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Sommario del 26/01/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa riceve tre Seminari italiani: forte più che mai nella Chiesa la necessità di testimoni credibili e promotori di santità
  • In udienza dal Papa gruppo di vescovi Usa in visita "ad Limina"
  • Cristiani uniti per portare la speranza dove c'è odio e ingiustizia: così il Papa a chiusura della Settimana di preghiera per l'unità
  • Gli impegni del Papa fino a Pasqua: il 18 febbraio il Concistoro, dal 23 al 29 marzo la visita in Messico e a Cuba
  • La Santa Sede aderisce e ratifica alcune Convenzioni Onu contro la criminalità
  • Nota di padre Lombardi sulla trasmissione Tv "Gli intoccabili"
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: uccisi un dirigente della Mezzaluna rossa e un sacerdote ortodosso. Appello di padre Dall’Oglio
  • Il premier Cameron da Davos: "La Tobin tax è una follia"
  • Tentato golpe in Papua Nuova Guinea. L'esperto: rischio guerra civile
  • Pakistan: arrestato missionario srilankese. Il vescovo di Multan: da noi coesistenza pacifica
  • Italia. Senato approva riferimento alle radici giudaico-cristiane in politica europea
  • Domani la Giornata della Memoria. La testimonianza di una superstite della Shoah
  • Rispondere alla domanda di Dio nella società: al via l'incontro Kek-Ccee
  • Eurispes: Italia, "democrazia bloccata". Cresce consenso per la Chiesa. Commento di Salvatore Martinez
  • Chiudono gli ospedali psichiatrico-giudiziari. Il governo: si mette fine a un capitolo vergognoso
  • Privacy on line: la Commissione Europea propone una riforma
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • I vescovi asiatici riuniti a Bangkok: "La Chiesa diventi voce dei poveri"
  • Libia: Msf denuncia torture subite dai prigionieri e comunica lo stop delle attività a Misurata
  • Nigeria: 200 arresti dopo gli attacchi dei giorni scorsi. In fuga migliaia di cristiani
  • Caritas: oltre un milione di profughi in Somalia
  • Congo: aumentano gli sfollati nella regione del Katanga a causa di gruppi ribelli
  • Pakistan: speranze per Asia Bibi, ma “gli estremisti non accetterebbero il suo rilascio”
  • Incontro ecumenico in Pakistan: il proselitismo delle sette minaccia l’unità dei cristiani
  • India: attaccata casa di un pastore protestante in Orissa. Le ong: "cristianofobia" nel governo
  • Reporter senza frontiere: 2011 anno buio per la libertà di stampa
  • Giornata della memoria: Messaggio del segretario generale Onu Ban Ki-moon
  • Yemen: appello per aiutare 750 mila bambini malnutriti
  • Sud Sudan. Il Consiglio delle Chiese: puntare sui giovani per la pace nello Stato di Jonglei
  • Perù: mons. Piñeiro eletto nuovo presidente della Conferenza episcopale
  • Consegnata al Patriarcato di Mosca la chiesa ortodossa russa di Bari
  • Italia: al Consiglio dei vescovi l'esigenza dell'iniziazione cristiana degli adulti
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa riceve tre Seminari italiani: forte più che mai nella Chiesa la necessità di testimoni credibili e promotori di santità

    ◊   “Forte più che mai è nella Chiesa tutta, come nelle vostre particolari regioni di provenienza, la necessità di operai del Vangelo, testimoni credibili e promotori di santità con la loro stessa vita”. Lo ha ricordato il Papa ricevendo stamane in udienza superiori e seminaristi di tre Seminari regionali, umbro, campano e calabrese, nel primo centenario dalla loro fondazione. Esperienze ancora assai opportune e valide, le ha definite Benedetto XVI, nel complesso scenario culturale e sociale che viviamo. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    Una elevata formazione accademica e un notevole arricchimento umano. E’ quanto, afferma Benedetto XVI, hanno favorito sin dalla loro nascita, nel 1912, i Seminari regionali, opera di Papi quali san Pio X e Leone XIII e affidati alla direzione dei Gesuiti. Questa esperienza continua ancora assai opportuna e valida, nell’attuale contesto storico ed ecclesiale, sottolinea Benedetto XVI, dove questi seminari regionali e interdiocesani rappresentano una “efficace palestra” di comunione nell’unico servizio alla Chiesa di Cristo e una valida mediazione rispetto alle esigenze delle realtà locali, “evitando il rischio del particolarismo”. Quindi, lo sguardo del Papa si sofferma sui territori umbro, campano e calabro, ricchi spiritualmente ma anche in notevole difficoltà sociale. “Pensiamo”, dice, “ad esempio, all’Umbria, patria di San Francesco e di San Benedetto! Impregnata di spiritualità, l’Umbria è meta continua di pellegrinaggi”:

    "Al tempo stesso, questa piccola regione soffre come e più di altre la sfavorevole congiuntura economica. In Campania e in Calabria la vitalità della Chiesa locale, alimentata da un senso religioso ancora vivo grazie a solide tradizioni e devozioni, deve tradursi in una rinnovata evangelizzazione. In quelle terre, la testimonianza delle comunità ecclesiali deve fare i conti con forti emergenze sociali e culturali, come la mancanza di lavoro, soprattutto per i giovani, o il fenomeno della criminalità organizzata".

    È dunque il contesto culturale di oggi, continua il Papa, che esige dai futuri presbiteri una solida preparazione filosofico-teologica. “Non si tratta, solo di imparare le cose - spiega, riprendendo la Lettera ai Seminaristi in conclusione dell’Anno Sacerdotale - ma di “conoscere e comprendere la struttura interna della fede nella sua totalità, che non è una somma di tesi, ma è un organismo, una visione organica, così che essa diventi risposta alle domande degli uomini”. Ma indispensabile, sottolinea il Pontefice, è anche il legame intenso tra studio della teologia e vita di preghiera, tra ministero e vita spirituale del presbitero. Il Papa parla di “giusto equilibrio cuore intelletto, ragione e sentimento, corpo e anima”, di una integrità umana del sacerdote:

    "Sono queste le ragioni che spingono a prestare molta attenzione alla dimensione umana della formazione dei candidati al sacerdozio. È infatti nella nostra umanità che ci presentiamo davanti a Dio, per essere davanti ai nostri fratelli degli autentici uomini di Dio. Infatti, 'chi vuole diventare sacerdote, deve essere soprattutto un uomo di Dio', come scrive San Paolo al suo allievo Timoteo. Perciò la cosa più importante nel cammino verso il sacerdozio e durante tutta la vita sacerdotale è il rapporto personale con Dio in Gesù Cristo".

    “Prima ancora che sacerdoti colti, eloquenti, aggiornati, si vogliono sacerdoti santi e santificatori”. Così chiedeva il Beato Papa Giovanni XXIII a 50 anni dalla fondazione del Seminario Campano. Nelle parole conclusive di Benedetto XVI lo stesso auspicio:

    "Queste parole risuonano ancora attuali, perché forte più che mai è nella Chiesa tutta, come nelle vostre particolari regioni di provenienza, la necessità di operai del Vangelo, testimoni credibili e promotori di santità con la loro stessa vita. Possa ciascuno di voi rispondere a questa chiamata!".

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    In udienza dal Papa gruppo di vescovi Usa in visita "ad Limina"

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, un folto gruppo di presuli della Conferenza del vescovi degli Stati Uniti d’America, in visita ad Limina.

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    Cristiani uniti per portare la speranza dove c'è odio e ingiustizia: così il Papa a chiusura della Settimana di preghiera per l'unità

    ◊   L’impegno per il ristabilimento dell’unità dei cristiani è “un dovere e una grande responsabilità per tutti”. Così Benedetto XVI, ieri pomeriggio, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura presiedendo la celebrazione dei secondi Vespri della solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, a conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, quest’anno dedicata al tema: “Tutti saremo trasformati dalla vittoria di Gesù Cristo, nostro Signore”. Il servizio di Giada Aquilino:

    “Uniti in Cristo, siamo chiamati a condividere la sua missione”, cioè “portare la speranza là dove dominano l’ingiustizia, l’odio e la disperazione”. Questo il “traguardo” della piena unità dei cristiani, nelle parole di Benedetto XVI a San Paolo fuori le Mura. Nell’anno in cui - ha detto il Papa - “celebreremo il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II”, che il beato Giovanni XXIII annunciò proprio nella medesima Basilica il 25 gennaio 1959, il Pontefice ha ricordato che “pur sperimentando ai nostri giorni la situazione dolorosa della divisione, noi cristiani possiamo e dobbiamo guardare al futuro con speranza, in quanto - ha spiegato - la vittoria di Cristo significa il superamento di tutto ciò che ci trattiene dal condividere la pienezza di vita con Lui e con gli altri”. D’altra parte la risurrezione di Gesù Cristo “conferma che la bontà di Dio vince il male, l’amore supera la morte”. “Egli - ha aggiunto - ci accompagna nella lotta contro la forza distruttiva del peccato che danneggia l’umanità e l’intera creazione di Dio”:

    “La presenza di Cristo risorto chiama tutti noi cristiani ad agire insieme nella causa del bene. Uniti in Cristo, siamo chiamati a condividere la sua missione, che è quella di portare la speranza là dove dominano l’ingiustizia, l’odio e la disperazione. Le nostre divisioni rendono meno luminosa la nostra testimonianza a Cristo. Il traguardo della piena unità, che attendiamo in operosa speranza e per la quale con fiducia preghiamo, è una vittoria non secondaria, ma importante per il bene della famiglia umana”.

    Di fronte alla cultura di oggi, in cui “l’idea di vittoria è spesso associata ad un successo immediato”, Benedetto XVI ha riproposto l’ottica cristiana, in cui “ la vittoria è un lungo e, agli occhi di noi uomini, non sempre lineare processo di trasformazione e di crescita nel bene”. Essa avviene, ha ricordato, “secondo i tempi di Dio, non i nostri, e richiede da noi profonda fede e paziente perseveranza”. Sebbene il Regno di Dio irrompa definitivamente nella storia con la risurrezione di Gesù, esso - ha proseguito il Papa - “non è ancora pienamente realizzato”:

    “La vittoria finale avverrà solo con la seconda venuta del Signore, che noi attendiamo con paziente speranza. Anche la nostra attesa per l’unità visibile della Chiesa deve essere paziente e fiduciosa. Solo in tale disposizione trovano il loro pieno significato la nostra preghiera ed il nostro impegno quotidiani per l’unità dei cristiani. L’atteggiamento di attesa paziente non significa passività o rassegnazione, ma risposta pronta e attenta ad ogni possibilità di comunione e fratellanza, che il Signore ci dona”.

    Ripercorrendo le letture della celebrazione delle “lodi serali di Dio”, Benedetto XVI ha riproposto la vicenda personale di San Paolo e l’“evento straordinario” lungo la via di Damasco con cui “Saulo, che si distingueva per lo zelo con cui perseguitava la Chiesa nascente, fu trasformato in un infaticabile apostolo del Vangelo di Gesù Cristo”. E tale “trasformazione” – ha spiegato il Papa – “è innanzitutto opera della grazia di Dio che ha agito secondo le sue imperscrutabili vie”:

    “La trasformazione che egli ha sperimentato nella sua esistenza non si limita al piano etico – come conversione dalla immoralità alla moralità –, né al piano intellettuale – come cambiamento del proprio modo di comprendere la realtà –, ma si tratta piuttosto di un radicale rinnovamento del proprio essere, simile per molti aspetti ad una rinascita. Una tale trasformazione trova il suo fondamento nella partecipazione al mistero della Morte e Risurrezione di Gesù Cristo, e si delinea come un graduale cammino di conformazione a Lui”.

    L’esperienza personale di San Paolo gli permette di “attendere con fondata speranza il compimento di questo mistero di trasformazione, che riguarderà - ha aggiunto il Santo Padre - tutti coloro che hanno creduto in Gesù Cristo ed anche tutta l’umanità ed il creato intero”. Riguardo al rafforzamento nei fedeli della speranza della risurrezione operato dallo “straordinario evangelizzatore”, il Papa ha ricordato che San Paolo ci dice “che ogni uomo, mediante il battesimo nella morte e risurrezione di Cristo, partecipa alla vittoria di Colui che per primo ha sconfitto la morte, cominciando un cammino di trasformazione che si manifesta sin da ora in una novità di vita e che raggiungerà la sua pienezza alla fine dei tempi”.

    Mentre eleviamo la nostra preghiera, ha aggiunto, “siamo fiduciosi di essere trasformati e conformati ad immagine di Cristo”. E questo – ha detto il Pontefice – “è particolarmente vero nella preghiera per l’unità dei cristiani”:

    “Quando infatti imploriamo il dono dell’unità dei discepoli di Cristo, facciamo nostro il desiderio espresso da Gesù Cristo alla vigilia della sua passione e morte nella preghiera rivolta al Padre: ‘perché tutti siano una cosa sola’. Per questo motivo, la preghiera per l’unità dei cristiani non è altro che partecipazione alla realizzazione del progetto divino per la Chiesa, e l’impegno operoso per il ristabilimento dell’unità è un dovere e una grande responsabilità per tutti”.

    “Anche se a volte si può avere l’impressione che la strada verso il pieno ristabilimento della comunione sia ancora molto lunga e piena di ostacoli”, l’invito del Pontefice è stato “a rinnovare la propria determinazione a perseguire, con coraggio e generosità, l’unità che è volontà di Dio”, sull’esempio di San Paolo. Del resto - ha concluso il Papa - “in questo cammino, non mancano i segni positivi di una ritrovata fraternità e di un condiviso senso di responsabilità di fronte alle grandi problematiche che affliggono il nostro mondo”. Tutto ciò è motivo di gioia e di grande speranza e deve incoraggiarci a proseguire il nostro impegno per giungere tutti insieme al traguardo finale”.

    Poco prima, anche il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei Cristiani, aveva ricordato che “l’unità dei cristiani può soltanto esserci donata da Dio, a patto che ci lasciamo trasformare da Lui ed apriamo il nostro cuore, che a volte teniamo chiuso, anche per altri, nei quali ci viene incontro la chiamata di Dio”.

    A testimoniare il cammino di unità, la presenza in Basilica - oltre che della comunità benedettina locale - del Metropolita Gennadios, rappresentante del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, del Reverendo Canonico Richardson, rappresentante personale a Roma dell’Arcivescovo di Canterbury, Rowan Willams, e degli esponenti delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali, tra cui anche quelle presenti in Polonia, come pure i membri del Global Christian Forum e gli studenti dell’Istituto ecumenico del Consiglio ecumenico delle Chiese di Bossey. A tutti è andato il saluto del Papa.

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    Gli impegni del Papa fino a Pasqua: il 18 febbraio il Concistoro, dal 23 al 29 marzo la visita in Messico e a Cuba

    ◊   L’Ufficio delle celebrazioni liturgiche ha pubblicato oggi il calendario delle cerimonie che Benedetto XVI presiederà dall’inizio del mese di febbraio fino a Pasqua. Un’agenda nella quale – oltre ai consueti impegni legati al periodo liturgico – spiccano l’annunciato Concistoro e il viaggio apostolico in Messico e a Cuba. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Ventidue nuovi cardinali attendono di ricevere dal Papa la berretta cardinalizia e Benedetto XVI gliela imporrà nel quarto Concistoro del suo Pontificato, fissato per sabato 18 febbraio alle 10.30, mentre il giorno successivo alle 9.30, nella Basilica di San Pietro, sarà la volta della Messa papale con i nuovi cardinali. Sono queste le date di maggior rilievo nel calendario dei prossimi impegni di Benedetto XVI in febbraio. Mese che sarà aperto con la consueta celebrazione dei Vespri, il 2 febbraio alle 17.30 in San Pietro, con i religiosi e le religiose, nella Festa della Presentazione del Signore. Il pomeriggio del 22 febbraio, solennità delle Ceneri, il Pontefice sarà alle 16.30 alla Basilica di Sant’Anselmo per il rito della Statio e della processione penitenziale, quindi alle 17 si sposterà nella Basilica di Santa Sabina per la tradizionale Messa con la benedizione e l’imposizione delle Ceneri. Da domenica 26 febbraio a sabato 3 marzo, poi, Benedetto XVI sospenderà ogni attività per vivere la parentesi degli esercizi spirituali con la Curia Romana in Vaticano. Attività che riprenderà il giorno dopo domenica 4 marzo, quando alle 9.30 il Pontefice si recherà nella parrocchia romana di S. Giovanni Battista de La Salle, al Torrino, per presiedere la Messa.

    Le celebrazioni per i mille anni dei Camaldolesi vedranno Benedetto XVI presiedere, sabato 10 marzo alle 17.30, i Vespri nella Basilica romana di S. Gregorio al Celio, nella quale sarà presente anche l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams. Il mese verrà chiuso dal primo e atteso viaggio apostolico internazionale dell’anno, quando dal 23 al 29 marzo il Papa volerà oltreoceano verso il Messico e Cuba. Gli appuntamenti fissati del calendario arrivano a includere i consueti impegni della Settimana Santa, che inizierà con la Messa della Domenica delle Palme, il primo aprile alle 9.30, proseguiranno con la Messa del Crisma, che Benedetto XVI presiederà alle 9.30 del Giovedì Santo in San Pietro, e quindi con la solenne Messa in Coena Domini, che il pomeriggio stesso, alle 17.30, avrà luogo in San Giovanni in Laterano. Due gli impegni papali per il Venerdì Santo, 6 aprile: alle 17 la celebrazione della Passione del Signore nella Basilica Vaticana, quindi alle 21 il rito della Via Crucis al Colosseo. La Veglia pasquale di Sabato Santo inizierà invece alle 21, sempre nella Basilica petrina, mentre il giorno dopo, alle 10.15 in Piazza san Pietro, sarà la volta della solenne Messa di Pasqua, conclusa a mezzogiorno dalla Benedizione Urbi et Orbi, che Benedetto XVI impartirà dalla Loggia centrale della Basilica.

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    La Santa Sede aderisce e ratifica alcune Convenzioni Onu contro la criminalità

    ◊   Ieri, la Santa Sede ha aderito, anche a nome e per conto dello Stato della Città del Vaticano, alla Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento al terrorismo (New York 1999) e alla Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale (Palermo 2000). Nello stesso tempo, la Santa Sede ha ratificato, anche in questo caso a nome e per conto della Stato della Città del Vaticano, la Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito dei narcotici e delle sostanze psicotrope (Vienna 1988), che aveva già firmato nello stesso anno in cui venne adottata.

    “Il passo compiuto – sottolinea il segretario per i Rapporti con gli Stati mons. Dominique Mamberti in una nota esplicativa – vuole essere un ulteriore riconoscimento da parte della Santa Sede del fattivo impegno con cui la comunità degli Stati previene e combatte gravissime attività criminali transnazionali, di tragica attualità, attraverso appropriati strumenti di cooperazione internazionale”. Il presule cita la Lettera Apostolica in forma di ‘Motu Proprio’ di Benedetto XVI per la prevenzione ed il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario: “Molto opportunamente – scrive il Papa - la comunità internazionale si sta sempre più dotando di principi e strumenti giuridici che permettano di prevenire e contrastare il fenomeno del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo. La Santa Sede approva questo impegno ed intende far proprie queste regole nell’utilizzo delle risorse materiali che servono allo svolgimento della propria missione e dei compiti dello Stato della Città del Vaticano”.

    “Le parole del Santo Padre – prosegue mons. Mamberti - ci ricordano che il terrorismo e la criminalità organizzata attentano alla dignità della persona umana e al bene comune in tutti i Paesi del mondo. È per tale motivo che, con il deposito degli anzidetti strumenti di adesione e di ratifica dei tre trattati sotto esame, la Santa Sede conferma la sua volontà ed il proprio impegno concreto ed efficace di collaborare con la Comunità internazionale in maniera coerente con la sua natura e missione, al fine di garantire la pace e la giustizia internazionale”.

    L’adozione di tali strumenti – osserva il segretario per i Rapporti con gli Stati – “riflette la determinazione di adeguare l’ordinamento interno ai più rigorosi parametri normativi concordati a livello internazionale, ed in particolare alle Raccomandazioni GAFI/FATF, quali criteri internazionali in materia di finanziamento del terrorismo e di antiriciclaggio”. Inoltre, questi cambiamenti – spiega - rendono la “già rigorosa” Legge vaticana contro il riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo, “ancora più dettagliata, prevedendo, tra l’altro, strumenti di cooperazione internazionale più trasparenti e sanzioni più elevate per la violazione della legge. Queste innovazioni, insieme con i nuovi strumenti giuridici offerti dalle tre Convenzioni, che mirano a favorire un elevato livello di collaborazione tra i Tribunali dello Stato della Città del Vaticano e quelli di altri Stati, rendono la lotta contro il terrorismo, il riciclaggio, il narcotraffico nonché la criminalità organizzata transnazionale ancora più determinata”.

    “Tutto ciò, naturalmente – afferma mons. Mamberti - non pregiudicherà il diritto sovrano di ciascuno Stato di astenersi dalla propria collaborazione rispetto a procedimenti pendenti in altri ordinamenti, quando essi possano risolversi in forme di persecuzione individuale per ragioni politiche, religiose, etniche e simili. Nell’odierno contesto internazionale, marcato da gravissime e ripetute violenze per motivi religiosi, troppo spesso ai danni dei Cristiani, ritengo doveroso sottolineare che tali tipi di cooperazione internazionale in futuro potranno anche giovare a prevenire e contrastare dette gravi offese alla vita e alla libertà religiosa di ogni essere umano”. Tale passo – conclude il presule - "aiuta ancora una volta l’incontro fra la giustizia e la pace, menzionato nel Salmo 84, e la Santa Sede è lieta che ciò confermi la verità del suo impegno per il rispetto della dignità umana e la concordia fra le persone ed i popoli”.

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    Nota di padre Lombardi sulla trasmissione Tv "Gli intoccabili"

    ◊   Il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi ha commentato con una nota una trasmissione televisiva andata in onda su La7, definita faziosa nei confronti del Vaticano e della Chiesa cattolica. Ecco il testo del suo commento:

    La trasmissione televisiva “Gli intoccabili” andata in onda ieri sera, accompagnata dall’abituale contorno di articoli e commenti può essere oggetto di molteplici considerazioni, a cominciare dalla discutibilità del metodo e degli espedienti giornalistici con cui è stata realizzata, per continuare con l’amarezza per la diffusione di documenti riservati. Ma non è di questo che ora vogliamo principalmente parlare, essendo oggi tutto ciò fin troppo abituale, sia come metodo generale, sia come stile di informazione faziosa nei confronti del Vaticano e della Chiesa cattolica. Proponiamo piuttosto due semplici considerazioni che non hanno trovato spazio nel dibattito.

    La prima. L’azione svolta da mons. Viganò come Segretario Generale del Governatorato ha certamente avuto aspetti molto positivi, contribuendo ad una gestione caratterizzata dalla ricerca del rigore amministrativo, del risparmio e del raddrizzamento di una situazione economica complessiva difficile. Questi risultati, ottenuti durante la Presidenza del card. Lajolo, sono chiari e non sono negati da nessuno. Una valutazione più adeguata richiederebbe tuttavia di tener conto dell’andamento dei mercati e dei criteri degli investimenti nel corso degli ultimi anni, ricordare anche altre circostanze importanti, come i risultati notevolissimi dell’attività dei Musei Vaticani, con flusso accresciuto di pubblico e orari di apertura più ampi, ricordare le finalità non puramente economiche ma di supporto della missione della Chiesa universale da parte dello Stato della Città del Vaticano che sono motivo di spese anche notevoli, e così via. Alcune accuse poi – anche molto gravi – fatte nel corso della trasmissione, in particolare quelle nei confronti dei membri del Comitato Finanza e Gestione del Governatorato e della Segreteria di Stato di Sua Santità, impegnano la Segreteria di Stato stessa e il Governatorato a perseguire tutte le vie opportune, se necessario legali, per garantire l’onorabilità di persone moralmente integre e di riconosciuta professionalità, che servono lealmente la Chiesa, il Papa e il bene comune. In ogni caso, i criteri positivi e chiari di corretta e sana amministrazione e di trasparenza a cui si è ispirato mons. Viganò continuano certamente ad essere quelli che guidano anche gli attuali responsabili del Governatorato, nella loro provata competenza e rettitudine. E ciò è coerente con la linea di sempre maggiore trasparenza e affidabilità e di attento controllo sulle attività economiche su cui la Santa Sede è chiaramente impegnata, nonostante le difficoltà, come dimostrano anche le adesioni alle Convenzioni internazionali di cui si dà notizia – per casuale coincidenza – proprio quest’oggi. Insomma, l’avvicendamento alla guida del Governatorato non intende certamente essere un passo indietro rispetto alla trasparenza e al rigore, ma un ulteriore passo avanti.

    La seconda. Discussioni e tensioni, comprensibili differenze di opinioni e posizioni, vengono sottoposte alla valutazione di un giudizio superiore proprio perché questo è in grado di vedere le questioni in una prospettiva più ampia e con criteri più comprensivi. Un procedimento di discernimento difficile sui diversi aspetti dell’esercizio del governo di un’istituzione complessa
    e articolata come il Governatorato – che non si limitano a quelli del giusto rigore amministrativo - è stato invece presentato in modo parziale e banale, esaltando evidentemente gli aspetti negativi, con il facile risultato di presentare le strutture del governo della Chiesa non tanto come toccate anch’esse dalle fragilità umane – ciò che sarebbe facilmente comprensibile - quanto come caratterizzate in profondità da liti, divisioni e lotte di interessi. In questo diciamo senza timore che si è andati e si va spesso ben aldilà della realtà; che la situazione generale del Governatorato non è così negativa come si è voluto far credere; che tanta disinformazione non può certamente occultare il quotidiano e sereno lavoro in vista di una sempre maggiore trasparenza di tutte le istituzioni vaticane, e infine che non bisogna dimenticare che il Governo della Chiesa ha al suo vertice un Pontefice di giudizio profondo e prudente, la cui dirittura al disopra di ogni sospetto garantisce la serenità e la fiducia che giustamente si attendono coloro che operano al servizio della Chiesa e i fedeli tutti. In questa prospettiva va riaffermato decisamente che l’affidamento del compito di nunzio negli Stati Uniti a mons. Viganò, uno dei compiti più importanti di tutta la diplomazia vaticana, data l’importanza del Paese e della Chiesa cattolica negli Stati Uniti, è prova di indubitabile stima e fiducia da parte del Papa.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   L'unità dei cristiani dovere e responsabilità per tutti: Benedetto XVI conclude a San Paolo fuori le Mura la Settimana di preghiera ecumenica.

    Nell'informazione internazionale, l'arcivescovo Dominique Mamberti sulla partecipazione della Santa Sede all'impegno della comunità internazionale contro la criminalità transnazionale.

    Crisi e disuguaglianze: Michele Dau sugli effetti di un'economia "drogata".

    La corte dei piccoli reclami: l'inviato Marco Bellizi sul discorso del premier britannico, David Cameron, all'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa.

    In cultura, riguardo al libro "Chiesa cattolica. Essenza - Realtà - Missione", stralci dalle pagine iniziali scritte dal cardinale Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, e anticipazione dell'intervento, in occasione della presentazione, del cardinale Kurt Koch, presidente del medesimo Pontificio Consiglio.

    La scelta di Vittorio: Gabriele Rigano su un fascista cattolico convinto che rinnegò il duce e divenne Giusto tra le Nazioni.

    Quando non c'era memoria ma solo trauma: Anna Foa sulla raccolta di racconti di Jadwiga Maurer "Controfigure".

    Il Premio Bravo a "L'Osservatore Romano": Marta Lago su un riconoscimento che da quarant'anni promuove i media al servizio della dignità umana.

    Un'efficace palestra di comunione: nell'informazione vaticana, Benedetto XVI alle comunità dei Pontifici seminari Campano, Umbro e Calabro.

    Da Wojtyla a Ratzinger l'abbraccio del Papa al popolo cubano: intervista di Mario Ponzi all'ambasciatore presso la Santa Sede, Eduardo Delgado Bermudez.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: uccisi un dirigente della Mezzaluna rossa e un sacerdote ortodosso. Appello di padre Dall’Oglio

    ◊   Un sacerdote ortodosso e un dirigente della Mezzaluna rossa sono stati uccisi nel corso degli episodi di violenza che hanno scosso anche ieri la Siria: il primo è stato colpito sulla strada da Damasco a Iblid; il sacerdote in un sobborgo di Hama, mentre prestava soccorso a un ferito. Lunedì prossimo, sarà ricevuto all’Onu il segretario della Lega araba, che intende presentare un piano per una soluzione politica. Proprio contro tale piano, oggi "centinaia di migliaia" di sostenitori del regime siriano sono scesi nelle piazze delle maggiori città. In ogni caso, alla comunità internazionale lancia un appello Padre Paolo Dall'Oglio, fondatore in Siria del monastero di Deir Mar Musa. Lo ha raggiunto telefonicamente Fausta Speranza:

    R. – Queste notizie sono tragiche. L’uccisione del sacerdote, in particolare per i cristiani, è evidentemente uno shock. Si tratta di un sacerdote della comunità ortodossa, che è maggioritaria nella zona in cui è stato ucciso, Hama, e ciò non manca di allarmare ulteriormente questa comunità che, di fatto, è la più importante comunità cristiana siriana, quella bizantina-ortodossa. E allarmerà ulteriormente la Russia, perché ha una prossimità culturale e spirituale con quella comunità.

    D. – Si parla in questi momenti dell’Onu, che potrebbe ascoltare il segretario della Lega Araba. Lei che cosa prova quando sente queste ipotesi diplomatiche o comunque di una soluzione politica?

    R. – E’ assolutamente necessario che tutti quelli che possono lavorare a delle soluzioni, lo facciano secondo coscienza. La stragrande maggioranza dei siriani non vuole un intervento armato internazionale, ma tra questo e non fare niente c’è una differenza immensa, come dal giorno alla notte. Bisognerà che qualcuno ci metta mano per cercare di arrivare a qualcosa di diverso che la prospettiva della guerra civile e del bagno di sangue. (ap)

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    Il premier Cameron da Davos: "La Tobin tax è una follia"

    ◊   Disoccupazione e imprese al centro del Consiglio Europeo del prossimo 30 gennaio. A dettare l’agenda è stato il presidente dell’Ue, Herman Van Rompuy. Prima del vertice, dedicato anche al Fondo salva-Stati, ci sarà un trilaterale informale tra i leader di Francia, Germania e Italia, che si terrà prima del summit ufficiale. Intanto a Davos, dove si sta svolgendo il World Economic Forum, il premier britannico Cameron è tornato a tuonare contro l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie in Europa, da lui definita “pura follia”. Questa presa di posizione così netta non rischia di spaccare ulteriormente l’Europa? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Luigi Paganetto, presidente della Fondazione economia dell’Università Tor Vergata di Roma:

    R. – Non credo, perché non c’è chi sia veramente convinto di questa tassa. Al di là delle diverse posizioni, è una scelta - o sarebbe una scelta - poco realistica: tutti siamo convinti che bisogna mettere ordine nel sistema finanziario internazionale, ma bisogna farlo con gli strumenti che si stanno predisponendone anche a livello d’Europa, oltre che di altri Paesi.

    D. – Eppure la "Tobin tax" è un cavallo di battaglia, per esempio, del presidente francesce, Sarkozy, appoggiato dalla cancelliera tedesca Merkel e dal premier italiano Monti. Quanto potrà essere realizzabile e quanto ?

    R. – Credo sia una tassa che per funzionare dovrebbe essere adottata da tutti i Paesi, perché altrimenti succederebbe quello che lo stesso Cameron ha detto: quelli che non la adottano vedrebbero arrivare i capitali, mentre quelli che la adottano vedrebbero ridurre gli investimenti nelle loro aree. Quindi, o si arriva ad un accordo generale – e questo, se fosse possibile, sarebbe certamente opportuno – o resta un'ipotesi idealistica, difficile da realizzare.

    D. – Cameron ha inoltre lanciato, durante il suo discorso a Davos, una sfida alla Banca centrale europea, dicendo che può fare molto di più…

    R. – Questa è una cosa che non dice solo Cameron: lo diciamo anche noi come Paese e sosteniamo che uno dei problemi più importanti che deve affrontare l’Europa è proprio quello di dare autonomia di intervento alla Banca centrale europea. E' chiaro che la speculazione avrebbe le unghie tagliate da un comportamento della Banca centrale europea simile a quella della Banca d’Inghilterra, che può intervenire e comprare titoli quando ci fosse un rifiuto del mercato di farlo. A questo punto, ci sarebbe naturalmente una emissione di moneta e quindi un poco di inflessione ed è certamente meglio dell’instabilità che stiamo vivendo. Questo è un punto su cui la Merkel è molto titubante e su cui le autorità europee dovrebbero arrivare a trovare una qualche forma di consenso, anche se non attraverso direttamente la Bce, ma con qualche organo che facesse supplenza in questa direzione. (mg)

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    Tentato golpe in Papua Nuova Guinea. L'esperto: rischio guerra civile

    ◊   Tentato golpe in Papua Nuova Guinea. Un gruppo di uomini armati ha rapito il capo di Stato maggiore, chiedendo il reinsediamento dell’ex capo del governo, Michael Somare. Ma come si è arrivati a questo colpo di mano? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Stefano Vecchia, esperto di Asia:

    R. - Diciamo che l’episodio rientra in un conflitto in corso da tempo tra Michael Somare, personaggio storico della Papua Nuova Guinea, arrivato ai ruoli di potere subito dopo l’indipendenza, e Peter O’Neill. Il problema è nato dal fatto che Somare, di salute malferma, si è sostanzialmente ritirato lo scorso giugno dalla carica di premier. A questo punto, il parlamento aveva eletto O’Neill come nuovo primo ministro. La decisione però è stata sconfessata dalla Corte suprema lo scorso dicembre. Di conseguenza, il Paese si è trovato per alcuni mesi con un doppio governo. E proprio per sbloccare questa situazione, si è verificato oggi questo parziale colpo di Stato militare.

    D. - La situazione del Paese, politicamente appare quindi molto instabile?

    R. - Certamente. Il Paese è molto instabile, strutturalmente. L’Australia ha già avvertito che non tollererà una qualche destabilizzazione del Paese vicino, che ha ingenti quantità di risorse minerarie. Di fatto, la Papua Nuova Guinea dipende fortemente dall’aiuto straniero e ha il 37% della popolazione sotto il livello di povertà. Quindi, è chiaramente un Paese che ha bisogno di stabilità: una stabilità che non riesce a trovare, soprattutto a causa del conflitto tra queste due personalità forti. Somare, oltre ad essere malato, è anche molto anziano. Dunque, si dovrà trovare un’alternativa valida.

    D. - C’è il rischio che questa situazione degeneri in guerra civile?

    R. - Il rischio c’è. Bisogna dire che il Paese ha un territorio fortemente accidentato, la popolazione è composta da molte etnie Diciamo che, forse, questa divisione non favorisce un’azione di forza da una parte o dall’altra, e finora questa situazione ha infatti favorito una soluzione di compromesso. Bisognerà vedere nelle prossime ore come i due contendenti riusciranno, eventualmente attraverso il dialogo, a risolvere la questione. Altrimenti, se iniziassero i primi scontri fra i sostenitori di Somare o di O’Neill, c’è il rischio che si vada verso la guerra civile. (bi)

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    Pakistan: arrestato missionario srilankese. Il vescovo di Multan: da noi coesistenza pacifica

    ◊   In Pakistan, non si hanno ancora notizie dei due cooperanti di una ong tedesca, l’italiano Giovanni Lo Porto e il collega olandese Bernd Johannes, rapiti il 19 gennaio scorso. Le indagini degli inquirenti non hanno dato alcun esito. Il capo della polizia ha emesso un’ordinanza, in base alla quale per “proteggere” gli stranieri che operano sul territorio decreta la loro “espulsione”. In questo ambito, stamattina è stato arrestato padre Christi Silva, direttore della casa di formazione dei missionari Oblati di Maria Immacolata. Padre Christi Silva, che è un missionario originario dello Sri Lanka, da otto nella diocesi del Multan, attendeva il rinnovo del visto dallo scorso maggio. Nonostante questi ultimi fatti di cronaca, mons. Andrew Francis, vescovo di Multan, stempera i toni. L’intervista è di Emer McCarthy:

    R. – The situation in general is very …
    La situazione in generale è molto buona. C’è una buona comprensione tra la Chiesa cattolica e le altre religioni. Solo recentemente sono andati tutti su di giri, a causa di due stranieri – un italiano e un tedesco – che lavoravano per delle ong, che sono stati rapiti e che da allora non sono stati ritrovati. Ora, tutta la loro rabbia sta venendo fuori: la polizia del Punjab è in tensione e arrestano chiunque. Ma, in generale, devo dire che Dio è stato buono con noi e che stiamo continuando a sforzarci a favore di una coesistenza pacifica, illuminati dell’insegnamento della Chiesa, senza accettare compromessi a scapito della nostra fede.(ap)

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    Italia. Senato approva riferimento alle radici giudaico-cristiane in politica europea

    ◊   Nella mozione di maggioranza sulla politica europea dell’Italia, approvata ieri dal Senato, è stato introdotto un emendamento della Lega Nord che introduce il riferimento alle radici giudaico-cristiane nella premessa del documento, oltre alle comuni radici culturali già indicate nel testo. Hanno votato a favore, oltre al Carroccio, anche Pdl e Terzo Polo. Contrari Pd e IdV. Per un commento Debora Donnini ha intervistato Luca Diotallevi, professore di Sociologia all’Università di Roma Tre:

    R. – Naturalmente, è un evento di carattere prevalentemente simbolico. Ma è un intervento a correzione del testo di straordinaria importanza, perché precisa e dà conto di una verità storica che, altrimenti, la precedente formulazione avrebbe occultato: le radici dell’esperimento europeo sono giudaico-cristiane.

    D. – Secondo lei, è importante sottolineare proprio in questo momento un’identità dell’Europa, facendo riferimento alle radici giudaico-cristiane, perché l’identità non sia solo – per così dire – economica?

    R. – Le radici giudaico-cristiane innanzitutto appartengono alla verità della storia. Ricordarle significa costruire un antidoto al tentativo, esercitato dalla politica sotto il nome di Stato, di costituire un’identità e un potere assoluti sulla società europea continentale.

    D. – In questo senso, dando la possibilità ai popoli di ritrovare, appunto, un fondamento comune, che non sia solo economico…

    R. – Il rischio che noi corriamo non è di un’identità economica, ma di un’identità laicistica fondata sul potere dello Stato. Ecco perché il richiamo delle radici giudaico-cristiane è importante: relativizzando la politica introduce l’unico meccanismo di correzione dello strapotere economico, che è il meccanismo del mercato, come insegna la Centesimus annus. Per questo, nella Caritas in veritate Benedetto XVI dice che la governance deve essere poliarchica e per questo a Westminster ha sottolineato l’importanza della convergenza tra le istituzioni della cultura politica britannica e la Dottrina sociale della Chiesa.

    D. – Cosa hanno portato l’ebraismo e il cristianesimo in Europa a livello di diritti?

    R. – Come ha ricordato Benedetto XVI a Berlino, le tradizioni ebraico-crsistiane in alleanza con il diritto romano hanno portato il riconoscimento del valore assoluto della persona e la relativizzazione di ogni pretesa da parte dei poteri mondani. In termini più analitici, l’emancipazione di tutte le persone umane e la capacità, aggregandosi, di costruire organizzazioni e istituzioni che concorressero al bene comune non è stato soltanto un principio, ma è stata la grande storia sociale dell’Europa, di cui il cristianesimo è stato senz’altro l’anima principale: quindi ospedali, scuole, emancipazione della donna, sindacati, partiti politici, imprese, università... E proprio l’università è una delle tipiche invenzioni del Medio Evo cristiano.

    D. – In parte i diritti dei lavori, un tema molto difficile oggi perché si lega a quello del costo del lavoro…

    R. – Come ricordava Benedetto XVI, l’incontro tra la rivelazione cristiana e il diritto romano ha portato a riconoscere ovunque, in qualsiasi condizione – dentro la famiglia, in un posto di lavoro, nell’esercizio delle responsabilità civili – insopprimibili valori della persona umana: dunque, emancipazione della donna e i diritti dei lavoratori sono il prodotto di questo. Naturalmente, oggi il confronto si sposta a livello globale, perché abbiamo a che fare con realtà anche economicamente molto dinamiche – pensiamo alla Cina – che però questi valori non li riconoscono pienamente e quindi noi siamo contemporaneamente impegnati in un confronto economico, in un confronto politico, ma anche in un confronto – diciamo – di visione della persona umana e dei suoi diritti. (mg)

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    Domani la Giornata della Memoria. La testimonianza di una superstite della Shoah

    ◊   Un’occasione per ricordare la Shoah, le vittime del nazionalsocialismo e del fascismo e in onore di chi a rischio della propria vita ha protetto i perseguitati. E’ la giornata della Memoria che ricorre domani 27 gennaio, in occasione del sessantasettesimo anniversario dall’apertura dei cancelli di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa. “Se capire è impossibile, conoscere è necessario”, ha scritto Primo Levi, testimone della barbarie, scomparso 25 anni fa. Per “conoscere” meglio, dunque, questa pagina buia della storia dell’umanità vi proponiamo oggi la testimonianza di Vera Michelin Salomòn, deportata politica nel carcere tedesco di Aichach. L’intervista è di Paolo Ondarza:

    R. - Io mi occupavo del movimento studentesco clandestino, che si era raccolto nell’unione degli studenti contro l’occupante tedesco e naturalmente contro la Repubblica di Salò.

    D. - Per voi ci fu l’arresto e una condanna. Una condanna, in particolare, per lei e per una sua amica…

    R. - La mia amica, non era ancora fidanzata con mio cugino, Paolo Buffa, con cui si è poi sposata. Lei rientrò a casa con una borsa piena di volantini contro i tedeschi: quella per i nazisti fu la prova che la nostra era una casa da svuotare.

    D. – Nella casa c’erano anche suo cugino, Paolo Buffa, e Paolo Petrucci che fu assolto in un primo momento dal tribunale militare, ma poi trovò la morte nella tragedia delle Fosse Ardeatine, tragedia della quale lei fu testimone diretta…

    R. – Sì, ero lì a Regina Coeli. Questo è il mio ricordo più penoso, più angoscioso, anche più del viaggio di deportazione in Germania, dell’anno di carcere, di tutto il resto, perché alla Fosse Ardeatine si vide, in pieno, la ferocia dell’occupante tedesco.

    D. - Quali sentimenti avevate in quei momenti?

    R. - Va detto che io avevo vent’anni e a quell’età ci si sente abbastanza invulnerabili, si spera sempre di uscirne… Non sapevamo nulla, che cosa ci avrebbe aspettato, perché benché i governanti sapessero e tutta l’Europa sapesse che cosa c’era in Germania, le notizie alla gente normale non arrivavano. Quasi nulla veniva pubblicato dai giornali. Quindi, il sentimento era di attesa, di sapere che fine avremmo fatto. Certo, dopo le Fosse Ardeatine c’era l’incognita per tutti noi.

    D. – Al processo lei venne condannata a tre anni di carcere da scontare in Germania. Il viaggio avvenne all’interno di un carro bestiame…

    R. – La cosa strana è che mi sono quasi totalmente dimenticata di quel viaggio, ho dormito tutto il tempo. Eravamo almeno 40 persone, sempre al buio. Siamo scesi a Monaco e portati a Dachau in una prigione di transito. Dopo un mese circa, siamo stati destinati ad Aichach, una prigione nell’Alta Baviera.

    D. – Durante la prigionia eravate consapevoli di quanto vi poteva aspettare?

    R. - Non sapevamo nulla, filtravano le notizie del fronte che erano quelle che ci interessavano più di tutto. Eravamo sicurissime che sarebbe finita e speravamo al più presto.

    D. - Quindi una speranza forte…

    R. – Sì, c’era una povera signora che piangeva tutto il tempo, diceva ogni volta: ma voi vi raccontate i film, non sapete che tanto qui moriremo tutti… Noi cercavamo di reagire. Ci facevano lavorare in cella… Mi hanno anche mandato per due mesi a lavorare in campagna, perché i prigionieri dei tedeschi lavoravano tutti e hanno sostenuto l’economia di guerra della Germania. Il fatto di stare in prigione era comunque un privilegio: anche se non mangiavamo niente, vivevamo però fra quattro mura, più o meno tutelate, non eravamo esposte come nei lager alle persecuzioni fisiche, alle botte...

    D. - Vi giungeva notizia di quanto accadeva nei campi di concentramento?

    R. – Niente. Noi abbiamo saputo qualcosa solo dai militari americani che quando sono arrivati erano così scioccati da quello che avevano visto che hanno dovuto sostituirli subito dopo: sono rimasti dieci giorni in zona e poi li hanno mandati a riposarsi in America e hanno messo al loro posto forze fresche che non avessero avuto lo shock dei campi.

    D. – Da allora, ha preso il via un suo impegno per far conoscere, per sensibilizzare…

    R. – Sì, un impegno maturato tardi, nel senso che al ritorno nessuno voleva saperne più niente…

    D. – Oggi perché è importante ricordare? Secondo lei c’è una sufficiente memoria storica?

    R. - Più che memoria, che viene fatta un po’ ritualmente – oggi quasi tutti sanno che cosa erano i campi di concentramento - ciò che non è stata sufficientemente indagata è la ragione per cui tutto è potuto succedere in un Paese come la Germania, di vecchia civiltà, di grande cultura: non ci si è chiesti sufficientemente quali siano le matrici che fanno rinascere certi istinti, certe pulsioni che sono nell’uomo e che possono venire fuori da determinate condizioni sociali…

    D. – Come guarda oggi a quanto ha vissuto?

    R. – Sono serena, perché le tragedie della guerra sono state così terribili che io mi sono considerata fortunata. Noi non abbiamo perso il nostro nome, non abbiamo avuto il numero sul braccio, eravamo comunque persone. Dal passato oggi cerco di capire qualcosa del presente. Non è che abbia dimenticato, le sofferenze fisiche si possono dimenticare: non si dimenticano le sofferenze spirituali, il patimento di essere cancellati come persone umane. Sì, penso che questa sia una cosa che ti porti dietro sempre. (bf)

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    Rispondere alla domanda di Dio nella società: al via l'incontro Kek-Ccee

    ◊   Inizia oggi a Ginevra l'incontro del Comitato congiunto della Conferenza delle Chiese europee (Kek), che riunisce le principali Chiese ortodosse, protestanti e anglicane del continente, e del Consiglio delle Conferenze episcopali cattoliche d'Europa (Ccee). Un appuntamento annuale che quest’anno prende spunto dalle sfide poste alla Chiesa e alla società in questo periodo di crisi, come spiega, nell’intervista di Fausta Speranza, padre Duarte Nuno Queiroz de Barros da Cunha, nuovo segretario generale del Consiglio dei vescovi europei:

    R. – Non è soltanto una crisi economica - come il Santo Padre sempre ci ricorda - ma si tratta più di una crisi di fede e quindi anche di una crisi culturale. Da qui la decisione di tenere questo incontro congiunto per cercare di capire quali siano le sfide per testimoniare il Vangelo in questo mondo, che ha così tanto bisogno di Gesù. Sembra quasi che sia il mondo a chiederci di metterci d’accordo, perché il mondo ha bisogno di Cristo.

    D. – Padre Duarte, anche il dialogo con i musulmani in Europa sarà in primo piano?

    R. – Anche in questo, da anni ci si confronta: alle volte insieme e alle volte non insieme per questioni pratiche. Nel corso dello scorso anno la Kek ha affrontato questo aspetto relativo al rapporto tra cristiani e musulmani in Europa, considerandolo un’urgenza. La Ccee ha tenuto un incontro a Torino con i delegati di tutte le Conferenze episcopali per discutere su cosa si stia facendo e quali siano le principali preoccupazioni nel rapporto e nel dialogo con i musulmani, nell’integrazione e soprattutto nell’aspetto della presenza istituzionale dei musulmani nei Paesi e negli Stati europei. Vogliamo ora raccontare alla Kek quello che abbiamo fatto, visto che anche loro hanno svolto delle indagini nelle loro Chiese per comprendere quale sia la situazione nei rapporti tra i musulmani e i cristiani. E’ possibile poi che confrontandoci si arrivi all’idea di fare qualcosa insieme, ma questo non è ancora detto… Siamo due organismi impegnati nell’approfondire e nello sviluppare le conoscenze, nel realizzare un lavoro in questo dialogo. Bisogna però tenere presente che ci sono diverse realtà di musulmani in Europa: una cosa sono i musulmani che stanno arrivando ora; una cosa sono i musulmani che da anni vivono in Paesi europei e sono europei, come nei Paesi Balcani; un’altra cosa sono i musulmani ormai totalmente integrati; un’altra cosa ancora sono i musulmani non integrati che hanno quindi delle difficoltà… Tutte queste diversità implicano anche da parte dei cristiani un rapporto e un approccio diverso. Quello che però si vede sempre di più è che la presenza dei musulmani richiede ai cristiani un approfondimento della propria fede: il dialogo sempre implica la necessità di comprendere chi si è, per poi presentarsi all’altro e per ascoltare l’altro. Anche la nostra dimensione d’identità cristiana diventa allora un’urgenza. Inevitabilmente collegata a tutto ciò è la dimensione missionaria, perché la nuova evangelizzazione implica anche che questo dialogo interreligioso possa portare, alla fine, all’annuncio del Vangelo.

    D. – Si parlerà anche della presenza degli zingari in diversi Paesi d’Europa…

    R. – Già da tempo la Ccee e la Kek hanno parlato ed affrontato la realtà degli zingari in Europa, soffermandosi anche su quello che le diverse Chiese protestanti ed ortodosse fanno nei vari Paesi dell’Est e sul lavoro svolto dalla Chiesa cattolica. L’ultimo anno è stato particolarmente importante proprio per questo: a livello di Chiesa cattolica, come Ccee, e con la Comece (Commissione degli Episcopati della Comunità europea), abbiamo tenuto diversi incontri, ai quali hanno partecipato diversi esperti, per comprendere quale possa essere la possibilità politica e pastorale per aiutare l’integrazione, ma anche per la valorizzazione di questi popoli. Ccee e Kek hanno svolto una giornata del seminario insieme alla Commissione europea a Bruxelles, durante la quale è stato affrontato proprio il tema degli zingari. Questo incontro si è concluso con una lettera congiunta della Ccee e della Comece indirizzata alla Commissione europea e che ora vogliamo presentare alla Kek, nella quale sottolineiamo quelli che riteniamo essere gli aspetti importanti della vita degli zingari: quindi l’educazione, l’integrazione e soprattutto l’aiuto nel lavoro. (mg)

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    Eurispes: Italia, "democrazia bloccata". Cresce consenso per la Chiesa. Commento di Salvatore Martinez

    ◊   E' stato presentato questa mattina a Roma il “Rapporto Italia 2012” elaborato dall’Eurispes. I particolari nel servizio di Massimo Pittarello:

    “Un’Italia vittima e complice di una democrazia bloccata” è il sottotitolo del “Rapporto Italia 2012” presentato stamani dall’Eurispes e che racconta un Paese attraversato da un generale senso di depressione, dove la “classe dirigente”, si legge, “autoreferenziale, privilegiata e feudale”, vive e prospera anche grazie alla complicità della società. Evasione fiscale ed economia sommersa sono le ragioni di questo nefasto sodalizio che per il presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fava, “è necessario trovare il coraggio di rompere”, se si vogliono superare gli egoismi corporativi e costruire un progetto che permetta l’uscita dall’“emergenza nazionale” in tema di lavoro e occupazione. Le famiglie italiane sono in grave difficoltà economica, non risparmiano più e consumano sempre meno, spesso obbligate a ricorrere a prestiti e rate, con un incombente rischio usura. Dal Rapporto emerge una fiducia in calo verso quasi tutte le istituzioni, fra le quali il parlamento rimane la più disprezzata. Eccezion fatta per la Chiesa, la cui fiducia sale dal 40 al 47,3%, mentre va sempre peggio per sindacati e partiti. Le ragioni di un ritrovato consenso nella Chiesa cattolica le abbiamo chieste al professore Salvatore Martinez, presidente del Rinnovamento nello Spirito Santo:

    R. - La Chiesa ha insistito fortemente sul tema della moralizzazione della vita pubblica. Benedetto XVI non ha mancato di richiamare al fatto che questo tema investe anche l’istituzione ecclesiale, gli stessi uomini di Chiesa. Don Luigi Sturzo diceva che non possono esistere due morali: non c’è una morale privata e una morale collettiva. “Mos” – che vuol dire "costume" in latino – indica i nostri stili di vita, indica gli atteggiamenti di ogni giorno. L’antipolitica alligna soprattutto nelle coscienze, allorquando non c’è coerenza di vita rispetto all’istituzione che va servita con virtù. La gente chiede assunzione di responsabilità, chiede coerenza tra fede e vita. Pertanto, nonostante le difficoltà che qua e là sembra registrare, la Chiesa merita maggiore fiducia, merita maggiore consenso, a testimonianza che dalla Chiesa, dal cristianesimo, dall’idealismo cristiano viene la più forte e arricchente forza di umanizzazione di questo nostro tempo, che ponendo in crisi la presenza di Dio, sta sempre più oscurando l’uomo, la sua dignità, il suo migliore futuro.

    D. - Sui temi etici – quali testamento biologico, pillola abortiva e divorzio breve – gli italiani si mostrano favorevoli. Quali sono le ragioni di questo grande consenso?

    R. – Ricorderei ciò che nella sua prima enciclica, Deus Caritas est, Benedetto XVI ebbe a scrivere proprio all’esordio, e cioè che l’amore si presenta talvolta con contraffazioni del suo significato più autentico. Talvolta, gli uomini non sono incoraggiati a perseguire queste vie. Bisognerebbe riscoprire il valore della comunità, il valore di una solidarietà che pone il calore di una moralità pubblica, di una moralità privata, di un affetto verso coloro che portano una sofferenza. E’ più facile decretare la morte dinanzi a una sofferenza, che promettere vita, speranza e certamente farsi compagno di viaggio di chi soffre.

    D. – Il titolo del rapporto Eurispes è “Un’Italia vittima e complice di una democrazia bloccata”. Che quadro ne esce?

    R. – Sembrano prevalere le letture istituzionali in un tempo di decadenza delle rappresentanze e delle stesse istituzioni, che non appaiono credibili dinanzi alle nuove generazioni. C’è una grande responsabilità guardando al futuro: c’è l’incapacità degli adulti di indicare ragioni di vita, ragioni di speranza e quindi di immaginare una realtà, quella che i nostri giovani avranno come futuro da vivere, entro la quale spazi autentici di libertà, spazi autentici di giustizia sociale, spazi autentici di carità sociale possano essere rappresentati. Quindi, questi racconti statistici ci dicono che bisogna fare di più, bisogna ripartire però dalle comunità, ripartire dai territori, dalla gente. Ritengo che l’Italia, soprattutto il Sud con la sua forte componente religiosa, possa rappresentare davvero un motore di sviluppo, davvero una possibilità d’inversione di tendenza. (ap)

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    Chiudono gli ospedali psichiatrico-giudiziari. Il governo: si mette fine a un capitolo vergognoso

    ◊   Sono circa 1.400 le persone internate negli ospedali psichiatrico-giudiziari. Ieri sera, il Senato ne ha decretato la chiusura entro il 31 marzo 2013. Soddisfazione è stata espressa dai ministri della Giustizia, Paola Severino, e della Salute, Renato Balduzzi. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Si chiude una pagina vergognosa, dice il ministro Balduzzi. Ad oggi, sono sei gli ospedali psichiatrici giudiziari sul territorio nazionale e spesso le condizioni di vita per gli internati sono pessime. Per la soppressione di queste strutture sono stati stanziati 180 milioni di euro. Ma che fine faranno i malati? Il presidente del Forum per la Sanità penitenziaria, Roberto Di Giovan Paolo:

    R. – Ci sono persone che possono, se possibile, stare nel loro domicilio, seguendo le cure. Altre dovranno andare in specifiche case, ma case di cura, e dovranno essere assistiti attraverso il Dipartimento di salute mentale della loro zona: questo significa anche in case alloggio e, si spera nel futuro, anche in case famiglia.

    D. – Nel resto d’Europa che cosa succede su questo fronte?

    R. – Si fa quello che per noi non è stato fatto e cioè bloccare l’ingresso negli ospedali psichiatrico-giudiziari. Si cura il disagio psicologico e psichiatrico anche nelle carceri, che ovviamente hanno una situazione diversa – non sono sovraffollate e hanno dei reparti specializzati in questo – oppure si sta in una sorta di arresto domiciliare in alcune case riservate a questo tipo di casi particolari. (ap)

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    Privacy on line: la Commissione Europea propone una riforma

    ◊   La Commissione europea ha proposto ieri una riforma della normativa che era in vigore dal 1995 in materia di protezione dei dati, con l’intento di rafforzare i diritti della privacy on line. Viviane Reding, vicepresidente della Commissione, ha spiegato che un'unica normativa può porre fine all'attuale frammentazione e alla gravosità degli oneri amministrativi, promettendo alle imprese risparmi per circa 2,3 miliardi di euro l’anno. Fausta Speranza ne ha parlato con Thierry Vissol, consigliere speciale per la comunicazione della Rappresentanza a Roma della Commissione Europea:

    R. – Ci sono differenze notevoli da un Paese all’altro, e dunque l’idea è quella di creare un quadro giuridico che sia davvero unico.

    D. – Si parla di “diritto all’oblio”: è questo uno dei punti forti del regolamento?

    R. –Il punto più importante è proprio questo: la possibilità, per un cittadino, di gestire totalmente i rischi connessi alla protezione dei suoi dati online. Potrà quindi cancellare i propri dati se non sussistono motivi legittimi per mantenerli, richiedendo all’operatore di cancellare tutto.

    D. – Tecnicamente l’operatore come può far fronte alle richieste di tutti i cittadini, con un lavoro così enorme davanti a sé?

    R. – E’ questa la cosa interessante, come anche il fatto che si introduce un diritto per l’operatore ed un diritto per il cittadino-consumatore. Un’impresa che, ad esempio, fa delle vendite online e si trova in Inghilterra, fa riferimento alle autorità del suo Paese. Il consumatore, invece, se si trova in Italia, fa riferimento all’autorità italiana, anche se ha trattato con un’impresa inglese, e questo è molto importante: permette a qualsiasi persona di poter intraprendere qualsiasi tipo di azione nella propria lingua e con la sua autorità, qualsiasi sia l’operatore che ha fornito il servizio. E questo vale per ogni Paese dell’Unione Europea.

    D. – Diciamo anche un’altra cosa: su Internet si può mettere in ombra, si può fare in modo che qualcosa non si veda, ma si possono cancellare del tutto i dati?

    R. – Sì, si possono cancellare dai server degli operatori.

    D. – Ma ci devono essere delle motivazioni serie e giustificate?

    R. – No, è il contrario: le ragioni devono essere ben definite per conservarle, non per cancellarle. Qualsiasi persona può chiedere ad una banca, ad un assicuratore, ad un fornitore online o ad un social network di cancellare i dati che ha a proprio nome.

    D. – Un altro punto è quello dell’obbligo, da parte delle aziende, di comunicare l’eventuale perdita o sottrazione di dati entro 24 ore. E’ così?

    R. – Gli operatori, qualora ci fosse un problema, hanno l’obbligo, entro 24 ore, di segnalarlo all’autorità da cui si dipende.

    D. – Non sempre, però, il problema è immediatamente visibile alle aziende. I dati, cioè, non vengono sottratti fisicamente, ma vengono copiati…

    R. – Di fatto, non è una cosa molto semplice. Non ho ancora visto il testo completo né della direttiva e né del regolamento, perché è appena stato adottato. Dunque, non possono fornire dei dettagli.

    D. – In definitiva, è un regolamento sulla privacy online, ma non è ancora una lotta alla cyber-criminalità…

    R. – Diciamo che questo aiuterà. Con un quadro che risulti essere uguale per tutti i Paesi, tutti gli operatori di cyber-criminalità faranno riferimento allo stesso quadro giuridico. Questo renderà più facile la trasmissione di informazioni da una polizia nazionale ad un’altra e contribuirà effettivamente alla lotta alla criminalità. (vv)

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    Nella Chiesa e nel mondo



    I vescovi asiatici riuniti a Bangkok: "La Chiesa diventi voce dei poveri"

    ◊   Creare una Chiesa per i poveri cominciando a mettere in pratica la Dottrina sociale cattolica nelle istituzioni ecclesiali a tutti i livelli. Con questo impegno si è concluso a Bangkok, in Thailandia , l’VIII riunione dell’Istituto dei vescovi asiatici per l’Azione sociale (Bisa VIII) promosso dall’Ufficio per lo Sviluppo Umano della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche (Fabc). Per una settimana, dal 18 al 24 gennaio, 37 tra vescovi, sacerdoti, religiosi e laici da 17 Paesi hanno riflettuto sul ruolo delle Chiesa per promuovere la causa degli ultimi in Asia: dai poveri, ai lavoratori migranti, alle popolazioni indigene, ai malati di Aids, alle vittime del traffico di esseri umani. Prima di iniziare i lavori alcuni delegati hanno vissuto per quattro giorni una reale “immersione” nella povertà, restando fra i più poveri e gli emarginati nelle baraccopoli alla periferia di Bangkok per comprendere a fondo la loro condizione, imparare dalla loro sofferenza e dalle vittime dell’ingiustizia. Dal successivo confronto, che ha occupato tre giornate, è emersa la comune convinzione che la Chiesa debba essere una voce più incisiva e fattiva per i poveri nel Continente. Nel documento finale, citato dall’agenzia Ucan, i partecipanti si impegnano quindi a “diventare agenti sociali di cambiamento, aiutando i poveri e gli emarginati a difendere i propri diritti economici, sociali e culturali”, a “diffondere gli insegnamenti sociali cattolici in modi e forme che la gente possa comprendere e a metterli in pratica nelle proprie parrocchie, diocesi e conferenze episcopali”. In concreto, precisa il documento, questo significa anche offrire salari più giusti e condizioni di lavoro dignitose per il personale che lavora nelle istituzioni e negli organismi ecclesiali, come anche riconoscere il diritto dei laici, uomini e donne, di partecipare ai processi decisionali nella Chiesa. Per rendere più incisiva l’azione della Chiesa in Asia in difesa dei poveri, i delegati si sono poi impegnati a cercare la collaborazione con altre organizzazioni non governative, religiose e secolari e a perorare insieme la loro causa presso le istituzioni a tutti i livelli. Essi hanno inoltre chiesto di riunirsi con maggiore frequenza e regolarità. L’ultima sessione del Bisa si è infatti tenuta 25 anni fa. Le precedenti sette si erano svolte tra il 1972 e il 1986. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Libia: Msf denuncia torture subite dai prigionieri e comunica lo stop delle attività a Misurata

    ◊   In Libia i detenuti vengono torturati. Per questo Medici Senza Frontiere ha annunciato lo stop delle proprie attività a Misurata. Pesanti abusi dei diritti umani durante gli interrogatori e negazione delle cure mediche d’urgenza. Medici Senza Frontiere lo ha denunciato in mattinata attraverso un comunicato in cui rende nota la decisione di sospendere i servizi nella città. Il documento riferisce di un numero crescente di pazienti con ferite riportate anche fuori dai centri di detenzione. In totale da gennaio si contano 115 persone, alcune delle quali sono state soccorse più volte segno che hanno subito interrogatori e torture ripetute. Dura la presa di posizione del direttore di Medici Senza Frontiere, Stokes: "Il nostro compito – afferma – è solo quello di fornire cure mediche per feriti in guerra e detenuti malati. Le autorità locali sono state informate dalla situazione. Tuttavia, alcuni funzionari hanno tentato di strumentalizzare e ostacolare le attività mediche" fornite dalla Ong. Solo ieri l’Alto commissariato Onu per i diritti umani ha informato il Consiglio di Sicurezza dell’esistenza di carceri illegali dove si trova un numero imprecisato di detenuti. Per questo è stato chiesto al Consiglio nazionale di transizione di riprendere il controllo delle strutture dove probabilmente si trovano anche civili, donne e bambini. (E.B.)

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    Nigeria: 200 arresti dopo gli attacchi dei giorni scorsi. In fuga migliaia di cristiani

    ◊   In Nigeria è salito a circa 200 il numero arresti in seguito ai sanguinosi attentati delle settimane scorse contro i cristiani rivendicati dal movimento islamico Boko Haram. Secondo gli inquirenti si tratta soprattutto di “mercenari provenienti dal Ciad”. Solo ieri il presidente Goodluck Jonathan ha destituito il capo della polizia affermando che la decisione rappresenta un primo passo verso la riorganizzazione della Forza armata nigeriana al fine di renderla più efficace e maggiormente in grado di fronteggiare le sfide della sicurezza interna. Intanto cresce il numero di persone in fuga verso zone ritenute più sicure. Secondo la fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre sarebbero oltre 35 mila, soprattutto a Jos e nelle regioni meridionali. Tra di loro vi sono moltissimi cattolici. Speranzoso mons Malachy Goltok, il vescovo di Bauchi, diocesi del nord-est del paese dove da Natale mancano all’appello molte famiglie cristiane immigrate dal sud. “Sono sicuro che quando la situazione si normalizzerà torneranno tutti” ha affermato all’agenzia Misna precisando che dietro la partenza c’era il desiderio di trascorrere le festività insieme con i parenti, nei villaggi di provenienza delle comunità igbo. Gli ostacoli sulla via del ritorno sono stati diversi. “L’attentato di Natale contro la chiesa di Madalla ha accresciuto la paura di violenze a sfondo settario. Tuttavia – ha aggiunto – hanno pesato molto anche le difficoltà legate allo sciopero generale contro il caro benzina”. Lo sciopero, segnato da due settimane di proteste di piazze, ha provocato la paralisi delle attività economiche per l’abolizione dei sussidi che per anni avevano tenuto bassi i prezzi della benzina, permettendo a milioni di persone di viaggiare nonostante la mancanza di lavoro e la povertà. Nella diocesi di Bauchi i cristiani sono circa 36.000, una minoranza esigua spesso dedita ai commerci. Molti di loro non erano in città domenica notte, quando l’esplosione di una bomba ha rischiato di far crollare la Chiesa della Nostra Signora di Loreto. Lo scoppio non ha causato né vittime né feriti, secondo il vescovo un segnale di Dio ad avere speranza in un futuro di pace. “I cristiani di Bauchi – sottolinea monsignor Goltok – hanno qui le loro case, i loro negozi e la loro vita: sono sempre stati parte integrante del tessuto sociale e continueranno a esserlo, proprio come i musulmani che vivono al sud”. (E.B.)

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    Caritas: oltre un milione di profughi in Somalia

    ◊   Sono un milione 356 mila gli sfollati interni in Somalia, 500.000 dei quali vivono nel cosiddetto corridoio di Afgoye. Lo afferma l’ultimo Situational Report inviato all’agenzia Fides da Caritas Somalia precisando che “a causa delle restrizioni all’accesso alle agenzie umanitarie nel sud della Somalia, la grave crisi alimentare continuerà, nonostante una buona stagione delle piogge Deyr”. La stagione delle piogge Deyr va da ottobre a novembre. Mentre le piogge hanno migliorato la produzione di bestiame e il rendimento delle colture, la Somalia è ancora fortemente dipendente dagli aiuti umanitari, soprattutto per quel che concerne l’assistenza sanitaria, l’acqua e la nutrizione. Con l'espulsione di 16 agenzie e organizzazioni non governative, decretata dal gruppo islamico Shabaab alla fine di novembre, e la sospensione della distribuzione di cibo a 1,1 milioni di persone nel sud è forte la preoccupazione che alcune aree del Paese possano trovarsi di nuovo in condizioni di carestia. Il periodo di raccolta dei cereali ottenuti grazie alle piogge Deyr va da gennaio a marzo e si ritiene che le regioni di Bay e Lower Shabelle otterranno cereali sufficienti per sostenere le loro popolazioni fino all'inizio del raccolto nel mese di luglio. Tuttavia le zone colpite dalle alluvioni, Gedo e Juba, avranno scorte molto limitate nei prossimi tre mesi. Rimangono gravi, inoltre, le condizioni di sicurezza. Combattimenti e attentati con ordigni esplosivi continuano a Mogadiscio e in altre città della Somalia. Nelle ultime quattro settimane, 7 operatori umanitari sono stati uccisi e un operatore umanitario americano è stato preso in ostaggio a Galkayo. Un recente attacco in un campo profughi a Mogadiscio ha causato altri sei morti. Nonostante la situazione difficile, Caritas Somalia continua le sue operazioni nel Paese e nel campo di Dadaab, in Kenya, dove sono accolti centinaia di migliaia di rifugiati somali. (E.B.)

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    Congo: aumentano gli sfollati nella regione del Katanga a causa di gruppi ribelli

    ◊   “Si avvicina a 18.000 il numero degli sfollati ma è quasi impossibile conoscerne il numero esatto. In molti si nascondono nella foresta. I campi per gli sfollati nel Katanga ormai sono quattro: Pweto, Mitwaba, Manono, Malemba. L’assistenza umanitaria tarda. Non sappiamo più dove sbattere la testa”: è la drammatica testimonianza consegnata all'agenzia Misna da mons. Fulgence Muteba Mugalu, vescovo di Kilwa-Kasenga, nella provincia del Katanga, situata nel sud della Repubblica Democratica del Congo. Già nelle settimane scorse il presule aveva denunciato il peggioramento della situazione nella sua diocesi a causa della ripresa delle attività di un gruppo ribelle guidato da Kyungo Mutanga, alias Gedeon, evaso in settembre. “La tensione – racconta– è salita domenica 15 gennaio a Kisele, in un villaggio di circa 7000 abitanti, a causa di voci sull’arrivo imminente di Gedeon e dei suoi uomini. In un batter d’occhio sono fuggiti tutti gli abitanti. Qualche ora dopo anche le popolazioni di altri villaggi, presi dal panico, hanno abbandonato le loro abitazioni”. I civili temono possibili scontri tra i ribelli e i militari regolari, ma anche possibili abusi da parte di questi ultimi. “A Mitwaba – denuncia il vescovo – hanno raccontato della vendita clandestina, da parte di uomini in divisa, di effetti personali degli sfollati”. Consegnatosi il 12 maggio 2006 alle forze Onu dispiegate a Mitwaba, Gedeon era stato condannato a morte dal tribunale militare di Lubumbashi per crimini contro l’umanità commessi tra il 2001 e il 2006 nella diocesi di Kilwa-Kasenga. “La pace nella nostra diocesi, nota purtroppo come ‘triangolo della morte’, è durata solo sei anni – si rammarica mons. Muteba – ma tutta la popolazione auspica un suo pronto ritorno nella regione”. Per ottenerla - conclude - è necessario arrestare Gedeon. “Uomini ben armati gli stanno dando la caccia ma lo stato attuale della giungla, santuario naturale di questo signore della guerra, e le piogge abbondanti nella nostra regione rendono la loro missione difficile, anche se non impossibile”. (E. B.)

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    Pakistan: speranze per Asia Bibi, ma “gli estremisti non accetterebbero il suo rilascio”

    ◊   “Anche se il suo accusatore cambiasse idea e ritirasse le false accuse che hanno portato alla condanna di Asia Bibi per blasfemia, gli estremisti islamici non accetterebbero il suo rilascio. Asia Bibi, per loro, resta blasfema a vita e sarebbe in pericolo di vita”: è quanto dice all’agenzia Fides il domenicano padre James Channan, direttore del “Dominican Peace Center” di Lahore, commentando le indiscrezioni circolanti sul possibile cambiamento della testimonianza di Qari Salam, fra gli accusatori della donna. “Tutti speriamo in un risoluzione pacifica e del caso, ma posso dire che oggi i gruppi estremisti islamici, pur non essendo molto forti a livello politico e parlamentare, restano molto influenti e sono molto potenti nelle strade e nelle piazze: hanno una grande capacità di mobilitazione e militanti pronti a tutto. Asia Bibi, se venisse rilasciata, non sarebbe certo al sicuro”, nota il Domenicano, ricordando che un imam aveva perfino messo una taglia sulla sua testa. Mentre si attende la data per la riapertura del processo di appello, davanti all’Alta Corte di Lahore, padre Channan ricorda l’annoso problema della magistratura in Pakistan: “E’ sottoposta alle pressioni degli estremisti islamici e ben lungi dal garantire giustizia, specie alle minoranze religiose”. Secondo il sacerdote, “questo è evidente per i Tribunali di primo grado, ma tocca anche le Corti di Appello: ricordiamo che fu l’Alta Corte di Lahore a fermare il presidente Zardari, che voleva dare il perdono presidenziale ad Asia Bibi, mentre oggi un ex presidente dell’Alta Corte di Lahore è l’avvocato difensore di Mumtaz Qadri, assassino reo confesso del governatore del Punjab, Salman Taseer”. Che l’estremismo religioso sia forte nel Paese, aggiunge padre Channan, lo dimostra anche “la lunga scia di omicidi e sequestri eccellenti che si susseguono: basta pensare all’esecrabile sequestro dei due cooperanti europei a Multan (l’italiano Lo Porto e tedesco Johannes), impegnati per le vittime delle alluvioni”. Oggi la comunità cristiana in Pakistan, in particolare, è preoccupata per una possibile alleanza della “Lega Musulmana-N” con le frange e i partiti religiosi fondamentalisti islamici, in vista delle elezioni del prossimo anno. (R.P.)

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    Incontro ecumenico in Pakistan: il proselitismo delle sette minaccia l’unità dei cristiani

    ◊   Alcune Chiese cristiane non ufficiali in Pakistan stanno creando divisioni nella comunità cristiana locale in un momento in cui è quanto mai necessario essere uniti. È l’allarme lanciato dai partecipanti a un incontro ecumenico organizzato nei giorni scorsi a Lahore nell’ambito della Settimana per l’Unità dei cristiani. A presiedere l’evento, ospitato nella Chiesa di San Giuseppe della città, c’erano l’Ordinario cattolico locale mons. Sebastian Shah e il vescovo anglicano Mano Rumalshah. Dagli interventi dei relatori – riferisce l’agenzia Ucan - è emersa la comune preoccupazione delle Chiese protestanti e cattolica pakistane per il proliferare di gruppi e sedicenti pastori cristiani che fanno un proselitismo aggressivo in cui ogni mezzo è buono per conquistare nuovi adepti, soprattutto tra le fasce sociali più povere e meno istruite. Alcuni, infatti, non esitano a convertire le persone con denaro, terre e persino titoli di studio. Questo tipo di proselitismo - è stato evidenziato – non solo crea tensioni e divisioni, ma danneggia l’immagine della comunità cristiana pakistana già vittima di discriminazioni e persecuzioni. In questo senso si è espresso, tra gli altri, padre James Channan, coordinatore regionale della “United Chrtistain Initiative”. Di qui la viva esortazione a mantenere le distanze da questi gruppi. Tra le proposte emerse dall’incontro quella di costituire un comitato interecclesiale per affrontare insieme questa sfida e difendere i diritti della comunità cristiana. Il proselitismo e la proliferazione di sette cristiane è un problema comune a diversi Paesi asiatici e in alcuni casi ha contribuito ad alimentare le tensioni interreligiose. È il caso, ad esempio, dell’India e dello Sri Lanka, dove le cosiddette “conversioni forzate” ad opera di alcuni missionari hanno offerto il pretesto per introdurre leggi anti-conversione. (L.Z.)

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    India: attaccata casa di un pastore protestante in Orissa. Le ong: "cristianofobia" nel governo

    ◊   Un uomo indù ha attaccato la casa di un Pastore protestante nel distretto di Kandhamal, nello stato di Orissa, teatro delle violenze anticristiane verificatesi nel 2008. L’episodio, avvenuto ieri pomeriggio nel villaggio di Adigar, ha riportato la paura fra i cristiani che, secondo l’agenzia Fides, “si sentono insicuri”. La famiglia del Pastore Pabita Mohan Kota è stata colta di sorpresa quando un uomo indù, identificato come Jaleshwar Pradhan, abitante dello stesso villaggio, ha iniziato a lanciare pietre e mattoni contro l’abitazione, ha spintonato le figlie del Pastore, gridando: “Voi cristiani non dovete vivere qui, questa non è la vostra terra. Il massacro di Kandhamal non vi è bastato: questa sarà per voi la vostra tomba”. Il lancio di pietre è continuato per decine di minuti. La moglie del pastore, impaurita, si è subito allontana con le figlie. La casa del Pastore Kota era già stata distrutta durante gli attacchi del 2008 e molti mattoni erano nei pressi dell’abitazione, ancora in fase di ricostruzione. Al momento dell’attacco, il Pastore era fuori casa. I cristiani hanno denunciato l’incidente alla polizia locale, affermando che l’aggressore era in stato di ebbrezza. Anche se i danni alla casa non sono gravi, “c’è una sorta di tortura psicologica, la pressione sui cristiani è fortissima”. In un nota inviata sempre alla Fides, Organizzazioni della società civile indiana, cristiane e non cristiane, segnalano le sconcertanti dichiarazioni di un Ministro Federale per le Energie rinnovabili, Janab Farooq Abdullah, per il quale si chiede “l’immediata destituzione dal governo”. Farooq Abdullah, in passato Primo Ministro nello Stato di “Jammu e Kashmir”, ha espresso pubblicamente sostegno alla decisione di un tribunale islamico del Kashmir che ha emesso un ordine di espulsione per tre missionari, due protestanti (i Pastori C.M. Khanna e Gayoor Masih) e uno cattolico (padre Jim Borst), falsamente accusati di "conversioni fraudolente". Secondo le Ong, fra le quali il “Global Council of Indian Christians”, “un ministro federale, che ha l'obbligo di rispettare la Costituzione dell'India, ha avallato l'azione incostituzionale di una corte islamica che ha espulso cittadini indiani”. Tale decisione – si teme – può portare “a una ‘Fatwa’ contro i cristiani nel Kashmir e forse in tutta l'India, che sarebbe sostenuta da un Ministro”. La sua presenza nell’esecutivo, notano le Ong, “darà legittimità alle forze anti-costituzionali, anti-laiche e anti-nazionali”. (E.B.)

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    Reporter senza frontiere: 2011 anno buio per la libertà di stampa

    ◊   Anno buio il 2011 per la libertà di stampa. Reporter sans frontieres, che ogni anno misura il lavoro dei giornalisti nei 179 paesi del mondo, quest’anno punta il dito non solo contro i regimi totalitari ma anche contro le democrazie, dove la situazione nell’ultimo anno è peggiorata. Repressione, censura, violenza, si sono scatenate nel 2011 contro i giornalisti che mai come quest’anno sembrano aver dato molto fastidio a chi vuole mettere a tacere la libertà di informazione. Il rapporto segna lo scivolamento verso posizioni più basse di Stati Uniti, Francia, e anche Italia, piazzata al 61.posto. Paesi virtuosi si riconfermano Finlandia e Norvegia, primo posto ex aequo. Le posizioni peggiori a livello europeo sono occupate da Bulgaria e Grecia. Tra i paesi toccati dalla Primavera Araba a migliorare è stata solo la Tunisia, l’Egitto, dove si sono registrate molte violenze contro i giornalisti, perde 39 punti e arriva al 166mo posto. Peggiorano, come mai finora nella loro storia, Siria, Bahrain e Yemen. Maglia nera a Eritrea, Corea del Nord e Turkmenistan. Il controllo delle notizie e dell'informazione continua a essere una tentazione per i governi ed è una questione di sopravvivenza per i regimi totalitari e repressivi, scrive Reporter sans frontieres, che denuncia dittature assolute che non permettono libertà civili. Siria, Iran e Cina, si legge nel rapporto, sembrano aver perso il contatto con la realtà, avendo avviato un'insana spirale di terrore. Per quanto riguarda l’Italia, dove una dozzina di giornalisti sono sotto protezione, con le dimissioni di Berlusconi, si legge, il paese ha voltato la pagina del conflitto di interesse. Ciò nonostante il basso posizionamento in classifica porta ancora i segni del vecchio governo, soprattutto per il nuovo tentativo di introdurre una legge bavaglio e per l'intenzione di filtrare arbitrariamente i contenuti della Rete. (A cura di Francesca Sabatinelli)

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    Giornata della memoria: Messaggio del segretario generale Onu Ban Ki-moon

    ◊   “Proteggere i più vulnerabili, indipendentemente dalla razza, dal colore, dal sesso e dal credo. I bambini sono i più vulnerabili davanti al peggio dell'umanità. Noi dobbiamo offrire loro il meglio del mondo”. E’ l’appello che il segretario generale dell’Onu lancia nel suo Messaggio per la Giornata internazionale in memoria delle vittime dell’Olocausto, che quest’anno è dedicata ai bambini. Ne morirono un milione e mezzo, - riferisce l'agenzia Sir - e con loro anche decine di migliaia di piccoli disabili e di etnia rom e sinti. Tutti vittime, si legge nel Messaggio, “di un odio pieno di ideologia che li etichettava come esseri inferiori". Si tratta di “ragazzi e ragazze che hanno affrontato il terrore puro e il male. Molti sono rimasti orfani a causa della guerra, o strappati alle loro famiglie. Molti morirono di fame, di malattia o per mano dei loro aggressori. Non sapremo mai ciò che questi bambini avrebbero potuto offrire al nostro mondo. E tra i sopravvissuti, molti erano troppo sconvolti per raccontare le loro storie”. Ed per dare loco voce, prosegue Ban Ki-moon che oggi le Nazioni Unite “continuano ad insegnare la lezione universale della Shoah. È per questo che ci sforziamo di promuovere i diritti e le aspirazioni dei bambini - ogni giorno e ovunque”. Da qui l’appello “a tutte le nazioni a proteggere i più vulnerabili, indipendentemente dal credo, dalla razza, dal colore, dal sesso o dalla religione”. (R.P.)

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    Yemen: appello per aiutare 750 mila bambini malnutriti

    ◊   Circa 750 mila bambini yemeniti con meno di cinque anni di età soffrono di malnutrizione. E’ quanto si apprende da un recente comunicato, pervenuto all’agenzia Fides, che è stato diffuso a Saná dal direttore regionale dell’Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa, il quale ha lanciato un appello di richiesta di aiuto alla comunità internazionale affinchè il Paese possa far fronte a questo grave problema. L’indice di malnutrizione nello Yemen era già molto alto prima della crisi politica sfociata nelle proteste durate un anno. Tuttavia la situazione è peggiorata: dopo 11 mesi di conflitti, il 43% del totale dei 3,7 milioni di bambini con meno di 5 anni di età risulta sottopeso. I più penalizzati sono quelli che hanno meno risorse economiche a causa dell’aumento dei prezzi alimentari e del peggioramento dei servizi sanitari di base. Già nei mesi passati le Nazioni Unite avevano lanciato l’allarme sulle precarie situazioni del paese che era al limite del disastro umanitario e che correva il rischio di trasformarsi in un’altra Somalia. Oltre alla crisi politica, la situazione si è aggravata a causa della cattiva gestione della produzione agricola nel Paese, che obbliga ad importare il 90 % degli alimenti. Circa la metà dei 24 milioni di abitanti dello Yemen vivono in situazione di povertà e insicurezza alimentare. Si tratta del secondo Paese del mondo, dopo l’Afganistan, dove si registrano i più elevati livelli di malnutrizione infantile acuta. (R.P.)

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    Sud Sudan. Il Consiglio delle Chiese: puntare sui giovani per la pace nello Stato di Jonglei

    ◊   I giovani siano operatori di pace, in prima linea per la riconciliazione dello Stato di Jonglei, in Sud Sudan: è la proposta lanciata dal Consiglio delle Chiese del Sudan (Scc) – che include cattolici, ortodossi, presbiteriani e pentecostali – per porre fine alle violenze nella regione di Jonglei. Da tempo, infatti, la zona è devastata dagli scontri tra le comunità locali di allevatori Lou-Nuer e Murle. Le tensioni, quasi sempre legate al controllo dell’acqua e dei pascoli, hanno provocato finora almeno 25mila sfollati. “Senza il coinvolgimento dei giovani ed il loro senso di appartenenza al processo di pace – scrive in una nota l’Scc – ogni tentativo di riconciliazione è destinato a fallire”. Per questo, le Chiese sudanesi puntano il dito contro il reclutamento dei bambini-soldato, che rischia di protrarre gli scontri “nelle prossime generazioni”. Ribadendo che la vera pace “non è semplicemente la mancanza di conflitto”, ma “è basata sulla dignità e l’uguaglianza tra tutte le persone, create ad immagine e somiglianza di Dio”, l’Scc propone di lavorare alla riconciliazione del Paese su due livelli: uno istituzionale, attraverso il quale il governo si impegnerà a provvedere alla sicurezza e allo sviluppo della popolazione costruendo nuove strade e garantendo, grazie alla legge, giustizia per tutti. Il secondo livello sarà, invece, portato avanti dallo stesso Scc che “identificherà, formerà e supporterà alcuni rappresentanti delle singole comunità del Paese, in particolare i giovani, per far sì che diventino operatori di pace”. “Tale rete di invidui – si legge nella nota – farà da base al futuro processo di riconciliazione anche in altri Stati del Paese”. Esprimendo, quindi, la loro preoccupazione ed il loro cordoglio per le violenze perpetrate in Sud Sudan, le Chiese si dicono vicine alle vittime ed alle loro famiglie: “Come nazione – scrivono – dobbiamo riscoprire e reclamare quella pace e quell’unità che abbiamo sentito così forti durante il processo di indipendenza”, proclamata il 9 luglio 2011. Inoltre, un appello particolare viene rivolto all’ONU affinché continui ad impiegare i suoi peace-keepers nello Stato di Jonglei, fornendo anche aiuti umanitari. Nelle ultime righe della nota, l’Scc si rivolge a tutti i cittadini del Sud Sudan, chiedendo loro di “pregare per una duratura soluzione del conflitto”. (I.P.)

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    Perù: mons. Piñeiro eletto nuovo presidente della Conferenza episcopale

    ◊   È mons. Salvador Piñeiro García-Calderón, arcivescovo metropolita di Ayacucho e Ordinario militare del Perù, il nuovo presidente della Conferenza episcopale peruviana, per il triennio 2012-2015. Il presule è stato eletto ieri, nel corso della 99.ma Assemblea dei vescovi del Paese, e succede a mons. Miguel Cabrejos Vidarte. A coadiuvare il neo presidente nel nuovo incarico saranno mons. Pedro Barreto, arcivescovo di Huancayo, e mons. Javier Del Río, arcivescovo di Arequipa, eletti rispettivamente primo e secondo vice-presidente. Nato a Lima il 27 gennaio 1949, mons. Piñeiro ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale nel 1973 e l’ordinazione episcopale nel 2001. L’8 agosto 2011 Benedetto XVI lo ha nominato arcivescovo di Ayacucho. La 99.ma Assemblea dei vescovi peruviani si è aperta lunedì scorso e si concluderà domani, venerdì 27 gennaio. Ad inaugurare i lavori è stata una Santa Messa nella parrocchia di Sant’Antonio di Padova, a Lima, presieduta da mons. Cabrejos e concelebrata dal nunzio apostolico nel Paese, mons. James Patrick Green. Durante i lavori, come da tradizione, è stata assegnata anche la “Medaglia d’oro di San Turibio di Mogrovejo”, un’onorificenza istituita nel 2002 e destinata a quelle persone od enti che contribuiscono al bene della Chiesa. Quest’anno, la Medaglia è andata a due presuli: a mons. Luis Sebastiani Aguirre, arcivescovo emerito di Ayacucho, e a mons. Miguel Irizar Campos, vescovo emerito di Callao. (I.P.)

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    Consegnata al Patriarcato di Mosca la chiesa ortodossa russa di Bari

    ◊   Il complesso architettonico della chiesa ortodossa russa di Bari, dedicata a san Nicola di Myra, è passato ufficialmente al Patriarcato di Mosca. La cerimonia di formale consegna si è svolta lunedì scorso alla presenza del sindaco della città, Michele Emiliano, dell’ambasciatore della Federazione Russa in Italia, Aleksej Meshkov, del responsabile delle Istituzioni estere del Patriarcato, arcivescovo Mark Golovkov, e del rettore della chiesa, Andrej Boitsov. La cerimonia giunge a quasi tre anni di distanza dal 1º marzo 2009, giorno in cui il capo dello Stato italiano, Giorgio Napolitano, consegnò simbolicamente le chiavi di San Nicola al presidente russo Dmitrij Medvedev. (R.P.)

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    Italia: al Consiglio dei vescovi l'esigenza dell'iniziazione cristiana degli adulti

    ◊   Il tema principale della prossima Assemblea generale dei Vescovi è stato individuato nella formazione de “Gli adulti, maturi nella fede e testimoni di umanità”. La ragione di questa scelta all’interno del percorso decennale dedicato nella sua prima metà ad “introdurre e accompagnare all’incontro con Cristo nella comunità ecclesiale” è legata alla constatazione che proprio gli adulti spesso appaiono demotivati e poco autorevoli. D’altra parte, il modello dell’iniziazione cristiana è quello degli adulti che vanno coinvolti con proposte idonee a rispondere alle attese specifiche della loro formazione. Questa – è stato detto - dispiega tutta la sua efficacia quando diventa auto-formazione e consiste nell’aiutare l’adulto a prendere in mano se stesso e la propria vita di credente nella Chiesa. In tale contesto è stata data notizia di un progetto che intende far conoscere le “buone pratiche educative” presenti nelle Chiese locali al fine di attivare una condivisione di esperienze praticabili in un ambito così esigente e così necessario. Sono state poi affrontate le linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici. Si è sollecitato un rinnovato impegno da parte della comunità ecclesiale, chiamata ad affrontare la questione in spirito di giustizia, avendo premura in primo luogo per le vittime degli abusi e curando in particolare la formazione dei futuri sacerdoti e religiosi. Sarà compito della Segreteria Generale della Cei – dopo l’Assemblea generale di maggio - di presentare nel dettaglio in una conferenza stampa le suddette linee guida, rispondendo in tal modo alla precisa richiesta formulata dalla Santa Sede a tutte le Conferenze episcopali del mondo. Il Consiglio permanente ha poi stabilito che il Convegno Ecclesiale di metà decennio si celebri a Firenze nel 2015. Si tratta di un appuntamento che ha il compito di fare sintesi del cammino degli Orientamenti pastorali e di declinare in termini sempre aderenti al vissuto la testimonianza ecclesiale dentro il tessuto storico e sociale del nostro Paese. Sono stati, dunque, esaminati i materiali complementari della terza edizione del Messale Romano che giungerà così a definitiva conclusione durante la prossima Assemblea generale della Cei e si è presa visione del nuovo Statuto della Fondazione ‘Migrantes’ con una nuova attribuzione delle competenze sulla pastorale della navigazione aerea e marittima. Infine sono state esplicitate alcune indicazioni pastorali sull’Anno della fede per quanto di competenza della Conferenza episcopale e sono state approvate delle indicazioni didattiche per l’insegnamento della religione cattolica nel secondo ciclo di istruzione e formazione. (T.C.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 26

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli.