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Sommario del 30/01/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI: sostenere gli operatori sanitari nei Paesi poveri. La testimonianza del dr. Angi di Cbm
  • Udienze
  • L’uomo di oggi teme il silenzio: il commento del prof. Rivoltella al Messaggio del Papa per le comunicazioni sociali
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • La questione siriana approda all'Onu, ma le violenze continuano: decine di vittime
  • Euforia in Myanmar per la campagna elettorale di Aung San Suu Kyi
  • Somalia: il premier chiede supporto internazionale contro le violenze. Msf: è ancora emergenza umanitaria
  • Oggi i funerali di Oscar Luigi Scalfaro. Mons. Paglia: un grande credente e un grande italiano
  • Italia: il governo chiude l’Agenzia per il Terzo Settore. Olivero: scelta grave a danno della collettività
  • L'Unicef e le crisi dimenticate: piano per assistere 100 milioni di persone nel mondo
  • L'assemblea nazionale di “Religions for Peace”: impegno per pace, equità e disarmo
  • Da buddista a cristiano: il viaggio di un'anima narrato nel libro "Pescatori di uomini"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Ginevra: le Chiese europee sulle nuove sfide per le Chiese del continente
  • I vescovi dell’Africa Occidentale: promuovere la giustizia e la pace per il bene del continente
  • Somalia: 250 mila persone continuano a soffrire la fame
  • Vertice di Bruxelles: l’Ue verso la stretta sui bilanci e il Fondo salva-Stati. Timori per la Grecia
  • Il cardinale Tauran: il dialogo interreligioso "una ricchezza per le società umane"
  • Indonesia: religioni si incontrano a Jakarta per la Settimana dell’armonia
  • India: alle elezioni nell'Uttar Pradesh, provocazioni dei nazionalisti indù
  • Paraguay: esortazione dei vescovi per il dialogo e la ricerca della giustizia sociale
  • Zambia: i vescovi chiedono al governo "maggiore attenzione ai più deboli"
  • Congo: assemblea dei superiori maggiori sul tema dell'impegno sociale dei religiosi
  • Mongolia: per la Chiesa abolire la pena di morte è un grande passo nel rispetto dei diritti umani
  • Appello di leader religiosi sul programma nucleare in Sud Africa
  • Terra Santa: a Gerusalemme il III Congresso internazionale dei Commissari della Custodia
  • Parte il progetto "Libri, Ponti di Pace" per l'accesso alle biblioteche della Custodia di Terra Santa
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI: sostenere gli operatori sanitari nei Paesi poveri. La testimonianza del dr. Angi di Cbm

    ◊   “Perché il Signore sostenga lo sforzo degli operatori sanitari delle regioni più povere nell'assistenza ai malati e agli anziani”. E’ l’intenzione missionaria di preghiera di Benedetto XVI per il mese di febbraio. Sull’importanza della fede nella cura dei sofferenti, specie degli emarginati, Alessandro Gisotti ha intervistato il dottor Mario Angi, presidente di Cbm - Missioni Cristiane per i Ciechi nel Mondo:

    R. - Mi viene in mente la frase del Salmo che dice “Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori”. Mi rendo conto che gli sforzi che noi possiamo mettere in atto, pur lodevoli, pur delicati, non riescono a colmare l’immenso bisogno di aiuti che hanno i Paesi poveri. Quindi, la sensazione è che proprio ci voglia un aiuto provvidenziale, una presenza dello Spirito per poter mandare avanti i progetti e per poter aiutare le popolazioni che sono nel bisogno.

    D. - Accanto alla scienza, alla medicina, quanto è importante l’amore nella cura dei malati, soprattutto di malati in situazioni così gravi?

    R. – La percezione del rapporto umano è fondamentale nel creare una fiducia ed un afflusso dei malati all’ospedale. Ci sono degli studi che affermano che anche solo offrendo una tazza di te negli ospedali in India, si aumenta del trecento percento l’affluenza dei malati nelle strutture sanitarie che operano la cataratta! Il paziente ha bisogno di essere curato, ma anche di sentirsi persona umana, e trattata come tale dal medico.

    D. – Lei ha avuto tante esperienze in tanti Paesi: cosa le resta, pensando anche ad una crescita della fede?

    R. – Devo dire che a distanza di anni, resta il legame con delle persone e il ricordo di progetti svolti insieme. Resta soprattutto la presenza e il volto delle persone che ho incontrato: missionari, suore, bambini, anziani… Se devo portare a casa proprio un bilancio, mi vengono in mente una serie di situazioni umane, in cui mi sono messo al fianco di queste persone con le quali ho condiviso le loro necessità, ricevendo in cambio un ritorno di affetto e di umanità che tuttora mi riempie il cuore.

    D. – Cosa consiglierebbe ad un giovane medico che magari voglia impegnarsi in missione, in realtà di Paesi poveri…

    R. – La mia esperienza personale è sempre stata legata a dei missionari o persone religiose. Consiglierei di seguire un filo rosso, cioè di individuare un referente, una persona buona di cui fidarsi, con la quale ci si possa mettere in contatto per conoscere i problemi del posto. E attraverso questo primo contatto, poi si aprono una serie di possibilità. Il legame con una struttura ecclesiale, un missionario di cui fidarsi e a cui dare il proprio sostegno, è stata per me la “chiave di ingresso” in molti continenti, dal Sud America all’Africa. Quindi io consiglierei di non partire come turisti, ma partire come fratelli in Cristo appoggiandosi a un missionario. (bi)

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    Udienze

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, l’arcivescovo Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, il vescovo Javier Echevarría Rodríguez, prelato dell'Opus Dei, e il rev.do padre Richard Schenk, presidente della “Katholische Universität Eichsttät-Ingolstadt”.

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    L’uomo di oggi teme il silenzio: il commento del prof. Rivoltella al Messaggio del Papa per le comunicazioni sociali

    ◊   Silenzio e parola non sono elementi contrapposti nella comunicazione, ma devono equilibrarsi per avere “autentico dialogo” e “profonda vicinanza” tra le persone. L’invito a riflettere su luci ed ombre di una società immersa nei media arriva dal Messaggio di Benedetto XVI per la prossima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, celebrata in tutto il mondo il 20 maggio. Roberta Gisotti ha intervistato il prof. Pier Cesare Rivoltella, esperto di media, ordinario nella Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano:

    D. – Prof. Rivoltella, invocare il silenzio da parte di Benedetto XVI può apparire una provocazione in tempi saturi di parole?

    R. – Direi che non è una provocazione ma è un necessario ricordarci quello di cui abbiamo tremendamente bisogno. I media digitali, portabili e pervasivi – lo sappiamo bene – sono per noi straordinarie opportunità di lavoro, di relazione, di costruzione della nostra conoscenza, ma hanno – purtroppo – tra le tante caratteristiche di cui dispongono anche di saturare i nostri spazi ed i nostri tempi. Ci tolgono tempo, colonizzano tutti i nostri tempi, ci consegnano ad un rumore costante. Troppo rumore vuol dire non trovare più isole, spazi in cui rimanere con se stessi o anche semplicemente osservare un paesaggio. Ecco, da questo punto di vista mi sembra che il Papa colga alla perfezione uno degli elementi che spesso, nei tempi recenti, i sociologi della comunicazione hanno indicato come tipici della nostra società, e cioè la fuga dal silenzio. Le nostre società sembrano essere impegnate in una gigantesca fuga dal silenzio. Rimanere in silenzio fa paura all’uomo di oggi, e i media lo aiutano ad avere sempre compagnia.

    D. – La rete sempre più è il luogo delle domande, anche delle domande ultime sul senso della vita. “Ma l’uomo – ammonisce il Papa – non può accontentarsi di un semplice e tollerante scambio di scettiche opinioni ed esperienze di vita”, così scrive il Papa …

    R. – Certo. Io sono solito dire che il volume enorme di comunicazione che si libera quotidianamente nella rete può essere inteso come uno dei segni del bisogno religioso dell’uomo, di una religiosità immanente che spinge ad andare oltre il sé e ad aprirsi verso l’Altro: un altro con la “A” minuscola, però. E quindi sono perfettamente d’accordo che questa trascendenza immanente - se mi si consente il gioco di parole - debba poi trovare il modo di essere inverata in una Trascendenza altra, in una Trascendenza con la “T” maiuscola, solo alla luce della quale possa trovar senso. E quindi, sembra che anche questa seconda indicazione, questo richiamo del Santo Padre, sia assolutamente condivisibile e colga alla perfezione uno degli snodi dei dispositivi dell’antropologia della rete.

    D. – C’è ancora un aspetto critico che pone in evidenza Benedetto XVI, laddove nota che "l’uomo contemporaneo è bombardato – usa proprio questo termine – da risposte a quesiti che non si è mai posto e a bisogni che non avverte" …

    R. – Eh sì, è il gioco della comunicazione, fa parte del gioco della comunicazione. Nella misura in cui accedo al web, che qualcuno ha ben definito “il database dei desideri”, evidentemente io ho la possibilità di avere accesso alle rappresentazioni, alle aspirazioni, ai modelli di comportamento, agli orizzonti valoriali che molti individui e gruppi sociali si scambiano ma che si scambiano spesso anche dietro sollecitazione di altro tipo, di interessi commerciali, che sono interessi che hanno tutto il vantaggio a costruire le nostre rappresentazioni perché siano coerenti – ad esempio – con i comportamenti di consumo che ci vengono richiesti. Quindi, la pressione di conformità che la rete ci restituisce bilancia la possibilità della rete di essere anche uno straordinario spazio di libertà di espressione, ma come pure nella realtà. In fondo, il positivo e il negativo si bilanciano sempre e la criticità è sempre in agguato non appena si volta l’angolo ed è veramente l’altra faccia dell’opportunità. Opportunità e criticità non vanno mai disgiunte. Ma – mi permetto di ribadire – come in tutte le forme dell’esperienza umana.

    D. – Questo Messaggio del Papa è un invito dunque a fermarsi, in qualche modo, a non perdere l’identità in questo ambiente digitale …

    R. – E' un invito ad essere equilibrati. E’ un invito a giocare la partita della comunicazione, della relazione su tutti i tavoli. E’ un invito ad evitare chiusure unilaterali; è un invito a non focalizzarsi troppo solo sugli strumenti. E’ un richiamo – come dire – alla nostra saggezza digitale. E’ un messaggio veramente profondissimo, ricchissimo ed assolutamente aggiornato, con le indicazioni che la ricerca più recente sembra nettamente restituirci su questi temi. (gf)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Autorità significa servizio, amore e umiltà: Benedetto XVI all'Angelus invoca la pace per la Terra Santa e chiede di pregare per i malati di lebbra.

    I due telegrammi del Papa per la morte di Oscar Luigi Scalfaro; nell'informazione internazionale, articoli del vice direttore e di Marco Bellizi.

    Ricordo di un maestro: in cultura, Paolo Cherubini sul paleografio Alessandro Pratesi, per oltre vent'anni docente alla Scuola vaticana.

    Un articolo di Inos Biffi dal titolo "Chiaro come un mattino di maggio": San Giovanni Bosco secondo Paul Claudel.

    Quella predica di fuoco davanti a Rattazzi: Maria Trigila sulla cittadinanza come elemento centrale del sistema preventivo salesiano.

    Una finestra spalancata sul Cinquecento: l'introduzione di Danilo Zardin al libro che raccoglie gli Atti del convegno dedicato al vescovo di Verona Gian Matteo Giberti.

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    Oggi in Primo Piano



    La questione siriana approda all'Onu, ma le violenze continuano: decine di vittime

    ◊   “L'opposizione siriana non collabora con gli osservatori della Lega Araba presenti nel Paese”: ad affermarlo è il capo della missione araba in Siria, il generale sudanese Mustafa al-Dabi. Intanto proseguono le violenze, con scontri e decine di vittime a Daraa, Homs, Hama e nei pressi di Damasco, mentre c’è attesa per la riunione di domani al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Sarà presente pure il segretario generale dell’organismo panarabo, che chiederà ufficialmente l’intervento delle Nazioni Unite. Cosa possiamo attenderci da questo incontro? Salvatore Sabatino ne ha parlato con Marcella Emiliani, esperta di questioni mediorientali:

    R. – Si aspetta la reazione soprattutto della Russia, che finora si è opposta a qualsiasi intervento del Consiglio di Sicurezza e delle Nazioni Unite, e l’atteggiamento della Cina, perché fino a questo momento la Cina si è quasi disinteressata all’emergenza della guerra civile siriana. Chiaramente il regime di Bashar al-Assad ha approfittato di questa maretta internazionale per aumentare la sua repressione.

    D. – Al Palazzo di Vetro è atteso anche il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, che – secondo indiscrezioni – chiederà al Consiglio di sostenere la proposta araba, ovvero che il presidente Bashar al-Assad lasci il potere ad un governo di unità nazionale. Qual è il ruolo che vogliono giocare gli Stati Uniti?

    R. – Gli Stati Uniti sono rimasti abbastanza defilati in tutta questa crisi, diciamoci la verità… Non dimentichiamo, però, che la proposta della Lega Araba, quella cioè di una transizione pacifica in Siria, che garantisca una sorta di immunità a Bashar al-Assad, ai suoi parenti e a coloro che sono maggiormente compromessi con il suo regime, viene dall’emiro del Qatar: sappiamo che, oggi come oggi, la base nel Golfo Persico degli Stati Uniti è proprio il Qatar. Quindi non credo che l’emiro Al Thani si sia mosso senza aver prima consultato gli Stati Uniti. Detto in altre parole: gli Stati Uniti non vogliono comparire in prima persona in questa transizione: cosa, questa, che li metterebbe in rotta di collisione con la Russia, li metterebbe a disagio con la Cina; e quindi si nascondono dietro questo, che chiameremo tra virgolette, paravento del Qatar e della Lega Araba.

    D. – L’Iran ha chiesto che in Siria si indicano elezioni libere e si apra a un sistema partitico pluralista. Come valutare quest’appello da parte di un Paese che ha non pochi problemi con la Comunità internazionale?

    R. – La fonte da cui giunge questo appello non è certamente quella di un regime democratico: veniamo dai plateali brogli delle elezioni del 2009 per il secondo mandato di Ahmadinejad. Però va notata una cosa: fino a questo momento l’Iran aveva sostenuto a spada tratta il regime. Il fatto che faccia una proposta del genere rappresenta comunque un'apertura e rappresenta comunque bene i termini del timore che ha l’Iran e cioè che crolli all’improvviso il regime di Bashar al-Assad, lasciando così Teheran completamente isolata in Medio Oriente.

    D. – La Comunità internazionale in questi dieci mesi di violenze è rimasta spaccata sulla Siria e la Cina e la Russia si sono sempre dimostrate contrarie a delle sanzioni; gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo defilato: gli interessi evidentemente sono molto alti…

    R. – Gli interessi sono alti, perché la Siria – come sappiamo – ha in mano le chiavi della stabilità del Libano e naturalmente veder dilagare l’instabilità anche in Libano significa rendere critico il confine settentrionale di Israele da una parte e, dall’altra, c’è questa alleanza strategica che dura dal 1979 tra Siria e Iran, per cui toccare la Siria significa, naturalmente, andare a stuzzicare la bellicosità del regime iraniano che – non scordiamoci – soltanto una settimana fa ha fatto le sue brave manovre, con lanci di missili e quant’altro. Siamo veramente sull’orlo di un baratro: questo regime, isolato a livello internazionale, non credo che riesca a sopravvivere più di tanto. Il problema, però, è che nel frattempo questa guerra civile diventa sempre più crudele e il numero dei morti aumenta a dismisura: secondo le Nazioni Unite sono circa 3.500, ma io credo che siano perlomeno tre volte di più… (mg)

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    Euforia in Myanmar per la campagna elettorale di Aung San Suu Kyi

    ◊   Cresce l’euforia in Myanmar per la campagna elettorale della Lega nazionale per la democrazia, il partito che fa capo al premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. La storica oppositrice al regime militare ha ottenuto, dopo forti pressioni internazionali, l’autorizzazione a candidarsi per le elezioni suppletive del primo aprile prossimo dopo essere stata tenuta in isolamento nella propria dimora per gli ultimi 15 anni. Sui segnali di cambiamento in corso in Myanmar, Stefano Leszczynski ha intervistato Cecilia Brighi, sindacalista della Cisl esperta di questioni birmane:

    R. – Alcuni di questi segnali si sono avverati, come il cambiamento delle leggi elettorali, che hanno permesso al partito di Aung San Suu Kyi di potersi candidare. Ci sono stati dei passi in avanti che noi, come organizzazioni sindacali internazionali, consideriamo ancora non sufficienti per l’eliminazione delle sanzioni, ma comunque ci sono dei passi in avanti.

    D. – Quali sono i punti forti del programma di questo partito?

    R. – Io ho incontrato la leader birmana a dicembre e abbiamo discusso lungamente dei cambiamenti. La sua prima richiesta è l’introduzione di regole certe; quindi di uno stato di diritto e l’attuazione concreta delle leggi. La prima è quella sulla liberazione dei prigionieri politici che ancora oggi possono essere rimessi in carcere; la possibilità che tutti i dissidenti che sono fuori possano rientrare con delle certezze nel Paese; la costruzione di una politica economica che sia sostenibile e che permetta veramente l’eliminazione della povertà; la possibilità per i lavoratori di organizzarsi anche sindacalmente.

    D. – Qual è lo stato d’animo della popolazione?

    R. – Gli abitanti della Birmania confidano molto nella leadership di Aung San Su Kyi, che ritengono sia ancora oggi un punto di riferimento, non solo formale, ma sostanziale, per il suo impegno ed anche per la sua capacità di intervenire sulle questioni reali del Paese. Quindi, questa grande partecipazione alle manifestazioni che si stanno svolgendo in questi giorni per il lancio della campagna elettorale rappresenta proprio questa speranza di cambiamento che la gente vuole vedere realizzarsi.

    D. – Un eventuale cambiamento in Birmania che ricadute potrebbe avere a livello regionale?

    R. – Ci sarà probabilmente un riequilibrio nelle dinamiche economiche, se appunto alcune questioni fondamentali si attueranno: una politica economica, una politica fiscale trasparente, uno Stato federale che dia maggiore potere e autonomia agli Stati etnici e, appunto, la possibilità che i soggetti sociali possano veramente contribuire alla costruzione di una nuova strategia politica economica, che porti dignità, giustizia sociale e crescita al Paese. Se si realizzeranno gli elementi fondamentali che chiede Aung San Suu Kyi – apertura politica, libertà vera, stato di diritto con l’autonomia della magistratura e del sistema giudiziario – forse si potrà parlare veramente di un cambiamento epocale nel Paese.(ap)

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    Somalia: il premier chiede supporto internazionale contro le violenze. Msf: è ancora emergenza umanitaria

    ◊   Contro il terrorismo serve un supporto internazionale per elaborare strategie comuni, nell'intelligence e nella logistica degli interventi militari. Così, il premier somalo Abdiweli Mohamed Ali, in visita a Roma. La presenza di Al Qaeda e degli Al Shaabab nel Paese è un problema regionale e globale, per questo – ha aggiunto – a febbraio, a Londra si terrà una conferenza internazionale sulla questione. Intanto, la Somalia è ancora sotto shock per l’uccisione, sabato, a Mogadiscio, del giornalista Hassan Osman Abdi - direttore del network "Shabelle" e proprietario di una delle radio più popolari del Paese - e per l’ennesimo attacco ad un ufficio delle Nazioni Unite a Bulo Hubey, nel distretto di Wadajir dove due persone, sono rimaste gravemente ferite. In questo scenario "Medici Senza Frontiere", presente nel Paese dal 1991, ha deciso di chiudere il progetto nella capitale dopo l’uccisione di due operatori, nel dicembre scorso. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Sergio Cecchini responsabile comunicazione di "Mfs Italia":

    R. – A Mogadiscio c’è una situazione di violenze e insicurezza costante; c’è un susseguirsi di attentati, giovedì scorso abbiamo registrato un attacco suicida in un campo sfollati di Mogadiscio; ci sono in corso scontri in diversi luoghi della capitale somala. L’uccisione dei nostri due operatori umanitari, a fine dicembre, rappresenta semplicemente l’apice di quella che è una situazione di insicurezza elevatissima: forse uno dei contesti più pericolosi in cui intervenire oggi.

    D. – Due operatrici di nazionalità spagnola sono tuttora nelle mani dei sequestratori?

    R. – Diciamo che risultano tuttora scomparse, disperse… Sono state rapite ad inizio ottobre nel campo rifugiati di Dadaab, che si trova in Kenya e - sappiamo - che sono state portate in Somalia. Quindi "Medici Senza Frontiere" è pesantemente toccata dal livello di insicurezza presente nel Paese, ma cerchiamo comunque in tutti i modi di poter restare lì.

    D. – Le violenze sono dunque un problema, ma altro fronte drammatico sono la carestia e le epidemie?

    R. – Quello che ci preoccupa sono le condizioni di salute della popolazione somala. In particolare, abbiamo rapporti di casi di epidemie e di morbillo nella zona di Haranka, che è quaranta chilometri a Nord di Jilib: stiamo cercando di avviare delle azioni per vaccinazioni contro il morbillo. Ma ci sono anche casi di malnutrizione: l’emergenza nutrizionale è esplosa nella scorsa primavera e continua a registrare casi di malnutrizione molto gravi. Stiamo quindi intensificando anche quest’altro tipo di attività in oltre 11 zone del Paese. C’è da dire che, dal ’91 ad oggi, la Somalia è un Paese che non ha un sistema sanitario, che non ha delle autorità sanitarie; è un Paese estremamente diviso tra varie comunità, tra vari gruppi armati e il lavoro delle organizzazioni umanitarie non viene minimamente rispettato.

    D. – Riuscite a coordinarvi con l’Onu e con il governo federale di transizione?

    R. – Da località a località cambiano radicalmente i referenti e gli attori sul campo: ovviamente il tipo di coordinamento cambia a seconda della zona di intervento. Comunque, con tutti gli attori che sono sul campo - sia con le agenzie internazionali delle Nazioni Unite, sia autorità locali – manteniamo un livello di coordinamento. Soprattutto – è quello che riscontriamo – è la popolazione somala che ci chiede di rimanere, perché sono pochissime le organizzazioni presenti sul campo.

    D. – Secondo la vostra esperienza cosa serve in concreto sul terreno?

    R. – Serve che tutte le parti si muovano sul contesto somalo, garantiscano la protezione delle organizzazioni umanitarie e di tutti quei soggetti che cercano di portare aiuto alla popolazione somala. Non c’è alcun motivo di colpire operatori sanitari, di colpire operatori umanitari che sono lì per assistere la popolazione somala. Fare questo significa non solo colpire le organizzazioni umanitarie, ma soprattutto impedire alla popolazione somala bisogna di aiuto, di riceverlo, di poter essere assistita. (mg)

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    Oggi i funerali di Oscar Luigi Scalfaro. Mons. Paglia: un grande credente e un grande italiano

    ◊   Si tengono oggi, alle 14, nella chiesa di Santa Maria in Trastevere a Roma, i funerali del presidente emerito della Repubblica italiana, Oscar Luigi Scalfaro, morto nella notte tra sabato e domenica all’età di 93 anni. Le esequie saranno presiedute da mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni e assistente spirituale della comunità di Sant' Egidio, che con queste parole ricorda, al microfono di Antonella Palermo, il presidente Scalfaro:

    R. – Un cattolico dai tratti anche tradizionali, una pietà mariana profonda, nutrita peraltro dalla scrittura, dall’esempio di Santi a lui molto cari e anche da un attento amore per i poveri. Scalfaro ha preso proprio forza da questa fede per un servizio disinteressato al Paese. In effetti, è stato un grande servitore del Paese e non di se stesso. Per questo, la sua profonda fede è stata la ragione della sua profonda azione politica per il bene di tutti. A me ha fatto impressione, ieri mattina, quando sono andato al suo capezzale, vedere sul comodino, accanto al suo letto, la corona del Rosario, la Bibbia, le fonti francescane e la Costituzione. Vorrei dire che qui c’è tutto Scalfaro: un uomo, fino ai suoi ultimi giorni, legato a Dio e al Paese; un grande credente e un grande italiano.

    D. – In che modo Scalfaro era legato alla Comunità di Sant’Egidio?

    R. – Il presidente, da vari decenni, aveva preso l’abitudine di venire alla Messa nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, tutte le domeniche. Da lì è nata un’amicizia che poi è continuata nel tempo, con un testimone così prezioso di credente e di grande italiano. Via, via l’approfondimento di questo rapporto ha fatto nascere un’amicizia profonda, che ha portato lui e tanti di noi della Comunità a vivere momenti davvero straordinari.

    D. – Un modello per i cattolici in politica oggi...

    R. – Non c’è dubbio. Quando aveva 26 anni e il vescovo lo chiamò perché si impegnasse in politica, lui era riluttante. Ma il vescovo gli disse: “Oggi c’è bisogno di essere lì in frontiera, perché è necessario ricostruire l’Italia, distrutta dalla guerra e dal fascismo”. Io credo che con tutte le differenze, ovviamente, ci sia un’analogia con i tempi di oggi. E’ indispensabile che i cattolici oggi sentano la responsabilità di ricostruire un Paese che rischia di essere lacerato da egoismi e di ridare una forza, un’energia all’Europa. Un mondo senza Europa sarebbe un mondo molto, molto più povero e più a rischio di conflitti.

    D. – Il nostro direttore, padre Federico Lombardi, ha ricordato Oscar Luigi Scalfaro, sottolineando come lui abbia dimostrato efficacemente come si possa essere allo stesso tempo profondamente credenti e convinti assertori, nel suo caso anche massimi garanti, dei valori comuni fondanti della vita civile e politica del Paese...

    R. – Negli ultimi decenni della sua vita, potremmo dire che questo sia stato una sorta di leit motiv: mostrare una fede senza se e senza ma, una fede schietta, chiara. Io ricordo quando lui raccontava che in Parlamento l’allora, anche lui, giovane deputato La Pira iniziava i suoi interventi facendosi il segno della croce. Nello stesso tempo, però, questa fede così schietta non impediva loro di difendere lo Stato, di difendere la Costituzione, di difendere il Parlamento con una determinazione senza precedenti, in questo senso profondamente religioso e profondamente laico, perché questa dinamica si incardinava nella libertà, nella dignità dell’uomo.

    D. – Scalfaro si è molto adoperato – ha ricordato Benedetto XVI – proprio per la promozione del bene comune...

    R. – Io credo che questa sia una delle lezioni che tutti dobbiamo apprendere: sia chi ricopre cariche politiche, sia chi ricopre cariche di altra natura, comprese anche quelle ecclesiastiche. Io credo che oggi sia decisivo per tutte le istituzioni che vivono in questo nostro Paese, guardare innanzitutto al bene comune di tutti. In questo il cristianesimo ha una forza in più, perché il cristiano sa che non si può salvare da solo: il cristiano si salva se unito ad un popolo. E potremmo trasferire questa dinamica della fede anche al nostro Paese: l’Italia si salverà se tutte le istituzioni avranno la fantasia, il coraggio di intraprendere un cammino comune e non separato. (ap)

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    Italia: il governo chiude l’Agenzia per il Terzo Settore. Olivero: scelta grave a danno della collettività

    ◊   L'Agenzia per il terzo settore, insediata a Milano dieci anni fa, chiuderà. Lo ha annunciato nei giorni scorsi il ministro del Lavoro, Elsa Fornero. L’ente era preposto ad esercitare poteri di indirizzo e vigilanza delle organizzazioni non lucrative, ma da circa tre anni operava senza risorse. Si tratta dell’ennesimo colpo per la cooperazione sociale già nel mirino dei tagli delle ultime manovre economiche. Per un commento sulle misure del governo e le conseguenze per la cittadinanza, Marco Guerra ha intervistato Andrea Olivero, portavoce del Forum del Terzo Settore:

    R. – Non approviamo assolutamente questa scelta del governo, che – a parere nostro – è sbagliata sia nel merito, sia nel metodo: se da un lato certamente comprendiamo la necessità di andare a fare risparmio in questo momento, dall’altro non ci sono riesami da fare riguardo al mondo del Terzo Settore, in particolare riguardo questa agenzia che si va a tagliare. Va detto che è uno strumento utilissimo e che costa poco al Paese. Quelle funzioni che attualmente svolge l’agenzia ci attendiamo che, in ogni caso, non vadano perse e questo nell’interesse della collettività, nel senso di un soggetto che vada a svolgere insieme funzioni di vigilanza, ma anche di promozione perché la nostra realtà è una realtà che in qualche misura in questi anni è cresciuta, ma che ha bisogno di essere tutelata e garantita nella crescita. Ci sembra strano che questo governo, che proprio sul tema della trasparenza sta facendo moltissimo, non abbia capito qual è la portata della scelta che sta compiendo.

    D. – La crisi ha portato molti tagli anche al Terzo Settore: si tratta di un momento per riprogrammare il vostro lavoro o si rischia il colpo di grazia a molte organizzazioni di utilità sociale?

    R. – Purtroppo si sta andando più verso la seconda ipotesi. Certamente avere meno risorse pubbliche, talvolta, può anche essere utile per andare a costruire dei sistemi sani, virtuosi e non assistenzialistici. Però attenzione perché quando il pubblico si ritira così repentinamente, come sta facendo oggi, chiaramente non dà la possibilità ai cittadini di trovare forme sussidiarie autentiche per andare a crescere. Noi crediamo sia necessario mettere mano al più presto a un’analisi completa del sistema di welfare e poi ad un sistema di riforme. Questo proprio per far sì che i tagli che ci sono e con i quali dobbiamo fare i conti non vadano però a colpire i soliti noti e non vadano a distruggere quel patrimonio di solidarietà che nel tempo abbiamo costruito nel nostro Paese.

    D. – No profit e il volontariato hanno sostituito lo Stato in molti servizi essenziali, rivolti soprattutto alle categorie più deboli come anziani, minori e famiglie a basso reddito. Cosa rischiano oggi questi soggetti con questi tagli?

    R. – Rischiano moltissimo! Noi abbiamo già denunciato nelle settimane scorse che molti servizi essenziali dal primo gennaio stanno scomparendo: assistenza domiciliare; assistenza agli anziani, anche nelle strutture e nelle Rsa; alcuni comuni stanno denunciando l’impossibilità a continuare a pagare le integrazioni rette; tutte le attività educative per i giovani, per i giovani a rischio; l’integrazione degli stranieri. Tutte cose molto concrete che si sono bloccate a partire dal primo gennaio, in quanto i fondi che erano stati utilizzati in questi anni, per queste attività, sono venuti meno. Non sono forse questi gli elementi cruciali della nostra coesione sociale? Noi ci domandiamo se non sarebbe più opportuno andare a verificare in questo momento se ci sono altri tagli che si possono fare e che incidano meno sulle persone già deboli e che, in qualche misura, già hanno pagato un prezzo altissimo per la crisi che stiamo vivendo. (mg)

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    L'Unicef e le crisi dimenticate: piano per assistere 100 milioni di persone nel mondo

    ◊   Assistere quasi cento milioni di persone, soprattutto donne e bambini. Strapparli dalla morsa delle carestie e dei conflitti armati, salvarli dagli orrori degli abusi sessuali e delle nuove schiavitù. E’ questo l’obiettivo che l’Unicef ha deciso di raggiungere nel 2012, lavorando su oltre 25 emergenze nel mondo: dalla Somalia alla Repubblica Democratica del Congo, da Haiti al Ciad. Crisi sulle quali governi e mezzi di comunicazione hanno da tempo spento i riflettori, ma che occorre al più presto risolvere, come spiega Paola Bianchi, presidente di Unicef Italia, al microfono di Federico Piana:

    R. – Oggi, contiamo tantissime emergenze silenziose cosiddette “dimenticate”, che riguardano 25 Stati tra cui anche Haiti, che rientra ormai in queste emergenze di secondo piano, e che riguardano circa cento milioni di persone. Allora, per affrontare le questioni rimaste vive dalle emergenze, per il 2012 l’Unicef internazionale, ha lanciato un appello per un miliardo e 280 milioni di dollari.

    D. – Quali sono le crisi sulle quali state puntando maggiormente la vostra attenzione?

    R. – Intanto, parliamo di Africa: nel Corno d’Africa, dove l’emergenza legata alla carestia ha mietuto oltre 750 mila vittime, soprattutto bambini, e soprattutto l’area della Somalia dove esistono anche dei conflitti armati, le cui vittime non sono legate esclusivamente alla malnutrizione. Per esempio, nella Repubblica Democratica del Congo, dove da tempo si vive una condizione di conflittualità molto forte, si registra un fenomeno inquietante: quello dei "bambini di strada". I bambini di strada sono quei bambini che per diverse ragioni, si separano dalla famiglia, e che quindi si trovano alla mercé di chiunque. Spesso sono bambini invisibili, cioè, se spariscono se ne fa tratta, non lasciano traccia, non lo sa nessuno. E questo dà adito al traffico dei bambini, allo sfruttamento del loro lavoro, all’utilizzo dei loro organi. Insomma, sono questioni veramente raccapriccianti, ma è quello che accade e che può accadere. Noi dobbiamo prevenire questo rischio. I bambini di strada sono per esempio una realtà che esiste anche in Bangladesh, dove sono stata e ho toccato con mano questa esperienza.

    D. – Alla base di tutte queste tragiche realtà c’è la povertà, l’indigenza...

    R. – I problemi sono legati a catena l’uno all’altro. Si parte da una condizione di indigenza, di povertà, per poi arrivare, a catena, a tutto il resto.

    D. - Quali sono i modi per aiutare l’Unicef ad intervenire su questi fronti?

    R. – Il sito internet dell’Unicef www.unicef.it, attraverso il conto corrente postale 70045000 e poi contattando i nostri punti di incontro che si trovano in tutte le province d’Italia. (bi)

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    L'assemblea nazionale di “Religions for Peace”: impegno per pace, equità e disarmo

    ◊   “L’altro come valore. Facilitare la conoscenza e l’accoglienza reciproca per un’Italia più solidale e più aperta al futuro”, è il tema della Assemblea nazionale di “Religions for Peace” (Wrfp), che si è svolta ieri a Roma presso la “Casa Accoglienza” del Complesso ospedaliero “San Camillo”. Il servizio di Davide Dionisi:

    Costruire relazioni positive con gli immigrati e le minoranze, contribuire a un’evoluzione democratica e pluralista delle rivoluzioni esplose in Nord Africa grazie all’iniziativa dei giovani per affermare la propria dignità e richiedere libertà. E ancora: favorire la corresponsabilità di fronte alla grave crisi strutturale che investe Italia, Europa e Stati Uniti, fino a non molto tempo fa forze trainanti dell’economia mondiale. Questi gli argomenti principali dell'assemblea nazionale di “Religions for Peace”: un impegno concreto da condividere anche con coloro che non si riconoscono in prospettive religiose, per estendere il rispetto concreto dei diritti umani, per contrastare le varie forme di povertà e per il disarmo degli arsenali nucleari. Ma quali sfide attendono il Movimento all’indomani dell’assemblea nazionale? Ce lo spiega Luigi De Salvia, segretario generale della sezione italiana di “Religions for Peace”.

    R. – Nel nostro Paese, in particolare ci proponiamo intanto di creare l’accoglienza delle specificità religiose, anche all’interno dei luoghi di cura, per esempio: questo è un modo concreto per dare un segno di rispetto della dignità della persona, valorizzando le proprie tradizioni e valorizzando il momento spirituale come centrale anche per la cura. Poi, anche all’interno delle scuole ci sembra importante questo lavoro di incoraggiare all’apertura: non dobbiamo considerare così automatico il fatto di accogliere persone diverse per cultura. Certe volte, sottovalutiamo quello che c’è di più profondo, di perplessità, di preoccupazione, di fronte a qualcosa che non si conosce. Il risentimento, l’avversione, sono dinamiche forti e importanti: quindi, lavorare in positivo per facilitare, per far conoscere e per affrontare le piccole o grandi contraddizioni che sorgono, ci sembra centrale. Quando persone di religioni diverse danno testimonianza che si può lavorare insieme sui valori condivisi, già danno credibilità.

    D. - Quali sono le difficoltà che incontrate nel promuovere la cultura del dialogo e della cooperazione, ovvero i punti attorno ai quali ruota gran parte della vostra attività?

    R. – Con un approccio che tiene conto anche delle difficoltà e delle resistenze, in realtà, non si incontrano grandi difficoltà. Spesso, le difficoltà nascono quando proprio persone che si ritengono più aperte - che sembrano non avvertire problemi di fronte alla diversità - sottovalutano le perplessità degli altri e si crea quasi un’arroganza da parte di chi è più aperto. Anche questo crea difficoltà: il non rispettare posizioni un po’ più tradizionali, anche tradizionaliste. Queste difficoltà vanno capite. Certe volte, atteggiamenti un po’ impazienti e antirazzisti creano più difficoltà di quanto si creda.

    D. - Quanto sono interessati i giovani al vostro progetto?

    R. – Vedo che c’è un grosso interesse ai vari livelli. Nei confronti dei giovani bisogna trovare anche le vie più adatte e incontrare i loro temi specifici. Uno di quelli più importanti è il terreno dello sport. Noi siamo coinvolti con altre associazioni in iniziative nelle quali - per esempio il calcio, in particolare a Roma, ma l’esperienza di calcio sociale, che è nata un po’ dal basso, si sta estendendo anche in altre città - attorno all’esperienza sportiva si cerca di creare integrazione e formazione. Tra l’altro, anche esplicitamente, questi giovani poi concludono il torneo con i cosiddetti incontri di spiritualità, nei quali vogliono incontrare persone con sensibilità e tradizioni diverse. (bf)

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    Da buddista a cristiano: il viaggio di un'anima narrato nel libro "Pescatori di uomini"

    ◊   Una trasferta di lavoro che si trasforma in un viaggio dell’anima: è questa l’esperienza di Giovanni Lin Hsin-yi, collega cinese della Radio Vaticana e autore del libro “Pescatori di uomini. Storie della missione di Matsu”. Nell’opera, l’autore racconta di come il cordiale e disinteressato incontro con una religiosa cattolica, da 25 anni missionaria sull’isola dello stretto di Taiwan, abbia acceso in lui una scintilla che più avanti lo porterà a lasciare il buddismo per abbracciare il cristianesimo. Il libro narra, inoltre, le storie dei tanti missionari sbarcati sull’isola di Matsu dal 1944 a oggi. L’intervista a Giovanni Lin è di Alessandro De Carolis:

    R. – Sono andato nell’Isola di Matsu – è un’isola di militari – per fare un’intervista ad alcuni soldati, che mi hanno raccontato il loro incontro con delle suore. Ero curioso e sono andato a vedere questo posto. Lì c’è una chiesa. Quando sono andato, la prima volta, ho incontrato questa suora: si chiama suor Madeleine Severens, però la gente dell’isola la chiama “Mumu”, che vuol dire “mamma”. Suor Madeleine è lì da 23 anni e ha fatto nascere quasi tutti i bambini dell’Isola di Matsu. E’ una donna molto semplice, con un amore molto puro e grande nel cuore. Per me, il primo incontro con questa suora è stato come racconta Giovanni nel suo Vangelo, il primo incontro con Gesù. L’anno che ho passato su questa isola è per me indimenticabile: lo ricordo ancora oggi, dopo 10-11 anni.

    D. – E quindi, questo amore ha contagiato anche te, che eri di religione buddista?

    R. – Sì. In quel momento ero ancora buddista. Poi, ho letto la “Conversione” di Sant’Agostino e l’esempio di questa suora mi ha toccato tanto… Poi, ho vissuto un anno sull’Isola di Matsu per scrivere il libro sulla vita di suor Maddalena. Le ho chiesto: cosa devo scrivere in questo libro su di te? Lei mi ha risposto: “Basta una sola parola: che Dio è amore”. E dopo aver scritto questo libro ho deciso che volevo diventare cristiano, e così ho ricevuto il Battesimo proprio nella chiesetta di questa isola.

    D. – In questo libro ci sono tante altre storie: quelle dei missionari e delle missionarie cristiane che hanno portato il Vangelo sull’isola…

    R. – Questa Isola è un po’ speciale. E’ molto pacifica, al momento, perché è sotto il governo di Taiwan, non della Cina. Ho chiesto una volta a suor Maddalena perché lei vivesse su quell’isola. Lei mi rispose: “Sono qui soltanto per portare l’amore di Dio alla gente”. E’ difficile evangelizzare il popolo cinese soltanto con le parole: invece, fare le cose con amore, questo tocca il cuore della gente. (gf)

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Ginevra: le Chiese europee sulle nuove sfide per le Chiese del continente

    ◊   I cristiani delle diverse confessioni presenti in Europa devono portare avanti una testimonianza comune nei confronti delle nuove sfide spirituali, demografiche, politiche ed economiche che il vecchio continente si trova oggi ad affrontare. E’ quanto emerso dalla riunione del Comitato congiunto della Conferenza delle Chiese europee (Kek) e del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), che si è svolta dal 26 al 28 gennaio a Ginevra. Quest'anno si è celebrato anche il 40 ° anniversario della creazione, nel 1972, del Comitato congiunto, che è l'organo supremo per il dialogo tra Kek e Ccee, e si incontra ogni anno. Nel suo discorso di apertura, il presidente della Kek, il metropolita Emmanuel di Francia, ha descritto l'attuale crisi economica come una delle questioni "che sollevano interrogativi circa la capacità dell'Europa di realizzare una politica sostenibile per l'Unione europea". Il presidente del Ccee, cardinale Péter Erdő, ha descritto l'impegno ecumenico come una necessità che deve coinvolgere tutti i cristiani, piuttosto che l'opera di pochi esperti. Tra i relatori, Alister McGrath, docente di teologia al King’s College di Londra, ha descritto lo sviluppo di una posizione laica o "atea" in Europa, che vede la religione come una questione privata che non dovrebbe avere un impatto sulla sfera pubblica. Secondo McGrath le istituzioni religiose sono state coinvolte in un clima di sospetto generale da altre istituzioni quali governi, banche e imprese "a causa del loro potere, della mancanza di trasparenza, degli interessi in gioco, e del loro atteggiamento sconsiderato nella gestione finanziaria". Mentre si osserva un diffuso interesse per la "spiritualità", quest’ultima è vista come una questione personale e individuale, non necessariamente legata all’istituzione di appartenenza. Giancarlo Blangiardo, docente di demografia presso l'Università Milano-Bicocca, si è concentrato invece sulle sfide demografiche che le Chiese e la società si trovano ad affrontare. Blangiardo ha messo in evidenza un calo significativo del tasso di natalità nei paesi europei, che si va a combinare con l'invecchiamento della popolazione. Tali sviluppi implicano sfide importanti per i sistemi di welfare europei. Allo stesso tempo, i cambiamenti demografici stanno portando a nuovi modelli di vita familiare. “I tassi delle unioni matrimoniali era caduti un po' dovunque negli ultimi 40 anni - ha detto -, mentre è aumentato il numero dei bambini nati fuori dal matrimonio”. Ha perciò esortato le Chiese a cercare il modo di rafforzare la famiglia. La vice-presidente della Kek Cordelia Kopsch, della Germania, ha parlato invece della diminuzione del numero dei fedeli in molti Paesi e delle risorse finanziarie. Ha invitato le Chiese a "resistere alla tentazione di ridurre la loro presenza nella sfera pubblica, perché è in gioco la credibilità della loro testimonianza agli occhi dell’opinione pubblica". Anche per mons. Matthias Heinrich, vescovo ausiliare di Berlino, è importante “la testimonianza dei cristiani nel loro ambiente di lavoro e di vita così come la presenza della Chiesa nella sfera pubblica". “La Chiesa dovrebbe approfittare delle opportunità, come la collaborazione con i media laici, essendo presente nei campi dell'istruzione e della cultura”, ha concluso Mons. Heinrich. Il Comitato congiunto ha espresso la sua solidarietà nei confronti dei cristiani che stanno vivendo situazioni difficili in altre parti del mondo, in particolare in Medio Oriente, e specialmente in Egitto e in Siria, e ha espresso la propria viva preoccupazione per le vittime della violenza in Nigeria. (R.P.)

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    I vescovi dell’Africa Occidentale: promuovere la giustizia e la pace per il bene del continente

    ◊   Promuovere la riconciliazione, la giustizia e la pace in Africa, guardando alla Chiesa come famiglia di Dio: è questo il nucleo del Messaggio finale dei vescovi della Recowa-Cerao (Conferenza episcopale regionale dell’Africa Occidentale), pubblicato a conclusione della loro prima Assemblea costitutiva. La Plenaria, tenutasi a Yamoussoukro, in Costa d’Avorio, si è conclusa ieri, dopo sei giorni di lavoro incentrati sul tema “La Chiesa, Famiglia di Dio, nell’Africa dell’Ovest al servizio della Riconciliazione, della Giustizia e della Pace”. Nel documento, la Recowa-Cerao si dice “determinata a superare tutte le forme di divisione gli ostacoli presenti nella Chiesa e nella società”, in nome “del bene comune, della sussidiarietà e della collaborazione, che sono fattori-chiave della missione episcopale nella regione”. Una missione, si legge ancora nel documento, che deve articolarsi sia “ad intra”, ossia nella Chiesa stessa, che “ad extra”, ovvero al di fuori della Chiesa: “In quest’ottica, la Recowa-Cerao è pronta a promuovere sacerdoti e consacrati più convinti ed impegnati nel loro compito”, perché “la missione di riconciliazione, giustizia e pace deve cominciare in seno alla comunità ecclesiale”. Centrale, quindi, “lo sviluppo di un programma tematico e pedagogico per permettere alla Chiesa di mettere in atto il suo insegnamento sociale nelle famiglie, nelle comunità cristiane di base, nelle scuole, nei seminari, nelle università, negli istituti superiori e in tutti i centri pastorali cattolici nella regione”. “Gli imprenditori e i politici cattolici – continuano i presuli – saranno formati in quest’ambito”. Quanto alla “missio ad extra”, essa deve affrontare “le questione sociali con tutti i cristiani, gli islamici e le religioni tradizionali africane”, nell’ottica della “solidarietà pastorale”. Poi, lo sguardo della Chiesa occidentale africana si allarga per lanciare un appello ai dirigenti politici, affinché “guardino il loro compito come una chiamata ad un servizio, piuttosto che un’occasione per fare uso della forza bruta, dell’egoismo sfrenato e della corruzione”. La Recowa-Cerao è, quindi, fortemente critica nei confronti dell’alto tasso di criminalità e per il mancato rispetto della legge che si riscontrano nella società locale e che “costituiscono una violazione dei diritti umani”: esortando il governi “a far applicare la normativa sulla circolazione illegale di armi e droga”, i presuli africani condannano le rapine, i rapimenti, gli attentati e gli atti di terrorismo, richiedendo il loro sradicamento. Un paragrafo specifico del Messaggio episcopale è poi rivolto ai giovani, definiti “protagonisti del cambiamento e leader di domani”: a loro i vescovi chiedono di “restare fedeli e rispettosi della legge e a non lasciarsi coinvolgere nella criminalità”; in particolare, i giovani cattolici sono invitati a “partecipare attivamente ai movimenti religiosi come un mezzo per coltivare delle profonde virtù civiche”. Altrettanta attenzione la Recowa-Cerao la riserva alla “recrudescenza del fondamentalismo” e al “terrorismo in nome della religione”, due “fenomeni orribili dagli effetti nefasti” che “i capi religiosi cristiani, musulmani od esponenti delle religioni tradizionali africane” devono “condannare nettamente”, soprattutto quando perché la religione non deve essere usata “per favorire il fanatismo, che attenta ai diritti e alle libertà altrui”. Invitando, inoltre, le parrocchie, le comunità di base e le diocesi ad essere “veri modelli della Chiesa-famiglia di Dio” ed esempi “di riconciliazione, giustizia e pace”, la Chiesa occidentale africana chiede di organizzare, in tempo di Quaresima, una Settimana di riconciliazione, poiché “soltanto attraverso uno spirito di perdono diventiamo noi stessi strumenti di risanamento per l’umanità”. Per tutti i Paesi della regione in cui si riscontrano violenze – come la Nigeria, la Guinea Conakry, la Guinea Bissau e la Costa d’Avorio – i vescovi suggeriscono uno studio attento dell’Esortazione apostolica post-sinodale ‘Africae Munus’, siglata da Benedetto XVI nel novembre 2011, con l’obiettivo di “approfondire la missione evangelizzatrice, così da diventare strumenti migliori di riconciliazione, giustizia e pace”. Alla popolazione della Costa d’Avorio in particolare, Paese che ha ospitato l’Assemblea, la Recowa-Cerao esprime la sua vicinanza, auspicando che i processi giudiziari in corso, seguiti alle violenze post-elettorali del 2010, possano svolgersi in modo equo e giusto, così che il Paese possa giungere ad una riconciliazione “grande, solida e duratura”, tornando ad essere “una vetrina della democrazia in Africa”. E ancora, i vescovi dell’Africa occidentale richiamano l’attenzione sulla lotta “all’etnocentrismo e alla xenofobia, presenti anche in alcune parrocchie e comunità diocesane della regione”: “Non deve esserci nessun tipo di discriminazione – ribadiscono i presuli – che sia basata sulla fede, la razza, il genere o il censo, perché siamo tutti figli di Dio e, di conseguenza, fratelli e sorelle”. Infine, durante i lavori, l’Assemblea ha eletto i suoi responsabili, tra cui il presidente, l’arcivescovo di Dakar, card. Théodore-Adrien Sarr; il vicepresidente, mons. Ignatius Kaigama, vescovo di Jos, e il segretario generale, l’ivoriano padre Ocraviouas Yipagtou Moo. (A cura di Isabella Piro)

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    Somalia: 250 mila persone continuano a soffrire la fame

    ◊   Dopo una pausa di diversi mesi, in Somalia sono scoppiati nuovamente scontri e faide tra clan e, tra il 16 e il 19 gennaio, sono morte otto persone. Nel Paese oltre alla mancanza di sicurezza si registra anche un aggravamento dell’inflazione. Il costo del mais - riferisce l'agenzia Fides - è infatti aumentato del 15% nel corso degli ultimi due mesi, e sono 250 mila le persone che soffrono ancora la fame. Da luglio 2011, grazie al supporto dell’associazione internazionale Sos Villaggi dei Bambini, impegnata nell’accoglienza di minori orfani o temporaneamente allontanati dalle famiglie, sono state salvate oltre 78 mila persone colpite dalla carestia, attraverso la fornitura di servizi medici, cibo, acqua e altri generi di prima necessità. L’obiettivo è raggiungerne 100 mila nei prossimi mesi, soprattutto in seguito alla partenza forzata di 16 Ong dal Paese. L’ospedale ‘Sos’ rimane chiuso e il ‘Centro Medico temporaneo Sos’ riceve dai 400 ai 600 pazienti al giorno. Più di 7.300 sono gli sfollati interni curati ogni mese nel campo rifugiati di Badbado a Mogadiscio. Grazie a programmi di alimentazione terapeutica e di vaccinazione per curare diarrea, morbillo e malaria, attivati nei Centri, sono stati salvati migliaia di bambini e di mamme. In Etiopia, a Gode, prosegue la distribuzione di cibo e di prodotti di depurazione dell’acqua. A Marsabit, in Kenya, ogni giorno 3 mila bambini vengono nutriti grazie al programma di alimentazione scolastica ‘Sos’. L’acqua potabile viene fornita regolarmente alle scuole e ai villaggi e quasi 2 mila famiglie usufruiscono di farmaci gratuiti e voucher per procurarsi cibo e viveri nei negozi. (R.P.)

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    Vertice di Bruxelles: l’Ue verso la stretta sui bilanci e il Fondo salva-Stati. Timori per la Grecia

    ◊   L’obiettivo di questo primo vertice di Bruxelles è ormai noto: discutere sulle scelte che possano rendere più politica e non solo monetaria l’Unione Europea, in modo da offrire un supporto di maggiore credibilità e una nuova governance come auspicato dal premier italiano, Mario Monti, e dai suoi colleghi il cancelliere tedesco, Angela Merkel, e il presidente francese, Nicolas Sarkozy. Si parlerà del "fiscal compact", ovvero la stretta sui bilanci a cui dovrebbero aderire tutti i Paesi membri ad eccezione di Gran Bretagna e Polonia. Quindi, spazio al Fondo salva-Stati per il quale la Germania, secondo varie fonti, sarebbe disponibile a superare i 500 miliardi di euro. Attenzione anche a crescita e occupazione. Sotto la lente d’ingrandimento ci sono l’Irlanda e il Portogallo, ma la questione critica resta la Grecia, l’irrisolto nodo dell’accordo con i creditori e il possibile commissariamento di Atene da parte di Berlino, anche se il premier Papademos si è detto fiducioso forte del pieno sostegno del suo governo. Parte bene Parigi, che contro la crisi mette in campo le sue migliori risorse, annunciate ieri sera dal presidente francese Sarkozy: dall’aumento dell’Iva all’introduzione della Tobin Tax, la creazione di una banca per l’industria, nonché un giro di vite sul mercato del lavoro. Basso, però, l’entusiasmo dei mercati. Le borse europee aprono tutte in calo, Milano perde lo 0,74 per cento, nonostante il risultato positivo dell’asta dei Btp a 10 anni: il Tesoro ha infatti collocato due miliardi di titoli con rendimento al 6 per cento. Lo spread tra titoli italiani e tedeschi resta invece oltre quota 430 punti base. (A cura di Cecilia Seppia)

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    Il cardinale Tauran: il dialogo interreligioso "una ricchezza per le società umane"

    ◊   “Gratitudine e solidarietà” sono state espresse dal presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, il cardinale Jean Louis Tauran, ai delegati diocesani del Servizio nazionale per le relazioni con l’Islam (Sri) che ieri, a Chevilly-Larue (Parigi), hanno chiuso il loro incontro nazionale. Provenienti da oltre 50 diocesi del Paese, i partecipanti per tre giorni hanno dibattuto su temi come Islam e media e relazioni tra cristiani e musulmani in Francia. Il cardinale Tauran, in un messaggio ripreso dall'agenzia Sir, ha espresso la sua gratitudine, agli oltre 80 delegati presenti, “per il tempo dedicato al dialogo con la sola ambizione di progredire nella fiducia reciproca e nell’eliminazione dei pregiudizi che ancora troppo spesso indeboliscono la qualità dei nostri incontri”. “A volte – si legge nel testo – le vostre intenzioni male interpretate o gli sforzi di tanti anni messi in pericolo da eventi o da giudizi affrettati, possono generare in voi stanchezza e scoraggiamento. Ma sappiate che non siete soli, siete nella mani di Dio”. “E’ importante – prosegue il messaggio – che i nostri concittadini possano vedere che il dialogo interreligioso è una ricchezza per le società umane: credenti che, nel rispetto delle loro differenze, sono in grado di ascoltare, apprezzare ciò che è buono e bello, in altri sono profeti di speranza e dicono che è possibile vivere insieme”. (R.P.)

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    Indonesia: religioni si incontrano a Jakarta per la Settimana dell’armonia

    ◊   Un evento di grande importanza avrà luogo a febbraio negli ampi spazi dell’ Indonesian Parliament House (Dpr) a Senayan, Jakarta centrale. Si intitola: “La settimana dell’armonia mondiale fra le fedi”. Quest’anno il Consiglio interreligioso indonesiano (Irc) organizzerà l’evento, alla cui origine c’è la volontà del re di Giordania, Abdullah II, espressa il 23 settembre 2010 durante l’Assemblea generale dell’Onu a New York. Il segretario di “Religioni per la pace in Indonesia”, Theophilus Bela, ha dichiarato all'agenzia AsiaNews che durante l’evento avranno luogo numerosi appuntamenti. Il 5 febbraio avrà luogo una discussione aperta con i giovani attivisti interreligiosi; e questo forum si terrà presso il quartier generale della seconda più grande organizzazione islamica del Paese, la Muhammadiyah nel centro di Jakarta. Il 10 febbraio invece nel compound dell’ Indonesian Parliament House i partecipanti all’incontro assisteranno alla cerimonia dell’insediamento di alcuni alberi della pace. E il 12 febbraio una lunga lista di protagonisti del dialogo interreligioso si rivolgeranno al pubblico con discorsi e riflessioni. Tutte le maggiori organizzazioni religiose parteciperanno all’avvenimento: il Consiglio musulmano indonesiano (Mui), la Conferenza dei vescovi indonesiana (Kwi), il Sinodo protestante cristiano (Pgi) il Nahdlatul Ulama (Nu), Muhammadiyah, l’organizzazione indù Parisadha Hindu Dharma, la comunità buddista indonesiana (Walubi) e l’alto Consiglio indonesiano Kongchu. L'Indonesia è da tempo scossa da episodi di violenza verso le minoranze cristiane e ahmadi, anche se la maggioranza della popolazione pratica un islam moderato. (R.P.)

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    India: alle elezioni nell'Uttar Pradesh, provocazioni dei nazionalisti indù

    ◊   In vista delle imminenti elezioni per il rinnovo del Parlamento locale in Uttar Pradesh (stato dell’India settentrionale), che avranno inizio il 4 febbraio, il partito nazionalista indù “Baratiya Janata Party” (Bjp), fiancheggiatore dei gruppi estremisti indù responsabili delle violenze sui cristiani e sulle altre minoranze religiose, infiamma gli elettori con un “Manifesto” che, notano fonti locali dell'agenzia Fides, “strumentalizza la religione a fini di consenso elettorale”. Il “Manifesto” del Bjp, annuncia di voler costruire un tempio al Dio Rama nel controverso sito di Ayodhya e di voler escludere le minoranze religiose dalla quota del 4,5% dei posti riservati alla caste più basse nella Pubblica amministrazione. Nella campagna elettorale per le Assemblee parlamentari locali che - dopo il voto appena tenutosi negli Stati di Manipur e Punjab - tocca gli Stati di Uttarakhand e Uttar Pradesh (nel complesso oltre 140 milioni di cittadini), il Bjp chiama a raccolta tutte le forze violente del “comunitarismo”, che si ispirano all’ideologia dell’hindutva, che vorrebbe “l’India agli indù” ed è contraria a un’India laica e tollerante. Per far leva sugli elettori, il Bjp resuscita l’annosa questione di un terreno nella città di Ayodhya, conteso fra la comunità indù e quella musulmana. Nel 1992, in un tragico attacco che fece oltre 2.000 morti musulmani, una folla di militanti indù distrusse la moschea che vi sorgeva, rivendicando la antecedente presenza di un tempio indù dedicato al Dio Rama. Dopo un ricorso legale, nel 2010 la questione è stata congelata da un tribunale e il sito è ora diviso in tre parti. Il Manifesto del Bjp, inoltre, annuncia la creazione di uno specifico “Ministero per le caste”, mostrando quanto i partiti religiosi indù ancora credano nel sistema castale. I cristiani ribadiscono di voler dare un contributo costruttivo ad un’India laica e tollerante, che garantisca la libertà di fede e i diritti di tutti i cittadini, ma esprimono preoccupazioni per il risorgere della violenza religiosa, opera di gruppi estremisti indù. Come riferito a Fides, in un incontro tenutosi a Bangalore (Stato del Karnataka) – dove dall’1 all’8 febbraio si svolge anche l’Assemblea plenaria dei vescovi indiani – i leader dell’associazione cristiana “All India Christian Council” (Aicc) hanno lanciato un nuovo allarme per i cristiani e un appello all’unità dei fedeli “per fermare le forze del comunitarismo settario”, chiedendo a tutti di “difendere la verità e la giustizia, facendo risplendere la luce di Dio”. I cristiani in India, rimarca il “Catholic Secular Forum” (Csf), altra Ong cristiana, stigmatizzano l’estremismo religioso ma rispettano profondamente la religione induista e sono aperti al dialogo interreligioso. Lo dimostra un recente episodio: il Csf ha criticato pubblicamente una emittente televisiva americana di Chicago, del circuito Nbc, poiché un commentatore ha definito le divinità indù “strane”. Il cristiani indiani invitano al rispetto di tutti i simboli religiosi e a non ferire i sentimenti dei credenti di altre religioni. (R.P.)

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    Paraguay: esortazione dei vescovi per il dialogo e la ricerca della giustizia sociale

    ◊   “È necessario ed urgente che le autorità del Paraguay si assumano le proprie responsabilità nel riordinare il caos relativo alla proprietà terriera nel Paese”: è quanto scrive la Conferenza episcopale del Paraguay (Cep), in una nota pubblicata ieri. Nel documento, i vescovi esprimono la loro preoccupazione “per la situazione di tensione, conflitto e tentativi di violenza che si registrano nell’Alto Paranà a causa della questione terriera”. La necessità di una riforma agraria che porti allo sviluppo rurale del Paraguay è un problema “di lunga data”, sottolinea la Cep, e che “fino ad ora non ha trovato risposte soddisfacenti da parte delle istituzioni responsabili. La ricerca e la costruzione del bene comune – incalzano i vescovi – è una responsabilità di tutti gli attori sociali, ma soprattutto è compito dello Stato, perché il bene comune è la ragione d’essere dell’autorità politica”. Per questo, la Chiesa chiede che “il conflitto per le terre nella zona dell’Alto Paranà” sia risolto delle autorità nazionali e locali “attraverso la riconciliazione, la pace e la ricerca di soluzioni giuste ed eque”. Richiamando, poi, il principio secondo il quale “Dio creò la terra e tutto ciò che essa contiene per l’uso di tutti gli uomini e i beni creati devono arrivare a tutti in forma uguale”, i vescovi del Paraguay affermano: “La proprietà privata non è un diritto assoluto, ma è subordinata all’uso comune”. Di qui, l’esortazione alle autorità affinché elaborino “un catasto nazionale delle terre che permetta il recupero di quelle assegnate in modo errato e la giusta titolazione delle proprietà”. Allo stesso tempo, la Cep auspica “una politica di sviluppo rurale integrale, la quale richiede un sostegno tecnico e finanziario, infrastrutture, sanità, educazione, lavoro ed industrializzazione delle campagne, per permettere il radicarsi delle famiglie rurali”. Infine, “consapevoli che la questione agraria è complessa e che richiede l’azione coordinata delle autorità civili per costruire uno Stato sociale di diritto”, i vescovi del Paraguay concludono la loro nota ricordando che “la pace è sempre frutto del dialogo, della giustizia, dell’equità e dello sviluppo integrale come un’opportunità per tutti i cittadini”. (A cura di Isabella Piro)

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    Zambia: i vescovi chiedono al governo "maggiore attenzione ai più deboli"

    ◊   I vescovi dello Zambia si dicono contrari al rimpatrio forzato dei rifugiati rwandesi che vivono nel Paese e condannano i casi di abusi contro i bambini. È quanto emerge da un’articolata Lettera pastorale, giunta all’agenzia Fides, nella quale la Conferenza episcopale dello Zambia fa il punto della situazione del Paese e dei rapporti tra Stato e Chiesa. I vescovi notano che “finora, le nostre relazioni con il nuovo governo sono cordiali. Vorremmo ribadire ciò che abbiamo sempre detto ai governi precedenti. La nostra voce profetica sulle questioni nazionali è motivata dal nostro obbligo divino e dal desiderio di vedere il governo operare per il bene del Paese e avere successo”. I presuli esprimono apprezzamento per quanto fatto dal governo per combattere la corruzione, ma chiedono però uno sforzo maggiore, anche per evitare il fenomeno del nepotismo nella nomina dei dirigenti pubblici. Sulla questione dei rifugiati rwandesi, i vescovi affermano che “dall’indipendenza, lo Zambia è sempre stato un'oasi di pace in mezzo ad una regione in conflitto. Di conseguenza lo Zambia è diventato un rifugio per i profughi. Siamo quindi fortemente turbati dalle lamentele dei rifugiati, specialmente quelli dal Rwanda, secondo cui il Ministero degli Interni, d'intesa con il Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ed eventualmente con il governo rwandese, starebbe cercando di rimpatriare forzatamente i rifugiati rwandesi”. Tra i problemi sociali del Paese, i vescovi segnalano l’aumento delle violenze sulle donne e gli abusi sui bambini, definiti “atti indecenti e disumani”. Particolarmente grave rimane la diffusione dell’Aids e del virus Hiv, che “devasta le famiglie e costituisce una delle maggiori minacce alla nostra sopravvivenza, sia come nazione che come continente”. Sul piano economico, i vescovi chiedono una migliore distribuzione della ricchezza derivante dallo sfruttamento delle risorse minerarie del Paese, dove non sono infrequenti proteste sociali. “Siamo consapevoli che gli scioperi frequenti e i disordini industriali del Paese sono sintomi di insoddisfazione e ingiustizia nei rapporti di lavoro” afferma la Conferenza episcopale. “Si deve bloccare la tendenza, iniziata nei primi anni ‘90 con la liberalizzazione dei sindacati, che ha portato conseguenze non volute come quella di indebolire le organizzazioni dei lavoratori”. (R.P.)

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    Congo: assemblea dei superiori maggiori sul tema dell'impegno sociale dei religiosi

    ◊   “Nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc), la vita consacrata ha da sempre accompagnato la nascita della Chiesa particolare”: lo ha sottolineato nel discorso di apertura dell’Assemblée des Supérieurs Majeurs (Asuma) e dell’Union des Supérieures Majeures (Usuma), Suor Charlotte Sumbamanu, presidente nazionale dell’Usuma. Tracciando la storia delle due conferenze che raggruppano gli Istituti di vita consacrata rispettivamente maschili (Asuma) e femminili (Usuma) che operano nella Repubblica Democratica del Congo, suor Sumbamanu ha ricordato che la creazione di questi due organismi è avvenuta subito dopo la creazione della gerarchia nella Repubblica Democratica del Congo, nel 1959, circa un anno prima della sua indipendenza (30 giugno 1960). La costituzione di Asuma e Usuma rientra, secondo suor Sumbamanu, nel disegno dell’allora cardinale Joseph Albert Malula, arcivescovo di Kinshasa, di creare “una Chiesa congolese in uno Stato congolese. Dopo 50 anni di indipendenza, che non hanno offerto niente di concreto al nostro popolo - ha rimarcato suor Sumbamanu - la democrazia sembra oggi essersi bloccata. Si sta affermando una classe politico-economica molto forte che non lascerà nulla alla maggioranza della popolazione e la povertà diventa sempre più evidente. La Chiesa, con i suoi servizi sociali e le sue congregazioni, non potrà mai offrire a tutti questi poveri ciò che il modo di governare lo Stato finirà per togliere loro definitivamente. Occorre evitare che una falsa vocazione apolitica ci renda complici di un ordine sociale ingiusto o del tutto inumano. - ha ribadito - La nostra missione profetica ci obbliga a dare un seguito a questa preoccupazione”. La religiosa ha concluso auspicando che il prossimo cinquantenario delle due associazioni, “sia per le persone di vita consacrata della Rdc, a dispetto delle attività esteriori certamente molto lodevoli, il cinquantenario dell’interiorità in vista della santità” e ha invitato a pregare per la canonizzazione della Beata Anuarite Nengapeta, la religiosa congolese rapita dai guerriglieri Simba che preferì la morte pur di non violare il voto di castità, beatificata il 15 agosto 1985 da Papa Giovanni Paolo II durante il suo secondo viaggio apostolico nell’allora Zaire. (C.S.)

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    Mongolia: per la Chiesa abolire la pena di morte è un grande passo nel rispetto dei diritti umani

    ◊   “L’abolizione della pena di morte dall’ordinamento dello Stato rappresenta un passaggio epocale per la nazione e un momento cruciale per il rispetto dei diritti umani nel Paese”: è quanto ha dichiarato all’agenzia Fides mons. Wenceslao Padilla, prefetto apostolico di Ulaanbaatar in Mongolia che esprimendo il plauso di tutta la Chiesa, ha salutato la decisione come "un passo fondamentale per il rispetto della dignità umana e dei diritti basilari della persona, come quello alla vita". Il 5 gennaio scorso il Parlamento della Mongolia ha approvato l’adozione del “Secondo Protocollo Opzionale” al “Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici”. L’adesione al trattato impegna infatti il Paese, di fronte alle Nazioni Unite e alla Comunità internazionale, a non fare più ricorso alla pena di morte. Determinante nell’ottenere tale risultato è stata la mobilitazione popolare attuata anche grazie alla Comunità di Sant’Egidio, con iniziative politiche e culturali nelle scuole e nelle università, con campagne mediatiche e raccolte di firme. Grazie al consenso della società civile, è stato superato l’ostacolo più duro: l’opposizione dei deputati del Partito Rivoluzionario del Popolo Mongolo, maggioritario in Parlamento, in un primo tempo determinati a difendere la pena capitale. “Le sfide principali che ancora ci attendono- ha detto mons. Padilla - e che incidono sulla tutela dei diritti individuali, sono la lotta alla corruzione, alla disoccupazione, alla violenza, ma anche trasparenza nella gestione della vita pubblica". La piccola comunità cattolica, circa 700 fedeli, portando i valori del Vangelo, contribuisce a promuovere in Mongolia il rispetto della persona, il diritto alla vita, il diritto all’istruzione”. (C.S.)

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    Appello di leader religiosi sul programma nucleare in Sud Africa

    ◊   Un appello a promuovere sempre di più uno sviluppo sostenibile è stato recentemente lanciato dai dirigenti del Southern African Faith Communities’ Environment Institute (Safcei), un’organizzazione a carattere interreligioso per la difesa dell’ambiente che riunisce i leader di comunità cristiane, indù e musulmane. Nel messaggio, in particolare, si fa riferimento ai rischi legati all’utilizzo dell’energia nucleare e ai costi elevati delle sue tecnologie. Questi fattori, secondo l’organizzazione, richiedono una riflessione da parte delle autorità governative. Il Sud Africa sta infatti perseguendo un piano di sviluppo energetico a lungo termine che prevede anche la costruzione di centrali elettriche con generatori che sfruttano l’energia atomica. La catastrofe della centrale di Fukushima, in Giappone, l’11 marzo 2011, è stata richiamata come esempio dai dirigenti del Safcei «per aumentare la consapevolezza sui rischi dell’energia nucleare». Essi hanno inoltre sottolineato che «le circostanze dell’incidente nucleare avvenuto a Fukushima è improbabile che possano ripetersi in Sud Africa», tuttavia, «fintanto che noi esseri umani riteniamo di essere immuni dai disastri naturali e dagli errori, è possibile che guasti imprevedibili possano verificarsi e i disastri possano accadere di nuovo». A conclusione dell’appello, firmato del religioso anglicano Geoff Davies in qualità di direttore esecutivo del Safcei, si sottolinea che «i rischi e i costi del nucleare ricadranno soprattutto sulle nuove generazioni». (T.C.)

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    Terra Santa: a Gerusalemme il III Congresso internazionale dei Commissari della Custodia

    ◊   Da oggi a sabato 4 febbraio si svolgerà a Gerusalemme il III Congresso internazionale dei Commissari di Terra Santa, evento che si svolge ogni sei anni e che richiamerà da ogni parte del mondo 110 commissari, veri e propri "ambasciatori" della Custodia di Terra Santa nelle diverse Province di appartenenza. Il programma, secondo quanto riferisce la Custodia, è articolato in XXI sessioni di lavoro incentrate sulla situazione economica della Custodia e il contributo dei Commissari, “riflessione dettata dalla situazione di crisi e di incertezza economica globale, a motivo della quale anche la Custodia di Terra Santa si trova ad affrontare maggiori difficoltà”, le nuove strategie di comunicazione della Custodia e gli aspetti pastorali e pratici dell'animazione dei pellegrinaggi. Allo studio la realizzazione di una guida di lavoro che aiuti i Commissari ad attuare le indicazioni fornite dal Governo custodiale e ad offrire un servizio qualificato alla Terra Santa e ai pellegrini che la visitano. Il Congresso - riferisce l'agenzia Sir - produrrà inoltre un documento conclusivo dei lavori, anch'esso predisposto da un'apposita Commissione, nel quale saranno indicati i punti assunti come impegno dalle parti coinvolte, la Custodia e i Commissariati. (R.P.)

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    Parte il progetto "Libri, Ponti di Pace" per l'accesso alle biblioteche della Custodia di Terra Santa

    ◊   Valorizzare il patrimonio librario delle biblioteche francescane di Gerusalemme e delle altre sedi della Custodia di Terra Santa in Egitto, Siria, Rodi, Cipro. E’ l’obiettivo del nuovo progetto “” dell’Associazione pro Terra Sancta, che intende rendere accessibile
    la biblioteca del convento di San Salvatore, quella dello Studium Biblicum Francisanum di Gerusalemme e le altre gestite dalla Custodia di Terra Santa, perché possano essere, per le generazioni future, uno strumento di approfondimento, di dialogo e di pace. La , la più antica tra le biblioteche della Custodia di Terra Santa, e probabilmente una delle più antiche di Gerusalemme, custodisce
    manoscritti e
    incunaboli di grande valore, oltre a collezioni rare, ad esempio la ricca raccolta di itinerari di Terra Santa. Lo
    Studium Biblicum Franciscanum dispone invece di una biblioteca specializzata, aperta al pubblico, contenente circa 50 mila volumi e 420 riviste. I settori principali sono: archeologia, studi biblici, patristica, giudaismo, oriente antico e itinerari di Terra Santa. Tra le altre, poi, la
    , che si trova all’interno del Centro Francescano di Studi Orientali Cristiani, è un punto di riferimento per le ricerche sulle
    comunità e le
    Chiese arabe e orientale. Grazie al progetto “”, riferisce il portale www.proterrasancta.org, potranno offrire un vasto patrimonio culturale ad appassionati, esperti e studiosi. (T.C.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 30

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli.