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Sommario del 27/01/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa alla Dottrina della Fede: ecumenismo nella verità, cristiani uniti per riportare Dio all'uomo
  • Benedetto XVI nomina tre nuovi nunzi apostolici
  • Davos. Il cardinale Turkson parla della creazione di un Forum mondiale sull'etica
  • Negoziati Israele-Santa Sede: “progressi sostanziali”. Le speranze di mons. Franco
  • Mons. Zimowski sulla lotta alla lebbra: i malati sono in calo ma il mondo non smetta di aiutarli
  • Olocausto. Padre Lombardi: non possiamo e non dobbiamo dimenticare
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Nigeria: migliaia di cristiani in fuga dal nord dopo gli attacchi di Boko Haram
  • Prigionieri torturati in Libia: Medici Senza Frontiere via dal carcere di Misurata
  • Il presidente afghano Karzai ieri in Italia. Accordo di cooperazione con il premier Monti
  • Giornata della memoria: l'epopea di un superstite di Auschwitz
  • Giornata della memoria. A Roma uno spettacolo sull'asservimento della cultura al regime fascista
  • "No" del Consiglio d'Europa all'eutanasia. Commenti di mons. Giordano e Carlo Casini
  • Consiglio permanente Cei. Mons. Crociata: la crisi attuale è principalmente crisi di fede
  • Seimila bambini in meno nel 2011 in Italia. Forum delle famiglie: non s'investe sulle nuove generazioni
  • Mobilitazione contro la violenza sulle donne in italia. Conclusa la visita dell'esperto dell'Onu
  • A San Giovanni in Laterano la seconda delle letture teologiche sulle omelie pasquali del Papa
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Corno d’Africa: ogni giorno muoiono tra 100 e 200 bambini con meno di 5 anni
  • Siria: attivisti denunciano oltre 60 vittime nelle ultime 24 ore
  • Iraq: oltre 30 morti nell’attacco a un corteo funebre a Baghdad
  • Egitto: uccisi padre e figlio copti. Il vescovo Kyrollos chiede protezione al governo
  • Giorno della memoria in Israele: dai cattolici di espressione ebraica "dolore e riconoscenza"
  • Kenya: appelli alla pacificazione dei cristiani dopo le prime incriminazioni per le violenze 2007-08
  • “La Chiesa contribuisce a un India migliore”: così i vescovi alla vigilia dell'Assemblea generale
  • Sri Lanka: i vescovi dello Sri Lanka contro la legge pro aborto
  • Porto Alegre. La Rousseff al Forum: cambiare modello per uno sviluppo sostenibile
  • Repubblica Dominicana: oltre 300 mila bambini costretti a lavorare per sopravvivere
  • Congo: Msf denuncia la mancanza di fondi per il trattamento dei sieropositivi
  • Canada: il Sinodo dei vescovi greco-cattolici ucraini a Winnipeg per il 100.mo dell'arcieparchia
  • Chiese europee: è il pastore Guy Liagre il nuovo segretario generale della Kek
  • Il Cisde chiede l’instaurazione della tassa sulle transazioni finanziare
  • Italia: è mons. Francesco Antonio Soddu il nuovo direttore della Caritas
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa alla Dottrina della Fede: ecumenismo nella verità, cristiani uniti per riportare Dio all'uomo

    ◊   La crisi della fede è la più grande sfida per la Chiesa di oggi: per questo è più che mai necessaria l'unità dei cristiani. Così, in sintesi, il Papa che stamani ha ricevuto in udienza, nella sala Clementina in Vaticano, circa 70 partecipanti alla plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede. Benedetto XVI si è soffermato su alcuni aspetti del cammino ecumenico, sul quale ha riflettuto la stessa plenaria del dicastero in coincidenza con la conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei cristiani. Il servizio di Debora Donnini:

    “Siamo davanti ad una profonda crisi di fede” in vaste zone del mondo, “ad una perdita del senso religioso che costituisce la più grande sfida per la Chiesa di oggi”. Parte da questa considerazione il Papa sottolineando che la priorità nell’impegno della Chiesa intera deve essere “il rinnovamento della fede”:

    “Auspico che l’Anno della fede possa contribuire, con la collaborazione cordiale di tutti i componenti del Popolo di Dio, a rendere Dio nuovamente presente in questo mondo e ad aprire agli uomini l’accesso alla fede, all’affidarsi a quel Dio che ci ha amati sino alla fine, in Gesù Cristo crocifisso e risorto”.

    Un compito, questo, strettamente legato al tema dell’unità dei cristiani. Benedetto XVI si sofferma su alcuni aspetti dottrinali che riguardano il cammino ecumenico della Chiesa, sul quale ha riflettuto la stessa plenaria della Congregazione in coincidenza con la conclusione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. I dialoghi ecumenici, ricorda, hanno portato “non pochi buoni frutti” ma esige “la nostra vigilanza” il rischio di “un falso irenismo e di un indifferentismo, del tutto alieno alla mente del Concilio Vaticano II”:

    “Questo indifferentismo è causato dall’opinione sempre più diffusa che la verità non sarebbe accessibile all’uomo; sarebbe quindi necessario limitarsi a trovare regole per una prassi in grado di migliorare il mondo. E così la fede sarebbe sostituita da un moralismo senza fondamento profondo. Il centro del vero ecumenismo è invece la fede nella quale l’uomo incontra la verità che si rivela nella Parola di Dio”.

    “Senza la fede – prosegue il Papa – tutto il movimento ecumenico sarebbe ridotto ad una forma di ‘contratto sociale’ cui aderire per un interesse comune mentre la logica del Concilio Vaticano II è diversa: “la ricerca sincera della piena unità di tutti i cristiani è un dinamismo animato dalla Parola di Dio, dalla Verità divina che ci parla in questa Parola”.

    Per il Pontefice, “il problema cruciale” nei vari dialoghi ecumenici è “la questione della struttura della rivelazione – la relazione tra Sacra Scrittura, la Tradizione viva nella Santa Chiesa e il Ministero dei successori degli Apostoli come testimone della vera fede”. Qui è implicita, sottolinea ancora, “la problematica dell’ecclesiologia che fa parte di questo problema: come arriva la verità di Dio a noi”. E fondamentale, fra l’altro, è qui il discernimento tra la Tradizione e le tradizioni. E Benedetto XVI ricorda che “un importante passo di tale discernimento” è stato compiuto nell’applicazione dei provvedimenti per gruppi di fedeli provenienti dall’anglicanesimo, che desiderano entrare nella piena comunione della Chiesa, conservando le proprie tradizioni spirituali, liturgiche e pastorali, che sono conformi alla fede cattolica. Il Papa riconosce, infatti, “una ricchezza spirituale nelle diverse Confessioni cristiane, che è espressione dell’unica fede e dono da condividere e da trovare insieme nella Tradizione della Chiesa”.

    Un’altra questione fondamentale è quella dei “metodi adottati nei vari dialoghi ecumenici”, che devono anche questi riflettere “la priorità della fede”:

    "In questo senso, occorre affrontare con coraggio anche le questioni controverse, sempre nello spirito di fraternità e di rispetto reciproco”.

    Bisogna anche “offrire un’interpretazione corretta di quell’ordine o 'gerarchia' nelle verità della dottrina cattolica, rilevato nel Decreto Unitatis redintegratio". Il Papa poi sottolinea la rilevanza dei “documenti di studi” prodotti dai vari dialoghi ecumenici ribadendo però che sono contributi offerti alla competente autorità della Chiesa che “sola è chiamata a giudicarli in modo definitivo”. Ascrivergli invece “un peso vincolante o quasi conclusivo delle spinose questioni dei dialoghi”, senza la valutazione dell’Autorità ecclesiale, “in ultima analisi, non aiuterebbe il cammino verso una piena unità nella fede”.

    Per Benedetto XVI sarà anche importante parlare “con una voce sola” sulle “grandi questioni morali circa la vita umana, la famiglia, la sessualità, la bioetica, la libertà, la giustizia e la pace”. E questo attingendo alla Scrittura e alla tradizione della Chiesa. “Difendendo – dice – i valori fondamentali della grande tradizione della Chiesa, difendiamo l’uomo, difendiamo il creato”.

    Quindi il Papa auspica collaborazione fra la Congregazione per la Dottrina della Fede e il Pontifico Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani per “promuovere efficacemente il ristabilimento della piena unità fra tutti i cristiani”. La divisione fra i cristiani, infatti, è di scandalo al mondo e si oppone alla volontà di Cristo, conclude il Pontefice ricordando che l’unità è “non solo il frutto della fede” ma anche “un mezzo e quasi un presupposto per annunciare in modo sempre più credibile la fede a coloro che non conoscono ancora il Salvatore”.

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    Benedetto XVI nomina tre nuovi nunzi apostolici

    ◊   Benedetto XVI ha nominato Nunzio Apostolico in Zambia il Rev.do Mons. Julio Murat, Consigliere di Nunziatura, elevandolo in pari tempo alla sede titolare di Orange, con dignità di Arcivescovo. Il Rev.do Mons. Julio Murat è nato a Karsiyaka (Turchia) il 18 agosto 1961. È stato ordinato sacerdote il 25 maggio 1986 ed incardinato a Izmir. Si è laureato in Diritto Canonico. Entrato nel Servizio diplomatico della Santa Sede il 1° gennaio 1994, ha prestato successivamente la propria opera presso le Rappresentanze Pontificie in Indonesia, Pakistan, Bielorussia, Austria e infine nella Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato. Conosce le seguenti lingue: italiano, francese, inglese, tedesco, greco.

    Il Papa ha nominato Nunzio Apostolico nelle Isole Salomone il Rev.do Mons. Santo Gangemi, Consigliere di Nunziatura, elevandolo in pari tempo alla sede titolare di Umbriatico, con dignità di Arcivescovo. Il Rev.do Mons. Santo Gangemi è nato a Messina, il 16 agosto 1961. È stato ordinato sacerdote il 28 giugno 1986 ed incardinato a Messina. Si è laureato in Storia Ecclesiastica. Entrato nel Servizio diplomatico della Santa Sede il 1° luglio 1991, ha prestato successivamente la propria opera presso le Rappresentanze Pontificie in Marocco, Italia, Romania, Cuba, Cile, Francia, Spagna e nella Repubblica Araba di Egitto. Conosce le seguenti lingue: francese, spagnolo e inglese.

    Il Pontefice ha nominato Arcivescovo tit. di Monteverde il Rev.do Mons. Luciano Russo, Consigliere di Nunziatura, affidandogli allo stesso tempo l’ufficio di Nunzio Apostolico. Il Rev.do Mons. Luciano Russo è nato a Lusciano (Caserta), il 23 giugno 1963. È stato ordinato sacerdote il 1° ottobre 1988 ed incardinato ad Aversa. È laureato in Diritto Canonico. Entrato nel Servizio diplomatico della Santa Sede il 1° luglio 1993, ha prestato successivamente la propria opera presso le Rappresentanze Pontificie in Papua Nuova Guinea, Honduras, Siria, Brasile, Paesi Bassi, Stati Uniti d'America, Honduras e in Bulgaria. Lingue conosciute: francese, inglese, spagnolo.

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    Davos. Il cardinale Turkson parla della creazione di un Forum mondiale sull'etica

    ◊   “Il Forum mondiale persegue l’idea di fondo per cui è possibile portare etica e morale anche in un’arena pubblica, al fine di orientare gli argomenti e i colloqui e gli affari di direttori e presidenti”. Lo ha affermato il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, il cardinale Peter Turkson, che in questi giorni si trova a Davos, in Svizzera, sede del Forum economico mondiale. Parlando a margine dell’incontro al quale partecipano delegati delle grandi religioni mondiali, il porporato ha detto che a Davos “è nata l’idea di indire un Forum mondiale sull’etica”, che permetta “di incidere sui giovani e di mettere a frutto il loro potenziale”.

    La generazione precedente, ha osservato, “è stata fortemente incentrata sull’edificazione del concetto di ‘Stato’, di ‘nazione’”, mentre “ora la globalizzazione in qualche modo costringe a considerare l’interconnessione e l’interrelazione tra nazioni e popoli, e quindi – ha soggiunto – la preoccupazione del passato sul concetto di Stato e sull’integrità dello Stato, lentamente sta cedendo il passo” all’impatto dovuto al parziale decadere del precedente concetto. “Questo per noi è un segnale importante”, osserva il cardinale Turkson, che ha ricordato la pubblicazione della Dichiarazione sulla riforma del sistema economico e finanziario mondiale. “Uno degli appelli che abbiamo lanciato – ha detto – si riferiva a quanto la globalizzazione sia enfatizzata nell’interconnessione e nell’interrelazione tra le persone. Per questo – ha proseguito – in un contesto a sviluppo globale, “dobbiamo pensare al mondo come a un’autorità politica, anch’essa in evoluzione”. (A cura di Alessandro De Carolis e Gloria Fontana)

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    Negoziati Israele-Santa Sede: “progressi sostanziali”. Le speranze di mons. Franco

    ◊   “Si sono registrati progressi sostanziali su questioni significative”: è quanto afferma un comunicato congiunto a conclusione della plenaria della Commissione Bilaterale Permanente di Lavoro tra la Santa Sede e lo Stato di Israele che si è riunita ieri a Gerusalemme. Al centro dei negoziati, svoltisi “in una atmosfera aperta, amichevole e costruttiva”, un paragrafo dell’Accordo fondamentale firmato nel 1993 e riguardante materie economiche e fiscali. L’incontro è stato presieduto da mons. Ettore Balestrero, sotto-segretario per i Rapporti della Santa Sede con gli Stati, e dal vice-ministro degli Esteri israeliano Danny Ayalon. Era presente anche mons. Antonio Franco, nunzio apostolico in Israele. Adriana Masotti lo ha intervistato:

    R. – Ci sono stati progressi veramente sostanziali che ci fanno sperare che in tempi ragionevolmente brevi si possa arrivare alla conclusione di questo accordo, che tratta tutti gli aspetti pratici della vita e dell’attività della Chiesa in Israele: quindi tasse, Luoghi santi e rimangono soltanto poche altre questioni sulle quali dobbiamo ancora lavorare, ma in questo spirito di trovare risposte alle problematiche concrete.

    D. – Si può dire che c’è stato un progresso anche nel clima e nella disponibilità…

    R. – Il progresso è dovuto al fatto – credo – che questi lunghi anni di negoziato ci hanno portato ad una maggiore conoscenza reciproca e quindi direi pure ad una maggiore fiducia. Il lavoro è stato costruttivo, l’atmosfera è stata positiva e questo perché stiamo lavorando già da diversi mesi a quelle che sono le nostre attese, a quelle questioni che ci stanno a cuore e che sono vitali per la vita stessa della Chiesa. Le abbiamo presentate, abbiamo esposto le nostre ragioni, abbiamo ricevuto – diciamo – comprensione riguardo alla necessità di dare una risposta. Abbiamo fatto quindi progressi sostanziali.

    D. – Quali sono oggi le speranze e le difficoltà dei cristiani di Terra Santa?

    R. – L’ansia, la perplessità, la difficoltà è che questa pace non si vede vicina. Le difficoltà sono comuni - sia da parte palestinese, sia da parte israeliana - perché della mancanza di pace soffrono tutti e due i popoli. Quando si è poi una minoranza in luoghi in cui sono presenti già altre difficoltà, chi si sente in minoranza incontra anche maggiori difficoltà: le difficoltà relative alla casa, le difficoltà di movimento, le difficoltà anche relative ad un inserimento sociale a pieno diritto. Queste sono difficoltà che vengono sperimentate, quindi, un po’ da tutti e i cristiani ne risentono in modo particolare proprio perché sono minoranza. (mg)

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    Mons. Zimowski sulla lotta alla lebbra: i malati sono in calo ma il mondo non smetta di aiutarli

    ◊   I successi si qui ottenuti nella lotta contro il Morbo di Hansen non facciano calare l’attenzione internazionale verso i malati di lebbra, che necessitano ancora oggi di sostegno umano e di integrazione sociale. A invocarlo è il presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, l’arcivescovo Zygmunt Zimowski, nel suo Messagggio per la 59.ma Giornata mondiale sulla lebbra, che verrà celebrata domenica prossima. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    “Mycobacterium Leprae” dice poco, “Morbo di Hansen” sicuramente di più. Ma dietro il nome tecnico della scienza si agita ancora il fantasma di un male, la lebbra, che sebbene non più temuto come in passato, continua a spaventare al solo evocarlo per la sua capacità di violare la bellezza essenziale del corpo umano. Sono circa 200 mila – e in calo – i nuovi contagiati, secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità. Mons. Zimowski riporta il dato ma non abbassa la guardia. “I successi sin qui ottenuti, in termini di forte riduzione del numero di infettati, non esimono certamente i governi e gli organismi internazionali – scrive – dall’aumentare l’attenzione e il lavoro contro la diffusione della lebbra né dalle loro responsabilità per quanto riguarda la prevenzione, in termini educativi e igienicosanitari, e la ‘riammissione’ della persona guarita nonché il sostegno a tutte le vittime dell’infezione”.

    Questo dell’aiuto alle vittime della lebbra è un punto che sta particolarmente a cuore al responsabile del dicastero vaticano della pastorale sanitaria. Il quale guarda a chi dal tunnel del male è uscito vittorioso. “Le persone curate e sanate dalla lebbra possono e debbono esprimere – è il suo auspicio – tutta la ricchezza della loro dignità e spiritualità e, inoltre, una piena solidarietà verso gli altri, soprattutto nei confronti di chi ne è stato egualmente colpito ed è stato segnato indelebilmente dall’infezione”. Come il lebbroso del Vangelo che torna indietro – unico fra 10 – a ringraziare Gesù per averlo guarito, anche chi oggi ha sconfitto la lebbra e “ha intrapreso la difficile strada del reinserimento sociale e lavorativo”, “può comunicare – sostiene mons. Zimowski – la propria gratitudine anche materialmente, diventando egli stesso testimone, contribuendo alla divulgazione dei criteri di prevenzione e di tempestiva identificazione della malattia nonché al sostegno morale delle persone infettate”. Inoltre, insiste il presule, chi è guarito può “cooperare con le strutture e le iniziative ad hoc, affinché le terapie necessarie vengano completate e seguite dal reinserimento sociale di chi è stato sanato”.

    Nel ringraziare per il loro impegno alcune delle realtà ecclesiali e di volontariato – e citando in particolare la Fondazione Raoul Follereau e l’Ordine Sovrano dei Cavalieri di Malta – mons. Zimoswski conclude invitando chi di dovere a rendere i successi ottenuti “definitivi e sempre migliorati”, così da “trasformare la lebbra da minaccia e flagello a memoria, per quanto spaventosa, del passato”.

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    Olocausto. Padre Lombardi: non possiamo e non dobbiamo dimenticare

    ◊   Sulla Giornata della Memoria dedicata alle vittime dell’Olocausto ascoltiamo il nostro direttore, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per Octava Dies, il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:

    67 anni fa, il 27 gennaio 1945, aveva fine l’infamia di Auschwitz. Il giorno della Memoria è stato istituito in questa data, legata al luogo simbolicamente più terribile della tragedia immane dell’Olocausto. Non possiamo e non dobbiamo dimenticare. Se vi sono stati uomini capaci di arrivare a tanta assurda atrocità, nessuno ci assicura che non potremo in futuro arrivarci ancora, e la Memoria dolorosa diventa monito per l’oggi e per ogni tempo.

    Attenzione! 67 anni non sono pochi. La generazione dei testimoni in prima persona, di chi ha vissuto i tempi e gli orrori dell’Olocausto si sta assottigliando rapidamente. Bisogna condividere le preoccupazioni di chi comincia a temere il rischio dell’oblio, peggio ancora quello della negazione, alimentato non solo dall’ignoranza, ma – ed è terribile -, a volte anche dall’odio per motivi politici, etnici o religiosi. Invece la Memoria dell’Olocausto è un punto di confronto cruciale nella storia dell’umanità, per capire che cosa è in gioco quando si parla della dignità irrinunciabile di ogni persona umana, dell’universalità dei diritti umani e dell’impegno per la loro difesa.

    Per i credenti è anche un “luogo teologico” inevitabile. E’ il luogo della domanda più radicale su Dio e sul male. E’ il luogo della serietà ultima del nostro stare di fronte a Dio, delle domande che gli rivolgiamo dal profondo, del silenzio di fronte al mistero. Per il cristiano, luogo dello sguardo alla Croce nella speranza che l’angoscia dia luogo alla vita. Il Papa polacco e il Papa tedesco, ad Auschwitz e allo Yad Vashem, hanno fatto Memoria. Anche noi continueremo a farla in questo giorno, in solidarietà anzitutto con il popolo di Israele e con tutte le vittime dell’assurdo odio omicida, negatore della loro dignità, a qualsiasi popolo e lingua siano appartenute e appartengano.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Per il rinnovamento della fede: il Papa alla plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede.

    Nell'informazione internazionale, la visita ufficiale dell'arcivescovo Dominique Mamberti in Senegal.

    Dall'inviato Marco Bellizi a Strasburgo, un articolo dal titolo "Il Consiglio d'Europa contro l'eutanasia".

    In cultura, un articolo di Inos Biffi dal titolo "Voglio vedere il suo volto" : il 28 gennaio la Chiesa ricorda san Tommaso d'Aquino. E Roberto Cutaia racconta che per colpa della "Summa" Rosmini venne bocciato.

    Antonio Paolucci su Papa Gregorio XIII e il ritratto di Bologna: nel 1575 il Pontefice fece affrescare nei Palazzi Apostolici la pianta della sua città natale.

    Un articolo di Raffaele Alessandrini dal titolo "Kant per quel prete non aveva segreti": quarant'anni di vita culturale in briciole nelle lettere di Mariano Campo indirizzate al suo migliore amico.

    Shakespeare a ritmo di Dowland: Enrico Reggiani sulle atmosfere elisabettiane in uno spettacolo a Milano.

    Tutte le qualità del buon confessore: nell'informazione religiosa, monsignor Gianfranco Girotti, vescovo reggente della Penitenzieria Apostolica, sulla capacità di ascolto del ministro del sacramento della Riconciliazione.

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    Oggi in Primo Piano



    Nigeria: migliaia di cristiani in fuga dal nord dopo gli attacchi di Boko Haram

    ◊   Cresce la preoccupazione per la situazione dei cristiani in Nigeria. Decine di migliaia sono in fuga dal nord del Paese, la regione colpita dalle violenze della setta fondamentalista Boko Haram. Gli ultimi attacchi armati, che risalgono a venerdì scorso, hanno causato almeno 185 morti. E in un messaggio audio il gruppo islamico, del quale stanno venendo alla luce i contatti con Al Qaeda, ha minacciato di compiere presto nuovi attentati. In un’intervista all’agenzia Fides, l’arcivescovo della capitale Abuja, mons. Olorunferni Onaiyekan, auspica che per risolvere la crisi venga avviato un dialogo nazionale che coinvolga tutte le parti politiche, soprattutto quelle ideologicamente vicine a Boko Haram, ma che non ne condividono i metodi. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Vincenzo Giardina, giornalista dell’agenzia Misna, in costante contatto con la Nigeria:

    R. - Nel Nord della Nigeria, i cristiani sono una minoranza più o meno consistente. Vivono in una situazione di tensione e di paura, come del resto anche altre comunità. Indubbiamente, l’attentato, che poi è stato raccontato in tutto il mondo, quello di Natale contro la chiesa cristiana di Madalla, alle porte della capitale federale Abuja, ha alimentato i timori di conflitto anche a sfondo settario.

    D. - I cristiani fuggono, ma per andare dove?

    R. - In alcuni casi per tornare ai loro villaggi di origine nel Sud. Però questo è un fenomeno che riguarda alcune migliaia di persone, quindi, non può essere considerato soltanto il frutto di attentati che hanno colpito le comunità cristiane, ma vanno messe in relazione anche con le tensioni sociali che hanno attraversato la Nigeria, in particolare in queste due settimane di sciopero e proteste per il caro benzina. Il fenomeno di Boko Haram è un fenomeno che coinvolge tutte le comunità della Nigeria, non solamente quelle cristiane. Anzi, è bene ricordare che storicamente Boko Haram ha colpito esponenti politici sia dell’élite locale, sia dello Stato, di religione musulmana.

    D. - Nella società nigeriana si sta muovendo qualcosa in aiuto dei cristiani?

    R. - La Nigeria è oggi non solo luogo di attentati, ma anche un Paese dove c’è stata una grande mobilitazione popolare contro il caro benzina, segno anche di una recente forza della società civile, che chiede e vuole partecipare alla vita pubblica. Questo è un segnale incoraggiante rispetto anche alla tutela dei cristiani, che in alcune zone sono in minoranza, come per altro gli stessi musulmani, che, a loro volta, sono una minoranza, una minoranza importantissima in molte realtà della Nigeria meridionale, in primo luogo la metropoli principale della Nigeria Lagos. (bi)

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    Prigionieri torturati in Libia: Medici Senza Frontiere via dal carcere di Misurata

    ◊   La transizione in Libia si fa sempre più complicata. Oltre ai sanguinosi scontri avvenuti di recente a Tripoli e a Bani Walid, si parla anche di torture ai danni dei prigionieri. La denuncia arriva dall’Onu e dal mondo delle ong. Proprio per questo motivo, a Misurata, Medici Senza Frontiere (Msf) ha sospeso l’assistenza ai detenuti. Eugenio Bonanata ha intervistato Freya Raddi, responsabile dei progetti di Msf nel Paese africano:

    R. - Come è stato detto ieri nel nostro comunicato, noi abbiamo curato 115 persone con ferite da tortura. La vicenda cha ha fatto per così dire “traboccare il vaso” è stata la strumentalizzazione dell’atto medico di Msf, quando il 3 gennaio ci hanno portato 14 detenuti/pazienti. Le autorità hanno chiesto di dare loro un primo soccorso, comunque di stabilizzarli, per poi riportarli al centro di interrogazione che si trova al di fuori delle prigioni dove noi lavoravamo. Quindi, ovviamente, la posizione del nostro team medico è stata quella di sollevare la questione, di rifiutarsi di far parte di un sistema e di essere strumentalizzati.

    D. - Qual è dunque la caratteristica di questo sistema al carcere di Misurata?

    R. - I prigionieri vengono portati in diversi centri di interrogazione, dove vengono interrogati - sfortunatamente - anche attraverso abusi fisici e poi vengono riportati all’interno delle prigioni.

    D. - Che tipo di abusi fisici avete riscontrato sui pazienti?

    R. - Contusioni generali su tutto il corpo, delle fratture sia agli arti superiori che agli arti inferiori. Tre pazienti, inoltre, sono arrivati in condizioni molto critiche. Dovevano essere trasferiti in un ospedale per avere delle cure mediche più specializzate, che noi non potevamo dareperché abbiamo solo un ambulatorio all’interno delle prigioni.

    D. - Qual è stata la risposta da parte delle autorità locali?

    R. - Una risposta ufficiale non ci è stata mai data. C’è stato un impegno - per così dire - “verbale”. Solo che durante il periodo di negoziazione che abbiamo iniziato il 9 gennaio, il team medico di Msf ha continuato a ricevere altri pazienti con evidenti segni di torture. Per cui, a questo punto, abbiamo preso una decisione e una posizione molto forte che ha portato appunto alla sospensione delle nostre attività all’interno delle prigioni. Comunque, siamo presenti a Misurata e anche a Tripoli con un altro progetto sulla salute mentale.

    D. - In conclusione, in base alla vostra esperienza sul campo si può parlare di prigioni illegali in Libia?

    R. - Le posso dire che, soprattutto nei mesi scorsi - nei mesi di ottobre e novembre - ci era stato riferito da alcuni pazienti che provenivano da centri che neanche loro sapevano identificare. Però, non voglio assolutamente confermare questo, perché noi non lo abbiamo visto. Quindi, se lei mi chiede una conferma di questo è un po’ difficile, perché noi non li abbiamo mai visitati. (bi)

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    Il presidente afghano Karzai ieri in Italia. Accordo di cooperazione con il premier Monti

    ◊   Prosegue oggi in Francia il tour europeo del presidente afghano Hamid Karzai. Oggi il capo dello Stato incontrerà il capo dell’Eliseo, Nicolas Sarkozy. Ieri pomeriggio invece la prima tappa in Italia. A Palazzo Chigi, Karzai e il presidente del Consiglio, Mario Monti, hanno siglato un accordo di partenariato e cooperazione di lungo termine, il primo firmato da Kabul con un Paese occidentale. L’Italia – ha ribadito Monti – continuerà ad essere un partner importante per l’Afghanistan. Il servizio di Giancarlo La Vella:

    (Inno)

    Hamid Karzai, ricevuto ieri a Palazzo Chigi con gli onori riservati ai capi di Stato, passa per Roma, prima tappa del suo tour europeo, con lo scopo di stringere quei rapporti internazionali essenziali alle istituzioni di Kabul per disegnare il difficile cammino verso la stabilizzazione e la pace. E l’Italia non si tira indietro dal garantire al Paese asiatico, colpito da decenni di conflitti, una vicinanza importante per il raggiungimento di questo obiettivo. Lo ha confermato ieri proprio il premier italiano, Mario Monti:

    “La responsabilità ed il partenariato dell’Italia verso l’Afghanistan non verranno meno con il ritiro delle forze internazionali. L’Italia non abbandonerà l’Afghanistan”.

    E alla luce dell’intesa di partenariato e cooperazione formato ieri, Monti ha sottolineato come l’impegno italiano in Afghanistan - da dieci anni garantito dalla presenza di quattromila militari nell’ambito della missione della Nato Isaf - dal 2014, termine delle operazioni, ovviamente sarà puntato non più sul controllo e sulla sicurezza, ma sugli aspetti civili ed economici:

    “The Italian support is building for…”

    Dalla sua, il presidente Karzai, dopo aver ringraziato l’Italia per la sua fattiva e concreta vicinanza, ha detto che il supporto di Roma sta consentendo realmente la ricostruzione del Paese in tutti i suoi aspetti, soprattutto nell’edilizia, servizi, formazione, istruzione.

    Infine, il commosso pensiero di Mario Monti al tributo di sangue pagato in questi anni dagli italiani in Afghanistan: un doloroso pegno per garantire il cammino verso la pace del Paese asiatico.

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    Giornata della memoria: l'epopea di un superstite di Auschwitz

    ◊   Nel 67.mo anniversario dall’apertura dei cancelli di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa si celebra oggi la Giornata internazionale dell’Onu dedicata alla memoria delle vittime dell’Olocausto. Eventi commemorativi anche in Italia dove per il dodicesimo anno ricorre il Giorno della Memoria per le vittime del nazismo e del fascismo, della Shoah e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati: circa 12 milioni le persone morte nei lager, tra cui sei milioni di ebrei. Impegnato per mantenere viva la memoria di quei drammatici anni è Piero Terracina: fu deportato ad Auschwitz con tutta la famiglia, composta da otto persone. Fu l’unico a tornare in Italia. Paolo Ondarza lo ha incontrato:

    R. – Quando racconto, rivivo quei momenti. E’ uno stress terribile. Io credo che sia, intanto, un impegno che noi sopravvissuti abbiamo nei riguardi di quelli che Primo Levi ha chiamato “i sommersi”. Credo sia necessario parlare con i giovani, perché i giovani rappresentano il futuro e devono sapere quello che è stato. E questo è il massimo che io possa pretendere come compensazione per la fatica che faccio, perché faccio fatica…

    D. – Ancora oggi c’è chi non crede che sia accaduto realmente, o comunque chi vuole negare che sia accaduto realmente tutto quanto …

    R. – Guardi, io non auspico che venga istituita la galera per chi vuole negare. Ora, questa è gente che certamente, se fosse vissuta allora, sarebbe stata dalla parte dei carnefici e probabilmente sarebbero stati carnefici essi stessi. Come si può negare? Quando io dico: siamo partiti in otto della mia famiglia e quando sono ritornato mi sono ritrovato solo, ma dove sono finiti gli altri? Quando io parlo della deportazione del 16 ottobre 1943 da Roma, quando furono deportati 1.023 innocenti, compreso un bambino ancora senza nome - e sono tornati in 16! - che cosa possono dire? Che sono scomparsi? Certo: ad Auschwitz non risulta che siano arrivati. Ma io me li ricordo. Me li ricordo lì, sulla rampa dell’arrivo, l’abbraccio di mamma, le parole di papà… ricordo tutto! Sono tornato solo, di otto persone…

    D. – Privati della dignità, trattati come bestie – forse peggio? – offesi nel pudore: come è stato possibile poi risalire, dopo tanta prostrazione?

    R. – Si dice: ma poi la vita riprende, la vita continua… Non è vero. La vita finisce. Poi ne comincia un’altra. Posso dire che io oggi conduco una vita assolutamente normale. Ho tante gioie, ho tanta gente che mi vuole bene e tanta gente a cui voglio bene. Essere circondato da persone che ti vogliono bene: io credo che sia il massimo che un essere umano possa pretendere dalla vita. E quello che non possiamo dimenticare, quello che non accetto, è proprio quello che è accaduto allora!

    D. – Prova ancora rabbia per quello che è accaduto?

    R. – Direi: rabbia proprio, no. Intendiamoci, la rabbia potrebbe portare anche a compiere gesti inconsulti. Se si fosse presentata l’occasione di vendicarmi, non ne sarei stato capace. E penso che se lo avessi fatto, se mi fosse capitata l’occasione e lo avessi fatto, sarei sceso allo stesso livello dei miei aguzzini, e io non sono un aguzzino. Avrei certamente invocato giustizia, ma mai vendetta.

    D. – In quei momenti, che cosa l’ha aiutata a sopravvivere, ad andare avanti? C’era un pensiero?

    R. – Direi che sono stati i miei 15 anni: a quell’età non si vuole morire. Si rimane aggrappati alla vita, a qualsiasi costo. Certo, purtroppo credo che in certi momenti mi sono dovuto dimenticare di tutto e di tutti, perché dovevamo pensare soltanto a sopravvivere in quel momento. Sapevamo che non c’era futuro: io sono stato deportato nel campo di Auschwitz-Birkenau, il campo costruito dalle “SS” con rigore scientifico per dare la morte e per ridurre in fumo e cenere migliaia – dico migliaia! – di esseri umani ogni giorno. Anche mentre stavano dormendo c’era pericolo: perché potevano tornare le “SS” e ordinare una nuova selezione. Non c’era un momento di tregua, non c’era un momento di tranquillità, né giorno né notte. Ogni momento era il momento in cui si sarebbe potuti morire. Sapevamo che tanto, la nostra unica via d’uscita era quella del forno crematorio. E naturalmente, vivere in quelle condizioni non è vita: posso dire che era soltanto morte. La morte era tra noi, in ogni momento: quando rientravamo la sera, molte volte dovevamo portare i nostri compagni che non avevano resistito. E rientrando al campo non era finita: quando rientravamo al campo, dovevamo assistere alle punizioni e tra queste, l’impiccagione…

    D. – In molti si sono tolti la vita, nell’esperienza dei campi di sterminio, e anche dopo, perché non sono riusciti a sopportare quello che si portavano dentro. Lei ha mai pensato che non valesse più la pena vivere?

    R. – No. Sinceramente, no. Anche perché durante la seconda vita che ho avuto, ho avuto anche tante gioie. Il fatto di poter raccontare, di poter trasmettere la memoria ai giovani, è un ritorno positivo. (gf)

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    Giornata della memoria. A Roma uno spettacolo sull'asservimento della cultura al regime fascista

    ◊   Il racconto di Fabrizio Gifuni, il canto di Monica Bacelli, il pianoforte di Luisa Prayer. Tre grandi artisti, insieme, per far vivere una storia che parla di noi. In occasione della Giornata della memoria, la Filarmonica Romana presenta in prima esecuzione assoluta, in Sala Casella alle ore 21, lo spettacolo "Gli indifferenti. Parole e musiche di un Ventennio". Gabriella Ceraso ne ha parlato con uno degli autori, Fabrizio Gifuni:

    R. – L’idea è stata quella di cercare di capire cosa accadesse, in Italia, dal punto di vista dei nostri intellettuali, dei nostri scrittori ed in particolar modo dei nostri musicisti, in un periodo di fatale disgregamento delle coscienze, ossia quello che andava dal 1922 fino al termine della Seconda Guerra Mondiale. Ci siamo serviti di testi, dichiarazioni, atti parlamentari, diari, articoli di giornali, accompagnando poi il tutto con un repertorio musicale molto vasto. Alcune volte, la musica può essere un controcanto lieve rispetto alla gravità di quello che accadeva, mentre in alcuni casi può apportare un contenuto indicativo, e quindi dialogare, con i testi. In altri casi, ci sono delle associazioni anche fortemente emotive, per tentare di capire, in occasione della Giornata della memoria, che valore può avere, per noi, questo ricordo.

    D. – Dal punto di vista culturale e intellettuale che quadro ne emerge?

    R. – La posizione dominante fu senz’altro una posizione acquiescente, salvo nobili e importanti eccezioni. C’è, ad esempio, il famoso episodio dello schiaffo a Toscanini perché egli si rifiutò di eseguire l’inno "Giovinezza". Poi, c’è la condizione devastata di intellettuali e musicisti ebrei, radiati da qualsiasi incarico. Inoltre, c’era quella zona d’ombra, dell’indifferenza, in cui molti si rifugiarono. La domanda che quindi ci facciamo, oggi, è questa: è concesso all’arte un salvacondotto speciale dell’indifferenza in nome di un’autonomia dell’arte? Oppure dietro all’autonomia dell’arte molto spesso ci si nasconde? (vv)

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    "No" del Consiglio d'Europa all'eutanasia. Commenti di mons. Giordano e Carlo Casini

    ◊   "Una pagina di riferimento per la difesa della vita e della sua dignità”. Così l’osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa, mons. Aldo Giordano, valuta il “no” all’eutanasia espresso ieri dall’assemblea del Consiglio d’Europa. Massimiliano Menichetti ha raccolto ili commento del presule:

    R. – Ciò che in questo testo è molto positiva è un’affermazione che si è riusciti a introdurre: l’eutanasia intesa come uccisione volontaria per atto, oppure omissione, di un essere umano in condizioni di dipendenza, a suo presunto beneficio, deve essere sempre proibita. Quindi, affronta un problema molto complicato, molto complesso, e anche il testo in questione non è esente da qualche ambiguità. Tuttavia, l’avere inserito chiaramente l'affermazione che l’eutanasia deve essere sempre proibita mi sembra di grande importanza nel contesto giuridico culturale europeo. Per questo, dobbiamo certamente ringraziare i parlamentari che si sono impegnati nel proporre certi emendamenti, di diversi gruppi politici, specialmente del gruppo dei Popolari presieduto dal parlamentare italiano Luca Volontè. Quindi, in questo senso, questa affermazione diventa un riferimento importante per la difesa della vita e per la difesa della dignità della vita.

    D. – Un’altra espressione presente è che, in caso di dubbio, bisogna sempre preservare la vita e prolungarla…

    R. - Credo che questa affermazione rispecchi una sapienza secolare, un principio della nostra storia. Adesso, abbiamo la speranza che questo testo sia autorevole, sia tenuto in conto per le decisioni che si prendono a livello europeo e a livello nazionale in questo ambito così delicato, così complicato. In particolare, speriamo che questa affermazione che proibisce l’eutanasia sia un riferimento per le corti e anche per la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo.

    D. – Eccellenza, quando si parla di Europa spesso si presenta un’Europa lontana dal cristianesimo, contro la vita. Non sembra, dunque, essere così...

    R. – Un altro segnale che esiste è che sta prendendo la parola un’Europa che vuole recuperare con serietà il senso del mistero della vita e anche del mistero della morte e quindi il fatto che noi non possiamo essere proprietari della vita e proprietari della morte, perché sono realtà talmente grandi e talmente misteriose che non possono essere affidate al nostro libero arbitrio. E’ falso citare la libertà per andare contro la vita, per disprezzare la vita o addirittura per eliminare la vita. Questa non è libertà: la libertà è sempre la libertà di rispettare un bene. Interpreto questo come un segnale positivo a livello di cultura, anche di una certa cultura che si ritiene dominante e che invece non lo è: perché quando l’Europa parla, allora è un’Europa nel suo insieme che cerca i valori, cerca il rispetto di ciò che è più importante per l’esistenza degli uomini.

    D. – L’auspicio, dunque, è che si stia andando verso un certo risveglio dell’Europa, che va contro il concetto dominante di libertà?

    R. – Quando l’Europa più complessa, più ricca, prende la parola, allora c’è un’altra realtà più profonda che viene probabilmente da radici più lontane, che esprimono invece un’altra visione dell’umanità e soprattutto un’altra visione della libertà: cioè, una libertà che fa riferimento a un bene da cercare, a un bello e a un vero, perché sono il bello, il vero, l’amore e il bene che rispondono ai veri desideri dell’uomo. Io sento anche che c’è un po’ di stanchezza e un po’ di tristezza verso una certa cultura che ha dimenticato l’esistenza del bene, del bello e del vero. Si comincia a sentire questa tristezza e ciò forse dà più coraggio alle voci che invece vogliono ritornare a una scoperta o a una nuova scoperta di questa profondità dell’uomo che è radicata seriamente nel Vangelo, nel cristianesimo. (bf)

    Di provvedimento molto importante parla anche il presidente del Movimento per la Vita, Carlo Casini, che presenta però alcune ombre. In Italia, rimarca, serve una legge che metta ordine, interpreti correttamente la decisione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e freni le derive eutanasiche. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato:

    R. – Il fatto che si dica in modo formale e solenne ancora una volta – per la verità, in sede assembleare era già successo anche al parlamento europeo, negli anni Novanta – è positivo. Ed è positivo che il voto netto sia il "no" all’eutanasia, sia attiva sia passiva: passiva dovrebbe voler dire anche non fare niente per evitare la morte.

    D. – Questo documento contiene però anche delle ombre, perché si parla di testamento biologico, di disposizioni anticipate di trattamento e si chiede agli Stati con forza di allinearsi…

    R. – Nella seconda parte, con molta forza si insiste sulla necessità di legiferare sul testamento biologico da parte dei Paesi che ancora non hanno legiferato, equiparando le normative: quindi, disposizione anticipata di trattamento, testamento biologico, nomina permanente di un rappresentante… Insomma, tutte cose che chiedono gli avversari in Italia. L’equiparazione al testamento biologico è assai pericolosa.

