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Sommario del 06/06/2012
Udienza generale. Il Papa ricorda Milano: la causa della famiglia è la causa della civiltà
◊ “La causa della famiglia è la causa dell’uomo stesso e della civiltà”. Reduce dai giorni del settimo Incontro mondiale delle famiglie, Benedetto XVI ha terminato con questa affermazione l’udienza generale di stamattina in Piazza San Pietro, dove ha ricordato le esperienze vissute lo scorso fine settimana nel capoluogo lombardo. Alla fine dell’udienza, il Papa ha ricordato la Messa solenne che domani sera presiederà in Vaticano per la festa del Corpus Domini. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Grazie per avermi fatto vivere un momento “con le famiglie e per le famiglie”. Benedetto XVI comincia così, davanti alla folla dell’udienza generale, il tradizionale riepilogo dei ricordi e dei sentimenti. Poco più di 48 ore, ha detto, non hanno certo dissipato l’onda del “grande calore” che lo ha investito mettendo piede a Milano, le “strade gremite di gente”, le tante dimostrazioni di “sincera disponibilità ad accogliere e a testimoniare il ‘Vangelo della famiglia’”:
“Sì, perché non c’è futuro dell’umanità senza la famiglia; in particolare i giovani, per apprendere i valori che danno senso all’esistenza, hanno bisogno di nascere e di crescere in quella comunità di vita e di amore che Dio stesso ha voluto per l’uomo e per la donna”.
Echi di quanto affermato nelle varie tappe della visita sono risuonati nelle considerazioni offerte dal Papa alla catechesi. Specie la vicinanza alle famiglie in difficoltà – per la crisi economica, per il terremoto – immagini queste di filo rosso solidale tornato più volte durante gli eventi, dall’arrivo in Piazza Duomo, al concerto alla Scala, alla Messa al Parco di Bresso, definita una “grande cattedrale a cielo aperto”. Benedetto XVI ha ripetuto che “in Gesù di Nazareth Dio si fa vicino e porta la nostra sofferenza”. Così come è in famiglia, ha notato…
“…che si sperimenta per la prima volta come la persona umana non sia creata per vivere chiusa in se stessa, ma in relazione con gli altri; ed è in famiglia che si inizia ad accendere nel cuore la luce della pace perché illumini questo nostro mondo”.
Poi, Benedetto XVI ha rivisitato la tematica dell’Incontro mondiale, con la famiglia, il lavoro e la festa visti come termini di un’equazione dal risultato non sempre felice. A causa, ha affermato il Pontefice, di una “prepotenza degli impegni lavorativi” che oggi minaccia gli equilibri familiari e che richiede, da chi scrive le leggi a chi le applica, grande attenzione:
“La legislazione e l’opera delle istituzioni statali siano a servizio e a tutela della persona nei suoi molteplici aspetti, a cominciare dal diritto alla vita, di cui non può mai essere consentita la deliberata soppressione, e dal riconoscimento dell’identità propria della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna”.
Sull’altro versante, ha proseguito, la festa – e, particolarmente per i cristiani, la celebrazione della festa – deve essere salvaguardata da quella deriva “commerciale” stigmatizzata a Milano:
“La domenica è il giorno del Signore e dell’uomo, un giorno in cui tutti devono poter essere liberi, liberi per la famiglia e liberi per Dio. Difendendo la domenica, si difende la libertà dell’uomo”.
E concludendo con l’immagine del milione e più di persone transitate nei giorni del raduno delle famiglie, Benedetto XVI ha affermato – ringraziando per questo l’arcidiocesi ambrosiana e le autorità locali e nazionali – che nel capoluogo lombardo si è assistito a “un’eloquente ‘epifania’ della famiglia”:
“Da Milano è stato lanciato a tutto il mondo un messaggio di speranza, sostanziato di esperienze vissute: è possibile e gioioso, anche se impegnativo, vivere l’amore fedele, ‘per sempre’, aperto alla vita; è possibile partecipare come famiglie alla missione della Chiesa ed alla costruzione della società”.
Al momento dei saluti conclusivi, il Papa ha ricordato la festa del Corpus Domini, che domani alle 19.00 lo vedrà presiedere una Messa solenne sul Sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano.
Il Papa benedice la Fiaccola della Pace, simbolo del pellegrinaggio Macerata-Loreto
◊ Al termine dell’udienza generale, il Papa ha benedetto la “Fiaccola della Pace”, simbolo del pellegrinaggio a piedi Macerata-Loreto, che avrà luogo il prossimo 9 giugno. Presente anche mons. Giancarlo Vecèrrica, vescovo di Fabriano-Matelica, promotore dell’iniziativa dal 1978, quando era ancora insegnante di religione a Macerata. Federico Piana gli ha chiesto cosa lo ha spinto a promuovere questo pellegrinaggio mariano:
R. – Per il desiderio di far entrare i giovani nell’esperienza cristiana in maniera viva, da protagonisti, impegnandoli in una esperienza di preghiera, di amicizia e di convivenza, così che il cristianesimo diventasse vita. Poi questa esperienza è cresciuta sempre di più.
D. – Nasce anche sulla scorta di un ringraziamento alla Madonna, che riprende una tradizione un po’ scomparsa in quel periodo e che poi è stata ripresa…
R. – Sì. Con il secolarismo nei decenni passati, questa esperienza era quasi completamente scomparsa: nel passato la famiglia, al termine di ogni iniziativa importante della vita, si recava a piedi al Santuario della Madonna di Loreto per ringraziare dell’opera compiuta. Poi quando tutto era terminato, tornavano a casa carichi di fede. Allora, insegnando religione al Liceo classico di Macerata, pensai come rendere i ragazzi consapevoli che il passaggio dalla scuola alle vacanze non era un passaggio da un impegno al vuoto, ma era un rendere grazie al Signore della vita. Molti hanno aderito e sempre di più, in crescendo.
D. – Molte persone che vengono lì, anche molti giovani, fanno esperienza di una conversione del cuore…
R. – Sì, sono tantissime. Noi riusciamo anche a raccoglierle, perché nell’imminenza del pellegrinaggio, nelle settimane precedenti, arrivano le intenzioni di preghiera: moltissimi vengono a ringraziare non solo per grazie ricevute nel corpo, ma soprattutto per l’esperienza nuova di vita e di fede che hanno ritrovato.
D. – Vogliamo ricordare che nel 1993, questo pellegrinaggio ha visto la partecipazione di Papa Giovanni Paolo II...
R. – Quando mi incontrava, Papa Giovanni Paolo II mi salutava da lontano con il titolo di pellegrino e diceva: “Pellegrino, ecco arriva il pellegrino, il pellegrino”. La cosa che mi è rimasta sempre nel cuore è questa e quando al termine della Messa ci ha consegnato la Croce - che guida il pellegrinaggio e che ancora portiamo - mi ha fissato, con quel suo sguardo sempre così intenso, e ha sussurrato: “Come vorrei camminare anche io con voi, questa notte!”.
Messaggio del Papa per i 60 anni di regno della Regina Elisabetta
◊ Il Papa ha inviato un Messaggio alla Regina Elisabetta esprimendo le più vive congratulazioni in occasione del Giubileo di diamante del suo regno. Nel corso di questi sessant'anni – scrive Benedetto XVI - avete mostrato al Regno Unito e al mondo intero “un esempio ispiratore di dedizione al dovere e un impegno a difendere i principi di libertà, giustizia e democrazia, in linea con una visione nobile del ruolo di un sovrano cristiano”.
Il Pontefice ricorda quindi con gratitudine la cortese accoglienza che la Regina gli ha offerto a Edimburgo, all'inizio della sua visita apostolica nel Regno Unito nel settembre 2010, rinnovando i suoi ringraziamenti per l'ospitalità ricevuta durante i quattro giorni di quel viaggio.
“Il vostro impegno personale alla cooperazione e al rispetto reciproco tra i fedeli di differenti tradizioni religiose – conclude il Messaggio del Papa - ha contribuito in non piccola misura al miglioramento delle relazioni ecumeniche e interreligiose” nei Paesi che la riconoscono come sovrana.
◊ Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Erexim (Brasile), presentata da S.E. Mons. Girônimo Zanandréa, per raggiunti limiti di età. Il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Erexim (Brasile) il Rev.do Padre José Gislon, O.F.M. Cap., finora Definitore Generale dell’Ordine Francescano Frati Minori Cappuccini a Roma. Il Rev.do Padre José Gislon, O.F.M. Cap., è nato il 23 febbraio 1957 a Ibirama, diocesi di Rio do Sul, nello Stato di Santa Catarina. Dopo gli studi preparatori, ha fatto ingresso nel Seminario Cappuccino di Irati, nel quale ha seguito la Scuola Media (1972-1980). Ha compiuto gli studi di Filosofia presso l’Istituto di Filosofia della Provincia Cappuccina a Ponta Grossa (1982-1983) e quelli di Teologia presso l’Istituto di Teologia di Londrina (1983-1986). Ha, poi, ottenuto la Licenza in Storia Ecclesiastica presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma (1992-1995). Ha emesso la Professione religiosa come Frate Minore Cappuccino il 17 ottobre 1980 ed ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 28 maggio 1988. Ha svolto i seguenti incarichi: Direttore della Scuola Vocazionale, Coordinatore della Pastorale Vocazionale e Vicario parrocchiale della Parrocchia Nossa Senhora Aparecida a Uraí, nella diocesi di Cornélio Procópio (1987-1992); Guardiano, Maestro dei Postulanti ed Economo nel Convento Sant’Antônio a Butiatuba (1996-1999); Docente di Storia Ecclesiastica presso lo Studium Theologicum nell’arcidiocesi di Curitiba (1997-2000) e presso il Centro di Teologia dell’arcidiocesi di Cascavel (1998-2000); Definitore provinciale, Economo provinciale e locale della Provincia Cappuccina degli Stati di Paraná e Santa Catarina (2000-2002); Ministro Provinciale a Curitiba (2005-2006). Dal 2006 è Definitore Generale dell’Ordine Francescano Frati Minori Cappuccini a Roma.
Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico in Malawi S.E. Mons. Julio Murat, Arcivescovo titolare di Orange, Nunzio Apostolico in Zambia.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Epifania della famiglia: Benedetto XVI durante l'udienza generale parla della visita a Milano.
Tra le mura vaticane: in prima pagina, intervista al decano del Collegio cardinalizio.
Esempio ispirante di dedizione e impegno: il messaggio del Papa per i sessant'anni di regno della regina Elisabetta II.
Nell'informazione internazionale, un articolo di Pierluigui Natalia dal titolo "Per la Somalia orizzonti incerti": meno di tre mesi alla scadenza della transizione.
La ragazza che non ebbe paura di essere diversa: in cultura, il panegirico di Giovanna d'Arco pronunciato, a Rouen, dal cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso.
Un panorama invisibile agli uomini: Inos Biffi sulla festa del Corpus Domini.
Un'alba speciale: Guy Consolmagno sugli allievi della Scuola estiva di astrofisica della Specola Vaticana e il passaggio di Venere.
Il seme gettato: Giuseppe Pellegrini su un ritratto del cardinale Celso Costantini attraverso il suo ampio epistolario.
Annuncio del Dio vicino: anticipazione dell'intervento del cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, alla presentazione della XXXIII edizione del Meeting di Rimini (all'ambasciata d'Italia presso la Santa Sede).
Un articolo di Andrea Monda dal titolo "La mappa per tornare a casa": Bruce Springsteen tra rock e Bibbia.
Commissione Ue vara proposta di direttiva salva-banche. Industria italiana in allarme
◊ La Commissione europea ha approvato oggi la proposta di direttiva che stabilisce un nuovo quadro normativo per fare fronte alla crisi degli istituti di credito. Lo ha detto stamattina il commissario Ue al Mercato interno, Michel Barnier. Il servizio è di Salvatore Sabatino:
La crisi continua a preoccupare l’Europa, a tal punto da far dire al commissario al mercato interno, Barnier, che “non si può non fare niente”. Bisogna trovare una soluzione per poter agire nella giusta direzione e la nuova proposta di direttiva salva-banche può essere uno degli elementi sui quali insistere, pur essendo – e lo dice lo stesso commissario francese – “una direttiva che riguarda il lungo periodo”. Niente a che fare, insomma, con la gestione della crisi attuale di singoli istituti di crediti. Di qui il chiarimento di Barnier: “Non è possibile – afferma – ricapitalizzare le banche spagnole con l'aiuto diretto del meccanismo europeo'' Efsf. Per il presidente della Commissione, Barroso, la direttiva è comunque “un passo fondamentale verso l'unione bancaria”, convinto più che mai che provocherà un effetto responsabilizzazione del settore bancario.
Sullo sfondo, però, emerge un dato inquietante: tra il 2008 e il 2011 gli Stati Europei hanno speso, in aiuti di Stato per le banche in crisi 4.500 miliardi di euro, mentre i primi scricchiolii si iniziano a registrare anche in Germania, la “locomotiva d’Europa”. A dimostrarlo, il taglio del rating su lungo termine eseguito da Moody’s su sei istituti di credito tedeschi, più la controllata tedesca di un gruppo estero, Unicredit Bank. Segnale non certo rassicurante, che va in compagnia con la più che preoccupante situazione italiana. Lo certifica il Centro studi di Confindustria, che parla di “recessione, feroce credit crunch e bassa redditivita”. Tre fattori che creano un effetto “soffocamento” per l’industria italiana. E la prima conseguenza reale già c’è: l'Italia arretra per produzione manifatturiera e scivola dal quinto all'ottavo posto, scavalcata da India, Brasile e Corea del Sud.
Siria, decine di morti. P. Dall'Oglio: in preghiera vicino alle bombe, la pace chiede coraggio
◊ Sempre altissima la tensione in Siria. Sul terreno continuano gli scontri: 57 le vittime, secondo gli oppositori, nelle ultime 24 ore. Spari anche al confine con il Libano nei confronti di alcune persone che cercavano di entrare illegalmente in territorio siriano. Stasera, su iniziativa della Turchia, vertice diplomatico a Istanbul fra i principali Paesi membri del gruppo degli Amici della Siria, tra i quali Stati Uniti, Italia, Francia, Regno Unito e Germania. Il ministro degli Esteri russo ha chiesto la convocazione di un vertice internazionale a sostegno del piano di pace dell’inviato dell’Onu, Kofi Annan. Intanto, il presidente Bashar el Assad, ha incaricato l'ex ministro dell'Agricoltura, Riad Hijab, di formare un nuovo governo alla luce dei risultati delle ultime elezioni contestate dal fronte dell’opposizione. Sulla situazione in Siria, Giancarlo La Vella ha raccolto la testimonianza del gesuita, padre Paolo Dall’Oglio, fondatore del Monastero di Deir Mar Musa, che ha appena concluso un ritiro di preghiera sulla pace in Siria in una delle zone più tormentate del Paese:
R. - Il mio periodo di preghiera è stato intenso e avventuroso allo stesso tempo, perché il posto in cui sono andato è uno dei più pericolosi di questo Paese martoriato. Abbiamo avuto per due giorni un bombardamento gravissimo con 15 vittime. Ho potuto assistere al funerale delle vittime di un eccidio di persone inermi, di operai che tornavano a casa: sono arrivati cadaveri. Mi sono occupato di cercare delle persone rapite, quindi ho potuto toccare con mano la complessità della questione siriana, che purtroppo non può che ulteriormente rendere più gravi le ferite di questo popolo.
D. - Semplicisticamente, pensiamo che la situazione siriana sia solo un confronto tra governo e opposizione. Ci sono invece tante realtà etniche, e religiose, che sono in sofferenza...
R. - Io direi che intanto ciò che chiamiamo governo è una realtà molto complessa, di difficile analisi tra ciò che è facciata e ciò che è realtà. Quella che chiamiamo opposizione è ovviamente sfaccettata. E' un Paese complesso e plurale sul piano delle appartenenze religiose, delle appartenenze etniche. Ci sono curdi, armeni e altri gruppi, ci sono differenti obbedienze religiose e anche differenti opinioni politiche. È per questo che la parte sana di questo Paese deve puntare tutte le idee e tutte le prospettive affinché si trovi il modo di mettere sui binari un dialogo nazionale efficace, che corrisponda a un cessate-il-fuoco e nello stesso tempo a un dialogo reale. In questo, i cristiani devono essere un "menisco" di questo ginocchio e non un combustibile da aggiungere su questo o quel fuoco. Poi, la cosa che io chiedo è che si tuteli in tutti i modi l’esigenza più forte in questo momento internazionale: la salvaguardia della libertà di opinione e di espressione, senza le quali ogni dialogo diventa un dialogo tra sordi.
D. - Nella comunità cristiana molti stanno rispondendo con la fuga alle violenze: un indice, questo, di una sofferenza particolare?
R. - La fuga c’era da prima. Adesso le cose sono ovviamente accelerate.
D. - Lei ha parlato di dialogo. Ci ha provato l’inviato dell’Onu, Kofi Annan. Che cosa può fare ancora la comunità internazionale per riuscire ad avviare un colloquio tra le parti?
R. - Nella mia lettera aperta a Kofi Annan, io ho detto che 300 osservatori non servono a nulla. Il minimo sarebbero tremila tecnici, confermando l’idea dell’intervento non violento. Ma poi ci vuole una massa di vera assistenza offerta dalla parte sana della società civile internazionale alla parte sana e sanabile della parte civile siriana, ora lacerata da quella che io non ho mai avuto problemi a chiamare una guerra civile.
D. - Lei ha invocato la pace attraverso la preghiera: una preghiera importante anche da parte di chi è lontano...
R. - Io chiedo preghiere a tutti coloro che ci ascoltano e pensieri affettuosi - che secondo me funzionano come le preghiere - per quelli che credono di non credere, perché Dio ascolta con il suo cuore. E vorrei dire che ho sentito l’efficacia della mia posizione che è stata riconosciuta, capita, dai musulmani ai quali mi rivolgevo e che si sono mobilitati. Alla fine, l’ultimo giorno mi è stata consegnata una persona rapita che ho potuto riaccompagnare in famiglia: si sente l’effetto della solidarietà nella comunione dei santi, che poi deve diventare comunione solidale dei viventi. Tante parole insieme, ben dette, in trasparenza, sintonia e empatia provocano grandi cambiamenti. Intenzioni rette, coraggio della parola, ascolto dialogo e la grazia di Dio, che poi mette tutto insieme per ottenere dei risultati che vanno nel senso del Regno di Dio.
Russia: va avanti l'iter di legge che sanziona le manifestazioni non autorizzate
◊ Dopo la Duma di Mosca, anche il Consiglio della Federazione Russa ha approvato una legge che porta fino a 24 mila euro le multe per partecipanti e organizzatori a manifestazioni non autorizzate. Per l'adozione definitiva, serve la firma del presidente Vladimir Putin, in questi giorni in visita in Cina. Secondo alcuni osservatori, tale legge potrebbe entrare in vigore già la prossima settimana, in vista della manifestazione organizzata dall'opposizione per il 12 giugno. Dopo le dimostrazioni di piazza dell’inverno scorso, in occasione delle presidenziali che hanno consegnato un terzo mandato a Putin, il nuovo documento è un tentativo di fermare le proteste contro il Cremlino? Giada Aquilino lo ha chiesto a Vittorio Strada, esperto di questioni russe:
R. – E’ un segno del nuovo corso di politica interna della presidenza Putin. Era in effetti già previsto, prima delle elezioni, che ci sarebbe stato un inasprimento, un giro di vite, per un controllo maggiore sulla società russa, soprattutto dopo le manifestazioni che hanno avuto luogo alla vigilia delle presidenziali. C’è un braccio di ferro tra il potere e la società civile, larghi settori della società civile, anche se indubbiamente Putin ha un forte appoggio nella parte più conservatrice dell’opinione pubblica. E’ comunque il tentativo evidente di bloccare le manifestazioni, il malcontento, le dimostrazioni contrarie e critiche verso la politica di Putin, ma anche del governo precedente. Come si evolverà la situazione è un po’ difficile dirlo. Da una parte, ci sono le autorità con la sicurezza di poter contenere, perlomeno controllare, ridurre, reprimere al limite queste manifestazioni di dissenso. Dall’altra parte, c’è una forte tensione all’interno della società, con l’opinione che qualcosa stia maturando, che lo scontento che si era manifestato alla vigilia delle elezioni non è diminuito.
D. – Proprio le manifestazioni di piazza di questo inverno, le più imponenti degli ultimi 20 anni, di fatto cosa hanno dimostrato? Manifestare è un diritto in Russia?
R. – E’ un diritto che si è preso la società. Il potere controlla i mezzi di diffusione di massa, la televisione interamente e gran parte della stampa. La politica che è stata fatta da sempre – da Putin come poi da Medvedev e adesso, con più intensificazione, di nuovo da Putin – è quella di mantenere in qualche modo ancora, non so fino a quando, una facciata di istituzioni democratiche svuotate dall’interno, ma con una forte pressione e controllo, un pugno di ferro sulla società.
D. – “Questo testo è una tirannia”, ha detto l’ex presidente Gorbaciov: servirà sensibilizzare l’opinione pubblica interna e internazionale per fermare l’iter di questa legge?
R. – Credo di no. Certamente il pronunciamento da parte di Gorbaciov è importante e significativo, ma non certo decisivo. Il potere andrà avanti per la sua strada. Putin ha un programma preciso in politica estera e interna e la linea è indubbiamente quella.
Padre Neuhaus: ondata xenofoba contro le comunità africane in Israele
◊ C’è puro razzismo dietro agli attacchi contro gli immigrati in Israele. In meno di un mese, prima a Tel Aviv poi a Gerusalemme, si sono registrati atti di violenza ai danni della comunità sud sudanese e di quella eritrea. Due giorni fa, a Gerusalemme, una casa dove alloggiavano immigrati irregolari fuggiti dall’Eritrea, è stata data alle fiamme con l’intenzione evidente di voler uccidere. Lo conferma padre David Neuhaus, coordinatore in Israele della commissione della Chiesa cattolica impegnata a servizio dei lavoratori immigrati e richiedenti asilo. L’intervista è di Francesca Sabatinelli:
R. – C’è un’ondata di xenofobia. Qui ci sono 60 mila africani, povera gente in cerca di asilo. Arrivano in Israele e trovano una vita difficilissima. Vivono in quartieri dove ci sono altri poveri, ebrei di qui, che avvertono questa presenza come una minaccia e la tensione esplode quando non c’è una politica chiara del governo, quando non c’è un’educazione da parte del governo nei confronti del popolo israeliano, che si sente sempre minacciato. Ciò che è accaduto il 23 maggio scorso è entrato nella memoria, perché per la prima volta abbiamo assistito a una manifestazione violenta: la gente ha compiuto atti di violenza contro ogni africano che passava. Prima di questo, c’erano stati alcuni casi di donne violentate, i giornali hanno subito attribuito la responsabilità agli africani. Coloro che voglio attizzare la violenza, hanno usato questi fatti per accendere la miccia e alimentare la rabbia di questa popolazione, che si sente già davvero molto minacciata per la presenza degli africani nei quartieri poveri di Tel Aviv. La sorpresa è ciò che è accaduto a Gerusalemme pochi giorni fa: qui non ci sono molti africani che chiedono asilo, eppure alcuni razzisti hanno dato fuoco a un palazzo in cui vivono quasi nella totalità immigrati africani. E’ stato un atto di violenza molto, molto grave.
D. – La politica come sta reagendo nei confronti della presenza degli immigrati? Gli stessi politici sono divisi tra di loro: alcuni sono molto duri nel linguaggio contro queste persone...
R. – Prima dei fatti del 23 maggio, alcuni dei nostri responsabili – il ministro degli Interni (Eli Yishai, partito Shas, destra - ndr), il nostro premier e anche alcuni esponenti del parlamento avevano fatto discorsi molto aggressivi. Dopo il 23 maggio, alcuni hanno realizzato che alle parole seguono gli atti e hanno usato altri toni, hanno richiamato alla responsabilità, hanno denunciato che non si può reagire con la violenza. Poi l’incendio appiccato ad un appartamento, qui c’era la volontà di uccidere gente che dormiva. Quindi, ora, ancora una volta, i politici forse dovranno realizzare che le loro parole contribuiscono a questo odio. Il governo deve decidere che cosa fare, non si può lasciare la situazione com’è.
D. – A Tel Aviv, la situazione degli africani è estremamente indigente: si trovano a convivere con ebrei di ceti sociali molto bassi, che pensano di essere a rischio. Quindi, la questione del rifiuto di queste persone nasce dalla povertà, da ragioni economiche o nasce dalla paura di avere dentro i confini persone non ebree?
R. – C’è anche questo e inoltre credo ci siano le questioni economiche. C’è la xenofobia tra questi politici che provocano i poveri ebrei, il cui primo pensiero credo sia di tipo economico. Dietro, però, c’è la xenofobia di chi accendere il fuoco razzista.
D. – In questo clima, è di recente approvazione una legge sull’immigrazione clandestina molto, molto dura...
R. – Molto dura. Chi entra nello Stato d’Israele clandestinamente può essere messo in prigione fino a tre anni. Israele non vuole più che l’arrivo di immigrati dall’Egitto e crede di fermarli con la minaccia di essere imprigionati. Israele sta costruendo allo stesso momento un muro nel tentativo di mettere fine a quella che gli israeliani chiamano “infiltrazione”. Anche le parole sono dure. Queste persone non vengono sempre identificate come persone che fuggono dalla morte, dalla fame e che arrivano qui per chiedere asilo: l’idea che prevale è quella di una persona infiltrata illegalmente, quindi di un criminale che deve essere messo in prigione.
D. – Lei, come coordinatore della Commissione lavoro pastorale tra i migranti, che tipo di indicazioni darà alla Commissione? Come volete muovervi in questa situazione così delicata anche per la Chiesa cattolica?
D. – Noi dobbiamo lavorare con quelle organizzazioni, con gli ebrei che lavorano contro il razzismo e che riconoscono la vocazione della Terra Santa, dove la gente viene e si aspetta di trovare cose differenti dalla violenza e dal rifiuto. La Chiesa è molto debole, siamo pochissimi, ma dobbiamo comunque parlare in maniera forte. Per questo abbiamo pubblicato, come Assemblea degli Ordinari, una dichiarazione sugli avvenimenti del 23 maggio. E’ molto importante parlare con un linguaggio chiaro, che capisce la problematica ma non accetta la violenza come soluzione. La vocazione della Chiesa è chiara e c’è un lavoro immenso da fare. La nostra Commissione include persone che vengono da questi Paesi: abbiamo una suora eritrea che lavora con gli eritrei, altri che lavorano con i sudanesi, con i filippini e con gli indiani.
D. – Avete intenzione di entrare in contatto con il governo?
R. – Noi non possiamo cambiare le decisioni che sono prese. Dobbiamo vivere con le decisioni, ma continuiamo ad avere contatti con alcuni ministri e responsabili per poter aiutare questa povera gente che vive in una situazione molto, molto difficile.
Cuamm-Medici per l'Africa e il progetto della sanità in Mozambico
◊ In Mozambico, da circa dieci anni, l’organizzazione non governativa italiana "Cuamm - Medici con l’Africa" contribuisce a formare gli studenti di medicina dell’Università Cattolica di Beira, nel nord del Paese. A descrivere la nascita e l’importanza di questa iniziativa è, nell’intervista di Davide Maggiore, il dottor Fabio Manenti, responsabile del settore progetti del Cuamm:
R. – Il progetto di sostegno all’Università cattolica di Beira nasce da uno dei maggiori problemi dei sistemi sanitari di questi Paesi e, in particolare, del Mozambico. Quest’ultimo è il Paese che ha il minor numero di medici tra tutti i Paesi dell’Africa subsahariana: si parla di un medico ogni 50 mila abitanti. Per cui l’Università cattolica - nata agli inizi del 2000 – dal 2002-2003 è stata supportata da Medici con l’Africa Cuamm, con la messa a disposizione quindi del nostro personale: in media c’erano almeno quattro medici che si sono occupati di formazione direttamente in Università, per i primi quattro anni di corso, e a fare il tirocinio pratico previsto negli ultimi due anni presso l’ospedale centrale di Beira.
D. – Quali sono stati i risultati del progetto nel corso di questi anni e che bilancio se ne può tracciare?
R. – Dal 2007, il numero di medici "prodotto" dall’Università cattolica del Mozambico è stato di circa 140, quando il numero di partenza, nel 2007, era di 500 medici per tutto il Mozambico. I primi laureati, 25 nell’anno 2007, cominciano ormai a diventare dei quadri sanitari del Paese, figure che erano praticamente assenti o comunque molto scarse e soprattutto concentrate nella regione sud, in particolare nella città di Maputo.
D. – Qual è la situazione in cui deve operare il personale che viene formato?
R. – L’Università cattolica, in realtà, non ha formato solo medici: c’è stata anche la formazione degli infermieri che è andata di pari passo con quella dei medici. Questi medici si sono trovati a dover gestire o aprire nuovi ospedali e nuovi presidi sanitari, anche con un certo numero di personale infermieristico e con tutte le difficoltà del caso, con una carenza di risorse umane che rimane. Direi, però, che nel corso del tempo – e soprattutto negli ultimi anni – la situazione è andata via via migliorando. Il Mozambico resta ancora povero da un punto di vista di risorse per i farmaci, come anche per quanto riguarda le infrastrutture. Inoltre, l’Aids è particolarmente grave in questo Paese, cosa che va a determinare una serie di problematiche e di patologie che appesantiscono ulteriormente la capacità, da parte del sistema sanitario, di rispondere in modo adeguato alle esigenze della salute.
D. – In questo senso, il progetto del Cuamm a Beira non punta sulla soluzione di una singola emergenza ma, al contrario, mira alla formazione, guardando quindi al futuro...
R. – Questa è sicuramente la sfida più grande, però resta l’unica soluzione percorribile. Se vogliamo garantire una sostenibilità futura, questa deve passare non soltanto attraverso risorse economico-finanziarie ma dalla crescita delle risorse umane disponibili nel Paese.
D. – Lo scorso 12 maggio era presente, a Beira, alle cerimonie di laurea. Che testimonianza può portare?
R. – La cosa più emozionante era vedere questi studenti, ormai neo-dottori, veramente entusiasti per quello che avevano raggiunto. Per chi conosce le difficoltà che può incontrare uno studente in quegli ambienti - dal reperire un libro di testo come anche solo una dispensa, all’avere anche semplicemente la luce per poter studiare la sera - vedere come, dopo quei sei anni di sforzi certamente enormi, e seminando piano piano, si possa davvero ottenere un risultato, è un qualcosa che serve per continuare ad andare avanti, anche se sappiamo di essere soltanto l’inizio.
Conferenza nazionale per la cittadinanza: riconoscerne il diritto ai figli di immigrati
◊ Riconoscere i diritti degli immigrati, tra cui il voto alle elezioni amministrative e la cittadinanza ai bambini nati in Italia. Queste le priorità indicate stamani a Roma, presso l’Auletta dei Gruppi parlamentari della Camera dei Deputati, durante la Conferenza nazionale per la Cittadinanza degli stranieri, organizzata dai promotori della campagna “L’Italia sono anch’io”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha reso noto che l’esame della legge sulla cittadinanza è stato calendarizzato in Aula per l’ultima settimana di giugno. “Ogni forza politica – ha detto Fini – sarà posta di fronte alla propria responsabilità e potrà appoggiare o meno la modifica”. Il presidente delle Acli, Andrea Olivero, ha aggiunto che riconoscere la cittadinanza per i minori stranieri non è solo doveroso, ma anche un investimento:
“E’ una riforma importante, indispensabile per il Paese, perché va a sbloccare una grande risorsa che già esiste che sono i tanti giovani nati in Italia che si sentono italiani e che oggi sono esclusi dalla cittadinanza. In questo momento di grave difficoltà, abbiamo bisogno di loro per ricostruire il Paese, abbiamo bisogno di loro per avere anche l’entusiasmo e la voglia di fare la nuova Italia. Certamente, noi oggi siamo impegnati a fare in modo che la politica comprenda che questa proposta è piena di ragionevolezza e soltanto una prospettiva ideologica può opporsi a questo. Escludere i bambini nati in Italia dalla cittadinanza italiana è assurdo”.
L’impasse legislativa sul tema della cittadinanza può essere superata dalla “volontà politica”. Questo l’auspicio espresso dal ministro per la Cooperazione e l'integrazione, Andrea Riccardi, che ha ribadito la sua proposta di "Ius culturae", di dare cioè la cittadinanza a chi nasce in Italia e ha compiuto almeno un ciclo scolastico:
“L’acquisizione di un minimo di identità attraverso l’esperienza di un ciclo scolastico: questo può portare a un’appartenenza, a un riconoscimento della cittadinanza, perché sono italiani e si sentono italiani. Questo è un fatto di sviluppo della casa comune italiana”.
Nel suo intervento, il presidente dell'Associazione nazionale comuni italiani (Anci), Graziano Delrio, sindaco di Reggio Emilia, ha sottolineato che “non bisogna avere paura di allargare i diritti”. Il portavoce della ‘Rete G2 – Seconde Generazioni’, Nichi Vendola, presidente della Regione Puglia, ha poi affermato che l’Italia è un Paese maturo per recepire le istanze poste dall’immigrazione:
“Nelle tendopoli in Emilia Romagna, emiliani bianchi ed emiliani neri, insieme, condividono il dolore e dividono il pane della solidarietà. Questa è una patria. Speriamo che il parlamento sani questa situazione, che è una ferita, e speriamo che il governo immediatamente rifinanzi le politiche dell’immigrazione e che possa fare un passo in più che oggi è necessario: immaginare il permesso di soggiorno per chi è alla ricerca di lavoro. Perché questa è la verità: la maggior parte dei migranti nel nostro territorio cerca lavoro. Dobbiamo veramente andare in un’altra logica. Le vecchie legislazioni sull’immigrazione immaginavano gli immigrati come un problema di ordine pubblico. Bisogna invece andare in un’altra direzione, quella che ci suggerisce la Caritas, che ci suggeriscono i sindacati: la cultura dell’accoglienza costa di meno economicamente e fa bene a tutta la società”.
I promotori della Campagna, tra cui Libera, Acli e Tavola della Pace, hanno consegnato alla Camera dei Deputati oltre 200 mila firme per due proposte di legge di iniziativa popolare: una di riforma della legge che regolamenta l’accesso alla cittadinanza per le persone di origine straniera e l’altra che introduce il diritto di voto alle amministrative per gli stranieri non comunitari residenti.
Argentina: la lotta delle nonne di Plaza de Mayo in cerca dei nipoti rubati dalla dittatura
◊ Accanto al dramma dei “Desapararecidos”, durante la dittatura militare argentina installatasi a seguito del colpo di Stato del 24 marzo 1976, si consumava un’altra tragedia. Alle donne che si opponevano al regime, sequestrate incinte e confinate nei campi di detenzione, venivano sottratti i figli appena nati e destinati a genitori adottivi argentini o di altri Paesi. Le madri, poi, venivano uccise o lasciate a morire per le torture e i maltrattamenti di ogni tipo. Senza madri né padri, privati di identità, di radici, ignari del proprio triste destino, questi bambini fantasma, stanno finalmente tornando alle loro famiglie grazie all’instancabile lotta di donne coraggiose e ostinate: le loro nonne. È la storia del’associazione “Abuelas de Plaza de Mayo”, nonne che ingaggiano una battaglia senza sosta per ritrovare i propri nipoti. Al microfono di Luca Attanasio, l’incredibile vicenda della fondatrice del movimento, Estela Carolotto:
R. – A partir del 24 de marzo de 1976, se instalò en la Argentina una dictatura mas…
A partire dal 24 marzo del 1976, in Argentina, si installò una dittatura nuova. Non è stata uguale alle altre; si è imposta con un piano di sterminio. Hanno sequestrato 30 mila persone da tutte le città, bambini, ragazzi, la maggior parte nati in campi di concentramento. Io avevo quattro figli: Laura, Claudia, Guido e Remo. Mio marito era un piccolo imprenditore, ed io dirigevo una scuola. Laura, la più grande, fu sequestrata, rinchiusa per nove mesi mentre era incinta. Il bambino è nato in quel luogo di terrore, un bimbo che è sparito dopo poco tempo. Lei è stata assassinata subito dopo. Da quel momento, ho preso l’impegno di continuare la lotta per avere mio nipote. Sono 25 anni che lotto insieme alle mie compagne.
D. - Il movimento a cui lei ha dato origine, dopo tantissime lotte ha avuto anche la gioia di vedere ricongiunte tante persone, allora bambini, con le proprie famiglie di origine.
R. – La organización que yo presidio se llama “Abuelas de Plazo de Mayo”…
L’organizzazione che presiedo si chiama “Le nonne di Plaza de Mayo”. Siamo madri, ma ci chiamiamo “nonne” perché abbiamo deciso di andare alla ricerca dei nostri nipoti. I primi nipotini che abbiamo ritrovato, sono due fratellini spariti a Buenos Aires nel 1977 e ritrovati in Cile. Fino ad ora ne abbiamo ritrovati 105, ma ne mancano, almeno 400. Ci hanno proposto per il Premio Nobel per la Pace, ma il premio più grande per noi è ritrovare i nipoti.
D. - La speranza è di trovare anche Guido…
R. – Sí, tengo esperanza, yo lucho con esperanza y tengo fe…
Sì, lotto con speranza, ho fiducia di ritrovare mio nipote Guido. Ho fede in Dio. Non so dove sia, ma sono certa che se non lo vedrò io, almeno lo vedranno i miei figli e gli altri tre nipoti.
Al parlamento europeo incontro sulla figura di De Gasperi
◊ L'insegnamento di De Gasperi per l'Europa di oggi: di questo si è parlato al parlamento Europeo a Bruxelles, in un incontro voluto con politici e storici in una fase di grande crisi. L'ha seguito la nostra inviata Fausta Speranza:
Dal 1948, questo è il momento più difficile per l'Europa: lo afferma l'On. Gargani, promotore dell'iniziativa voluta per riflettere su uno dei Padri dell'Europa unita, con Schuman e Adenauer. De Gasperi – viene ricordato – aveva capito che gli interessi nazionali si potevano difendere in una dimensione più ampia: in una dimensione politica che si è cercato di costruire partendo dalla economia e dalla moneta. Il salto alla dimensione di un'unione politica non è avvenuto e il punto è proprio che questa crisi è politica. E' il valore politico che dovrebbe sostenere l'unione monetaria – viene ribadito con forza – cioè la solidarietà economica dovrebbe nascere dalla solidarietà politica.
L'On. Mauro ricorda che i padri della Chiesa erano non a caso cristiani: i loro valori partivano dalla passione per il bene comune. Questo il valore fondamentale da riscoprire. In un momento in cui si chiedono segnali forti alla Germania, interessante sentirlo ribadire in tedesco:
(parole in tedesco)
L'europarlamentare Brook ricorda l'intesa forte tra De Gasperi e Adenauer per un partito popolare europeo. A partire, sostiene, da valori cattolici che vengono prima dei titoli di Stato. Il successo della Germania è grazie all'euro e all'Unione, sottolinea, chiedendo riforme coraggiose come una politica fiscale comune. Ma in questo contesto, lo storico Miguel Gotor raccomanda di non vedere solo le difficoltà:
“Si è fatto, in realtà, molto di più di quello che si pensa o si vuole credere in questi 50 anni, se pensiamo che alla fine della Seconda Guerra Mondiale l’Europa era un continente senza guida politica, distrutto”.
Dunque, i valori dei Padri dell'Europa per un impulso nuovo alla costruzione politica che sola può sostenere l'economia.
Nei cinema "la guerra è dichiarata", quando il cancro è sconfitto dall'amore
◊ Sugli schermi italiani, dopo il successo riscosso in Francia e il riconoscimento della critica internazionale, “La guerra è dichiarata”, diretto e interpretato da Valérie Donzelli e ispirato alla sua vera storia di madre che ha vissuto il dramma di un figlio colpito da un tumore e oggi in buona salute. Non un film lacrimoso e retorico, ma una storia che riesce a essere venata da commozione, sorriso e ottimismo. Il servizio di Luca Pellegrini.
Valérie Donzelli e Jérémie Elkaïm hanno intrapreso una guerra quando al loro bimbo di diciotto mesi è stato diagnosticato un tumore maligno al cervello. Le emozioni vissute in quei difficilissimi momenti sono diventate una sceneggiatura, scritta a quattro mani e poi un film, “La guerra è dichiarata”, intenso e vivo dalla prima all'ultima immagine, venato anche di musica e di sorrisi, che si concentra, più che sulla malattia, sul modo con cui una giovane coppia affronta questa terribile prova della vita, condividendola con le famiglie e gli amici. Valérie è molto orgogliosa di questo film. Pensa che possa aiutare le madri che hanno vissuto o vivono il suo stesso percorso?
R. – Mais, je ne sais pas si c’a peut les aider; après, ça peut aussi les énerver…
Non so se questo possa aiutarle. In fin dei conti potrebbe anche infastidirle, dipende. Nel film, si rende una visione delle cose molto personale. Comunque, ho avuto riscontro da molte persone che hanno vissuto situazioni simili e tutte hanno riscontrato qualcosa di vero nelle sensazioni che si provano, nelle inquietudini, per quanto riguarda l’ambiente degli ospedali, su questo sentirsi disarmati perché non si sa dove si va a parare... Non siamo medici e quindi dobbiamo abbandonarci alla fiducia, siamo costretti a fidarci. Tutti questi sono aspetti che le persone che hanno vissuto esperienze simili, riconoscono e ne sono riconoscenti.
D. - Perché il dolore che vivono Juliette e Roméo alla fine, una volta guarito Adam, li separa?
R. – Le couple se sépare parce que après un événement comme ça on ne peut pas…
La coppia si divide perché dopo un evento del genere non si riesce a tornare a una situazione “normale”, come se non fosse accaduto nulla: tornare a casa, papà, mamma e bimbo e tutto va bene... Intanto, il bambino è “tolto” dal nucleo della famiglia e quindi loro vivono questa avventura “a due”, i due sono “isolati”. Penso che quando si vive una storia del genere, si va a perdere qualcosa, si diventa un po’ “zoppi”, si ha voglia di reinventare delle cose, non si ha voglia di rivivere la propria vita come “prima”: non è possibile. Sono quasi costretti a passare per questa fase di separazione. Può essere che un giorno si ritroveranno, ma al presente non riescono a vedere la coppia come tale, tutti e tre insieme. E' come se fosse qualcosa che li soffoca, hanno bisogno di ossigeno…
D. - Come ha reagito suo figlio quando gli ha detto che avrebbe girato un film sulla sua malattia?
R. – Il a été plutôt content, en fait…
In realtà, è stato contento. Credo che gli sia piaciuto il fatto di trasformare una situazione che sembrava difficile in qualcosa di positivo.
Forum cattolico ortodosso: l’economia senza Dio e la logica cieca del consumismo
◊ “Siamo di fronte all’alternativa: o pensare l’economia e la finanza come luoghi senza spazio per Dio e quindi ultimamente non umani, o concepirle come occasioni di vivere la verità del Vangelo che anima la società”. Cosi mons. Paolo Pezzi, arcivescovo dell’arcidiocesi della Madre di Dio di Mosca, a margine dell’incontro cattolico-ortodosso – di cui riferisce l’agenzia Sir Europa - in svolgimento a Lisbona, sul tema della crisi economica e della povertà in Europa. “Laddove manca un riferimento alla verità del Dio amore, l’altro - sia esso uomo o popolo - viene facilmente ridotto a entità economica interessante solo in quanto rispondente alla logica utilitaristica di domanda e offerta del mercato”, ha osservato mons. Pezzi, aggiungendo che “i drammatici tassi di disoccupazione di molti Paesi europei, le enormi difficoltà di molti giovani lasciati soli a fondare una famiglia dalle politiche statali e oppressi dalle dinamiche lavorative sono i segni di una crisi che è innanzitutto spirituale e poi economica e finanziaria”. Per cui - ha aggiunto il presule - l’interiorità stessa delle persone è ferita e indebolita”. “All’impoverimento della spiritualità - non si può che rispondere con un rinnovato invito alla povertà di spirito”, prosegito l’arcivescovo Pezzi. “Povertà di spirito – ha spiegato - significa uscire dalla pretesa di autosufficienza per aprirsi a Cristo, l’unico che può veramente salvarci e compiere la nostra vita”. E’ Cristo – ha ricordato mons. Pezzi - che può liberare l’uomo dalla solitudine. “La solitudine infatti è la prima forma di povertà: povero è l’uomo senza Dio, povero è l’uomo senza famiglia, senza amici, senza comunità. Anche le forme di povertà materiale derivano ultimamente dall’isolamento, dal non essere amati, dall’incapacità di amare e quindi condividere ciò che abbiamo”. “Da ciò nasce uno sguardo nuovo sugli altri e un nuovo stile di vita”. Ai cristiani spetta quindi oggi il compito – ha ammonito l’arcivescovo Pezzi - di “adoperarsi, come diceva Giovanni Paolo II, di “costruire stili di vita nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano la scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti. A questo siamo chiamati ad educare gli uomini in questo tempo di crisi umana ed economica”. “Il contributo comune che la nostra fede può dare - ha concluso l’arcivescovo di Mosca - è allora questo sguardo amante del vero e operante nella carità, faro di speranza e promozione umana per tutti i popoli”. (R.G.)
Turchia: ancora un rinvio al processo per l'assassinio di mons. Padovese
◊ E’ durata solo sette minuti la quinta udienza del processo contro Murat Altun, l’assassino di mons. Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia, ucciso il 3 giugno 2010. “L’unico a parlare - riferisce all'agenzia Sir John Farhad, uno dei collaboratori più stretti di mons. Padovese, presente all’udienza - è stato l’avvocato difensore di Altun che ha chiesto al giudice di poter ascoltare come teste lo zio dell’assassino, che avrebbe ospitato il nipote, quando questo era malato, per dieci giorni nel periodo precedente all’omicidio. Richiesta accettata dal giudice che così ha disposto il rinvio dell’udienza al 4 luglio prossimo”. Per Farhad “l’avvocato difensore di Altun sta cercando in tal modo di dimostrare l’insanità mentale del suo assistito che, se riconosciuta, smonterebbe la tesi della premeditazione sostenuta invece dall’accusa, evitandogli così l’ergastolo a favore di una pena più mite”. “Devo ricordare - aggiunge Farhad - che questo processo si sta celebrando senza un avvocato difensore di mons. Padovese. La Chiesa cattolica qui, non essendo riconosciuta giuridicamente, non può nominare un avvocato, lo stesso vale per l’Ordine dei Cappuccini. Possiamo seguire gli sviluppi del processo come semplici spettatori, seduti tra il pubblico presente alle udienze. Non ci resta che sperare nella capacità di giudizio del giudice”. La prima udienza del processo, risale al 5 ottobre scorso, e si concluse dopo 15 minuti con il rinvio al 30 novembre. In questa seconda udienza, che durò solo 4 minuti, l’avvocato difensore aveva chiesto il trasferimento del suo assistito presso l’ospedale ad Adana per motivi di salute, richiesta respinta dal giudice. Il 22 febbraio si è tenuta la terza udienza, durata poco meno di 4 ore, nella quale sono stati ascoltati diversi testimoni, la quarta udienza risale invece al 18 aprile. Dopo quella di oggi 6 giugno, la prossima udienza, la sesta della serie, si svolgerà il 4 luglio. (R.P.)
La mitria di mons. Padovese nella chiesa di San Bartolomeo a Roma
◊ Con una solenne liturgia, presieduta da padre Mauro Jöheri, Ministro Generale dei Frati Minori Cappuccini, è stata ieri posta nella chiesa di san Bartolomeo all’Isola Tiberina - in cui si conservano le memorie dei testimoni della fede dei secoli XX e XXI - la mitria usata da mons. Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia, ucciso il 4 giungo 2010 a Ischenderun (Turchia). La cerimonia è stata preceduta dalla presentazione, presso la Pontifica Università Antonianum di via Merulana, del volume “La verità nella carità”, che contiene alcuni scritti e omelie del compianto Vicario Apostolico. Dell’opera hanno parlato padre Paolo Martinelli, preside dell’Istituto Francescano di Spiritualità presso lo stesso Ateneo; don Romano Penna, Francesca Cocchini e l’ambasciatore turco presso la Santa Sede, Gürsoy , che hanno sottolineato lo spirito ecumenico che anima gli scritti, in alcuni dei quali mons. Padovese accenna velatamente a un suo possibile “sacrificio”, soprattutto dopo l’uccisione dei don Andrea Santoro a Trabzon. Nella stessa chiesa si conservano le “memorie” di mons. Alejandro Labaca, anche lui cappuccino, vicario apostolico in Ecuador, ucciso dagli indios Tagaeri 25 anni fa nella selva amazzonica, e quella della suora Inès Arango, che accompagnò mons. Labaca nel tentativo di avvicinare gli indios minacciati dalle multinazionali petrolifere. (A cura di Padre Egidio Picucci)
Nigeria: almeno 16 presunti membri di Boko Haram uccisi in un’operazione di sicurezza
◊ Sono almeno 16 i presunti componenti della setta Boko Haram rimasti uccisi in una vasta operazione condotta dall’esercito a Maiduguri, capitale dello Stato di Borno nel nord-est della Nigeria. Dopo aver circondato il quartiere di Lawan Bukar, l’esercito ha dato l’assalto ad uno o più nascondigli della setta, facendo ricorso pure a mezzi blindati. La setta Boko Haram è responsabile di diversi attentati contro istituzioni politiche e militare e luoghi di culto cristiani. Il 3 giugno a Bauchi 12 persone sono morte in assalti ad alcune chiese cristiane. I vescovi nigeriani durante la National Catholic Prayer Pilgrimage for Nigeria, tenutosi ad Abuja, hanno invitato i fedeli alla preghiera e al rispetto dei valori evangelici per contrastare la violenza, ma chiedono al governo di fare di tutto per bloccare le azioni dei terroristi. (R.P.)
Nigeria: mons. Martins interviene sui tragici episodi di domenica
◊ La Nigeria è ancora scossa dalle tragedie avvenute domenica scorsa, quando un aereo è precipitato alla periferia della capitale provocando 157 vittime e un uomo si è fatto esplodere davanti ad una chiesa pentecostale a Bauchi, uccidendo 21 persone. Su questi episodi drammatici è intervenuto ieri l’arcivescovo di Lagos, mons. Adewale Martins, affermando, in un’intervista all’agenzia Misna, che lo Stato africano “sta attraversando un periodo tragico della sua storia.” A proposito dell’incidente aereo, il prelato sottolinea che il velivolo “non avrebbe mai dovuto volare in Nigeria perché era già stato costretto a vari atterraggi di emergenza quando era in servizio negli Stati Uniti”. Ha aggiunto, inoltre, che grazie alla compiacenza di funzionari corrotti l’aereo avrebbe evitato i test di controllo. Le parole dell’arcivescovo, però, sono anche rivolte all’attentato suicida, rivendicato nei giorni scorsi dal gruppo armato islamico Boko Haram. “Ci sono forze – sostiene mons. Martins – che strumentalizzano la fede per creare instabilità e ottenere vantaggi anche in termini politici”. (A.C.)
Il Mali tra divisioni e incertezze. Si aggrava la situazione degli sfollati
◊ Transizione a sud, colloqui tra gruppi armati a nord: il Mali diviso in due. A sud la questione aperta – spiega l’agenzia Misna - è quella del presidente di transizione Dioncounda Traoré, dallo scorso 23 maggio a Parigi ufficialmente per accertamenti medici in seguito ad una aggressione subita nei suoi uffici il 20 maggio. L’assenza di Traoré sta lasciando ampio margine di manovra al capo del governo, Cheick Modibo Diarra. Secondo fonti locali è grande il peso tuttora esercitato all’interno dell’esecutivo dai militari autori del golpe dello scorso 22 marzo che direttamente controllano i ministeri della Difesa e degli Interni. Queste incertezze politiche compromettono la possibilità de governo centrale Bamako di recuperare il controllo del nord del Paese, dove gruppi armati che di fatto esercitano il pieno controllo del territorio stanno negoziando alleanze strategiche. Tra queste sarebbe quella stretta tra il Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla) di matrice tuareg e Ansar al Din di matrice islamista, ma non tutti all’interno dell’Mnla sarebbero d’accordo, al punto di smentire l’intesa. Da qui la nota, lunedì scorso, del segretario generale del movimento, Bilal Ag Acherif, per spiegare che l’intesa è un accordo di principio e che sarà costituita una commissione per affrontare le divergenze. Nel nord operano però anche altri gruppi che si stanno attrezzando militarmente in vista di un’eventuale reazione armata di Bamako. In uno scenario di grande incertezza, si aggrava la situazione per le popolazioni e degli sfollati nell’intero Paese africano. (R.G.)
India: pastore protestante assassinato in Tamil Nadu
◊ Il Pastore cristiano protestante C. Wilson, 54 anni, è stato assassinato in Tamil Nadu, nel sud dell’India. Il suo corpo è stato ritrovato sabato scorso, 2 giugno, nei pressi di una autostrada e, secondo la polizia, il suo cranio è stato fratturato con delle pietre. Secondo le prime ricostruzioni degli inquirenti, il Pastore, che guidava una comunità cristiana nella città di Chennai, viaggiava da Kanyakumari, dove si era recato a predicare, verso Chennai: potrebbe essere stato fermato e poi ucciso a breve distanza dalla strada. Attorno al cadavere vi erano depliant e giornali di contenuto cristiano. Le forze di polizia devono ancora accertare il movente dell'omicidio: non si esclude una rapina, ma nemmeno un assassinio per motivi di odio religioso. Infatti, notano fonti dell'agenzia Fides, “di solito, nei casi di rapina le vittime non sono uccise in modo così brutale”. Interpellato da Fides, Sajan George, presidente del “Global Council of Indian Christians”, Ong ecumenica che monitora la situazione dei cristiani in India, spiega: “Il fondamentalismo religioso indù sta prendendo piede anche in Tamil Nadu: dall’inizio del 2012 si sono verificati nello Stato almeno 5 gravi episodi di attacchi contro cristiani”. “Chiediamo l’intervento delle autorità statali per tutelare i diritti e la vita dei cittadini indiani che credono in Cristo”, conclude George. (R.P.)
Pakistan: minacce alla leader dei diritti umani. Solidarietà della Chiesa
◊ Asma Jahangir, nota avvocatessa e leader nella tutela dei diritti umani in Pakistan, è in pericolo: la sua vita è minacciata da settori dell’establishment pakistano e dai potenti Servizi segreti (Isi), come ha denunciato lei stessa. Dalla società civile e dalla Chiesa del Pakistan si sono alzate voci di sdegno e ampie manifestazioni di solidarietà verso la Jahangir. I vescovi del Pakistan, tramite la “Commissione Giustizia e Pace”, esprimono “piena solidarietà e sostegno ad una persona con cui collaboriamo strettamente”, ha rimarcato, in un colloquio con l’agenzia Fides, Peter Jacob, segretario esecutivo della Commissione. Jacob ricorda e condivide “l’impegno della Jahangir per la libertà di espressione, per la legalità, per le minoranze religiose, per la democrazia e lo stato di diritto in Pakistan”. Asma Jahangir è fondatrice ed ex presidente della Ong “Human Rights Commission of Pakistan” (Hrcp), ex presidente dell’Associazione degli avvocati presso la Corte Suprema del Pakistan, rappresentante nel Consiglio Onu per i Diritti Umani. La Ong Hrcp ha espresso “grave preoccupazione” e fatto appello alla comunità internazionale, proprio mentre si trova in Pakistan Catherine Ashton, Alto rappresentante della politica estera dell’Unione Europea. Anche l’avvocato cattolico Naeem Shakir ha dichiarato a Fides “la condanna per ogni forma di intimidazione, violenza e oppressione, stigmatizzando che proprio settori deviati dello Stato possano fare del male a una persona impegnata soprattutto per il rispetto dei diritti umani in Beluchistan”. Le minacce ricevute dalla Jahangir sono causate soprattutto dal suo recente impegno nella spinosa questione del Beluchistan, che agita il Paese. Nella travagliata provincia nell’ovest del Pakistan va avanti da tempo una situazione di grave illegalità, impunità e abusi compiuti dai “Frontier Corps”, forze armate speciali destinate all’area, agitata da una ribellione di gruppi locali che dura da anni. La Jahangir ha denunciato il fenomeno dei sequestri, delle sparizioni e uccisioni extragiudiziali di attivisti beluci, manovrate, a suo dire, dai Servizi segreti e dai militari dei “Frontier Corps” che, secondo alcuni commentatori, “spadroneggiano come dittatori”. Secondo dati ufficiali, le persone scomparse sono oltre 2.000, gli atti terroristici registrati negli ultimi anni sono 550, mentre oltre 100.000 persone hanno abbandonato la provincia a causa di insicurezza e disordini. Dopo forti pressioni, il governo pakistano ha creato nei giorni scorsi uno speciale Comitato composto da alti funzionari delle forze dell'ordine e della magistratura per affrontare la questione del Beluchistan. (R.P.)
Consiglio d’Europa ai governi: difendete la libertà di stampa e proteggete i giornalisti
◊ Gli attacchi ai giornalisti “sono inaccettabili e non rimarranno impuniti”. A ribadirlo è stato ieri il commissario dei Diritti umani del Consiglio d'Europa, Nils Muiznieks, chiedendo a tutti i governi degli Stati membri di tutelare la stampa. ''Fare il giornalista – ha denunciato il giurista lettone - è diventato pericoloso anche in Europa. Dall'inizio dell'anno sono in molti – ha rivelato - ad aver subito aggressioni fisiche in Italia, Francia, Grecia e Germania, oltre che in Russia, Lettonia, Moldova, Montenegro, Romania e Azerbaijan”. Da qui il monito di Muiznieks ai rispettivi governi di “preoccuparsi più seriamente di tanta violenza che minaccia le radici” delle democrazie “perché, in realtà, - ha detto – si tratta di una forma di censura camuffata.'' Gli attacchi e le minacce rivolte ai giornalisti mirano infatti a ''chiudere loro la bocca e a convincerli a non andare avanti nel loro lavoro''. Ed anche un governo “può essere coinvolto nella censura - ha biasimato Muiznieks - se non fa abbastanza per combattere la violenza contro i giornalisti, anche perché l'impunità incoraggia l'emulazione''. “I governi anche in seguito a una sentenza della Corte di Strasburgo - ha proseguito Muiznieks - hanno l'obbligo di creare un ambiente favorevole affinché i giornalisti possano esprimere senza timori le proprie opinioni e devono agire con prontezza per assicurare protezione ai giornalisti che abbiano subito minacce, adoperandosi perché le inchieste siano trasparenti e conducano rapidamente alla punizione dei responsabili. Le autorità dovrebbero inoltre sollecitare una collaborazione tra la polizia e gli organi d’informazione e considerare le aggressioni a giornalisti non solo come un atto di violenza, ma come un vero e proprio attentato alle libertà e ai diritti fondamentali dell'Uomo”. Nel ricordare che la libertà dei media è il ''sangue vitale della democrazia e un prerequisito essenziale per l'espressione di altre libertà'', il commissario ha concluso ricordando che in questo 2012 “nei 47 Stati membri del Consiglio d'Europa non ci sono stati giornalisti assassinati'' augurandosi che l'anno possa concludersi così, a differenza del 2011. (A cura di Roberta Gisotti)
Sri Lanka: stupratore condannato a 20 anni. Per la Chiesa “vittoria per l’intera comunità”
◊ In prigione per 20 anni, multa di 5 mila rupie e risarcimento di 100 mila rupie alla vittima: è stata questa la condanna inflitta dal giudice dell’Alta corte di Kandy a Sandanam Jeevaratnem, per aver violentato nel 2007 la 13enne Divya, figlia dei suoi vicini di casa. Una sentenza “storica” per lo Sri Lanka, come l’ha definita padre Nandana Mantunga, direttore dell’Ufficio per i diritti umani di Kandy, per “il coraggio e la determinazione di Divya” e perché “incoraggia quanti cercano giustizia a rompere il silenzio”. Dopo aver denunciato la violenza – riporta l’agenzia AsiaNews – la ragazza era stata affidata all’ufficio gestito dal sacerdote, dove un personale specializzato l’aveva aiutata con una terapia di recupero psicologico. “È stata ospitata in una nostra struttura e ha studiato nelle nostre scuole – ha raccontato padre Mantunga – e lo scorso dicembre ha superato con successo gli esami di metà quadrimestre dell’ultimo anno”. L’Alta corte di Kandy aveva accolto la denuncia di stupro il 5 settembre 2011 e il processo, iniziato il 19 aprile 2012, si è concluso una settimana dopo con la condanna definitiva. Il sacerdote ha, infine, ringraziato gli avvocati, le suore, gli insegnanti e tutti coloro che hanno fornito protezione, sostegno e assistenza medica e psicologica a Divya in questi anni. “La sua vittoria – ha sottolineato – è una vittoria per l’intera comunità”. (A.C.)
Gerusalemme est: il 78% degli abitanti vive sotto la soglia di povertà
◊ L’Associazione per i diritti civili in Israele (Acri) ha pubblicato un rapporto sulla drammatica situazione in cui versano i residenti nella parte est di Gerusalemme, secondo il quale – riferisce l’agenzia Sir – ben il 78% vive sotto la soglia di povertà, mentre la cifra sale addirittura all’84% per la sola fascia dei minorenni. I dati, che si riferiscono a persone che vivono con meno di 470 euro al mese, sono decisamente peggiorati dal 2006, quando era considerato povero il 64% della popolazione e il 73% dei minori. Secondo quanto emerge dal rapporto, i principali motivi che stanno alla base di questa situazione sono il muro di separazione, le consuetudini culturali che inibiscono alle donne l’accesso al mondo del lavoro e l’insufficiente livello d’istruzione della popolazione araba. Uno dei problemi fondamentali è quello delle residenze: dal 1967 ad oggi 14.084 palestinesi hanno avuto la revoca della residenza a Gerusalemme, e ciò ha comportato l’aumento dei lavori in nero senza assicurazione né contributi pensionistici, perché senza residenza non è possibile aprire un conto corrente o beneficiare dei servizi sociali. Il 40% degli studenti, inoltre, non termina gli studi, dovendo ripiegare così sui lavori manuali. (A.C.)
Libia: per il vicario di Bengasi la comunità cattolica ha ripreso la sua vita
◊ “Abbiamo ripreso il ritmo normale delle nostre attività” dice all’agenzia Fides mons. Sylvester Carmel Magro, vicario apostolico di Bengasi, in Libia. “Oggi, per esempio, celebriamo la Novena della Madonna del Soccorso, alla quale i filippini sono molto devoti. In occasione della Messa principale della settimana, che si celebra nella mattina di venerdì, la chiesa è sempre gremita di fedeli. È il segno - continua mons. Magro - che abbiamo ripreso il ritmo di prima della guerra del 2011. I fedeli sono tutti stranieri: filippini e un gran numero di africani, molto dei quali sono alla ricerca di lavoro ed hanno bisogno di assistenza materiale”. Secondo fonti di stampa, a Bengasi, la sera del 4 giugno, ci sono stati scontri nel quartiere di Abouhdima, tra la polizia militare e i membri di una milizia locale, che hanno provocato un morto ed alcuni feriti. Mons. Magro non ha però l’impressione che la situazione sia fuori controllo. “A Bengasi - dice il vicario apostolico - si vive quasi normalmente. Ogni tanto si sentono in lontananza delle esplosioni, ma per il resto la gente conduce la vita di sempre. Le persone vanno al lavoro e i negozi sono aperti. In genere la situazione è tranquilla, anche se non sempre si sa bene cosa succede”. (R.P.)
Sudan rifiuta arresto del presidente al Bashir accusato di crimini di guerra. Proteste all’Onu
◊ "Il rifiuto del Sudan di arrestare il presidente Omar al Bashir e altre tre persone accusate di crimini di guerra in Darfur è una sfida diretta al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite'': così ha commentato ieri sera il procuratore capo della Corte Penale Internazionale (Cpi), Luis Moreno Ocampo, al termine di una riunione dei Quindici al Palazzo di Vetro. L'organo esecutivo dell’Onu, secondo Ocampo, dovrebbe a questo punto chiedere ai Paesi membri ed alle organizzazioni regionali di effettuare gli arresti, nonostante anche questa possibilità si riveli “problematica''. ''In questo modo, tuttavia, le vittime riceveranno un messaggio chiaro, ossia che non vengono ignorate” - ha spiegato Ocampo - e “allo stesso tempo i criminali capiranno che non c'é impunità''. Il Consiglio di Sicurezza ha autorizzato le indagini sulle atrocità in Darfur nel 2005. Dopo quattro anni è arrivato il mandato d'arresto per il presidente sudanese, tutt'ora sfuggito. Secca la replica dell'ambasciatore sudanese Daffa Alla Elhag Ali Osman, che ha condannato in termini forti la richiesta di Ocampo ai Quindici accusando il Procuratore di voler aizzare l'organismo Onu contro il suo Paese. (R.G.)
Brasile: pronto il Rapporto sulla violenza contro i popoli indigeni
◊ Il Consiglio Indigenista Missionario (Cimi) presenterà il prossimo 13 giugno i dati del Rapporto annuale 2011 sulla violenza contro le popolazioni indigene in Brasile. La presentazione avrà luogo presso la sede della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb), con la presenza e la testimonianza degli indigeni che hanno subito violenza secondo quanto indicato nel rapporto. Il Cimi - riporta l'agenzia Fides - intende così segnalare le diverse forme di violazioni dei diritti delle popolazioni indigene. "I dati presentati in questo rapporto rivelano l'aggressione alla dignità umana delle popolazioni indigene del Brasile, il loro dolore e la loro sofferenza" scrive mons. Erwin Krautler, presidente del Cimi e vescovo della prelatura di Xingu (Pa), nel testo che introduce il rapporto. Nella nota inviata all'agenzia Fides dalla Cnbb, il Segretario esecutivo del Cimi, Cleber Buzatto, considera il rapporto un documento di allerta e di impegno, che può diventare uno strumento politico. "Denunciamo la società brasiliana e le organizzazioni internazionali, la violenza contro i popoli indigeni e allo stesso tempo, richiamiamo l'attenzione delle autorità pubbliche per adottare misure che limitino tale violenza" spiega. I dati pubblicati forniscono informazioni sulla violenza contro le persone (omicidi, minacce, razzismo), la violenza contro le proprietà (ritardi nella risoluzione dei conflitti sui terreni, invasioni di terre indigene), la violenza per omissione di intervento delle autorità (suicidi, mancanza di assistenza sanitaria, mortalità infantile), e la violenza contro indigeni isolati e le popolazioni vittime della dittatura militare. (R.P.)
Giubileo Regina Elisabetta: per mons. Nichols "la fede cristiana al centro del suo servizio"
◊ La fede cristiana è al centro del servizio della Regina Elisabetta verso la nazione: è la convinzione espressa dall’arcivescovo di Westminster e primate cattolico, mons. Vincent Nichols, nel corso di una messa celebrata ieri sera nella cattedrale londinese di Westminster, chiesa madre del cattolicesimo inglese, in omaggio ai 60 anni di reggenza di Elisabetta II. La comunità cattolica - riferisce l'agenzia Sir - ha ringraziato così la Regina per il suo contributo di “stabilità, calma e serenità” donato ai sudditi. “Il servizio richiede un bene più grande che solleva coloro che servono oltre il loro interesse - ha ricordato il primate - una vita di servizio totale richiede un bene più grande che va oltre tutto ciò che il mondo può offrire. La fede in Dio è quello che si trova nel cuore del servizio di una vita. In questo siamo davvero benedetti nella nostra Regina”. “E’ inutile - ha proseguito mons. Nichols - elencare i cambiamenti sociali, economici e politici di questi decenni. Elisabetta II è stata la nostra Regina attraverso questi mutamenti garantendo a tutti grande sicurezza e un importante sentimento di continuità”. Non è mancato, infine, il grazie di mons. Nichols ad Elisabetta II per “l’accoglienza meravigliosa” a Benedetto XVI nella visita del settembre 2010 e per il riconoscimento del “contributo speciale” dato alla società dalla Chiesa cattolica. (R.P.)
Slovacchia: i vescovi criticano le nozze gay in programma a Bratislava
◊ Mons. Stanislav Zvolensky, presidente della Conferenza episcopale slovacca, ha risposto con una dichiarazione rilasciata oggi e ripresa dall'agenzia Sir, all’intenzione di due persone dello stesso sesso di contrarre matrimonio il 9 giugno al cospetto del sindaco di Bratislava, Milan Vtacnik. “Esprimo profondo rammarico per questa intenzione che relativizza l’ordine legale della Repubblica Slovacca cercando di cambiare la definizione di matrimonio”, scrive l’arcivescovo, sottolineando che i tentativi di mettere altri “tipi di relazione” sullo stesso piano del matrimonio e della famiglia vanno contro la natura stessa della società umana e “portano alla violazione delle sue basi. Invitiamo tutte le persone di buona volontà a sostenere il matrimonio e la famiglia come l’unione di un uomo e una donna. Il matrimonio naturale e le famiglie contribuiscono in maniera unica e insostituibile al bene della società e rappresentano la condizione essenziale della sua stessa esistenza”, conclude il presidente della Conferenza episcopale. (R.P.)
Polonia: agli Europei di calcio progetto "2012 palloni" per i bambini dei Paesi poveri
◊ “2012 palloni per il 2012” è il progetto dell‘opera missionaria “Ad gentes” polacca. In occasione degli europei di calcio che da venerdì si svolgeranno in Polonia e in Ucraina, per iniziativa del presidente della Commissione per le missioni dell‘episcopato polacco, mons. Jerzy Mazur, i missionari raccoglieranno fondi per portare palloni da calcio ai bambini e ragazzi nei Paesi più poveri del mondo. L‘iniziativa è del presidente della Commissione per le missioni dell‘episcopato polacco mons. Jerzy Mazur. “Per molti bambini - spiega il presule che grazie alla partecipazione di giocatori e tifosi vorrebbe promuovere l‘idea su vasta scala - giocare a calcio con un pallone vero è un grande sogno”; eppure “il calcio può unire i giovani”. L’organizzazione delle squadre e delle partite di calcio o di altre gare sportive alla fine delle celebrazioni religiose, aiuta a “testimoniare ai giovani come dimenticare le divergenze tribali, aprirsi ai compagni e imparare la lealtà”. A Madagascar i missionari polacchi ogni anno organizzano pellegrinaggi di fedeli che terminano con un campionato calcistico. I piccoli tornei di calcio sono organizzati anche dalle suore missionarie in Sudafrica dove, come afferma suor Dorota Zok, “ragazzi come premio ricevono solo un gelato ma anche solo questo lì fa sentire in famiglia che spesso non hanno”. (R.P.)
Bielorussia: al via i lavori della quinta chiesa cattolica di Minsk
◊ Una nuova chiesa cattolica sta per sorgere a Minsk, nella zona di Chizhovka, nel luogo in cui in passato sorgeva una cappella. Dopo la concessione dei permessi da parte del Comune – riferisce l’agenzia Zenit – i lavori sono iniziati con la consacrazione del terreno e la posa della prima pietra angolare. L’arcivescovo metropolita di Minsk e Mogilev, mons. Tadeusz Kondrusiewicz, che ha presieduto la messa per l’inaugurazione dei lavori, ha ricordato durante la celebrazione che questo “evento è molto importante per tutti i cattolici di Minsk. Sappiamo che sono molti – ha proseguito l’arcivescovo – ma non tutti possono venire ogni giorno nelle chiese del centro per partecipare ai sacramenti o per pregare. È quindi importante costruire un tempio in ogni distretto”. Mons. Kondrusiewicz ha anche ricordato le difficoltà che la Chiesa bielorussa ha attraversato durante il ‘900, con le reliquie saccheggiate e le chiese distrutte. “Adesso però abbiamo di nuovo diritto ad avere una fede. Nella storia del cristianesimo – ha affermato – c’è un tempo di persecuzione e un tempo di rinascita. Questo è proprio quello che è successo anche in Bielorussia”. L’edificio di culto può essere costruito grazie al contributo dell’associazione Luci sull’Est, che ha raccolto 40 mila euro in Italia per l’avvio i lavori. Il direttore dell’associazione, Silvio Dalla Valle, ha spiegato che “sostenere i fratelli dell’Est Europa che vogliono avvicinarsi al cristianesimo, dopo anni di totalitarismo ed ateismo forzato, è proprio il motivo per cui nel 1991 è nata l’associazione”. Il direttore ha concluso annunciando il rinnovato impegno affinché ci siano i fondi necessari per poter inaugurare la nuova chiesa, che verrà dedicata allo Spirito Santo, il 13 maggio 2014. (A.C.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 158