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Sommario del 14/06/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa riceve il direttore della Fao: impegnarsi a sconfiggere la fame, nel mondo c'è cibo per tutti
  • Padre Lombardi: alla Fraternità San Pio X proposta una prelatura personale in vista di un eventuale riconoscimento
  • La visita a Baku del cardinale Filoni, al “piccolo seme” della Chiesa dell’Azerbaijan
  • Un dipartimento dedicato allo sport: iniziativa del dicastero della Cultura in sinergia col dicastero per i Laici
  • Mons. Mamberti per l'unificazione europea chiede un "fondamento etico"
  • Altre udienze e nomina
  • Congresso eucaristico di Dublino. Il cardinale Turkson: rinnovare la comunione attraverso la riconciliazione
  • Firmato Accordo tra Santa Sede e Repubblica di Lituania
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: numerosi morti nelle ultime ore. Drammatica testimonianza di padre Dall’Oglio, in procinto di lasciare il Paese
  • Crisi euro: tensione sui mercati, Merkel auspica più poteri alla Bce
  • I servizi socio-sanitari della Chiesa in una ricerca della Caritas Italiana
  • Dare visibilità al dramma dei rifugiati: così padre La Manna, presidente del Centro Astalli
  • Al via la Campagna nazionale contro il gioco d'azzardo, l'impegno della società civile
  • Greenaccord: forum per l'informazione cattolica per la salvaguardia del Creato
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Onu: più di 1700 bambini feriti o uccisi in Afghanistan nel 2011
  • Africa: bambini costretti a mangiare locuste per sopravvivere alla carestia
  • Mali: conflitti tra gruppi ribelli per il controllo di Timbuctù
  • Costa d'Avorio: ancora morti nell'ovest. Il vescovo di Man denuncia il traffico di armi
  • Myanmar: 10mila sfollati per tensioni nei territori ovest del Paese
  • In Pakistan il matrimonio forzato è il crimine più diffuso contro le donne
  • Brasile: il Consiglio indigenista denuncia assassini di indigeni e invasioni delle loro terre
  • Colombia: appello contro la violenza del vescovo di Barrancabermeja
  • Pellegrinaggio dell'icona della Madonna di Czestochowa a Vladivostok
  • IX Giornata mondiale del donatore di sangue: eventi in decine di Paesi
  • Spagna: la nuova evangelizzazione nel piano pastorale dei vescovi per il prossimo triennio
  • La Bulgaria ricorda lo storico viaggio di Giovanni Paolo II nel Paese
  • Svizzera: appello delle Chiese per i rifugiati
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa riceve il direttore della Fao: impegnarsi a sconfiggere la fame, nel mondo c'è cibo per tutti

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto, stamani in udienza, il neo-direttore generale della Fao, José Graziano da Silva. Durante i cordiali colloqui, informa una nota della Sala stampa vaticana, “è stato vivamente apprezzato l’impegno della Santa Sede e della Chiesa cattolica per combattere la fame e la povertà, soprattutto nel continente africano, e rimediare alla preoccupante situazione della sicurezza alimentare mondiale”. Quindi, prosegue il comunicato, si è “rilevato come, nonostante vi siano risorse sufficienti per soddisfare i bisogni alimentari di tutto il mondo, persistano ostacoli di ordine economico, sociale e politico che impediscono di soddisfare tali bisogni”. Infine, conclude la nota, è stato “auspicato che il settore rurale torni ad assumere un ruolo primario nelle strategie di sviluppo, che siano promossi modelli sostenibili di produzione agricola e di consumo alimentare e che si garantisca maggiore equità ed efficienza nella gestione del sistema alimentare”.

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    Padre Lombardi: alla Fraternità San Pio X proposta una prelatura personale in vista di un eventuale riconoscimento

    ◊   Nuovo incontro con i giornalisti, stamani, di padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede. In apertura del briefing, padre Lombardi ha reso noto, leggendo un comunicato, che ieri pomeriggio il cardinale William Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e presidente della Pontifica Commissione "Ecclesia Dei", ha incontrato mons. Bernard Fellay, superiore generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Il servizio di Isabella Piro:

    L’incontro, ha riferito padre Lombardi, è durato circa due ore ed aveva lo scopo di presentare la valutazione della Santa Sede circa il testo consegnato dalla Fraternità San Pio X nello scorso mese di aprile, in risposta al Preambolo dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede del settembre 2011. Mons. Fellay ha promesso una risposta in tempi ragionevoli. Padre Federico Lombardi ha specificato:

    "Cosa sono questi tempi ragionevoli? È da vedere. Dovrebbe esserci un Capitolo generale della Fraternità nella prima settimana di luglio. Quindi, evidentemente, questa è anche un’occasione di valutazione e confronto per i responsabili della Fraternità su questo tema".

    Durante l’incontro è stata anche consegnata una bozza di documento con la proposta di una Prelatura personale come "strumento più adatto" ad un eventuale riconoscimento canonico della Fraternità. Ancora padre Lombardi:

    "Diverso tempo fa si era detto che probabilmente questa poteva essere una forma canonica adatta, qualora i problemi dottrinali fossero superati, e si potesse quindi pensare ad un rientro nella comunione".

    La situazione degli altri tre vescovi della Fraternità sarà trattata separatamente e singolarmente. Il problema è quindi aperto, ha detto padre Lombardi. L’auspicio, comunque, come conclude il comunicato, è che “si possa giungere alla piena comunione della Fraternità San Pio X con la Sede Apostolica”.

    Padre Lombardi ha poi confermato il viaggio del Papa in Libano, in programma dal 14 al 16 settembre. Nei prossimi giorni, verranno effettuati i primi sopralluoghi. Non ci sono incertezze nella preparazione del viaggio da parte della Santa Sede, legate alla situazione in Siria. Riguardo al periodo di riposo estivo del Papa, il 3 luglio prossimo Benedetto XVI si trasferirà a Castel Gandolfo. Come di consueto, nel mese di luglio non sono previste udienze generali, mentre è confermato l’appuntamento dell’Angelus. il 15 luglio, inoltre, il Papa celebrerà una Messa a Frascati e sono in preparazione due concerti, sempre a Castel Gandolfo: l’11 luglio, con i giovani dell’Orchestra di Barenboim e ad agosto con i musicisti della Baviera. Per domenica prossima, invece, padre Lombardi ha ricordato il videomessaggio di Benedetto XVI che verrà trasmesso a conclusione del Congresso eucaristico internazionale in corso a Dublino.

    Quanto alle vicende relative a Paolo Gabriele, l’ex aiutante di camera del Pontefice indagato per il caso dei documenti trafugati in Vaticano, in questa settimana non sono previsti interrogatori formali, che riprenderanno la settimana prossima. Gabriele rimane comunque in custodia cautelare. Annunciata, inoltre, per giovedì prossimo, una conferenza stampa sul programma dell’Anno della Fede, mentre venerdì 22 giugno è prevista una visita allo Ior per i giornalisti accreditati presso la Sala Stampa della Santa Sede. È una visita - ha precisato padre Lombardi - di conoscenza tecnica ed operativa sulla natura, la finalità, il modo di lavorare di questa istituzione. I giornalisti potranno rivolgere domande, anche se non si deve pensare ad una conferenza stampa a tutto campo su tutti gli argomenti di attualità.

    Padre Lombardi ha poi smentito totalmente la notizia riportata oggi da un quotidiano italiano in cui si parla di un "hacker del Papa" misteriosamente scomparso. La notizia è senza fondamento, ha ribadito, senza agganci con la realtà.

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    La visita a Baku del cardinale Filoni, al “piccolo seme” della Chiesa dell’Azerbaijan

    ◊   Il prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, il cardinale Fernando Filoni, è appena rientrato in Vaticano da Baku, in Azerbaijan dove si è recato in occasione del 10.mo anniversario della storica visita di Giovanni Paolo II nel Paese caucasico. Al porporato – che ha incontrato la piccola realtà cattolica ed ha inaugurato un Centro pastorale – Roberto Piermarini ha chiesto che cosa ha lasciato in Azerbaigian la visita di dieci anni fa del Beato Giovanni Paolo II?

    R. – La visita è stata un evento storico e straordinario, perché ha aperto alla comprensione di che cosa è la Chiesa cattolica. Bisogna dire che questa Chiesa, secondo alcuni storici, risale ai primi secoli della Chiesa: poi però per alterne vicende, non ci sono stati contatti e non ci sono state permanenti realtà di scambio. Bisogna arrivare praticamente all’inizio del secolo scorso - nel 1903 - quando c’erano circa 10 mila cattolici e si avviò la costruzione di una vera comunità, attorno ad una grande Chiesa che fu dedicata a Maria Immacolata e che poteva contenere fino a 1.200 fedeli: una chiesa molto bella, in stile gotico, che però il regime sovietico – nel 1931 – completamente distrusse, uccidendo il sacerdote che era responsabile e annullando così la presenza cristiana. Dunque una Chiesa che veniva da una grande sofferenza: ora è rimasto un piccolo nucleo, piccolissimo nucleo di fedeli, che scrisse proprio alla Santa Sede per chiedere l’assistenza di un sacerdote. Arriviamo così praticamente ai nostri giorni, quando la Chiesa con la comunità cattolica fu registrata. Giovanni Paolo II capì e intuì questo momento così importante – la storia antica di questa Chiesa, il momento significativo in cui ci si trovava con la richiesta dei fedeli – e questa visita aprì praticamente le porte in un modo straordinario. Si può dire che quasi ancora non riusciamo a stimare completamente l’importanza di quella visita, ma fu così importante per la Chiesa e per l’Azerbaigian che il presidente Aliyev promise di dare un terreno, dove potesse essere costruita la chiesa. Siamo – a questo punto – al 2002 e quest’anno abbiamo celebrato il decimo anniversario della visita di Giovanni Paolo II e abbiamo potuto proprio in questa circostanza visitare questa piccola comunità.

    D. – Quale Chiesa ha incontro in Azerbaijan?

    R. - Si tratta di una comunità di circa 450 cristiani cattolici, ma una comunità assai significativa. In questo contesto bisogna dire una cosa importante: lo Stato ha riconosciuto legalmente la Chiesa cattolica, quindi con tutta la possibilità di agire e di fare legalmente la propria attività. Io ho trovato una bellissima chiesa, piccola ma molto significativa: questo è stato per me di grande consolazione e credo che lo sia stato anche per i fedeli.

    D. – Eminenza, che messaggio ha lasciato alla piccola chiesa azera?

    R. – Il messaggio veniva dall’immagine di Gesù, che dice nel Vangelo: “Voi siete un piccolo seme”. Ed è proprio un piccolo seme nella comunità dell’Azerbaigian, ma già assai stimato e significativo. Significativo perché il Centro pastorale che è stato inaugurato, che sorge intorno alla chiesa, può ospitare giovani e può ospitare i fedeli; c’è il catechismo e c’è la possibilità di svolgere incontri di conoscenza biblica. E’ una presenza anche attiva, perché molta gente ama andare lì per incontrarsi a livello spirituale, ma a livello anche di formazione morale. Bisogna anche dire che questa comunità, anche livello sociale, ha già ottenuto di aprire una Casa che ospita poco più di una ventina di anziani, le cui condizioni - oltre all’anzianità - è anche di malati e di persone che vivono situazioni particolari. E’ una delle pochissime opere sociali che esistono da questo punto di vista ed è anche molto stimata - mi hanno detto - anche all’interno delle altre comunità cristiane, per esempio dagli ortodossi, ma anche dai musulmani stessi, che vedono un’azione così significativa. Dunque un seme che sta crescendo come Chiesa, un’attività formativa per i giovani, per i ragazzi, per quei bambini che hanno difficoltà a scuola e che sono curati e seguiti, laddove le famiglie non avrebbero possibilità di fare di più. Ma poi anche piccolo seme di questa comunità tenuta delle suore di Madre Teresa, straordinaria sia per gioia, sia per il lavoro sociale che fanno.

    D. – Eminenza, le autorità dell’Azerbaigian come vedono la presenza della Chiesa cattolica?

    R. – La vedono molto bene e sono proprio loro che ne incoraggiano la visibilità. Dopo Giovanni Paolo II – bisogna ricordarlo – è andato anche il cardinale segretario di Stato Bertone, è andato il cardinale Ravasi, è andato il cardinale Touran, sono andati anche altri vescovi e arcivescovi. Io stesso, con questa mia visita, ho voluto mostrare l’apprezzamento anche verso lo Stato che, avendo dato proprio recentissimamente la qualifica di Chiesa riconosciuta, ha permesso che la nostra azione rientrasse anche nell’ambito della legge e della legalità e quindi presente con tutti i carismi. La nostra Congregazione recentemente – appena l’anno scorso – aveva elevato la missio sui iuris di Baku a Prefettura apostolica e quindi lì abbiamo un prefetto apostolico nella persona di mons. Fekete. La comunità salesiana che lavora lì, fa molto bene: io la ho incontrata e sono rimasto edificato per il loro modo di operare.

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    Un dipartimento dedicato allo sport: iniziativa del dicastero della Cultura in sinergia col dicastero per i Laici

    ◊   “Uno sport per l’uomo aperto all’Assoluto”: è il tema di un convegno tenutosi stamani in Vaticano, promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura. Nell’occasione, è stato lanciato il nuovo Dipartimento del dicastero, dedicato a “Cultura e sport”, che opererà in stretta collaborazione con la sezione “Chiesa e sport” del Pontificio Consiglio per i Laici, e con la Fondazione “Giovanni Paolo II” per lo sport. Luca Collodi ha parlato di questa inedita iniziativa con il cardinale Gianfranco Ravasi, partendo dall’attualità sportiva dei Campionati europei di calcio:

    R. - Non sono un tifoso e quindi in questo caso non posso dare un giudizio su questa realtà che però considero certamente significativa per le reazioni che crea. Queste reazioni hanno almeno due volti; da un lato affascina vedere questa tensione che un orizzonte ampio come quello dei tifosi ha nei confronti di queste figure, che sono le figure degli sportivi; ma dall’altro lato impressiona e atterrisce quando si vede la degenerazione che coloro che partecipano al tifo hanno, arrivando fino al punto di dimenticare la propria identità umana.

    D. - La Chiesa da tempo si occupa di sport, basta pensare alle parrocchie e agli oratori. Il Pontificio Consiglio della Cultura come si inserisce in questo cammino?

    R. - Si inserisce almeno a tre livelli diversi. Il primo è quello di una riflessione di ordine generale sul significato culturale dello sport, essendo una delle grandi esperienze fondamentali dell’umanità. In secondo luogo, si tratta di un fenomeno che coinvolge un numero enorme di persone, soprattutto di giovani, i quali hanno un’esperienza che purtroppo alcune volte è soltanto “sportiva”, soltanto “atletica” e non anche umana come dovrebbe essere e come avveniva nella cultura greco-romana, come avveniva anche nella stessa testimonianza del Nuovo Testamento, quando Paolo parla dello sport per ragioni di tipo ascetico, spirituale e persino teologico. La terza ragione è legata al fatto che nell’interno dell’esperienza dello sport si ha la possibilità di una crescita anche personale, umana, che non è soltanto fisica ma anche interiore e che viene spesso dimenticata, cioè è un momento di educazione. Per queste ragioni è un fenomeno non soltanto pastorale ma direi globalmente umano.

    D. - Lo sport oggi è un fenomeno gestito dall’economia più che dalla cultura…

    R. - E’ fuor di dubbio che tutta l’esperienza umana ha anche una dimensione concreta e quindi economica, però purtroppo, soprattutto in alcuni sport, dobbiamo dire non in tutti, è diventato ormai la componente dominante, il filo d’oro che unisce quasi tutto l’interesse per certi tipi di sport, pensiamo al calcio. Dall’altra parte però bisogna anche riconoscere che esistono molti altri sport che non sono così vincolati dall’economia. Dobbiamo cercare di far sì che torni ancora l’idea del gratuito, cioè della libera creatività del gioco in tutto il suo splendore, che è tipico, già spontaneo, del bambino quando si affaccia al mondo e comincia a giocare, che è una manifestazione anche di poesia e di creatività.

    D. - Oggi chi fa sport vuole vincere. Voi educherete anche alla sconfitta?

    R. - La vittoria certamente è un elemento positivo, non dobbiamo considerarla soltanto come una prevaricazione. La vittoria vuol dire da una parte riuscire ad avere una meta alta da raggiungere verso la quale si tende con tutti se stessi ma, dall’altra parte, vincere tante volte è anche soltanto conquistare gradi diversi, non raggiungere l’apice che viene presentato e che è possibile soltanto in alcuni casi. Ed è per questo che allora è indispensabile anche creare l’idea della gradualità, del come è possibile essere nell’interno di una gara partecipando attraverso forme che non comportano la "medaglia terminale" ma che comportano risultati diversi. La vittoria deve sempre unirsi al senso del limite della incompiutezza che ha sempre la creatura umana e che purtroppo non si vuole riconoscere, ed ecco il ricorso al doping, a queste forme artificiose che in realtà devastano sia il concetto di vittoria, sia il concetto di uomo e donna.

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    Mons. Mamberti per l'unificazione europea chiede un "fondamento etico"

    ◊   “L’attuale momento storico rivela” che nel “processo di unificazione” europea è “indispensabile un fondamento etico”. Lo ha detto l’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, agli ambasciatori dei Paesi dell’Unione europea accreditati presso la Santa Sede in occasione della fine del semestre della presidenza di turno danese. L’incontro si è svolto a Roma lunedì scorso, ma il discorso è stato pubblicato sull'edizione di ieri de “L’Osservatore Romano”, dove si può leggere il testo integrale. “La via per uscire dalla crisi - ha osservato mons. Mamberti - non può meramente fondarsi sulla ricerca di soluzioni tecniche, seppure innovative, bensì trarre spunto dal background comune europeo, che vede nella figura e nella responsabilità della persona umana un’insostituibile risorsa”. Dunque, “lo sviluppo dell’Europa non può prescindere dalla centralità della persona”. Non si tratta di “introdurre un principio religioso, ma di riconoscere, come fece De Gasperi, che ‘all’origine di questa civiltà europea si trova il cristianesimo’”. Secondo mons. Mamberti, “per riprendere il proprio cammino con decisione, l’Europa deve partire anzitutto dall’uomo, più che dai mercati o dalle istituzioni. Ripartire dall’uomo significa innanzitutto favorire la vita e la famiglia”. “Una delle sfide più importanti del momento presente - ha sottolineato mons. Mamberti - è quella di favorire una ripresa dell’occupazione e della produzione. Da ciò dipende la possibilità di tornare a crescere. Il problema non sembra di facile soluzione”; tuttavia, “non si tratta di una missione impossibile. Il suo esito positivo dipenderà in gran parte dalla disponibilità di ciascuno a offrire qualcosa di sé”. Soprattutto, “richiede di ripensare tutta quanta l’architettura europea, a partire dagli indirizzi che la guidano. Un’Unione Europea che trovi nei mercati il suo unico collante è destinata a fallire; un’Unione che riponga al centro l’uomo e le istanze che provengono dalla sua ricca e benefica tradizione è destinata a riuscire”. Nessuno, infatti, “sarà disposto a compiere sacrifici, senza un orizzonte ideale che a quei sacrifici dia una ragione e uno scopo”. Per il presule, “fiducia, solidarietà e responsabilità costituiscono così le parole chiave attraverso le quali l’Europa è chiamata, oggi più che mai, a guardare a se stessa. Esse devono informare non solo le relazioni interne dell’Unione, ma anche i rapporti che essa intrattiene con gli altri attori della scena mondiale, come pure nei riguardi di quei Paesi limitrofi, che ambiscono a far parte dell’Unione stessa”. (R.P.)

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    Altre udienze e nomina

    ◊   Il Papa ha ricevuto stamani in successive udienze mons. Henri Brincard, Vescovo di Puy-en-Velay (Francia) e un gruppo di Presuli della Conferenza Episcopale della Colombia, in Visita "ad Limina Apostolorum".

    In Croazia, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Poreč e Pula, presentata da mons. Ivan Milovan, in conformità al canone 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico. Gli succede mons. Dražen Kutleša, finora Vescovo Coadiutore della medesima diocesi.

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    Congresso eucaristico di Dublino. Il cardinale Turkson: rinnovare la comunione attraverso la riconciliazione

    ◊   A Dublino, continuano con grande partecipazione di fedeli, i lavori del Congresso eucaristico internazionale. Tema dell’odierna giornata è: “Ristabilire la comunione attraverso la giustizia e la riconciliazione”. Tra le personalità intervenute stamani anche il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”. La nostra inviata in Irlanda, Emer McCharty si sofferma sulla giornata oggi, al microfono di Alessandro Gisotti:

    R. – La giornata si è aperta con una liturgia di riconciliazione nell’arena centrale della Royal Dublin Society a Dublino; una liturgia della Parola ma anche della preghiera: preghiera per la riconciliazione non solo in Irlanda, ma in tutti quei Paesi, dove ancora sono in atto dei conflitti e delle violenze. I partecipanti hanno ascoltato le parole del cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio "Giustizia e Pace". Il cardinale ha raccontato la storia di suor Genevieve della comunità di Saint Mary of Namur in Rwanda, storia che rivela l’orrore del genocidio, che si è vissuto in quel Paese; ha parlato di questa suora, la cui famiglia è stata toccata profondamente: lei ha perso tutti i suoi fratelli in questo genocidio e ha trovato difficoltà nel perdonare coloro che hanno commesso questo orrore; ha parlato di come questa suora, durante il grande Giubileo del 2000, sia andata in prigione a trovare coloro che avevano ucciso i suoi famigliari e lì, in un momento di grande grazia, sia riuscita a perdonarli. Ha, quindi, richiamato questa religiosa come esempio di quanto la riconciliazione riporti l’armonia e la pace nella vita personale, ma anche in quella comunitaria, perché suor Genevieve lavora tuttora in Rwanda per portare la riconciliazione tra le comunità. E’ un esempio particolare, locale, ma può essere esportato in tutto il mondo.

    D. – Queste testimonianze ovviamente danno anche il senso dell’importanza per chi partecipa, dei fedeli che partecipano numerosi fin dalla Messa di apertura a Dublino...

    R. – Certamente. C’è sempre l’atmosfera di un Congresso che sta crescendo. Ogni giorno sono sempre di più le persone che affollano i vari stand e che ascoltano i vari interventi. Molti hanno scelto oggi il "giorno della riconciliazione" come quello di apertura per le loro esperienze nel Congresso. Questo tema è molto sentito in Irlanda, soprattutto perché nel passato la pace non è sempre stata facile in quest’isola.

    D. – Torniamo un attimo a ieri sera. C’è stato un momento molto intenso: la processione eucaristica...

    R. – E’ stato veramente un momento di grande raccoglimento qui nel Congresso. La processione eucaristica è cominciata nell’arena centrale per poi uscire dal confine di questo Congresso e attraversare le strade della città, dove si è affollata tanta gente. E’ iniziata alle 19 e si è conclusa alle 22.30. Questo evento ha soprattutto sottolineato come anche la Chiesa irlandese sia cambiata negli anni, perché a condurre questa processione sono state le comunità degli immigrati, che ormai hanno trovato la loro casa qui in Irlanda, partendo dalla comunità siro-malabarese, ma anche da coloro che vengono dal Libano, dal Pakistan e dall’Afghanistan. Hanno dimostrato come la comunità immigrata in Irlanda adesso faccia parte integrale della vita della Chiesa.

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    Firmato Accordo tra Santa Sede e Repubblica di Lituania

    ◊   Venerdì scorso, nella "Green Hall" del Palazzo del Governo a Vilnius, è stato sottoscritto un Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Lituania, relativo al riconoscimento reciproco delle qualifiche riguardanti l’insegnamento superiore (Agreement on the Recognition of Qualifications Concerning Higher Education).

    Hanno firmato: per la Santa Sede mons. Luigi Bonazzi, Nunzio Apostolico in Lituania, e per la Repubblica di Lituania, Audronius Ažubalis, Ministro degli Affari Esteri. La stipulazione dell’Accordo, informa un comunicato, è in sintonia con la Convenzione di Lisbona sull’omonimo tema (1997) che, tra i vari obiettivi, contempla quello di favorire il mutuo riconoscimento dei periodi e dei titoli di studio dell’insegnamento superiore. Tale riconoscimento serve, fra l’altro, per facilitare la mobilità degli studenti e la libera circolazione, nell’ambito dell’educazione superiore, nella regione europea. Inoltre, l’Accordo s’inserisce negli obiettivi del Processo di Bologna, a carattere europeo, che ha realizzato uno Spazio Comune dell’Istruzione Superiore (European Higher Education Area – EHEA), coinvolgendo attualmente 47 Paesi europei, tra cui la Santa Sede, con il sostegno di alcune organizzazioni internazionali.

    L’Accordo siglato tra Santa Sede e Lituania, oltre a definire i termini principali che utilizza e il suo campo di applicazione, stabilisce le regole, le procedure e gli strumenti per garantire il riconoscimento degli studi superiori. Esso perfeziona il quadro giuridico delle mutue relazioni tra la Santa Sede e la Repubblica di Lituania, già regolate dai tre Accordi firmati il 5 maggio 2000: sulla cooperazione in campo educativo e culturale; sugli aspetti giuridici delle relazioni tra la Chiesa cattolica e lo Stato e sull’assistenza pastorale ai cattolici nelle Forze Armate. L’Accordo, conclude la nota, entrerà in vigore nel giorno in cui entrambe le Parti avranno informato di avere adempiuto le rispettive procedure legali interne.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, Lucetta Scaraffia su Chiesa e diritti umani.

    Per un’alleanza tra uomo e ambiente: nell’informazione internazionale, Position Paper della Santa Sede in occasione della terza sessione del Comitato Preparatorio della Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile Riopiù20.

    “Timori e speranza”, quale sarà la sorte di Roma?: in cultura, Giovanni Preziosi sugli ordini religiosi nei febbrili giorni della liberazione dell’Urbe dall’occupazione nazista.

    Quella ferita che non si rimargina: Inos Biffi sulla festa del Sacro Cuore di Gesù e il mistero della Croce.

    I figli di Bronislaw: l’inviato Silvia Guidi sull’inaugurazione, presieduta dal cardinale segretario di Stato, del primo Centro Studi Ratzinger a Bydgoszcz, in Polonia.

    Troppo bella per essere distrutta: Olof Brandt, segretario del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana in merito agli studi sul battistero lateranense dagli architetti rinascimentali ai rilievi in 3D.

    Una spiritualità da rafforzare: nell’informazione religiosa, l’inviato Mary Nolan sul Congresso eucaristico internazionale a Dublino.

    Sport e cultura per un nuovo umanesimo: nell’informazione vaticana, il cardinale Gianfranco Ravasi presenta il nuovo dipartimento del suo dicastero.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: numerosi morti nelle ultime ore. Drammatica testimonianza di padre Dall’Oglio, in procinto di lasciare il Paese

    ◊   E' di 11 morti, nove civili e due ribelli, il bilancio provvisorio di una nuova giornata di sangue in Siria, colpita tra l’altro dall'esplosione di due autobomba, una delle quali a Damasco. Intanto un convoglio di osservatori delle Nazioni Unite è arrivato nella città di Haffe, sotto bombardamenti per otto giorni. L'inviato dell’Onu e della Lega Araba, Kofi Annan, pochi giorni fa aveva espresso preoccupazione per gli abitanti intrappolati nella città; gli Stati Uniti, dal canto loro, avevano parlato di “un potenziale massacro”. E mentre il governo turco ritiene che le forze militari di Damasco stiano iniziando a “disintegrarsi”, Amnesty International, in un rapporto pubblicato stamattina, punta il dito contro il regime e parla di crimini contro l’umanità, chiedendo una reazione "urgente e decisiva" della comunità internazionale. Sulla situazione nel Paese, la testimonianza del padre gesuita Paolo Dall’Oglio, fondatore del monastero di Deir Mar Musa in Siria, ora in procinto di lasciare il Paese. L’intervista è di Antonella Palermo:

    R. – Sono immensamente addolorato per questo Paese diviso, sofferente, ferito a morte. Penso ai molti giovani in prigione, alle molte persone torturate; penso ai giovani in armi sulle differenti posizioni e trincee: sono giovani che meriterebbero di vivere in un Paese pacificato, pluralista e democratico. Invece, i grandi giochi regionali ne fanno qualche volta i burattini e qualche volta gli autori e gli attori di una guerra civile tremenda.

    D. – Il monastero che ha fondato resterà aperto?

    R. – Noi rimarremmo certamente lì, fin quando ci sarà possibile. Io ho fiducia, perché i siriani musulmani, prima ancora dei cristiani, hanno un senso del luogo sacro molto acuto e coerente e quindi un monastero votato all’amicizia islamo-cristiana viene rispettato ed amato da tutti.

    D. – Quanto è manovrata internazionalmente la situazione caotica e tragica della Siria?

    R. – La Siria, purtroppo, è un “bubbone” multiplo delle febbri internazionali. La Siria è utilizzata come una "magnifica" valvola di decompressione regionale. La crisi siriana è il luogo, il palcoscenico tragico di una contrapposizione regionale sunnita, sciita, che ha già visto il Libano e l’Iraq sacrificati a questa logica suicida. La Siria è oggi lo spazio di contrasto più strategico tra la potenza continentale asiatica-russa e la Nato. Ci sono quindi tutti gli elementi per andare avanti di male in peggio.

    D. – La Francia chiederà al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di rendere obbligatorio il piano di pace di Kofi Annan, ricorrendo al capitolo della Carta dell’Onu che prevede anche il ricorso all’uso della forza armata a scopo preventivo... Ci riuscirà?

    R. – Io non faccio di mestiere il veggente. Sono un monaco che prega per la pacificazione di questo Paese e credo che sia certamente un dovere stretto, morale, internazionale intervenire quando un Paese, per effetto di tensioni internazionali, è ridotto alla situazione in cui è ridotta la Siria; ma con proporzionalità, intelligenza, gradualità, cercando di non far peggio, come si è fatto per un certo verso in Libia, certamente in Iraq e assolutamente in Afghanistan e altrove. Il dubbio che armare la Comunità internazionale sia una pessima soluzione rimane, e io ne sono convinto. Prima di passare ad un intervento armato o pensare ad un intervento armato solo nei luoghi in cui più specificamente si sta verificando un conflitto interconfessionale di natura civile, prima ancora e solo in queste limitate situazioni, permetterei l’intervento di polizia internazionale.

    D. – Padre Dall’Oglio, ci sarebbero 800 civili, fra cui 400 cristiani intrappolati nel centro storico di Homs, mentre infuriano gli scontri tra esercito regolare e forze di opposizione…

    R. – Ad Homs tutta la città è in una situazione di guerra: i rivoltosi, i rivoluzionari hanno preso molti quartieri della città, tra cui i due quartieri in cui i cristiani sono in maggioranza e da dove i cristiani – evidentemente non "adeguati ideologicamente" per entrare nella guerra armata – sono andati via in massa. Si sono sentiti tanti numeri: 160 mila, questi cristiani usciti dalla zona di Homs e distribuiti su tutto il territorio nazionale. Alcuni sono rimasti, ci sono due sacerdoti – uno gesuita e uno siriaco – e un terzo melkita, che si occupano di aiutare i cristiani rimasti in città, così come della popolazione civile musulmana intrappolata negli scontri. E’ la popolazione civile che soffre nella guerra. Le bombe dei carri armati non sanno discernere un musulmano da un cristiano! Le mitragliate degli elicotteri non sono proiettili intelligenti, che sanno guardare la carta di identità della gente!

    D. – Quindi non è "caccia ai cristiani"?

    R. – Io non posso escludere che in Siria agiscano gli stessi gruppi che hanno agito, durante l’occupazione occidentale in Iraq e che sono riusciti a Baghdad, a Mossul e altrove a rendere impossibile la vita dei cristiani… Questo non si può assolutamente escludere. Al Qaeda - per esempio - è un’organizzazione segreta che agisce per i suoi propri fini anche all’interno dello spazio rivoluzionario siriano, che a sua volta non ha un controllo su Al Qaeda; così come il governo italiano non ha un controllo sulle cellule più o meno silenti del terrorismo islamico, che possono essere sul territorio italiano o europeo. E’ un problema che supera di gran lunga la questione rivoluzionaria e gli obiettivi della rivoluzione! I musulmani siriani lo gridano anche davanti ai cadaveri dei loro figli uccisi: “Vogliamo una Siria pluralista e democratica per i musulmani, per i cristiani, per gli alawiti, per tutti”.

    D. – Allora è tua intenzione tornare in Siria?

    R. – Io la Siria non la lascio per niente! E’ solo il mio cadavere che cammina che lascia la Siria: io resto in Siria al cento per cento!

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    Crisi euro: tensione sui mercati, Merkel auspica più poteri alla Bce

    ◊   E' improbabile che il G20 annunci significativi progressi sulla crisi del debito nell'Eurozona. E’ la previsione pessimista che viene fatta dalla Casa Bianca a pochi giorni dal summit di Los Cabos, in Messico. Dal canto suo, il cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha auspicato un rafforzamento della Banca Centrale Europea ed ha sollecitato Madrid a chiedere gli aiuti europei al più presto. Inoltre, secondo fonti d'agenzia, la Germania approverà il "Fiscal Compact" il prossimo 29 giugno. Intanto, mentre l’agenzia “Moody’s” ha ulteriormente abbassato il rating della Spagna, anche oggi si registrano tensioni sui mercati finanziari. Proprio su quest’ultimo dato, si sofferma l’economista Michele Bagella, docente di Economia monetaria all’Università romana di Tor Vergata, intervistato da Luca Collodi:

    R. - Le tensioni sui mercati determinano anche timori tra la gente su quello che può essere l’immediato futuro dei propri risparmi. Ora bisogna tenere i nervi saldi. E’ evidente che questo è un momento di stress per i mercati e soprattutto per il mercato italiano. Ciò che ha detto il direttore del Fondo monetario internazionale - che ci rimane poco tempo per salvare l’euro - è qualcosa che non c’era bisogno di sapere direttamente da lei, però la sua voce autorevole certamente spinge nella direzione di prendere iniziative immediate, che siano iniziative che riguardano la parte fiscale... Capisco che oggi c’è molta attenzione quando si dice cedere sovranità fiscale, ma quando abbiamo ceduto la sovranità monetaria nessuno ha dissentito, nel senso che se si vuole costruire un’Europa che collabora, che è coesa, che vede i cittadini europei tra di loro non più in guerra ma piuttosto in pace e che desiderano collaborare, ci vuole anche un governo centrale che possa amministrare le finanze pubbliche: non basta la moneta comune, non basta la Banca centrale europea.

    D. - La Merkel ha detto no agli euro-bond, Cameron ha detto no alla tobin-tax per quanto riguarda la Gran Bretagna e in Francia, Hollande ha riportato a 60 anni l’età della pensione…

    R. - Certamente in questo momento non siamo in grado di fare fronte. Ho detto prima che se c’è la possibilità di rientrare in un disegno comune allora è evidente che la moneta comune continuerà a sopravvivere. Se questo desiderio e questa prospettiva non ci sono è ovvio che succederà quello che qualche giornale americano ha messo in copertina, cioè il “break”, la rottura.

    D. - Non pensa che questa difesa a oltranza dell’Europa abbia una forma un po’ ideologica e che venga meno anche un aspetto democratico?

    R. – Le decisioni che vengono prese in materia costituzionale, ogni Paese le regola secondo la propria Costituzione. Sappiamo che c’è sempre stato un distacco tra l’Europa delle istituzioni e il sentimento comune della gente, perché andiamo oltre il momento importante che si è verificato negli anni ’50, dopo la Seconda Guerra Mondiale, in cui si è cominciato ad avviare un processo di unificazione europea. Certo, ultimamente, con tutte le difficoltà generate dalla moneta unica non c’è dubbio che la gente si è sentita lontana dalle istituzioni europee e questo è un problema che naturalmente spetta alla politica di affrontare e di sottoporre a giudizio dei cittadini. Abbiamo perseguito per più di 50 anni perseguito un ideale, era l’ideale di ordine e di pace tra i Paesi che si sono combattuti nel ’900, in particolare tra francesi e tedeschi. Da questo punto di vista credo che tutto sommato se si riuscisse a continuare su questa strada sarebbe un fatto positivo per gli europei.

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    I servizi socio-sanitari della Chiesa in una ricerca della Caritas Italiana

    ◊   Conoscere i servizi socio-assistenziali e sanitari ecclesiali in Italia, capire come la Chiesa possa concorrere al bene comune in questa fase storica di crisi e povertà, ma anche favorire il lavoro di rete, aprire un dialogo con il servizio pubblico: sono alcuni degli obiettivi contenuti nel volume “Opere per il bene comune” realizzato da Caritas italiana e Ufficio Nazionale per la Pastorale della Sanità della Cei. Alla presentazione del documento, c’era per noi Cecilia Seppia:

    Una realtà forte, dinamica, capillare, che ogni giorno mette a disposizione della società italiana oltre 14 mila servizi, più di 420 mila persone, due terzi delle quali come volontari. E’ la rete delle opere socio-sanitarie e assistenziali della Chiesa, sinonimo di eccellenza nella cura ma anche di impegno diffuso a voler testimoniare concretamente la propria fede attraverso la solidarietà nei confronti di chi ha più bisogno. Mons. Giuseppe Merisi presidente della Commissione Episcopale Carità e Salute e della Consulta ecclesiale nazionale degli organismi socio-assistenziali:

    “Occorre, da parte di tutti, questa consapevolezza che la nostra esistenza, il nostro servizio, la nostra vita, il nostro impegno sono in rapporto con i bisogni degli altri: con quello che possiamo fare, con quello che possiamo offrire, con quello che possiamo testimoniare, innanzitutto in un rapporto positivo, costruttivo di solidarietà anche attraverso la sussidiarietà nei confronti degli altri”.

    La distribuzione dei tipi di assistenza varia da regione a regione: spiccano il Nord e il Centro per i servizi socio-sanitari e residenziali. Tra le attività garantite, oltre alle strutture ospedaliere, le banche del sangue, le comunità educative passando per i centri di ascolto, di disintossicazione, le mense, le case di riposo per anziani o per i disabili. I dati contenuti nel volume parlano anche di una capacità spontanea del mondo ecclesiale di adattamento e risposta alla diversa domanda che i momenti storici fanno emergere: in particolare quello attuale segnato dalla crisi, dai tagli drastici al sistema del Welfare, dall’emergere di nuove povertà e disuguaglianze. Mons. Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana:

    “La Chiesa è sempre stata presente, anzi, in un certo qual modo ha prevenuto quello che doveva essere l’intervento dello Stato. Prevenire non significa sostituirsi, ma significa sempre cooperare a quello che è – appunto – il bene comune. Questa rilevazione, questo raccogliere i dati a noi serve per capire quali siano le povertà ma soprattutto quali siano le risorse e metterle in campo per curarle, per tesserle in rete, per far sì che sia sempre all’altezza della situazione – generalmente e volgarmente parlando – il nostro buon servizio. E rimane sempre il punto nodale, quello della persona al centro. Non è tanto la struttura ciò che dev’essere salvaguardato, ma ciò per cui la struttura esiste, ossia la persona”.

    Dunque conoscere, curare, garantire assistenza ma continuare soprattutto a tessere una rete. Per questo, tra le novità assolute, quest’anno anche la creazione di una banca dati informatica. Renato Marinaro, tra i curatori del volume:

    “Uno degli obiettivi di questo lavoro, appunto, è quello di non fermarsi al censimento ma di proseguire con un’anagrafe permanente. A cosa servirà? Servirà appunto a fare in modo che questa realtà non venga conosciuta e aggiornata ogni dieci anni, ma che si abbia sempre il polso della situazione, e quindi monitorare costantemente la realtà dei servizi ecclesiali presenti sul territorio. Questo servirà soprattutto a livello diocesano, per fare in modo che il lavoro di osservazione delle povertà e di conoscenza delle risorse a disposizione, che ormai è in atto da diverse anni nelle diocesi, sia sempre più efficace”.

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    Dare visibilità al dramma dei rifugiati: così padre La Manna, presidente del Centro Astalli

    ◊   Tenere alta l’attenzione sui rifugiati e sulle loro condizioni nelle città italiane: un obiettivo a cui il Centro Astalli dedica, questo pomeriggio a Roma, un incontro dal titolo “In città, invisibili. Colloquio sulle migrazioni”. L’evento è stato organizzato in vista della Giornata Mondiale del Rifugiato che si terrà il 20 giugno prossimo. A sottolineare il dramma dell’invisibilità dei rifugiati lo stesso presidente del Centro Astalli, padre Giovanni La Manna. Debora Donnini lo ha intervistato:

    R. - Se queste persone, che hanno già pagato un prezzo alto per la loro vita, rimangono invisibili soprattutto nelle grandi città, corriamo il rischio che l’indifferenza permanga. Permanendo l’indifferenza, queste persone vengono ignorate anche se di fatto noi riconosciamo il diritto all’asilo e quindi ci dichiariamo disposti a occuparci di queste persone.

    D. - Come si può uscire dalla condizione di invisibilità, voi come centro Astalli avete proposte?

    R. - I servizi ci offrono l’opportunità di incontrare queste persone. Noi proponiamo di andare a vedere quelle situazioni indegne per trasformarle e per offrire opportunità a queste persone che hanno anche la speranza di potersi rimettere in piedi e avere una vita normale. Sono persone che per le proprie idee o per la loro fede o per l’appartenenza a particolari etnie subiscono violenze, torture, e sono costrette a lasciare il proprio Paese per tentare di rimanere vivi e soprattutto avere una vita dignitosa.

    D. - Una delle situazioni più drammatiche al momento è quella del Sud Sudan. Un flusso crescente di rifugiati dal Sudan e dalle zone di confine contese sta invadendo il poverissimo Sud Sudan. Si tratta di migliaia di persone che si stanno riversando nei campi allestiti da Giuba che sono sovraffollati e senz’acqua…

    R. - Il Sud Sudan è una delle situazioni che ci dovrebbe preoccupare; penso anche alla Siria, al Mali, alla Nigeria… Quello che noi proponiamo è di avviare seri progetti di reinsediamento che rappresenterebbero anche l’unico strumento degno per eliminare i trafficanti. Noi sappiamo dove sono i campi profughi. Andiamo, portiamo via le persone senza che queste, nonostante le grosse difficoltà e violenze che hanno subìto, debbano rivolgersi ai trafficanti. Il Jesuit Refugee Service in Siria si è attivato per dare assistenza alle persone che vengono massacrate e che scappano. Nel Sud Sudan c’è appunto un flusso che va ad aumentare il numero di persone nei campi profughi. Il campo profughi è comunque una realtà limitata anche nei mezzi che possono dare aiuto concreto e quindi sfamare quelle persone. Bisogna lavorare per svuotare i campi profughi perché poi, intorno ai campi profughi, c’è tutta una serie di violenze che persistono.

    D. - A livello europeo quali sono le vostre proposte?

    R. - Il primo passo è che l’Europa deve abbandonare la logica politica di chiusura e di contrasto e fare i conti con un fenomeno che è inarrestabile: tutte le risorse impiegate negli accordi per il controllo delle frontiere vengono vanificate di fatto. Chiediamo che quelle stesse risorse vengano impiegate, a livello europeo, con politiche condivise di accoglienza dignitosa e di riconoscimento di quelle convenzioni che gli Stati membri hanno firmato: tutti i Paesi europei devono realizzare una certa unità anche negli standard di accoglienza e nelle procedure che riguardano il diritto all’asilo politico.

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    Al via la Campagna nazionale contro il gioco d'azzardo, l'impegno della società civile

    ◊   All’indomani dell’approvazione in Senato del testo unico sul gioco d’azzardo, primo passo verso una nuova regolamentazione del settore, è stata presentata oggi a Roma la campagna nazionale “Mettiamoci in gioco”, contro i rischi legati ad un fenomeno di cui è vittima almeno il 2,2% della popolazione. Unite, per la prima volta e in modo trasversale, 17 organizzazioni di vario genere, sindacali, del terzo settore, di assistenza sanitaria tra cui Cgil, Acli, Auser, Cnca, Libera e anche l’associazione dei comuni italiani, l’Anci. Cinque le proposte avanzate. Ce ne parla Gabriella Ceraso:

    Una malattia sociale che cresce a dismisura, mettendo a rischio 2 milioni di italiani, più al Sud, tra le fasce deboli, minori e anziani, più tra i lavoratori precari e con bassa istruzione, che spinge ancor di più verso povertà, indebitamento e - a volte - suicidi. E’ questo il gioco d’azzardo oggi nel quadro tracciato dalle associazioni che promuovono la campagna “Mettiamoci in gioco”. Un’industria che, a fine 2012, potrebbe arrivare a costare oltre 90 miliardi di euro. Don Armando Zappolini, coordinatore nazionale delle Comunità di accoglienza Cnca:

    “C’è un grave gap culturale ed educativo a monte di tutto questo, con uno Stato che spesso - direi - è complice”.

    E’ un degrado che chiede una reazione forte e comune, in cinque punti, a partire dal freno statale al modello di ''liberalizzazione controllata'' del gioco, che si è trasformata in una insidiosa de-regolamentazione. Ancora don Armando Zappolini:
    “L’Italia è il Paese con il maggior numero di giochi, di quantità di fatturati, di ‘drenaggio’ dei soldi della gente. L’altra cosa è ridare autorità e potere ai sindaci, scavalcati dalla normativa vigente. Le grandi agenzie che gestiscono i giochi hanno pesanti collusioni, hanno una corsia preferenziale che le tutela. Il terzo è riuscire ad inserire la patologia da gioco d’azzardo nei livelli essenziali di assistenza sanitaria”.

    Questa è una voce inserita anche nel testo unico in discussione al Senato, così come l’altra proposta della campagna, quella di impedire la pubblicità del gioco d’azzardo come avviene col tabacco, cui sarà dedicata la prima iniziativa: un seminario, il 27 giugno prossimo, all'università "La Sapienza" di Roma. Matteo Iori del Coordinamento gruppi per giocatori d’azzardo-Cnca:

    “Tutti coloro che hanno oggi un problema di dipendenza avrebbero un luogo nel quale poter essere accolti in trattamento, potrebbero essere inviati in strutture residenziali per la cura da gioco, potrebbe essere riconosciuta quindi questa forma di dipendenza. Questa sarebbe una grande differenza: uno Stato che raccoglie i bisogni e non solo che propone nuove forme di gioco”.

    La campagna prevede anche la creazione di un tavolo di confronto, con protagonisti del settore, per definire criteri e iniziative per una corretta educazione al gioco, ruolo che avrebbe dovuto svolgere lo Stato, ma che così non ha fatto. Ancora Matteo Iori:

    “I governi che si sono succeduti hanno promosso molte nuove forme di gioco d’azzardo per raggiungere tutti i target possibili - dai giovanissimi alle persone un po’ più anziane - ma non hanno attivato forme di prevenzione e di aiuto, perché - a mio avviso - c’è un conflitto di interessi importanti. C’è anche una lobby importante sul gioco d’azzardo che riguarda spesso anche la politica. Quindi spero che una 'lobby positiva' e la politica sana possano dare un significato molto diverso”.

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    Greenaccord: forum per l'informazione cattolica per la salvaguardia del Creato

    ◊   “Salì sul monte. Mons sanus pro corpore sano”. E’ il tema del IX forum dell’informazione cattolica per la salvaguardia del Creato, che si apre oggi a Trento. L’incontro, promosso da Greenaccord Onlus e che si concluderà domenica, vedrà la presenza di oltre 100 giornalisti provenienti da tutte le diocesi italiane. Sul tema del forum, la riflessione di Andrea Masullo, presidente del comitato scientifico di Greenaccord, al microfono di Marina Tomarro:

    R. – Essendo in Trentino non potevamo non parlare di montagna! Il monte è un luogo simbolo, emblematico, importante, sia per l’ecologia che per la religione. Per la religione, lo sappiamo bene, è il luogo privilegiato dell’incontro dell’uomo con Dio; pensiamo al monte Sinai, al monte della Trasfigurazione… Quante volte la montagna ricorre nella narrazione biblica ed evangelica!

    D. – Quali sono i temi che saranno toccati nell’incontro?

    R. – Tratteremo l’importanza della montagna nella religione, l’importanza che il monte ha anche nella tradizione monastica. Parleremo della montagna come natura perché la montagna, benché sia l’espressione massima della potenza della natura, di questa terra che si solleva verso il cielo, mostra di fronte ai grandi cambiamenti globali la sua grande fragilità, una fragilità che diviene minaccia per l’uomo. Montagna vuol dire anche ghiacciai che si sciolgono a causa di un’azione sconsiderata dell’uomo che porta alla ribellione della natura. La montagna è un luogo da ammirare, da rispettare, da preservare, ma anche il luogo di tanti campanelli di allarme sulla sconsideratezza di tante azioni umane.

    D. – In che modo l’uomo dovrebbe preservare di più le montagne?

    R. - La montagna è anche il luogo che, essendo così remoto e difficile da abitare, ha preservato una grande naturalità. E’ il luogo abitato da tanti animali - il lupo, l’orso, etc. - e la montagna quindi è anche il luogo in cui riflettere sul mantenimento dell’integrità del Creato.

    D. – E’ la nona edizione del forum per l’informazione cattolica: in questi anni com’è cambiato, come si è evoluto, come è cresciuto?

    R. – Sicuramente dal Forum sono emersi tanti risultati, soprattutto un impegno maggiore e più attento della stampa cattolica verso le questioni dell’ecologia. Stiamo cercando di portare avanti progetti di sensibilizzazione con le diocesi, con le parrocchie. Proprio in questi giorni abbiamo raccolto anche i primi risultati del calcolo dell’impronta ecologica su un campione di famiglie tra Milano, Brescia, Bergamo e Napoli; tutte queste famiglie di ambito cattolico si sono mostrate estremamente attente e impegnate a modificare sostanzialmente il loro stile di vita.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Onu: più di 1700 bambini feriti o uccisi in Afghanistan nel 2011

    ◊   Secondo il rapporto annuale dell’Onu sulla situazione dei minori nei conflitti armati, pubblicato nei giorni scorsi, sono 1756 i bambini che in Afghanistan nel 2011 sono rimasti uccisi o feriti a causa della guerra. Il dato è preoccupante anche perché è in aumento rispetto all’anno precedente: erano, infatti, 1396 i bambini vittime del conflitto nel 2010. L’Unicef ha invitato tutte le parti in causa a garantire protezione ai bambini, rispettando il diritto umanitario internazionale. Vidhya Ganesh, vice rappresentante dell’Unicef in Afghanistan, ha affermato che “la morte o il ferimento di ogni singolo bambino è una tragedia. Questo livello di sofferenze evitabili dei bambini è semplicemente inaccettabile”. Ha poi invitato le parti del conflitto a fare il possibile per proteggere la vita e i diritti di base di ogni bambino dell’Afghanistan. In base a quanto emerso dal rapporto, inoltre, sarebbero 316 i minori reclutati per il conflitto dai gruppi armati di opposizione, per essere utilizzati in attacchi suicidi, per posizionare ordigni o portare viveri. L’Unicef ha esortato il governo afghano a garantire che nessun minore venga reclutato nelle Forze di Sicurezza nazionali afghane. (A.C.)

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    Africa: bambini costretti a mangiare locuste per sopravvivere alla carestia

    ◊   Secondo l’organizzazione umanitaria World Vision, fondata da un missionario americano nel 1950, che si occupa di sviluppo ed emergenze, i bambini dell’Africa occidentale sono costretti a mangiare le locuste per sopravvivere alla grave carestia che continua a peggiorare, anche a causa della siccità e dei conflitti in corso. In un comunicato dell’organizzazione, pervenuto all’agenzia Fides, si ricorda che gli insetti, provenienti da Algeria e Libia, avevano già iniziato a distruggere i raccolti in Niger e Mali e continuano a spostarsi verso sud. L’invasione delle locuste è allarmante perchè coincide con la stagione della semina, già così precaria nella regione semi arida del Sahel, a sud del deserto del Sahara. Dagli ultimi dati raccolti, 18 milioni di persone di 8 Paesi dell’Africa occidentale, stavano già vivendo una grave crisi alimentare dovuta ad una combinazione di siccità, aumento dei prezzi alimentari e ai conflitti nel Sahel. (R.P.)

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    Mali: conflitti tra gruppi ribelli per il controllo di Timbuctù

    ◊   Continuano gli scontri tra i gruppi tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla) e gli uomini di Ansar Al Din, il gruppo islamico legato ad Al Quaeda. Dopo il tentativo di fusione fallito a fine maggio, che ha portato divisioni all’interno dell’Mnla tra coloro che sostenevano l’unione e quelli che la rifiutavano, i gruppi ribelli ora sono in conflitto tra loro per il controllo della città settentrionale di Timbuctù. Ieri mattina alcuni membri del gruppo islamico – riferisce l’agenzia Misna – hanno cercato di bloccare un veicolo dei tuareg scatenando combattimenti che hanno provocato alcune vittime e feriti. In merito al conflitto è intervenuto il patriarca tuareg degli Ifoghas, Intalla Ag Attaher, che ha invitato i capi tradizionali delle comunità tuareg, gli ulema e tutti i “suoi figli” a “disertare immediatamente il gruppo di Ansar Al Din a causa dei suoi legami comprovati con Al Qaeda”. Il patriarca ha poi sottolineato che esiste un “profondo divario” tra i tuareg, che desiderano solo creare uno Stato Indipendente dell’Azawad, e Ansar Al Din, che invece ha come obiettivo l’applicazione della legge islamica nel Paese. Si è ancora in attesa di un pronunciamento da parte delle Nazioni Unite in merito all’intervento armato nel nord Mali, e un ulteriore incontro sull’argomento è previsto per domani nella sede dell’Onu. (A.C.)

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    Costa d'Avorio: ancora morti nell'ovest. Il vescovo di Man denuncia il traffico di armi

    ◊   “Il problema dell’insicurezza è reale, soprattutto nelle aree al confine con la Liberia. Ci sono troppe armi ancora in circolazione, bande criminali che aggrediscono villaggi e creano sbarramenti sulle strade” dice all’agenzia Fides mons. Gaspard Béby Gnéba, vescovo di Man, nell’ovest della Costa d’Avorio, nel cui territorio è compresa la località di Tai, dove negli ultimi giorni almeno 4 persone sono morte nel corso di attacchi da parte di gruppi armati. Nella stessa località, l’8 giugno, secondo il più recente bilancio, 10 civili, 7 Caschi Blu del Niger e un militare ivoriano sono stati uccisi in un agguato. “Alla radice di questa instabilità ci sono motivazioni politiche e lotte fondiarie, per il possesso della terra. Questo ultimo problema esisteva ancor prima della crisi (quella derivante dallo scontro tra l’ex Presidente Gbagbo e l’attuale, Alassane Ouattara, ndr.) ma si è aggravato negli ultimi tempi. Popolazioni provenienti da altre aree si sono installate qui e disputano il possesso della terra alle popolazioni locali” spiega mons. Gnéba. L’instabilità ha costretto alla fuga almeno 5.000 persone secondo le stime dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari. La tensione rischia ora di estendersi al resto della Costa d’Avorio dopo che il governo ha annunciato di aver sventato, lo scorso marzo, un tentativo di golpe militare, organizzato da elementi rimasti fedeli al deposto Presidente Gbagbo. (R.P.)

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    Myanmar: 10mila sfollati per tensioni nei territori ovest del Paese

    ◊   Dopo le violenze che si sono scatenate nelle ultime settimane tra buddisti e musulmani nello Stato di Rakhine, nella parte ovest del Myanmar, almeno 10.000 persone di entrambe le comunità sono state costrette a fuggire. Gli sfollati – riferisce l’agenzia Misna – sono stati accolti da scuole, monasteri e diversi edifici pubblici, mentre due campi sono stati allestiti per rispondere all’emergenza, nei quali militari cercano di distribuire sacchi di riso agli occupanti. Intermediari del governo stanno cercando di riportare la calma nella zona dialogando con i rappresentanti delle due comunità. Il relatore speciale dell’Onu per il Myanmar, Tomás Ojea Quintana, ha invitato il governo birmano ad avere iniziative “imparziali e in linea con gli standard internazionali dei diritti umani. Le tensioni che partono da forme di discriminazione etnica e religiosa – ha poi aggiunto Quintana – costituiscono una minaccia per la transizione democratica e la stabilità del Myanmar”. L’osservatore dell’Onu ha infine invitato entrambe le parti interessate a fermare le violenze e a rispettare la legge. (A.C.)

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    In Pakistan il matrimonio forzato è il crimine più diffuso contro le donne

    ◊   E’ il matrimonio forzato il crimine contro le donne più diffuso in Pakistan, afferma un Rapporto della coalizione di Ong “Free and Fair Election Pakistan” (Fafen), che ha conteggiato le denunce ufficiali registrate in 77 uffici distrettuali di polizia nel mese di marzo 2012. I matrimoni forzati hanno sostituito lo stupro in testa alla classifica dei reati più diffusi verso le donne. Il Rapporto, inviato all’agenzia Fides, nota un aumento generale delle denunce che indica una maggiore consapevolezza fra le donne pakistane che subiscono abusi. Dei distretti monitorati, 27 sono nella provincia del Punjab, 21 in Sindh, 19 in Khyber Pakhtunhwa, 9 in Beluchistan e uno nel territorio della capitale, Islamabad. I casi di matrimoni forzati sono passati da 314 a 653 (dal mese precedente) e sono notevolmente cresciuti nel distretto di Lahore, capitale del Punjab, dove sono depositate 222 denunce. I casi di stupro sono 220 mentre quelli di aggressione e molestie 270, 37 i casi di delitti di onore. Del totale delle denunce penali (oltre 41mila) quelle riguardanti reati sulle donne sono il 9% del totale. Secondo dati dell’agenzia Fides, sono circa 1.000 i casi annui di ragazze delle minoranze religiose, cristiane e indù, costrette al matrimonio islamico. (R.P.)

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    Brasile: il Consiglio indigenista denuncia assassini di indigeni e invasioni delle loro terre

    ◊   Il Consiglio Indigenista Missionario (Cimi), organizzazione della Chiesa cattolica in Brasile, ha presentato a Brasilia i dati del 2011 sulla violenza contro le popolazioni indigene. Il Rapporto annuale del Cimi, preparato con persone che lavorano sul campo, riporta che tra il 2000 e il 2011 sono stati registrati 555 suicidi di indigeni nel Mato Grosso do Sul, lo Stato con il più grande gruppo etnico del Paese, i Guarani Kaiowá. Solo nel 2011 ci sono stati 45 casi di indigeni che si sono suicidati, tre in più rispetto al 2010. La notizia allarmante è l'aumento dei giovani che si tolgono la vita in questo modo: la loro età è compresa fra 14 e 18 anni e, quando si parla degli adulti, fra 21 e 30 anni. "I dati presentati in questo rapporto rivelano l'aggressione alla dignità umana delle popolazioni indigene del Brasile, il loro dolore e la loro sofferenza" scrive mons. Erwin Kräutler, vescovo della Prelatura di Xingu in Amazzonia e Presidente del Cimi, nell'introduzione del documento. Il rapporto mostra un aumento del “danno ambientale”, rivelando che lo scorso anno sono stati segnalati 42 casi di “invasioni per il possesso e lo sfruttamento illegale delle risorse naturali”, un numero in aumento rispetto al 2010. Il Cimi critica anche “la lentezza del governo federale nel demarcare e consegnare le terre agli indigeni”, affermando che questo atteggiamento “espone ulteriormente i territori al degrado ambientale”. “Nel 2011 solo tre terreni sono stati consegnati dalla Presidente Dilma Rousseff, il peggior risultato nel primo anno di governo dal tempo di Jose Sarney". Mons. Erwin conclude sottolineando il significato della terra per le popolazioni indigene: “Per l'indigeno la terra è la sopravvivenza, per la società è solo merce". (R.P.)

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    Colombia: appello contro la violenza del vescovo di Barrancabermeja

    ◊   Mons. Camilo Fernando Castrellón Pizano, vescovo di Barrancabermeja, ha lanciato un appello alle autorità civili e militari, e a tutta la comunità, per unire gli sforzi nel combattere la violenza che è scoppiata nella zona di Barrancabermeja e Magdalena Medio (circa 200 km a nord della capitale, Bogotà). “Come vescovo della diocesi di Barrancabermeja, con profonda preoccupazione, vedo negli ultimi tempi le notizie di minacce e di morti violente, di cui diversi media hanno informato l'opinione pubblica, che scuotono il profondo del nostro essere, ricordando un passato al quale non vogliamo certo tornare” ha detto mons. Castrellón in un suo comunicato. Nella nota inviata all'agenzia Fides dalla Conferenza episcopale, si legge anche che, in pochi giorni, ci sono stati 3 assassinati nei quartieri popolari della zona. Ci sono anche “voci” della presenza di varie organizzazioni criminali nella zona di Magdalena Medio. “La vita è sacra e inviolabile. La violenza genera altra violenza ed è sempre un insulto per l'uomo” afferma il vescovo nel comunicato, condannando con forza gli atti violenti che “costituiscono un attacco contro la vita”. Su questa linea invita le persone e le comunità a cooperare con le autorità per risolvere pacificamente, attraverso il dialogo, le loro difficoltà. La stampa locale ha segnalato che la violenza nella zona, compresi casi di abuso e violenza contro le donne, non si può attribuire alle Farc ma alla delinquenza locale. (R.P.)

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    Pellegrinaggio dell'icona della Madonna di Czestochowa a Vladivostok

    ◊   Una copia dell'icona della Madonna di Czestochowa (la famosa "Madonna nera") è giunta ieri a Vladivostok, nell'estremo confine orientale siberiano, e in questi giorni riceve l'onore e le preghiere di centinaia di fedeli. L'immagine, cara a cattolici ed ortodossi, è giunta su un camioncino che, partito dalla Polonia, ha attraversato il Kazakistan e la Cina per giungere in Siberia. Da qui l'icona sarà portata in altre città russe fino al 20 luglio. Il percorso è parte di un grande pellegrinaggio dal titolo "Da oceano ad oceano", che ha come scopo la preghiera della Madre di Dio per il sostegno alla famiglia e alla vita. Ideatori del progetto sono due personalità pro-vita: Ewa Kowalewska (Polonia), di Human Life International, e Igor Beloborodov (Russia), responsabile dell'Istituto di ricerche demografiche di Mosca. Secondo gli organizzatori, uno degli scopi di questa campagna-pellegrinaggio è di sostenere Paesi che hanno una legislazione pro-life, come l'Ungheria e la Polonia, che subiscono aggressive pressioni politiche dal Parlamento europeo e da gruppi anti-famiglia. Ma lo scopo fondamentale è far maturare un sentimento di rispetto per la vita umana contro l'aborto. Tutti i Paesi europei, compresa la Russia, sono segnati dall'invecchiamento della popolazione e dall'aborto, che sono fra i fattori della crisi economica. In Russia, il problema dell'aborto è divenuto da anni una piaga sociale. Gli organizzatori sottolineano che la Russia è stata la prima nazione al mondo a legalizzare l'aborto; ora essi sperano che la popolazione russa sia fra le prime a lottare contro questo male. Ricevendo l'icona a Vladivostok, padre Aleksandr Talko, dell'Eparchia locale, ha garantito che tutti i giorni, davanti alla "miracolosa icona, vi saranno preghiere per rafforzare la vita familiare". (R.P.)

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    IX Giornata mondiale del donatore di sangue: eventi in decine di Paesi

    ◊   Si celebra oggi la Giornata mondiale del donatore di sangue che, a partire dal 2004, viene festeggiata ogni 14 giugno, giorno di nascita di Karl Landsteiner, lo scopritore dei gruppi sanguigni e del fattore Rh. La IX edizione, accompagnata dallo slogan “Ogni donatore di sangue è un eroe”, ha in Corea del Sud il centro delle più importanti celebrazioni di quest’anno. Per l’occasione anche Benedetto XVI ha voluto manifestare sostegno all’iniziativa durante l’Angelus di domenica scorsa. “Esprimo il mio vivo apprezzamento – ha detto il Pontefice – a quanti praticano questa forma di solidarietà, indispensabile per la vita di tanti malati”. La Giornata, promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha lo scopo di ringraziare quanti s’impegnano a donare regolarmente il sangue e, allo stesso tempo, sensibilizzare maggiormente potenziali donatori per incrementare le risorse disponibili. Numerose le iniziative in tutto il mondo, tra le quali quella della Croce Rossa Italiana, in collaborazione con Roma Capitale, che allestirà, nelle giornate del 15 e 16 giugno, sette postazioni in altrettante piazze della Capitale dove poter donare il sangue. (A.C.)

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    Spagna: la nuova evangelizzazione nel piano pastorale dei vescovi per il prossimo triennio

    ◊   È incentrato sulla nuova evangelizzazione il piano pastorale per il triennio 2012-2015 presentato ieri dalla Conferenza episcopale spagnola (Cee). Diviso in quattro parti, il progetto guarda, in particolare, al Sinodo generale sulla Nuova Evangelizzazione, in programma ad ottobre, e all’Anno della fede, indetto da Benedetto XVI per il 2012-2013 in occasione del 50.mo anniversario del Concilio Vaticano II. Come informa una nota della Cee, “il piano prevede che si dia impulso alla recezione dell’eredità conciliare, mostrando la ricchezza dei suoi insegnamenti in continuità con la tradizione viva della Chiesa”. Ed è per questo che, nel 2015, verrà celebrato un grande Congresso commemorativo del Concilio Vaticano II. L’auspicio, spiega il cardinale Antonio Maria Rouco Varela nell’introduzione, è che tale piano pastorale “consolidi la certezza della fede negli spagnoli e ne accresca in tutti la gioia che essa arreca”, perché “ne ha bisogno la Chiesa, lo reclama il servizio alla società e, specialmente, verso coloro che necessitano maggiormente di appoggio spirituale e materiale”. Nella prima parte del piano pastorale, dedicata al tema “La voce del Signore nel Successore di Pietro”, i vescovi spagnoli ricordano l’importanza della comunione con il Papa e, sulla scia della 26.ma Giornata mondiale della gioventù, svoltasi a Madrid nell’agosto 2011, ribadiscono la necessità di “rinnovare la pastorale giovanile” e promuovere la nuova evangelizzazione nelle famiglie. A questo scopo, la sottocommissione episcopale per la Famiglia e la difesa della vita diffonderà un documento che proporrà “la verità dell’amore” ed affronterà i temi della “ideologia di genere e della legislazione familiare”. La seconda parte del piano pastorale della Chiesa spagnola si sofferma, invece, sulle “sfide ed opportunità nel nuovo contesto di evangelizzazione”. In quest’ottica, ampio spazio verrà dato alla “pastorale della santità, in occasione del quinto centenario della nascita di Santa Teresa d’Avila”, e si lavorerà alla stesura di “un documento incentrato sulla proclamazione della fede in Gesù Cristo e sul contributo della tecnologia alla nuova evangelizzazione”. Di fronte alla crisi economico-finanziaria che attanaglia la Spagna, e non solo, la Commissione episcopale della Pastorale sociale ha, inoltre, in programma numerose iniziative a sostegno della popolazione, così come la Commissione relativa alle migrazioni si sforzerà di accelerare il passaggio da “una pastorale di accoglienza ad una pastorale di comunione” con gli immigranti. L’incontro con Cristo, invece, è il tema principale della terza parte del piano pastorale, in cui si ribadisce il potenziamento della pastorale biblica e liturgica, unita alla recezione della versione ufficiale che la Cee ha realizzato della Bibbia. Inoltre, insieme alla Commissione episcopale per la Catechesi, sarà redatta e divulgata una versione del Catechismo adattato ai bambini e agli adolescenti. E ancora, nella quarta parte, intitolata “Portatori di speranza”, i vescovi spagnoli sottolineano che “la nuova evangelizzazione è compito di tutto il Popolo di Dio ed è urgente, di conseguenza, il rinnovamento di tutti gli agenti pastorali, specialmente dei sacerdoti”. Per tanto, l’azione pastorale prioritaria sarà quella di “guidare gli attori della nuova evangelizzazione secondo l’ispirazione ed il patrocinio di San Giovanni d’Avila”, che il prossimo 7 ottobre sarà proclamato Dottore della Chiesa. Infine, il piano pastorale si chiude sottolineando che “l’unica motivazione che deve animare l’azione pastorale è l’incontro con Cristo vivo nella Chiesa”, un incontro che “passa ineludibilmente attraverso un maggior apprezzamento della Parola di Dio”. (I.P.)

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    La Bulgaria ricorda lo storico viaggio di Giovanni Paolo II nel Paese

    ◊   Con una tavola rotonda e un concerto al Teatro dell’Opera nazionale, la Bulgaria ricorda oggi a Sofia la storica visita del Papa Giovanni Paolo II nel Paese post-comunista, svoltasi il 24 maggio 2002. Tra i partecipanti alla tavola rotonda, organizzata dall’Atlantic club, mons. Janusz Bolonek, nunzio apostolico in Bulgaria, il prof. Vladimir Gradev, ex ambasciatore bulgaro presso la Santa Sede ed ex ministro degli esteri, tra l’altro uno dei promotori del viaggio papale. Domani, sul palco del Teatro dell’Opera nazionale si esibiranno il coro ortodosso della cattedrale di Sofia e l’orchestra dell’Opera di Sofia diretta dal maestro Tadeusc Strugala, direttore dell’Orchestra di Wrozlav, in Polonia, con i solisti Eva Marcinez e Adam Kruscevski. Hanno voluto il concerto la nunziatura in Bulgaria e il Teatro dell’Opera nazionale con la collaborazione dell’ambasciata di Polonia in Bulgaria e l’Istituto della cultura polacca, che hanno scelto il motto: “Dialogo, Carità, Amore”. “Sono tre parole chiave, che esprimono i valori che Papa Wojtyla ha vissuto per tutta la vita e ha lasciato per l’umanità”, ha commentato Anna Bogdanova, responsabile dell’ufficio internazionale del teatro dell’Opera di Sofia. (A cura di Dimitri Gancev)

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    Svizzera: appello delle Chiese per i rifugiati

    ◊   “Non dimenticate l’ospitalità; poiché alcuni esercitandola, senza saperlo, ospitarono degli angeli”: prende spunto da questo passo della Lettera agli Ebrei (13,2) la riflessione delle Chiese e delle Comunità religiose svizzere per le Giornate dedicate ai rifugiati, sabato e domenica prossimi. In una nota - a firma di mons. Norbert Brunner, presidente della Conferenza cattolica dei vescovi svizzeri, il pastore Gottfried Locher, esponente della Federazione delle Chiese evangeliche elvetiche, Herbert Winter, presidente della Federazione svizzera delle comunità israelitiche, e del vescovo Harald Rein della Chiesa cattolico-cristiana svizzera – si legge: “Si parla molto di come i richiedenti asilo sfruttino la nostra ospitalità, ne abusino e non si comportino come un ospite dovrebbe. Questo può accadere, è il nostro rischio in qualità di ospitanti. Nessuno però parla del fatto che i richiedenti asilo sono angeli che onorano la nostra ospitalità. E anche questo è un rischio per chi ospita”. “Pensare che l’altro possa essere un angelo - si legge ancora - è anche un modo di andare incontro alle persone straniere. E proprio perché gli angeli non sono riconoscibili, non possiamo fare altro che accogliere la richiesta di ospitalità di ogni essere umano”. Quindi, le Chiese e le comunità religiose elvetiche sottolineano: “Non sappiamo quale persona nasconda un angelo in sé. E siccome l’angelo non è visibile nella persona, qualunque essere umano davanti alla nostra porta potrebbe esserlo. Così ogni volta che abbiamo sbattuto la porta in faccia a qualcuno, potremmo aver mandato via un angelo”. Infine, si ricorda l’impegno portato avanti dalla Chiese e dalle Comunità religiose già da molti anni sul tema dell’accoglienza dei rifugiati e si cita la nota diffusa 27 anni fa e intitolata “Dalla parte dei rifugiati”, in cui si affermava: “Il rispetto e la dignità umana di ogni persona, a prescindere da razza, lingua, religione, sesso o posizione sociale, è uno dei principi del nostro stato e della nostra cultura. Tale principio deve emergere in particolare nel nostro comportamento nei confronti delle persone deboli e svantaggiate, ma anche nei confronti dei richiedenti asilo e dei rifugiati”. (I.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 166

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