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Sommario del 13/06/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all’udienza generale: in un mondo che si fida di sé, impariamo a confidare in Dio nella preghiera
  • Il Papa saluta il Congresso eucaristico di Dublino. Il cardinale Ouellet incontra vittime di abusi
  • Nomina in Brasile
  • L'agenda papale tra luglio e settembre: Messe a Frascati e Castel Gandolfo, quindi il viaggio in Libano
  • Padre Lombardi sulle novità della Radio Vaticana: le tecnologie tramontano, la missione resta
  • A Danzica il cardinale Bertone ricorda il Beato Giovanni Paolo II
  • Crisi. Mons. Toso: manca un progetto globale di crescita in Italia e in Europa
  • Fede, cultura, tecnologia: il Pontificio Consiglio della Cultura compie 30 anni
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Violenze e morti in Siria. Mons. Zenari: "E' una discesa agli inferi"
  • Iraq. Attacchi contro pellegrini sciiti: circa 60 morti
  • Convegno diocesano di Roma. Cardinale Vallini: parrocchie aiutino famiglie nella sfida educativa
  • Ecumenismo e web. Padre Spadaro: il rischio è di restare chiusi tra i propri "amici"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Usa: libertà religiosa e Nuova Evangelizzazione nell'agenda dei vescovi
  • Regno Unito: risposta dei vescovi alla consultazione del governo sulle unioni gay
  • Inghilterra: no della Chiesa Anglicana al premier Cameron sui matrimoni gay
  • Siria: a Qusayr profanata una chiesa greco cattolica
  • Siria: civili cristiani e sunniti intrappolati ad Homs. La mediazione delle Chiese
  • Libia: aumentano le tensioni ma la popolazione vuole la pace
  • Mali: situazione incerta. La preoccupazione della comunità internazionale
  • Myanmar: storico viaggio in Europa di Aung San Suu Kyi. L'inviato Onu a Rakhine
  • Bangladesh respinge i rifugiati birmani. L'Onu chiede di aprire le frontiere
  • Pakistan: sequestri e minacce ai cristiani di Karachi
  • Indonesia: vertice islamo-cristiano per la promozione della pace a Papua
  • Amnesty: l'Europa non sta rispettando i diritti dei migranti
  • Haiti. Nuova tragedia in mare: migranti morti e scomparsi
  • Caritas Internationalis: le proposte per Rio+20 sullo sviluppo sostenibile
  • Rio+20: messaggio del Consiglio Mondiale delle Chiese alla Conferenza dell’Onu
  • Burkina Faso: giovani uniti per la tolleranza religiosa nel Paese
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all’udienza generale: in un mondo che si fida di sé, impariamo a confidare in Dio nella preghiera

    ◊   La preghiera, “respiro dell’anima”, è un’oasi di pace in cui possiamo attingere “l’acqua che alimenta la nostra vita spirituale e trasforma la nostra esistenza”. Questa l’immagine usata stamani, durante l’udienza generale in Aula Paolo VI, da Benedetto XVI nella catechesi dedicata alla seconda Lettera di San Paolo ai Corinzi. “Nella preghiera – ha detto il Santo Padre – apriamo il nostro animo al Signore affinché Egli venga ad abitare la nostra debolezza, trasformandola in forza per il Vangelo”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    San Paolo – ha ricordato il Papa – di fronte a chi contestava la legittimità del suo apostolato, non elenca “le comunità che ha fondato, i chilometri che ha percorso”. Non si limita a ricordare le difficoltà e le opposizioni che ha affrontato per annunciare il Vangelo…

    “...ma indica il suo rapporto con il Signore, un rapporto così intenso da essere caratterizzato anche da momenti di estasi, di contemplazione profonda; quindi non si vanta di ciò che ha fatto lui, della sua forza, delle sua attività e successi, ma si vanta dell’azione che ha fatto Dio in lui e tramite lui”.

    “L’incontro quotidiano con il Signore e la frequenza ai sacramenti” – ha aggiunto il Santo Padre – permettono di aprire mente e cuore “alla sua presenza, alle sue parole, alla sua azione”.

    “E Dio ci attira verso di sé, ci fa salire il monte della santità, perché siamo sempre più vicini a Lui, offrendoci lungo il cammino luci e consolazioni”.

    Il Signore ha attirato a sé San Paolo, in modo totale, al momento della sua conversione sulla via di Damasco. E all’Apostolo il Risorto rivela che la “la forza si manifesta pienamente nella debolezza”. In San Paolo – ha spiegato il Papa – non prevalgono le debolezze, le persecuzioni e le angosce sofferte per il Signore perché in lui dimora “la potenza di Cristo”:

    Il suo atteggiamento fa comprendere che ogni difficoltà nella sequela di Cristo e nella testimonianza del suo Vangelo può essere superata aprendosi con fiducia all’azione del Signore”.

    San Paolo è ben consapevole di essere “un vaso di creta” in cui Dio pone “la ricchezza e la potenza della sua Grazia”. Ma comprende con chiarezza come affrontare e vivere ogni evento:

    Nel momento in cui si sperimenta la propria debolezza, si manifesta la potenza di Dio, che non abbandona, non lascia soli, ma diventa sostegno e forza (...) Questo vale anche per noi. Il Signore non ci libera dai mali, ma ci aiuta a maturare nelle sofferenze, nelle difficoltà, nelle persecuzioni. La fede, quindi, ci dice che, se rimaniamo in Dio, se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, ci sono tante difficoltà, quello interiore invece si rinnova, matura di giorno in giorno proprio nelle prove.

    Nella misura in cui cresce “la nostra unione con il Signore e si fa intensa la nostra preghiera”, comprendiamo che non è la potenza dei nostri mezzi che realizza il Regno di Dio...

    "...ma è Dio che opera meraviglie proprio attraverso la nostra debolezza, la nostra inadeguatezza all'incarico. Dobbiamo, quindi, avere l’umiltà di non confidare semplicemente in noi stessi, ma di lavorare, con l'aiuto del Signore, nella vigna del Signore, affidandoci a Lui come fragili vasi di creta”.

    “Solo la fede, il confidare nell'azione di Dio è la garanzia di non lavorare invano”. In un mondo in cui il rischio è di confidare solamente “sull’efficienza e la potenza dei mezzi umani”, si deve riscoprire “la potenza della preghiera”. “Contemplare il Signore – ha affermato il Papa – è, allo stesso tempo, affascinante e tremendo”:

    “Affascinante perché Egli ci attira a sé e rapisce il nostro cuore verso l’alto, portandolo alla sua altezza dove sperimentiamo la pace, la bellezza del suo amore; tremendo perché mette a nudo la nostra debolezza umana, la nostra inadeguatezza, la fatica di vincere il Maligno che insidia la nostra vita, quella spina conficcata anche nella nostra carne”.

    Per affrontare ogni avversità, come San Paolo, è importante preservare “la fedeltà del rapporto con Dio”, soprattutto nelle situazioni di aridità, di difficoltà, di apparente assenza di Dio: “Quanto più spazio diamo alla preghiera, tanto più – ha osservato Benedetto XVI – vedremo che la nostra vita si trasformerà e sarà animata dalla forza concreta dell’amore di Dio”. Così avvenne – ha ricordato infine il Papa – per la Beata Madre Teresa di Calcutta, che “nella contemplazione di Gesù trovava la ragione ultima e la forza incredibile per riconoscerlo nei poveri e negli abbandonati, nonostante la sua fragile figura”:

    “La contemplazione di Cristo nella nostra vita non ci estranea dalla realtà, bensì ci rende ancora più partecipi delle vicende umane, perché il Signore, attirandoci a sé nella preghiera, ci permette di farci presenti e prossimi ad ogni fratello nel suo amore”.

    All’udienza generale ha partecipato anche una delegazione del Comitato di beatificazione di Giuseppe Toniolo che ha consegnato al Papa le reliquie del Beato. Il suo messaggio – aveva detto il Santo Padre lo scorso 29 aprile, giorno della beatificazione – è di grande attualità: “il Beato Toniolo indica la via del primato della persona umana e della solidarietà”.

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    Il Papa saluta il Congresso eucaristico di Dublino. Il cardinale Ouellet incontra vittime di abusi

    ◊   Al termine dell’udienza generale, il Papa ha rivolto un saluto alla Chiesa in Irlanda riunita fino a domenica prossima per il 50.mo Congresso eucaristico internazionale sul tema: “L’Eucaristia: Comunione con Cristo e tra di noi”. “Un’occasione – ha aggiunto Benedetto XVI – per riaffermare la centralità dell’Eucaristia nella vita della Chiesa”, Eucaristia, ha aggiunto, che è il “cuore pulsante” della vita della stessa Chiesa. Al microfono di Benedetta Capelli, la nostra inviata in Irlanda, Emer McCharty, racconta le reazioni alle parole del Papa:

    R. – Le parole del Papa sono state diffuse alle 12, ora irlandese, 13 ora italiana, durante il consueto briefing nella sala stampa qui a Dublino. Subito dopo, parlando con i pellegrini, man mano che la notizia si diffondeva, si avvertiva gratitudine per questa partecipazione del Santo Padre. Una partecipazione sentita, sia per le stesse parole del Papa, ma soprattutto per quella di tutta la Chiesa universale in questo evento ecclesiale molto sentito. Qui, in Irlanda, stanno arrivando sempre più pellegrini da tutto il Paese, ma anche dall’estero.

    D. – C’è poi da segnalare un pellegrinaggio di riconciliazione in favore delle vittime di abusi sessuali promosso dal delegato pontificio il cardinale Ouellet...

    R. – Sì, incontrando la stampa oggi l’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, ha reso noto che il legato papale pontificio, il cardinale Marc Ouellet, ieri ha fatto un pellegrinaggio a un santuario storico irlandese – il santuario che si trova al lago Lough Derg, nel nord dell’Irlanda – e che si chiama il “Purgatorio di San Patrizio”. E’ un santuario che, per i pellegrini che ci vanno da più di 1000 anni, rappresenta un pellegrinaggio di riconciliazione. Vanno per chiedere perdono e riconciliazione con Dio. Su quell’isola, il cardinale Marc Ouellet ha incontrato un gruppo di vittime di abusi sessuali. Ha parlato con loro e ha pregato con loro. E' stato accompagnato dal nunzio apostolico in Irlanda, l’arcivescovo Charles John Brown, nominato da Papa Benedetto XVI lo scorso gennaio, oltre che da un vescovo irlandese. Parlando dopo questo incontro privato con le vittime degli abusi sessuali, ha detto che è stato un incontro molto commovente, ha di nuovo assicurato alle vittime la vicinanza il dolore e l’orrore del Santo Padre per quanto è accaduto qui all’interno della Chiesa in Irlanda. Ha riconfermato che la Chiesa sta facendo tutto il possibile per far sì che questo non avvenga mai più.

    D. – Dalla conferenza stampa sono emersi altri temi di rilievo?

    R. – Un tema è quello della Chiesa che si sta rinnovando. Oggi, durante il briefing è stato presentato un signore, un diacono sposato nella Chiesa in Irlanda, uno dei primi a essere ordinati nell’arcidiocesi di Dublino. Infatti, sette uomini sposati e alcuni non sposati sono stati ordinati diaconi qui in Irlanda e questa è una prima volta storica per la Chiesa locale e in linea con il tema di oggi, che è il tema del servizio, del ministero sacerdotale a servizio della comunione. Questo è un grande passo in avanti: si sta davvero sperimentando come il servizio alla Chiesa e il ministero sacerdotale, ma anche quello di tutti i consacrati e di tutti i laici, sia una comunione che intende rafforzare l’esistenza e la fede delle Chiese qui in Irlanda.

    “Ministri e laici: mettere i propri doni a servizio dell’Eucaristia” è il tema dell’odierna giornata di riflessione al Congresso eucaristico internazionale di Dublino. Sono circa 20 mila le persone giunte da tutto il mondo in Irlanda e tra di loro anche una rappresentanza di cristiani del Medio Oriente, provenienti in particolare da Giordania, Palestina e Israele. Emer Mc Carthy, inviata in Irlanda ha intervistato mons. William Shomali, vescovo ausiliare del Patriarcato di Gerusalemme dei Latini:

    R. – Siamo consci dell’importanza di essere presenti, come Terra Santa, in Irlanda, soprattutto in questo momento. Confesso che non era facile organizzare un pellegrinaggio per venire qui: solo per ottenere il visto per i nostri cristiani palestinesi e giordani è stato veramente un dramma, una cosa molto difficile. Tante richieste e molto tempo per averlo, ma abbiamo deciso comunque di venire. Se milioni di pellegrini vengono in Terra Santa e noi siamo contenti per questo, penso che anche gli irlandesi siano contenti di sentire una certa vicinanza con loro in questi tempi difficili ed in questa occasione unica: un Congresso eucaristico che si tiene ogni quattro anni. L’Irlanda ha bisogno della nostra solidarietà, abbiamo sentito tutto questo e così abbiamo deciso di venire. Siamo 33: un vescovo, quattro sacerdoti - di tutti i riti - e gli altri sono laici, che vengono dalla Giordania, dalla Palestina, da Israele, ma anche arabi-americani della diaspora che hanno voluto esserci, una coppia ha deciso di raggiungerci. Questo fa di noi un gruppo internazionale, anche se viene dalla Terra Santa.

    D. – La vostra presenza qui in Irlanda è veramente un segno di cosa significa vivere l’Eucarestia, di come vivere la comunione. Che cosa possiamo dire ai fedeli di tutto il mondo riguardo a questo dono?

    R. – L’Eucarestia è il più gran dono che il Signore ci fa, perché Lui dà se stesso, rinnova la Sua offerta al Padre per noi dunque è la salvezza in atto che continua. Qui veniamo anche per conto nostro, per approfondire la nostra comprensione dell’Eucarestia - come presenza e come dono e offerta di Gesù stesso al Padre - ma anche dell’offerta di noi stessi, unita a quella di Cristo, che da Lui prende valore. Ci sono tanti significati profondi dell’Eucarestia e uno dei motivi di un Congresso eucaristico è quello di favorire veramente questo approfondimento.

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    Nomina in Brasile

    ◊   In Brasile, Benedetto XVI ha nominato vescovo della diocesi di Araçuaí il sacerdote Marcello Romano, del clero della diocesi di Guanhães, nella quale è amministratore diocesano. Il presule è nato il 15 agosto 1965 a Conceição do Mato Dentro, nella diocesi di Guanhães, nello Stato di Minas Gerais. Ha compiuto gli studi filosofici e teologici presso il Seminario "Nossa Senhora do Rosário" nella diocesi di Caratinga. Il 24 giugno 1994 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale ed è stato incardinato nel clero della diocesi di Guanhães, nella quale ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale della Parrocchia “São Miguel” (1995), Parroco della Parrocchia “Nossa Senhora do Amparo” in Braúnas (1995-1996), Parroco della Parrocchia “São Sebastião” in Joanésia (1996-1998), Parroco della Parrocchia “São Sebastião” in São Sebastião do Maranhão (1998-2000), Parroco della Parrocchia “Nossa Senhora da Conceição” in Conceição do Mato Dentro (2001- 2008), Parroco della Parrocchia “Santo Antônio” in Peçanha (2008-2011). Attualmente è Amministratore diocesano di Guanhães.

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    L'agenda papale tra luglio e settembre: Messe a Frascati e Castel Gandolfo, quindi il viaggio in Libano

    ◊   Due Messe presiedute in due cittadine dei Castelli Romani e un atteso ritorno in Medio Oriente. È questa, in estrema sintesi, l’agenda papale compresa tra i mesi di luglio e settembre prossimi. Secondo quanto comunicato dal Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, mons. Guido Marini, Benedetto XVI compirà una visita pastorale a Frascati domenica 15 luglio, alle 9.30, durante la quale presiederà la celebrazione eucaristica. Esattamente un mese più tardi, il 15 agosto, solennità dell’Assunta, il Pontefice presiederà alle ore 8.00 la Messa nella chiesa parrocchiale di San Tommaso da Villanova.

    Ancora un mese, e tra il 14 e il 16 settembre prossimi, Benedetto XVI volerà in Libano per un importante viaggio apostolico che avrà il suo centro nella promulgazione dell’Esortazione Apostolica post-sinodale per il Medio Oriente, frutto dell’Assemblea Speciale del Sinodo svoltosi in Vaticano dal 10 al 24 ottobre 2010.

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    Padre Lombardi sulle novità della Radio Vaticana: le tecnologie tramontano, la missione resta

    ◊   Ha suscitato interesse e numerosi commenti da parte dei media l’annuncio dato ieri dalla Radio Vaticana sulla cessazione delle proprie trasmissioni in onda media e corta, a partire dal prossimo primo luglio, per ciò che riguarda le Americhe e la maggioranza dell’Europa. Il direttore generale dell’emittente, padre Federico Lombardi, chiarisce le ragioni di questa scelta al microfono di Alessandro De Carolis:

    R. – Anzitutto, vorrei precisare che la Radio Vaticana vive sin dalla sua origine l’aspetto dell’innovazione tecnologica, grazie a Guglielmo Marconi che l’ha costruita. Sempre quindi, in questi 80 anni, i nostri tecnici hanno seguito con grande attenzione e intelligenza tutti gli sviluppi delle telecomunicazioni, specie della comunicazione radio, per rendere la Radio Vaticana uno strumento all’avanguardia in ogni epoca. Ora, ciò cui noi assistiamo in questi anni è un’accelerazione delle trasformazioni tecnologiche e questo ha sempre trovato molto attenta la Radio Vaticana. Io sono qui da 22 anni: nei primi anni Novanta abbiamo cominciato a trasmettere via satellite e dalla fine degli anni Novanta anche l’uso di Internet è diventato per noi abituale. Tutto questo si è sviluppato gradualmente e ci ha permesso di essere presenti nel mondo delle comunicazioni con il nostro messaggio e la nostra missione sulle diverse piattaforme via via in evoluzione. Facendo un bilancio della situazione, noi vediamo che certe tecnologie – per decenni un punto di forza della nostra attività – diventano adesso meno essenziali, o perlomeno raggiungono una parte più marginale del nostro pubblico. Viceversa, la grande parte dell’ascolto si è spostata o è stata raggiunta con il tempo da altre vie, due in particolare. Una riguarda la ritrasmissione dei programmi radio: questi non vengono più ascoltati perché trasmessi direttamente da Roma, ma perché per l’appunto ritrasmessi da moltissime radio locali o regionali, che utilizzano in diverse lingue e ricevono i nostri programmi dal satellite o via Internet. Ed è così che la gran parte dei nostri ascoltatori in varie regioni del mondo ci ascolta attualmente. Inoltre, con l’avvento di Internet l’ascolto può avvenire non solo nel momento in cui noi trasmettiamo il programma originale, ma anche “on demand”, cioè a richiesta sul sito web, oppure con il podcast. Tutti percorsi che si moltiplicano. Questo allora è lo sfondo su cui tale decisione va compresa. Lo sviluppo di altre vie di comunicazione, le ritrasmissioni da parte di un migliaio di radio locali nei cinque continenti e lo sviluppo di Internet, che raggiunge lo scopo di diffondere il nostro messaggio e il nostro servizio, hanno gradualmente preso sempre più posto rispetto alla trasmissione basata sulle onde elettromagnetiche, emesse dai centri ubicati a Roma. Possiamo dire che il peso della nostra attività si è spostato da una tecnologia all’altra, soprattutto per alcune aree del mondo che – com’è noto – sono più servite da queste tecnologie come lo sono l’Europa e le Americhe rispetto, ad esempio, all’Africa. La nostra decisione attuale è quella di lasciar cadere un servizio – che tradizionalmente abbiamo svolto con le onde corte, e per l’Europa anche con le onde medie – perché non è più necessario. Ed è bene quindi risparmiare risorse e orientarle diversamente.

    D. – In pratica, questo cambiamento come inciderà sul lavoro giornalistico e tecnico dell’emittente?

    R. – Per noi è sempre stato un punto chiarissimo quello di non licenziare personale e, tanto più in un momento come questo, è una cosa che prendiamo in considerazione. Tutti i nostri impiegati, operai, tecnici, giornalisti sono tranquilli da questo punto di vista. Noi non andiamo avanti per tagli – come hanno fatto tante altre emittenti anche importanti a livello internazionale – ma andiamo avanti cercando di implementare il nostro servizio e di utilizzare le nostre risorse in modo ragionevole. Anzitutto, puntando sulla missione che dobbiamo realizzare e sull’aggiornamento professionale delle persone che lavorano con noi, e comunque tenendo conto di coloro che lasciano il posto di lavoro per motivi naturali o contingenti: motivi di età, per altre ragioni o perché si trasferiscono altrove, poiché tanti nostri redattori sono di altri Paesi. Ci tenevo poi a sviluppare anche un altro tema: evidentemente, in questa evoluzione tecnologica può anche cambiare gradualmente il modo, il formato dei nostri prodotti. Come l’avvento dell’Internet ci ha fatto passare da radio che produceva fondamentalmente audio – programmi audio nel senso classico – a ente che produce informazione che viene pubblicata anche per iscritto sul sito web e arricchita da elementi multimediali – quindi non solo audio, ma anche video, in collaborazione con il Ctv – così anche il modo di diffondere i programmi potrà variare. Il fatto, per esempio, che adesso si segua un certo palinsesto con degli ordini temporali molto precisi di successione delle diverse trasmissioni potrebbe in seguito modificarsi e le trasmissioni, messe a disposizione via Internet, risulterebbero allora più slegate da un tempo preciso di trasmissione; ciò che non avviene per la trasmissione classica, che viaggia s onde elettromagnetiche o per il tramite di un canale satellitare. Dunque, l’organizzazione del lavoro professionale informativo può anche evolvere in questo contesto, ma attualmente noi continuiamo a far giungere i nostri programmi – come dicevo – a un migliaio di radio che trasmettono attraverso canali satellitari precisi e quindi continuerà ad esserci, almeno in questa fase, un sequenza temporale definita di messa in onda e di trasmissione di programmi.

    D. – Uno degli aspetti che balza agli occhi è certamente la trasformazione che, di qui in avanti, investirà in modo particolare il Centro Trasmittente di Santa Maria di Galeria: a 55 anni dall’inaugurazione, che cosa si profila per la struttura?

    R. – Hai fatto bene a ricordare i 55 anni di Santa Maria di Galeria: è uno strumento straordinario, io vorrei dire un vero gioiello dal punto di vista della tecnica, curato con estremo amore e intelligenza dalle persone che vi hanno lavorato in questi decenni, dalle origini fino ad oggi. E’ così ben fatto e ben tenuto che spesso vengono anche tecnici dall’estero per vederlo ed esprimono generalmente il loro apprezzamento. Questo strumento era stato voluto da Pio XII per servire gran parte del mondo, in particolare quelle regioni che erano in difficoltà, dove mancava la libertà religiosa, dove c’erano pressioni di regimi dell’est dell’Europa sotto il comunismo, ma anche per raggiungere Paesi più lontani, come la Cina o il Vietnam, dominati dal comunismo, o Paesi controllati da regimi nei quali mancava la libertà. E’ stato uno strumento preziosissimo, perché – e questo bisogna ricordarlo molto bene – solo con le onde corte, in gran parte della storia del secolo scorso, era possibile raggiungere, superando le frontiere, persone totalmente isolate dal punto di vista mediatico dal resto del mondo. Quindi, è stata una vera epopea di servizio per tante persone: prima con le onde corte, dal Vaticano stesso, con strumenti ovviamente meno potenti, e poi da Santa Maria di Galeria. Anche adesso, nei decenni più recenti, per tanti Paesi in via di sviluppo o poveri o in difficoltà, noi trasmettiamo con questo strumento parole che sono di speranza per moltissime persone: penso al continente africano, al Medio Oriente, a tante persone che vivono in Paesi dove tuttora non c’è libertà religiosa e dove non è possibile ricevere alcun servizio spirituale o liturgico, per esempio in Arabia Saudita. Questi sono grandi servizi svolti con lo strumento radiofonico in senso classico. Adesso però – come ho spiegato prima – diventa meno necessario, soprattutto per certe aree del mondo e quindi si può ridurre l’attività. E si può anche prevedere, negli anni a venire, che tale riduzione continui gradualmente man mano che anche le altre parti del mondo diventino più collegate ai sistemi digitali - come speriamo - e che quindi la storia, la grande epopea di questo Centro Trasmittente, con tutto il suo servizio, si avvii verso il tramonto. Questo fa parte della storia umana. Ci sono tecnologie che hanno un loro arco di vita: si sviluppano, raggiungono l’apogeo e poi gradualmente sono sostituite da altre. Non c’è assolutamente nulla di drammatico in questo, anche se naturalmente per chi ci ha lavorato tanto e ci si è appassionato, vive questa fase con una certa sofferenza, con un certo dispiacere: sono sensibilità che vanno assolutamente rispettate, ma non c’è in sé nulla di problematico. Piuttosto, soffrirei molto se fosse un servizio che cessasse per alcune aree del mondo, che venisse abbandonato o che non servisse più. Ma ciò non è quello che stiamo facendo ora, né quello che abbiamo intenzione di fare per il futuro. Quindi, conserviamo la nostra gratitudine e la nostra stima per questo lavoro, che è stato fatto e che era assolutamente insostituibile per tutti gli anni in cui il Centro di Santa Maria di Galeria ha funzionato a pieno ritmo. Con la riduzione dell’attività del Centro così come lo abbiamo normalmente conosciuto – un centro fondamentalmente di trasmissioni a onde medie e a onde corte – si sta già pensando a una ristrutturazione che, anche se ovviamente con strumentazioni diverse, renda Santa Maria di Galeria un centro utile per le telecomunicazioni della Santa Sede e del Vaticano, ad esempio nella forma del “teleporto”, quindi con antenne che usano maggiormente i satelliti. Oppure con delle basi utili per il servizio in rete. E’ una cosa ancora da formulare con precisione, ma pensiamo che – anche se con una veste piuttosto diversa – una realtà di telecomunicazioni a servizio della Chiesa e della Santa Sede a Santa Maria continuerà a esistere anche in futuro.

    D. – Alcuni commenti sui media hanno fatto un collegamento tra la decisione di ridurre i tempi di uso dell’onda media e corta e la questione dell’elettrosmog, come pure hanno parlato dei risparmi sui quali la Radio Vaticana può contare con questo cambiamento. Come considera queste interpretazioni?
    R. – Cominciamo da quella del risparmio. Questa è certamente fondata, nel senso che come tutti sappiamo si vive un’epoca di difficoltà dal punto di vista economico, quindi di razionalizzazione dell’uso delle risorse, di risparmio per quanto queste sono possibili. In questa operazione della riduzione dell’uso delle onde corte e delle onde medie, l’aspetto economico gioca un suo fattore, perché fa maturare definitivamente una decisione a cui noi, però, ci eravamo in certo senso preparati nell’arco di 15 o 20 anni, gradualmente, in modo tale da arrivarvi senza particolari traumi. Un risparmio, in effetti, lo si può considerare anche piuttosto consistente sia dal punto di vista energetico – perché le trasmissioni di questo genere consumano molta energia – sia dal punto di vista degli investimenti nelle strutture, nelle apparecchiature necessarie per queste trasmissioni. C’è una serie di risparmi a catena, connessa alla diminuzione di un’attività che comportava strumentazioni potenti, di grandi dimensioni e piuttosto complessa anche dal punto di vista organizzativo. Non bisogna illudersi che le nuove tecnologie non costino: questa spesso è un’utopia, si fanno cambiare i computer ogni due o tre anni perché ne hanno trovati dei migliori. Tuttavia, è vero che vi è un minor consumo di energia con le nuove tecnologie. Di conseguenza, pensiamo di poter contare su un risparmio globale significativo già sul bilancio in corso e poi anche sui bilanci degli anni a venire. Il taglio – o meglio, il risparmio – avviene dunque più sulle tipologie di comunicazione che non sul personale e sui suoi emolumenti.

    D. – E sulla questione dell’elettrosmog?
    R. – Per quanto riguarda la questione dell’elettrosmog, è evidente che se uno trasmette di meno o per un tempo minore – e noi calcoliamo che quasi il 50 per cento dei tempi di trasmissione verrà ridotto dal Centro di Santa Maria di Galeria dal 1 luglio – è evidente che ci sono anche meno campi elettromagnetici nel Centro stesso e attorno a esso. Questo, però, non è il motivo della decisione di ridurre, perché eravamo già tranquilli di non causare danni a nessuno anche in precedenza, avendo sempre seguito – cosa che ho dovuto ripetere innumerevoli volte – sia le raccomandazioni internazionali fino all’anno 2000 sia poi le indicazioni italiane – molto più restrittive, le più restrittive del mondo – dall’anno 2001 in poi. Le abbiamo sempre scrupolosamente osservate, come hanno dimostrato le misurazioni fatte a tempi determinati, d’accordo con le autorità italiane. Non c’era e non c’è un rischio di danno, per quanto ragionevolmente si può sapere, in base alle conoscenze scientifiche e alla correttezza di comportamento, e quindi noi abbiamo proseguito nel nostro lavoro finché il servizio è sembrato essenziale per il compito che avevamo da svolgere. Adesso, se non è più strettamente necessario, vi rinunciamo. Se altri sono contenti che questo comporti una diminuzione dei campi, ci rallegriamo con loro. A noi fa piacere che ci sia della gente contenta. Ribadisco, però, per chiarezza, che il motivo della riduzione è che non è più necessario per il servizio. Per quanto riguarda il rispetto della popolazione, noi abbiamo sempre ritenuto che fosse estremamente importante per noi attuarlo in termini oggettivamente verificabili, in base al rispetto delle norme e della nostra coscienza professionale. Un’attività in onde corte continuerà comunque anche dopo il primo luglio e quindi altri campi continueranno a essere generati. Questi, però, saranno forse minori dei primi e sempre compatibili con le norme che sono richieste.

    D. – In oltre 20 anni di responsabilità ai vertici dell’emittente, lei ha visto la Radio del Papa letteralmente rivoluzionata dall’avvento della comunicazione digitale, al punto – come lei da tempo sottolinea, e lo ha ricordato anche poco fa – da essere trasformata in qualcos’altro rispetto a una radio comunemente intesa. Quale strada intravede per il suo futuro?

    R. – La strada si percorre giorno per giorno. E’ difficile, dunque, per noi, prevedere cosa sarà fra dieci anni la Radio Vaticana o un ente di comunicazione simile alla Radio Vaticana. Come io ricordo spesso, 15 anni fa nessuno sapeva cosa potesse essere Internet e oggi la nostra vita è profondamente segnata da questo. Cosa sarà fra 15 anni, io onestamente non lo so. Noi, però, cerchiamo di seguire questa evoluzione e l’abbiamo fatto con molta consapevolezza, proprio prevedendo che un certo tipo di tecnologia poteva tramontare o perlomeno essere meno necessaria e che quindi dovevamo concentrare l’attenzione sul centro della nostra missione, che è comunicare il Vangelo, il messaggio della Chiesa nel mondo di oggi, il servizio che il Papa svolge al mondo di oggi e comunicarlo il più diffusamente possibile con lingue diverse, ai diversi popoli del mondo. Questo è il nucleo della nostra missione, ma con quali tecniche, attraverso quali vie questa missione debba realizzarsi è aspetto che naturalmente può cambiare. Noi ogni giorno dobbiamo essere attenti alle nuove possibilità e cercare di sfruttarle nel modo migliore per realizzare questa missione. Nei 20 anni in cui sono stato qui, ho visto veramente cambiare il mondo attorno a me: gli studi in cui stiamo lavorando sono stati tutti rinnovati e anche il modo di lavorare da parte dei redattori e dei tecnici si è trasformato. Continuerà a essere così, necessariamente, nel “Rapido sviluppo”, così come recitava il titolo dell’ultima lettera di Giovanni Paolo II sugli strumenti della comunicazione sociale. Io non ho un’immagine precisa di che cosa sarà, si può fare futurologia o esercitare la fantasia. Io cammino giorno per giorno, cercando di capire cosa accade e quali sono le nuove possibilità che si schiudono. Per me, è sempre stato importante non giocare tutto su una strada sola, che magari poi non sarà quella che si svilupperà meglio nel futuro, ma essere presenti su una certa gamma di vie, naturalmente in base alle risorse e alle persone disponibili, in modo tale da poter gradualmente aggiustare il tiro e offrire diverse possibilità allo sviluppo della nostra missione. Certamente Internet funziona. Ma certamente noi vediamo che la radio in FM può diventare digitale, Dab, che ci possono essere nuove piattaforme e applicazioni attraverso cui il nostro servizio messo su web viene diffuso sui telefoni mobili o su altre cose. Tante vie. L’importante è che noi sappiamo bene cosa dire, che abbiamo chiaro il nucleo della nostra missione, che siamo convinti di essa, che abbiamo delle buone notizie da dare per l’umanità – il Vangelo, appunto, la Buona Notizia – e che la nostra preoccupazione cristiana per il bene di tutti ci motivi a farla arrivare – con telefonino, il computer, l’onda hertziana – a chi può desiderare di ascoltarle.

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    A Danzica il cardinale Bertone ricorda il Beato Giovanni Paolo II

    ◊   "Con grande gioia presiedo questa Eucaristia in occasione del XXV anniversario della visita del beato Giovanni Paolo II a Danzica. Cinque anni fa ero qui fra voi, per celebrare il XX anniversario e, nel frattempo, la Chiesa intera ha ricevuto il grande dono della beatificazione di Giovanni Paolo II, avvenuta il 1° maggio 2011 in piazza San Pietro fra un tripudio di gioia e di preghiera": si è aperta con queste parole l'omelia della Messa presieduta ieri sera dal cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, nella cattedrale di Oliwa a Danzica. Una messa che - ha detto il cardinale - permette di "fare memoria di tante memorabili parole" del Beato Giovanni Paolo II durante le sue storiche visite nel suo Paese natale dopo l‘elezione al soglio di Pietro. Parlando dello stile del "servizio pastorale" del Papa Beato - riferisce l'agenzia Sir - il cardinale Bertone ha detto che esso "si basa sulla piena fiducia tra Cristo e il suo apostolo, un vincolo che non si può misurare con la logica umana. Questa fiducia è riconosciuta profondamente solo dal Signore, che scruta i più profondi segreti del nostro cuore. Il Figlio di Dio ben conosce il cuore dell‘apostolo e gli affida la missione di pascere il suo gregge". Il cardinale Bertone ha aggiunto poi che "per esercitare questa funzione pastorale si richiede la disponibilità a una testimonianza senza riserve, fino al martirio".

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    Crisi. Mons. Toso: manca un progetto globale di crescita in Italia e in Europa

    ◊   L'Italia “non ha bisogno della protezione paralizzante di altri”. Il premier Monti non ha intenzione di chiedere l'aiuto del fondo salva stati o del FMI e in mattinata alla Camera annuncia l'avvio di una "operazione crescita" che possa ridare fiducia ai mercati. Intanto da Berlino arriva una rassicurazione: l'Italia superarà tutte le sfide se andrà avanti “in modo coerente”. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Monti si presenta in Parlamento dopo l’incontro di ieri sera con Alfano, Bersani e Casini. “Siamo molto sereni per come l'Italia si presenta nel quadro internazionale e ai mercati", dice il presidente del Consiglio. Certo - ammette il premier - la situazione è “complicata” : ci sono ''tensioni molto gravi'' che riguardano di nuovo l'Italia in un momento ''cruciale'' per l'Europa, ma c’è la possibilità di farcela. Per il ministro allo Sviluppo Passera l’Italia è in sicurezza. Temi su cui batte anche il presidente Napolitano, da Ginevra, convinto che ''la crescita è un indispensabile, urgente complemento delle politiche di consolidamento fiscale volte ad abbattere il peso dei debiti sovrani e ad allentare la pressione'' dei ''mercati finanziari''. Indispensabili gli investimenti pubblici, per i quali bisogna pensare a “obbligazioni europee per progetti comuni”. Interviene da Berlino il portavoce del governo tedesco: Non intendiamo occuparci ''in modo specifico dell'Italia, perché l'Ue e la Germania si sforzano di stabilizzare l'euro complessivamente''.

    Sul difficile momento che l’Europa sta attraversando, Alessandro Guarasci ha sentito monsignor Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace:

    D. - Ritiene che sia stata messa in campo davvero una’azione solidaristica in Europa per uscire dalla crisi?

    R. - L’azione di risanamento va accompagnata da un’azione mirante a sostenere la crescita, specie dei Paesi più deboli. Senza una tale crescita è impensabile che si possa uscire dall’attuale crisi. E, tuttavia, non si vede ancora un progetto globale di crescita sia in Italia che in Europa. Vi sono, piuttosto, risposte parziali. Manca un progetto organico, come sarebbe richiesto da una crisi e da una recessione che colpisce la maggioranza dei paesi. Mancano, assieme alle necessarie politiche unitarie di tipo fiscale ed economico, politiche di solidarietà, che dipendono, come è noto, dalla volontà politica degli stessi paesi europei, inclusa la Germania. Quanto, poi, alla crescita, non sembra si stiano costruendo le condizioni di in ciclo di ripresa e di sviluppo di lungo periodo. Qualora fossero anche accettati gli aggiustamenti proposti alla politica di austerità fiscale europea, quali la deducibilità degli investimenti pubblici ai fini del calcolo del deficit e del debito, bisogna dire che non sarebbero sufficienti ad invertire la tendenza attuale senza la regolazione dei mercati finanziari e dello Shadow Banking System; senza una politica industriale centrata sul rapporto banca/impresa/economie e comunità di riferimento; senza politiche di equità redistributiva in grado di realizzare prelievi straordinari sulle grandi ricchezze patrimoniali per finalizzarli in parte ad abbattimento del debito, in parte ad investimenti anticiclici; senza una rigorosa riforma fiscale che, a parità di gettito e colpendo l'evasione, redistribuisca il carico fiscale liberando risorse consistenti per le fasce medio-basse di reddito, decisive - per l'elevata propensione al consumo -, ai fini della ripresa della domanda interna; senza un coordinamento delle varie politiche (finanziarie, industriali, agricole, scolastiche) per vincere la crescente piaga della disoccupazione, specie giovanile; senza l’impegno nel promuovere una democrazia sostanziale e partecipativa, nonché un Welfare societario, necessario soprattutto per le fasce sociali più deboli e colpite dalla crisi. La crisi, tra le altre cose, ha dimostrato il dominio del capitalismo finanziario sgregolato, il nesso strutturale tra crisi finanziaria e recessione, tra recessione e devastazione sociale, tra devastazione sociale e corrosione delle istituzioni democratiche e la necessità di uscirne attraverso una riforma rigorosa e radicale del suddetto capitalismo. Occorre andare verso un capitalismo democratico, funzionale al bene comune. La questione della crescita ė sistemica e, quindi, dovrebbe essere affrontata in modo sistemico. L'anarchia dei mercati finanziari e degli intermediari ombra globali è in grado di compromettere ex ante qualsivoglia ripresa, condannandola alla precarietà dell'instabilità. Ma non si può dimenticare che la crisi attuale è soprattutto una crisi di senso perché crisi antropologica ed etica, crisi spirituale. Conseguentemente si richiede un cambiamento deciso del paradigma culturale che ha consentito il prevalere di un capitalismo finanziario sregolato, a tendenza globale. A questo proposito restano attuali le indicazioni offerte dalla Caritas in veritate e dalle riflessioni del Pontificio Consiglio sulla Riforma del sistema finanziario e monetario nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale.

    D. - La crisi è partita anche dalle agenzie di rating. Ritiene il loro potere eccessivo e serve una maggiore collaborazione Usa-Ue?

    R. - E’ chiaro che considerando la crisi non si può ignorare il ruolo svolto dalle Agenzie di rating che scrutinano il merito di credito degli emittenti. L’esperienza passata e di questi giorni evidenzia l’urgenza di una loro regolazione. È noto, infatti, come alcune Agenzie, di tipo privato, abbiano pesantemente fuorviato il mercato con giudizi falsi, infondati o comunque imprudenti. Cresce sempre più l’opinione secondo cui l’Europa, ma anche altri soggetti politici, dovrebbero dotarsi di una propria Agenzia di valutazione, in modo da non dipendere da Agenzie manovrate da regie occulte e da interessi privati. Le Agenzie, sia private che pubbliche, non vanno demonizzate, semmai vanno adeguatamente supervisionate e controllate, rendendole funzionali al buon funzionamento dei mercati finanziari, aumentando anche la concorrenza tra le stesse. In tutto questo non guasterebbe una maggior collaborazione tra Usa-UE.

    D. - Dopo quanto successo in Grecia, teme l’esplodere di nuove tensioni sociali in Europa?

    R. - Occorre dire che in questo periodo di profonda crisi, una crisi che comprende anche la politica, la gente sta dimostrando una notevole pazienza, nonché un buon grado di reattività. In generale reagisce civilmente, individuando e percorrendo anche nuove vie. E, tuttavia, l’attuale crisi epocale ha destrutturato prospettive, strumenti, istituzioni del passato, relativi ad un mondo che sta scomparendo. Occorre, allora, praticare un nuovo pensiero e una nuova progettualità, come ha sollecitato Benedetto XVI più volte. Senza di essi non si può consolidare e ampliare ciò che di nuovo e di positivo sta emergendo, non si avranno a disposizione quelle istituzioni che sono indispensabili e che vanno progettate sul piano sia locale che globale. Se non si provvederà a dare risposte efficaci e rapide ai problemi emersi, le tensioni sociali purtroppo cresceranno.

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    Fede, cultura, tecnologia: il Pontificio Consiglio della Cultura compie 30 anni

    ◊   Si celebrano in questi giorni i 30 anni del Pontificio Consiglio della Cultura, istituito da Giovanni Paolo secondo il 20 maggio 1982. Per l’occasione, si è svolto ieri in Vaticano un convegno durante il quale è stato proiettato il documentario di Rai Storia dedicato al trentennale ed è stato presentato il nuovo sito del consiglio, all’indirizzo "www.cultura.va". Il servizio di Michele Raviart:

    “Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta”. Queste parole, pronunciate dal Beato Giovanni Paolo II nel 1982, testimoniano la particolare attenzione con la quale Papa Wojtyla guardava alle opere dell’ingegno umano, fin da quando, ancora arcivescovo di Cracovia, invitava artisti, intellettuali e scienziati per ascoltare il punto di vista di ambienti spesso esterni al mondo della Chiesa. Una sensibilità innata, che trovava terreno fertile nella “sua” Polonia, un Paese che era riuscito a superare i rovesci della storia solo mantenendo la propria identità culturale davanti a chi voleva annientarla.

    Un percorso umano e pastorale che spiega, insieme alle considerazioni sullo sviluppo umano attraverso la cultura nella grande Costituzione conciliare Gaudium et Spes, alcuni dei perché che indusserp Giovanni Paolo II a istituire nel 1982 il Pontificio Consiglio della Cultura, “affinché la civiltà dell'uomo si apra sempre di più al Vangelo, e i cultori delle scienze, delle lettere e delle arti si sentano riconosciuti dalla Chiesa come persone al servizio del vero, del buono e del bello”. Il cardinale Paul Paupard, presidente del Pontificio Consiglio della cultura dal 1998 al 2007, fu una delle persone più vicine al Papa in quei momenti:

    “All’inizio del Pontificato, Papa Giovanni Paolo II mi fece creare il Pontificio Consiglio della Cultura, con un comitato internazionale, con uomini e donne di cultura di tutto il mondo. La preoccupazione fondamentale - me lo ripeteva ogni volta - era di aiutare tutta la Chiesa a prendere coscienza dell’importanza che ha la cultura e, invece che dall’esterno, creare una cultura cristiana dall’interno”.

    Nel 1993, il Pontificio Consiglio per i Non Credenti, istituito da Paolo VI nel 1965, venne incorporato nella nuova struttura, dando lo slancio ad un percorso culminato nel 2011 con l’ideazione del “Cortile dei gentili”, incontri itineranti tra pensatori laici e cristiani sui grandi temi dell’umanità, fortemente voluti dal cardinale Gianfranco Ravasi, successore di Paupard dal 2007. Il dialogo sincero, lontano tanto dal fondamentalismo quanto dal sincretismo, è infatti una delle linee guide dell’azione Consiglio, assieme alla ricerca di linguaggi di comunicazioni nuovi e incisivi, come testimonia il successo del profilo twitter dello steso cardinale Ravasi:

    “La cultura ha una sfida terribile ai nostri giorni, perché ci troviamo in una società, in un mondo, che tendenzialmente ama il grigio, ama l’indifferenza, ama la banalità, la superficialità, rifugge dalle domande che artigliano la coscienza e che generano problemi, che generano spiegazioni. Ecco, per questo motivo dobbiamo riportare ancora l’uomo - come diceva Pascal 'quell’uomo che supera sempre l’uomo' - riportarlo ancora a interrogarsi sui significati ultimi. Questo è anche lo scopo ultimo della cultura”.

    Oggi, il Pontificio Consiglio della Cultura si occupa anche di arte - pensiamo ad esempio alla mostra per i 60 anni di sacerdozio di Papa Benedetto XVI - e di scienza, con il progetto “Stoq” che unisce insieme astronomia, tecnologia e teologia. Imminenti sono le aperture di nuovi dipartimenti, uno dedicato al rapporto tra economia e gratuità, l’altro dedicato allo sport e alle sue interrelazione tra momenti di festa, gestione del tempo libero e riti di massa. Riguardo le prossime proposte del Consiglio, sentiamo ancora il cardinale Ravasi:

    “Un ambito è già quasi aperto, ed è il dialogo con gli organismi internazionali. Pensiamo, per esempio, all’Unesco, con il quale abbiamo già tanti rapporti: bisogna incrementarli, comunque, maggiormente. Penserei anche a un altro percorso da seguire: andare a individuare, all’interno della società contemporanea, dove l’umanità ora soprattutto si incontra, non necessariamente attorno a spazi, ma anche alla virtualità. Ecco, allora, l’importanza di individuare quali siano i temi che maggiormente vengono discussi, per riuscire alla fine a costruire anche uno specifico dipartimento sui temi maggiori”.

    A 30 anni dalla sua fondazione, il Pontificio Consiglio per la Cultura è una delle istituzioni che raccoglie più compiutamente le grandi aspirazioni del Concilio Vaticano Secondo, perché “la sintesi tra fede e cultura non è solo un’esigenza della cultura, ma anche della fede".

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Come fragili vasi di creta: all'udienza generale Benedetto XVI invita ad affidarsi alla forza della preghiera per superare ogni insidia.

    Per ripartire l'Europa deve recuperare i suoi valori cristiani e umani: nell'informazione internazionale, il discorso dell'arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, agli ambasciatori dei Paesi dell'Unione europea.

    In rilievo la Siria, su cui incombe l'ombra della guerra civile.

    Nel grande cantiere della pastorale battesimale: nell'informazione religiosa, la relazione del cardinale vicario Agostino Vallini al convegno della diocesi di Roma.

    Dopo dodici anni di lavoro viene presentata, domani, la Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana": in cultura, un articolo del prefetto Cesare Pasini e un'intervista di Silvia Guida ai curatori, Francesco D'Aiuto e Paolo Vian.

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    Oggi in Primo Piano



    Violenze e morti in Siria. Mons. Zenari: "E' una discesa agli inferi"

    ◊   Sono ima trentina le persone uccise nelle ultime ore in Siria, negli scontri tra lealisti e ribelli. Tra le vittime si contano almeno cinque bambini. L'agenzia di stampa Sana e la tv di Stato hanno riferito stamattina che Al Haffeh e la sua regione sono stati "ripuliti dalla presenza dei terroristi". Poche ore prima, i ribelli avevano annunciato di essersi ritirati da quel territorio perché si "risparmiassero" sofferenze ulteriori ai civili. Violenze si segnalano anche ad Aleppo, Rastan, Idlib, nella regione di Dayr az Zor. Ma la situazione più drammatica si registra ad Homs, dove circa 800 i civili, 400 cristiani e 400 musulmani, sono rimasti intrappolati nel centro storico, mentre tutt’intorno infuriano gli scontri. Una situazione estremamente complessa in tutto il Paese, insomma, come conferma mons. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, il quale sottolinea però che i cristiani non sono più bersagliati di altri. L’intervista è di Salvatore Sabatino:

    R. – Non si sa quale sarà il futuro della Siria, delle varie etnie, e quale sarà il futuro dei cristiani. Occorre essere molto, molto vigili. Fino ad oggi direi che i cristiani condividono la triste sorte di tutti i cittadini siriani: sono sotto i bombardamenti come i loro concittadini siriani, in questi giorni, soprattutto ad Homs e altrove. Non direi che ci siano nei loro confronti delle discriminazioni particolari, tanto meno delle persecuzioni. Bisogna stare attenti e vedere i fatti nella loro verità. Andrei adagio a paragonare, oggi come oggi, la situazione dei cristiani ad altri Paesi dei dintorni. Alle volte si paragona con l’Iraq, ma non è da paragonarsi.

    D. – I cristiani possono continuare a fare da ponte, ad aprire un dialogo prima che la distanza tra le parti sia incolmabile e che si oltrepassi quella drammatica linea di non ritorno?

    R. – Io direi che è proprio la loro vocazione, quella di fare da ponte, a tutti i livelli. In questo momento agiscono in situazioni molto dolorose, come per esempio quella di Homs, dove abbiamo dei sacerdoti, dei religiosi, ma anche in altri posti, e si comportano in modo esemplare, mettono a rischio la loro vita. Fanno da ponte anche cercando di ottenere un cessate-il-fuoco, di fare uscire delle persone: donne, bambini, anziani. Abbiamo degli esempi molto belli e molto luminosi. Un domani, se la situazione lo permetterà, se ci si aprirà alla democrazia, l’occasione dovrà essere colta al volo, per entrare con persone preparate culturalmente e politicamente e costruire qualcosa con i principi della Dottrina sociale della Chiesa, che sono molto apprezzati: la dignità umana, le libertà fondamentali, i diritti umani. Sarà l’occasione per la costruzione di una nuova Siria, e l’occasione per i cristiani per dare un contributo specifico. Senza il loro contributo, sarebbe una Siria più povera.

    D. – Il fatto che le Nazioni Unite abbiano parlato per la prima volta nelle ultime ore di guerra civile, come è stata percepita dalla popolazione locale?

    R. – Qui non ho ancora le reazioni. Purtroppo, l’impressione che si ha in questo momento, senza accennare se tecnicamente si possa parlare di guerra civile, è che umanamente sia cominciata una discesa agli inferi. Siamo nelle mani di Dio, nelle mani della Provvidenza.

    D. – Quindi, c’è una percezione di un peggioramento della situazione nelle ultime ore?

    R. – Se si guarda quello che sta succedendo, è difficile essere ottimisti. Si spera che la comunità internazionale possa, come dice spesso Kofi Annan, parlare a una sola voce, possa mettere ciascuna delle parti in conflitto con le spalle al muro e arrivi a frenare quella che – ripeto – è una discesa agli inferi.

    Un intervento militare straniero in Siria non sarebbe "la via migliore". Così ha affermato il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, in visita diplomatica in Australia. Una dichiarazione, la sua, che giunge a poche ore dalla forte presa di posizione dell’Onu, che per la prima volta ha parlato di “guerra civile”. La Lega Araba, da parte sua, ha condannato fortemente le violenze, mentre la Turchia ha espresso preoccupazione per il possibile sconfinamento del conflitto sul proprio territorio. Sull’altra frontiera, quella libanese, si segnala invece la presenza di militari siriani che avrebbero minato il confine. Tutta questa situazione estremamente confusa potrebbe portare il Palazzo di vetro a decidere per un’opzione militare? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Roger Bouchahine, direttore dell’Osservatorio geopolitico mediorientale:

    R. – A oggi, non esiste concretamente alcuna possibilità di un attacco esterno militare, con l’aiuto di Paesi occidentali o orientali in questo caso. Queste notizie che arrivano in continuazione da parte della Nato e dell’Onu spesso si basano su eventuali cambiamenti che riguardano il fronte interno del regime siriano: magari l’arrivo di un generale dell’esercito con tutto il suo battaglione o magari un eventuale cambiamento all’interno dello stesso regime, un gruppo del regime scappa in massa… Ci sono tanti scenari possibili, ma in tutti i casi non è previsto l’arrivo di aerei o di bombardamenti esterni.

    D. – Il piano di pace proposto da Kofi Annan può dirsi definitivamente fallito, a questo punto?

    R. – Sì, fallito perché questo annuncio della guerra civile aprirà un nuovo scenario: quello dell’arrivo dei jahidisti e dei mujaheddin da tutto il mondo arabo. Ultimamente diverse fonti – algerine, tunisine – raccontano questi percorsi di combattenti che partono dal Marocco, e attraversano l’Europa: dall’Olanda prendono il visto per la Turchia, dalla Turchia attraversano i confini. Sembra che nel Paese attualmente ci sia un grande reclutamento di un gruppo jahidista, qaedista, in questo caso, che giocherebbe un ruolo importante in questa guerra civile che sta avvenendo all’interno della Siria.

    D. – Oggi, Russia e Cina, che hanno sempre sostenuto Damasco, esprimono forti inquietudini per la situazione in atto nel Paese: che ruolo possono svolgere in questo momento?

    R. – Tante analisi e tante informazioni arrivate nelle ultime 24 ore parlano di un patto fatto con la Russia, per cedere il passo a un cambiamento di regime: potrebbe forse trattarsi di un allontanamento degli uomini di Assad e di Assad stesso. E’ chiaro che c’è un patto, non so se sia russo-americano, non so se sia russo-isiano, ma è chiaro che questo patto dimostra che il cambiamento è arrivato. Quanto durerà questa situazione? Si parla di sei o sette mesi arrivare ad un eventuale allontanamento di Assad dal potere, ma non dal Paese. Pian piano, si dovrebbe formare una nuova Costituente – così la chiamano – per salvaguardare il Paese da una eventuale guerra civile. Una guerra, quindi, più larga e più estesa.

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    Iraq. Attacchi contro pellegrini sciiti: circa 60 morti

    ◊   Iraq nel sangue per una serie di attacchi ed esplosioni ad Hilla e Baghdad ma anche Kerbala e Kirkuk contro pellegrini sciiti, radunatisi per commemorare la morte dell’Imam Kadhum. Il bilancio delle vittime, ancora provvisorio, parla di circa 60 morti, tra cui anche agenti della polizia e 120 feriti. Più che responsabilità di al Qaeda, la violenza odierna sarebbe il frutto di una lotta intestina tra le varie confessioni religiose. Lo conferma mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, al microfono di Cecilia Seppia:

    R. – Io penso che la matrice di questi attacchi sia piuttosto politica, perché c’è una lotta sul potere tra sciiti e sunniti, loro vogliono cambiare il primo ministro, Al Maliki, che è sostenuto dagli sciiti ma anche dall’Iran, Stati Uniti. Coloro che vogliono un cambiamento sono altri: la Turchia, l’Arabia Saudita, Qatar; è veramente un dramma.

    D. – Sembrerebbe però che le autorità irachene sospettino la regia di Al Qaeda dietro questi attacchi…

    R. – No, non c’è Al Qaeda, sono loro. C’è una lotta per il potere – tra sciiti e sunniti – per il governo ed anche l’economia, un po’ tutto.

    D. – Quindi non solo per la spartizione confessionale dell’Iraq, ma anche proprio per il petrolio, per il gas, per le ricchezze del Paese?

    R. – Ambedue: c’è la confessione, perché la religione gioca molto oggi, molto. Un po’ dappertutto c’è un risveglio del sentimento religioso, ma anche il denaro, petrolio…

    D. – Quindi lei parla di attacchi trasversali, una violenza che riguarda e coinvolge tutti; però, è anche vero che migliaia di sciiti si stavano riversando nella capitale in questi giorni, proprio in vista venerdì della commemorazione della morte dell’Imam Al Kadhim, quindi sicuramente erano un bersaglio facile…

    R. – E’ vero che è un’occasione per alcuni che non vogliono gli sciiti, e che ne approfittano per attaccarli, ma tutto è politicizzato.

    D. - Come sta vivendo la Chiesa questi attacchi, questa giornata di terrore e soprattutto cosa si pensa di fare?

    R. – Noi cosa possiamo fare? uno dei nostri è stato ferito nell’esplosione di stamattina, sono andata a trrovarlo e sta bene. Noi chiediamo sempre a tutti di dialogare, per risolvere i problemi, ma i problemi non dipendono da Kirkuk o Musul – la lotta è fra loro – ma non solo all’interno dell’Iraq, anche tutta la regione del Medio Oriente.

    D. – Invece la popolazione: lei ha detto che è andata a visitare uno dei suoi. Ha visto gente fuggire, la popolazione è spaventata?

    R. – Molto, molto, noi abbiamo paura che la gente cominci a partire. La gente ha paura e perde la fiducia.

    D. – C’è qualcosa che vuole dire anche alle autorità, a chi governa?

    R. – Bisogna parlare con il governo, con i deputati del Parlamento, con questi grandi partiti politici, che con la violenza e le minacce non ci sarà soluzione. Meglio dialogare e discutere direttamente insieme e non tramite altri, e poi non lasciare intervenire queste potenze regionali.

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    Convegno diocesano di Roma. Cardinale Vallini: parrocchie aiutino famiglie nella sfida educativa

    ◊   La comunità parrocchiale deve sostenere le famiglie nel delicato compito di educare i loro bambini alla fede, non li lasci soli soprattutto quando ci sono situazioni difficili. Questo è l’invito del cardinale vicario Agostino Vallini, ieri sera a Roma nella Basilica di San Giovanni in Laterano, all’apertura della seconda giornata del Convegno diocesano. Tema dell’incontro, “Andate e fate discepoli, battezzando ed insegnando”. Il servizio di Marina Tomarro:

    “Fate sentire ai genitori che chiedono il Battesimo per i loro bambini l’immediata e calda accoglienza della Chiesa madre: la burocrazia e la freddezza sono la tomba di ogni successivoa proposta pastorale”. Così ieri sera il cardinale vicario Agostino Vallini, si è rivolto ai parroci presenti alla seconda giornata del convegno diocesano. “Oggi - ha continuato il porporato - le condizioni delle famiglie sono diversificate e provocano interrogativi, ma tutti vanno accolti con disponibilità, fiducia e comprensione. Cercando però di far capire loro l’importanza di questo Sacramento”. E un ruolo fondamentale in questo cammino è quello dei catechisti che possono aiutare le giovani famiglie a intraprendere un percorso di inserimento nella vita parrocchiale che vada oltre la giornata di festa. A questo proposito, ecco le testimonianze di due di loro Giorgio Manovella e Giulia Pezzone, delle parrocchie di Nostra Signora del Suffragio e dei Santi Fabiano e Venanzio:

    R. – (Giorgio) Sono uno dei catechisti del Battesimo e tratto, in particolare, la parte teologica. Credo sia fondamentale proprio perché si avvicinano le famiglie e si riesce a entrare nel tessuto familiare e, con l’aiuto del Signore, a incidere positivamente nel menage familiare: entrare e portare qualche lontano, finalmente, alla Chiesa. Credo che questo sia un grande lavoro.

    R. – (Giulia) Sicuramente, è un’occasione importantissima da saper accogliere. I momenti iniziali e precedenti al Battesimo sono fondamentali per instaurare un rapporto: quello su cui ci siamo interrogati come comunità parrocchiale è riuscire a trovare poi il modo di continuare, affinché questo sia un passo iniziale e che si crei poi un momento per le famiglie per poter proseguire, comprendere appieno e avvicinarsi a una nuova possibilità di vivere e riscoprire la fede. Quindi, per il loro bambino è l’inizio di un cammino spirituale, che comincia proprio con il Battesimo, ma anche come momento di famiglia poter approfondire e poter scoprire la bellezza della comunità cristiana”.

    D. – Quanto è importante un Convegno come questo per un confronto tra le varie parrocchie?

    R. – (Giulia) Sono fondamentali sia momenti di incontro come questi, in cui si ascolta una parola spezzata, con sapienza, come ci ha donato il Santo Padre, sia anche tutto il lavoro che viene svolto nelle prefetture per un confronto, per potersi aiutare nelle realtà e negli esperimenti che hanno portato buon frutto. E sia anche nel riscoprire la dimensione di comunità più ampia e che va oltre quella parrocchiale.

    All’incontro era presente anche don Fabio Rosini, direttore per il servizio delle Vocazioni in Vicariato, che commenta:

    “Nel Battesimo, è contenuta tutta la ricchezza della nostra fede, perché è porta di tutti i Sacramenti, è inizio della vita cristiana e compimento del percorso di avvicinamento alla fede. Sicuramente, se noi faremo partire da questo convegno una formazione autentica dei genitori che portano i bambini a Battesimo, ci sarà una primavera di famiglie cristiane e di riscoperta della fede. Il Battesimo contiene molte più ricchezze di quanto normalmente i cristiani pensino di possederne”.

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    Ecumenismo e web. Padre Spadaro: il rischio è di restare chiusi tra i propri "amici"

    ◊   “Raggiungere le persone in un mondo mobile”. Questo il tema della XVII Conferenza Europea Cristiana su Internet, in corso a Roma fino al prossimo 14 giugno. Rappresentanti di chiese europee e organizzazioni cristiane, attraverso una serie di incontri a carattere ecumenico, si interrogano su strategie e approcci legati al mondo della rete. Nel pomeriggio, nella sede della nostra emittente, si è analizzata la relazione tra tecnologia e spiritualità. Sulle sfide poste da Internet si sofferma, al microfono di Amedeo Lomonaco, il direttore di “Civiltà Cattolica”, padre Antonio Spadaro:

    R. - Nel momento in cui l’uomo si trova immerso nell’informazione, come fosse in un mare, deve sviluppare degli strumenti per selezionare, per identificare le domande per lui importanti, che lo porteranno poi a poter godere, in maniera corretta, dell’informazione. Allora, secondo me, la grande questione dei nostri tempi consiste nell’aiutare le persone a trovare le domande giuste e, quindi, a filtrare le informazioni sulla base di domande veramente significative. La tragedia dei nostri tempi è che tutto viene considerato significativo e importante e quindi niente è veramente importante: tutto è livellato e quindi il compito educativo è enorme.

    D. - Padre Spadaro, lei ha detto: “Internet non è un mezzo di evangelizzazione”…

    R. - La rete non è un mezzo di evangelizzazione perché non è un mezzo: è un ambiente e quindi è un ambiente di evangelizzazione, nel senso che è in realtà un ambiente di vita. Quanti di noi ormai tengono rapporti con gli amici, con le persone care o con i mezzi di informazione, grazie alla rete? Allora, la rete diventa uno degli ambienti all’interno dei quali noi viviamo, esprimiamo noi stessi, pensiamo, formiamo le nostre opinioni, teniamo le nostre amicizie. Quindi, la rete non può essere un mezzo di evangelizzazione: è un luogo di vita e diventa un luogo in cui è possibile testimoniare il Vangelo.

    D. - Questo incontro ha un peculiare carattere ecumenico: può la rete dar forza al dialogo ecumenico?

    R. - Assolutamente sì, ma con un rischio. Il rischio è che nella rete si creino delle "bolle filtrate": noi sappiamo che Internet, Facebook, i social network conservano i dati di accesso e quindi ci restituiscono nelle risposte o nei contatti di amicizia, quei contatti e quelle persone che ci somigliano, oppure le informazioni che sono già nostre e che vogliamo sentirci dire. Il rischio quindi è di rimanere in una bolla filtrata. In questo senso, per esempio, che tutte le confessioni rimangono isolate in se stesse. Quindi, bisogna sviluppare sempre di più contesti di comunicazione che permettano la comunicazione continua tra contesti culturali e, in questo caso, anche di vita religiosa differenti.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Usa: libertà religiosa e Nuova Evangelizzazione nell'agenda dei vescovi

    ◊   Si apre oggi, l'Assemblea dei vescovi degli Stati Uniti d’America, dopo una lunga campagna nelle Chiese locali perchè i vescovi esprimano ufficialmente le loro preoccupazioni circa le violazioni alla libertà religiosa da parte di governi e tribunali. A questo tema i vescovi statunitensi dedicheranno una parte significativa della loro riunione di primavera, ad Atlanta, che inizia oggi e si concluderà il 15 giugno. I vescovi hanno anche ricevuto un rapporto elaborato dalla National Review Board sulla "Carta per la protezione dei bambini e dei giovani" che prende in esame gli ultimi dieci anni, e hanno ascoltato le raccomandazioni del Comitato di revisione derivanti dallo studio su "Le cause e il contesto di abuso sessuale di minori da parte dei sacerdoti cattolici negli Stati Uniti, 1950-2010". La discussione sulla libertà religiosa comprenderà l’analisi degli eventi nazionali e internazionali, e delle modalità attraverso cui i vescovi devono continuare a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle violazioni dei diritti religiosi, negli Stati Uniti e all'estero. Centrale al riguardo è la disposizione del Dipartimento della Sanità e dei Servizi Umani degli Stati Uniti, secondo cui le istituzioni cattoliche devono fornire copertura assicurativa sanitaria ai dipendenti, i quali nel contempo sono tenuti ad obbedire ad alcune disposizioni contrarie ai principi della Chiesa cattolica (si parla di aborto, contraccettivi artificiali, sterilizzazione). La disposizione è stata annunciata lo scorso primo agosto 2011, come parte di una serie di regole della Health and Human Services (HHS), ma non è ancora entrata in vigore. Altre preoccupazioni dei vescovi scaturiscono dalle sentenze e dalle decisioni politiche che hanno costretto le istituzioni cattoliche ad affidare a terzi l’esame dei casi di adozione e di affidamento, prima gestiti da loro. Nell'agenda è previsto anche uno spazio per organizzare i piani pastorali legati al tema "Nuova Evangelizzazione: Fede, Culto, Testimonianza". (R.P.)

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    Regno Unito: risposta dei vescovi alla consultazione del governo sulle unioni gay

    ◊   “Il matrimonio è l’unione volontaria tra un uomo ed una donna”, “un’istituzione che contribuisce al bene comune della società”: scrivono così i vescovi del Regno Unito, rispondendo alla consultazione avviata dal governo britannico e destinata alla modifica della definizione dell’istituto matrimoniale. Se messa in atto, l’iniziativa del governo, che si è conclusa il 15 giugno, potrebbe portare alla legalizzazione delle unioni tra persone dello stesso sesso entro il 2015. “Il matrimonio, e la vita familiare ad esso integrata – si legge nella nota episcopale – hanno formato e continuano a formare una reale unità che deve essere protetta dalla società, poiché essi insieme costituiscono il nucleo vitale della successione della generazione umana, attraverso la procreazione e l’educazione dei figli”. La risposta dei vescovi, poi, si sofferma su numerosi aspetti della consultazione, tra i quali il fatto che nel testo governativo manchi ogni riferimento al “matrimonio come istituzione ed al contributo che tale istituzione porta alla società e al bene comune”. Una carenza che la Chiesa inglese sottolinea con “dispiacere”, anche perché “l’istituzione del matrimonio contribuisce alla costruzione di relazioni tra i coniugi, i figli, la comunità sociale e l’intera società in cui vive una famiglia”. In quest’ottica, quindi, ribadisce la Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, “se l’istituzione matrimoniale venisse sminuita in modo significativo, lo stesso accadrebbe al benessere dei bambini, della famiglia e della società”. Centrale, inoltre, nella nota episcopale, il richiamo al fatto che “l’unicità dell’istituzione del matrimonio è basata sull’esistenza della persona umana come maschio e femmina e sulla loro unione a scopo della procreazione, del sostegno reciproco e dell’amore”, e ciò è un concetto “precedente a tutte le culture e le società attuali”. Tra l’altro, continuano i vescovi, “l’istituzione del matrimonio non ha mai impedito lo sviluppo di altre forme di amicizia o di relazioni umane, ma quest’ultime non sono mai state definite come un matrimonio”. Quanto al punto in cui la consultazione governativa equipara le unioni tra persone dello stesso sesso al matrimonio in nome dell’amore e dell’impegno, i vescovi rispondono: “Il matrimonio è un grande impegno che va ben oltre il semplice amore”. Sottolineando, inoltre, che “la struttura migliore per la crescita delle generazioni future è il matrimonio stabile”, la Chiesa inglese punta il dito contro il fatto che “i bambini non sono menzionati neanche una volta nel testo della consultazione governativa”, il che implica il rischio, per la società, di “mettere da parte gli interessi principali dei minori, focalizzandosi solo sulla relazione della coppia”. Al contrario, “la politica dovrebbe essere guidata dal desiderio di promuovere la giustizia, tutelare la libertà e servire il bene comune a favore di tutti, specialmente i più vulnerabili”. E ancora, rispondendo al principio di uguaglianza invocato dalla consultazione dell’esecutivo, i vescovi di Inghilterra e Galles sottolineano: “La Chiesa cattolica si oppone a tutte le forme di discriminazione ingiusta ed afferma l’importanza di trattare tutte le persone, qualunque sia il loro orientamento sessuale, con pari dignità e rispetto”. Quindi, “non devono esserci ingiuste discriminazioni contro gli omosessuali”; tuttavia, “la restrizione dell’istituzione del matrimonio all’unione volontaria di un uomo e una donna non costituisce un’ingiusta discriminazione per il semplice motivo che ciò è la conseguenza delle caratteristiche specifiche di tale istituzione”. Se, dunque, la modifica della definizione dell’istituto matrimoniale venisse attuata, continua la Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, “verrebbe trascurata l’innata complementarietà biologica e sessuale della relazione tra un uomo e una donna”. I vescovi ricordando, inoltre, che “la posizione della Chiesa è chiara, essa si oppone al riconoscimento di ogni unione che abbia l’equivalenza etica o legale del matrimonio. E allo stesso tempo, la Chiesa si oppone a qualsiasi cambiamento della definizione di matrimonio che voglia includere coppie dello stesso sesso”. Di qui, l’appello finale lanciato al governo affinché non proceda con l’attuazione di tale proposta. (A cura di Isabella Piro)

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    Inghilterra: no della Chiesa Anglicana al premier Cameron sui matrimoni gay

    ◊   “La Chiesa di Inghilterra non può sostenere la proposta del governo di permettere a tutte le coppie, senza considerazione per il loro sesso, di celebrare un matrimonio civile”. Con queste parole, pubblicate in un documento, la Chiesa di Stato inglese si oppone al tentativo del governo di David Cameron di legalizzare i matrimoni tra gay. Il governo, che ha promesso che i matrimoni omosessuali saranno legge entro le prossime elezioni generali nel 2015, ha cominciato lo scorso marzo un processo di consultazione di dodici settimane su questa materia che si concluderà giovedì. Istituzioni e cittadini sono stati invitati ad esprimere il loro parere. Nel suo documento la “Chiesa di Inghilterra” dice di “aver sostenuto, negli ultimi anni, vari cambiamenti nella legge per creare diritti maggiori per coppie dello stesso sesso” ma di ritenere impossibile da accettare un cambiamento nella definizione del matrimonio. “Rimuovere dalla definizione di matrimonio questa complementarietà essenziale - si legge nel documento - significa perdere qualsiasi istituzione sociale nella quale la differenza sessuale viene esplicitamente riconosciuta”. Secondo il governo del primo ministro Cameron è possibile, per le chiese cristiane, rifiutarsi di celebrare matrimoni tra gay, ma la “Chiesa di Inghilterra” chiarisce che anche su questo punto non è d’accordo. “È politicamente improbabile prevenire matrimoni tra persone dello stesso sesso in luoghi religiosi”, si legge nel documento della “Chiesa di Inghilterra”. Qualunque cittadino inglese che, per legge, ha diritto a sposarsi in una chiesa anglicana, indipendentemente dalla sua appartenenza religiosa, potrebbe ricorrere all’Alta Corte Europea per ottenere un matrimonio omosessuale religioso. Una prospettiva che dividerebbe profondamente la Chiesa dallo Stato e che potrebbe portare, secondo alcuni commentatori inglesi, alla separazione della “Chiesa di Inghilterra” dallo Stato. Per la Chiesa anglicana e per la Chiesa cattolica la proposta di legge del governo rimane comunque ambigua. “Non è chiaro a quali nuovi diritti, opportunità o responsabilità porterebbe l’introduzione dei matrimoni omosessuali dal momento che le differenze legali tra coppie eterosessuali sposate e partner dello stesso sesso sono state già rimosse con l’introduzione delle unioni civili”, scrive la “Chiesa di Inghilterra” nel suo documento. (R.P.)

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    Siria: a Qusayr profanata una chiesa greco cattolica

    ◊   Una banda di miliziani radicali ha fatto irruzione questa mattina nella chiesa greco-cattolica di Sant’Elia a Qusayr, cittadina nei pressi di Homs, profanandola. I miliziani hanno forzato la porta, hanno suonato le campane in segno di scherno, hanno deriso simboli sacri della fede cristiana con il solo scopo di compiere un’azione dimostrativa e deridere la comunità cristiana. “E’ la prima volta che, nel conflitto in corso, accade un episodio del genere, in cui si colpiscono deliberatamente simboli sacri”, nota con preoccupazione una fonte locale dell'agenzia Fides. A Qusayr i cristiani rimasti sono pochissimi, per la maggior parte anziani che non hanno voluto abbandonare le loro case. Infatti, in seguito all’ultimatum lanciato da una fazione armata, nei giorni scorsi circa mille fedeli cristiani, che erano ancora in città, hanno abbandonato le loro case, rifugiandosi nelle campagne circostanti o da parenti in altre città siriane. Alcuni testimoni oculari hanno raccontato a Fides “addolorati e terrorizzati l’irruzione nella chiesa di Qusayr”. Il gesto è stato condannato da sacerdoti e autorità cattoliche che parlano di “segnale preoccupante, che conferma il tentativo di alcune bande armate di scatenare una guerra confessionale”. (R.P.)

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    Siria: civili cristiani e sunniti intrappolati ad Homs. La mediazione delle Chiese

    ◊   Ci sono circa 800 i civili intrappolati nel centro storico di Homs, da mettere in salvo, mentre infuriano gli scontri fra esercito regolare e forze di opposizione asserragliate in città. Fra i civili vi sono circa 400 cristiani e circa 400 musulmani sunniti stanziati nei quartieri di Bustan Diwan e Hamidiye, che costituiscono la parte più antica di Homs. I civili rischiano di trovarsi nel bel mezzo di spari e bombardamenti, per questo, come appreso dall’agenzia Fides, i rappresentanti della comunità cristiana e della neonata iniziativa popolare non-violenta “Mussalaha” (“Riconciliazione”) stanno operando instancabilmente da due giorni per negoziare un cessate-il-fuoco per ragioni umanitarie. Fra i mediatori vi sono due sacerdoti cristiani che, insieme ai rappresentanti Onu, hanno intessuto fitti colloqui con i leader militari dell’esercito e con i rappresentanti militari dell’opposizione. Al centro dei difficili negoziati, un duplice cessate il fuoco: quello per consentire a operatori umanitari e convogli Onu di entrare in città e soccorrere i civili e quello per permettere l’evacuazione dei civili dalla città. Sulla prima ipotesi di tregua, le forze dell’Esercito Siriano di Liberazione hanno posto un “veto”. Sulla seconda ipotesi, è l’esercito regolare siriano a frenare, temendo che fra i civili sunniti possano nascondersi ribelli e terroristi. “La situazione è in stallo ed è davvero critica per i civili, che in questo momento vengono strumentalizzati. Visti i furiosi combattimenti, si rischiano moltissimi feriti o morti fra gente innocente” nota con preoccupazione una fonte di Fides. Intanto, i diversi vescovi di Homs, di tutte le confessioni, esprimono sostegno all’iniziativa popolare non-violenta “Mussalaha” (“Riconciliazione”), nata dalla società civile di Homs, che ha ricevuto subito l’appoggio di comunità cristiane, sunnite, alawite, e di altre. Come appreso da Fides, hanno espresso “pieno appoggio e grandi speranze” il vescovo siro-ortodosso di Homs, mons. Silvanos; il vescovo siro-cattolico mons. Kassab; il vescovo maronita, mons Gihad; il vescovo greco ortodosso mons. Abouzakah, che sovrintende alla comunità cristiana maggioritaria a Homs. Per ora, nelle file dell’opposizione siriana l’iniziativa non ha trovato valido sostegno: secondo alcuni rappresentanti va rimandata fino al momento in cui la rivoluzione “non avrà raggiunto i suoi obiettivi principali”. (R.P.)

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    Libia: aumentano le tensioni ma la popolazione vuole la pace

    ◊   Crescono le tensioni in diverse parti della Libia a seguito di attentati e scontri tra milizie. A Misurata, un ordigno ha colpito la sede locale della Croce Rossa Internazionale, provocando il ferimento di un passante. L’11 giugno un convoglio che trasportava l’Ambasciatore britannico in Libia è stato colpito con razzi a Bengasi, la capitale della Cirenaica (est). Solo qualche giorno prima una bomba era esplosa nei pressi del Consolato statunitense di Bengasi. A questo proposito - riferisce l'agenzia Fides - mons. Sylvester Carmel Magro, vicario apostolico di Bengasi, dice all’agenzia Fides che “la popolazione della città vuole pace e tranquillità, dopo tanti lutti dovuti alla guerra dell’anno scorso. In superficie sembra tutto normale, i negozi sono aperti, la gente va al lavoro ma sotto sotto si avverte una tensione. La comunità straniera è senza dubbio scossa dagli ultimi avvenimenti”. Anche a Tripoli di giorno sembra prevalere la calma, ma di notte si odono spesso sparatorie. La presenza di diverse milizie armate può sfociare in combattimenti come quelli scoppiati nella regione di Mezda (sud-ovest di Tripoli) tra membri della tribù di Machachia e quelli della tribù de Gontrar e della città di Zenten. In questa località sono detenuti 4 membri della Corte Penale Internazionale (CPI) giunti in Libia per incontrare il figlio di Gheddafi, Seif al-Islam, detenuto dalle milizie locali.

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    Mali: situazione incerta. La preoccupazione della comunità internazionale

    ◊   Un incontro tra il presidente del Niger, Mahamaoud Issoufou, e il suo omologo francese Fraçois Hollande si è tenuto ieri a Parigi, durante il quale uno degli argomenti più rilevanti – riferisce l’agenzia Misna – è stata la situazione di crisi del Nord Mali. Secondo il presidente nigerino, che si è detto preoccupato per la “presenza in Mali di jihadisti afgani e pachistani che stanno addestrando gruppi terroristici”, la situazione rappresenta “una minaccia per la regione e il mondo intero”. Hollande ha sottolineato che “c’è un intervento esterno che sta destabilizzando il Mali e il cui obiettivo in realtà va ben oltre il Mali e perfino l’Africa. Il presidente francese ha poi assicurato sostegno logistico nell’eventualità di un intervento militare nel Paese africano. Intanto la situazione nel Nord Mali resta critica. Il Movimento nazionale di liberazione dell’Azwad (Mnla) ha costituito una sorta di governo di 28 membri, per “l’attuazione della politica generale dello stato in materia di sviluppo, difesa, sicurezza, politica esterna, coesione sociale e gestione del territorio”. Presidente del consiglio è stato nominato Bilal Ag Cherif, mentre il colonnello Mohamed Ag Najim ha ottenuto l’incarico alla difesa. La nuova istanza non è stata riconosciuta dal governo ufficiale del Mali né dalla comunità internazionale, come del resto era già avvenuto il 6 aprile scorso, quando l’Mlna aveva proclamato la nascita dello Stato Indipendente dell’Azwad. Ancora incertezze rimangono nel governo di Bamako sull’ipotesi di un intervento militare nei territori del nord. Le autorità sono in attesa di un pronunciamento in merito da parte dell’Unione Africana e della Comunità economica dei paesi dell’Africa occidentale che stanno vagliando la questione con il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. (A.C.)

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    Myanmar: storico viaggio in Europa di Aung San Suu Kyi. L'inviato Onu a Rakhine

    ◊   “Vorrei fare del mio meglio nell’interesse della popolazione birmana”: sono le poche parole pronunciate dalla leader dell’opposizione birmana e premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, partita stamani dall’aeroporto di Yangon a destinazione dell’Europa. Il viaggio, presentato come “storico” dalla stampa internazionale, è il secondo all’estero: a fine maggio la Suu Kyi è andata in Thailandia, dopo 24 anni trascorsi per lo più agli arresti domiciliari in Myanmar. Stasera il volo a bordo del quale sta viaggiando atterrerà a Ginevra, dove la Suu Kyi interverrà al Consiglio dei diritti umani dell’Onu sul tema dei lavori forzati. Sabato si recherà a Oslo (Norvegia) per un attesissimo discorso, quello che avrebbe dovuto pronunciare nel 1991, anno in cui è stata ricompensata col Nobel per la Pace, e per la consegna formale del premio. Nei 15 giorni della sua permanenza sul vecchio continente - riferisce l'agenzia Misna - andrà in Gran Bretagna, dove ha studiato, si è sposata e ha dato la luce ai suoi due figli, in Irlanda e a Parigi, ultima tappa della sua prima visita ufficiale in Europa, già considerata una “nuova pietra posta lungo il cammino di cambiamenti politici” avviati dal Myanmar. Suu Kyi, figlia del padre dell’indipendenza del paese asiatico, il generale Aung San, ha vinto il suo primo seggio in parlamento alle legislative di aprile, mentre il suo Paese ha imboccato la strada delle riforme democratiche. Da giugno 2011, dopo decenni di regime militare, la situazione è progressivamente cambiata con il varo di un governo riformista guidato da Thein Sein e la liberazione di migliaia di prigionieri anche politici. Sono state accolte positivamente dall’opposizione birmana e dalla comunità internazionale le aperture politiche approvate dal nuovo esecutivo. L’Unione Europea ha già abrogato le sanzioni economiche finora in vigore, ad accezione dell’embargo sulle armi. Da risolvere restano ancora diversi nodi tra cui quello della Costituzione che è contestata dall’opposizione perché garantisce ai militari una serie di incarichi ministeriali e un quarto dei seggi parlamentari in entrambe le camere. Ma il viaggio di Suu Kyi in Europa coincide con una grave crisi umanitaria nella regione occidentale di Rakhine, teatro di un crescendo di violenze. Nelle ultime settimane birmani di etnia Rohingya, musulmani, e Rakhine, buddisti, si sono scontrati ripetutamente e da venerdì scorso il bilancio è di 25 vittime e decine di feriti. Oggi è arrivato a Sittwe, capitale di Rakhine, l’inviato speciale dell’Onu in Myanmar, Vijay Nambiar che raggiungerà anche Maungdaw, ultimo epicentro delle violenze interreligiose. (R.P.)

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    Bangladesh respinge i rifugiati birmani. L'Onu chiede di aprire le frontiere

    ◊   Per far fronte alla grave situazione di violenza che sta insanguinando i territori ovest del Myanmar, l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati – riporta l’agenzia Misna – aveva chiesto al governo del Bangladesh di tenere aperte le frontiere per accogliere le persone in fuga dalle zone interessate. Ieri, tuttavia, militari bengalesi hanno respinto tre imbarcazioni cariche di rifugiati di etnia Rohingya che stavano attraversando il fiume Naf, alla frontiera tra i due Paesi. Shamsul Haque Tuku, ministro degli Interni del Bangladesh, ha affermato che già altri profughi erano stati accolti negli ospedali del Paese, ma ha anche chiesto alle forze militari di impedire nuovi ingressi. Nel frattempo i governi di Myanmar e Bangladesh stanno tenendo delle consultazioni per impedire che la situazione si trasformi in un’emergenza umanitaria. (A.C.)

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    Pakistan: sequestri e minacce ai cristiani di Karachi

    ◊   Bande armate di militanti radicali islamici continuano a terrorizzare i cristiani del quartiere di Essa Nagri, il più grande insediamento cristiano della città di Karachi, dove vivono circa 50mila fedeli che da mesi subiscono inaudite violenze, denunciate anche da parlamentari cristiani. Come comunicato all'agenzia Fides, le intimidazioni proseguono: il 2 giugno Kala Masih, giovane cristiano è stato sequestrato da un gruppo uomini armati che lo hanno malmenato, chiedendo un riscatto alla sua famiglia, molto povera. Il giovane, grazie all’intervento di alcuni attivisti dell’Ong di ispirazione cristiana “Mission and Action for Social Services” (Mass), è stato rilasciato dopo tre ore. La sua famiglia, per timore di ritorsioni, non ha voluto nemmeno sporgere denuncia alla polizia, affermando anche di non nutrire alcuna fiducia nelle Forze dell’ordine. Alcuni giorni dopo i terroristi hanno preso di mira alcuni membri dell’Ong Mass, che operano con progetti sociali a Essa Nagri. L’8 giugno l’operatore Aslam Masih, che vive nel quartiere, è stato preso e percosso da alcuni radicali, che hanno chiesto alla famiglia una ingente somma di denaro, minacciando di compiere una strage se non avessero ottenuto il denaro. La famiglia, terrorizzata, è stata trasferita in una località segreta. (R.P.)

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    Indonesia: vertice islamo-cristiano per la promozione della pace a Papua

    ◊   Nascita di una cultura dell’amore e del rispetto: è quanto hanno auspicato i rappresentanti degli attivisti islamo-cristiani al termine di un incontro interreligioso che – come riferisce l’agenzia AsiaNews – si è tenuto il 10 giugno negli uffici della diocesi di Jayapura. Il vertice, a porte chiuse, è stato organizzato per rispondere alla tragica ondata di violenza che ha preso piede nelle ultime settimane a Papua, che ha causato almeno 8 vittime in diversi scontri e agguati. La situazione di tensione è legata alla contrapposizione che si è creata tra le autorità del governo centrale e alcuni movimenti che pretendono una maggiore autonomia territoriale. Il vescovo locale, mons. Leo Laba Ladjar, partecipando all’incontro si è detto preoccupato per gli incidenti mortali che si sono verificati. Presenti al vertice anche il pastore Albert Yoku, capo del Sinodo delle chiese indonesiane, il reverendo Lipiyus Binilux, il reverendo Herman Saud e diversi leader musulmani, fra cui Dudung Abdul Koha, della sezione di Jayapura del Consiglio degli ulema indonesiano (Mui). Secondo Basimo, un capo musulmano locale, è necessario far “sbocciare la cultura dell'amore e della tolleranza” ma ritiene anche che sia “meglio non girare la notte e, se non strettamente necessario, non lasciare le proprie case” finché la situazione non migliorerà. (A.C.)

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    Amnesty: l'Europa non sta rispettando i diritti dei migranti

    ◊   “L‘Europa non sta promuovendo e rispettando i diritti dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati”. Ad affermarlo è Amnesty International, che chiede ai governi e alle istituzioni Ue di “cessare di porre a rischio la vita dei migranti alle frontiere europee”. L’organizzazione per i diritti umani - riporta l'agenzia Sir - ha lanciato oggi il rapporto "Sos Europe" sull‘impatto dei controlli in materia d‘immigrazione su questi diritti, e sollecita le istituzioni di Bruxelles a svolgere fino in fondo il loro ruolo di controllo affinché i governi dei Paesi membri siano chiamati a rispondere del trattamento riservato a migranti, richiedenti asilo e rifugiati alle frontiere. “Per l‘Ue - afferma Nicolas Beger, direttore dell‘Ufficio di Amnesty International presso le istituzioni di Bruxelles - il rafforzamento delle frontiere europee è chiaramente prevalente sul salvataggio delle vite umane. Nel tentativo di stroncare la cosiddetta immigrazione irregolare, i Paesi europei hanno rafforzato misure di controllo delle frontiere oltre i loro confini, senza riguardo per i costi umani. Queste misure, di cui l‘opinione pubblica non è informata, pongono le persone in serio pericolo”. Nel 2011 almeno 1500 uomini, donne e bambini sono annegati nel Mediterraneo mentre cercavano di raggiungere l‘Europa. “Alcune di queste morti - prosegue Beger - avrebbero potuto essere evitate. Il ritardo nei soccorsi significa perdita di vite umane”. In diverse occasioni, si legge in una nota di Amnesty International, “l‘Italia ha respinto persone verso la Libia, Paese in cui sono state poi arrestate e sottoposte a maltrattamenti. In un contesto nel quale trasparenza e controlli sono scarsi, le violazioni dei diritti umani lungo le coste e le frontiere europee finiscono spesso per rimanere impunite”. Il rapporto fa parte di una campagna dell’organizzazione in difesa dei diritti di migranti, richiedenti asilo e rifugiati in Europa e lungo le sue frontiere, e intende chiamare a rispondere del loro operato i governi che si rendono responsabili di violazioni dei diritti umani nel contesto dei controlli dell‘immigrazione. “Migranti, richiedenti asilo e rifugiati - spiega Amnesty - si muovono verso l‘Europa per una serie di ragioni. Alcuni fuggono dalla persecuzione e dalla guerra, altri da un destino di povertà cronica. Tutti cercano un futuro migliore e più sicuro. Troppo spesso, la realtà che incontrano è differente”. Perché “l’ostilità nei loro confronti è diffusa e i maltrattamenti che subiscono rimangono spesso impuniti. Fino a quando queste persone resteranno invisibili, saranno vulnerabili alle violazioni dei diritti umani”. (R.P.)


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    Haiti. Nuova tragedia in mare: migranti morti e scomparsi

    ◊   Nell’arcipelago delle Bahamas sono ancora in corso le ricerche di almeno dieci migranti haitiani dispersi nel tentativo di raggiungere le coste americane a bordo di una ‘carretta del mare’. Le autorità locali e la guardia costiera statunitense hanno riferito che finora sono stati recuperati 11 corpi senza vita mentre quattro dei 28 passeggeri si sono salvati; tra i dispersi ci sono cinque bambini. “Un dramma di troppo” ha scritto sui social network il presidente haitiano Michel Martelly, in un messaggio di cordoglio rivolto alle famiglie delle vittime. “Invitiamo tutti i cittadini ad evitare di mettere le proprie vite in pericolo, utilizzando canali illegali per andare all’estero. Il capo dello Stato - riporta l'agenzia Misna - ribadisce il suo impegno teso a migliorare le condizioni di vita della popolazione” recita una nota diffusa dall’ufficio di presidenza di Port-au-Prince. Loretta McKey, portavoce della polizia di Freeport, nell’arcipelago delle Bahamas, ha dichiarato che l’imbarcazione che trasportava i 28 migranti era “molto piccola, lunga meno di otto metri”. In base alle testimonianze dei sopravissuti, la barca si sarebbe capovolta domenica dopo un guasto al motore, a circa quattro ore di navigazione dall’isola di Abaco, a nord delle Bahamas. L’imbarcazione era probabilmente diretta verso la Florida, dove la guardia costiera è impegnata nelle ricerche: “L’acqua è calda in questo periodo dell’anno ma ci sono molti squali” ha riferito l’emittente haitiana ‘Radio Kiskeya’. Nonostante una politica migratoria molto restrittiva e il rimpatrio sistematico degli immigrati entrati illegalmente sul territorio statunitense, ogni anno migliaia di haitiani cercano con ogni mezzo di raggiungere la Florida, in fuga da condizioni economiche molto difficili e dall’insicurezza. Dalla fine del 2011 anche il Brasile è diventato la destinazione di un inedito flusso di immigrati haitiani: negli ultimi mesi almeno in 4.000 sono arrivati in cerca di lavoro e di una vita migliore. (R.P.)

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    Caritas Internationalis: le proposte per Rio+20 sullo sviluppo sostenibile

    ◊   Un invito ad un cambio di paradigma, "verso una nuova civiltà dell'amore per l'umanità, che concentri ogni azione nella dignità e nel benessere di uomini e donne": è quanto afferma Caritas Internationalis per la Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo Sostenibile, che si terrà a Rio de Janeiro dal 20 al 22 giugno. Affinché questo vertice diventi un messaggio di speranza per l'umanità, specialmente per i poveri e gli emarginati - riferisce l'agenzia Fides - Caritas Internationalis sottolinea cinque elementi/dimensioni di fondamentale rilevanza: 1) Un futuro senza fame: garantire il diritto al cibo. "L'unica fame dovrebbe essere la fame di giustizia, di equità, di sostenibilità ecologica e di responsabilità". 2) Un futuro con una visione, per riaffermare "gli impegni da parte dei Paesi sviluppati di impegnarsi nella promozione di un modello di sviluppo per il benessere di tutta l'umanità, dando priorità alla giustizia, all'equità, alla sostenibilità ecologica e alla responsabilità". 3) Un futuro in cui ci preoccupiamo per la nostra casa: il creato, perché "l'ambiente come risorsa minaccia l'ambiente come 'casa' ". 4) Un futuro con una nuova cornice economica verde che rispetti i principi etici di equità e solidarietà, che non trascuri le proposte per lo "sviluppo umano, globale e sostenibile". 5) Un futuro che rispetti le donne e gli uomini creati a immagine di Dio: un nuovo contratto sociale. "Chiediamo di elaborare un codice di condotta per la cittadinanza globale solidale". (R.P.)

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    Rio+20: messaggio del Consiglio Mondiale delle Chiese alla Conferenza dell’Onu

    ◊   Il Consiglio Mondiale delle Chiese (Wcc) sta preparando una serie di iniziative collaterali che si terranno durante lo svolgimento della Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, alla quale parteciperà anche una delegazione del Wcc. Un documento dal titolo “Il futuro che vogliamo” – riferisce l’agenzia Sir – sarà presentato il 22 giugno dalle Chiese ai partecipanti al summit dell’Onu, per invitare ad avere una visione etica e spirituale dell’impegno per l’ambiente. “Ci auguriamo che i risultati di Rio – afferma Guillermo Keber, rappresentante della delegazione del Wcc – riflettano effettivamente quel grande ‘noi’ che comprende le comunità più vulnerabili e più povere del mondo. La delegazione del Wcc – ha proseguito – si concentrerà ad evidenziare le preoccupazioni etiche e le visioni religiose in una serie di eventi che abbiamo organizzato”. (A.C.)

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    Burkina Faso: giovani uniti per la tolleranza religiosa nel Paese

    ◊   Cattolici, musulmani ed evangelici uniti per promuovere la tolleranza religiosa: questa l’importante iniziativa messa in atto, nei giorni scorsi, dagli studenti del Burkina Faso. Rappresentati della Jec (Gioventù studentesca cattolica), dell’Aemb (Associazioni degli allievi e studenti musulmani del Burkina Faso) e dell’Ugbb (Associazione studenti evangelici) hanno tenuto un corteo nella città di Ouagadougou, sfilando davanti alla cattedrale cattolica, alla moschea ed alla chiesa evangelica. Muniti di striscioni sui quali si potevano leggere frasi come “Ogni religione, ogni cultura che non favorisce la crescita di esseri umani rende disumano l’incontro con l’altro”, i giovani hanno lanciato un appello alla tolleranza religiosa, testimoniando che l’appartenenza ad una confessione non deve creare divisioni. “La manifestazione – si legge sul sito della Conferenza episcopale del Burkina Faso – rientrava nell’ambito del programma scolastico nazionale dedicato al dialogo interreligioso ed incentrato sul tema dell’espressione del dialogo tra le religioni per una sinergia d’azione”. In particolare, incontrando padre Matthias Kam, responsabile del dialogo interreligioso per la Chiesa locale, i giovani hanno ribadito che “la crisi sociale del 2011 ci ricorda che la nostra stabilità ha bisogno di essere sostenuta e rafforzata”. Di qui, l’invito a costruire la pace attraverso “uno sforzo comune di uomini e donne di confessioni diverse che utilizzino, però, le loro diversità come una ricchezza e non come un trampolino di lancio per ulteriori divisioni”. Dal suo canto, padre Kam ha espresso ai giovani la propria gioia nel vederli battersi “per una causa così nobile come quella dell’unità nella diversità”. Quindi, ha incoraggiato gli studenti a restare saldi nelle loro intenzioni “anche quando soffiano venti contrari alla celebrazione dell’unità”. Richiamando, quindi, quanto la Chiesa locale abbia fatto e faccia sempre a favore del dialogo interreligioso, padre Kam ha ricordato il suo libro, intitolato “L’ospitalità ed il dialogo interreligioso”, che mira a “spegnere tutti i conflitti di natura interreligiosa per mantenere la pace ed il rispetto di tutti attraverso la preghiera”. (I.P.)
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 165

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli e Barbara Innocenti.