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Sommario del 24/01/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata delle comunicazioni sociali: ritrovare il tempo del silenzio per dare valore alla parola
  • Rinuncia e nomina
  • "La piccola comunità al servizio dell’evangelizzazione". Così Kiko Arguello iniziatore del Cammino neocatecumenale
  • L'incontro in Vaticano della delegazione dell'Osce. Intervista con il presidente Petros Efthymiou
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Costa Concordia. Ritrovato altro corpo, 16 le vittime accertate. La testimonianza del parroco del Giglio
  • Sciopero tir, la protesta va avanti. Monti: "Il rispetto della legalità si deve esigere"
  • Cei, il cardinale Bagnasco: no a polemiche su Ici, provocano sospetti inutili
  • La vedova di una delle vittime di Nassiriya: sono cristiana, ho scelto di perdonare
  • Un'indagine sulle condizioni di vita dei rom a Milano
  • Qumran, una missione italiana effettuerà nuove ricerche sul sito archeologico
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Usa. Mons. Dolan nella Veglia per la 39.ma Marcia per la Vita: rispettare la libertà di coscienza
  • Carestia nel Sahel: per il relatore Onu è "un fallimento di tutti"
  • Organizzazione internazionale del lavoro: pubblicato il testo su religioni e giustizia sociale
  • Allarme dei missionari spagnoli sull'infanzia nel mondo
  • Timori della comunità cristiana in Egitto per la vittoria degli islamisti alle elezioni
  • India: preoccupazione per le violenze anticristiane in Orissa
  • In India mobilitazione per salvare un pastore protestante
  • Pakistan: libera la ragazza cristiana rapita e costretta a convertirsi all’islam
  • Consiglio ecumenico delle Chiese: le comunità di fede più aperte ai problemi della salute
  • Cina: la diocesi di Tianjin festeggia un secolo di fondazione con un anno di celebrazioni
  • Africa orientale: piano di lavoro 2012 dell’Associazione delle donne consacrate
  • Alla Gmg di Madrid il premio speciale “Bravo!” della Chiesa spagnola
  • Il Papa e la Santa Sede



    Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata delle comunicazioni sociali: ritrovare il tempo del silenzio per dare valore alla parola

    ◊   “Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione”: pubblicato oggi il Messaggio di Benedetto XVI per la prossima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, che verrà celebrata il 20 maggio. Il servizio di Roberta Gisotti:

    “Silenzio e parola”: “due momenti della comunicazione che devono – spiega il Papa – equilibrarsi, succedersi e integrarsi per ottenere un autentico dialogo e una profonda vicinanza tra le persone. Al contrario, se “parola e silenzio si escludono a vicenda”, la comunicazione “provoca un certo stordimento”, o “crea un clima di freddezza”.

    “La dove i messaggi e l’informazione sono abbondanti, il silenzio diventa essenziale per discernere ciò che è importante da ciò che è inutile o accessorio”. “Ai nostri giorni, la Rete – constata il Santo Padre – sta diventando sempre di più il luogo delle domande e delle risposte; anzi, spesso l’uomo contemporaneo è bombardato da risposte a quesiti che egli non si è mai posto e a bisogni che non avverte”. E allora, “il silenzio è prezioso per favorire il necessario discernimento tra i tanti stimoli e le tante risposte che riceviamo”.

    Per altro verso, l’incessante flusso di domande che corre sulla Rete “manifesta – sottolinea ancora Benedetto XVI – l’inquietudine dell’essere umano sempre alla ricerca di verità, piccole e grandi, che diano senso e speranza all’esistenza”. Ma “l’uomo non può accontentarsi – il monito del Papa – di un semplice e tollerante scambio di scettiche opinioni ed esperienze di vita.”

    Da qui l’invito di Benedetto XVI: "creare “una sorta di ‘ecosistema’ che sappia equilibrare silenzio, parola, immagini e suoni”.

    “Siti, applicazioni e reti sociali” sono certo “da considerare con interesse”, quando “possono aiutare l’uomo di oggi a vivere momenti di riflessione e di autentica domanda, ma anche a trovare spazi di silenzio, occasioni di preghiera, meditazione o condivisione della Parola di Dio”. “Se Dio parla all’uomo anche nel silenzio, pure l’uomo scopre nel silenzio la possibilità di parlare con Dio e di Dio”.

    Dunque, “imparare ad ascoltare e contemplare, oltre che a parlare”. Sollecita Benedetto XVI soprattutto gli evangelizzatori a capire che “silenzio e parola sono entrambi elementi essenziali e integranti dell’agire comunicativo della Chiesa, per un rinnovato annuncio di Cristo nel mondo contemporaneo”.

    A presentare stamane il messaggio del Papa nella Sala Stampa Vaticana è stato l’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali, che nella ricorrenza odierna di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, ha celebrato una Messa nella chiesa romana di S. Maria in Traspontina per tutti i professionisti della comunicazione. La cronaca della conferenza stampa nel servizio di Fausta Speranza:

    Il messaggio di Benedetto XVI parte dalla sua attenzione all’uomo di oggi e a tutti è diretto, fuori e dentro la Chiesa. Mons. Celli parte dalle parole del Papa ma anche dalle domande dei giornalisti e riflette sul bisogno diffuso di silenzio inteso come contemplazione, dimostrato dalle tante prenotazioni per brevi soggiorni in monasteri, e dell’esigenza di autentiche riflessioni in una comunicazione televisiva fatta di accavallarsi senza troppi significati di voci. Parla di interiorità, mai scontata neanche in programmi cosiddetti religiosi:

    “Alle volte abbiamo delle trasmissioni religiose che – con tutto il rispetto di certi loro contenuti – sono paccottiglia artistica. Quando penso a certi film, a certe presenze… Direi che sono di tutto rispetto, ma alle volte fa un po’ sorridere. Ho trovato certe problematiche religiose più in registi che, a prima vista, venivano considerati quasi atei, che in altri che facevano grandi professioni di fede”.

    “Il silenzio – dice mons. Celli – serve per riflettere, per pensare, per valutare, per giudicare la comunicazione”. E ricorda una definizione di silenzio di Jean Guitton:

    “Esiste un silenzio che è un elemento primordiale, sul quale la parola scivola e si muove, come il cigno sull’acqua. Per ascoltare con profitto una parola conviene creare dapprima in noi stessi questo lago immobile. La parola sorge dal silenzio e al silenzio ritorna”.

    Poi l’annuncio del nuovo sito del Pontificio Consiglio delle comunicazioni e un bilancio del portale vaticano news.va: 3 lingue, inglese, spagnolo, italiano, ma entro l’anno saranno 5, con francese e portoghese. Tra gli 8 mila e i 10 mila contatti al giorno da 180 Paesi con punte di 16 mila. Di questi la grande maggioranza attraverso social network.

    “Quello che a me fa molto piacere è che chi entra si ferma e il tempo medio è di due minuti: questo vuol dire che la persona che ci visita non vi è capita per caso, ma si sofferma, legge e capta ciò che si vuole comunicare come notizia”.

    Web e social network – sottolinea mons. Celli – sono sorprendenti bacini di comunicazione ma sempre se si scongiura il rischio superficialità. Poi una parola sui telefonini: squillano anche in Chiesa o sul tavolo di coppie in cene romantiche dimostrando che c’è bisogno di riscoprire su tanti fronti il valore del silenzio come capacità di ascolto e contemplazione.

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    Rinuncia e nomina

    ◊   In Francia, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Aire et Dax presenta tata per raggiunti limiti di età da mons. Philippe Jean Louis Breton. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Hervé Gaschignard, finora ausiliare di Toulouse, in Francia.

    Mons. Hervé Gaschignard è nato il 14 giugno 1959 a Saint-Nazaire, nella diocesi di Nantes. Dopo gli studi superiori all’Ecole Supérieure de Commerce et d’Administration des Entreprises a Nantes, dove ha conseguito un diploma in economia, è entrato in Seminario. Ha fatto il primo ciclo di studi di filosofia presso il Seminario inter-diocesano di Angers e gli studi di teologia presso il Seminario francese di Roma, ottenendo la licenza in Teologia dogmatica (Ecclesiologia) alla Pontificia Università Gregoriana. È stato ordinato sacerdote il 1° luglio 1989 per la diocesi di Nantes. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi ministeriali: vice-parroco nel settore parrocchiale di Ancenis e di Saint-Géréon (1990-1995); direttore del 2° e 3° ciclo del Seminario Saint-Jean di Nantes (1995-2006); nello stesso tempo, dal 1997 è stato nominato delegato episcopale per l’unità dei cristiani e il dialogo con gli ebrei e dal 1999 superiore aggiunto del Seminario. Nel 2006 è diventato parroco di Notre-Dame la Blanche a Guérande. Eletto vescovo titolare di Bisuldino e nominato ausiliare di Toulouse il 30 ottobre 2007, ha ricevuto la consacrazione episcopale il successivo 6 gennaio 2008.

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    "La piccola comunità al servizio dell’evangelizzazione". Così Kiko Arguello iniziatore del Cammino neocatecumenale

    ◊   Sono ritornati nei loro Paesi i 1200 itineranti, famiglia in missione, sacerdoti e seminaristi del Cammino neocatecumenale, che domenica scorsa hanno concluso un incontro internazionale a Porto San Giorgio, nelle Marche, con una Messa presieduta dal cardinale Cañizares, prefetto della Congregazione per i Sacramenti e il Culto Divino. Un incontro culminato venerdì scorso con l’udienza in Vaticano con Benedetto XVI che ha inviato 17 “missio ad gentes” nelle zone più secolarizzate del mondo e nel quale è stata letta l’approvazione del Decreto delle celebrazioni del Direttorio catechetico del Cammino che segna le varie tappe dell’iniziazione cristiana. Roberto Piermarini ha chiesto a Kiko Argüello, iniziatore del Cammino neocatecumenale insieme a Carmen Hernandez, cosa lo ha colpito dell’incontro con il Papa:

    R. – Il suo amore per noi e la sua parola che è stata così potente e forte nel parlare dell’Eucarestia. Ha ribadito l’Eucarestia della domenica che nel Cammino viene celebrata nella piccola comunità. Ha voluto dire che riconosce la forza e la potenza della comunità per la salvezza della Nuova evangelizzazione. La comunità fa presente, nell’amore vicendevole dello Spirito Santo, l’arrivo del regno di Dio. Oggi molti pagani, molte persone secolarizzate, forse non vanno in Chiesa ma sono molto stupite per come noi ci relazioniamo, per come ci amiamo. Ci sono stati molti casi di persone che ci hanno chiesto il Sacramento del Battesimo, e questo semplicemente vedendo come ci amiamo, perché notano, in noi, qualcosa di nuovo. Questo “qualcosa di nuovo” è la presenza dello Spirito Santo, perché Cristo dice: “Amatevi come io vi ho amato”.

    D. “La maturazione progressiva nella fede del singolo e della piccola comunità deve favorire – ha detto il Papa al Cammino – l’inserimento nella vita della grande comunità ecclesiale”. Come si attua nel Neocatecumenato questo inserimento?

    R. - Ad un certo punto del Cammino, facciamo una pastorale di mediazione: invitiamo cioè le comunità a lavorare nella parrocchia, ad esempio nel fare la catechesi per i fanciulli o a visitare ai malati. Inoltre, celebriamo le grandi solennità nella grande assemblea della parrocchia. Il Natale, per esempio, lo festeggiamo con tutta la parrocchia, come pure il Giovedì Santo, il Venerdì santo, la Domenica delle Palme, la Pasqua ed anche la festa della parrocchia stessa. L’importante è che il parroco capisca di aver trovato una grande grazia con il Cammino, che è un dono, un carisma per la sua parrocchia.

    D. – Nell’incontro di questi giorni a Porto San Giorgio, molte famiglie in “missione a gentes” hanno raccontato la loro esperienza. Che cosa ti ha colpito della loro testimonianza?

    R. – E’ stato davvero fantastico vedere che alcune famiglie in missione già da sei anni, erano ancora piene di gioia e dimostravano così la presenza di Cristo. Significa che Dio è con loro, che le aiuta, con i loro sei o dodici figli, con i problemi di lavoro che possono avere. Sono tutte consolate. Sono felicissime di questa missione, perché si rendono conto che al di fuori della comunità c’è tanta tenebra, ci sono persone distrutte. Non possiamo neanche immaginare quanta gente, in Europa, è distrutta. Molti hanno problemi con l’alcool, sono soli, e vengono da noi per farsi aiutare. Noi facciamo quindi le catechesi nelle nostre case, e questa gente – vicina o lontana che sia – viene da noi e la sera rimane anche dopo aver finito l’incontro, perché gli fa piacere rimanere in compagnia della comunità...

    D. – Questo quindi, é un nuovo modo di evangelizzare?

    R. – Sì, è un nuovo modo di evangelizzare. Abbiamo visto che oggi, in molti casi, la struttura della parrocchia del secolo scorso, strutturata come un grande tempio, per i ‘lontani’ è ormai obsoleta: la gente non va in chiesa… e non si sa il motivo. Nelle nostre case, invece, le persone vengono, magari anche per via dell’amicizia e della vicinanza che viene loro data. Questo, allora, è una nuova presenza di Chiesa. Il cardinale tedesco Meisner ad esempio, ha voluto tre “missio ad gentes” a Colonia in alcune zone difficilissime. E’ una specie di nuovo tipo di parrocchia, con una struttura più semplice, più ad hoc. Si creano così una nuova forma di Chiesa, perché il mondo sta cambiando, come sta cambiando anche tutta la società.

    D. – Molti giovani chiedono di diventare sacerdoti e molte ragazze vogliono entrare nella vita religiosa. Perché tante vocazioni nel Cammino catecumenale?

    D. – Credo che, a parte il fatto che Dio dà delle grazie particolari, uno dei primi motivi è l’importanza della piccola comunità. Ai nostri giovani piace moltissimo l’Eucarestia celebrata nella propria comunità dove tutti sono parte attiva. Perciò, si rendono conto che per far sì che questo sia fattibile, servono molti preti, perché le comunità sono tante. Quindi offrono loro stessi, vogliono essere presbiteri, ed offrono il proprio corpo ad una sposa che è la comunità cristiana. Anche le ragazze avvertono che tutta l’evangelizzazione ha bisogno di una ‘retroguardia’, di una base, che é la preghiera contemplativa e l’unione con Gesù Cristo. Molte ragazze che sono nelle Carmelitane scalze, ci dicono di avere coraggio, perché pregano per noi. Abbiamo moltissime giovani anche nelle Benedettine: moltissimi monasteri delle Marche sono pieni di ragazze provenienti dal Cammino. Abbiamo più di 100 suore di Betlemme ed anche la presenza nelle Clarisse è alta. Siamo contentissimi di queste sorelle, anche perché questo si traduce, in qualche modo, in ricchezza per le comunità: quando una ragazza decide di entrare in un monastero di clausura infatti, tutta la sua comunità va a farle visita, l’aiuta, le chiede di pregare per tutti loro. E’ una forma di ricchezza per tutta la comunità.

    D. – Perché hai voluto comporre una “sinfonia-catechetica” sulla sofferenza degli innocenti?

    R. – Sentivo che volevo dare un omaggio alla Vergine Maria, perché mi impressiona davvero molto la sofferenza della Vergine sotto la Croce. Ho una grande sensibilità da questo punto di vista ed ho visto tanta gente che non comprende il perché della sofferenza. La madre che ha il proprio figlio malato di cancro, che sta per morire soffrendo terribilmente, non ne capisce il motivo, non comprende il perché di tanta sofferenza. Si chiede continuamente: “perché?”. Questa domanda: “perché tutta questa sofferenza?”, la Madonna l’ha vissuta nella sua carne di madre, vedendo suo Figlio torturato in modo indicibile, sottoposto appunto alla crocifissione. Questo, per me, è stato uno spunto molto importante: ho lasciato tutto e sono andato a vivere con i poveri nelle baracche di Madrid, proprio perché ho avuto modo di incontrare la sofferenza degli innocenti. Ad esempio, una donna mi ha chiesto aiuto perché veniva picchiata dal marito ed era costretta a prostituirsi. Ho visto cose orribili, e mi sono chiesto perché questa donna soffriva così: che peccati ha fatto! In questo luogo così orribile, ho trovato un’altra donna, che soffriva del morbo di Parkinson ed era stata abbandonata dal marito, che chiedeva l’elemosina. Aveva anche un figlio, e quando lei tornava a casa questo figlio la picchiava con un bastone. Mi chiedevo: “perché questo, ma perché, che significa tutto ciò?”. Sono arrivato ad una risposta: in Cristo, Dio ha incarnato l’innocente per eccellenza, ed ho pensato che, dato che c’è la presenza di Cristo nella Santa Eucarestia, la sua presenza c’è anche in tutti coloro che soffrono, che si caricano i peccati degli altri. Quindi, ho lasciato tutto e sono andato a vivere nelle baracche, dove vivevano anche questi innocenti perseguitati. Sono voluto andare vicino a Cristo. Ho pensato: “magari se domani arriva Cristo, mi piacerebbe che oggi mi trovasse così vicino ai poveri”. (vv)

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    L'incontro in Vaticano della delegazione dell'Osce. Intervista con il presidente Petros Efthymiou

    ◊   Nei decenni passati, l’Europa ha basato il proprio sviluppo e le proprie reti di tutela in rapporto all’ovest, non altrettanto sul versante che guarda all’Asia. È una delle convinzioni espresse da Petros Efthymiou, presidente dell’assemblea parlamentare dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, che ieri ha guidato una delegazione in Vaticano in incontri con il segretario per i Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Dominique Mamberti, e il presidente del Consiglio per il dialogo interreligioso, il cardinale Jean-Louis Tauran. Il presidente Efthymiou è stato intervistato dalla collega della nostra redazione inglese, Emer McCarthy:

    R. – People, in general, for the Osce have the idea about its role in the past …
    Per quanto riguarda l’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), la gente normalmente ricorda il ruolo svolto in passato, mentre non ha presente il ruolo che svolge oggi e che è chiamata a svolgere in futuro. Certo, il nostro passato è un passato glorioso, perché è grazie alle infrastrutture della Osce che abbiamo avuto la trasformazione dell’Europa orientale dai regimi totalitaristi a moderne democrazie. Questo è avvenuto soprattutto grazie all’Osce. Ora, invece, l’Osce si trova di fronte a un avvenire cruciale: in Europa non c’è sicurezza. C’è la sicurezza nella dimensione dell’Alleanza atlantica, con la Nato e l’Unione Europea, ma non abbiamo la dimensione della sicurezza euroasiastica: da Vienna al Kazakhistan c’è il vuoto. L’Osce è l’unico strumento a disposizione per lavorare insieme: Stati Uniti e Russia, Europa occidentale ed orientale, per costruire una piattaforma per la pace, la stabilità e cooperazione.

    D. – Benedetto XVI ha spesso parlato della libertà religiosa come del primo dei diritti umani. Ci parli del rapporto tra l’Osce e la Santa Sede, dei diritti delle minoranze, in particolare dei diritti delle minoranze religiose …

    R. – Our meeting with his excellence Mamberti was, I think, very useful, …
    Il nostro incontro con mons. Mamberti è stato, mi sembra, molto utile, molto chiaro e molto produttivo. La Santa Sede è – in un certo senso – generatore di idee per l’Osce, generatore di valori e di principi. Rappresenta anche un fattore di stabilità. Nella nostra assemblea di Oslo, abbiamo votato una risoluzione in merito alla libertà di religione nella quale – credo – siamo in piena armonia con le posizioni fondamentali della Santa Sede. Abbiamo anche prodotto la risoluzione in merito al rispetto del dialogo tra diverse religioni, e questa è anche una piattaforma per la pace e la stabilità nelle nostre società, nel mentre ci sono, al contrario, tentativi di utilizzare le religioni per ragioni politiche. (gf)


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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Tra silenzio e parola: il messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, il via libera dell'Europa al nuovo fondo salva-Stati.

    In cultura, un articolo di Grazia Loparco dal titolo "Ma chi erano gli ebrei nascosti dai religiosi?": i nomi, gli indirizzi e le cifre per Roma e l'intero territorio italiano.

    Romanizzazione medicea: Timothy Verdon su Giovan Antonio Dosio e l'influsso tridentino nella Firenze manierista.

    Un articolo di Marcello Filotei dal titolo "Garibaldi alla Sistina": la Cappella Musicale Pontificia ai tempi della Repubblica romana del 1849.

    Ecologia dell'uomo per la dignità della Terra: Stéphane Bauzon su ambivalenze storiche e attuali della passione umana per la salvaguardia del pianeta.

    Incapaci di conciliare vissuto e dottrina: su "Avvenire" Klaus Berger parla dell'esegesi "modernista".

    Per impulso dello Spirito Santo: nell'informazione religiosa, Juan Fernando Usma Gomez sui progressi nel dialogo teologico tra cattolici e protestanti.

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    Oggi in Primo Piano



    Costa Concordia. Ritrovato altro corpo, 16 le vittime accertate. La testimonianza del parroco del Giglio

    ◊   La tragedia del Giglio. Ritrovata un’altra vittima nel ponte 3 della Costa Concordia. I dispersi che mancano all’appello sono ora 22, mentre 16 le vittime accertate. Intanto, questa mattina sono cominciati i rilievi per le operazioni di recupero del carburante. Dalla notte del 13 gennaio circa 700 naufraghi sono stati accolti nella chiesa parrocchiale dedicata ai Santi Lorenzo e Mamiliano, Patroni dell'Isola, che si trova nella zona del Porto. Massimo Pittarello ha intervistato il parroco, don Lorenzo Pasquotti, chiedendogli qual è il senso e il valore che ha trovato nella sofferenza:

    R. - Il senso della sofferenza, la condivisione, l’opportunità di stare vicini, di dare un’occasione per testimoniare la nostra speranza: questo è ciò che dobbiamo fare. Domenica scorsa, nella predica durante la Messa, ho detto che nella visione economica della salvezza, anche questo dolore ha una funzione redentrice. Come puoi spiegarlo ai genitori, ai parenti che cercano ancora i dispersi? Nell’altra possibilità, il dolore è vano, la sofferenza è vana.

    D. - Nelle difficoltà, gli uomini si sono scoperti più solidali?

    R. - Certo. La gente del Giglio è gente di mare, sa cosa vuol dire una tragedia di mare, anche perché sono soprattutto naviganti, non sono pescatori. C’è gente che sa cosa vuol dire il mare, quali sono le insidie del mare. Una disgrazia del genere non si era mai verificata, però l'abbiamo affrontata comunque, ci siamo tirati su le maniche e siamo andati avanti. Poi si fa quello che si può, ci si riesce con l’aiuto di Dio, nel nome del Signore, e poi il Signore ci aiuterà. Noi ci mettiamo il nostro, il Signore ci mette il suo.

    D. - È vero che la notte del 13 gennaio, quando ha aperto le porte della parrocchia dei Santi Lorenzo e Mamiliano, ha utilizzato tutto ciò che aveva a disposizione, per dare conforto ai naufraghi, comprese le tonache dei chierichetti e tovaglie dell’altare?

    R. - Non glieli ho dati io. Li hanno presi loro quando sono arrivati. Quando le cose che si potevano dare erano già state prese ed usate, questo è ciò che rimaneva. Glieli ho lasciati, non ho fatto nessuna storia. Mi piaceva l’idea che i Santi o la Madonna li coprissero. Mi sembrava anche un valore simbolico.

    D. - È vero che ha allestito un piccolo spazio con ad esempio il Crocifisso, il tabernacolo oltre ad oggetti del naufragio provenienti dall’interno della nave come giubbotti di salvataggi ed un megafono?

    R. - Abbiamo messo su un tavolo tutto quello era rimasto nella chiesa quando, la mattina del sabato, i naufraghi erano qui sulla terraferma. Dopo tre-quattro giorni, ci hanno portato anche il tabernacolo con il piccolo Crocifisso che era di fianco. Adesso, ci porteranno la statua della Madonna che si trovava nelle cappella. Vorremo conservare tutto in una piccola cappella adiacente alla chiesa, affinché rimanga come memoria, come segno, come testimonianza di quella notte.

    D. - Ha qualche storia di particolare umanità da raccontare?

    R. - Gente infreddolita che stava rannicchiata per terra tutta bagnata, perché magari si era buttata in mare. E allora li abbiamo aiutati ad alzarsi, li abbiamo portati in casa, li abbiamo cambiati, gli abbiamo dato qualcosa di caldo da bere, anche gli anziani, i bambini… Andavo in giro con le caramelle, con qualche dolcetto per attenuare un po’ il disorientamento. Insomma, tutti abbiamo fatto qualcosa. Loro ci guardavano con un sorriso di gratitudine, vedevano che noi cercavamo di fare quello che potevamo. Non avevamo niente. Cercavamo di fargli capire che eravamo con loro, eravamo dalla loro parte. (bi)

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    Sciopero tir, la protesta va avanti. Monti: "Il rispetto della legalità si deve esigere"

    ◊   ''Vogliamo riformare l'Italia nella comprensione delle categorie ma facendo rispettare le leggi”: questa la linea del governo Monti sullo sciopero dei tir, che si è esteso a tutto il Paese e che sembra destinato a durare fino a venerdì prossimo. Oggi, alla protesta si unisce anche il dolore per la morte ad Asti di un manifestante, investito dal mezzo guidato da una collega tedesca che è stata arrestata. Per il sindacato Trasporto unito i blocchi saranno rimossi ma la mobilitazione continua. La situazione è intollerabile, avverte da parte sua il garante. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    Un astigiano travolto e ucciso da un tir tedesco: è l’ultimo tragico atto di una protesta che sta paralizzando l’Italia. Mezzi pesanti fermi ai caselli, da nord a sud: “Non ostacoliamo il traffico", dicono i manifestanti, ma a Roma il prefetto ha vietato i loro assembramenti. Disagi anche nei porti, manca il carburante e chiudono molte stazioni di servizio. Non c’è consegna merci e, tra l’altro, si fermano le attività dei primi due turni negli stabilimenti Fiat. Le situazioni peggiori in Calabria Sicilia e Sardegna. Ora, si teme anche per le risorse alimentari, Per la Coldiretti, sono a rischio al giorno 50 milioni di euro di prodotti alimentari deperibili. Molto critica la posizione della Cgil e di Confindustria e il garante non esclude la precettazione. Roberto Alesse presidente dell'Autorità:

    “Chi vuole manifestare e rivendicare indicare in modo legittimo i propri diritti lo deve fare rispettando la legge: noi ci troviamo di fronte a degli scioperi che sono selvaggi. L’Italia non si può fermare”.

    Intanto, si pronuncia anche la politica: diverse le sollecitazioni al governo dal Pdl e dall’Udc La linea del premier è il rispetto della legalità e del libero movimento delle merci, pur garantendo il diritto di sciopero.

    “Abbiamo deciso di proseguire con la protesta, ma lanciamo un appello: basta forzature, tensioni, blocchi, chi vuole circolare circoli". Così Trasportounito, che invita a placare le tensioni ma denuncia anche un mancato confronto col governo. Sentiamo Sandro De Caro di Trasportounito, intervistato da Gabriella Ceraso:

    R. – Noi, come Trasportounito, abbiamo dato dei segnali, abbiamo scritto ai nostri presidi di scaricare la tensione: quello, però, che stiamo verificando è che sta diventando più grossa di me gestire la situazione, perché mentre c’è un presidio autorizzato fisso, spontaneamente i tir stanno invadendo e creando il panico stradale. Purtroppo, il governo ci sta ignorando e anche i partiti non si stanno nemmeno preoccupando di andare a capire cosa sta succedendo, per poter avere anche una loro posizione, visto che le norme sbagliate fino ad oggi vengono dal parlamento. Non credo sia con la precettazione che si possa risolvere il problema. Arriviamo a impegni seri e concreti a ridiscutere la legge, che prevede i costi minimi. Noi chiediamo che lo sconto all’autostrada avvenga al casello, in modo immediato. Chiediamo che per quanto riguarda le anticipazioni sulle accise possa avvenire anche un sistema in fattura.

    D. – Tutte istanze che, comunque, domani potrete portare al tavolo di confronto con il governo: me lo può confermare?

    R. – Mi dispiace deluderla, ma l’incontro che c’è domani riguarda la questione siciliana e Trasportounito non è invitato a quell’incontro: la rappresentanza di tutti gli autotrasportatori spontanei sono invitati a questo tavolo… Non ci si può scegliere l’interlocutore.(mg)

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    Cei, il cardinale Bagnasco: no a polemiche su Ici, provocano sospetti inutili

    ◊   Per l’Ici, la Chiesa “non chiede trattamenti particolari, ma semplicemente di aver applicate a sé, per gli immobili utilizzati per servizi, le norme che regolano il no profit. E’ uno dei passaggi della prolusione del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Confrenza episcopale italiana (Cei), in occasione del Consiglio permanente di ieri. Sul governo Monti, definito dal cardinale “di buona volontà”, Bagnasco chiede che i partiti si impegnino per fare la loro parte. Alessandro Guarasci:

    Il cardinale Bagnasco è netto sulle tasse. Evadere il fisco è un peccato, e per un soggetto religioso questo è addirittura motivo di scandalo. Dunque, massima trasparenza. E questo vale anche per l’Ici pagata dalla Chiesa per gli immobili adibiti a servizi. Il presidente della Cei chiede che siano applicate le norme che regolano il no profit.

    “I Comuni vigilino e noi per la nostra parte lo faremo. Ci piacerebbe solo non si investissero tempo e risorse in polemiche che, se pur accettiamo in spirito di mortificazione, finiscono per far sorgere sospetti inutili e, in ultima istanza, infirmare il diritto dei poveri di potersi fidare di chi li aiuta”.

    Sul governo Monti: ha il compito di sbrigliare la matassa nel frattempo diventata - ha detto il porporato - troppo ingarbugliata, un esecutivo autonomo non dalla politica, ma dalle complicazioni ed esasperazioni di essa. Dunque, i partiti si devono impegnare a fare la propria parte, perché il sistema politico finora ha dimostrato “l’incapacità provata di pervenire nei tempi normali a riforme effettive, spesso solo annunciate”. E’ questa una rivalutazione della politica, assolutamente necessaria, anche “se sembra, invece, che i grandi della terra non riescano ad imbrigliare il fenomeno speculativo”. I cattolici possono dare molto in questo senso.

    “Nell’agorà odierna, il nostro laicato vuole esserci, consapevole di essere portatore di un pensiero forte e originale, cioè non conformista. Consapevole di un dovere preciso che scaturisce anche dalla propria fede e da una storia lunga e feconda nota a tutti”.

    Il cardinale Bagnasco, poi, mette in luce come sia stia vivendo un periodo di sacrifici, basta che non siano inutili. Il Paese, quindi, deve seguire un doppio binario: risanare e crescere. Per questo, bisogna dedicare sempre maggiore attenzione alle famiglie, e la domenica non può essere sacrificata all’economia. Un pensiero inoltre ai tanti cristiani, in particolare in Nigeria, che vivono gravi soprusi.

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    La vedova di una delle vittime di Nassiriya: sono cristiana, ho scelto di perdonare

    ◊   “Nessuna rivalsa”. Così ha commentato Margherita Caruso, moglie del brigadiere Giuseppe Coletta, morto a Nassiriya nove anni fa, gli arresti compiuti ieri in Iraq di sette membri della cellula terroristica che uccise 19 italiani e 9 iracheni. Solo pochi anni prima, la coppia aveva perso il figlio Paolo, di 6 anni, per leucemia. Un dolore immenso superato grazie alla fede. Lo conferma al microfono di Benedetta Capelli la stessa Margherita Caruso, oggi responsabile dell’Associazione Coletta: “Bussate e vi sarà aperto”, nata nel 2004 e impegnata in vari progetti in Burkina Faso:

    R. – Avendo sentito ieri di nuovo questo nome, Nassiriya, uno ha avuto un sussulto al cuore perché il tempo passa e aiuta anche a lenire un po’ il dolore che uno ha. Però, risentire di nuovo il nome di quella località riporta davvero a quel momento, al 12 novembre del 2003: è bastato soltanto sentire il nome e tutto è passato davanti veloce, tutto quello che è accaduto. Poi, sinceramente, la prima immagine è quella del corpo bruciato di Giuseppe, a terra, dei corpi dei ragazzi a brandelli… Io ricordo che quando mi vennero a dire quello che era accaduto, quando il colonnello dei Carabinieri mi informò della notizia, tra l’altro piangendo, ricordo che la prima cosa che ho pensato non è stata chi fosse stato a commettere questa cosa così orribile, ma proprio il fatto che la persona che amavo non sarebbe più tornata a casa. Non è stato un pensiero di vendetta, ma questo grazie alla fede in Cristo perché umanamente nessuno sarebbe in grado di reagire così.

    D. - Come è riuscita anche a spiegare alla vostra bambina quanto accaduto?

    R. – Maria all’epoca aveva tre anni, quindi era molto piccola per comprendere, anche se alle volte i bambini sono molto più propensi di noi ad accogliere determinate cose, anzi adesso che è un po’ grandicella è lei che dà degli insegnamenti a me. Ieri le ho detto: hanno arrestato quelli dell’attentato a Nassiriya, dove è morto papà con i suoi colleghi. Cosa provi, cosa pensi? Mi ha risposto: “Mamma, veramente non provo niente, tanto quello che faceva papà era per i bambini”. E’ stata una bella cosa.

    D. - Il perdono è un percorso, a volte anche difficile, tortuoso…

    R. - Io credo che più che un percorso sia una grazia. E’ necessario seguire la nostra fede, seguendo Cristo in tutto il Vangelo, quando viene accolto, quando viene inchiodato alla Croce, tutto il Vangelo, non solo magari la parte che ci piace di più. Questo credo sia ciò che scaturisce dalla nostra fede: la coerenza con tutto quello in cui crediamo, perché se pensiamo di amare Cristo quando tutto fila liscio nelle nostre famiglie… Invece, bisogna renderlo partecipe della nostra vita in tutto quello che ci circonda, renderlo presente nelle nostre vite e non sentendolo come un sacrificio. E’ una grande gioia che nessun altro essere umano può dare all’altro; anche avendo provato tutti e due i dolori, come madre e come moglie, io non ho sperimentato un amore più grande di questo.

    D. - Lei citava il fatto di aver provato un dolore anche come madre. Oltre avere perso Giuseppe, poco prima assieme a suo marito aveva perso Paolo: due dolori grandissimi per una donna, forse veramente la fede è stata per lei una medicina, un balsamo...

    R. - Oltre agli amici, alle persone che mi sono state accanto, vicino a me c’era il pensiero della Vergine Maria: pensare di aver condiviso come Lei questo dolore per la perdita di un figlio così grande - e lo dico con molta umiltà perché è la Vergine Maria - non posso in alcun modo paragonarmi a Lei. Credo che il dolore di madre sia universale per tutte le donne che vivono questa tragedia, perché tale è. Ho chiesto a lei la forza di affrontare questo dolore assieme a Giuseppe e per certi versi la morte di Paolo è stata affrontata insieme. Invece, al momento della morte di Giuseppe ero sola: sola con la certezza - ma una certezza anche inconsapevole - che Cristo era accanto, era lì, lui sapeva il mio dolore ancor prima che accadesse. La certezza era che se la tragedia non era stata evitata era perché qualcosa di più grande c’era dietro: la Croce come conseguenza, poi la Risurrezione, questa è la forza più grande.

    D. – Lei diceva: c’è qualcosa di più grande. Adesso, il fatto che l’impegno di suo marito nei confronti dei bambini che già precedentemente aveva assistito e accudito stia continuando che significato ha?

    R. - Ha un significato grande nel nome di Giuseppe, ma soprattutto - al di là di Giuseppe perché lui rimarrà sempre il papà di Maria e rimarrà sempre mio marito - è per rendere visibile tutto questo di cui parliamo, per rendere visibile l’amore di Cristo. Giuseppe agiva in quel modo, perché era l’amore di Dio a farlo agire, anche se lui non sapeva che quello che faceva lo faceva in nome di Dio ma era quello il senso.

    D. – Margherita, le volevo chiedere come stanno andando i progetti in Burkina Faso per quanto riguarda l’orfanotrofio, i pozzi…

    R, - Adesso tutto bene. Ci recheremo lì perché abbiamo costruito un orfanotrofio, il refettorio, cinque pozzi per l’acqua e abbiamo iniziato l’ospedale.

    D. - Tra i pozzi che avete costruito, ce n’è uno che avete dedicato a Eluana Englaro, che lei ha incontrato per ben due volte…

    R. – Per me, l’incontro con Eluana è stata una grazia dopo Nassirya, perché tutto è scaturito da lì, da quell’immenso dolore, da quel dolore che schiaccia ma non sotterra, non ti affossa. Cristo mi ha dato la grazia di incontrare nella mia vita persone meravigliose. L’incontro con Eluana nel suo silenzio, di una persona come tante altre, disabili come tutti abbiamo a casa, in quel suo silenzio mi ha dato tantissimo, è come se avesse detto una miriade di parole. Aver visto anche le condizioni di Eluana, come una ragazza qualsiasi… Tutte le bugie che erano state dette su di lei ed essere anche portavoce di questo, avendola vista personalmente, è stato un altro segno di Cristo nella mia vita: l’essere - nel senso buono del termine e senza presunzione - testimone anche di questo e poter dire la verità alla gente. E’ la cosa che io ho capito in questi anni, dopo Nassirya: forse anche un po’ prima nella mia vita, ma dopo due grandi dolori si riesce a testimoniare in maniera diversa, concreta, perché non sono parole raccontate da altri e quindi la gente sta ad ascoltarti. La verità su Eluana è proprio quella di dire che non era attaccata a macchine, che respirava del suo respiro, che era una donna a tutti gli effetti, che le era ritornato il ciclo mestruale, che lei ha detto “mamma”, che le suore la portavano a Messa, che lei sorrideva… Tutte cose che la gente non sapeva. Ecco perché è giusto anche testimoniare, anche se costa tanto andare in giro per l’Italia, magari lasciare la mia bambina e andare a testimoniare Cristo: c’è bisogno di questo, c’è bisogno di parlare nel nome di Gesù, c’è bisogno di farlo. (bf)

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    Un'indagine sulle condizioni di vita dei rom a Milano

    ◊   Come vivono i rom nelle aree dismesse e nei campi non autorizzati di Milano? Lo rivelano i volontari di Medicina di Strada del Naga, Associazione impegnata per i diritti di stranieri e zingari, che ha realizzato un’indagine pubblicata di recente sulla rivista “Epidemiologia e Prevenzione”. In due anni, i volontari hanno visitato circa 1.100 persone, analizzando condizioni abitative, lavoro, livello di scolarità, malattie più diffuse. E' di 15 anni in meno rispetto agli italiani, l’aspettativa di vita della popolazione rom. Sui principali dati dell’indagine ascoltiamo, al microfono di Adriana Masotti, Cinzia Colombo, ricercatrice del Naga:

    R. – Dalle indagini sono emersi potenziali fattori di rischio, legati soprattutto alle condizioni in cui i rom vivono, quindi agli insediamenti che sono prevalentemente senza acqua potabile, senza energia elettrica, se non fornita da generatori, abitazioni costituite da materiale di recupero, baracche, o a volte tende… Diciamo che il panorama che abbiamo trovato è che ci sono condizioni abitative assieme a condizioni sociali – cioè basso tasso di occupazione, bassa scolarità e basso reddito, quindi povertà – che costituiscono potenziali fattori di rischio per la salute di queste persone. Le persone visitate hanno frequentato la scuola in media per cinque anni: la metà sono in Italia da massimo tre anni, però c’è una grande variabilità. Ci sono alcuni che sono in Italia da molti anni, tanto che la media finale degli anni di permanenza è di 16 anni. Altri dati che abbiamo valutato sono il lavoro: il 16 per cento delle persone intervistate ha dichiarato di lavorare: sono soprattutto uomini – muratori, operai, meccanici, magazzinieri – però la maggior parte delle volte si tratta di lavoro in nero. Abbiamo rilevato una media di 2,8 figli per famiglia, a fronte di una media di 1,4 tra la popolazione italiana. Tra le donne visitate che hanno compiuto i 14 anni, un terzo ha avuto almeno un’interruzione di gravidanza: noi però non abbiamo fatto distinzione tra interruzione volontaria e aborti spontanei. Riguardo invece all’abitudine al fumo, poco più della metà delle persone dichiara di fumare e in particolare un quinto di queste persone è forte fumatore. Il ragazzo più giovane che ci ha detto di fumare aveva 12 anni: uno dei fattori di rischio per la salute, sicuramente, è il fumo.

    D. – Quanto influisce sulla salute anche la mancata conoscenza di elementi di prevenzione, la mancata conoscenza di ciò che fa male?

    R. – Questo è uno degli ambiti in cui varrebbe la pena, per chi si occupa di salute pubblica, fare degli interventi che siano veramente informativi, di educazione sanitaria, per esempio per quanto riguarda le vaccinazioni dei bambini: dire dove possono essere fatte, con quale frequenza, a cosa servono… E allo stesso tempo, c’è un problema di accesso ai servizi sanitari.

    D. – Quali sono le malattie a cui i rom sono più esposti?

    R. – Noi abbiamo trovato malattie dell’apparato respiratorio, malattie dell’apparato osteo-articolare e malattie gastroenteriche. Queste sono malattie che potrebbero essere legate al disagio abitativo. Quello che abbiamo trovato poco, e che sappiamo però esserci, sono malattie come quelle cardiovascolari, il diabete, le malattie del fegato… Le abbiamo trovate poco perché il tipo relazione di cura che si riesce ad avere non permette di avere un approfondimento diagnostico, non permette di capire se ciò che si ipotizza solo come un’ipertensione, ad esempio, lo sia davvero e si possa poi seguirla nel tempo. Questo perché noi andiamo nei campi o negli insediamenti, che in seguito vengono sgomberati e quindi non sempre riusciamo a seguire le persone. Inoltre, c’è la difficoltà di fare esami di secondo livello, cioè esami diagnostici di approfondimento anche perché l’accesso alle strutture sanitarie è limitato, per queste persone. E quindi, c’è tutta una gamma di malattie che non vengono né rilevate né tantomeno curate.

    D. – Parlando dei rom, molti sono infastiditi dal modo in cui vivono, spesso in mezzo alla sporcizia, addirittura ai topi… Quindi, si auspica che lo Stato trovi per loro soluzioni diverse: dai campi attrezzati alle case in muratura, che anche loro vorrebbero …

    R. – La nostra attività di medicina di strada, che dura da anni, all’inizio si occupava di persone che vivevano nelle aree dismesse: di qualsiasi persona, dunque, di qualsiasi gruppo. Nel tempo, abbiamo incontrato sempre più spesso gruppi di persone rom che, da quello che noi abbiamo valutato, sono le persone che più difficilmente riescono ad inserirsi in una rete sociale diversa, perché vengono discriminati. Poter lavorare ad esempio: a volte se si sa che una persona è rom non la si fa lavorare. Così è anche per la casa. Quindi, sono un gruppo fortemente discriminato. Noi, come “Naga”, siamo contro i campi, ma siamo anche contro gli sgomberi senza soluzione alternativa. Gli sgomberi non fanno che aumentare i disagi di queste persone, perché la ricerca è sempre quella di trovare quei margini di spazio e di territorio in cui è sempre più difficili vivere. Di fatto, dall’Unione Europea si sottolinea uno stato d’emergenza che non è più – come si diceva in Italia – l’emergenza rom, che non esiste. E' l’emergenza di quei Paesi europei che discriminano i rom.

    D. – Quello zingaro è anche forse un popolo giovane, che fa più difficoltà di altri gruppi ad organizzarsi diversamente...

    R. – Sicuramente, è un popolo giovane, anche perché hanno un’aspettativa di vita molto più bassa delle popolazioni di riferimento: addirittura, si parla di 15 anni di aspettativa di vita in meno! (gf)

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    Qumran, una missione italiana effettuerà nuove ricerche sul sito archeologico

    ◊   Dal giorno della sua scoperta casuale nel 1947, il sito di Qumran, in cui furono ritrovati i cosiddetti “rotoli del Mar Morto”, ha assunto un’enorme importanza dal punto di vista storico e degli studi biblici, ma anche da quello spirituale. Nei prossimi mesi, sarà un’équipe archeologica italiana, incaricata dall’Ecole Biblique di Gerusalemme, a condurre nuove indagini sul sito. Ce ne parla Davide Maggiore:

    Compito della missione italiana sarà quello di raccogliere elementi ulteriori – e potenzialmente innovativi – sulla funzione storica del sito, che nell’interpretazione più diffusa è considerato la sede della comunità religiosa degli Esseni. Gli archeologi studieranno, in particolare, le ceramiche, tra cui le anfore in cui furono conservati i celebri rotoli con testi religiosi e dell’Antico Testamento. Una direzione di ricerca finora poco esplorata, di cui spiega l’importanza Lorenzo Nigro, coordinatore della missione archeologica dell’Università “La Sapienza” in Giordania e Palestina:

    “La prospettiva scelta dagli studiosi dell’Ecole biblique di Gerusalemme è quella di rivolgersi alla cultura materiale per interpretare bene questo contesto in modo da avere una fonte indipendente di ricerca, cioè la ceramica, che è l’ultimo dei materiali - ma anche il più diffuso - che l’archeologo trova e che per lui diventa un ulteriore fonte di informazione, fondamentale per capire poi la cronologia e tutti i problemi che sono collegati”.

    E non è solo sotto l’aspetto della datazione che si potranno raggiungere conclusioni significative, prosegue Marcello Fidanzio, che del progetto su Qumran è il responsabile:

    “Quando padre Lagrange, il fondatore dell’Ecole biblique, è andato a Gerusalemme per cominciare questa esperienza, il suo scopo era quello di mettere insieme monumento e documento, quindi leggere la Bibbia nella terra della Bibbia, leggere la Bibbia nel suo ambiente. La ricerca che noi oggi facciamo su Qumran è una ricerca sull’archeologia, quindi sul contesto antropologico, sulle pietre e su quanto anche le pietre ci insegnano sulla vita di quegli uomini. Tutto questo ci aiuterà a comprendere meglio il mondo biblico e il vissuto religioso di un periodo che è quello in cui al termine è nato il Nuovo Testamento, in cui Paolo predicava alle sue comunità e sono stati scritti i Vangeli”.

    Studiare il sito di Qumran significa quindi anche confrontarsi con tematiche spirituali, oltre che culturali. E’ ancora Marcello Fidanzio ad approfondire questa doppia dimensione:

    “L’interesse è sempre, attraverso la cultura e l’intelletto, poter nutrire l’esperienza spirituale. Dobbiamo però dire che questo non va assolutamente a detrimento del profilo scientifico della ricerca. Noi dobbiamo usare una terminologia rigorosa e permettere alla comunità degli studiosi di confrontarsi con le acquisizioni a cui arriveremo”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Usa. Mons. Dolan nella Veglia per la 39.ma Marcia per la Vita: rispettare la libertà di coscienza

    ◊   Non arrendersi mai di fronte a chi attacca la vita e la libertà di coscienza. Con questo accorato appello il cardinale designato Timothy Dolan, presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, ha concluso la Veglia notturna per la 39ª Marcia della Vita svoltasi ieri a Washington. “Da un punto di vista umano saremmo tentati di arrenderci di fronte a un governo che considera il concepimento, la gravidanza e la nascita come una malattia da curare e di fronte a chi considera il blocco chimico del concepimento o l’aborto di un bambino un diritto che deve essere finanziato da chi è contrario”, ha detto nell’omelia l’arcivescovo di New York riferendosi alla decisione dell’Amministrazione Obama di obbligare tutte le strutture ospedaliere americane, a fornire, a partire dal 2013, contraccettivi e prodotti abortivi nei propri programmi sanitari. “Quando la possibilità di dare da mangiare, un tetto e cure viene negata se non si ottempera all’obbligo di aiutare le donne ad abortire i loro bambini è difficile colpevolizzare chi è tentato di gettare la spugna”. E al controverso provvedimento, ha fatto riferimento nella Messa di apertura della Veglia, domenica sera, anche il cardinale Daniel Di Nardo, arcivescovo di Galveston-Houston e presidente della Commissione episcopale per le attività pro-vita. “Mai nella storia americana un Governo federale ha costretto i cittadini ad acquistare un prodotto che violasse le proprie convinzioni”, ha detto il porporato facendo eco alla dura presa di posizione espressa in questi giorni da mons. Dolan. Il cardinale DiNardo ha poi ricordato le parole rivolte la settimana scorsa da Benedetto XVI a un gruppo di vescovi americani in visita ad limina. Riferendosi alla controversia in atto, il Santo Padre aveva affermato che è ”fondamentale che l’intera comunità cattolica negli Stati Uniti riesca a comprendere le gravi minacce alla testimonianza morale pubblica della Chiesa che presenta un secolarismo radicale, che trova sempre più espressione nelle sfere politiche e culturali”, esprimendo preoccupazione per “certi tentativi fatti per limitare la libertà più apprezzata in America, la libertà di religione”. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Carestia nel Sahel: per il relatore Onu è "un fallimento di tutti"

    ◊   “I segnali d’allarme ci sono tutti. Siccità, scarsi raccolti e aumento dei prezzi del cibo hanno portato la regione del Sahel e dell’Africa occidentale sull’orlo di una crisi umanitaria. Non dobbiamo aspettare che la gente muoia di fame”: è l’appello lanciato da Olivier De Schutter, relatore speciale dell’Onu per il diritto all’alimentazione, dopo l’emergenza segnalata negli ultimi mesi dai governi di Niger, Mali, Ciad e Mauritania. L’esperto - riporta l'agenzia Misna - esprime preoccupazione anche per il Senegal e il Burkina Faso dove purtroppo le autorità hanno “reagito con lentezza”. In base ai dati ufficiali sei milioni di persone sono già colpite dall’insicurezza alimentare in Niger, altri 2,9 milioni in Mali e 700.000 in Mauritania. Sia a Nouakchott che a N’Djamena i raccolti di cereali sono del 50% inferiori rispetto all’ultimo anno. In attesa dei prossimi raccolti, non prima di maggio, questi paesi non possono contare su grandi riserve: dovranno importare dal mercato internazionale cibo sempre più costoso. Dallo scorso novembre, in Niger il prezzo del miglio è aumentato del 37% e gli altri cereali alla base dell’alimentazione locale hanno subito rincari del 40% rispetto alla media regionale degli ultimi cinque anni. Ma, in realtà, insiste De Schutter, “quello che appare come una calamità naturale non è altro che un sintomo del nostro fallimento a prepararci meglio e a reagire più velocemente sin dai primi segnali”. In riferimento alla grave crisi che l’anno scorso ha colpito i paesi del Corno d’Africa, il relatore avverte che la comunità internazionale “non deve commettere ancora lo sbaglio di rispondere tardi” visto che nel Sahel “abbiamo la chance e la responsabilità di salvare vite umane”. Secondo l’esperto Onu sono necessari sia interventi a breve termine per offrire assistenza immediata sia azioni sostenibili sul lungo termine. “La malnutrizione cronica nell’area non è dovuta solo a una mancanza di cibo ma è anche il risultato di pratiche errate, dell’accesso limitato ad acqua potabile, a servizi igienici e a cure”. (R.P.)

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    Organizzazione internazionale del lavoro: pubblicato il testo su religioni e giustizia sociale

    ◊   “Garantire un lavoro decente per tutti è un imperativo se si vuole restaurare un equilibrio e mettere i valori umani al centro delle scelte politiche”. Su questa convinzione sono scesi in campo i rappresentanti delle diverse tradizioni religiose – cristiani, ebrei, musulmani e buddisti – che su invito dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo), hanno collaborato alla stesura di un testo dal titolo “Convergenze: lavoro decente e giustizia sociale nelle tradizioni religiose”. Il testo è stato diffuso oggi, nel giorno stesso in cui l’Ilo pubblicava i dati di un suo rapporto lanciando una “sfida urgente” per il futuro: creare 600 milioni di posti di lavoro produttivi nei prossimi dieci anni. Il Rapporto afferma che nel mondo ci sono 200 milioni di disoccupati, tra questi 74,8 milioni hanno tra i 15 e i 24 anni e nel 2012 altri tre milioni di persone rimarranno senza lavoro. Alla luce di questi dati allarmanti, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha richiamato i rappresentanti religiosi per un confronto “interreligioso” sui temi della dignità umana, la solidarietà e la giustizia sociale, la difesa dei diritti del lavoro e la sicurezza, il lavoro forzato e il lavoro minorile la libertà sindacale e la discriminazione. Alla stesura dei diversi capitoli, - riferisce l'agenzia Sir - hanno collaborato per la tradizione cristiana il Consiglio mondiale delle Chiese, per la Chiesa cattolica il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, per la parte musulmana l’Organizzazione islamica internazionale Isesco. “In un’epoca contrassegnata dalla peggior crisi che il mondo abbiamo conosciuto dalla Grande Depressione – dice il presidente dell’Ilo Juan Somavia – sempre più individui pensano di non contare più nulla, che la dignità umana non vale se non per i discorsi e che la mondializzazione manca di riferimenti etici. Il malcontento aumenta e la disperazione si espande”. Il presidente dell’Ilo parla di “salari di miseria, condizioni di lavoro precario, scioperi, lavoro in nero, lavoro forzato, lavoro minorile, protezione sociale insufficiente”. Il testo presentato oggi dall’Ilo nasce dalla convinzione che “la spiritualità e i valori sono essenziali per la ricerca di una mondializzazione equa”. E Somavia aggiunge: “Questo testo è una prima tappa di un viaggio comune che spero, poterà all’avvento di una nuova era di giustizia sociale fondata sui nostri valori comuni”. Le comunità religiose hanno aderito al progetto perché – si legge nell’introduzione del testo – condividono la “comune preoccupazione dei loro fedeli” e “per esse, il lavoro è al centro di ogni vita. (R.P.)

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    Allarme dei missionari spagnoli sull'infanzia nel mondo

    ◊   Milioni di bambini in Africa e in America subiscono maltrattamenti e abusi. A lanciare l’allarme, in occasione della recente Giornata dell’Infanzia Missionaria, – riferisce Fides – sono i missionari spagnoli impegnati nei due continenti. A colpire soprattutto le storie di due religiosi: suor María Jesús Hernando, Superiora generale delle suore dei Santi Angeli Custodi, impegnata con la sua congregazione in diversi paesi dell’America Latina, e padre Manu Osa che svolge la sua azione nella Repubblica Democratica del Congo. Suor Hernando ha posto l’attenzione sullo stato di povertà nelle favelas brasiliane mentre padre Osa ha lanciato un allarme per la difficile condizione dei bambini soprattutto a Kinshasa. Il Paese africano, isolato dalle guerre, solo quest’anno ha registrato oltre 5 milioni di morti. Nella capitale sono circa 50 mila i bambini che vivono per strada e sono vittime di violenza, droga, delinquenza e non ricevono alcuna assistenza sociale. A questi si aggiungono gli oltre 120 mila bambini soldato arruolati nelle milizie dell’Africa Subsahariana. (B.C.)

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    Timori della comunità cristiana in Egitto per la vittoria degli islamisti alle elezioni

    ◊   All'agenzia AsiaNews, padre Rafic Greiche, portavoce della Chiesa cattolica egiziana, ha espresso la sua opinione riguardo alle recenti elezioni nel Paese che hanno visto l’affermazione dei Fratelli Musulmani. “La vittoria dei partiti islamici fa paura ai cristiani, ma esprime il volere della popolazione egiziana”: così il religioso che ha anche parlato di alcune irregolarità nel voto, “nulla di paragonabile - ha aggiunto - alle finte elezioni degli anni di Mubarak”. “Nei giorni scorsi – ha continuato - hanno più volte dichiarato che cristiani e minoranze religiose avranno gli stessi diritti dei cittadini musulmani, ma è ancora prematuro fare pronostici positivi o negativi”. Stamani il capo del Consiglio militare egiziano Hussein Tantawi ha trasferito i poteri legislativi all'Assemblea del popolo, che si è insediata ieri. Le elezioni per la Camera bassa avvenute fra novembre e gennaio 2012 sono state vinte dal partito Giustizia e libertà, prima forza politica del Paese con il 45% dei voti e 235 seggi su 498 in Parlamento. In conclusione padre Greiche ha ribadito che il primo campo di confronto ora “sarà la scrittura della nuova Costituzione da cui dipende il futuro democratico dell’Egitto”.(B.C.)

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    India: preoccupazione per le violenze anticristiane in Orissa

    ◊   L’India, in particolare lo stato dell’Orissa, resta ancora un luogo insicuro per i cristiani. Proseguono infatti le violenze, gli omicidi e in molti chiedono ancora giustizia. Nel 2008, vittima dei massacri fu suor Meena Barwa che oggi all’agenzia Fides sottolinea che i cristiani dell’Orissa non hanno sofferto invano. “La nostra sofferenza – ha sottolineato - ha portato frutti: siamo cresciuti nella fede e nell’amore verso Dio. Sacerdoti, religiosi e laici, hanno sofferto e lottato insieme, il Signore – ha aggiunto - conosce il nostro calvario, ma non vi è odio nei nostri cuori, siamo convinti che le indicibili pene inflitteci non sono state inutili”. Sulla sua esperienza in Orissa, la religiosa ha detto di sentirsi parte della comunità di Kandhamal e di non aver mai pensato di lasciare questo luogo. Abbiamo percorso molta strada e abbiamo ancora molta strada da fare insieme. “Oggi – ha proseguito la suora - sopravviviamo grazie alla fede, non possiamo fermarci a guardare indietro perché ci sono sfide importanti davanti a noi: il Signore ci ha mantenuto in vita e oggi siamo chiamati ad affrontare queste sfide con speranza, fiducia e convinzione”. (B.C.)

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    In India mobilitazione per salvare un pastore protestante

    ◊   Alcune Ong cristiane hanno lanciato una campagna in difesa dei fedeli in Kashmir e chiedono l’urgente intervento delle istituzioni federali indiane. A far scattare la mobilitazione – riferisce l'agenzia Fides – le accuse riguardanti il pastore protestante Chander Mani Khanna che avrebbe convertito forzatamente alcune persone. Il religioso è stato anche raggiunto da un decreto di espulsione emesso da un tribunale islamico locale e che riguarderebbe anche altri quattro cristiani, fra i quali il missionario cattolico padre Jim Borst. Secondo le associazioni, le accuse in realtà sono false e prive di qualsiasi base legale. Lo Stato di Jammu e Kashmir, infatti a differenza di altri Stati dell'Unione indiana, non ha una legge “anti-conversioni”. Padre Khanna poi - fanno sapere - si è limitato a battezzare alcuni abitanti del Kashmir che gli avevano chiesto di diventare cristiani, e lo ha fatto solo dopo aver avuto prova della loro fede. I cristiani – hanno denunciato le Ong – si sentono insicuri ed esposti alle violenze e i fatti recenti dimostrano il tentativo di eliminare la presenza cristiana in Kashmir. (B.C.)

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    Pakistan: libera la ragazza cristiana rapita e costretta a convertirsi all’islam

    ◊   Grazie all’intervento dell’Ong Class, Center for Legal Aid Assistence and Settlement, si è conclusa nel migliore dei modi la storia di Nadia Bibi, ragazza cristiana che era stata rapita 10 anni fa nel Punjab e costretta a sposare un uomo musulmano. All’epoca Nadia aveva solo 15 anni. Rapimenti di questo tipo – riferisce l'agenzia Fides – sono frequenti; almeno 700 casi l’anno per le ragazze cristiane, 1.800 se si considerano le giovani indù. La sua famiglia aveva denunciato l’accaduto ma dinanzi all’Alta Corte di Lahore il caso si era risolto presto perché la giovane aveva affermato, sotto minaccia di violenze, di aver sposato liberamente l’uomo. Dopo anni di maltrattamenti, la ragazza è poi riuscita a fuggire e a trovare la protezione dell’Ong Class che si occupa di cristiani pachistani. Gli operatori l’hanno ospitata ed hanno avviato una nuova causa penale contro il marito. “Mi sentivo impotente – ha detto Nadia – ora ho riacquistato la speranza e la fede”. (B.C.)

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    Consiglio ecumenico delle Chiese: le comunità di fede più aperte ai problemi della salute

    ◊   La sanità mentale, il cancro, la morte, la stigmatizzazione indotta dalla malattia, le violenze sessuali: hanno discusso di questi argomenti la settimana scorsa a Ginevra, in Svizzera, i partecipanti al colloquio del Consiglio ecumenico delle Chiese (Coe) sul tema “Spazi sicuri – trasformare le comunità di fede”. Organizzato nell’ambito del progetto Salute e guarigione del Coe in collaborazione con i progetti "Le donne nella Chiesa e la società" e "I giovani nel movimento ecumenico", l’incontro ha proposto riflessioni sui tabù legati alla malattia, offrendo spazi per studiare questioni sensibili e mezzi alle chiese per affrontare nelle comunità le problematiche legate alla salute. In particolare, riferisce il portale www.oikoumene.org, è stata sottolineata la necessità di creare spazi sicuri nelle famiglie, nelle parrocchie e nelle collettività, ma anche di coinvolgere le autorità civili per porre in essere politiche positive nel campo della salute stessa. Essere accoglienti e aperte: questo l’invito rivolto alle comunità religiose di fronte alle problematiche che scaturiscono dalle malattie, par tale motivo è stata evidenziata la necessità di educare e formare i contesti ecclesiali attuali e di costituire spazi interconfessionali e interreligiosi. “E’ cruciale adottare un approccio aperto e non esclusivo per affrontare talune questioni – ha detto Manoj Kurian, responsabile del progetto Salute e guarigione del Coe –, ciò può aiutare a preparare il terreno per una trasformazione positiva delle comunità di fede”. Nel corso del colloquio si è discusso anche di abusi sessuali nell’ambito della famiglia, di violenze e sessualità umana. “Le Chiese devono essere uno spazio in cui coloro i cui diritti siano stati violati possano ricevere amorevole sostegno e dove possa avviarsi un processo di trasformazione positivo”, ha affermato Nicqi Ashwood del Consiglio della missione nei Caraibi e nell’America del Nord. Giudicati essenziali alla guarigione e strumenti che contribuiscono alla giustizia e alla pace, gli spazi sicuri nelle comunità di fede saranno tra gli argomenti dei preparativi della 10.ma Assemblea del Coe che si svolgerà a Busan, in Corea, nel 2013, sul tema “Dio della vita, conduci noi verso la giustizia e la pace”. (T.C.)

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    Cina: la diocesi di Tianjin festeggia un secolo di fondazione con un anno di celebrazioni

    ◊   La diocesi di Tianjin, in Cina, ha iniziato nei giorni scorsi le celebrazioni per festeggiare i suoi cento anni di fondazione. Essa fu infatti eretta nel 1912 come vicariato apostolico di Zhili, rinominato successivamente Tianjin nel 1924 e elevato al rango di diocesi nel 1946, quando Papa Pio XII stabilì la gerarchia ecclesiastica in Cina. Le celebrazioni – riferisce l’agenzia Ucan - sono iniziate con una Messa officiata la settimana scorsa a pochi metri dalla “Charity Mansion”, l’edificio dove ebbe inizio la presenza cattolica nella città. Nel 1866, infatti, alcune suore vincenziane francesi avevano aperto la casa per curare orfani e malati. Essa venne poi distrutta durante le rivolte anti-occidentali nel 1870 e ricostruita a pochi metri dalla sede originale solo l’anno scorso. Da notare che la Chiesa di Tianjin ha un peso importante nella storia della Chiesa in Cina anche perché, come riferisce l'agenzia Asianews, da qui è partito il movimento guidato dal sacerdote belga Vincent Lebbe per far nascere un clero e una gerarchia autoctona. Oggi la diocesi conta più di 100mila fedeli, assistiti da una quarantina di sacerdoti, decine di suore e due vescovi non riconosciuti dalle autorità di Pechino: mons. Stefano Li Side (ordinario) e mons. Melchiorre Shi Hongzhen (coadiutore). Le celebrazioni per il centenario saranno suddivise in quattro fasi centrate sugli elementi fondamentali della fede: la preghiera, la condivisione, la vita e la comunione. (L.Z.)

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    Africa orientale: piano di lavoro 2012 dell’Associazione delle donne consacrate

    ◊   L’Associazione delle donne consacrate dell’Africa orientale e centrale (Acweca) si prepara a presentare il suo piano di lavoro per il 2012: l’evento si terrà sabato 28 gennaio, alle ore 10.00, presso l’Università cattolica dell’Africa orientale (Cuea), con sede a Nairobi, in Kenya. La presentazione sarà preceduta da una Messa e vedrà la presenza dell’arcivescovo Alain Paul Lebaupin, nunzio apostolico in Kenya, e dell’arcivescovo Tarcisius Ziyaye, presidente dell’Amecea. Prevista anche la partecipazione del primo ministro del Paese, Raila Odinga. “L’obiettivo del piano di lavoro – informa una nota – è di guidare l’Acweca nello svolgimento del suo ministero di servizio, inclusa il coordinamento e l’organizzazione della ministero pastorale, della giustizia e della pace e dei ritiri spirituali”. Tra i temi centrali del progetto, stabiliti in una riunione operativa dell’agosto 2011, alla presenza di 26 delegate, c’è la formazione specifica sulla leadership; la pianificazione di un Centro di sviluppo poli-funzionale, di stanza a Nairobi, che risponda ai bisogni di tutte le consacrate della regione, ed il miglioramento del settore delle comunicazioni, incluso lo sviluppo di un sito web interattivo. L’Acweca comprende le Associazioni di donne consacrate di otto Paesi africani: Eritrea, Etiopia, Kenya, Malawi, Sudan, Tanzania, Uganda e Zambia. Composta attualmente da 20mila suore, l’Associazione “mira a sviluppare e rafforzare la formazione e l’educazione delle religiose, operando a favore della pace e della giustizia e dell’auto-sostentamento”. Presente in Kenya dal 1988, l’ Acceca si impegna anche a “coordinare il supporto logistico e amministrativo delle associazioni nazionali e delle altre istituzioni cattoliche, secondo la propria missione ispirata alle parole di Gesù Cristo ‘Voi mi sarete testimoni”. (I.P.)

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    Alla Gmg di Madrid il premio speciale “Bravo!” della Chiesa spagnola

    ◊   C’è anche la Giornata Mondiale della Gioventù, svoltasi a Madrid dal 16 al 21 agosto 2011, tra i vincitori del premio “Bravo!”: il riconoscimento viene assegnato ogni anno dalla Commissione episcopale per le comunicazioni sociali della Chiesa spagnola, con l’obiettivo di riconoscere l’operato degli addetti alla comunicazione che, in diversi settori, si siano distinti per il servizio alla dignità dell’uomo, ai diritti umani e ai valori evangelici. La Gmg, si legge nelle motivazioni del premio, viene insignita di un riconoscimento speciale perché“ha messo in evidenza in modo globale, in tutti gli ambiti relativi alla comunicazione, la feconda vitalità della Chiesa”. “L’attenzione dei mass media – si legge ancora – l’utilizzo dei social network, le campagne pubblicitarie realizzate attorno a questo evento ecclesiale, l’avvicinamento al mondo della cultura attraverso iniziative collegate al cinema e alla musica, dimostrano una gestione globale della comunicazione che ha avuto un’ampia risonanza mediatica ed ha offerto al mondo un’immagine positiva della Chiesa in Spagna”. Per la carta stampata, a vincere è stato “L’Osservatore Romano” che nel 2011 ha celebrato il 150.mo anniversario della sua fondazione e che dal 1969 pubblica un’edizione settimanale in spagnolo. Il giornale, si legge nella motivazione del premio, “presenta la dimensione universale della Chiesa, l’incontro tra fede e ragione e offre con rigore e precisione i dibattiti culturali del nostro tempo e gli eventi della Chiesa in ciascun continente, con particolare attenzione all’ecumenismo ed al dialogo interreligioso”. Significativo anche il riconoscimento della sezione cinema, assegnato al film “Uomini di Dio”: diretta da Xavier Beauvois, l’opera narra la vicenda di sette monaci cistercensi di Tibhirine, in Algeria, assassinati nel 1996. “Questo film – spiega la giuria del premio “Bravo!” – riflette l’umanità e la santità dei monaci, cosi come l’armonia con la popolazione musulmana di quella regione e il dialogo interreligioso promosso dalla Chiesa tramite il Concilio Vaticano II”. Tra gli altri premi, infine, si segnala quello per il settore delle nuove tecnologie, assegnato al sito web www-rezandovoy.org, ideato dalla Compagnia di Gesù di Valladolid, in collaborazione con un gruppo di laici. “Il sito – informa una nota – offre una piattaforma in cui la parola, il silenzio e la musica permettono qualche minuto di meditazione quotidiana e di incontro con Dio. Questa iniziativa mette in luce le opportunità che le nuove tecnologie offrono allo sviluppo della missione della Chiesa in qualunque ambito”. La cerimonia di assegnazione dei premi avverrà mercoledì 25 gennaio, alle ore 12.30, presso la sede della Conferenza episcopale spagnola, a Madrid. (I.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 24

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