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Sommario del 23/01/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il cardinale Cañizares: l’azione di Dio nelle celebrazioni del Direttorio del Cammino neocatecumenale per l’iniziazione cristiana
  • L'ambasciatore cubano presso la Santa Sede: la visita di Benedetto XVI sarà indimenticabile
  • Udienze
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Ue: accordo per le sanzioni contro l'Iran, che minaccia di chiudere lo Stretto di Hormuz
  • Libia. Il presidente del Cnt: se cade il Consiglio sarà guerra civile
  • Il giurista Cardia: sull’obiezione di coscienza, l’amministrazione Usa mette in gioco la Costituzione
  • Italia: giornata di proteste contro le liberalizzazioni. Mcl: il Paese ha bisogno di riforme
  • Anno europeo del volontariato. Emma Cavallaro: non perdere identità e aprirsi ai giovani
  • La Guinea Bissau verso le elezioni presidenziali in un clima di instabilità
  • Fallimento della Kodak, la pellicola va in pensione: il commento del “fotografo dei Papi”, Arturo Mari
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Nigeria: altre dieci vittime e due chiese attaccate nel Nord del Paese
  • Siria: nuove sanzioni contro il regime mentre continuano gli scontri
  • Sì della Croazia all'adesione all'Unione europea
  • I vescovi del Messico: "Il Papa porterà pace, fede e speranza"
  • Messico. Uomini armati irrompono in una cappella e sparano contro i fedeli: 7 morti e 5 feriti
  • Pakistan. Sequestro dei due cooperanti: alcuni arresti, ma il governo ritira la licenza alla loro Ong
  • La comunità cattolica pakistana contro la demolizione della “Gosha-e-Aman” di Lahore
  • Pakistan: i vescovi auspicano la creazione di una Commissione per gli 8 milioni di non musulmani
  • Ginevra: incontro delle Chiese europee sulle sfide politiche ed economiche
  • Repubblica Dominicana: il cardinale Lopez Rodriguez chiede una nazione più fraterna e giusta
  • Indonesia: istituita la Giornata per il dialogo interreligioso a Semarang
  • Chiesa del Gabon: la Coppa d'Africa di calcio sia occasione d'incontro fra culture e religioni
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il cardinale Cañizares: l’azione di Dio nelle celebrazioni del Direttorio del Cammino neocatecumenale per l’iniziazione cristiana

    ◊   Venerdì scorso, nell’udienza in Vaticano di Benedetto XVI a 7000 membri del Cammino neocatecumenale, è stata resa nota l’approvazione della Santa Sede, delle celebrazioni del Direttorio catechetico che segnano le varie tappe di questa esperienza ecclesiale di iniziazione cristiana nata in Spagna negli anni ’60 dagli iniziatori Kiko Arguello e Carmen Hernandez. Si conclude così l’iter per il riconoscimento del Cammino neocatecumenale dopo approvazione nel 2008 degli Statuti. Ma cosa rappresenta per la Chiesa l’approvazione di questo Decreto? Roberto Piermarini lo ha chiesto al Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il cardinale Antonio Cañizares:

    R. – L’approvazione di questo Decreto sulle celebrazioni del Cammino neocatecumenale, contenute nel Direttorio catechetico, è per tutta la Chiesa un riconoscimento di come l’iniziazione cristiana deve avere sempre un’unione tra Parola e celebrazioni: è la Parola di Dio, è l’azione di Dio, è Dio che ci parla e nelle celebrazioni Dio è riconosciuto, Dio agisce e queste celebrazioni marcano le diverse tappe del Cammino neocatecumenale che sono anche l’itinerario di ogni iniziazione cristiana. Se noi vediamo nel catecumenato antico come le diverse tappe sono segnate da celebrazioni specifiche per ciascun momento dell’itinerario, oggi si fa lo stesso, quindi non sono artificiali, non si tratta di una semplice metodologia inventata per gli uomini, ma corrispondono all’itinerario della conversione, all’itinerario della fede, all’itinerario del pieno inserimento della vita cristiana nella Chiesa.

    D. – Come giudica il rapporto tra catechesi e liturgia nel cammino neocatecumenale?

    R. - Penso che il rapporto sia esemplare. Perché alcuni vogliono fare l’iniziazione cristiana soltanto sulla base della catechesi, di qualcosa cha fa l’uomo e che sia conosciuto soltanto a livello intellettuale… la fede o la realtà del Credo, degli altri aspetti della vita cristiana. Quello che accade è che l’iniziazione cristiana è sempre un’azione della Madre Chiesa dove Dio agisce. La priorità è di Dio: Dio agisce l’uomo risponde. L’uomo compie un itinerario che deve essere illuminato dalla Parola di Dio, allo stesso tempo deve essere vissuto come azione di Dio e accoglienza dell’azione di Dio. Questo nel Cammino neocatecumenale è chiarissimo, è quello che risponde veramente all’iniziazione cristiana e anche oggi, ancora di più, (con questo Decreto) si sottolinea questo. Infatti, l’uomo ha la tentazione di credere che tutto sia frutto del suo agire, come se si trattasse soltanto di inserirsi in una società … No: è la Madre Chiesa che genera nuovi figli. E come si generano figli nel grembo della Madre Chiesa? Attraverso la Parola e le celebrazioni.

    D. - Spesso quando si parla di liturgia si parla sempre di individuo, l’uomo e la liturgia. Ma quanto è importante invece la comunità cristiana nella liturgia, una piccola comunità cristiana come è nel cammino neocatecumenale?

    R. – Quando dico che è la Madre Chiesa, il grembo della Chiesa dove sono generati i nuovi cristiani, gli uomini nuovi, volevo dire che è la comunità, che è la Chiesa, presieduta da Pietro, dove si generano nuovi cristiani e per questo la Parola di Dio, la liturgia e la comunità cristiana sono inseparabili. Come si fa l’iniziazione cristiana se non si vive nel grembo materno della Chiesa, della comunità? Come si può vivere quello che Dio ha donato all’uomo non per se stesso, per l’individuo, ma per viverlo in una nuova realtà che è la realtà dei nuovi figli, uomini nuovi che sono stati trasformati dalla grazia di Dio? E questa è la vita di tutta la realtà che è vissuta nel Cammino neocatecumenale. L’iniziazione cristiana è l’iniziazione di tutta la Chiesa, è l’iniziazione alla fede, l’iniziazione alla vita morale, l’iniziazione alla liturgia, alla preghiera … e questa è la Chiesa. Quando si fa l’iniziazione cristiana è la Chiesa stessa che si dona ai catecumeni, e per questo la realtà della comunità è veramente imprescindibile per realizzare l’iniziazione cristiana.

    D. – Come giudica questo rapporto tra liturgia e Nuova evangelizzazione, visto che ci stiamo avvicinando al Sinodo su questo tema?

    R. – La Nuova evangelizzazione non è possibile senza liturgia e non è possibile senza l’Eucaristia che è il centro e il culmine di tutta la liturgia. L’Eucaristia è sempre fonte e culmine della evangelizzazione e anche della Nuova evangelizzazione. Intendere la Nuova evangelizzazione come un’opera di propaganda, l’opera di una società religiosa per infondere i suoi principi e non comprendere la Nuova evangelizzazione come l’azione di Dio che chiama l’uomo e che dà la grazia e il dono della conversione e della fede, è sbagliato: questo non è possibile. Non è possibile una nuova evangelizzazione senza liturgia, non è possibile una Nuova evangelizzazione senza l’Azione di Dio che si attua durante la liturgia; non è possibile una Nuova evangelizzazione dove la priorità di Dio non sia veramente sottolineata. La priorità di Dio è la liturgia, è Dio che agisce, è Dio che prende l’iniziativa, è Dio che salva, è Dio che fa sorgere una nuova creatura, un uomo nuovo e per questo dobbiamo insistere sempre, sempre sul fatto che la Nuova evangelizzazione senza liturgia non ha nessun futuro. (bf)

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    L'ambasciatore cubano presso la Santa Sede: la visita di Benedetto XVI sarà indimenticabile

    ◊   Cresce a Cuba l'attesa per la visita che Benedetto XVI compirà dal 26 al 28 marzo prossimi. Proprio in questi giorni ricorre l’anniversario dello storico viaggio di Giovanni Paolo II nell'isola caraibica. Esattamente 14 anni fa, il 23 gennaio 1998, Papa Wojtyla nella Messa di Camaguey esortava i giovani cubani a testimoniare la fede cristiana senza paura e ad essere “coraggiosi nella verità” e “audaci nella libertà”. Ma come ricorda Cuba quell’evento? Luis Badilla lo ha chiesto all’ambasciatore cubano presso la Santa Sede, Eduardo Delgado:

    R. - La visita fue realmente muy impactante …
    La visita di Giovanni Paolo II per il popolo cubano è stato un evento di grande impatto, indimenticabile, del quale ci sono tuttora echi come il ristabilimento del Natale come festa nazionale e l’apertura di un colloquio permanente con la Chiesa cattolica cubana su diverse questioni pastorali e ciò è servito per progredire nei buoni rapporti esistenti. Noi cubani nutriamo un grande affetto, oserei dire amore, per il Beato Giovanni Paolo II. Apprezziamo e ricordiamo non solo la sua visita, ma anche il suo magistero e il suo lungo pontificato.

    D. - Secondo lei, c’è una continuità tra ciò che poc’anzi ha ricordato e la prossima visita di Benedetto XVI dal 26 al 28 marzo a Cuba? Cosa è giusto aspettarsi da questo pellegrinaggio?

    R. - Pienso que si, porque posteriormente no ha habido ...
    Penso proprio di sì, poiché, tra l’altro, in questi anni non ci sono stati cambiamenti nei rapporti bilaterali; anzi, in molti aspetti questi rapporti sono stati approfonditi com’è logico che accada. A cosa aspiriamo noi? Innanzitutto, desideriamo fortemente che anche questa visita del Santo Padre sia tanto positiva e bella come quella del suo predecessore e poi ci auguriamo che lasci nel cuore del Santo Padre un ricordo grato com’è accaduto col Beato Giovanni Paolo II.

    D. - Si è molto parlato dell’indulto del governo cubano a quasi 3mila carcerati. Si è detto anche che poteva essere un gesto di buona volontà proprio nella prospettiva della visita del Papa. Come si può approfondire questo tema così importante?

    R. - Primero hay que situar este indulto ...
    Per prima cosa, si deve dire che quest’indulto ha un doppio carattere: è un gesto sovrano e al medesimo tempo è un gesto umanitario. In secondo luogo vale la pena ricordare che gli indulti a Cuba sono una prassi normale, in media avvengono più o meno una volta l’anno. In passato ci sono stati addirittura indulti per un numero di detenuti maggiore di quest’ultimo. Non siamo di fronte a nulla di eccezionale. In terzo luogo gli indulti, e questo recente in particolare, sono una risposta a situazioni umanitarie rilevanti come per esempio detenuti anziani o gravemente malati; giovani che hanno migliorato il proprio comportamento sociale studiando o lavorando; persone detenute che hanno dimostrato una buona condotta oppure hanno scontato gran parte della pena ... Inoltre si tratta anche di una doverosa riposta alle richieste dei familiari dei carcerati e delle Chiese, di quella cattolica e del Consiglio delle Chiese. E poi siamo alla vigilia della visita del Papa e perciò è anche un gesto di buona volontà di carattere umanitario. Non si tratta dunque di un gesto politico.

    D. - Con l’annunciata visita del Papa a Cuba fra poche settimane, l’isola entra a far parte, insieme con Messico, Stati Uniti e Colombia, del ristretto elenco dei Paesi americani che hanno ricevuto la visita di due Papi. Con quali sentimenti avete ricevuto l’annuncio?

    R. - Creo que puedo resumir del pueblo cubano, del Governo ...
    Ritengo di poter riassumere i sentimenti del popolo cubano, del governo e quelli personali, dicendo: anzitutto è un grande onore essere visitati da due Papi, Giovanni Paolo II ed ora Sua Santità Benedetto XVI. Aggiungo: il Papa sarà ricevuto con molto rispetto e amore e faremo tutto ciò che è possibile affinché lasci un ricordo indimenticabile com’è accaduto con Papa Giovanni Paolo II.

    D. - E come si può raccontare l’emozione del popolo cubano, in particolare delle persone semplici, lavoratori, studenti, donne, anziani, giovani?

    R. - Pienso que en cualquiera circunstancia la visita del Papa …
    In qualsiasi circostanza, a mio avviso, la visita del Papa è sempre accolta con grande simpatia e grandi aspettative; con manifestazioni di affetto e di rispetto. Questa visita coincide con la fine del pellegrinaggio nazionale della Madonna della Caridad del Cobre la cui immagine dall’agosto 2010 ha attraversato tutta l’isola. È stato un pellegrinaggio che non solo ha raggiunto luoghi geografici specifici come le città, piccole e grandi, ma anche molti spazi sociali rilevanti: infatti, oltre che nelle chiese, l’immagine è arrivata nelle scuole, nei centri culturali, negli enti artistici e nelle carceri. Questo pellegrinaggio ha creato un clima particolare che si traduce in una crescita delle attese per quanto riguarda la presenza del Papa. Non ho alcun dubbio che le Messe che presiederà il Santo Padre avranno una partecipazione massiccia di cubani. Si sa, i cubani sono un popolo ospitale, solidale e accogliente.

    D. - Secondo la Costituzione, lo Stato cubano è laico e da molti anni, oltre 70, ha rapporti diplomatici con la Santa Sede. In quest’ottica come leggere questa visita del Papa?

    R. - Es un hecho cierto, come Ud. señala que el nuestro es un ..
    È un fatto certo, come lei segnala, che il nostro è uno Stato laico. Tutte le Chiese presenti a Cuba possono agire all’interno di una cornice legale precisa. Credo però che sia importante indicare che la dottrina cristiana è una parte sostanziale della cultura del popolo cubano e del suo modo di pensare.

    D. - Da quanto il Santo Padre ha detto su Cuba in diverse occasioni si ha l’impressione che Benedetto XVI conosca bene il Paese, i suoi problemi e le sue difficoltà, le sue sfide e le sue priorità ... È così, secondo lei?

    R. - Exactamente asì. Creo que el Papa està en conocimiento ...
    Proprio così. Il Papa conosce bene il nostro Paese e in Vaticano le più alte autorità sono ugualmente a conoscenza della nostra realtà. Nell’espletamento delle nostre funzioni diplomatiche percepiamo, da parte della Sede Apostolica, affetto e rispetto. Ci capita spesso di ricevere da più parti dimostrazioni di quest’affetto verso il nostro Paese e di questa conoscenza di ciò che Cuba è.

    D. - Mi consenta una domanda un po’ particolare: cosa attende Cuba da questa visita, cosa desidera, e perché? Non possiamo dimenticare che il Papa si fa pellegrino per stare vicino alle Chiese e ai popoli locali…

    R. - En primer lugar las relaciones de la Santa Sede con Cuba son ..
    In primo luogo, va detto che i rapporti della Santa Sede con Cuba sono buoni. I nostri rapporti durano ininterrottamente da 76 anni. Sul piano internazionale, la Santa Sede ha espresso sempre la sua contrarietà al blocco che colpisce Cuba da molti anni e che è la limitazione più pesante che ha il nostro popolo per costruire il suo futuro. Da parte della Santa Sede, in diverse occasioni di calamità naturali per esempio, sono state manifestate vicinanza e solidarietà sia spirituale che materiale nei confronti del popolo cubano. Il popolo cubano a mio avviso aspetta innanzitutto di vedere il Papa, cosa che già è molto importante: desidera stargli vicino, ascoltarlo, ricevere il suo messaggio. La sua parola influisce positivamente sulle persone e sullo sviluppo della società e così sarà anche in questa prossima visita.

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    Udienze

    ◊   Il Papa ha ricevuto stamani un gruppo di presuli della Conferenza episcopale degli Stati Uniti d’America, in Visita “ad Limina”. Successivamente, il Papa ha ricevuto il signor Stanislas de Laboulaye, ambasciatore di Francia in visita di congedo.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Alle radici interiori dell'unità: l'Angelus del Papa sulla settimana di preghiera che si conclude mercoledì a San Paolo fuori le Mura.

    In prima pagina, un editoriale di Lucetta Scaraffia dal titolo "La voce libera della Chiesa": una risposta alle solite accuse di oscurantismo.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, la Nigeria, dove si registrano nuove violenze contro i cristiani.

    Cosa ci rende liberi: in cultura, Giovanni Maria Flick sull'esigenza di ricostruire il percorso della memoria non per mantenere vive separazioni, ma per unire.

    Adriano Pessina e Antonio Spadaro ricordano il gesuita Angelo Serra, il genetista che ha lottato tutta la vita per dimostrare la compatibilità tra scienza e fede.

    Rischiando il confronto contro il ghetto delle idee: Giulia Galeotti sul dibattito intorno a "Pagine Ebraiche".

    José Gabriel Vera, direttore del segretariato dei mezzi di comunicazione della Conferenza episcopale spagnola.

    E' tempo di impegno per il bene dell'Italia: nell'informazione internazionale, la prolusione del cardinale Angelo Bagnasco al Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana.

    I passi di un cammino che rafforzano il dialogo: Matthias Turk, sulle relazioni con la Federazione luterana mondiale e i presuli veterocattolici dell'Unione di Utrecht.

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    Oggi in Primo Piano



    Ue: accordo per le sanzioni contro l'Iran, che minaccia di chiudere lo Stretto di Hormuz

    ◊   L’Ue ha raggiunto un accordo sulle sanzioni petrolifere contro l’Iran, affinché Teheran torni al tavolo dei negoziati circa il suo controverso programma nucleare. L’embargo entrerà immediatamente in vigore per i nuovi contratti di forniture petrolifere, mentre quelli in essere dovrebbero venire annullati entro il primo luglio prossimo. Ad essere colpita dalle sanzioni sarà anche la Banca centrale iraniana. Intanto, Teheran minaccia di chiudere lo Stretto di Hormuz. Sull’efficacia di questa misura, Stefano Leszczynski ha intervistato Giandonato Caggiano, docente di diritto europeo presso l’Università di Roma Tre:

    R. – Da un punto di vista politico-economico si tratta di un settore – quello petrolifero – dal quale l’Iran dipende fortemente nella sua economia. Certo, la possibilità di queste “misure restrittive” dipende da un atto di volontà dell’Unione Europea che segue un po’ l’analoga decisione degli Stati Uniti, ma non del Consiglio di Sicurezza che certamente avrebbe un’efficacia molto maggiore. Ma sappiamo che lì Cina e Russia si sono mostrate contrarie ed hanno applicato il diritto di veto.

    D. – Una delle grandi preoccupazioni dei 27 riguardava le possibili ricadute economiche all’interno dell’Unione Europea …

    R. – E’ chiaro che, da un certo punto di vista, queste restrizioni al commercio producono danni anche a chi le applica, perché è evidente che l’Europa dipende dal petrolio; più o meno tutti gli Stati – nei loro approvvigionamenti energetici – dipendono dall’esterno, e certo l’effetto può essere diverso perché ciascuno Stato ha un livello di maggiore dipendenza dall’Iran e deve, comunque, cercare soluzioni alternative per l’approvvigionamento, che poi non è mai esclusivamente valutabile in termini di solo petrolio, ma anche di gas e di tutte le altre fonti energetiche. E’ evidente che la diversificazione dei vari Paesi dall’approvvigionamento con l’Iran ha avuto la sua importanza, e siccome le decisioni nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (Pesc) devono essere prese all’unanimità, si è dovuto mediare e, appunto, risulta che soprattutto la Spagna e la Grecia fossero particolarmente preoccupate per le loro risorse energetiche.

    D. – Appare molto rilevante anche il lavoro diplomatico che l’Unione Europea sta conducendo nei confronti dell’India, perché si unisca a queste sanzioni petrolifere – l’Asia è il maggiore importatore di petrolio iraniano – e poi nei confronti dei Paesi del Golfo per sostituire questa mancata produzione …

    R. – Queste restrizioni al commercio hanno, nella loro efficacia, una diversa importanza a seconda del fatto che siano più o meno applicate dagli Stati che, concretamente, hanno rapporti commerciali con l’Iran. E quindi, l’India è particolarmente collegata con grandi richieste, oltre alla Cina; ma l’India non fa parte del Consiglio di Sicurezza, non ha comunque diritto di veto. Però, certo, la sua posizione avrebbe un grande impatto e l’altro versante è – evidentemente – quello della sostituzione della fonte iraniana con quella di altri produttori di petrolio, e su questo però non mi sembra che ci siano problemi, perché Riyad ha fatto sapere che intende accrescere la sua produzione per compensare. Dunque, è un gioco a scacchi in cui da una parte ci sono l’Iran, ci sono minacce come quella della chiusura dello Stretto di Hormuz e tutta la tecnica che ha dispiegato finora per andare avanti nel programma nucleare; e dall’altra, invece, c’è l’opposto tentativo di creare una coalizione che riduca l’autonomia economica. Questo braccio di ferro sarà vinto se si accrescerà il consenso da parte dei soggetti che importano petrolio dall’Iran e dunque possono fare la differenza.

    D. – Professore, si sottolinea che questa politica di sanzioni nei confronti dell’Iran seguirà comunque un doppio binario. Quindi, si continuerà a lavorare per tentare di portare Teheran nuovamente al tavolo dei negoziati sul programma nucleare. Questo tipo di politica secondo lei è realizzabile?

    R. – Sono anni che questo braccio di ferro va avanti e fino ad oggi l’Iran ha continuato il suo programma, promettendo di tornare al tavolo, di accettare controlli da parte dell’Aiea e comunque di avere un atteggiamento di negoziato. Ma poi, in ultima istanza, finora, ha sempre prevalso l’indirizzo molto preciso di assumere decisioni in piena sovranità: è veramente una lotta dei nervi in cui si inserisce, naturalmente in maniera molto importante, questa decisione odierna di bloccare le importazioni di petrolio per i 27 Paesi dell’Unione Europea. (gf)

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    Libia. Il presidente del Cnt: se cade il Consiglio sarà guerra civile

    ◊   Sale la tensione in Libia. Il Paese precipiterebbe nella guerra civile se il Consiglio nazionale transitorio si dimettesse. Così il presidente del Cnt, Mustafa Abdel Jalil, dopo le violente proteste contro il governo di questi giorni a Bengasi e le dimissioni del suo numero due, Abdel Hafiz Ghoga. Confermato anche il rinvio dell'adozione, il prossimo 28 gennaio, di una nuova legge elettorale, dalla quale sarà stralciata la norma secondo cui il 10 per cento dei seggi dell'Assemblea costituente è riservato alle donne. Intanto, il Tribunale penale internazionale dell'Aja ha smentito il via libera al processo in patria per Saif al-Islam Gheddafi, figlio del defunto leader libico. Sulla stabilizzazione della Libia, Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Massimo Campanini docente di Storia dei paesi islamici all’Università di Trento:

    R. – Penso che ci siano diversi aspetti che incidono profondamente sull’attuale situazione libica. Innanzitutto, il fatto che il gruppo dirigente libico è ancora in qualche modo legato all’epoca di Gheddafi e che fino ad ora non ci sia stata, di fatto, un’interruzione veramente sensibile con la gestione politica di Gheddafi. Secondo elemento, la Libia è un Paese da costruire dal punto di vista istituzionale, dal punto di vista organizzativo, perché la struttura della Giamahiria, avviata da Gheddafi, era un’organizzazione dello Stato molto particolare che non lasciava spazio ad uno Stato moderno. In questo senso, è evidente che la Libia deve ancora realizzare strutture che siano veramente efficienti, veramente produttive. Questo si traduce sul terreno in un vuoto di potere e di organizzazione che rende oggettivamente fragile e debole la struttura governativa.

    D. – C’è chi afferma che sono presenti nel Paese anche delle sacche di resistenza ancora fedeli al vecchio regime…

    R. – Certo, se Gheddafi è riuscito a resistere per molti mesi, come di fatto è stato, è perché godeva, almeno parzialmente, di un certo consenso. E non è assolutamente pensabile che questo consenso sia completamente svanito con la morte di Gheddafi, o con la cattura soprattutto di quello che avrebbe dovuto essere il suo erede, cioè Saif al-Islam.

    D. – In queste ore si ipotizza anche lo spettro della guerra civile. E’ verosimile?

    R. – La possibilità di una deflagrazione interna è concreta e non può essere esclusa, anche perché le tre parti di cui la Libia è composta sono eterogenee.

    D. – Il Cnt, dunque, non è rappresentativo di tutto il Paese?

    R. – Secondo me no, perché è un’istituzione in qualche modo creata attraverso dei processi abbastanza discutibili. Ci sono degli aspetti molto oscuri per quanto riguarda lo scoppio della rivolta: il fatto che i rivoluzionari si siano trovati armati, il fatto che improvvisamente Gheddafi sia stato abbandonato anche dai suoi alleati, non solo occidentali, ma anche del mondo arabo. Ci sono molti aspetti oscuri, che riguardano la rivolta libica e il ruolo del Cnt che dovranno essere chiariti nella prospettiva storica. Certamente, però, il Cnt non è del tutto rappresentativo dell’attuale situazione interna. Quindi, questo processo di ricostruzione istituzionale e costituzionale potrebbe andare nella direzione di esigere un nuovo governo che faccia a meno di quegli esponenti che sono stati in qualche modo coinvolti con il regime gheddafiano.

    D. – In Libia è slittata anche l’adozione della nuova legge elettorale, il cui testo dovrà essere riesaminato, e sembra molto probabile che perderà l’articolo che stabiliva una quota del 10 per cento riservata alle donne…

    R. – E’ il problema della trasformazione, dell’avanzamento di questi Paesi, ma non solo della Libia, anche della Tunisia e dell’Egitto, e potenzialmente del Marocco, della Giordania e poi, in prospettiva, della Siria e dello Yemen - tutti quei Paesi che sono stati in qualche modo coinvolti e travolti dalle rivolte – che sono un laboratorio molto interessante di produzione politica sia dal punto di vista dell’influenza delle forze islamiche sia dal punto di vista di un cammino verso la democrazia. Sono convinto che bisognerà comunque tenere presente che questa democrazia avrà, sia dal punto di vista formale sia sostanziale, delle caratteristiche non necessariamente coincidenti con quelle delle strutture politiche del mondo occidentale. Bisogna lasciare che questi Paesi sperimentino le loro vie e i loro tentativi di nuova progettualità politica, di nuova evoluzione politica. In una situazione di tipo occidentale dove le strutture democratiche, anche a causa della crisi economica, sono sostanzialmente bloccate, ci può essere veramente la possibilità di nuove vie sia dal punto di vista teorico del pensiero politico, sia dal punto di vista pratico: delle regole del vivere civile, della gestione del vivere civile, del vivere comunitario. (ap)

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    Il giurista Cardia: sull’obiezione di coscienza, l’amministrazione Usa mette in gioco la Costituzione

    ◊   Negli Stati Uniti, continua a far discutere la decisione dell’amministrazione Obama di obbligare tutte le strutture ospedaliere americane, comprese quelle cattoliche, a fornire - a partire dal prossimo anno - contraccettivi e prodotti abortivi nei propri programmi sanitari. Per i vescovi americani si tratta di un attacco, senza precedenti, all’obiezione di coscienza e alla libertà religiosa. Sul controverso provvedimento, Alessandro Gisotti ha chiesto un commento al giurista Carlo Cardia, docente di diritto ecclesiastico all'Università Roma Tre:

    R. - La prima riflessione che sento di fare, è che non soltanto è in gioco la Costituzione americana, ma le carte internazionali dei diritti dell’uomo che hanno avuto ed hanno, tra i punti essenziali, il rispetto della libertà di coscienza, che a sua volta, ha una serie di applicazioni. Tutti noi ricordiamo una delle prime forme dell’obiezione di coscienza, il servizio militare, quando il valore della difesa della patria cedeva di fronte all’obiezione di coscienza di non volere prendere le armi. Questo principio, che ha una serie di applicazioni, viene ora quasi messo tra parentesi. Si fa quasi finta che non esista! L’attacco all’obiezione di coscienza si sta verificando su diversi fronti, ed io credo che questa erosione si va facendo sempre più pesante. Sarebbe il caso di fare una riflessione a livello internazionale, altrimenti i diritti umani - diciamoci la verità - non sono più universali...

    D. - Da una parte l’erosione del principio dell’obiezione di coscienza, dall’altra un trend che sembra quasi far erigere l’aborto a diritto…

    R. - Questo è il secondo passaggio, perché quando l’obiezione di coscienza viene messa tra parentesi, l’alternativa diventa un diritto. Ricordiamo che, quando si iniziarono ad introdurre le leggi per la “liberalizzazione dell’aborto”, si affermava che l’aborto non è un diritto, l’aborto è il ricorso, in situazioni disperate, ad un qualche cosa che tutti sentono come sofferenza. Piano piano questo è scomparso del tutto. L’aborto sta diventando un diritto, e che cosa accade? Dall’altra parte l’obiezione di coscienza all’aborto, può diventare un disvalore.

    D. - Qualche giorno fa, la Corte suprema degli Stati Uniti, ha votato 9 a 0 in favore della libertà di organizzazione interna delle diverse confessioni religiose, libertà che, in qualche modo, è stata messa in discussione. Qui c’è invece un attacco all’identità...

    R. – L’identità di un’associazione, confessione religiosa è il primo diritto che va tutelato. Allora l’identità ha due aspetti: il primo, strutturato, è l’organizzazione; l’altro è quello dei principi. Se io sostengo che questi principi devono piegarsi di fronte ad una legge civile che sostiene principi diversi, io ho negato parte del diritto all’esistenza delle confessioni religiose stesse. Io nego che queste confessioni religiose possano essere tali. Piano piano, ci spostiamo verso una concezione totalitaria dell’organizzazione degli uomini. (bi)

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    Italia: giornata di proteste contro le liberalizzazioni. Mcl: il Paese ha bisogno di riforme

    ◊   In Italia le organizzazioni sindacali dei taxi hanno confermato lo sciopero contro il decreto del governo sulle liberalizzazioni. A questa protesta si è aggiunta, in queste ore, anche la contestazione degli autotrasportatori contro il caro carburanti che ha portato al blocco di diverse strade e autostrade. Hanno inoltre annunciato serrate e scioperi altre categorie, tra cui farmacisti e avvocati. Ma come giudicare il pacchetto sulle liberalizzazioni appena varato dal governo? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a Carlo Costalli, presidente del Movimento cristiano lavoratori:

    R. - Crediamo che il pacchetto sulle liberalizzazioni sia un segnale positivo. Un segnale sicuramente di rottura, rispetto ad una società italiana complessa ed articolata in modo tale da non sprigionare tutto il potenziale che aveva. E’ complessa, soprattutto, per la presenza di lobby, più o meno influenti, e corporazioni. È sicuramente un passo positivo, un passo in avanti. Bisogna fare altre cose, e vanno fatte, soprattutto, promuovendo il dialogo con le forze sociali.

    D. - In questa fase delicata, in cui sembrano ancora prevalere interessi di singole categorie, si può anche pensare ad una rivoluzione culturale, al fatto che si possa andare oltre i propri interessi?

    R. - Il Paese ha sicuramente bisogno di riforme, e ha sicuramente bisogno di coesione sociale, perché solo attraverso la coesione sociale, si costruisce una rinnovata capacità di interpretare il bene comune, che a noi cattolici sta particolarmente a cuore. Bisogna uscire dalla difesa delle situazioni particolari, e guardare agli interessi generali. Il rischio è che il governo pensi ad una autosufficienza rispetto a questi temi. E allora questo può contribuire ad una contestazione di cui oggi sicuramente non abbiamo bisogno.

    D. - C’è anche il rischio che queste proteste possano degenerare in reazioni sempre più difficili da controllare?

    R. - Sicuramente. Allora dobbiamo stare attenti, soprattutto adesso, in cui si va ad affrontare il tema della riforma del mercato del lavoro. Quello di cui il Paese non ha bisogno, sicuramente, è una battaglia ideologica su tutti i temi, ma particolarmente sui temi del lavoro. Io sono tra quelli che sostengono che si debba anche parlare di articolo 18. Sono d’accordo quando il presidente Monti dice che non è un tabù. Se ne può parlare, ma alimentare oggi - in una fase economica di recessione, e dopo anche un duro intervento sulle pensioni come quello che è stato fatto - uno scontro sociale sulla libertà di licenziamento, ci sembra assolutamente sbagliato.

    D. – A proposito di articolo 18, quali potrebbero essere le modifiche ammissibili dal punto di vista del Movimento cristiano dei lavoratori?

    R. – Noi, insieme con la Cisl, siamo grandi sostenitori dell’accordo recente sull’apprendistato. Iniziamo ad applicarlo. Lì ad esempio, soprattutto per i giovani, è prevista anche una norma che alla fine del contratto può prevedere il licenziamento. Quello che noi dobbiamo eliminare, perché è causa di precarietà, è la cosiddetta “flessibilità mal regolata”. La differenza di tipologie contrattuali, spesso usate impropriamente perché hanno dei vantaggi economici dal punto di vista dei contributi, hanno creato la grande confusione nel Paese. È la differenza del costo fra i contratti diversi che va evitata, perché abbiamo l’occasione di fare qualcosa per i giovani. La precarietà non è frutto della flessibilità, ma è frutto della flessibilità pagata male.

    D. - Queste liberalizzazioni si possono saldare bene con la prossima riforma del mercato del lavoro?

    R. - Dal nostro punto di vista, il Paese aveva alcuni vincoli che dipendono da svantaggi che non si possono più sostenere, dall’inadeguatezza delle infrastrutture, dalla cosiddetta complicazione delle procedure amministrative. Iniziati a rimuovere i primi ostacoli, adesso che si è fatto un passo in avanti con queste liberalizzazioni, si stanno sbloccando alcuni fondi per le infrastrutture. Credo che il governo debba emettere un pacchetto chiaro sulle semplificazioni.

    D. - Infatti, quello della semplificazione della burocrazia, è stato proprio uno degli obiettivi indicati recentemente dal premier Monti…

    R. - Il premier sta dimostrando coraggio, e credo che se avrà a disposizione ancora un anno di tempo, faremo degli importanti passi in avanti. Anche sulla liberalizzazione alcune cose non sono state fatte: ad esempio, la cosa che a noi sta particolarmente a cuore, riguarda i servizi pubblici locali. Ma non ci possiamo nascondere dietro a qualche ritardo o a qualche passo in avanti troppo veloce, per tentare di bloccare un processo di cui il Paese ha sicuramente bisogno. (bi)

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    Anno europeo del volontariato. Emma Cavallaro: non perdere identità e aprirsi ai giovani

    ◊   Chiusura ufficiale ieri, a Genova, dell’Anno Europeo del Volontariato. Un bilancio tra luci ed ombre come ha dichiarato, Emma Cavallaro, presidente della Conferenza permanente delle Associazioni, Federazioni e Reti di volontariato (Convol), al microfono di Roberta Gisotti:

    R. – Un Anno Europeo pone comunque all’attenzione un problema, chiede una riflessione. In questo senso, è stato indubbiamente positivo. Forse, quantomeno in Italia, ci si poteva aspettare un po’ di più. Alcuni problemi sono stati affrontati, si sono gettati dei semi ed ora i germi devono essere coltivati e fatti sviluppare.

    D. – Ci sono dei dati o delle stime sul numero di volontari e sulle attività che vengono fatte?

    R. – Stime esatte ce ne sono tante. Credo, però, che la cosa più importante sia guardarsi intorno e cogliere il valore autentico del volontariato. Il volontariato, di suo, come prima vocazione, ha quella di creare relazioni. La Carta dei valori del volontariato dice che è azione gratuita, è espressione del valore della relazione e della condivisione, è una scuola ed un’espressione di solidarietà, è una pratica di sussidiarietà, è una partecipazione responsabile, è cittadinanza attiva. Tutto questo, però, non è così facilmente ‘contabile’ come alcuni servizi che sono evidenti.

    D. – Viviamo tempi di crisi economica e non solo: c’è anche una crisi dei modelli di società dei Paesi più ricchi, dei paesi leader. Questa crisi economica può dare nuovo slancio al volontariato?

    R. – Da una parte credo che bisogna veramente impegnarsi per far sì che il welfare torni ad essere una leva per l’innovazione. Dall’altra, il volontariato si deve difendere per rimanere autenticamente se stesso, perché in un momento di crisi è facile tentare di schiacciare il volontariato sui servizi. Gli obiettivi più importanti sono quelli di creare responsabilità, di essere responsabili per tutti e con tutti, di creare democrazia partecipata. Credo che il volontariato possa fare molto in questo ambito, peraltro in un momento in cui le difficoltà sono tante è importante che le relazioni siano forti, stabili e coraggiose.

    D. – A volte si dice che il volontariato non deve togliere posti di lavoro. Questo accade davvero nella realtà italiana?

    R. – Se è volontariato vero no, non accade. Se, invece, dietro al volontariato si celano altre realtà, sarebbe una situazione grave che andrebbe verificata. Il volontariato non deve assolutamente togliere posti di lavoro, proprio perché è qualcosa d’altro. E’ azione gratuita, e gratuità non significa solo ‘no al denaro’: significa molto di più. E su questo, penso che tutti coloro che credono nel volontariato e lo fanno, debbano impegnarsi sempre di più.

    D. – Può esservi un collegamento tra l’Anno Europeo del Volontariato, appena concluso, ed il nuovo Anno Europeo dell’Invecchiamento attivo e dei rapporti tra generazioni, tenuto conto che siamo anche entrati nell’Anno delle Nazioni Unite, dedicato alle cooperative?

    R. – Certamente, gli Anni europei hanno una loro consequenzialità. Il precedente era dedicato alla povertà e all’esclusione sociale. Da un certo punto di vista, abbiamo sempre più bisogno, anche con l’aumento degli anni di vita, che le persone più adulte trovino anche nel volontariato, una possibilità d’impegno. E’ un momento di realizzazione a servizio degli altri. Dall’altra, ci siamo resi conto che occorre davvero una capacità di passare ai giovani la staffetta, cosa che in parte avviene già, ma non quanto dovrebbe. Credo ci sia bisogno di accogliere i giovani aprendo veramente le nostre organizzazioni e lasciare che possano coinvolgersi nell’organizzazione. Deve essere una gestione collaborativa ed unitaria e devono esser date loro delle responsabilità. I giovani arrivano al volontariato per motivi diversi dalla mia generazione: c’è un libretto interessante, “Il gusto del volontariato” del prof. Andrea Volterrani che mi sembra abbia colto veramente un modo nuovo con cui i giovani devono essere avvicinati al volontariato e di come essi si avvicinano al volontariato. (vv)

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    La Guinea Bissau verso le elezioni presidenziali in un clima di instabilità

    ◊   In Guinea Bissau, si svolgeranno il prossimo 18 marzo le elezioni presidenziali anticipate, dovute alla morte, lo scorso 9 gennaio, del presidente Malacam Bacai Sanha. Resta instabile la situazione del Paese, in cui a novembre si sono verificati anche disordini militari, gli ultimi di una lunga serie. A parlarne, al microfono di Davide Maggiore, è Intunda Na Montche, guineano, presidente dell’associazione per la cooperazione “Sol Mansi Onlus”:

    R. – E’ una situazione dovuta alla riforma delle forze armate, ossia il pensionamento dei militari che stanno per ritirarsi dall'attività. Questa situazione è stata causata proprio dalla paura, da parte di questi militari, di andare in pensione senza avere una garanzia dal punto di vista economico. Sono problemi strettamente militari, dovuti anche alla mancanza di dialogo tra i militari stessi ed il governo, che doveva appunto garantir loro una certa sicurezza da tale punto di vista.

    D. – Intanto, il governo centrale è sempre più debole e guadagnano potere altre realtà, anche criminali. Si parla della Guinea Bissau come di una piattaforma per il traffico di droga verso l’Europa...

    R. – Penso che il governo della Guinea debba lavorare per poter risolvere questo problema, dato che la comunità internazionale lancia una grave accusa contro di noi. In Guinea, comunque, il traffico di droga non è opera dei militari: esso è proprio insito nella società civile e questo fatto indebolisce davvero molto il nostro governo, anche dal punto di vista internazionale. A livello locale c’è una lotta interna e quello che deve fare adesso il Paese è cercare di ripartire politicamente per riorganizzare la società come si deve. E’ l’unica via di uscita: la politica deve governare tutti i fenomeni negativi. La soluzione sta nel dialogo istituzionale, un dialogo tra governo, militari e polizia.

    D. – Qual è il potere, l’influenza dei militari nel Paese?

    R. – L’influenza dei militari nel Paese è forte. E’ forte perché, durante il processo d’indipendenza, la politica non ha mai preso in mano il potere per regolamentare le forze armate, per far sì che esse potessero essere sotto il controllo politico. Dato che questo non accade, nel Paese vige sempre il caos.

    D. – La comunità internazionale quale contributo può dare alla soluzione dei problemi del Paese?

    R. – Forse può dare un contributo nell’ambito economico, per aiutare a fare le riforme della difesa e delle forze armate, risolvendo quindi la questione della pensione dei militari. E’ l’unico aiuto che la comunità internazionale può offrire. Del resto, siamo noi cittadini che dobbiamo riuscire a dialogare insieme per trovare la soluzione e la via d’uscita ai nostri problemi. Quello che riusciamo a fare internamente può essere la soluzione. Bisogna iniziare a dialogare. (vv)

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    Fallimento della Kodak, la pellicola va in pensione: il commento del “fotografo dei Papi”, Arturo Mari

    ◊   La Kodak ha ufficialmente avviato, nei giorni scorsi, la procedura di fallimento. La celebre azienda americana produttrice di pellicole, fondata nel 1888, è stata definitivamente travolta dall’arrivo del digitale, tecnologia creata peraltro proprio dall’ingegnere della Kodak, Steven Sasson, nel 1975. Che cosa perdiamo e cosa guadagniamo con il definitivo tramonto della pellicola e la sua sostituzione con il digitale? Massimo Pittarello lo ha chiesto ad Arturo Mari, il “fotografo dei Papi”:

    R. – In 53 anni di esperienza al servizio dei Pontefici, ho sempre prediletto la Kodak. E’ stato materiale buono, ottimo. Non si può nascondere che attualmente il digitale ha fatto dei progressi enormi. Consideriamo soltanto la questione delle trasmissioni: in pochi minuti si può fare il pool per tutto il mondo, con le migliori fotografie, cosa che prima era un po’ più difficile! Cioè, tutto ciò andava fatto ma con qualche ora di sforzo, sempre appoggiandosi alle grandi agenzie … Per cui, sì, c’è un vantaggio enorme nella modernità, questo non si può negare. Però, come fotografo, devo dire che va via tutta quella poesia, l’amore per la camera oscura, come nascono le fotografie curandole con le proprie mani …

    D. – Lei che per anni è stato il fotografo personale di Giovanni Paolo II, quali ricordi particolari conserva di questa sua attività?

    R. – I ricordi sono tantissimi … Non posso dimenticare gli incontri nella Cappella privata; non posso dimenticare milioni di persone all’estero che aspettavano questo “punto bianco”, questa figura, questo punto di appoggio, di fede … Come non posso dimenticare le sue visita nei lebbrosari, in Africa, con i bambini colpiti dall’Aids … tante, tante cose ho nei miei ricordi! Quale scegliere, quale dire che è la più bella, la più emozionante? E’ tutta un’emozione …

    D. – C’è da dire che con la tecnologia digitale è ancora più facile che chiunque acquisti uno strumento che “cattura” le immagini, si senta a suo modo fotografo. La domanda è: continuerà ad esistere la professione del fotografo?

    R. – Io penso di sì. La macchina deve stare a mia disposizione, la mia testa deve comandare lei, con le mie mani; non la macchina comandare me. Perché se la macchina comanda me, allora abbiamo finito: mettiamo un automatismo e diventiamo tutti fotografi. Poi bisogna considerare anche l’estro: è una professione, è un’arte, la fotografia. Certo, all’atto pratico, oggi come oggi tutti possono reputarsi fotografi. Basta impostare la macchina in una certa maniera, comanda lei, e buona notte!

    D. – L’uomo può imparare a ricordare, ma non apprenderà mai una tecnica dell’oblio. Mentre la fotografia digitale consente anche delle “amnesie volontarie”: basta spingere il tasto “cancella”. Si perde un po’ il valore del tempo e l’unicità dei momenti della nostra vita, magari catturati su pellicola?

    R. – Quando “prima” io scattavo una fotografia, si faceva la foto, si sentiva il carisma della persona sulla pelle, si entra in un unico corpo. Attualmente – come anche io ho fatto: e lì è stata la mia “vergogna” – scattata una fotografia, subito a vedere se era venuta bene, se la luce, il diaframma erano buoni … Qualche volta mi sono fermato ed ho pensato: Arturo, ma non ti guardi allo specchio? Ma prima, cosa facevi? Quello scatto doveva essere perfetto, e lo era! Adesso la cognizione di causa è che appena ho scattato vado a controllare se … ma … e così metto in dubbio anche la mia capacità … Cioè, quella professionalità che io ho imparato iniziando a lavorare con le lastre di vetro … beh, tu con sei lastre facevi l’avvenimento! E guai se ne sbagliavi una! Questa è esperienza, questa è vita, questa è arte. Qui nasce la professionalità del fotografo… (gf)

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Nigeria: altre dieci vittime e due chiese attaccate nel Nord del Paese

    ◊   Continuano le violenze nel nord della Nigeria contro le minoranze cristiane. A due giorni dall’assalto alla città di Kano da parte della setta islamica Boko Haram, dieci persone sono state uccise nella notte nello Stato settentrionale di Bauchi. Si tratta di otto civili e due militari, secondo alcuni testimoni tutti cristiani, colpiti durante la rapina ad una banca, mentre all’alba sono state attaccate anche due chiese, una cattolica e una evangelica. Un bilancio che aggrava quello dei 178 morti finora accertati nel raid di venerdì notte nella città di Kano, metropoli di oltre dieci milioni di abitanti, finora risparmiata dagli scontri. “Gli assalitori indossavano uniformi simili a quelle della polizia, traendo in inganno i civili, che si sono diretti verso i terroristi che li hanno uccisi senza pietà”, ha dichiarato mons. Niyiring, vescovo di Kano. “Troppo a lungo non si è lavorato per la pace”, ha aggiunto il presule all’agenzia Misna, ed ora Boko Haram è in grado di reclutare tanti giovani senza lavoro e prospettive, facile preda di gruppi ideologizzati che promettono cambiamenti radicali”. Intanto nella città è giunto il presidente nigeriano Goodluck Jonathan, accusato di aver sottovalutato l’emergenza nella città, esclusa dalle misure di sicurezza del 31 dicembre scorso.“Li troveremo e li processeremo”, ha affermato il presidente, anche se tutta la comunità internazionale chiede misure più efficaci per fermare Boko Haram ed evitare la guerra civile. La responsabile della politica estera europea, Catherine Ashton, ha offerto aiuto al governo nigeriano per “superare la minaccia alla democrazia del Paese, mentre il Segretario dell’Onu Ban Ki-moon, ha auspicato “inchieste rapide e immediate”. (A cura di Michele Raviart)

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    Siria: nuove sanzioni contro il regime mentre continuano gli scontri

    ◊   L'Unione Europea ha approvato questa mattina nuove sanzioni contro il regime siriano. Si tratta dell'undicesimo pacchetto di misure, che colpisce 22 alti funzionari e 8 società legate all'esercito di Damasco, ai quali è stato imposto il congelamento dei beni e il bando sui visti verso il territorio comunitario. “Ancora una volta chiediamo che in Siria cessi la violenza, e che gli osservatori della Lega Araba siano posti in grado di svolgere indisturbati il proprio compito”, ha dichiarato Catherine Ashton, alto rappresentante per la politica estera europea all’apertura della riunione dei ministri degli Esteri dell’Ue. Intanto il governo di Damasco ha rigettato il nuovo piano della Lega Araba per uscire dalla crisi, che dura ormai da oltre 10 mesi. La proposta, che prevedeva l’uscita di scena del presidente Bashar Al-Assad entro due mesi, è stata giudicata “una violazione della sovranità della Siria e una flagrante interferenza nei suoi affari interni”. Disappunto su questa presa di posizione è stato espresso dal ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi, mentre la stessa opposizione siriana al regime ha giudicato il piano della Lega Araba come irrealizzabile e privo di appropriati meccanismi di attuazione. Intanto ’Arabia Saudita ha deciso di ritirare i propri osservatori dalla missione panaraba, invocando l’intervento delle Nazioni Unite, mentre fonti ufficiali russe parlano di un Paese “sull’orlo della guerra civile”. A difendere la Lega Araba è il capo della missione in Siria, il generale sudanese Mohammed Al-Dabi, il quale sostiene che "dopo l'arrivo della missione l'intensità della violenza e' cominciata a calare", anche se oggi si contano almeno cinque soldati governativi uccisi in uno scontro con dei disertori ribelli nella provincia di Homs. (M.R.)

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    Sì della Croazia all'adesione all'Unione europea

    ◊   La Croazia ha detto sì all'adesione all'Unione europea. Nel referendum di ieri, il 66,24% degli elettori - oltre 4 milioni gli aventi diritto - si è pronunciato a favore dell'adesione. A partire dal primo luglio 2013 la Croazia, secondo Paese ex jugoslavo dopo la Slovenia, diverrà il 28.mo Stato membro dell'Unione europea. In un momento di crisi economica generale, il tasso di partecipazione è stato del 43,55%, il più basso mai registrato in una qualsiasi tornata elettorale tenutasi in Croazia. Finora l'affluenza minima in un referendum sull'adesione all’Ue era stata quella registratasi in Ungheria nel 2003, quando votò il 45,6% degli aventi diritto. “La Croazia ha detto il suo grande sì all'Unione europea, dalla quale si attende molto, e sono convinto che i croati sapranno cogliere questa occasione”, ha dichiarato il presidente della Repubblica, Ivo Josipovic, dopo l'annuncio dei risultati. Soddisfazione è stata espressa anche dalle istituzioni di Bruxelles. Benedetto XVI, nel suo viaggio in Croazia, nel giugno 2011, in occasione della prima Giornata nazionale delle famiglie cattoliche croate, aveva ricordato che la nazione fin dalle origini “appartiene all’Europa e ad essa offre, in modo peculiare, il contributo di valori spirituali e morali che hanno plasmato per secoli la vita quotidiana e l’identità personale e nazionale dei suoi figli”. A vent’anni dalla proclamazione dell’indipendenza, nel 1991, la storia di questo Paese - aveva sottolineato il Papa - “può costituire un motivo di riflessione per tutti gli altri popoli del Continente” europeo, aiutandoli “a conservare e a ravvivare l’inestimabile patrimonio comune di valori umani e cristiani”: “possa così questa cara nazione, forte della sua ricca tradizione, contribuire a far sì che l’Unione europea valorizzi appieno tale ricchezza spirituale e culturale”, aveva auspicato il Pontefice. (A cura di Giada Aquilino)

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    I vescovi del Messico: "Il Papa porterà pace, fede e speranza"

    ◊   "Un avvenimento pastorale che sicuramente porterà pace, fede e speranza”: è quanto scrive la Conferenza episcopale messicana (Cem) in un messaggio pubblicato ieri, a due mesi dalla visita di Benedetto XVI nel Paese. Dal 23 al 26 marzo, infatti, il Papa si recherà in Messico per il suo 23.mo viaggio apostolico internazionale; la visita pontificia proseguirà poi a Cuba, fino al 28 marzo. “La visita del Papa in Messico – si legge nel messaggio a firma di mons. Carlos Aguiar Retes e Victor René Rodríguez Gómez, rispettivamente presidente e segretario generale della Cem – è una buona notizia e un tempo di grazia per tutta la Chiesa nel Paese”. Per questo, i presuli invitano “i fedeli cattolici a prepararsi con le proprie famiglie, i gruppi e le comunità parrocchiali, seguendo la guida per la formazione spirituale preparata dall’apposita Commissione episcopale”. I vescovi auspicano poi una massiccia partecipazione di fedeli “ai vari momenti pubblici in cui il Papa offrirà il suo messaggio, soprattutto alla Messa che si terrà ai piedi del Santuario nazionale del Cristo Re domenica 25 marzo alle ore 10.00”. La Cem, inoltre, rende noto che crescono di ora in ora le richieste di accreditamento da parte di giornalisti, volontari ed altri collaboratori che presteranno servizio durante la visita di Benedetto XVI, così come si conta sulla presenza di vescovi non solo messicani e latinoamericani, ma anche “degli Stati Uniti, del Canada e dell’Europa”, che sono attesi insieme alle delegazioni di “sacerdoti, istituti religiosi, seminari e fedeli laici di tutte le diocesi”. Intanto, è stato lanciato il sito web informativo sulla visita del Papa, www.: attualmente in costruzione, il link offre per ora un’immagine sorridente del Santo Padre, nell’atto di impartire la benedizione apostolica e con accanto la Vergine di Guadalupe ed il Cristo Re. “Preghiamo il Signore – conclude la Cem – perché questa visita di Benedetto XVI in America Latina e nei Caraibi, con la sua presenza in Messico e a Cuba, porti ai nostri Paesi la vita, la pace e la speranza di Cristo”. (I.P.)

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    Messico. Uomini armati irrompono in una cappella e sparano contro i fedeli: 7 morti e 5 feriti

    ◊   Un gruppo di uomini armati ha fatto irruzione sabato sera, in una cappella nella comunità di Corral Falso, nel comune di Atoyac de Alvarez, ed ha aperto il fuoco contro i fedeli che erano raccolti in preghiera per la novena in suffragio di un membro della comunità ucciso la settimana precedente: il bilancio della tragica violenza è di sette morti e cinque feriti, secondo un comunicato della Procura Generale della regione di Guerrero. La polizia ha riferito di aver ricevuto una chiamata telefonica nella notte di sabato 21 gennaio, che denunciava che tre uomini avevano sparato su un gruppo di fedeli. Gli agenti della Polizia di Stato sono quindi andati sul posto, dove hanno trovato i morti ed i feriti. Questi ultimi sono stati portati all'ospedale generale Atoyac de Alvarez per le cure mediche. Contemporaneamente all’aggressione di Corral Falso, si sono verificati altri 2 episodi di violenza nella zona della costa, nel comune di Benito Juárez, nella regione di San Jerónimo, e nel comune di San Marcos, nella regione della Costa Chica. Il totale è di altri 15 morti. (R.P.)

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    Pakistan. Sequestro dei due cooperanti: alcuni arresti, ma il governo ritira la licenza alla loro Ong

    ◊   La polizia di Multan ha arrestato 12 persone, sospettate di essere coinvolte nel sequestro di Giovanni Lo Porto e di Bernd Johannes, i due cooperanti dell’Ong tedesca “Welthungerhilfe” (Whf) (“Aiuto alla fame nel mondo”), rapiti il 19 gennaio a Multan, in Punjab. La notizia, pubblicata dalla stampa locale, è stata confermata all'agenzia Fides da fonti nella società civile di Multan. Fonti locali di Fides aggiungono nuovi risvolti su quello che localmente viene definito “il giallo del sequestro”: il governo pakistano ha ritirato all’Ong Whf l’autorizzazione a svolgere le proprie attività umanitarie a Multan, definendole “sospette”. La portavoce di Whf a Bonn (Germania), Simone Pott, ha detto che “è un’accusa molto dura”, affermando di non poter confermare né rilasciare commenti o dettagli. “Si tratta di una mossa ingiusta e indegna, in quanto Whf sta lavorando per la ricostruzione post alluvione e ha messo in campo progetti per quasi 300 milioni di dollari, in favore delle vittime”, nota in un colloquio con Fides Rashid Rehman Khan, responsabile dell’Ong pakistana “Human Rights Commission of Pakistan” (Hrcp) a Multan. Rehman Khan spiega: “Non vi è chiarezza sulla vicenda. L’area del sequestro è presidiata da militari e forze di scurezza. E’ incomprensibile come un’azione di tal genere possa essere passata inosservata. L’opinione pubblica sospetta il coinvolgimento dei militari pakistani e dei servizi segreti. Whf si occupa solo di aiuti umanitari, perciò definirla sospetta è irragionevole. Il suo allontanamento nuocerà a tanta povera gente”. La Hrcp, una delle principali Ong pakistane, impegnata nella difesa dei diritti umani, si appella al governo: “Chiediamo che si faccia il possibile – prosegue Khan – per il rilascio immediato dei due cooperanti; e che il governo assicuri protezione, garanzie e diritti legali a ogni cittadino. Ribadiamo che gli operatori umanitari fanno solo opera di aiuto e non sono elementi antistatali o cospiratori. Crediamo che tale vicenda leda l’immagine e la credibilità internazionale del Pakistan”. (R.P.)

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    La comunità cattolica pakistana contro la demolizione della “Gosha-e-Aman” di Lahore

    ◊   La comunità cattolica di Lahore non si rassegna alla demolizione della “Gosha-e-Aman”, il “luogo di pace” che accoglieva cristiani e musulmani, avvenuta lo scorso 10 gennaio ad opera del governo provinciale del Punjab. Un abbattimento condannato da mons. Lawrence Saldanha, arcivescovo emerito di Lahore, che parla della “Gosha-e-Aman”, come di “un’istituzione antica e degna di rispetto”, posseduta “in pace dalla Chiesa per 125 anni” e usata “a fini di carità”. L’istituto “Gosha-e-Aman”, fondato nel 1887, è circondato da due acri di terreno, dal valore di miliardi di rupie. Al suo interno si trovavano una casa di accoglienza per anziani, una scuola per ragazze, un convento e una cappella per la preghiera. Si tratta di un’“evidente violazione dei diritti delle minoranze”, ha aggiunto il prelato all'agenzia AsiaNews, ”il governo è a corto di fondi”. e per questo cerca “facili obiettivi per sanare il deficit di bilancio”. Mons. Saldanha afferma inoltre che i cattolici possono e devono continuare nella protesta e “lanciare appelli alla comunità internazionale: io stesso mi sono rivolto al Dipartimento per la libertà religiosa in Canada”. L’arcivescovo auspica che la pressione internazionale “sortisca un effetto positivo e i mafiosi in cerca di terra non riescano a spuntarla nei loro intenti criminali”. I fedeli, intanto, chiedono la restituzione della proprietà e il risarcimento dei danni; in caso contrario, avvisano, le proteste continueranno sino a che le autorità soddisferanno le loro domande. Tra di loro Zenobia Richards, 61 anni, che lavora da 24 anni per la Caritas pakistana e viveva nella “Gosha-e-Aman”. La donna ha promosso una vertenza legale, sottoscrivendo una petizione all’Alta corte e citando in causa l’Autorità per lo sviluppo cittadina, insieme ad altri funzionari. “Era un centro di pace”, racconta Zenobia, “molti ricordi mi legano a quel posto. Per questo ho voluto intentare una causa contro quanti hanno demolito l’edificio che io chiamavo casa”. Durante le operazioni di demolizione, gli operai hanno distrutto anche una statua della Madonna e diverse copie della Bibbia: “Ero solita pregare in questo posto” aggiunge Zenobia, ed è per questo che “intenterò una causa in base al reato di blasfemia”, perché hanno “dissacrato una chiesa e materiale religioso in casa mia”. “Non si tratta solo di un pezzo di terra “, aggiunge, “ma di emozioni, sentimenti, diritti delle minoranze in Pakistan”. Dice di non avere “paura di nessuno” e punta il dito contro il ministero per le Minoranze del Punjab: “combatterò per i miei diritti”, conclude, confermando di aver depositato oggi il ricorso in tribunale. Intanto emerge che uno dei funzionari di polizia presenti durante l’abbattimento dell’edificio era il responsabile della sicurezza a Gojra, nell’agosto 2009, quando una folla di estremisti attaccò la minoranza cristiana locale, causando sette morti, arsi vivi, e incendiando numerose case e proprietà. (M.R.)

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    Pakistan: i vescovi auspicano la creazione di una Commissione per gli 8 milioni di non musulmani

    ◊   Le minoranze religiose in Pakistan ammontano a circa 8 milioni di abitanti su una popolazione di oltre 172 milioni. Queste le nuove cifre non ufficiali diffuse dal governo di Islamabad (l’ultimo censimento ufficiale risale infatti al 1998). La minoranza più numerosa è quella indù, con circa 4,2 milioni di fedeli, seguita dai cristiani, 3,9 milioni. I Sikh sono circa 15mila, mentre le altre comunità religiose, molto più piccole, includono parsi, bahai e ahmadi, con circa 5.000 aderenti. “La questione delle minoranze è cruciale nella nazione”, si legge in un memorandum della Commissione “Giustizia e Pace” della Conferenza episcopale pakistana inviato al Ministero federale per i diritti umani. Nel documento, riportato dall’agenzia Fides, si esprime l’urgenza “di cambiamenti nella Costituzione, di leggi e politiche che assicurino il restauro dei diritti civili, politici, sociali, culturali ed economici per le minoranze”. La Commissione chiede, inoltre, l’istituzione di un’apposita “Commissione per i diritti umani e le minoranze”, con i poteri di un Tribunale, e di invitare nel Paese l’Osservatore speciale Onu per la tolleranza religiosa. I vescovi pakistani rilevano, infatti, la presenza di discriminazioni e pregiudizi verso le minoranze, soprattutto nel sistema di istruzione. “Il Pakistan “, si afferma, “è un Paese democratico, ma la sua struttura legale somiglia a uno Stato teocratico” in cui “la Costituzione non riconosce esplicitamente le minoranze etniche e religiose, sebbene si riferisca alle minoranze in diversi passi”. La Commissione dei vescovi denuncia anche il diffuso fenomeno del “land grabbing” (accaparramento delle terre) sulle proprietà delle minoranze religiose (terreni, luoghi di culto, edifici) come accaduto di recente al complesso della Caritas a Lahore. (M.R.)

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    Ginevra: incontro delle Chiese europee sulle sfide politiche ed economiche

    ◊   “Nuove sfide per la testimonianza delle Chiese in Europa”. Di questo i rappresentanti di tutte le Chiese cristiane presenti in Europa parleranno a Ginevra dal 26 al 28 gennaio all’incontro del Comitato Congiunto della Conferenza delle Chiese Europee (Kek) e del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (Ccee). L’incontro – si legge in un comunicato diffuso oggi – si svolge all’indomani della conclusione della Settimana mondiale di preghiera per l’unità dei cristiani e sarà ospitato dal metropolita Emmanuel di Francia, presidente della Conferenza delle Chiese Europee (Kek). Il Comitato, istituito nel 1972, è l’istanza più elevata del dialogo fra la Kek ed il Ccee. Si riunisce di solito annualmente e comprende, oltre ai segretari generali dei due organismi, sette membri della Kek e sette membri nominati dal Ccee. All’incontro si parlerà delle sfide demografiche, politiche ed economiche poste alle Chiese e alla Società, con il contributo di Giancarlo Blangiardo, docente di demografia all’università Milano-Bicocca e di Alister McGrath, docente di Teologia presso il King’s College di Londra. Sono previsti anche momenti di scambio di esperienze pastorali e locali, rispetto all’attuale situazione in continuo mutamento. L’ordine del giorno prevede inoltre un confronto sui seguenti temi: la presenza degli zingari (Rom, Sinti, Gitani); il dialogo con i musulmani in Europa e l’attuale situazione politica ed economica europea Quest’anno, i membri delegati della Kek incontreranno per la prima volta la nuova Presidenza Ccee ed i membri del Comitato congiunto nominati nell’ottobre 2011 nell’Assemblea plenaria del Ccee. Ad accompagnare il presidente del Ccee cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest, ci saranno il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e mons. Józef Michalik, arcivescovo di Przemyśl entrambi neo vice-presidenti del Ccee. A fianco invece del presidente della Kek Metropolita Emmanuel di Francia (Patriarcato Ecumenico) ci saranno il vescovo Christopher Hill (Chiesa d’Inghilterra) e Cordelia Kopsch della Ekd (Germania). Nel corso dell’incontro, i partecipanti incontreranno anche i segretari generali e i rappresentanti del Consiglio Mondiale delle Chiese, della Federazione Mondiale Luterana (Lwf), della Comunione Mondiale delle Chiese Riformate (Wcrc) e dell’Act Alliance così come i rappresentanti delle chiese locali della regione di Ginevra. Nella serata di venerdì 27 gennaio, i partecipanti saranno ricevuti dall’arcivescovo Silvano Tomasi, nunzio apostolico e Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite e le altre Organizzazioni Internazionali a Ginevra. La Conferenza delle Chiese Europee (Kek) è una comunione di 120 Chiese ortodosse, protestanti, anglicane e vetero-cattoliche di tutti i Paesi europei. Al Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (Ccee) appartengono invece quali membri le attuali 33 Conferenze episcopali presenti in Europa. (R.P.)

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    Repubblica Dominicana: il cardinale Lopez Rodriguez chiede una nazione più fraterna e giusta

    ◊   L'arcivescovo di Santo Domingo, il cardinale Nicolas de Jesus Lopez Rodriguez, ha chiesto al popolo dominicano di unire gli sforzi e le volontà per superare la situazione di violenza e di degrado morale che riguarda tutti i livelli della società. Il cardinale ha ricordato che la Repubblica Dominicana ha molte difficoltà, tra cui la violenza, la disgregazione della famiglia, l'irresponsabilità sociale e l'abbandono dei diseredati. Durante la Messa celebrata presso la cattedrale, in occasione dei festeggiamenti della Vergine di Altagracia, patrona della nazione, il cardinale Lopez Rodriguez ha chiesto alla Madre di Dio di continuare a intercedere per il popolo dominicano. Ha detto tra l’altro: "al Paese non è mai mancata la protezione della Vergine di Altagracia e questo viene provato dalla fede e dalla venerazione che i dominicani dimostrano tutto l’anno, e soprattutto per la festa del 21 gennaio". Il cardinale ha fatto poi fatto riferimento al messaggio della Conferenza episcopale dominicana (Ced), dove si chiede di diventare una nazione fraterna e giusta per tutti. Ha ribadito che i grandi mali della nazione sono nati principalmente a causa della perdita dei valori morali in una parte della popolazione: "C'è una crisi economica globale, ma non dobbiamo dimenticare che la più grande crisi che ci colpisce è morale e umana". In questo contesto ha sottolineato che l'amore e la venerazione che si radica nel cuore del popolo Dominicano per la Vergine di Altagracia, fa sì che "non ci manchi la protezione della Madre di Dio". La festa della Vergine di Altagracia viene celebrata in quasi tutto il territorio nazionale, in modo particolare ad Higüey, Santiago e Santo Domingo. Nella capitale, dove è stata celebrata sabato 21 scorso, più di mille fedeli hanno sfidato una pioggia torrenziale per concludere la processione della Madonna. Benché ci siano più ipotesi sull'origine della venerazione alla Vergine de La Altagracia (datate 1502, 1650 e 1691), molte testimonianze storiche della devozione alla Vergine come protettrice della Repubblica Dominicana risalgono al secolo XVI. (R.P.)

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    Indonesia: istituita la Giornata per il dialogo interreligioso a Semarang

    ◊   Il dialogo fra religioni “è una sfida e un’opportunità per creare pace e armonia in Indonesia”: è quanto afferma mons. Johannes Pujasumarta, arcivescovo della diocesi di Semarang e segretario generale della Conferenza episcopale dell’Indonesia, illustrando all'agenzia Fides l’iniziativa vissuta nella sua diocesi: una speciale Giornata del dialogo interreligioso, celebrata ieri, nella domenica che cade durante la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. L’arcivescovo ha annunciato l’istituzione della Giornata in una Lettera pastorale pubblicata all'inizio del 2012 dal titolo “La Chiesa, realtà che è significativa attraverso il dialogo ecumenico e interreligioso”, che è stata meditata nelle parrocchie e nelle associazioni durante la Settimana. Lo scopo della “Domenica del Dialogo”, che ha visto celebrazioni e incontri congiunti fra fedeli di fedi differenti (cristiani, musulmani, buddisti, animisti) è di annunciare agli altri, spiega la Lettera, che “il Regno di Dio è vicino”, ed è un annuncio di “giustizia, pace e armonia”, che sono state “a volte presenti a volte assenti nella storia indonesiana”. Il dialogo, spiega l’arcivescovo, è “una vera sfida, che dovrebbe attirare di più l’attenzione delle persone di buona volontà”, per diffondere armonia e pace nella società. Per raggiungere questo obiettivo, l'arcidiocesi sta avviando progetti per realizzare “una pratica comune di dialogo, in modo da dare un chiaro orientamento della diocesi”, ha detto padre Aloysius Budi Purnomo, il segretario esecutivo della Commissione per il dialogo interreligioso dell'arcidiocesi di Semarang. Nel realizzare questa iniziativa, l'arcivescovo di Semarang ha accolto una proposta del cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo Interreligioso, che ha chiesto alla Chiesa indonesiana di dedicare al dialogo interreligioso una domenica nel calendario liturgico annuale. L'arcivescovo di Semarang ha iniziato questa pratica nella sua diocesi, e questo potrebbe essere un buon esempio da seguire da parte di altre diocesi indonesiane e in altri Paesi del mondo. (R.P.)

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    Chiesa del Gabon: la Coppa d'Africa di calcio sia occasione d'incontro fra culture e religioni

    ◊   “Siamo chiamati a fare dello sport un’occasione di incontro e di dialogo, al di là di ogni barriera di lingua, razza, cultura e religione. Lo sport può apportare un valido contributo alla pacifica convivenza tra i popoli e cooperare all’affermarsi nel mondo della nuova civiltà dell’amore”. E’ quanto si legge nell’esortazione della Chiesa cattolica del Gabon diffusa in occasione della 28.ma edizione della Coppa d’Africa delle Nazioni (Can) 2012 iniziata sabato scorso nella Guinea Equatoriale e che si concluderà il 12 febbraio nel Gabon. Il messaggio sottolinea che “lo sport riveste oggi grande importanza, poiché può favorire tra i giovani l’affermazione di importanti valori come la lealtà, la perseveranza, l’amicizia, la condivisione, la solidarietà, la fraternità” e che il grande appuntamento della Coppa d’Africa delle Nazioni invita ad un serio cammino di riflessione e conversione, poiché è importante “promuovere i numerosi aspetti positivi dello sport, ma occorre anche rendersi conto delle situazioni illecite alle quali esso può condurre”. Per tale motivo, prosegue l’esortazione “tutti gli sforzi sono necessari per proteggere il corpo umano da ogni sfruttamento e idolatria”. Ricordando poi che la kermesse sportiva è un’occasione di incontro fra popoli e culture diverse, la Chiesa gabonese invita ad abbandonare le “paure verso l’altro che si manifestano nel razzismo, nel tribalismo, nella xenofobia e in altre forme di esclusione”, paure che tra l’altro fomentano violenze e minacciano la pacifica convivenza. L’esortazione aggiunge che la Coppa d’Africa delle Nazioni offre nuovi spazi di socializzazione, “luoghi privilegiati attraverso i quali è possibile trasmettere una reale capacità di comprensione e accettazione della diversità”, “un’occasione per scoprire, accettare e sviluppare un modo d’essere e ragionare che favoriscano una civiltà dell’amore”. (T.C.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 23

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli.