun dubbio infine sulle ragioni dell’allontanamento di Gotti Tedeschi dalla presidenza dello Ior: non mancata trasparenza, sottolinea, ma il deterioramento di rapporti fra consiglieri per "prese di posizione non condivise".
Assemblea Roaco. Il cardinale Sandri: svegliare la solidarietà verso le Chiese orientali
◊ Sostenere la Chiesa in India, favorire il dialogo ecumenico con le Chiese ortodosse e fermare l’esodo dei cristiani dal Medio Oriente. Sono le sfide principali per la Riunione delle Opere d’Aiuto alle Chiese Orientali (Roaco), che si riunisce in assemblea da oggi fino al 20 giugno a Roma. Marco Guerra ha parlato dei temi al centro dei lavori con il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali:
R. - Abbiamo invitato l’arcivescovo maggiore dei siro-malabaresi in India, il cardinale Georges Alencherry. Vogliamo che questa Chiesa sia al centro della nostra attenzione, perché essendo missionari hanno bisogno di tanto sostegno, materiale per tutta l’opera di evangelizzazione che stanno facendo. Abbiamo anche invitato l’arcivescovo maggiore greco-cattolico ucraino, Sua Beatitudine Svjatoslav Ševčuk. Vogliamo giustamente attirare l’attenzione sulla Chiesa greco-cattolica che vive nel contesto di uno dei Paesi che ha una grande prospettiva ecumenica, in quanto deve coabitare con la Chiesa ortodossa e soprattutto ha questa sfida della convivenza, nella crescita della carità, con gli ortodossi. Abbiamo poi invitato il nunzio apostolico in Siria, mons. Mario Zenari, dove i nostri cattolici, provati dalla violenza, da questa situazione di insicurezza, stanno lasciando il loro amato Paese. Poi ovviamente c’è il capitolo permanente, per la Roaco, che è quello della Terra Santa, Israele, Palestina e i Luoghi Santi.
D. - Quali obiettivi vi proponete per aiutare i fedeli delle Chiese orientali?
R. - Quello che vogliamo, trattandosi di opere di aiuto, è svegliare la solidarietà. C’è la preghiera, con la quale noi accompagniamo tutti i nostri fratelli del Medio Oriente, che soffrono, specialmente in Siria. C’è poi l’appello, facendo eco alle parole del Santo Padre, alle autorità internazionali affinché ci sia la fine della violenza. Vogliamo svegliare la solidarietà, vogliamo ribadire che la nostra presenza c’è solo attraverso l’aiuto, la generosità e l’assistenza di questi nostri fratelli cattolici.
D. - Quali sono le principali sfide che si trovano ad affrontare le Chiese orientali?
R. - La nuova evangelizzazione in questo "mondo dell’eclisse di Dio" e della perdita del senso del primato di Dio, in un ambiente nel quale vige la violenza e dove il dialogo interreligioso deve imporsi attraverso la solidarietà, la mutua conoscenza e l’aiuto di tutti per costruire dei Paesi che siano fondati sulla libertà religiosa, sul rispetto dei diritti umani e con la possibilità per tutti - anche per le minoranze - di poter esercitare il proprio ruolo, la propria funzione.
D. - Anche perché le Chiese orientali non sono solo testimonianza di fede, ma tutti i giorni fanno esercizio di ecumenismo e di dialogo interreligioso…
R. - Esattamente e per questo devono convivere con altri cristiani e - soprattutto in Medio Oriente - con i musulmani. Un’altra cosa che è molto importante è che queste Chiese non solo testimoniano con la parola la fede cristiana, ma anche con il martirio: questa è una realtà che fa sì che noi veneriamo oggi, nel nostro secolo, queste Chiese per la loro testimonianza resa al Sangue di Cristo e alla sua Croce.
◊ "La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana": su questo tema si svolgerà in Vaticano, dal 7 al 28 ottobre prossimi, il 13.mo Sinodo generale ordinario dei vescovi. Domani, alle 11.30, presso la Sala Stampa della Santa Sede, si terrà la presentazione dell’Instrumentum laboris, ovvero il documento di lavoro dell’Assemblea. Isabella Piro ne ha parlato con mons. Nikola Eterović, segretario generale del Sinodo dei vescovi:
R. – Il sentimento è positivo, perché le risposte che abbiamo ricevuto riflettono la realtà delle Chiese particolari nel mondo intero. Insieme, però, ci sono anche alcuni temi che bisogna approfondire, alcune sfide, alcune difficoltà da condividere con gli altri e nel dialogo fraterno: vedere assieme a loro possibili "piste" per superarli, per poter trasmettere la buona notizia, il Vangelo, all’uomo contemporaneo, alle nuove generazioni.
D. – La nuova evangelizzazione a chi si rivolge in particolare?
R. – A tutti i membri del Popolo di Dio. E’ nota l’espressione del Beato Giovanni Paolo II che la nuova evangelizzazione dovrebbe essere nuova nell’ardore, nuova nell’espressione, nuova nei metodi! La Chiesa nell’insieme, aperta allo Spirito Santo, deve dinamizzare la sua pastorale ordinaria. La nuova evangelizzazione s’indirizza in modo particolare alle persone che sono state battezzate, ma non sufficientemente evangelizzate, cioè alle persone che si sono allontanate dalla Chiesa. La nuova evangelizzazione vorrebbe indirizzarsi in modo speciale a loro, perché riscoprano l’attualità del Vangelo, la bellezza di Gesù Cristo, e possano celebrarlo insieme con i fratelli nella comunità della fede, della speranza e della carità. Tutto questo poi darà un nuovo dinamismo missionario, non solo nei riguardi delle missioni nei Paesi lontani, ma anche nei nostri Paesi occidentali, perché a causa della globalizzazione, della mobilità umana, anche in mezzo a noi, ci sono tanti non cristiani: loro hanno diritto di conoscere Gesù Cristo e la sua Parola di Salvezza e noi abbiamo il dovere di annunciare loro la Buona notizia, di mostrare che essere cristiano cambia la nostra vita, ci dà la speranza, la gioia che vogliamo condividere con i nostri fratelli.
D. – In che modo la nuova evangelizzazione guarda al Concilio Vaticano II, che ad ottobre celebra i 50 anni dall’inaugurazione?
R. – L’intento di presentare all’uomo contemporaneo il Vangelo, che è sempre lo stesso - ieri, oggi e domani – in un altro modo, più vicino alla cultura contemporanea, all’uomo secolarizzati, questo intento, che oggi chiamiamo nuova evangelizzazione, era già incominciato con il Concilio Vaticano II: la riforma nella continuità.
D. – In questi ultimi tempi la Chiesa è al centro di vicende mediatiche che ne danno una visione distorta. La nuova evangelizzazione come può aiutare a ricalibrare i toni?
R. – La nuova evangelizzazione richiede a tutti noi la conversione. Siamo tutti chiamati alla santità e senza conversione non ci potrà essere una nuova evangelizzazione. Bisogna lasciarsi, dunque, illuminare dallo Spirito Santo, ricevere la forza del Signore Risorto, per riconoscere i nostri peccati e per lasciarsi trasformare dalla grazia di Dio. In questa prospettiva, il Sinodo e anche il tema: “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”, darà una spinta – sono sicuro – per superare le attuali difficoltà e per annunciare con gioia e con umiltà, sapendo che nella nostra fragilità si manifesta la potenza di Dio e che Dio si serve di noi per suscitare una nuova Pentecoste, nella Chiesa, per il bene del mondo intero.
D. – Qual è il suo auspicio personale per il prossimo Sinodo generale?
R. – Poter trovare risposte adeguate alle nuove sfide, che sono poste alla Chiesa nel cammino dell’evangelizzazione, nuovi itinerari per trasmettere il Vangelo con rinnovato dinamismo, con nuovi metodi. Basti pensare alla cultura digitale, alle nuove possibilità dei mass media, per trasmettere questa grande ricchezza della Chiesa, che il Signore le ha affidato, all’uomo contemporaneo in tutto il mondo, che ne ha bisogno, a volte anche senza saperlo.
Indagini in Vaticano. Padre Lombardi: finora non sono emersi nomi di complici o mandanti
◊ Nuovo incontro, oggi, di padre Federico Lombardi con i giornalisti sulla vicenda dei documenti riservati sottratti in Vaticano. Nel briefing, il direttore della Sala Stampa vaticana ha sottolineato che l’indagine prosegue a tutto campo e che sono state interrogate 23 persone. Smentita la notizia che, dall’indagine della Commissione cardinalizia, sarebbero emersi i nomi di mandanti e complici. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Padre Federico Lombardi ha rilevato la grande attenzione da parte dei media per l’udienza del Papa, sabato scorso, alla Commissione cardinalizia incaricata delle indagini. Un incontro per fare il punto, ha detto, ma non conclusivo perché l’indagine continua. La Commissione, ha ricordato, ha mandato pontificio con audizioni a tutto campo, senza alcun pregiudizio. Al momento, ha compiuto in media 4-5 audizioni a settimana, ascoltando in tutto 23 persone. Si tratta, ha detto padre Lombardi, di superiori e impiegati in Vaticano, chierici e laici nonché altre persone non impiegate in Vaticano. Tra le audizioni della Commissione anche quella all’ex aiutante di Camera del Pontefice, Paolo Gabriele, che resta ancora in custodia cautelare. Padre Lombardi ha poi smentito categoricamente un articolo di un quotidiano italiano secondo cui dagli interrogatori dei giorni scorsi sarebbero emersi i nomi di mandanti e complici:
“Sono emersi mandanti e complici: chi ha detto che sono emersi mandanti e complici? Siamo nella ricostruzione largamente ipotetica e non fondata”.
Quindi, ha nuovamente invitato la stampa a stare ai fatti di un’indagine in corso e di cui attualmente non è possibile determinare la durata. Per quanto riguarda la visita dei giornalisti allo Ior, notizia anticipata nei giorni scorsi, padre Lombardi ha informato che è stata spostata dal 22 al 28 giugno, perché il 22 non era disponibile il salone dell’Istituto. Rispondendo poi ad una domanda su un’intervista a “Famiglia Cristiana” nella quale il cardinale Tarcisio Bertone afferma che non ci sono porporati coinvolti, padre Lombardi ha detto che è naturale che il segretario di Stato, come già ha fatto il Papa, rinnovi la fiducia ai suoi più stretti collaboratori. Ha poi soggiunto:
“Nell’intervista del cardinale Bertone, il punto che a me è sembrato importante, è approfondire il rapporto tra libertà di stampa, libertà di espressione e tutela della privacy. L’impressione è che siano - a volte - dei diritti confliggenti”.
Pur essendo legittimo dunque da parte dei mass media chiedersi se ci siano dei complici nella vicenda, ha osservato padre Lombardi, non bisogna però seguire solo letture negative che parlano esclusivamente di lotta di potere e complotti. A proposito, infine, del rapporto “Moneyval” sulla trasparenza finanziaria in Vaticano, padre Lombardi ha dichiarato che è lo stesso “Moneyval” a chiedere di non pubblicare un testo prima che sia approvato dalla sua assemblea, cosa dunque deprecabile se fatta in anticipo da parte della stampa.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Dignità e coerenza nel rinnovamento liturgico: nel messaggio per la conclusione del Congresso eucaristico internazionale di Dublino, il Papa annuncia che il prossimo si celebrerà nel 2016 a Cebu, nelle Filippine (nell’informazione vaticana, l’omelia del cardinale Marc Oullet, legato pontificio, e la cronaca dell'inviato Mary Nolan).
Il seme più piccolo: all’Angelus Benedetto XVI ricorda che il regno di Dio è dono del Signore che richiede la collaborazione dell’uomo.
Quando i giornalisti giocano a fare Dan Brown: in prima pagina, l’intervista del segretario di Stato a “Famiglia Cristiana”.
Riguardo alle violenze contro i cristiani in Nigeria, nell’informazione internazionale, un articolo del ministro degli Affari esteri del Governo italiano, Giulio Terzi, dal titolo “Una forte azione politica e diplomatica a tutela della libertà religiosa”.
Helsinki e il Papa: in cultura, Alpo Rusi sui settant’anni dei rapporti diplomatici tra Finlandia e Santa Sede, e anticipazione dell’intervento dell'ambasciatore presso la Santa Sede, Teemu Sippo, in occasione delle celebrazioni, oggi a Roma, cui partecipa, tra gli altri, l’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.
Nella vastità del quotidiano: sul metodo logoterapeutico di Viktor E. Frankl, l’introduzione dell’allievo Eugenio Fizzotti al libro (presentato domani) “Ciò che non è scritto nei miei libri. Appunti autobiografici sulla vita come compito”.
Un articolo di Roberto Pertici dal titolo “Bargellini antisemita? Attenti alle trappole di Wikipedia”: un caso emblematico di come spesso si fa ricerca storica ai tempi della Rete.
Capelli tinti ma canzoni sempre verdi: Giuseppe Fiorentino sui settant’anni di sir Paul McCartney.
Il compito dei fedeli laici: nell’informazione religiosa, un articolo (tratto dalla rivista spagnola “Palabra”) di Fernando Ocariz, vicario generale dell’Opus Dei, sulle sfide della nuova evangelizzazione.
Nigeria nella paura: la testimonianza di una suora italiana a Kaduna
◊ E’ salito a 45 morti il bilancio della domenica di sangue in Nigeria, nello stato federale di Kaduna. Il gruppo terrorista Boko Haram ha rivendicato gli attentati contro 5 chiese cristiane. Attacchi seguiti dalla reazione degli stessi cristiani nei confronti dei musulmani. “Un disegno assurdo di odio” ha detto ieri il direttore della Sala Stampa Vaticana padre Federico Lombardi. Intanto parole di condanna per quanto accaduto sono venute dalle istituzioni europee, la situazione in Nigeria sarà anche al centro del prossimo consiglio dei ministri degli Esteri dell'Ue, in programma il 25 giugno. Benedetta Capelli ha raggiunto telefonicamente a Kaduna suor Semira Carrozzo, delle Oblate di Nazareth, da 22 anni nel Paese africano dove ha fondato una scuola per 800 bambini:
R. – La situazione è molto tesa. Il governo ha messo il coprifuoco 24 ore su 24. Non abbiamo luce e non si può ricorrere a nessuno, perché non si può uscire. C’è sempre lo stress e la tensione che da un momento all’altro si venga attaccati. Noi siamo molto vicini al posto, dove ieri c’è stato l’attentato: a meno di un chilometro. Hanno attaccato due chiese a Kaduna e hanno bruciato le case. I cristiani non sono rimasti calmi, ma hanno reagito immediatamente, nella maniera peggiore. Questa è stata la storia di ieri. I Boko Haram dicono che stiano arruolando persone e che vengano finanziati allo scopo di distruggere completamente i cristiani. Vogliono metterci paura e attaccano le chiese la domenica, quando le persone, i cristiani, sono lì riuniti. Vogliono, in vista delle prossime elezioni presidenziali, che il regime sia completamente islamico, perché adesso il governatore di Kaduna e il presidente della Nigeria sono cristiani e a loro non fanno comodo.
D. – Tanti anni vissuti in Africa, le fanno dire anche che non tutti i musulmani sono così...
R. – Sì, noi abbiamo rapporti con le famiglie che portano i bambini nella nostra scuola fin dal 2000, quando abbiamo aperto. Siamo molto amici dei genitori di quei bambini. Io, girando tutti i mercati per procurarmi il cibo per il pranzo dei bimbi, sono in contatto con moltissimi musulmani che mi sono amici e mi rispettano. Quindi, rimango confusa di fronte a questi atteggiamenti. Non so come giudicarli. Sono, comunque, gli estremisti a creare questa situazione.
D. – Più volte il Papa ha fatto appelli perché in Nigeria si lavori per una pacificazione. Sono appelli inascoltati?
R. – Gli appelli non sono inascoltati e, infatti, si stanno facendo turni di preghiera anche di notte. Ad Abuja c’è stata una veglia notturna di preghiera. Gli appelli vengono ascoltati, ma io voglio lanciarne uno perché ci si tenga uniti nella preghiera, l’unica arma che rimane a noi cristiani, l’unica difesa: la preghiera, la fiducia in Dio. Quindi, preghiamo e mettiamo tutto nelle mani di Dio, che Lui sa quello che deve fare. Fede in Dio e coraggio e così tiriamo avanti.
D. – Quanti anni sono che lei è in Africa e soprattutto come sta vivendo questo periodo di tensione, di agitazione, lei che è una religiosa e che quindi è anche un simbolo?
R. – Sono 22 anni che mi trovo in Nigeria. Le esperienze, dunque, sono state tantissime e ho raccolto anche buoni frutti dalla missione. Ci sono state esperienze terribili ed esperienze buone, perché vediamo che la gente che ci circonda ci incoraggia. Io stessa d’altronde cerco di incoraggiarla in questi momenti così brutti. I genitori dei bambini della scuola mi hanno detto: “Suor Semira, bisogna incrementare la sicurezza, perché i nostri figli non sono al sicuro”. Io ho cercato di calmarli e ho detto di avere più fede in Dio, perché non sappiamo se gli estremisti hanno intenzione di mettere una bomba nelle scuole e non sappiamo né il momento né l’ora. Tiriamo avanti, dunque, con coraggio e con fede.
Grecia: dopo vittoria dei conservatori di "Nuova Democrazia" nervosismo delle Borse
◊ Sospiro di sollievo per la Grecia e l’Europa con la vittoria, nel Paese ellenico, dei conservatori di Nuova Democrazia che hanno cominciato le manovre per la formazione di un governo di unità nazionale e pro-Euro. Ampia la soddisfazione al livello internazionale, mentre i mercati dopo un avvio sprint, in queste ore stanno rispondendo in modo contrastato all’esito del voto. Dal canto suo la cancelleria tedesca Angela Merkel, plaudendo alla buona notizia, invoca però tempi rapidi per il nuovo esecutivo. Intanto, il Pasok, terzo partito ellenico, sconfitto alle urne ma decisivo per formare un governo di unità, ha annunciato di voler partecipare all'esecutivo di ampia coalizione. Ma come si prospetta il futuro della Grecia? Antonella Palermo lo ha chiesto a Francesco Martino, inviato ad Atene per l’Osservatorio Balcani e Caucaso.
R. – L’ottimismo è molto evidente sui media internazionali. In Grecia, invece, c’è un atteggiamento più ambivalente rispetto ai risultati di ieri. Dall’Europa veniva richiesto alla Grecia di dare un segnale di stabilità e questo è arrivato con il voto di ieri. E’, però, una stabilità estremamente fragile, con la vittoria di Nuova Democrazia, dei conservatori, che sono stati etichettati in generale dai media internazionali come pro-Europa, contrapposti invece alla sinistra radicale, che è stata definita anti-Europa, anche se gli elettori della sinistra vogliono rimanere in Europa e vogliono rimanere nell’euro. Comunque, questo risultato era fortemente desiderato e garantirà a livello internazionale un po’ di tempo in più. Il vero problema è come verrà utilizzato questo tempo. In Grecia, vista la situazione, vista la fragilità del prossimo governo e la probabile nuova escalation del malcontento sociale che seguirà a queste elezioni, ci si chiede quanto potrà durare un governo di coalizione tra Nuova Democrazia e l’altro pilastro tradizionale della politica greca, il partito socialista del Pasok. Tra l’altro, s’intravede la possibilità di nuove elezioni nel giro, forse, di qualche mese. E’ difficile dire. Sarà centrale il modo in cui verrà utilizzato sia dai greci, ma soprattutto, direi, a livello europeo. Io sono convinto che le decisioni importanti saranno quelle prese a livello centrale, cioè a Bruxelles, e probabilmente importante sarà anche l’atteggiamento che Berlino avrà nei confronti della Grecia e dell’Unione Europea in questi mesi che ci aspettano.
D. – Paventi anche il ritorno di uno scontro di piazza?
R. – Sì, naturalmente è molto difficile dire. I segnali che vengono dai mercati sono sicuramente positivi. Il problema, però, è che si nota una divergenza sempre più forte tra le reazioni dei mercati e le reazioni della gente comune. Per cui, con l’implementazione del prossimo pacchetto di austerità - che comunque il nuovo governo vuole rivedere, ma non sa bene in quali termini - si aspettano mesi e un futuro difficile e molto insicuro. E tenendo conto anche del fatto che la sinistra, pur non riuscendo a essere il primo partito, ha comunque aumentato fortemente il proprio consenso e ha la possibilità in qualche modo di giocare un ruolo particolarmente forte, ci si può aspettare che politicamente sfrutti il malcontento, che continuerà probabilmente a crescere dopo queste elezioni.
D. – In che modo l’Europa guarderà adesso alla Grecia?
R. – L’Europa, secondo me, continuerà a guardare la Grecia nei termini in cui la sta guardando in questo momento: come l’elemento più evidente di una crisi generale.
Egitto: Fratelli musulmani annunciano vittoria alle presidenziali
◊ Presidenziali in Egitto. A spoglio quasi ultimato non accennano a diminuire le tensioni per la vittoria autoproclamata da parte del candidato dei Fratelli musulmani, Mohammed Mursi, che dichiara di avere ottenuto oltre il 53% dei voti. Un risultato fortemente contestato dallo schieramento di Ahmed Shafiq, i cui sostenitori sono scesi in piazza per protestare contro i presunti brogli. Unico dato certo: l’alta affluenza alle urne che si è attestata a oltre il 50% degli aventi diritto. Sentiamo dal Cairo, Giuseppe Acconcia:
Nel campo di Shafiq si chiama ai brogli elettorali. La differenza tra i due candidati è ancora minima e non sono stati ancora scrutinati i voti di Il Cairo e di Giza, due grandi città. Ma la vittoria dei Fratelli musulmani sembra vicina: Mursi ha già dichiarato di aver vinto dalle 4 di questa notte, nel suo quartier generale di Imbaba, mentre i sostenitori di Shafiq denunciano brogli elettorali: parlano dei pullman organizzati dalla fratellanza per portare gente a votare, di voti già stampati con preferenza per Mursi. In realtà, le contestazioni sono reciproche. Le manifestazioni sono già cominciate in Piazza Tahirir contro il risultato elettorale da parte dei sostenitori di Shafiq e a sostegno di Mursi da parte dei Fratelli musulmani. A questi voti, c’è stata una grande partecipazione di copti e di donne: pochi i giovani, che hanno boicottato il voto.
Adesso, si apre un vero e proprio conflitto di poteri tra parlamento, Consiglio supremo delle Forze armate e presidente della Repubblica: la dichiarazione di ieri del Consiglio supremo delle forze armate sulla nuova Costituzione svuota il presidente della Repubblica dei suoi poteri, mentre i militari riprendono il potere legislativo. I Fratelli musulmani in questo momento sono pronti ad occupare il parlamento e a tornare per strada per riprendere l’Assemblea del Popolo, che hanno perso dopo la sentenza della Corte costituzionale. Il gioco di potere tra fratellanza ed esercito continua.
Al via in Messico il G20: sul tavolo crisi dell’Eurozona e questione siriana
◊ Dopo gli esiti delle elezioni di Atene, si accendono oggi i riflettori sul summit del G20 a Los Cabos in Messico. Al centro del dibattito la crisi dell'Eurozona, ancora lontana dall'essere risolta, la ripresa globale, i mercati, ma anche la Siria, con il nodo Russia-Cina da sciogliere e il primo faccia a faccia tra il presidente Usa-Obama e quello russo, Putin. Le forze politiche e soprattutto la società civile si aspettano risposte concrete. Cecilia Seppia ha sentito Francesco Petrelli, responsabile delle relazioni istituzionali della ong Oxfam Italia:
R. – Ci si aspetta che la fiducia sia ripagata, sia effettivamente frutto d’impegni concreti, del rispetto di quanto detto 20 anni fa nella prima conferenza globale dedicata al clima e alla sostenibilità.
D. – Guardando alla Siria, che è un altro tema in agenda al G20, viene anche in mente la questione dei diritti umani, uno "spazio" che andrebbe ribadito, ripristinato...
R. – Sono assolutamente elementi collegati: non c’è crescita, non c’è sviluppo se non c’è democrazia e rispetto dei diritti umani. C’è un sistema internazionale, una governance, da costruire o forse da ricostruire, per dare credibilità. E’ possibile che di fronte a una situazione come quella siriana, la comunità internazionale non abbia gli strumenti per intervenire e fermare un massacro? E’ lo stesso discorso su piani diversi, ma non meno drammatici, di prendere quelle decisioni riguardanti la povertà, l’accesso al cibo, il rispetto degli accordi sul clima, per evitare, non solo la catastrofe, ma forse per dare segnali di speranza. Il problema è che oggi sappiamo che abbiamo bisogno dello sviluppo e anche della crescita, ma la questione, la domanda che si pone, è quanta crescita, dove e a favore di chi.
D. – Da una parte il G20 di Los Cabos, dall’altra "Rio+20" con il summit che affronta il tema dello sviluppo sostenibile e che vede la presenza di molte ong. Due incontri che hanno tanto in comune, soprattutto – come diceva lei – quello della lotta alla povertà e la messa a punto di una governance comune. Secondo lei ci si arriverà?
R. – Sappiamo che ci sono le risorse, ma bisogna cambiare l’agenda politica, bisogna cambiare le priorità, bisogna governare il mondo, stabilendo regole comuni. Abbiamo visto che Paesi come la Grecia cominciano a vivere condizioni drammatiche. Mi ha colpito molto questo dato dell’Unicef che diceva, 15 giorni fa, che il 25% dei bambini greci sono sottoalimentati. Se non prendiamo le decisioni giuste, in realtà, rischiamo di pagarne le conseguenze anche in Europa, che forse è una delle parti del mondo che come qualità del vivere, grazie allo stato sociale, al welfare, ha consentito un livello di civilizzazione più evoluto. Il problema è - con il mondo attuale, con le risorse che abbiamo - avere una nuova saggezza politica, un buon senso politico, che veda impegnati i governi del mondo che contano, ma anche i governi degli altri Paesi, che li responsabilizzi e li accomuni in uno sforzo, che ci deve consentire di creare delle condizioni per vivere insieme un futuro possibile.
◊ "La religione in una società di transizione. Come la Tunisia interpella l'Occidente": è il tema dell’incontro in corso, oggi e domani a Tunisi, promosso dal comitato scientifico di “Oasis”, la rivista sul dialogo islamo-cristiano, fondata dal cardinale Angelo Scola. Proprio il porporato, con un videomessaggio, ha introdotto stamani i lavori a cui prendono parte 50 personalità di tutto il mondo, ecclesiali e non. Per l'arcivescovo di Milano, in Tunisia ed Egittto "ci troviamo a un punto di svolta" che "deciderà il futuro delle rivoluzioni arabe". Tra i relatori all'incontro di "Oasis" c'è anche il direttore dell’agenzia “Asianews”, padre Bernardo Cervellera, che raggiunto telefonicamente a Tunisi da Alessandro Gisotti si sofferma sull’inizio dei lavori del convegno:
R. - Queste rivoluzioni arabe, che pongono sempre più la domanda sulla loro identità islamica, come interpellano l’Occidente? Il cardinale Scola vede la possibilità che, da una parte, una società moderna cristiana e quindi un cristianesimo contemporaneo interpellasse di più le società arabe contemporanee e nello stesso tempo, però, queste rivoluzioni arabe domandino all’Occidente secolarizzato cosa abbia fatto della sua dimensione religiosa.
D. - Una sfida assolutamente da accettare, necessariamente, e questo il cardinale Scola lo dice e lo scrive da tempo….
R. - E’ una sfida importantissima, anche perché dice che l’Occidente senza questa spina dorsale di tipo religioso è destinato all’autodistruzione.
D. - Guardando in particolare alle comunità cristiane: quali sfide pone - per loro - la “primavera araba”, guardando soprattutto alla Tunisia, che poi è l’oggetto-soggetto di questo incontro di Oasis?
R. - La sfida è quella di vedere se nel futuro di questi Paesi ci sia spazio e libertà per i cristiani, per una cittadinanza - diciamo così - a corpo pieno. La cosiddetta “Rivoluzione del gelsomino”, iniziata qui in Tunisia, è venuta fuori come una grande fiammata di desiderio di dignità, di lavoro, di lotta alla corruzione e così via, ma anche come desiderio di libertà. Queste rivoluzioni sono minacciate, di fatto, da correnti fondamentaliste che vogliono applicare la sharia, la legge islamica in tutto e per tutto. Il futuro di queste comunità cristiane è molto precario. Devo dire, però, che alcuni dei relatori di oggi hanno messo in luce anche la precarietà ancora di queste rivoluzioni, perché non si sono ancora stabilizzate. C’è un cammino da fare, in cui sia musulmani che cristiani possono dare il loro contributo.
D. - In che modo la Tunisia, il caso tunisino, interpella l’Occidente?
R. - Il caso tunisino interpella l’Occidente anzitutto per due fatti. Uno riguardo al passato, perché questa rivoluzione, che è avvenuta in Tunisia,lo è stata anzitutto per il desiderio del cuore dei tunisini e non, assolutamente, una rivoluzione importata dall’esterno. L’altra cosa è che, comunque, questa rivoluzione di fatto è una specie di "cavia" per verificare la possibilità di una società in cui modernità e islam possano andare insieme.
Convegno ad Assisi sul contributo francescano al superamento della crisi economica
◊ La fraternità al centro del convegno: “Un contributo francescano al superamento dell’attuale crisi economica”, che si è tenuto stamani presso il Salone papale del Sacro Convento di Assisi. Aperto dal custode dello stesso Sacro convento, padre Giuseppe Piemontese, l’incontro ha visto gli interventi del ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, del filosofo Dario Antiseri e dell’economista e presidente dell’Agenzia del Terzo Settore, Stefano Zamagni. Presenti anche diversi esponenti politici e sindacali. Il servizio di Debora Donnini:
Fraternità, cuore dell’apporto che il francescanesimo può dare all’economia: è il tema che riecheggia nell'incontro ad Assisi e che rimanda anche alla radice profonda della fiducia. “Nella visione di Francesco di Assisi la fraternità assume la configurazione di modello, proposta e anticipazione di un umanesimo, dove la centralità dell’uomo si esprime nelle relazioni fraterne e tra gli uomini”, ricorda il custode del Sacro convento, padre Giuseppe Piemontese. A mettere in rilievo la necessità di creare lavoro, il ministro dello Sviluppo Corrado Passera che sottolinea come dal francescanesimo ci sia da apprendere soprattutto sul tema della mutualità, del mettersi insieme: bisogna quindi ridare spazio al principio di solidarietà e fare ciò che serve per il bene comune. E la parola fraternità ricorre ancora nel discorso dell’economista Stefano Zamagni:
“Da un paio di decenni a questa parte in Italia come nel resto del mondo, osserviamo una ripresa di attenzione alle categorie del pensiero francescano, perché, evidentemente, ci sono oggi nelle nostre città paradossi che per essere sciolti devono chiamare in causa i due principi chiave del pensiero francescano: la fraternità da un lato, e la reciprocità dall’altro. Pensiamo al paradosso della scarsità dei beni comuni, ma soprattutto all’aumento scandaloso delle disuguaglianze, le quali aumentano in modo più che in proporzionale rispetto all’aumento della ricchezza. Se ci poniamo con animo scevro da interessi di sorta in questa ottica, ci renderemo conto che con gli strumenti tradizionali del discorso economico, non si riesce a risolvere questi problemi. I francescani hanno il grande merito di averci fatto comprendere come il principio di fraternità debba trovare applicazione dentro l’area economica, cioè dentro il mercato, non fuori, come fino a tempi recenti si era creduto”.
E questo non da ora:
“A partire dal 14.mo secolo, i francescani sono quelli che hanno posto le basi a livello sia culturale sia operativo di tutti quegli strumenti che definiscono un’economia di mercato. Pensiamo ai monti di pietà, alla partita doppia, cioè alla contabilità d’azienda, a tutte quelle altre strutture che hanno fatto dell’economia di mercato un modello di organizzazione sociale”.
E sul contributo dei francescani al mondo economico di oggi, la riflessione di uno degli organizzatori dell’incontro, padre Giorgio Silvestri, economo generale dei Frati Minori Conventuali:
R. - I soldi, l’economia senza valori, non fanno un servizio all’uomo; creano il vuoto, creano il paganesimo e lo stiamo verificando di fatto. Quindi noi richiamiamo ai valori e in modo particolare al valore della fraternità che è molto più della semplice solidarietà. Dalla crisi si può uscire attraverso buone relazioni, ponti di pace e attività che siano costruttive su tutti i campi, economia compresa.
D. - Monti di pietà e Monti frumentari: queste due entità a cui hanno dato vita i francescani, in che modo possono aiutare la società e l’hanno aiutata?
R. - Sono nati come iniziativa al servizio della gente. In secondo luogo, avevano una caratteristica molto precisa: si trattava di attività di micro-credito ed hanno saputo far crescer la civiltà medioevale, quindi sono stati veramente un motore molto, molto importante.
D. - Molto importante perché permettevano, anche alle persone povere, di poter avere denaro da investire?
R. - Sì. Esattamente. La base del micro-credito è dare fiducia alle persone: “Ti do fiducia, ti do la possibilità di iniziare un lavoro, e di fare in modo che la tua fedeltà nel restituire quello che hai ricevuto, possa andare a beneficio degli altri”. Quindi è veramente un principio molto forte che costruisce una collettività.
D. - Ci sono delle proposte che voi francescani fate direttamente?
R. - Sì. La prima proposta è l’istituzione di questo osservatorio francescano dell’economia, che deve mettersi al servizio dell’uomo di oggi per evitare all’uomo d’oggi le derive dell’economia che lo rendono schiavo della speculazione. Quindi una voce autorevole, che controlli le realtà economiche e possa dare degli orientamenti. La seconda proposta è invece l’invito ai governanti di tutto il modo - una sorta di appello - e agli esperti di economia, di mettersi attorno ad un tavolo. Non sarà facile, ma è necessario per una grande concertazione che possa dare nuove regole all’economia e alla finanza mondiale, perché altrimenti, senza regole, non si sta andando avanti, si sta tornando alla legge della foresta, dove tutti sono contro tutti, chi è più forte vince e il più debole e i poveri pagano le conseguenze. C’è bisogno di mettersi attorno ad un tavolo e forse crediamo sia possibile.
Indagine Cesnur: il 70% degli italiani si dice lontano dalla fede
◊ Il 70% degli italiani, pur non dicendosi ateo, è lontano dalla religione e frequenta la Chiesa solo per le grandi ricorrenze. Il restante 30% si dichiara invece praticante. E’ quanto emerge dalla ricerca del Cesnur “Gentili senza cortile”, presentata ieri a Gela. Secondo lo studio effettuato tra la popolazione della Sicilia centrale, ritenuta rappresentativa dell’Italia in generale, gli atei sono circa il 7%: tra questi il 2,4%, costituito per lo più da persone anziane e meno istruite, motiva la propria scelta con ragioni ideologiche. Il restante 5% - giovani, con un livello culturale più alto - considera invece “irrilevanti” Dio e la religione. Dunque, la maggior parte della popolazione si dice lontana dalla fede. Quali le motivazioni? Paolo Ondarza lo ha chiesto a Massimo Introvigne, direttore del Cesnur:
R. – Le due ragioni principali sono, primo, la sensazione degli italiani - sulla quale come cattolici dobbiamo tutti molto riflettere - che sui grandi problemi dell’ora presente, a partire dalla crisi economica, la Chiesa come altre istituzioni cerchi di dire qualcosa ma tutto sommato non abbia moltissimo da dire. Vi è poi una difficoltà nell’accettare gli insegnamenti morali della Chiesa e delle religioni. Inoltre, ci sono due motivi che stanno molto prendendo piede. Il primo, è lo sgomento derivato dalla questione dei preti pedofili: va precisato che si tratta di una reazione a notizie di stampa, perché nella zona in cui abbiamo condotto la nostra ricerca non c’è stato neppure un caso di condanna di un sacerdote per pedofilia. Il secondo motivo riguarda le polemiche sulle presunte ricchezze o benefici fiscali di cui la Chiesa cattolica - ma non solo - godrebbe. Questa ricerca quindi dimostra che le campagne di stampa più recenti contro la Chiesa non sono irrilevanti e, in una certa misura, hanno una forte influenza soprattutto sulle persone più semplici.
D. – Che cosa dire, invece, dei cattolici praticanti?
R. – Se il 70 per cento è lontano dalla Chiesa, c’è invece un 30 per cento che si sente vicino alla Chiesa, che difende la Chiesa quando viene attaccata. C’è un’identificazione: queste persone si sentono nella Chiesa, vogliono bene alla Chiesa, la difendono anche quando viene attaccata. Però, poi, quando vengono interrogati su materie come “cosa c’è dopo la morte?”, “cosa sono e che cosa significano i Sacramenti?”, mostrano delle gravissime lacune. Mi pare, quindi, che le iniziative che la Chiesa ha messo in cantiere – l’iniziativa del Papa di indire l’Anno della Fede, il Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione e la celebrazione dei 20 anni del Catechismo della Chiesa cattolica - siano tutte molto opportune. Nella sua modestia, anche la sociologia ci mostra che in Italia c’è ancora una forte identificazione con il cattolicesimo, forse non più maggioritaria, ma comunque molto rilevante: quasi un italiano su tre si dichiara cattolico. Ma questa identificazione non sempre è "identità", perché il passaggio tra l’identificazione e l’identità presuppone un cammino di formazione.
La ricerca del Cesnur pone dunque alla Chiesa la sfida della formazione dei credenti e dell’evangelizzazione. Lo conferma al microfono di Paolo Ondarza mons. Michele Pennisi, vescovi di Piazza Armerina, presente alla presentazione dell’indagine:
R. – Di fronte a questo, la Chiesa deve sentirsi sfidata: c’è un grande spazio per la missione, per la nuova evangelizzazione. Dobbiamo avere l’ansia pastorale di proporre il Vangelo, in base alle raccomandazioni del Concilio e della Gaudium et Spes, anche a coloro che si proclamano atei o indifferenti: avere il coraggio di fare la proposta di Dio, ponendo loro delle domande.
D. – Sembra rilevante, nell’allontanamento dalla fede e quindi dalla Chiesa, il ruolo di campagne stampa contro la Chiesa…
R. – Io penso che, prendendo spunto da fatti reali, sia in atto una campagna orchestrata contro la Chiesa dettata da poteri forti. E’ quindi importante educare le persone a saper leggere i giornali, a saper interpretare i messaggi televisivi con una visione critica.
D. – Va rilevato che all’interno del cosiddetto “zoccolo duro” dei cattolici praticanti, che vanno a Messa tutte le domeniche, c’è una parte rilevante che ha, sì, un’identità cattolica, ma spesso manca di una preparazione culturale cristiana…
R. – Mi pare importante che l’Anno della Fede offra a tutta la Chiesa un’opportunità per approfondire la fede non solo come esperienza personale di incontro con Cristo, ma anche tenendo presente l’aspetto intellettuale. Occorre far conoscere il Catechismo della Chiesa cattolica, fare degli incontri che facciano capire che la fede non si oppone alla ragione, anche se la supera.
Libano: al Sinodo greco-melkita, conflitto in Siria e nomima del vescovo di Homs
◊ Il conflitto in Siria, la difficile situazione dei circa 300mila fedeli greco-cattolici melkiti presenti in Siria, la nomina del nuovo vescovo greco-melkita di Homs: sono fra gli argomenti all’ordine del giorno dell’Assemblea del Sinodo della Chiesa greco cattolica melkita, che si è aperta oggi a Beirut, in Libano. Alla guida dell’assise, il Patriarca greco melkita di Antiochia e di tutto l’Oriente, Gregorio III Laham, che presiede un’assemblea di circa 30 presuli provenienti dal Medio Oriente ma anche dall’America, dall’Australia e dall’Europa. L’Assemblea sarà chiamata a una nomina molto delicata, quella del nuovo vescovo di Homs (attualmente sede vacante), la città al centro del violento conflitto fra truppe regolari e ribelli dell’Esercito Siriano di Liberazione. Secondo fonti di Fides, i presuli del Sinodo greco-melkita sono fortemente preoccupati per la sorte dei fedeli cattolici in Siria, stretti al centro del conflitto. Nella discussione del Sinodo, si cercherà anche di esplorare vie di riconciliazione non violente, alternative alla forza militare, che costituiscono il profondo desiderio dei fedeli cristiani in Siria e in tutto il Medio Oriente. I vescovi e i rappresentanti del Sinodo hanno accolto l’appello lanciato dal Patriarca Laham e stanno vivendo, nel mese di giugno, un periodo di digiuno, astinenza e preghiera per la pace in Siria, fino alla festa dei Santi Pietro e Paolo. (R.P.)
Siria: rischiano di morire di fame i civili intrappolati a Homs
◊ “Salvateci, abbiamo fame”: è l’appello lanciato dalle famiglie di Homs, che chiedono l’intervento delle organizzazioni umanitarie. La situazione peggiora vistosamente per i circa 800 civili (metà musulmani sunniti, metà cristiani) intrappolati nel centro storico di Homs: secondo fonti dell'agenzia Fides nel Comitato che sta trattando con l’esercito e con i ribelli per poter garantire libertà e salvezza ai civili, “le famiglie non hanno più cibo, nessun approvvigionamento è stato possibile da giorni, non ci sono medicine, rischiano di morire di fame. Ci sono anziani e bambini in condizioni critiche, urge un intervento umanitario”. I ribelli asserragliati in città hanno affermato che potrebbero consentire l’uscita dei civili la sera dopo le 21.00. Ma a quell’ora, quando subentra il buio, scatta il coprifuoco e i civili, se uscissero allo scoperto, sarebbero facilmente uccisi sotto il fuoco incrociato, dunque nessuno si muoverà. Mentre gli osservatori Onu hanno annunciato che la sospensione temporanea del loro intervento, il Comitato di negoziato, composto da laici, religiosi e leader della società civile, chiede almeno un cessate-il-fuoco di poche ore per consentire l’ingresso di aiuti umanitari ad Homs, ma finora nessuna delle due parti in lotta intende concederlo. “Bisognerà inoltre garantire che tali aiuti, se verranno concessi, come tutti auspichiamo, arrivino realmente alle famiglie bisognose e non vengano sequestrati” rimarca una fonte di Fides. (R.P.)
India: attaccato villaggio cristiano in Orissa. Torna l’incubo delle violenze
◊ Lo spettro di nuove violente persecuzioni torna ad agitare la comunità cristiana dello Stato indiano dell’Orissa. Un pastore e l’intera comunità di un villaggio cristiano, circa 12 famiglie, sono stati attaccati violentemente e feriti da una gruppo organizzato di circa 50 estremisti indù. Nelle Chiese locali è ancora vivo il ricordo dei pogrom nel distretto di Kandhamal e che sfociarono in veri massacri anticristiani. La violenza questa volta è avvenuta nel distretto di Balasore. Come spiega a Fides il “Global Council of Indian Christians” (Gcic), organizzazione ecumenica che monitora la condizione dei fedeli cristiani in India, il 15 giugno il Pastore cristiano Evangelist Baidhar, 50 anni, leader di una comunità di preghiera, è stato assalito e percosso, senza alcuna ragione, da un gruppo di fanatici indù armati, mentre stava tornando a casa dopo un incontro di preghiera nella residenza di un credente nel villaggio di Mitrapur Makhapada. Il Pastore è stato lasciato tramortito a terra, in strada, con numerose ferite che sanguinavano copiosamente. Sarebbe morto se alcuni fedeli non lo avessero ritrovato e portato al vicino ospedale. Quando i radicali indù hanno saputo che il Pastore era stato salvato dai fedeli del villaggio, la sera dello stesso giorno, un gruppo di circa 50 estremisti indù ha attaccato l'intero gruppo composto da circa 12 famiglie cristiane, causando ferite e lesioni gravi ad una ventina di fedeli. Gli estremisti hanno anche saccheggiato le loro case e picchiato tutti i credenti, giovani e vecchi, molestando alcune delle giovani donne. Dopo l’assalto, per timori di nuove violenze, tutti i fedeli sono fuggiti e si sono rifugiati nei boschi circostanti. Il Gcic, venuto a conoscenza dell’episodio, ha contattato i fedeli locali e convinto il Pastore Baidhar a sporgere denuncia presso la stazione di polizia di Nilgiri. La polizia ha assicurato che prenderà contromisure adeguate e cercherà i responsabili. Gli inquirenti hanno rilevato un nuovo possibile inasprimento delle violenze nello Stato di Orissa, dato che solo pochi giorni fa la polizia del distretto di Puri Brahmagiri ha rivenuto e sequestrato un arsenale con oltre 50 bombe a mano e casse di dinamite nel villaggio di Gambhari. Secondo fonti di Fides, gli esplosivi erano tenuti lì, pronti per un’altra sommossa anticristiana in Orissa, sul modello di quella organizzata nel 2008. (M.G.)
Sudan: occupate 3 scuole cattoliche, la confisca di una chiesa bloccata dal sit-in dei fedeli
◊ Le autorità di Khartoum hanno occupato tre scuole cattoliche ed hanno cercato di confiscare una chiesa. Lo riferisce il Catholic Radio Network (Crn) che cita fonti della Chiesa sudanese. Secondo le fonti, le autorità hanno occupato due scuole a Mayo e un’altra a Omdurman. Secondo il Crn non è noto se le scuole fossero o meno in attività. Il tentativo di confiscare la chiesa cattolica è stato sventato quando i fedeli hanno improvvisato un sit-in. Secondo le fonti del network cattolico riprese dall'agenzia Fides, le autorità locali, di fronte alla mancanza di spazi per gli studenti, hanno deciso di occupare le scuole cattoliche che erano usate dagli studenti originari del Sud Sudan, che sono in via di espulsione da Khartoum. La Chiesa ha fatto ricorso al tribunale per recuperare gli edifici occupati. (R.P.)
Mali: terroristi internazionali al fianco dei gruppi islamisti del Nord
◊ Il nord del Mali sta diventando un ricettacolo dei terroristi islamici di tutto il mondo. È quanto denuncia all’agenzia Fides, don Edmond Dembele, segretario della Conferenza Episcopale del Mali, secondo il quale “in Mali si parla ormai apertamente della presenza di istruttori e mercenari pakistani e afgani che addestrano i combattenti reclutati dagli islamisti”. I mercenari affiancherebbero i gruppi islamisti Aqmi (Al Qaida nel Maghreb Islamico) e Ansar Dine, i due principali movimenti che assieme al laico Mnla (Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad), controllano la parte settentrionale del Paese da circa 3 mesi. “Per questo motivo i Paesi della regione e quelli europei temono che il nord del Mali diventi un territorio senza legge, rifugio per jihadisti e terroristi di diversa provenienza”, aggiunge don Dembele. “Da questo vasto territorio – prosegue il sacerdote -, i terroristi possono recarsi facilmente in Europa oppure preparare attentati in altre parti del mondo”. Si accentua inoltre la divisione tra l’Mnla (formato da tuareg) e i movimenti islamisti che accolgono nelle loro file anche non maliani (nord africani ed altri). “L’Mnla ha affermato che l’islamismo radicale è contrario alla cultura tuareg e che non può accettare l’imposizione della Sharia nel nord del Mali” spiega don Dembele. “Per questo motivo l’opinione pubblica maliana ritiene che sia più facile trovare un accordo con l’Mnla che con gli islamisti – afferma ancora il religioso -. È più probabile che l’Mnla rinunci all’indipendenza del Nord che non Ansar Al Dine all’imposizione della sharia a tutto il Mali. È quindi più facile negoziare con questo gruppo che con gli altri che si richiamano all’islamismo”. Tuttavia secondo don Edmond Dembele, con Ansar al Dine qualche spazio negoziale esiste, perché la dirigenza di questo gruppo è formato da maliani anche se fra i suoi combattenti vi sono degli stranieri. “Il Presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, incaricato dai Paesi della regione di mediare nella crisi maliana, ha in effetti incontrato una delegazione di Ansar al Dine” conclude don Dembele. (M.G.)
Niger: lotta alla fame degli abitanti di Tibiri che colpisce ogni anno la regione
◊ In Niger, uno dei Paesi più poveri al mondo, ogni anno sei milioni di persone su 18 milioni di abitanti della regione desertica del Sahel nell’Africa occidentale, soffrono situazioni di carestia. Grazie ad un progetto, sostenuto dall’Oxfam e finanziato dal Programma Alimentare Mondiale (Pam), che prevede la raccolta dell’acqua per rigenerare il terreno e piantare alberi di acacia, gli abitanti del caldo e ventoso villaggio di Tibiri, nel sud-ovest del Niger, con il badile in mano e a piedi nudi, scavano buche nel terreno profonde 3 metri, destinate all’acqua piovana. Un progetto che a Tibiri ha cambiato la vita di tante persone e che offre ai contadini 56$ al mese per il lavoro che fanno per l’intera comunità. Lo scorso anno, nella regione, l’80% dei 75 mila contadini hanno perso i loro raccolti a causa della siccità. Quando iniziano ad arrivare le prime piogge il programma entra in una nuova fase: il sostegno economico continua, ma ogni contadino inizia a seminare il proprio terreno. A diverse centinaia di chilometri di distanza, nella regione di Tanout, con le prime piogge sono state avviate le piantagioni dei semi di miglio. I raccolti degli ultimi tre anni non sono stati sufficienti per la popolazione a causa della scarsa qualità dei prodotti. In attesa che il governo coordini le sue limitate risorse per combattere la fame nel Paese, gli abitanti di Tibiri si sono organizzati a livello locale e hanno deciso di usare i loro risparmi per istituire una banca alimentare. (R.P.)
Corea del Nord: più di 200mila persone condannate a morire nei gulag
◊ Almeno 200mila persone sono rinchiuse nei campi di lavoro del regime della Corea del Nord. Di questi, circa il 20 % è di fede cristiana e vive nei campi da più di un decennio. Inoltre, molti dei detenuti non hanno alcuna speranza di uscire vivi da questa situazione, dato che secondo l'ideologia coreana un criminale rimane tale "per almeno 3 generazioni". È quanto emerge dalla testimonianza di Jo Chung-Hee, ex membro del Partito comunista coreano fuggito in Occidente e convertito al cristianesimo. Secondo i dati in suo possesso, nel Paese sono in attività 6 campi di lavoro. Di questi il più temibile è il Campo 14, conosciuto come Distretto di controllo totale: da questo posto, dove vivono come schiavi almeno 50mila prigionieri, non si può uscire vivi. Esiste poi il Campo 22, di un'estensione pari a quella di Los Angeles, dove si praticano esperimenti sui prigionieri. Anche qui, i detenuti sono circa 50mila. Infine c'è il Campo 25, gestito dalla polizia segreta, dove sono imprigionati leader religiosi e presunte spie occidentali. Sono pochissimi, secondo Jo, i nordcoreani che sono sopravvissuti a questi campi. La media delle sentenze imposte ai prigionieri è pari a 15 anni, ma il carico di lavoro e le torture contro i detenuti abbassano la media dell'aspettativa di vita a 7 anni. Nei Campi - riferisce l'agenzia AsiaNews - a volte vengono rinchiuse intere famiglie, che di fatto il regime usa come schiavi per la produzione industriale pesante e per l'estrazione di carbone. Dopo la Guerra coreana (1950-1953), Kim Il-sung - primo presidente e "padre della patria" nordcoreana - ha deciso l'apertura dei campi di lavoro per tenere sotto controllo, sfruttandoli dal punto di vista lavorativo, i soldati del Sud arrestati nel corso del conflitto. Nel giro di 5 anni, però, i Campi hanno iniziato a riempirsi di dissidenti politici e contestatori: i più colpiti sono stati i leader religiosi e i fedeli, soprattutto cristiani, che si opponevano al regime. Secondo alcuni dati pubblicati nel 2008, nei Campi erano imprigionate circa 900mila persone. Il calo drastico del numero deriva dal fatto che la carestia del 2009 ha decimato la popolazione carceraria, del tutto ignorata dal punto di vista umanitario dal regime comunista. (R.P.)
Paraguay: 17 morti per scontri tra politizia e contadini. I vescovi: "Fermate la violenza"
◊ “I vescovi del Paraguay esprimono il loro profondo rammarico per la morte di alcuni agenti di polizia e di contadini avvenuta il giorno 15 giugno, nell'ambito di un procedimento di sfratto a Curuguaty, ed esprimono la loro solidarietà e la vicinanza spirituale ai familiari, ai colleghi e alle persone care delle vittime e dei feriti. I vescovi pregano per i morti e per il pieno recupero dei feriti”. E’ quanto afferma un comunicato della Conferenza episcopale del Paraguay, pervenuto all'agenzia Fides, dopo i tragici eventi che hanno causato 17 morti e alcuni feriti nella zona di Curuguaty. “In nessun caso si può violare lo Stato di diritto e trasgredire le leggi della Repubblica – prosegue il comunicato - e neanche reagire violentemente e sparare per uccidere… La violenza genera violenza, e ci sono delle tragiche e sanguinose conseguenze quando si cerca di farsi giustizia con le proprie mani. Esortiamo urgentemente, al fine di evitare un'ulteriore escalation della violenza, a rispettare le procedure di legge per avere giustizia. Lo Stato ha l'obbligo di proteggere la vita e le proprietà dei cittadini nel quadro del rigoroso rispetto della dignità delle persone e delle garanzie previste dalla Costituzione e dalle leggi.” Secondo le informazioni raccolte dall'agenzia Fides, il 15 giugno circa 300 membri delle forze di polizia sono entrati nella tenuta di Morumbi (estesa circa 2 mila ettari), occupata da pochi giorni dai contadini. La polizia doveva effettuare un ordine di sfratto, ma quando gli agenti sono stati attaccati a colpi di arma da fuoco, con il chiaro intento di uccidere, hanno dovuto rispondere al fuoco. Sembra che fra i contadini ci fossero alcuni elementi appartenenti ad una banda armata. Il governo centrale, dopo questo fatto, ha chiesto l'intervento dell'esercito per riprendere il controllo della zona. I contadini reclamano la proprietà di queste terre, che si trovano nella zona di Curuguaty, nell’ambito di un grande parco naturale, che secondo loro non devono essere proprietà privata. (R.P.)
Messico: il vescovo di Saltillo chiede di non vendere il proprio voto
◊ A due settimane delle elezioni presidenziali, mons. Raúl Vera López, vescovo della diocesi di Saltillo, ha lanciato un appello alla popolazione esortando a non vendere il proprio voto, perché la corruzione che si verifica con tale azione, segnerà anche la gestione di quelli che riescono ad ottenere la vittoria. Nella nota inviata all’agenzia Fides, si leggono le parole del vescovo: “Non vendete il vostro voto, è una questione morale. Quando si arriva ad un posto di governo attraverso la corruzione, la corruzione rimane, la corruzione ci sarà ancora”. Mons. Vera López sottolinea che “c'è, e si vede, molta corruzione nelle strutture pubbliche”, ed è una situazione che si riflette sul grado di impunità che prevale. “C'è impunità perché nei casi di scomparse, omicidi, crimini, rapine e pestaggi, nessuno dà una risposta. Anche nel modo impunito attraverso cui il denaro viene riciclato”. A questo proposito, ha detto che è scandaloso sentire che quanti ora lottano per il potere, vogliano dimostrare che metteranno fine alla corruzione, proprio quando "la vediamo, la sentiamo, la viviamo e la respiriamo, da molto tempo e tutti i giorni”. Il Messico si prepara alle elezioni presidenziali del 1° luglio e ancora c'è confusione sulla procedura da seguire al momento del voto perché, nonostante le proteste, nessuno spiega ai cittadini il meccanismo preciso. (R.P.)
Myanmar: appello Onu al Bangladesh per i civili in fuga dal Rakhine
◊ Un appello al governo del Bangladesh affinché non respinga più i civili di etnia Rohingya in fuga dalle violenze nella regione di Rakhine, nel Myanmar occidentale, è stato rivolto dall’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr). Nel riferire dell’appello dell’agenzia dell’Onu, il portale di informazione online Mizzima ripreso dall'agenzia Misna, ricorda oggi che in pochi giorni gli scontri tra comunità della regione hanno causato più di 50 vittime e oltre 30.000 sfollati. L’intervento di Unhcr ha seguito un discorso pronunciato dalla dirigente di opposizione Aung San Suu kyi in occasione della cerimonia a Oslo per la consegna del Premio Nobel per la pace che le era stato assegnato nel 1991. “I conflitti nel nord non sono terminati – ha sottolineato sabato la Suu Kyi – mentre nell’ovest le violenze tra comunità sono sfociate in roghi di case e omicidi proprio pochi giorni prima che partissi per essere qui”. Della crisi di Rakhine e del processo di riforme avviato dai generali al potere in Myanmar dal colpo di Stato del 1990 la Suu Kyi discuterà ancora oggi e nei prossimi giorni a Dublino e a Londra. L’Irlanda e il Regno Unito sono la seconda e la terza tappa del primo viaggio in Europa della dirigente di opposizione dopo la fine degli arresti domiciliari e l’elezione in parlamento. (R.P.)
Pakistan: associazioni promuovono progetti in favore della realtà dei bambini di strada
◊ La Child Rights Network Pakistan (Crnp), la Pakistan Girl Guides Association (Pgga) e la polizia di Islamabad hanno organizzato – riferisce l’agenzia Fides – un seminario per informare gli studenti delle scuole sulla realtà del lavoro minorile e sui bambini di strada. L’incontro ha coinvolto circa 280 ragazze, con lo scopo di far comprendere loro il privilegio di aver studiato. La situazione dei bambini di strada in Pakistan è alimentata da diversi problemi, tra cui i conflitti familiari, le violenze fisiche, emotive e sessuali, la fame, l’urbanizzazione, la vita da profughi. La Crnp porta avanti dei progetti per il recupero dei bambini di strada, riunendoli e offrendo loro possibilità educative. Una delle recenti attività è stata la messa in scena di una rappresentazione di teatro e danza, al termine della quale un bambino ha affermato che “senza istruzione non possiamo aiutare il nostro Paese a crescere”. L’Organizzazione per la Tutela del Diritto dei Minori afferma che sono 23 milioni i bambini nel mondo che non frequentano la scuola. (A.C.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 170