    D. – In sostanza: un conto è parlare di dichiarazioni anticipate di trattamento, un’altra è parlare di testamento biologico oppure di “direttive”, che è il termine usato dall’Assemblea del Consiglio d’Europa …

    R. – Nel caso in cui una persona perda la capacità di intendere e di volere, mancando l’attualità del suo dissenso, non si sa che cosa direbbe se fosse cosciente, e quindi non hanno valore obbligatorio tutte le parole che la persona ha detto prima. Ecco il motivo per cui noi parliamo di “dichiarazioni” anticipate, che hanno anche loro un loro peso ma che non sono vincolanti per il medico, che deve sempre scegliere per la vita. Invece, questo testo – purtroppo – è un testo che nella sua parte finale parla di direttive anticipate (in francese: "directives anticipées"), di testamento biologico e di procure definitive, che implicano un valore vincolante, obbligatorio per il medico anche quando il paziente ha perso la coscienza. Ora, questo è – secondo me – assai pericoloso, perché se non c’è una chiarificazione diventa una spinta ad approvare qualcosa di simile al testamento biologico. In Italia, non poche proposte che chiedono il testamento biologico cominciano con un articolo nel quale si dice: “Noi siamo contro l’eutanasia”. Non basta essere contro l’eutanasia: bisogna anche disciplinare correttamente la situazione in cui un soggetto abbia perso la capacità di intendere e di volere.

    D. - Perché altrimenti si dice: “Non siamo contro l’eutanasia”, ma nella sostanza si va in quella direzione…

    R. – Nella sostanza, nella condizione in cui il paziente ha perso la conoscenza, le sue dichiarazioni precedenti sono vincolanti per il medico. Se il paziente ha detto: "Non voglio essere curato", bisogna che il medico si adegui, che non lo curi e lo lasci morire. E questa è esattamente una forma di eutanasia passiva ed è certamente grave.

    D. – In Italia, si dibatte sulla necessità di una legge che metta ordine. Quali sono i punti principali di una normativa che tuteli la vita e non vada incontro alla morte?

    R. – La dichiarazione anticipata di trattamento – è importante la parola "dichiarazione" – non vuol dire "disposizione", questo è il primo punto. La disposizione è un atto di volontà: io voglio che si faccia così. La dichiarazione è, invece, una manifestazione di desiderio: io preferisco, io vorrei, io indico qual è il mio pensiero. Cosa che avviene sempre: quando un malato viene visitato dal medico ed è pienamente cosciente, il medico non impone la cura, ne parla insieme col paziente. Certamente, il medico non può fare niente se il paziente non è d’accordo. Quando il paziente ha perso la coscienza, questo dialogo medico-paziente, che si chiama "alleanza terapeutica", non può più avvenire. Allora, il problema qual è? Noi non sappiamo cosa sarebbe successo se il paziente fosse stato cosciente, se avesse conosciuto la situazione reale nel momento in cui avrebbe dovuto ricevere le cure possibili. Quindi, è giusto tenere in considerazione i desideri espressi dal paziente, ma non debbono essere vincolanti. Allora, la differenza fondamentale tra le dichiarazioni anticipate di trattamento – che secondo il giudizio mio e della stessa Chiesa sono lecite – e il testamento biologico è questa: che il testamento biologico è obbligatorio, quindi ha un effetto vincolante. Se il paziente dice: "Lasciatemi morire, voglio morire", questo è un impegno che va rispettato. Dunque, ciò che fa la differenza è il carattere vincolante o non vincolante per il medico: se il medico mantiene la sua libertà terapeutica oppure no.

    D. – Questa risoluzione del Consiglio d’Europa contiene dunque una deriva verso il testamento biologico?

    R. – Sì. Tanto più che si parla di direttive anticipate: direttive, non dichiarazioni, che potremmo ancora interpretare come manifestazione di desiderio. Ma le si mettono accanto al testamento biologico senza fare la differenza: questa è l’ombra. Allora noi dobbiamo interpretare questa parola "direttiva" nel senso di dichiarazione anticipata. Ecco perché – insisto – bisogna che questa legge italiana sia presto approvata, in modo da dare un senso positivo anche a questa parte oscura del testo approvato dal Consiglio d’Europa. (gf)

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    Consiglio permanente Cei. Mons. Crociata: la crisi attuale è principalmente crisi di fede

    ◊   Di fronte alla crisi economica e alla debolezza della politica italiana, i vescovi rilanciano l’antropologia cristiana e l’orizzonte del bene comune, chiedendo una cultura del lavoro rispettosa della persona e della famiglia; la tutela del valore della domenica e della scuola paritaria. Questo, in sintesi, il comunicato finale del Consiglio permanente della Cei, presentato oggi nella sede della nostra emittente, dal segretario generale dei vescovi, mons. Mariano Crociata. Tra le decisioni, anche la nomina del nuovo direttore della Caritas italiana, il sardo don Francesco Antonio Soddu, già alla guida della sede di Sassari. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    La crisi attuale è principalmente crisi di fede: dalla visione di Benedetto XVI, i vescovi italiani traggono la linea d’azione e il filo conduttore della loro riflessione, escludendo recriminazioni, antipolitica e tantomeno elusione dei problemi del Paese. Mons. Mariano Crociata:

    “Parlare di fede significa toccare le radici dell’umano, perché per essere uomini autenticamente, come singoli e come comunità, bisogna credere in qualcosa: forse la radici della crisi è la perdita di questa visione di fondo”.

    La proposta, dunque, è di puntare essenzialmente alla formazione, che sarà tema dell’Assemblea generale del prossimo maggio, con protagonisti gli adulti, ma anche di recuperare sul versante pubblico e sociale l’alfabeto dettato dalla dottrina sociale della Chiesa, perché torni a essere pronunciato nei suoi valori fondamentali: la famiglia, per cui si chiedono politiche di sostegno forti, affinché non sia sacrificata all’economia; la scuola paritaria; una cultura del lavoro rispettosa della persona. In questo rientra anche una richiesta al governo sulla festività della domenica:

    “Perdere di vista il tempo libero, il tempo del riposo, presenta un rischio di disumanizzazione, porta a invitare coloro che hanno responsabilità perché questa esigenza sia salvaguardata”.

    Sull’attualità – sollecitato dai giornalisti – mons. Crociata torna sulla utilità delle esenzioni Ici, con la premessa che - in qualità di legge italiana - va rispettata e non è materia di Concordato. Quindi ha aggiunto:

    “Per salvaguardare questa esigenza di attenzione alle fasce sociali più deboli può essere utile la correzione, l’aggiustamento di qualche aspetto e su questo c’è disponibilità”.

    Mons. Crociata sottolinea anche il sostegno al governo Monti in termini di incoraggiamento a fare il meglio per uscire dalla crisi e smentisce una posizione ostile all’Unione Europea. Numerose infine le decisioni prese dal Consiglio Permanente in questi giorni. La Caritas italiana ha un nuovo direttore in don Francesco Antonio Soddu, già alla guida della sede di Sassari. I vescovi hanno poi scelto Firenze per il Convegno ecclesiale di metà decennio e Genova per il prossimo Congresso eucaristico nel 2016. Approvato inoltre il nuovo statuto di Migrantes, con una nuova attribuzione delle competenze sulla pastorale della navigazione aerea e marittima. Affrontate anche, dai vescovi italiani, le linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori compiuti da chierici, la cui illustrazione avverrà a maggio. (mg)

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    Seimila bambini in meno nel 2011 in Italia. Forum delle famiglie: non s'investe sulle nuove generazioni

    ◊   La popolazione residente in Italia supera quota 60 milioni, di cui meno di 56 milioni gli italiani e oltre 4 milioni i cittadini stranieri, con un aumento di 289mila unità. Lo rivela uno studio dell’Istat sull’andamento demografico che spiega come in un anno in Italia sono nati, rispetto all'anno precedente, seimila bambini in meno. Alessandro Guarasci:

    La popolazione residente in Italia nel 2011 cresce ma meno del 2010: il 3,7 per mille contro il 4,7 per mille di un anno prima. Tale crescita è dovuta soprattutto al saldo migratorio dall’estero: +5,3 per mille. Il tasso di incremento si presenta positivo in tutto il Centro e nel Nord. Il Mezzogiorno, che nel 2010 faceva registrare un valore pari a 1,5 per mille, nel 2011 segna invece un dato negativo dello 0,1 per mille. Cresce il numero degli stranieri. Sono 4 milioni 859 mila, l’8% della popolazione. Ciò che preoccupa è che nel 2011 le nascite siano state 556 mila unità, oltre seimila in meno rispetto al 2010. Il presidente del Forum delle Associazioni Familiari, Francesco Belletti:

    R. - La crisi ha sicuramente contribuito a rallentare la propensione alla natalità ma il nostro ormai è un Paese impoverito sulle nuove generazioni ed è un caso mondiale. C’è anche proprio un tema culturale, quindi oltre alla crisi c’è anche questo.

    D. – Quali soluzioni indicherebbe?

    R. – Sono mesi che discutiamo sul tema della riforma previdenziale. Il nostro sistema ha investito sulle generazioni adulte e ha lasciato solo le briciole alle nuove generazioni: è tempo di invertire la tendenza.(bf)

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    Mobilitazione contro la violenza sulle donne in italia. Conclusa la visita dell'esperto dell'Onu

    ◊   Nel 2011 in Italia sono state 127 le donne uccise da fidanzati, mariti, familiari: una ogni tre giorni. La violenza domestica è in Italia la prima causa di morte per le donne tra i 16 e i 44 anni. Tra le vittime, c’è anche Stefania Noce, la studentessa di Lettere uccisa a Catania dall’ex fidanzato il 27 dicembre. In suo ricordo e per tutte le vittime di questo crimine, gli amici e le amiche di Stefania e 'Se Non Ora Quando', il movimento di donne in cui la giovane era molto attiva, hanno organizzato ieri una mobilitazione contro la violenza sulle donne in moltissime città italiane. E sempre ieri si è conclusa la missione conoscitiva in Italia dell’esperto delle Nazioni Unite. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    La violenza sulle donne in Italia resta un problema. Lo denunciano le italiane scese in piazza in varie città della penisola, lo ha denunciato Rashida Manjoo, avvocato sudafricano e relatrice speciale Onu per la violenza contro le donne che stamattina, al termine della sua missione che l’ha condotta in diverse città italiane, ha incontrato la stampa:

    "Unfortunately, violence against women ...
    La violenza domestica risulta ancora essere la forma di violenza più pervasiva che continua a colpire le donne in tutta in Italia. Un dato che si riflette nel numero crescente delle vittime di femminicidio. Inoltre, gran parte degli atti di violenza non vengono denunciati, perché avvengono in un contesto ancora caratterizzato da una società patriarcale, ma anche perché la violenza domestica non sempre viene percepita come reato. E non solo. Un quadro giuridico frammentario, l’inadeguatezza delle indagini, delle sanzioni e del risarcimento alle vittime sono fattori che contribuiscono al muro di silenzio e di invisibilità che circonda questo tema".

    La Manjoo ha parlato anche delle forme di violenza che colpiscono le donne Rom, Sinti e di altre minoranze. Gruppi che, ha detto, “affrontano forme multiple di violenza e discriminazione sia nella sfera privata che in quella pubblica”. Grave la situazione nelle carceri, dove per le donne è evidente la difficoltà di accesso allo studio e al lavoro, dovuta alla mancanza di risorse, alle politiche discriminatorie da parte del personale delle strutture carcerarie e alla “disparità di trattamento da parte di alcuni giudici di sorveglianza nel riesame delle sentenze per la scarcerazione anticipata delle detenute che soddisfano i requisiti per le misure alternative al carcere”. La relatrice Onu ha poi elencato i passi avanti fatti dall’Italia nella difesa delle donne: la legge sullo stalking, i piani d'azione nazionali sulla violenza contro le donne e il Piano nazionale per l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro. Tuttavia, ha tratto amare conclusioni: "Le sfide sono ancora tante, e tra queste la piena ed effettiva partecipazione delle donne al lavoro e alla sfera politica". "Il quadro politico e giuridico frammentario e la limitatezza delle risorse finanziarie per contrastare la violenza sulle donne, infatti - ha aggiunto - ostacolano un'efficace ottemperanza dell'Italia ai suoi obblighi internazionali":

    "The current political and economical situation ...
    L'attuale situazione politica ed economica dell'Italia non può essere utilizzata come giustificazione per la diminuzione di attenzione e risorse dedicate alla lotta contro tutte le manifestazioni della violenza su donne e bambine in questo Paese".

    E’ quindi necessario, ha concluso la Manjoo, che tutte le parti coinvolte si assumano la responsabilità di promuovere i diritti umani per tutti e far sì che la violenza contro le donne rimanga tra le priorità dell'agenda nazionale.

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    A San Giovanni in Laterano la seconda delle letture teologiche sulle omelie pasquali del Papa

    ◊   Si è svolta ieri nella Basilica di San Giovanni in Laterano la seconda delle letture teologiche dedicata alle grandi omelie pasquali di Benedetto XVI, organizzata dall’Ufficio per la Pastorale universitaria della diocesi di Roma. Tema dell’incontro, “L’identità dell’uomo nel tempo e oltre il tempo”. Il servizio di Michele Raviart:

    Il morire è un andare via, un viaggio definitivo dal quale non c’è ritorno. Gesù, invece, dice della sua morte ai discepoli: “Vado e vengo da voi”, e il suo andare via diventa un ritorno nel mondo, in tutti i tempi e in tutti luoghi. Così, nell’omelia pasquale del 22 marzo 2008, Benedetto XVI parla dell’unicità del viaggio di Gesù che ci mette in relazione con Dio, donandoci un’identità nuova e più profonda: Cristo in noi. Mons. Livio Melina, preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II:

    “La grande relazione, quella che definisce l’identità dell’uomo, che lo assicura anche e non solo nel tempo, ma oltre il tempo, è la relazione con Gesù. Gesù, il Risorto, che è tornato da questo grande viaggio, ci propone la narrazione pasquale come grande narrazione all’interno della quale noi possiamo trovare il senso della nostra narrazione umana. È un’identità che parte dal corpo, che è radicata e testimoniata nel corpo, ma che va oltre il corpo”.

    La corporeità pone infatti dei limiti all’esistenza umana. Il nostro tempo è destinato a finire e per questo la vita umana va tutelata in ogni suo momento. Laura Palazzani, docente di Filosofia del diritto alla Lumsa:

    “Dal punto di vista bioetico, soprattutto, è un’omelia importante nel momento in cui il Pontefice tocca il tema della morte e del morire come del passaggio - come dice il Pontefice 'del non ritorno'. La vita dell’essere umano ha una continuità che inizia dal momento del concepimento e finisce con la morte cerebrale totale. E ogni momento dell’espressione della vita del corpo - anche se può essere caratterizzato da una vulnerabilità, dalla malattia - è comunque sempre espressione di una persona che ha una dignità”.

    Gesù ha superato la barriera della mortalità grazie all’amore eterno del Padre e il suo ritorno rende il nostro corpo mortale una promessa dell’eternità. Il prof. Angelo Luigi Vescovi, direttore scientifico dell’Ospedale “Casa sollievo della sofferenza”:

    “Noi siamo parte di un qualcosa di più grande, integrati in un sistema che forse come esseri umani forse non riusciamo a comprendere ma che fa parte integrante di noi. Quindi, la vita non finisce con noi, ma semplicemente cambia forma, cambia stato. Noi abbiamo svolto e svolgeremo una funzione. E non è un relativizzare, ma calare la natura umana all’interno del suo contesto naturale. L’uomo non scompare con la morte”.(bi)

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Corno d’Africa: ogni giorno muoiono tra 100 e 200 bambini con meno di 5 anni

    ◊   Ogni giorno nel Corno d’Africa, a causa della carestia provocata dalla grave siccità che ha colpito la zona negli ultimi 50 anni, continuano a morire tra 100 e 200 bambini con meno di 5 anni di età. Nonostante gli aiuti e gli interventi delle varie organizzazioni umanitarie, la situazione va peggiorando, e nell’ultimo anno sono morti tra 35 mila e 65 mila bambini. Nel campo profughi di Dadaab, il più grande del mondo, situato in Kenya, continua l’affluenza di migliaia di bimbi affamati e in pessime condizioni sanitarie in fuga dalle loro sterili terre di origine che da oltre due anni stanno causando stragi nell’Africa dell’est. Il Dipartimento per lo Sviluppo Internazionale del Regno Unito, indica che nel 2011 i morti sono stati tra 50 mila e 100 mila, di cui oltre la metà bambini. Il governo degli Stati Uniti assicura che solo da maggio a luglio 2012 i minori morti sono stati 29 mila. Le Ong Oxam e Save the Children, nel rapporto recentemente pubblicato, A Dangerous Delay, hanno denunciato che migliaia di morti si sarebbero potute evitare se la comunità internazionale, i governi e le organizzazioni umanitarie, avessero risposto più velocemente al problema. Inoltre in Somalia il tasso di denutrizione è aumentato dal 16,4% al 36,4%. (R.P.)

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    Siria: attivisti denunciano oltre 60 vittime nelle ultime 24 ore

    ◊   Nell’ennesimo venerdì di proteste in Siria, si registrano vaste operazioni di repressione del dissenso da parte dell’esercito. I comitati d’opposizione denunciano l’uccisione di sei persone in diverse località del Paese mentre aggiornano a 62 morti il bilancio dell’offensiva di ieri nelle città di Homs e Hama, dove tra le decine di vittime compaiono anche diversi minorenni e almeno una donna. Di diverso avviso l’agenzia ufficiale Sana che riferisce solo dell’uccisione di tre militari. La nuova fiammata di violenze arriva a poche ore dalla riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, dove sarà discussa la bozza di risoluzione avanzata della Lega Araba e sostenuta dai Paesi Occidentali. L'iniziativa, approvata dai ministri degli Esteri dell'organizzazione pan-araba il 22 gennaio, chiede al presidente siriano Assad di passare i poteri al suo vice e la formazione di un governo di unità nazionale transitorio nei prossimi due mesi. In vista dell’incontro, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha auspicato che il Consiglio si esprima con “un'unica voce” sulla crisi siriana. Ma le premesse sono tutt’altre: in mattina viceministro degli esteri russo, Ghennadi Gatilov, ha detto che Mosca giudica “inaccettabile” la bozza di risoluzione poiché non contiene aspetti ritenuti fondamentali dalla Russia. Lo scorso ottobre Pechino e Mosca hanno posto il veto a una risoluzione su sanzioni contro il governo di Assad. (A cura di Marco Guerra)

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    Iraq: oltre 30 morti nell’attacco a un corteo funebre a Baghdad

    ◊   Non si ferma la violenza in Iraq. Almeno 31 persone sono morte e circa 60 sono rimaste ferite in un attacco kamikaze compiuto stamani a Baghdad. L’attentatore ha fatto esplodere un’auto nei pressi di un mercato nel quartiere di Zaafaraniya, mentre stava passando una processione funebre in onore di alcuni sciiti uccisi ieri da uomini armati. Nelle ultime settimane si è registrata una nuova fiammata di violenze intersettarie, dopo lo strappo nel governo tra il blocco sciita e quello sunnita, verificatosi a seguito della richiesta di sfiducia del vice premier sunnita Saleh al Mutlaq, e la richiesta di arresto per terrorismo del vice presidente –anch’egli sunnita - Tareq al Hashemi. (M.G.)

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    Egitto: uccisi padre e figlio copti. Il vescovo Kyrollos chiede protezione al governo

    ◊   Due cristiani copti, padre e figlio, sono stati uccisi ieri a Bahgourah, un suburbio di Nag Hammadi, nell’Alto Egitto, da una bada criminale di musulmani. In realtà il duplice omicidio è scaturito nell’ambito dell’ennesimo tentativo di estorsione compiuto dalla criminalità comune, ma ha avuto l’effetto di rialzare la tensione interreligiosa e la rabbia fra la comunità cristiana che chiede protezione dalle vessazioni e le violenze da parte dei musulmani. Secondo quanto riferisce l'agenzia AsiaNews, quattro giorni fa Ahmed Saber, noto bandito musulmano, ha chiesto a Moawad Asaad, un imprenditore edile copto, una grossa somma di denaro per permettergli di continuare a lavorare. Ieri pomeriggio Ahmed Saber è tornato a esigere il denaro a casa di Asaad; il copto si è rifiutato di andare all’automobile di Saber a parlargli, nel timore di essere rapito. A quel punto quattro uomini sono usciti dal veicolo armati di mitra e hanno aperto il fuoco contro Moawad e suo figlio Asaad Mowad, ingegnere. Entrambi sono morti sul colpo. La loro morte ha scatenato la protesta cristiana: alcune migliaia di copti hanno manifestato davanti al palazzo del governo a Nag Hammadi, chiedendo protezione per la comunità copta. Attualmente è in corso un sit-in di fronte al quartiere generale della polizia, a cui partecipano quattromila persone che hanno promesso di continuare nella protesta fino a quando Ahmed Saber e i suoi complici non saranno arrestati. Il vescovo di Nag Hammadi, mons. Kyrollos, ha dichiarato che Ahmed Saber, ben noto alla polizia, ha estorto denaro dai membri della comunità copta, e ha rapito i figli dei cristiani per ottenere i soldi del riscatto sin dall’anno scorso. “La polizia ha ricevuto numerose denunce per questi crimini. Non so perché non l’abbiano arrestato. Ritengo che le forze di polizia, e i musulmani, siano totalmente responsabili per la situazione di terrore in cui vivono i copti di Bahgourah”. Il presule ha quindi chiamato le autorità del Cairo e il ministero dell’Interno chiedendo che sia garantita la protezione ai copti che vivono nell’area di Nag Hammadi, “che sono costantemente soggetti a rapimenti e a terrore”. (M.G.)

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    Giorno della memoria in Israele: dai cattolici di espressione ebraica "dolore e riconoscenza"

    ◊   “Dolore e riconoscenza” è con questo atteggiamento che i cattolici di espressione ebraica presenti in Israele vivono la Giornata in memoria delle vittime dell’Olocausto, che si celebra oggi a livello internazionale. “Tra i nostri parrocchiani – spiega all'agenzia fra’ Alberto Joan Pari, che con padre Apolinary Szwed, si occupa della comunità cattolica di espressione ebraica di Giaffa-Tel Aviv - ci sono molti figli e nipoti di persone deportate e morte nei campi di concentramento. Il tema è molto vissuto come sentiamo dai loro racconti e dai loro ricordi che spesso si intrecciano con storie di salvezza e di amicizia con famiglie non ebree, di tanti luoghi, che nel periodo nazista salvarono loro la vita nascondendoli o aiutandoli a fuggire dai rastrellamenti. Il ricordo è di gratitudine che diventa riconoscenza se pensiamo all’onorificenza ‘Giusto fra le nazioni’ che Israele dona a chi ha salvato la vita ad un ebreo durante la Shoah”. Oggi in Israele ricorre la “Giornata nazionale per la lotta all’antisemitismo” istituita nel 2004 in coincidenza con l’annuale commemorazione europea della Shoah. “E’ doloroso – aggiunge il padre francescano - constatare come ci sia qualcuno intento, ancora oggi, a negare l’Olocausto. Per non parlare di rigurgiti antisemiti che non si placano. Ricordare è necessario per evitare che fatti del genere possano ripetersi. Giornate come questa hanno lo scopo di educare ed informare le giovani generazioni anche attraverso la voce dei testimoni diretti. Per questo in Israele assume un significato tutto particolare”.

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    Kenya: appelli alla pacificazione dei cristiani dopo le prime incriminazioni per le violenze 2007-08

    ◊   Il Consiglio Nazionale delle Chiese del Kenya (Ncck, che raggruppa la maggior parte delle confessioni cristiane non cattoliche del Paese) ha chiesto a tutti i keniani di accogliere pacificamente il pronunciamento della Corte penale internazionale (Cpi) sulle violenze post-elettorali verificatesi tra la fine del 2007 e i primi mesi del 2008, secondo quanto riporta l’agenzia Cisa di Nairobi. I giudici della Cpi hanno formalmente incriminato il Ministro delle Finanze Uhuru Kenyatta e il Consigliere alla Presidenza Francis Muthaura, oltre al deputato William Ruto e al giornalista Joshua Arap Sang per omicidio, crimini contro l’umanità, deportazione e persecuzione sulla base di affiliazione politica. L’incriminazione è stata consegnata lunedì scorso dal Procuratore Ekaterina Trendafilova a L'Aia, nei Paesi Bassi. Le violenze esplosero il 27 dicembre 2007 in seguito alla rielezione del Presidente uscente Kibaki, sfidato dall'attuale Primo Ministro Odinga. Gli scontri provocarono 1.200 morti e 600.000 sfollati. Per i leader cristiani del Kenya “Questa incriminazione non deve essere considerata in alcun modo come un atto d'accusa nei confronti di qualsiasi comunità o individuo, ma un procedimento di ricerca della giustizia per le vittime delle violenze post-elettorali". I leader delle confessioni cristiane del Kenya chiedono “sobrietà e moderazione” nelle discussioni sulla decisione della Cpi e fanno appello ai kenyani di pregare per la pace e la riconciliazione, soprattutto in vista delle prossime elezioni. (R.P.)

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    “La Chiesa contribuisce a un India migliore”: così i vescovi alla vigilia dell'Assemblea generale

    ◊   “Di fronte a povertà, disoccupazione, corruzione, mancanza di istruzione, violenza, fondamentalismo religioso, la Chiesa cattolica intende essere una voce significativa e offrire il suo specifico contributo per la costruzione di una nazione che garantisca benessere, istruzione, armonia e giustizia per tutti”: con queste parole mons. Bernard Moras, arcivescovo di Bangalore, illustra all’agenzia Fides il tema della prossima Assemblea generale della Conferenza episcopale indiana, dal titolo “Il ruolo della Chiesa per un’India migliore”, che si terrà nella sua diocesi, a Bangalore (Stato di Karnataka), dall’1 all’8 febbraio prossimo. L’assemblea, che si tiene ogni due anni, riunirà oltre 160 vescovi cattolici dei tre riti esistenti nel Paese: latino, siro-malabarese, siro-malankarese. Parteciperanno ai lavori personalità come il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace” e altri studiosi indiani. Mons. Moras spiega che “la Chiesa è pienamente indiana, ama il suo Paese ed è preoccupata. Per questo, come cristiani, continueremo a dare il nostro specifico contributo, di valori e di azione, alla società indiana, per affrontare le sfide del presente. La prima è la situazione demografica con il grave fenomeno degli aborti selettivi. Poi la crisi economica e le disuguaglianze che affliggono il Paese. Un terzo punto che sarà esaminato è l’istruzione, che in India raggiunge solo il 30% della popolazione. Vogliamo, poi, portare i valori e l’etica cristiana per contrastare la corruzione, emersa come una delle malattie del Paese. Si parlerà – prosegue il vescovo – anche dell’annoso problema del terrorismo e del fanatismo religioso, indù e islamico, che genera odio, intolleranza e violenza contro i cristiani. Per noi la sfida è costruire e dare efficacia alle Commissioni di dialogo e di pace, in tutte le realtà locali. Come cristiani siamo certi che il progetto dei radicali indù di espellerci dall’India, non potrà mai attuarsi”. Infine l’arcivescovo sottolinea: “due temi a cui, come vescovi, siamo molto attenti sono l’evangelizzazione e i giovani. Il Vangelo è la risposta alle sfide di oggi, e i giovani sono il futuro della nazione”. (R.P.)

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    Sri Lanka: i vescovi dello Sri Lanka contro la legge pro aborto

    ◊   La Conferenza episcopale dello Sri Lanka (Cbcsl) si oppone “con fermezza” alla proposta di legge sull’aborto. “L’umanità – si legge nel comunicato dei vescovi cattolici ripreso dall'agenzia AsiaNews – non è al sicuro se il bambino non è protetto nel grembo materno”. Il governo sottolinea che il disegno di legge riguarderà solo le “gravidanze ingiustificabili”, ma promette di esaminare le “soluzioni alternative” proposte da gruppi religiosi contrari all’aborto. Tuttavia, la Cbcsl dichiara: “Ci opponiamo in modo categorico a ogni tentativo di legalizzare l’aborto, un sinonimo di omicidio. Pertanto, chiediamo al governo di non procedere con questa legge, dal momento che l’omicidio è un crimine abominevole, in ogni sua forma. La Bibbia – proseguono i vescovi – insegna che tutti gli esseri umani sono fatti a immagine e somiglianza di Dio (Gen 1:27). La Chiesa ha sempre affermato che Dio è l’autore della vita, il dono sacro e supremo che Egli ci ha dato. Il nostro obbligo più grande è proteggere la vita umana, dal suo concepimento alla sua fine naturale”. Rispondendo alle critiche della Chiesa, Tissa Karaliyadda, ministro per lo Sviluppo del bambino e della donna, ha detto che la proposta di legge è per “quelle ragazze e donne vittime di gravidanze indesiderate, frutto delle violenze degli uomini. Il beato Giovanni Paolo II – ha sottolineato la Cbcsl – insegna che la Chiesa deve essere al servizio della vita, in mezzo alla cultura di morte dei nostri giorni”. Nonostante l’aborto sia illegale nel Paese, negli ultimi anni lo Sri Lanka Family Health Bureau (un organismo creato dal ministero della Salute) ha registrato un aumento dei casi: nel 2008 vi erano circa 700 casi al giorno, per 250mila l’anno; nel 2011 sono saliti a mille, per un totale di 300mila interruzioni di gravidanza l’anno. Le stesse cifre del ministero della Salute – che sembrano gonfiate ad arte – parlano addirittura di 500 aborti al giorno solo a Colombo, capitale dello Stato. La popolazione totale dell'isola è di circa 20 milioni. Anche i buddisti (la maggioranza dei srilankesi) si sono schierati contro la proposta di legalizzare l’aborto. (R.P.)

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    Porto Alegre. La Rousseff al Forum: cambiare modello per uno sviluppo sostenibile

    ◊   “Scatenare un movimento di rinnovamento delle idee e di nuovi processi, assolutamente necessari per affrontare i giorni difficili che oggi vive una grande parte dell’umanità”. È l’obiettivo indicato dalla presidente brasiliana, Dilma Rousseff, nel suo intervento al Forum sociale tematico (Fst) di Porto Alegre, citato dall’agenzia Misna. Di fronte a migliaia di attivisti, Dilma ha sottolineato che l’oggetto del dibattito alla Conferenza dell’Onu sullo sviluppo sostenibile in programma a Rio de Janeiro a fine giugno, che lei stessa presiederà, “è un modello di sviluppo che articoli crescita e creazione di lavoro, lotta alla povertà e riduzione delle disuguaglianze, uso sostenibile e tutela della risorse naturali”. Il capo di Stato ha quindi posto l’accento sulle conseguenze negative della crisi che colpisce i Paesi del Nord del mondo: concentrazione della ricchezza, aumento della disuguaglianza, esplosione della disoccupazione, espansione della povertà, criticando anche i “nefasti” effetti delle misure fiscali applicate in diversi Stati: “Disoccupazione e divario sociale sono particolarmente crudeli quando si tratta di nazioni ricche che hanno conquistato diritti e colpiscono soprattutto i giovani, le donne, gli immigrati. La dissonanza tra la voce dei mercati e quella delle strade - ha aggiunto - sembra crescere sempre di più nei Paesi sviluppati, mettendo a rischio non solo le conquiste sociali, ma la democrazia stessa”. Al Forum di Porto Alegre, dedicato quest’anno al tema “Crisi capitalista, giustizia sociale e ambientale”, diversi attivisti si sono rivolti direttamente al presidente: “Dobbiamo cambiare il modello consumista, perché il pianeta ha dei limiti e il capitalismo li ha superati, tutti” ha detto Pablo Solon, ex ambasciatore della Bolivia all’Onu. “Non è possibile discutere di sostenibilità all’Onu se non si parla di lavoro dignitoso” ha evidenziato Carmen Foro, contadina e attivista amazzonica. Prima donna alla presidenza del Brasile, 64 anni, ex guerrigliera che affrontò la dittatura e pagò con il carcere e la tortura, Dilma è stata ricevuta a Porto Alegre con calore ma anche con reclami: “Metti il veto sul codice forestale” le è stato chiesto, in merito alla controversa riforma che rischia di allargare la frontiera agricola brasiliana a detrimento della selva amazzonica. (M.G.)

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    Repubblica Dominicana: oltre 300 mila bambini costretti a lavorare per sopravvivere

    ◊   Oltre 300 mila bambini della Repubblica Dominicana sono costretti a lavorare come gli adulti per sopravvivere e potersi nutrire. In un recente incontro, il rappresentante del locale Ministero del Lavoro ha dichiarato che i 305 mila bambini dominicani coinvolti in questa situazione corrispondono al 12% della popolazione che rientra nella fascia di età tra i 5 e i 17 anni. L’organismo - riporta l'agenzia Fides - ha anche denunciato l’esistenza nel Paese di reti dedite allo sfruttamento del lavoro minorile, e il fatto che l’intera società ne è al corrente. Molti minori lavorano come muratori in grandi edifici di Santo Domingo, e le province dove si registra il maggior indice di lavoro minorile sono Barahona, Pedernales e Duarte. Le autorità hanno assicurato tuttavia che cercheranno di raggiungere, con l’urgenza necessaria, la meta fissata nella regione, di sradicare inizialmente le peggiori forme di lavoro minorile entro il 2015 e entro il 2020 tutto il fenomeno in generale, come stabilito dall’Agenda Hemisférica sobre Trabajo Decente. L’organismo inserirà nelle reti sociali un sistema di denuncia e di registrazione dei minori lavoratori, con l’obiettivo di individuare più velocemente i casi. (R.P.)

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    Congo: Msf denuncia la mancanza di fondi per il trattamento dei sieropositivi

    ◊   Nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc) l’accesso ai farmaci per le persone affette da Hiv/Aid è sempre più difficile. A lanciare l’allarme è l’organizzazione medico umanitaria Medici Senza Frontiere (Msf) che nel centro ospedaliero di Kabinda, a Kinshasa, ha riscontrato un preoccupante aumento del numero di pazienti che al momento del ricovero presentano gravi complicazioni dovute alla mancanza di trattamento. “Ho lavorato con pazienti sieropositivi in molti Paesi dell’Africa centrale e meridionale, ma la situazione in Rdc è la peggiore che io abbia mai visto da anni”, afferma Anja De Weggheleire, coordinatore medico di Msf, in una nota diffusa dall’organizzazione umanitaria. “Sembra di essere tornati ai tempi in cui non erano disponibili i farmaci antiretrovirali – aggiunge il medico -. I nostri medici affrontano ogni giorno casi molto gravi che potrebbero essere prevenuti se solo i pazienti ricevessero le cure al momento giusto”. Il numero di persone affette da Hiv/Aids in Rdc è attualmente stimato intorno a un milione, e di queste, circa 350.000 potrebbero avere accesso alle cure. Ciononostante, ad oggi solo 44.000 persone sono in cura. Con una percentuale di copertura antiretrovirale del 15%, la Rdc si colloca agli ultimi posti nella classifica mondiale (insieme a Somalia e Sudan). La Rdc risulta inoltre agli ultimi posti, tra i Paesi dell’Africa centro-occidentale, in termini di prevenzione della trasmissione materno-fetale del virus Hiv. Solo l’1% delle donne incinte risultate sieropositive hanno accesso alle cure necessarie. Senza trattamento, come è noto, circa un terzo dei bambini esposti al virus nasceranno sieropositivi. A questi indicatori disastrosi si aggiungono i tagli effettuati da alcuni donatori – come il Fondo Globale per la lotta all’Aids, Tubercolosi e Malaria – che stanno riducendo le forniture di farmaci antiretrovirali. Vista la congiuntura economica, il Fondo ha dovuto rivedere i suoi programmi perché i Paesi che lo finanziano non hanno mantenuto le promesse fatte. “Se non verrà fatto nulla per cambiare questa situazione, nel giro di tre anni moriranno 15.000 persone che oggi sono in lista d’attesa e hanno urgente bisogno di antiretrovirali”, spiega ancora De Weggheleire. Questo dato – prosegue il coordinatore di Msf - , rappresenta solo la punta dell’iceberg se si pensa che la maggior parte delle persone affette da Hiv/Aids non sa nemmeno di esserlo”. Per questo motivo è cruciale che le autorità congolesi mantengano l’impegno di fornire servizi di prevenzione e cure mediche gratuite alle persone sieropositive. Msf esorta inoltre i donatori a sbloccare immediatamente le risorse necessarie per assicurare che i pazienti in attesa di antiretrovirali non siano condannati a morire. (M.G.)

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    Canada: il Sinodo dei vescovi greco-cattolici ucraini a Winnipeg per il 100.mo dell'arcieparchia

    ◊   La comunità cattolica di rito bizantino-ucraino in Canada si appresta a celebrare il 100° anniversario dell’arrivo del suo primo vescovo. Era infatti il 15 giugno 1912 quando venne eretto a Winnipeg l’Esarcato del Canada (diventato nel 1956 arcieparchia di Winnipeg) con alla guida mons. Nykyta Budka, venuto direttamente dall’Ucraina per riunire e coordinare la crescente comunità di immigrati greco-cattolici ucraini sparsi nel vasto territorio canadese. Numerose le iniziative previste quest’anno per celebrare la ricorrenza. Tra queste – come ha anticipato all’agenzia Cns l’attuale esarca Lawrence Daniel Huculak – la riunione nella città canadese del Sinodo mondiale dei vescovi greco-cattolici ucraini, previsto dal 9 al 16 settembre. All’incontro parteciperà anche l'arcivescovo maggiore di Kiev, Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, che per l’occasione visiterà Winnipeg e le altre sette eparchie canadesi: Toronto; Saskatoon, Saskatchewan; New Westminster, British Columbia; and Edmonton, Alberta. Il fatto di avere scelto il Canada come sede del prossimo Sinodo – ha spiegato mons. Huculak alla Cns - è un modo per ricordare la grande opera svolta dal Beato Nykyta Budka (scomparso in un Gulag sovietico nel 1949 e beatificato nel 2001 da Giovanni Paolo II) e l’importanza della comunità cattolica ucraina di rito bizantino in Canada. Una comunità che agli inizi del XX secolo era ancora disarticolata e con pochi sacerdoti. Fu grazie a mons. Budka e anche ai buoni rapporti da lui coltivati con la Chiesa di rito latino in Canada che la Chiesa greco-cattolica ucraina poté diventare una realtà strutturata e una presenza riconosciuta anche dallo Stato canadese. Il Sinodo di Winnipeg - ha evidenziato mons. Huculak - sarà quindi un’importante occasione per rinnovare i legami tra la Chiesa madre in Ucraina e quella in Canada, una delle più grandi della diaspora. Oggi la Chiesa greco-cattolica ucraina conta in tutto più di 5 milioni di fedeli che ne fanno la Chiesa cattolica orientale più numerosa. (L.Z.)

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    Chiese europee: è il pastore Guy Liagre il nuovo segretario generale della Kek

    ◊   E’ il pastore Guy Liagre, attualmente presidente della Chiesa protestante unita del Belgio (Cpub), il nuovo segretario generale della Conferenza delle chiese europee (Kek). Eletto nel corso dello scorso Comitato Centrale della Conferenza delle chiese europee (Kek) svoltosi a Ginevra (Ch) il 24 e 25 gennaio, il pastore Liagre entrerà in carica dal primo giugno e succede al teologo Viorel Ionita della Chiesa ortodossa romena, che ha ricoperto la carica ad interim. "Per molti anni - ha dichiarato Liagre subito dopo la sua elezione - la Kek ha lavorato per assicurarsi che la voce cristiana non fosse assente sulla scena europea. Lavorare in quanto segretario generale per un organismo ecumenico europeo in un momento in cui l'Europa e il mondo stanno rapidamente cambiando verso qualcosa di ancora difficilmente prevedibile, rappresenta per me un'importante sfida. La stessa Kek è nel mezzo di un processo di ristrutturazione e sono onorato di poter partecipare e stimolare questo rinnovamento". Il nuovo segretario generale è nato nel 1957. Autore di numerosi volumi, è sposato, padre di quattro figli e nonno di tre nipotini. Presiede attualmente il Consiglio dei leader religiosi del Belgio, ed è presidente del Consiglio delle chiese evangeliche (storiche e del risveglio) che intrattiene i rapporti con il governo belga. (R.P.)

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    Il Cisde chiede l’instaurazione della tassa sulle transazioni finanziare

    ◊   La tassa sulle transazioni finanziarie (Ttf) serve ad uno sviluppo mondiale giusto e solidale: è quanto afferma il Cisde, il Gruppo Cattolico Internazionale per lo Sviluppo e la Solidarietà, riunito fino ad oggi a Soesterberg, nei Paesi Bassi, per l’incontro annuale del Comitato direttivo. Una riunione che avviene a pochi giorni dal vertice dei ministri dell’Eurozona, previsto a Bruxelles il 30 gennaio. Ai lavori del Cisde ha preso parte anche il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, il quale si è detto favorevole alla Ttf e ad un settore finanziario “creatore di ricchezza per tutta la società”. “La Ttf – ha detto il cardinale Turkson – permetterebbe di ricondurre l’economia e la finanza alla loro vera vocazione, che include l’aspetto sociale”. “Una tassa sulle transazioni finanziarie – ha aggiunto il porporato - sarebbe utile per promuovere lo sviluppo mondiale secondo i principi della solidarietà e della giustizia sociale. Essa potrebbe, inoltre, contribuire all’istituzione di un fondo mondiale incaricato di sostenere le economie dei Paesi toccati dalla crisi economica e finanziaria”. Sulla stessa linea anche mons. John Arnold, vescovo ausiliare di Westminster, anch’egli presente all’incontro: “Gli esseri umani – ha detto – sono l’origine e lo scopo di tutta l’attività economica. Dobbiamo riformare i mercati finanziari per metterli al servizio della società e del benessere umano”. Dal suo canto, il presidente del Cisde, Chris Bain, ha ribadito: “L’adozione di un Ttf a livello europeo permetterebbe di trovare dei fondi necessari al finanziamento di progetti di lotta alla povertà e al cambiamento climatico e di mettere in atto delle misure di rafforzamento della giustizia e dell’equità”. Da ricordare, infine, che già nella Nota sulla riforma del sistema finanziario internazionale, pubblicata da Pontificio Consiglio Giustizia e Pace il 24 ottobre 2011, si appoggiava e condivideva l’idea di una tassazione sulle transazioni finanziarie. (I.P.)

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    Italia: è mons. Francesco Antonio Soddu il nuovo direttore della Caritas

    ◊   E’ mons. Francesco Antonio Soddu, della diocesi di Sassari, il nuovo direttore di Caritas Italiana. La nomina è stata decisa dal Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana e riferita in un comincato, dalla stessa Caritas. “Con spirito di timore, ma anche di abbandono e di fiducia inizio questa nuova avventura sentendomi, come Abramo, sradicato dalla mia amata terra-diocesi per continuare il servizio di ministro in altro posto, ma sempre nell’unica amata Chiesa di Cristo” sono state le prime parole di mons. Soddu appresa la notizia della nomina. Mons. Soddu, 52 anni, dal 1997 parroco della cattedrale di Sassari, era dal 2005 direttore della Caritas diocesana della stessa città. Succede a mons. Vittorio Nozza, che ha diretto la Caritas Italiana dal 2001 ad oggi. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 27

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli.