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Sommario del 12/01/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa agli amministratori di Roma e Lazio: servono accoglienza, solidarietà e legalità per guardare con fiducia al futuro
  • Famiglie e lotta alla povertà: gli impegni di Polverini, Zingaretti e Alemanno nell'udienza dal Papa
  • Altre udienze e nomine
  • Mons. Baldisseri: fervono in Brasile i preparativi per la Gmg di Rio de Janeiro
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Giornalista francese ucciso in Siria: il ricordo di "Reporter senza Frontiere"
  • Nigeria: altri quattro omicidi fra i cristiani, Boko Haram fa leva su povertà e ignoranza
  • Nuovi segnali di democratizzazione in Myanmar: concessa amnistia a 651 detenuti politici
  • Italia. No della Consulta al referendum sulla legge elettorale. Il commento di Enzo Balboni
  • Documento dei vescovi della Comece: una comunità europea di solidarietà e responsabilità
  • Viaggio dei vescovi Usa-Ue in Terra Santa. Mons. Fontana: l'unico futuro sono pace e giustizia
  • Due anni fa il terribile sisma ad Haiti. Mons. Kebreau: il Paese non riesce a risorgere
  • Le cooperative crescono nonostante la crisi. Da queste aziende sì alle liberalizzazioni
  • Il vescovo di Pistoia a Dakar per aiutare le famiglie dei senegalesi uccisi a Firenze
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Norvegia: il Consiglio delle "Religioni per la pace" chiede una nuova leadership nei conflitti
  • Belgio: presentato dai vescovi un documento sugli abusi sessuali
  • Congo: i vescovi chiedono rispetto della legalità e condannano la violenza
  • Sud Sudan: l'ausiliare di Khartoum sulle nuove violenze
  • India: nel Karnataka aggrediti 20 cristiani accusati di conversioni forzate
  • Pakistan: oltre un milione di alluvionati nel Sindh in “condizioni miserabili”
  • Taiwan: gli indigeni dicono "no" ai brogli in vista delle prossime elezioni del 14 gennaio
  • Filippine: i vescovi pronti a lanciare una campagna contro la legalizzazione delle unioni gay
  • Usa. Lettera dei vescovi del Maryland: è obbligo morale aiutare chi è colpito dalla crisi
  • Gran Bretagna. “Rapporto Falconer” sul suicidio assistito: esplodono le polemiche
  • Congo: centenario dell’evangelizzazione della diocesi di Goma
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa agli amministratori di Roma e Lazio: servono accoglienza, solidarietà e legalità per guardare con fiducia al futuro

    ◊   La crisi economica, la tutela della sicurezza, l’impegno della solidarietà: sono i tre temi chiave del discorso del Papa agli amministratori locali di Roma e Lazio - Gianni Alemanno, Renata Polverini e Nicola Zingaretti - ricevuti stamani in Vaticano, nella tradizionale udienza di inizio anno. Benedetto XVI ha esortato i rappresentanti istituzionali a sostenere le famiglie e i giovani, che più di altri soffrono a causa della mancanza di lavoro. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “L’accoglienza, la solidarietà e la legalità siano valori fondamentali per guardare all’anno iniziato con maggiore serenità”: è l’esortazione che Benedetto XVI ha rivolto agli amministratori locali di Roma e Lazio. Il Papa ha innanzitutto riconosciuto le difficoltà dei cittadini alle prese con la crisi economica e finanziaria. Una crisi, ha osservato, che ha “le sue radici più profonde in una crisi etica”. Ed è per questo, è stato il suo richiamo, che deve maturare “un rinnovato umanesimo” che metta al centro la persona umana:

    “La crisi attuale, infatti, ha nelle sue radici anche l’individualismo, che oscura la dimensione relazionale dell’uomo e lo conduce a chiudersi nel proprio piccolo mondo, ad essere attento a soddisfare innanzitutto i propri bisogni e desideri, preoccupandosi poco degli altri”.

    Il Papa non ha mancato di indicare alcuni dei mali di questa mentalità individualista: la speculazione negli affitti, “l’inserimento sempre più faticoso nel mondo del lavoro per i giovani”, la solitudine degli anziani e ancora l’indifferenza verso situazioni di emarginazione e povertà. C’è bisogno, ha affermato, di riscoprire la relazione con Dio, “primo passo per dare vita a una società più umana”. Ed ha aggiunto:

    “E’ un’esigenza di carità e giustizia che nei momenti difficili coloro che hanno maggiori disponibilità si prendano cura di chi vive in condizioni disagiate”.

    Ha così rivolto il pensiero alle famiglie, che, specie quelle numerose, si trovano ancor più in difficoltà a causa della crisi. Dal Papa l’auspicio che siano sostenute "anche attraverso aiuti e agevolazioni fiscali che favoriscano la natalità" e che siano garantite “le condizioni necessarie per un vivere dignitoso”. Quindi, si è soffermato sulla condizione dei giovani che “sono i più penalizzati dalla mancanza di lavoro”:

    “Una società solidale deve sempre avere a cuore il futuro delle nuove generazioni, predisponendo adeguate politiche che garantiscano un alloggio a costi equi e che facciano tutto il possibile per assicurare un’attività lavorativa”.

    Tutto ciò, ha avvertito, “è importante per evitare il rischio che i giovani cadano vittime di organizzazioni illegali, che offrono facili guadagni e non rispettano il valore della vita umana”. Allo stesso tempo, ha soggiunto, “è necessario promuovere una cultura della legalità, aiutando i cittadini a comprendere che le leggi servono per incanalare le tante energie positive presenti nella società e così permettere la promozione del bene comune”:

    “Anche i recenti episodi di violenza nel territorio spingono a continuare nell’impegno per educare al rispetto della legalità e per tutelare la sicurezza”.

    Alle istituzioni, ha rammentato, “è affidato il compito, oltre che di essere esemplari nel rispetto delle leggi, di emanare provvedimenti giusti ed equi”. Parlando dell’impegno della Caritas diocesana, il Papa non ha poi mancato di soffermarsi sul valore della solidarietà e dell’accoglienza in particolare nei confronti di quanti a causa della povertà o per tutelare la propria incolumità “giungono nelle nostre città e bussano alle porte delle parrocchie”:

    “E’ necessario tuttavia alimentare percorsi di piena integrazione, che consentano l’inserimento nel tessuto sociale, affinché essi possano offrire a tutti la ricchezza di cui sono portatori”.

    In tal modo, ha ribadito, “ciascuno imparerà a sentire il luogo dove risiede come la ‘casa comune’ in cui abitare e della quale prendersi cura”, "nell'attento e necessario rispetto delle leggi". Il Papa ha infine ringraziato gli amministratori di Roma e Lazio per la preziosa collaborazione nell’accogliere le migliaia di pellegrini giunti nell’Urbe per la Beatificazione di Giovanni Paolo II.

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    Famiglie e lotta alla povertà: gli impegni di Polverini, Zingaretti e Alemanno nell'udienza dal Papa

    ◊   Prima del discorso del Papa, il presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, e il sindaco di Roma, Giovanni Alemanno, hanno ringraziato Benedetto XVI per l’udienza. Al centro dei loro interventi le difficoltà e i progetti messi in campo in un momento segnato dalla crisi economica del Paese. Il servizio di Debora Donnini:

    Famiglie, giovani, coesione sociale, lotta contro l’impoverimento: questi sono solo alcuni dei campi nei quali Comune di Roma, Provincia e Regione Lazio intendono impegnarsi specialmente di fronte al panorama sempre più drammatico della crisi economica. Lo hanno ricordato nell’udienza dal Papa, Polverini, Zingaretti e Alemanno. La Regione Lazio intende “rafforzare il volontariato cattolico organizzato”, afferma la Polverini che ricorda anche l’introduzione del “bonus bebè”. Rievoca quindi la visita del Papa a Rebibbia:

    "A tale proposito, con speciale compiacimento, ho l’onore di rappresentarle che quanto annunciatole lo scorso anno, in merito al procedimento amministrativo indirizzato alla realizzazione dell’Istituto a custodia attenuata per le madri detenute, è finalmente giunto alla sua fase conclusiva registrando l’unanime sostegno di tutte le forze politiche".

    “Nessuno di noi - ha poi detto il sindaco di Roma - potrà più dimenticare il nome della piccola Joy e di suo padre Zhou”, il papà e la sua bimba cinese di 9 mesi uccisi a Roma. Alemanno sottolinea: extracomunitari i cui aggressori sembrano essere altri immigrati. Mai come oggi, sostiene dunque il sindaco di Roma, la contrapposizione “non è fra cittadini italiani ed extracomunitari … ma tra persone che seguono la via dell’onestà e persone che invece hanno scelto la via dell’illegalità e della violenza”. Quindi, fra le iniziative ricordate “i buoni della speranza” e il dono portato dal Comune di Roma al Papa è proprio “una raccolta di buoni acquisto da distribuire alle famiglie più povere”. L’attenzione è comunque molto puntata anche sulla famiglia: c’è l’ipotesi di creare una “carta di Credito sociale” dedicata ad anziani e famiglie in collaborazione con la diocesi di Roma e una “Fondazione per la famiglia” per aiutare le giovani coppie ad unirsi in matrimonio:

    "Ritorna evidente la necessità di applicare subito una riforma fiscale che si ispiri al principio del 'Quoziente familiare', che a Roma vogliamo applicare cominciando dalle imposte comunali e dalle tariffe sui servizi. Lo faremo nel prossimo bilancio, che sarà un bilancio difficile, ma proprio per questo bisognoso di misure sociali attente al reddito delle famiglie. Ci auguriamo che questo nostro impegno sia uno sprone per il governo e il parlamento per fare altrettanto a livello nazionale".

    “Il suo messaggio ci spinge ad avere più coraggio”, afferma, davanti al Papa, Zingaretti che ricorda la crisi con la conseguente umiliazione degli enti locali nella capacità di offrire servizi alle persone. Necessario, dunque, coraggio per una politica che metta al centro il bene comune e la persona:

    "Desideriamo rinnovare dunque l’impegno perché si attuino forti politiche umane di integrazione e crescita, affinché anche in Italia si approvi una legge per il diritto di cittadinanza per i bambini nati in Italia da persone immigrate".

    Presto, ricorda il presidente della Provincia, ci sarà un anche un bando pubblico chiamato “della Fraternità” per aiutarele piccole realtà del territorio che hanno bisogno di sostegno.

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    Altre udienze e nomine

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto stamani in udienza un gruppo di vescovi giapponesi.

    Il Papa ha nominato Arcivescovo di Kasama (Zambia), S.E. Mons. Ignatius Chama, finora Vescovo di Mpika. Il medesimo Presule è stato nominato anche Amministratore Apostolico sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis della diocesi di Mpika.

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    Mons. Baldisseri: fervono in Brasile i preparativi per la Gmg di Rio de Janeiro

    ◊   Il Papa ha nominato ieri nuovo segretario della Congregazione per i Vescovi mons. Lorenzo Baldisseri: 71 anni, toscano, arcivescovo titolare di Diocleziana, mons. Baldisseri era finora nunzio in Brasile. Entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede, nel 1992 è stato chiamato a guidare la nunziatura ad Haiti, passando poi in Paraguay, India e Nepal per approdare nel 2002 in Brasile. Silvonei Protz ha chiesto a mons. Lorenzo Baldisseri come abbia accolto la nomina:

    R. – Con molta emozione. Il Santo Padre ha voluto affidarmi questo nuovo incarico: la responsabilità che sto assumendo è veramente vasta, immensa, mondiale!

    D. – Cosa si aspetta dalla sua nuova missione?

    R. – Mi sento di dovere portare tutto il bagaglio che ho potuto accumulare nei miei anni di servizio per la Santa Sede e di lavorare in stretta collaborazione con il prefetto della Congregazione per i vescovi, il cardinale Marc Ouellet, che io ho conosciuto nell’Assemblea generale dei vescovi nel maggio passato, ad Apareçida. Lì c’è stato il primo incontro e poi c’è stato un secondo incontro anche nel mese di giugno. Ci siamo salutati proprio ieri mattina in una conversazione telefonica! Penso che a lui potrò essere di aiuto diretto, e di potere avere, in certe occasioni, un contatto con il Santo Padre e così collaborare per la Chiesa.

    D. – Il Brasile sta vivendo l’attesa della Giornata mondiale della Gioventù e di potere un’altra volta ricevere il Santo Padre. Come lei vede in questo momento il Brasile in questa prospettiva?

    R. – Il Brasile sta vivendo un momento di gioia e si vede come aumenta l’entusiasmo per questa giornata. Io sono stato presente all’arrivo della Croce della Gmg e anche dell’icona di Maria. In pochi giorni si sono raccolti 500 mila giovani: questo per dire come è stata accolta la notizia e quindi anche questo progetto meraviglioso della Giornata mondiale della gioventù in Brasile, che sarà celebrata a Rio di Janeiro nella seconda metà di luglio 2013. Questo evento si sta preparando a livello diocesano: la Croce della Gmg passa di diocesi in diocesi. Il tempo è breve, un anno e mezzo - in altre occasioni ce n’è stato di più -, ma i brasiliani sono bravi in tutto, anche in questo. Sanno organizzarsi in breve tempo e lo fanno con molta capacità ed efficacia. Vedo che sarà una benedizione straordinaria per il Paese e anche per tutta l’America Latina, perché i giovani verranno da tutte le parti del mondo ma specialmente dall’America Latina, per ragioni geografiche. Credo che sarà un impulso formidabile per la nuova evangelizzazione, che si sta già attuando. Sappiamo che il Santo Padre ha istituito un Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione. Già quando è venuto ad Apareçida nel 2007, in occasione della assemblea generale dell’episcopato dell’America Latina, aveva lanciato l’idea di una nuova evangelizzazione e anche il documento di Apareçida ne parla, tanto che possiamo dire che siamo in tema. Sarà un momento forte per la Chiesa del Brasile. (bf)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il messaggio di Benedetto XVI nell'udienza agli amministratori di Roma e Lazio.

    In prima pagina, un editoriale di Silvia Guidi dal titolo “Permanent Error: dove si arenano le intenzioni (cattive e buone) dell'occidente”.

    Nell'informazione internazionale, in rilievo la situazione in Nigeria: dilaga il fondamentalismo, altri quattro cristiani uccisi a Potiskum.

    Hermann, lo storpio e la vita riscattata: Lucetta Scaraffia sul romanzo “Il cielo vicino” di Laura Vallieri.

    Pioniere trascurato dell'astratto: Sandro Barbagallo su una mostra e un volume dedicati a Luigi Veronesi.

    Dentro l'armadio l'orrore della Shoah: Gaetano Vallini sul film “La chiave di Sara” di Gilles Paquet-Brenner.

    Assetati di bellezza: Marta dell'Asta sulla prima esecuzione a Mosca per il “Natale del Redentore” di Lorenzo Perosi.

    Quella nomina cambiò la Sistina: Marcello Filotei sui maestri della Cappella Musicale Pontificia.

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    Oggi in Primo Piano



    Giornalista francese ucciso in Siria: il ricordo di "Reporter senza Frontiere"

    ◊   La Siria punta il dito contro bande di ''terroristi armati'' per l'attacco in cui ieri ad Homs è rimasto ucciso il giornalista francese di "France 2", Gilles Jacquier, mentre assisteva ad un raduno dei fedelissimi del presidente Bashar al Assad. Parigi invoca l’immediata apertura di un’inchiesta. Sulla stessa linea anche l’Unione europea. Per un ricordo del reporter che ha perso la vita in Siria, ascoltiamo Domenico Affinito, vicepresidente di "Reporter Senza Frontiere Italia", intervistato da Salvatore Sabatino:

    R. - Aveva vinto da noi il Premio "laria Alpi" e aveva vinto in Francia il Premio "Bayeux Calvados”, che è un premio molto importante che viene dato, appunto, ai reportages internazionali. Era un giornalista molto esperto, era un giornalista che conosceva bene le zone di guerra, sapeva muoversi; ovviamente, è successo quello che alcune volte accade nei teatri con forti tensioni sociali: si è trovato nel momento sbagliato nel posto sbagliato.

    D. – I Paesi dove sono in corso guerre, sono ancora i più pericolosi, o ci sono altri scenari che non hanno in questo momento forti momenti di tensione, ma in cui fare il reporter, fare il giornalista è ancora pericoloso?

    R. – Sono due le tipologie dei Paesi in cui un giornalista rischia la vita: quelli nei quali ci sono attivi focolai di guerra o tensioni sociali molto forti, oppure i Paesi nei quali ci sono regimi dittatoriali, o la presenza di forti interessi legati alla criminalità organizzata.

    D. – Ci sono poi Paesi che sono "paradisi", frequentati da milioni di turisti, che non sono invece "paradisi" per i reporter: voi avete presentato proprio pochi giorni fa un rapporto molto importante, da questo punto di vista …

    R. – Sì: ci sono Paesi, come le Maldive, avevamo citato anche le Seychelles, Cuba dove tutto il mondo – soprattutto il mondo occidentale – è abituato a recarsi come turista; proprio in questi Paesi spesso le persone che vanno e portano economia non sanno che dietro, invece, ci sono problematiche molto forti, come quelle legate alla libertà di informazione e alla libertà civile e alla libertà d’espressione.

    D. – Qual è la condizione del reporter, oggi?

    R. – E’ sempre più difficile riuscire a fare il giornalista a dispetto di un mondo che si è globalizzato. Abbiamo la tecnologia, da una parte, che ci supporta come aiuto. Basti pensare che, ad esempio, la notizia della morte di Giovanni Paolo I è arrivata in tutto il mondo nel giro di tre mesi, mentre per Giovanni Paolo II, per sapere della sua morte in tutto il mondo, ci sono voluti tre giorni. Il mondo è cambiato completamente, con la tecnologia. Però, dall’altra parte sono aumentate anche le censure, sono aumentati gli interessi di tanti gruppi politici – dittatori, gruppi legati ad interessi economici – a far sì che l’informazione sia in qualche modo fermata, bloccata o etero-diretta. E quindi, parallelamente, è diventato sempre più difficile spostarsi, riuscire a raggiungere i luoghi dove le cose succedono. E ricordiamo che il mestiere del giornalista necessita dell’investigazione sulla realtà dei fatti che succedono, perché non c’è giornalismo se non c’è investigazione sulla realtà: quindi, presenza in loco dei reporter.

    D. – La tecnologia ci viene incontro per la diffusione delle notizie; però, la tecnologia viene utilizzata anche in senso contrario. C’è un’applicazione, ad esempio, di un noto cellulare, in Siria, che permette proprio la censura. Voi l’avete denunciato, questo fatto?

    R. – Certo! Infatti, la tecnologia è un’arma a doppio taglio, e l’abbiamo visto in tante occasioni: l’abbiamo visto in Siria, recentemente, l’abbiamo visto anche in Egitto. L’utilizzo dei cellulari per mandare messaggi, per mandare false notizie … Ovviamente, la tecnologia non è né buona né cattiva; va utilizzata nel modo corretto e il giornalista, in un mondo completamente diverso, dove la carta sta scomparendo, dove Internet ed i nuovi media sono sempre più importanti, rimane quello che certifica quell’informazione, quindi quello che la rende credibile, quello che – in qualche modo – dà la possibilità agli utenti, ai cittadini di sapere che quello che viene raccontato è vero. Questa dovrebbe essere la funzione alta, per la società, del giornalista. (gf)

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    Nigeria: altri quattro omicidi fra i cristiani, Boko Haram fa leva su povertà e ignoranza

    ◊   Il presidente nigeriano, Goodluck Jonathan, potrebbe tornare a concedere i sussidi al consumo di carburante dopo le violente proteste della popolazione, che minaccia di ostacolare la produzione del greggio. Intanto, la violenza dilaga su più fronti, non più solo contro i cristiani, uccisi a decine nelle ultime settimane, gli ultimi quattro ieri a Potikusm, località a nordest del Paese. Silvia Koch ha chiesto alla prof.ssa Adriana Piga, docente presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell'Università di Roma La Sapienza, qual'è la base sociale del gruppo dei Boko Haram, autore di molteplici attacchi anche a danno delle stesse comunità musulmane locali:

    R. - Si tratta di un movimento di guerriglia urbana, collegata a gruppi terroristici come l’Acmi – gruppi della Somalia, e il fronte islamico ciadiano, del tutto xenofobo e di tipo iconoclasta – composto per lo più di giovani e giovanissimi, illetterati e soprattutto disoccupati. Ovviamente, essendo un movimento fondamentalista, inneggia alla possibilità di uno Stato islamico in tutta la Nigeria e si scaglia contro la legittimità del governo federale e contro tutto ciò che è occidentale, però con notevoli margini di ambiguità. Ad esempio, utilizza tantissimi strumenti della modernità, come i cellulari, come i trasporti moderni… I Boko Haram senz’altro rappresentano una forma di populismo giovanile: si oppongono alle confraternite sufi, ancora molto importanti nella Nigeria centrosettentrionale, e allo stesso tempo ai simboli della cristianità. Infatti, il cristianesimo sta espandendosi in tutto il centro-nord della Nigeria. Vi è una pletora di Chiese cristiane evangeliche, che tra l’altro conoscono una grande competitività nel loro stesso seno, e una continua scissione. Quindi, c’è una situazione assolutamente esplosiva, collegata peraltro ad una diffusissima serie di strategie di comunicazione religiosa: praticamente, uno scontro mediatico fortissimo. Ci sono anche altre spiegazioni che risiedono in una serie innumerevole di conflitti fondiari e che presentano i Boko Haram come frutto di dinamiche politiche locali.

    D. - Possiamo dire qualcosa da un punto di vista degli appoggi della comunità internazionale al governo nigeriano?

    R. - Goodluck è stato spinto molto dal Fondo monetario internazionale ad annullare le sovvenzioni al carburante. Il prezzo della benzina è bruscamente raddoppiato. Ha scatenato manifestazioni imponenti, proprio perché i nigeriani vivono al 90 per cento con due dollari al giorno, nonché un profondo malessere popolare. Si è creato un movimento che si chiama “Occupy Nigeria”, che contesta soprattutto la corruzione a livello governativo. Ed è vero che con i tagli alle sovvenzioni, il governo nigeriano avrebbe risparmiato addirittura otto miliardi di dollari, ma è anche vero che è assolutamente insostenibile ciò che è stato fatto, visto il livello di povertà sia rurale che urbana. È diffusa anche una certa paura delle stesse popolazioni – sia cristiane sia musulmane – nei confronti della polizia nazionale, perché la risposta di Jonathan Goodluck è stata una risposta di stampo militare.

    D. - Gli esponenti della comunità islamica hanno condannato da subito le violenze sui cristiani. Ci può dire qualcosa sui rapporti tra la comunità islamica e le Chiese cristiane?

    R. - I rapporti sono storicamente tesi, però nell’islam ortodosso la violenza è sempre stata condannata. La situazione è drammatica perché ormai i cristiani, in effetti, hanno iniziato l’esodo verso le regioni meridionali. Questo ultimatum, lanciato qualche giorno fa dal Boko Haram, chiedeva ai musulmani che abitano nel Sud di ritornare al nord e ai cristiani che vivono nelle città del centro-nord, di ritornare verso le regioni meridionali. Quindi, è come se si ipotizzasse nuovamente una spaccatura della Nigeria, in un immenso nord rurale e musulmano, ed un sud molto più industrializzato, e molto più istruito, come era ai tempi dell’indipendenza e subito dopo. Questo è assolutamente antistorico e assolutamente improponibile. (bi)

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    Nuovi segnali di democratizzazione in Myanmar: concessa amnistia a 651 detenuti politici

    ◊   Prosegue il processo di apertura del governo del Myanmar. Oggi è stata concessa l’amnistia a 651 detenuti politici, che lasceranno la detenzione da venerdì prossimo. Recentemente erano stati rilasciati già 347 prigionieri. Inoltre da segnalare l’accordo di cessate-il-fuoco con i ribelli dell'Unione Nazionale Karen, che per oltre 60 anni hanno combattuto per ottenere una maggiore autonomia della loro regione. Sul significato dell’intesa, Giancarlo La Vella ha intervistato Stefano Caldirola, docente di Storia contemporanea dell’Asia all’Università di Bergamo:

    R. – Si tratta di un evento storico. Basti ricordare che l’insurrezione delle aree Karen andava avanti da ben 63 anni. Si tratta, quindi, di uno dei movimenti di guerriglia più longevi in assoluto, nel mondo; e l’unico che non aveva mai sottoscritto un proprio accordo con le autorità centrali del Myanmar.

    D. – Quali sono le istanze della popolazione Karen?

    R. – Certamente, una gestione autonoma dei loro territori. Va ricordato che i Karen godevano di una vasta autonomia nei propri territori all’epoca del governo coloniale britannico che li aveva favoriti, come del resto molte altre etnie di minoranza, in funzione anti-birmana, in funzione – quindi – di un riequilibrio del nazionalismo birmano.

    D. – La popolazione Karen è a maggioranza cristiana: ci sono stati, in riferimento a questo, problemi particolari con il governo birmano?

    R. – Certamente. Il fattore religioso va a sovrapporsi al fattore etnico e linguistico. I Karen sono una delle popolazioni entrate in contatto per prime con i missionari. E’ una realtà in prevalenza cristiana, contrapposta a quella birmana, che, invece, è profondamente legata ai valori del buddismo e ad un governo che, tradizionalmente, è molto legato alle autorità religiose del buddismo.

    D. – Possiamo dire che con questo episodio continua il processo di democratizzazione del regime birmano?

    R. – Certamente. Questo rappresenta sicuramente un punto centrale e anche un segnale al mondo del nuovo corso birmano, tanto che anche Aung San Suu Kyi, la storica leader dell’opposizione, aveva ribadito la necessità di creare una Birmania unita, democratica, in grado però di risolvere i problemi etnici e di rispettare le minoranze etniche.

    D. – La nuova Birmania che va formandosi rischia, secondo lei, di entrare nell’area di controllo di qualche grande potenza?

    R. – Secondo diversi osservatori, questo nuovo corso birmano rappresenterebbe un tentativo di emanciparsi, almeno parzialmente, dalla tutela cinese. La chiusura del Myanmar negli ultimi anni e le sanzioni occidentali avevano portato il Paese, di fatto, tra le braccia di Pechino. Quindi, un tentativo di riavvicinarsi all’Occidente, in particolare agli Stati Uniti, per compensare in qualche modo la preponderanza cinese. Non va sottovalutato, inoltre, il ruolo dell’India. La posizione di Delhi era sempre stata “attendista” nel giudizio su Yangon, dando fiducia ad un regime che era invece sempre più isolato tra le nazioni democratiche. Ebbene: se veramente la Birmania proseguirà nel suo percorso di democratizzazione, la linea indiana sarà risultata vincente, anche rispetto alla linea dei Paesi occidentali. Non bisogna dimenticare, poi, che oggi la Cina è il principale investitore in Myanmar, ma l’India rappresenta il principale mercato di esportazione per le merci birmane. (gf)

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    Italia. No della Consulta al referendum sulla legge elettorale. Il commento di Enzo Balboni

    ◊   In Italia, la Corte Costituzionale ha detto “no” al referendum sulla legge elettorale. Sono stati infatti bocciati i due quesiti presentati dal Comitato promotore, sia quello che chiedeva l'abrogazione totale della legge Calderoli sia quello che ne chiedeva l'abrogazione parziale. Le motivazioni della Consulta verranno rese note nei prossimi giorni. I due quesiti, giudicati dalla Corte inammissibili, erano stati sottoscritti da oltre un milione di cittadini. Ascoltiamo in proposito il commento del costituzionalista Enzo Balboni, al microfono di Paolo Ondarza:

    R. – La Corte Costituzionale ha agito non facendosi influenzare dal fatto che un milione e 200 mila cittadini elettori avessero sottoscritto i referendum, ma tenendo conto degli argomenti giuridico-legali che stavano alla base del suo giudizio, e – immagino – tenendo molto in conto i suoi precedenti. Già è molto controverso il fatto che si possano fare referendum in materia elettorale; tuttavia, ne sono stati fatti e sono stati dichiarati ammissibili negli anni passati. Un argomento fondamentale che immagino sarà stato decisivo è quello secondo il quale se fosse stata dichiarata ammissibile, ci sarebbe stato un tempo in cui si sarebbe rimasti, anche soltanto per 24 ore, senza una legge elettorale e questa è considerata una cosa inammissibile perché gli organi costituzionali devono avere sempre una regola in base alla quale sono costituiti. Quindi, la sentenza non è scandalosa. Adesso il parlamento faccia la sua parte.

    D. – Ecco: lei diceva: “La Corte non si è fatta influenzare …” …

    R. - … non si è fatta influenzare dal milione e 200 mila firme …

    D. – Certo. Resta il fatto che stiamo parlando di un numero importante …

    R. – E’ un numero importante, che deve valere per il sistema politico, per il parlamento. I partiti, che poi sono attenti a queste cose, devono sapere che se adesso non fanno una riforma profonda della legge elettorale vigente, avranno una grandissima punizione. (gf)

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    Documento dei vescovi della Comece: una comunità europea di solidarietà e responsabilità

    ◊   L’economia sociale di mercato è più che un modello economico, in essa risiedono i principi di libertà, giustizia e solidarietà. Così in sintesi il cardinale Reihnard Marx, arcivescovo di Monaco e Freising, vicepresidente della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece), che oggi ha introdotto a Bruxelles la presentazione del documento “Una comunità europea di solidarietà e responsabilità”. “Radicato nei principi filosofici e giuridici dell’antichità greco-romana e della teologia biblica” – ha detto il porporato – tale modello “stabilisce un legame tra la libertà di mercato, il principio della giustizia e il comandamento della carità”. Quattro i capisaldi del modello: l’azione libera e gratuita che ha un grande significato per la coesione sociale. Una competitività sana “per poter eliminare tasse e imposte e quindi ridurre il debito e finanziare le spese correnti”, priva di distorsioni di mercato. “La politica sociale capace di garantire protezione sociale e giustizia partecipativa a tutti coloro che sono nel bisogno”. “Una gestione più sostenibile delle risorse naturali e della lotta contro le conseguenze del cambiamento climatico”. Secondo i vescovi, dunque, “una società non può funzionare solo con diritti da far valere, ma ha bisogno di uno spazio di generosità”. Sul documento presentato oggi Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di mons. Gianni Ambrosio vescovo di Piacenza–Bobbio, nominato dal Consiglio permanente Cei delegato presso la Commissione degli episcopati della Comunità europea:

    R. – E’ un documento pensato da molto tempo, ma che assume un’attualità davvero notevole nella situazione di difficoltà e di crisi nella quale ci troviamo. L’espressione “economia sociale di mercato” deriva soprattutto dalla tradizione tedesca, poi la stessa Unione Europea l’ha fatta propria. Si tratta allora di camminare su questa strada.

    D. – Ma in questo momento, in cui l’Europa è fortemente minacciata dalla crisi economica, come vescovi cosa volete dire con questo documento? Che operatività avrà?

    R. – Il documento vuole essere di aiuto per l’Unione Europea nel suo complesso, anche per le Commissioni europee, perché da un lato si affermi – come già si sta attuando – la libertà del mercato e dall’altro che questa libertà non sia distorta. Non una libertà di fare, prescindendo dall’etica, prescindendo da quei valori di solidarietà che sono davvero fondamentali. Nello stesso tempo, con questa evoluzione della comunità europea verso l’economia sociale di mercato, si tende anche a far risaltare tutto lo spazio – per così dire – di generosità, di dono che deve essere presente nel sistema economico e sociale europeo, accogliendo così anche quell’invito che proviene dalla Caritas in veritate, dove il Papa inserisce la dimensione, la forza e la spinta del dono, della gratuità proprio perché il sistema economico e sociale sia un sistema equilibrato.

    D. – Questo documento, in particolar modo percorre anche una grande sfida: rimette in primo piano quello che è l’origine, il fondamento, le radici dell’’Unione Europea, perché guarda alla radice greco-romana, ma anche della teologia biblica…

    R. – Indubbiamente, perché questo documento è intriso di tutta quella cultura che è nostro patrimonio, della nostra Europa in senso ampio. Quindi, c’è tutta la tradizione biblica con il senso della solidarietà, del guardare verso l’Alto e riconoscere che non siamo noi i creatori del mondo. C’è tutto il pensiero filosofico della tradizione greca e della tradizione romana; il senso della giustizia che è stato messo ben in luce dalla tradizione romana. Tutti questi aspetti che compongono l’umanità della nostra Europa sono ben presenti nel documento e devono essere fatti valere, perché altrimenti l’Unione Europea decisa solamente in riferimento o all’euro o a qualche decisione di tipo finanziario non ha uno sbocco e certamente non ha un futuro. Il recupero, invece, di questa tradizione umanistica in senso pieno può essere davvero di grande aiuto per il futuro dell’Europa, ma io dico anche per il futuro del mondo intero.

    D. – Sulla politica sociale si incoraggia un ripensamento della ripartizione di competenze tra Unione Europea e Stati membri. Nell’ottica di aiutare chi ha bisogno e quindi delle politiche fiscali, auspicate la responsabilità primaria degli Stati singoli.

    R. – Questo è fondamentale. Il principio di sussidiarietà è decisivo nella costruzione dell’unità europea. Laddove una questione riguarda più da vicino una popolazione, questa può essere presa e deve essere presa responsabilmente dal singolo Stato. Poi, naturalmente, si tratta di concertare tutte le varie decisioni: ecco, allora, il compito delle Commissioni, dell’Unione Europea nel suo insieme. Ciò che va sempre rispettato è il principio di sussidiarietà e le tradizioni dei singoli popoli: non ci può essere una Europa a senso unico. Dico spesso che non ci può essere un’Europa senza il Mediterraneo, perché non sarebbe Europa, ma d’altra parte non può essere considerata solo dal punto di vista del Mediterraneo, perché c’è anche tutto il Nord Europa. Dunque, questo respirare a due polmoni, come diceva Giovanni Paolo II, credo che quanto mai importante per il futuro europeo. Speriamo che questo documento possa contribuire a far fronte alle difficoltà economiche e finanziarie, ma soprattutto di valori in cui ci troviamo oggi. E’ un auspicio, nell’anno nuovo, perché si possa riprendere con slancio il cammino verso l’unione europea. (mg)

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    Viaggio dei vescovi Usa-Ue in Terra Santa. Mons. Fontana: l'unico futuro sono pace e giustizia

    ◊   Sono in partenza dalla Terra Santa gli otto vescovi europei e americani che da sabato scorso hanno visitato alcune delle zone di Israele e della Palestina per portare aiuto alle comunità cattoliche annuali. Il loro annuale pellegrinaggio si è concluso oggi con la pubblicazione del “Messaggio dei cristiani di Terra Santa”. Alessandro De Carolis ne ha parlato con il delegato italiano del gruppo di presuli, mons. Riccardo Fontana, arcivescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro:

    R. – In sostanza, abbiamo detto che noi puntiamo sulla pace, sulla giustizia per tutti, con un’espressione abbastanza felice che è uscita fuori nel comunicato finale: "Per essere pro-israeliani, bisogna essere pro-palestinesi" perché la giustizia è per tutti.

    D. – Alla fine di questo lungo pellegrinaggio, un suo bilancio, una sua impressione …

    R. – Direi due punti. Non possiamo più guardare alla situazione dicendo: “Pregheremo e basta per voi”, perché questo offende Dio. Bisogna metter mano alla solidarietà concreta. La mia diocesi ha offerto una casa per i poveri. Se ogni diocesi prende l’impegno di realizzare una casa per i poveri, il problema è risolto. Per l’Europa, per quanto in crisi, mettere insieme quel po' di denaro necessario per aggiustare un appartamento non è certo impossibile. C’è un progetto del Patriarcato latino: basta che ci mettiamo mano tutti insieme e si può fare. Secondo, puntare sulla formazione delle persone. Fa pena vedere un mare di ragazzi con il mitra in mano, dall’una e dall’altra parte. Basta. Non bisogna che i ragazzi di 18 anni si formino all’ideologia secondo cui l’unica salvezza è sparare. Bisogna ritornare agli strumenti della pace. Innanzitutto, il dialogo: quello è l’unico strumento che abbiamo ma è potentissimo.

    D. – Ha visto, in questi giorni, espressioni concrete di dialogo tra israeliani e palestinesi?

    R. – Una cosa concreta che mi piace dire è che ho visto finalmente passi concreti di unità all’interno della Chiesa. Lei sa che la Chiesa in Terra Santa ha molti riti diversi. Dopo il Sinodo e il richiamo forte del Papa – l’abbiamo visto proprio in questi giorni – c’è una fortissima sinergia del Patriarca latino. Ognuno, con le proprie differenze, le proprie identità, però si riesce molto di più a parlare con una voce sola. E questo è già un bel servizio che può rendere la Chiesa.

    D. – Quindi, possiamo dire che la "parola d’ordine" con cui lasciate la Terra Santa sia questa: unità e azione concreta...

    R. – Sì, unità e solidarietà. Abbiamo incontrato le autorità dell’una e dell’altra parte e abbiamo detto, con molto rispetto ma con molta chiarezza, che la Chiesa non vuole tacere. Non si tratta solo di povertà materiale, ma della consapevolezza che c’è una larghissima parte di israeliani che vuole la pace, come pure una larghissima parte di palestinesi che vuole la pace. Questa – come dicono nel mondo arabo – è la madre di tutti i problemi. Se lo si risolve, si compie un atto di civiltà per tutti. E io credo che questa carità la Chiesa la debba al resto del mondo. (gf)

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    Due anni fa il terribile sisma ad Haiti. Mons. Kebreau: il Paese non riesce a risorgere

    ◊   Uno dei dati più drammatici è che, a distanza di due anni dal sisma, siano ancora 600 mila le persone costrette sotto una tenda. È questa una delle “eredità” del terribile terremoto che esattamente due anni fa devastò Haiti. Un cartello di movimenti della società civile sfila oggi nella capitale Port-au-Prince per rendere omaggio alle oltre 200mila vittime, ma anche per denunciare gravissimi ritardi e “miopìe” della macchina della solidarietà. La Chiesa locale è in prima linea con decine di progetti di ricostruzione, ma le difficoltà sono tuttora ingenti, come sottolinea mons. Louis Kébreau, presidente della Conferenza episcopale haitiana, intervistato da Romilda Ferrauto:

    R. – Le climat est plutôt morne du a la situation de misère, de souffrance …
    L’atmosfera è piuttosto triste a causa della situazione di miseria, di sofferenza che questo popolo vive. E’ vero, si fanno alcune cose, ma piccole e per l’insieme della popolazione, manca un vero coordinamento. Io inorridisco quando vedo - dopo due anni! - i bambini crescere in questa atmosfera di limitatezza, di cupezza, di oppressione. Il Paese non riesce a uscire da questa situazione di miseria e di sofferenza. Siamo in un periodo di incertezza, e dopo parole, discorsi, promesse non si vede ancora nulla...

    D. – Manca forse la volontà politica?

    R. – Avec le nouveau gouvernement que nous avons, et je reconnais la très, très …
    Con il nostro nuovo governo, io riconosco la grande buona volontà del nostro capo di Stato che veramente vuole fare qualcosa. Ma questo non è sufficiente. E’ necessario aiutare le singole persone, perché la disoccupazione porta le persone sulla strada della violenza e della criminalità. Sfortunatamente, l’ambiente che circonda il presidente sembra che non abbia gli occhiali giusti per saper ben leggere e comprendere questa realtà. E’ un po’ miope, chiuso su se stesso. Sono necessarie invece aperture per andare molto più lontano e scoprire quello che oggi è necessario fare, e farlo d’urgenza.

    D. – Come lei si spiega questa impotenza, questa miopia?

    R. – Il y a l’impression qu’il y a des gens qui n’auraient pas voulu voir ce pays …
    L’impressione è che ci sia qualcuno che non vuole veder progredire questo Paese. Siamo incatenati a causa di pressioni che vengono dall’esterno. Mi chiedo: ma Haiti è per caso in vendita all’asta? E’ un Paese che non è autonomo, è un Paese che vive dipendendo da altri e quindi in questo momento non è in grado di gestire la sua propria storia e nemmeno di prendere in mano il suo destino! (gf)

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    Le cooperative crescono nonostante la crisi. Da queste aziende sì alle liberalizzazioni

    ◊   Le cooperative sono favorevoli a un processo di liberalizzazioni, però ”lo sforzo non deve essere concentrato sui pesci piccoli”. La posizione è stata espressa da Luigi Marino, presidente dell’Alleanza delle Cooperative, in una conferenza stampa a Roma. In Italia attualmente in queste aziende lavorano un milione e 300 mila persone. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Il 2012 è l’anno internazionale delle cooperative, aziende che hanno continuato a crescere nonostante la crisi, nel mondo e in Europa. E proprio allo sviluppo pensano le imprese di questo tipo che sono in Italia, che negli ultimi dieci anni hanno visto aumentare l’occupazione del 73%. Crescita economica che passa anche attraverso le liberalizzazioni, dice Luigi Marino, presidente di Confcooperative e portavoce dell’Alleanza:

    “Quelle che incidono sulle famiglie, sulle imprese e sulle persone, ovvero le reti di energia, la benzina, i servizi municipali, quelli che un tempo venivano dati ed erogati dalle municipalizzate e che oggi vengono erogate da società che rispondono alla Borsa e non agli utenti”.

    Le coop poi chiedono che non si intervenga ulteriormente sul loro regime fiscale. Giuliano Poletti, presidente di Legacoop:

    “C’è una ricchezza collettiva che va a disposizione delle future generazioni. Bene, noi pensiamo che non promuovere una scelta di questo genere sia una scelta miope”.

    Sì poi a una riforma del mercato del lavoro. Rosario Altieri, presidente di Agci:

    “Il mercato del lavoro va riformato, le garanzie vanno mantenute, però va reso anche più efficiente e più competitivo l’intero sistema”.

    Ed ancora certezze sui crediti. A volte la pubblica amministrazione ci mette anche tre anni per pagare.


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    Il vescovo di Pistoia a Dakar per aiutare le famiglie dei senegalesi uccisi a Firenze

    ◊   Una visita nel segno della solidarietà, ricambiata da un calore umano che colpisce e commuove. Con queste parole il vescovo di Pistoia, mons. Mansueto Bianchi, ricorda il suo recente incontro avuto a Dakar con le famiglie dei due senegalesi uccisi, il 13 dicembre scorso a Firenze, dall’estremista di destra Gianluca Casseri, originario di Pistoia. Il presule ha offerto aiuti economici alle famiglie delle vittime e il sostegno allo studio per i figli delle due vittime. Il presule è stato raggiunto telefonicamente a Dakar da Amedeo Lomonaco:

    R. – L’omicida e poi suicida era pistoiese. L’incontro con le famiglie è stato caratterizzato da altissima commozione e tensione umana. Purtroppo, abbiamo dovuto testimoniare un senso di sgomento e di vergogna della nostra città, di fronte a un gesto di questo genere. Il significato dell’incontro è stato questo: riscattare la dignità di una città, offesa dal comportamento di un suo cittadino, e dall’altro anche dare un gesto di speranza, di coraggio a queste famiglie, che hanno certamente visto reciso il loro filo di speranza, soprattutto per i figli.

    D. – Davanti ai volti di queste famiglie, come lei ha scritto, ci si accorge di quanto siano vuoti e controproducenti certi modi di pensare, di parlare, che mettono gli immigrati sotto il segno del sospetto, della diffidenza...

    R. – Quando si incontrano dei volti, delle vite, ci si rende conto della devastazione che certi comportamenti creano. Ma ci si rende anche conto che questi comportamenti non nascono dal niente, bensì da un sostrato fatto anche di ideologie, di orientamenti politici, culturali… In certi momenti, questo sostrato è fatto anche di parole in libera uscita, che magari sono molto “tranchant” nel giudizio. E questi vengono recepiti e vissuti in una maniera assolutamente devastante, sia da parte di quelle psicologie deboli o esaltate – che poi arrivano a compiere gesti idi questa portata – sia da parte delle persone a cui sono rivolti: penso agli immigrati, soprattutto alle persone di colore presenti in mezzo a noi. In Italia, sentirsi trattare con quei toni, con quelle valutazioni, certamente non incoraggia verso percorsi di dignità.

    D. – Questo incontro vuole anche essere una sorta di gemellaggio tra due comunità...

    R. – Questo, per così dire, mi pare un fiore che nasce nel deserto di certi gesti di speranza. Abbiamo incontrato queste famiglie che sono venute incontro a noi con una grande dignità, con un dolore molto composto. Commuovevano, tutti si erano messi il vestito buono... Abbiamo cercato di fare un gesto concreto, immediato di solidarietà, di aiuto nei loro confronti e c’è stata l’assunzione di un impegno nei confronti dei figli: ad esempio, una bimba di 13 anni che il padre non aveva mai veduto perché era sempre stato in Italia. Avrebbe dovuto vederlo proprio in questi mesi, al suo ritosno in Senegal. Invece non ha fatto in tempo. Poi, un altro bambino di cinque anni… Un gesto per vedere se ipotizzare e concretizzare un’adozione distanza per aiutare a questi bambini nel percorso scolastico. Il clima della nostra presenza qui è stato abbastanza triste, ma anche aperto alla speranza. Soprattutto ci ha fatto tanto, tanto crescere nel senso della responsabilità. (bi)

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Norvegia: il Consiglio delle "Religioni per la pace" chiede una nuova leadership nei conflitti

    ◊   Ai rappresentanti delle religioni è richiesto oggi, nelle situazioni di conflitto e di disordine sociale, di assumere “nuovi modi di leadership” che sappiano offrire forme di “resistenza non violenta verso la tirannia, l’oppressione e la violenza e dare supporto ai processi di giustizia economica e sociale”. Del “ruolo delle comunità religiose e dei loro leader nei processi avviati con la primavere araba” in Nord Africa e nel Medio Oriente, hanno parlato in questi giorni in Norvegia una ventina di leader religiosi provenienti da quella regione e dall’Europa su invito del Consiglio europeo “Leader religiosi - Religioni per la pace”. Alla consultazione si è parlato dei processi politici in atto in Tunisia, Egitto, Siria e Marocco e in un comunicato finale diffuso oggi si afferma: “Il rapporto tra le forze secolari e la religione nella formazione delle società dopo le rivolte è una parte importante del processo sebbene ancora da definire. Le religioni continueranno tuttavia a rappresentare elementi importanti per il futuro di queste nazioni. Partiti a base religiosa stanno guadagnando un notevole sostegno nei processi elettorali, e il rapporto tra religione e politica sta diventando una questione sempre più cruciale, anche perché ci sono differenze significative tra i partiti religiosi nel modo di trattare la democrazia e i diritti umani”. “È quindi importante – prosegue il comunicato - che i leader religiosi contribuiscano a dare un quadro veritiero della realtà. L'ignoranza e l'inganno sono impedimenti gravi allo sviluppo sostenibile di una società pluralista, inclusiva e giusta”. “Il mandato dei leader religiosi in situazioni di conflitto e di sconvolgimenti sociali – incalzano i leader di “Religioni per la pace” - deve essere rivisto e aggiustato, dando priorità al servizio delle persone in spirito di umiltà; rinunciando ad ogni tipo di potere che facilmente corrompe la loro autorità spirituale e morale”. I leader religiosi sono piuttosto “chiamati a ispirare e guidare i fedeli attraverso la predicazione e l'insegnamento dei principi etici fondamentali come l'amore a Dio e al prossimo come te stesso. Essi devono trascendere i confini della propria fede e promuovere azioni nonviolente, dare voce e difendere le esigenze dei diritti delle comunità religiose diverse dalla loro e, quindi, affermare il destino comune di tutti gli esseri umani”. Ai rappresentanti religiosi dell’Europa si chiede invece di fare tutto il possibile per sostenere la relazione tra i cristiani e i musulmani, rimuovendo con al conoscenza ogni forma di “pregiudizio”. Nel comunicato finale è stato rivolto un forte appello anche per “l’immediata cessazione dell’oppressione e della violenza” in Siria. “Il governo di Damasco - si legge nel comunicato - non può vincere sulla popolazione attraverso l’uso della violenza e le persone non possono sfidare le autorità con la violenza”. (R.P.)

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    Belgio: presentato dai vescovi un documento sugli abusi sessuali

    ◊   “Imparare la lezione dalle storie dolorose ascoltate dalle vittime, rompere il silenzio e non lasciare in pace coloro che hanno abusato”. Ma soprattutto “gettare le basi per il trattamento in futuro e la prevenzione di abusi sessuali”. Questi gli intenti che hanno portato la Conferenza episcopale del Belgio a pubblicare un opuscolo dal titolo "Una sofferenza nascosta - per un approccio globale degli abusi sessuali nella Chiesa" che è stato presentato oggi alla stampa dai vescovi referenti per gli abusi sessuali, mons. Guy Harpigny e mons. Johan Bonny. Il documento - di 52 pagine, pubblicato dalle Edizioni Licap - “intende essere la risposta dei vescovi del Belgio e dei Superiori dei Religiosi del Belgio ai casi di abusi sessuali commessi da parte del clero”. Il testo è stato infatti pubblicato sulla scia dei lavori della Commissione parlamentare "Abusi sessuali", che ha portato tra l'altro alla creazione di tribunali arbitrali incaricati a risarcire le vittime di abusi sessuali anche nei casi prescritti dalla legge. Nella loro presentazione - riferisce l'agenzia Sir - i vescovi e i superiori religiosi ribadiscono ancora una volta quanto siano stati "profondamente colpiti dalla ondata di storie toccanti di abuso sessuale all'interno della Chiesa cattolica". Ed affermano: "I vescovi e i superiori religiosi hanno all’inizio taciuto”. “Questo silenzio non era assolutamente indifferenza. Non aveva niente a che fare con il desiderio di occultare i fatti. Rivelava piuttosto il nostro stupore, la nostra confusione in stato di shock, chiedendoci molto seriamente come tutto cià era potuto accadere". I vescovi Harpigny e Bonny, per conto della Conferenza episcopale belga, hanno confessato come “il male inflitto alle vittime dal mancato riconoscimento dei fatti ha riempito di confusione i responsabili Chiesa", aggiungendo che gli abusi contraddicono “l'etica e il messaggio che la Chiesa avrebbe dovuto diffondere”. "Non possiamo riparare al passato, ma vogliamo assumerci una responsabilità morale e collaborare al riconoscimento e alla guarigione della sofferenza delle vittime. Prima di tutto, chiediamo perdono per la sofferenza che non abbiamo potuto impedire e ci impegniamo ad affrontare questa problematica in maniera diversa in futuro”. Nel libretto i leader della Chiesa cattolica delineano cinque linee di forza di un nuovo piano d'azione: volontà di stare dalla parte delle vittime; rompere il silenzio; cooperare per il riconoscimento e la riparazione; non lasciare in pace coloro che abusano e assicurare la prevenzione in futuro. Un documento forte e toccante che contiene anche i mezzi messi in atto per raggiungere questi obiettivi e i punti di contatto ai quali le vittime possono riferirsi. (R.P.)

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    Congo: i vescovi chiedono rispetto della legalità e condannano la violenza

    ◊   Rispetto della legalità e della legittimità, ferma condanna delle violenze nel Paese. Questi, in sintesi, i temi all’ordine del giorno che la Conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo (Cenco) ha affrontato durante i lavori dell’assemblea plenaria straordinaria che si è conclusa ieri presso il centro Caritas di Kinshasa. I vescovi hanno ribadito ancora una volta la necessità di intervenire al più presto per fermare l’ondata di violenza che potrebbe innescarsi a seguito dei controversi risultati elettorali dello scorso 28 novembre. I presuli congolesi auspicano anche un coinvolgimento dei cristiani nelle iniziative di pace. I lavori assembleari sono stati preceduti da una messa d’invocazione allo Spirito Santo presieduta da mons. Nicolas Djomo, vescovo di Thsumbe e presidente della Conferenza episcopale. Durante i lavori, l’episcopato ha annunciato azioni pacifiche per verificare il risultato delle urne. Al riguardo un documento è stato distribuito sabato scorso in tutte le parrocchie del Paese. Anche l’arcivescovo di Kinshasa, cardinale Monsengwo Laurent Pasinya, ha invitato la popolazione ad azioni pacifiche per indurre a un cambiamento di attitudine del potere politico. Dopo l’esito controverso delle elezioni presidenziali, l’episcopato congolese ha espresso preoccupazione per il clima di tensione e ha chiesto alle forze politiche più dialogo e chiarezza per il bene del Paese; la revisione dei dati elettorali, affidata a una commissione internazionale di verifica, accettata dalle due parti, con una scadenza ben precisa; una vigilanza accurata nei riguardi del conteggio dei voti delle elezioni legislative; un’eventuale condivisione del potere tra il presidente Kabila ed esponenti del partito di Tshsekedi. «Entro tre settimane — sottolinea l’episcopato — i fedeli dovranno essere preparati ad azioni non violente, azioni che, si spera dovrebbero portare a un cambiamento di atteggiamento del potere politico». Dal canto loro anche sacerdoti e religiosi della capitale Kinshasa hanno invitato la popolazione congolese a organizzare azioni non violente di disobbedienza civile per il ripristino della legittimità e della legalità del potere nel Paese dove il clima è abbastanza surriscaldato. Nella regione del Katanga, infatti, è tornato lo spettro di conflitti armati dopo l’evasione del capo ribelle Gédéon Kyungu Mutanga. Mons. Fulgence Muteba Mugalu, vescovo di Kilwa-Kasenga, nel nord della provincia meridionale del Katanga, ha spiegato che «diversi villaggi dell’Haut Katanga si sono svuotati dei loro abitanti, fuggiti in seguito a violenti scontri verificatisi a Mubidi, tra miliziani agli ordini di Mutanga e soldati dell’esercito regolare: in totale si tratta di oltre diecimila civili sfollati. La regione — ha aggiunto il vescovo di Kilwa-Kasenga — sta sprofondando nella violenza, nella psicosi e nella paura. (T.C.)

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    Sud Sudan: l'ausiliare di Khartoum sulle nuove violenze

    ◊   “Il governo del Sud Sudan deve risolvere le cause dei conflitti”. È l’appello lanciato da mons. Daniel Adwork Kur, vescovo ausiliare di Khartoum, raccolto ieri da “Aiuto alla chiesa che soffre” (Acs). “Mons. Adwok racconta che in molte zone la situazione è estremamente tesa e che numerose contese riguardanti il bestiame o le proprietà terriere sono presto sfociate in faide tribali”. Il presule rivolge un appello al governo di Juba, guidato dal presidente Kiir Mayardit, affinché provveda ad “approfondire le cause degli scontri e tentare la via della riconciliazione”. “Mons. Adwok – continua Acs - è convinto che la Chiesa cattolica possa fornire un contributo determinante nel favorire un clima di riconciliazione”, non solo per l’alta percentuale di cattolici (fino al 75% della popolazione), “ma soprattutto per l’essenziale aiuto umanitario prestato durante la guerra civile”. Anche Benedetto XVI, in occasione dell’incontro con i membri del Corpo diplomatico di lunedì scorso, aveva invitato tutti “a unire gli sforzi affinché per i popoli del Sudan e del Sud Sudan si apra finalmente un periodo di pace, di libertà e di sviluppo”. (T.C.)

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    India: nel Karnataka aggrediti 20 cristiani accusati di conversioni forzate

    ◊   Ancora violenze contro i cristiani in India, riferisce l’agenzia Asianews. Radicali indù armati di bastoni e spranghe di ferro hanno aggredito 20 pentecostali in una casa privata nell’area di Anekal, vicino Bangalore (Karnataka). I nazionalisti dell’Hindutva accusavano le vittime di proselitismo e conversioni forzate. Nell’attacco, sono rimasti gravemente feriti il pastore Srirangam Shanthakumar, della Agape Church e due fedeli, un uomo ed una donna. Dopo l’aggressione, i cristiani hanno chiamato la Polizia locale di Sarjapur. Le forze dell’ordine hanno registrato il caso e accompagnato i feriti all’ospedale statale, ma nessuno è stato ancora indagato. “Un’aggressione così grave e ingiustificata contro innocenti cristiani è una seria violazione dei diritti umani e della libertà religiosa”, ha commentato Sajan K George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), sottolineando che “il 2012 è iniziato all’insegna del terrore” per la minoranza cristiana del Karnataka. Dal 2008 il Karnataka è guidato dal Bjp (Bharatiya Janata Party), partito ultranazionalista che sostiene gruppi e movimenti estremisti indù appartenenti all’ampio ‘ombrello’ del Sangh Parivar. Tra questi, il Rss (Rashtriya Swayamsevak Sangh), il Vhp (Vishwa Hindu Parishad) e il Bajrang Dal, spesso responsabili delle violenze contro dalit e cristiani. “Gli ultranazionalisti indù – accusa Sajan George – superano ormai ogni norma della decenza. Picchiano e insultano anche le donne, una gravissima violazione della dignità e dei diritti femminili. Ma quello che è più vergognoso, è che questi aggressori si sentono incoraggiati a scatenare la loro brutalità anche entro i confini di una casa privata. In India è forse un crimine praticare la propria religione? È forse un crimine pregare nella sicurezza della propria casa, al punto da attirare abusi fisici e verbali da parte di estremisti che godono della protezione del Bjp?”. Dall’inizio del 2012, questo di Anekal è il secondo attacco di radicali indù contro cristiani. Il 1° gennaio scorso, circa 20 attivisti del Bajrang Dal hanno interrotto un servizio di preghiera della Blessing Youth Mission Church, nel distretto di Balgakot. Hanno picchiato il pastore Siddu Seemanth Gunike e accusato di praticare conversioni forzate di indù. Dopo l’aggressione, gli attivisti hanno portato il rev. Gunike e alcuni fedeli alla stazione di polizia. Anche la Commissione del Karnataka per le minoranze sembra prendere sottogamba le aggressioni contro la comunità cristiana. In merito a due casi di violenza anticristiana accaduti la sera di Natale e denunciati dalle vittime, un membro della Commissione ha detto: “Se davvero conoscessero gli insegnamenti di Gesù, i cristiani non dovrebbero lamentarsi”, forse riferendosi alla frase di Cristo “porgi l’altra guancia”. “Oltre alle violenze fisiche – conclude il presidente del Gcic – i cristiani devono subire l’ulteriore umiliazione della Commissione statale per le minoranze. Questo non sembra essere di buon auspicio per il 2012. La sicurezza dei cristiani in Karnataka è sempre più precaria”. (R.G.)

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    Pakistan: oltre un milione di alluvionati nel Sindh in “condizioni miserabili”

    ◊   Sono oltre 1,3 milioni gli alluvionati che, nella provincia del Sindh (Pakistan meridionale) versano in “condizioni miserabili”, nell’indifferenza delle istituzioni: è l’allarme lanciato nel nuovo Rapporto di un network della società civile pakistana, chiamato “People's Accountability Commission on Floods” (Pacf), composto da numerose Ong. Nel Rapporto, inviato all’agenzia Fides, il network rimarca l’attuale, disastrosa situazione delle vittime delle alluvioni dell’agosto 2011, ancora presenti in otto distretti del Sindh, “esposti ad afflizioni naturali e sociali”. La società civile riferisce che sono cessate le attività di soccorso per gli alluvionati, ma il 17% delle aree colpite dalle inondazioni sono ancora sommerse e la gente non ha acqua potabile, terre coltivabili, cibo e riparo permanente. Secondo le Ong, si dovrebbero immediatamente organizzare rifugi e fornire loro i mezzi di sopravvivenza economica e sociale, dato che centinai di migliaia di persone vivono in campi aperti o temporanei, in condizioni insopportabili nella stagione fredda. Pacf critica la improvvisa chiusura dei campi di soccorso statali, avvenuta nel dicembre scorso, e chiede di permettere almeno il sostegno del Pam (Programma Alimentare Mondiale dell’Onu) finchè le misure di reinsediamento non abbiano avuto pieno effetto. Secondo Pacf, sebbene l’alluvione del 20111 sia “l'ottava di una serie”, nessuna pianificazione è stata presa per la prevenzione di simili disastri naturali. Oltre 1,3 milioni di case sono state danneggiate o distrutte nei 23 distretti colpiti dalle inondazioni, ma rifugi di emergenza sono stati forniti solo al 27% degli alluvionati – conclude il Rapporto – anche se le autorità provinciali parlano di “piani di ripresa rapida”. (R.P.)

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    Taiwan: gli indigeni dicono "no" ai brogli in vista delle prossime elezioni del 14 gennaio

    ◊   Il popolo indigeno di Taiwan dice ‘no’ ai brogli e alla corruzione elettorale, rivendicando - riferisce l'agenzia Fides - un voto trasparente. E’ lo spirito della Dichiarazione congiunta firmata da mons. John B. Tseng, ausiliare della diocesi di Hwalien e presidente della Commissione per la pastorale degli Indigeni della Conferenza episcopale regionale di Taiwan, e dal Rev. Liu A Chun, direttore della Commissione per la Missione degli Indigeni della Chiesa Presbiterale di Taiwan, in vista delle elezioni presidenziali, che si terranno il 14 gennaio. “La profonda cultura della popolazione indigena di Taiwan - si legge nel testo ripreso dall'agenzia Fides - è caratterizzata dal suo ricco e prezioso spirito di condivisione…. Con l’arrivo delle diverse ondate migratorie ed il cambiamento sociale ... anche il cuore puro e buono degli indigeni è stato gravemente inquinato”. In particolare la Dichiarazione denuncia la compravendita del voto, effettuata da alcuni candidati e da alcuni Indigeni, in aperto contrasto con la coscienza e i principi morali degli Indigeni stessi, “esercitando sfacciatamente il broglio e la corruzione elettorale”. Da qui la ferma condanna: “Per la dignità degli indigeni, dobbiamo eliminare completamente la compravendita dei voti e il broglio; per essere i migliori indigeni del mondo, rifiutiamoci di votare chi esercita il broglio; per essere indigeni amati da Dio, la Chiesa forma un Gruppo di membri di diverse tribù contro il broglio elettorale, al fine di promuovere elezioni trasparenti e pulite”. Il documento esorta infine a custodire “pulito il cuore e il futuro degli indigeni”, a costruire “insieme una tribù caratterizzata dalla dignità, dalla carità, dalla speranza, dalla fiducia, desiderosa di giustizia e gradita a Dio”. (R.G.)

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    Filippine: i vescovi pronti a lanciare una campagna contro la legalizzazione delle unioni gay

    ◊   I vescovi delle Filippine si riuniranno a breve per discutere le iniziative da intraprendere contro i tentativi di legalizzare i matrimoni tra persone omosessuali nel Paese. Lo ha annunciato ieri a Capiz il presidente della Conferenza episcopale (Cbcp), mons. José Palma, arcivescovo di Cebu. Alla luce di quanto affermato lunedì dal Santo Padre Benedetto XVI nel discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede - ha spiegato il presule ripreso dall’agenzia Ucan - i vescovi filippini si sentono chiamati ad esprimere una posizione chiara e netta contro qualsiasi iniziativa volta a legalizzare i matrimoni omosessuali nelle Filippine. Nel suo discorso – lo ricordiamo - il Santo Padre ha sottolineato, in riferimento alle unioni gay, che “le politiche lesive della famiglia minacciano la dignità umana e il futuro stesso dell’umanità”. Pressioni in questo senso cominciano a farsi sentire anche nelle Filippine, dove i movimenti per i diritti degli omosessuali stanno prendendo piede. Nella città di Baguio e in alcune località turistiche nel nord delle Filippine alcuni pastori cristiani omosessuali hanno già cominciato a celebrare pseudo-matrimoni per coppie dello stesso sesso. Non a caso la Chiesa filippina si è schierata contro un recente progetto di legge anti-discriminazione presentato al Congresso di Manila, in quanto, a suo giudizio, rischia di aprire la strada ai matrimoni omosessuali. (L.Z.)

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    Usa. Lettera dei vescovi del Maryland: è obbligo morale aiutare chi è colpito dalla crisi

    ◊   In tempi di crisi economica come quello attuale che vedono crescere la povertà, i cattolici sono chiamati ad aiutare chi è in difficoltà non solo con opere di carità personale, ma anche premendo sulle autorità pubbliche per ottenere interventi a sostegno delle categorie più vulnerabili. È quanto scrivono i vescovi del Maryland in una lettera pastorale pubblicata in questi giorni in occasione dell’apertura oggi della sessione del parlamento statale. Intitolata “Quando mai ti abbiamo visto affamato?” (When did we see you hungry? – Mt 25,37), la lettera parte da un’analisi dell’attuale situazione socio–economica del Maryland, “uno degli Stati più ricchi del Paese, in cui tuttavia i cittadini faticano come mai prima a trovare lavoro, una casa e di che sfamare le proprie famiglie”. Di fronte alla realtà della povertà dilagante, i cristiani non possono volgere lo sguardo altrove, delegando tutto allo Stato, perché in ognuno di questi poveri, come si legge nel Vangelo, devono vedere Cristo. “Amare quelli che tra noi faticano ad arrivare alla fine del mese, i poveri, i disoccupati o i senza casa – sottolineano i vescovi del Maryland - non è semplicemente un moto di bontà dei nostri cuori. È piuttosto un obbligo e un requisito della vera giustizia cristiana che dobbiamo a chi è in difficoltà”. Alla luce del principio di sussidiarietà della dottrina sociale della Chiesa, i cattolici sono quindi chiamati ad contribuire in prima persona con il proprio tempo e le proprie risorse. Allo stesso tempo anche le autorità pubbliche devono intervenire dove le iniziative dei singoli e delle organizzazioni caritative non arrivano. “Per questo – afferma la lettera – come cattolici e cittadini del Maryland siamo chiamati a sollecitare le autorità locali, statali e federali affinché prendano decisioni, approvino leggi e stanziamenti adeguati con senso di carità e giustizia e nel rispetto della nostra comune dignità umana”. Nonostante le attuali difficoltà di bilancio, scrivono in conclusione i presuli del Maryland, gli amministratori e i legislatori hanno “l’obbligo morale” di intervenire con programmi di assistenza sociale e finanziamenti congrui a sostegno dei più vulnerabili, a cominciare dalle famiglie con bambini, le persone disabili, gli anziani e i veterani di guerra. (L.Z.)

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    Gran Bretagna. “Rapporto Falconer” sul suicidio assistito: esplodono le polemiche

    ◊   Polemiche in Gran Bretagna sul “Rapporto Falconer”, che chiede di consentire il suicidio assistito ai malati terminali con un’aspettativa di vita inferiore a un anno. Critiche sono giunte in particolare dall’arcivescovo di Southwark, mons. Peter Smith, che si occupa di temi bioetici ed è alla guida del Dipartimento per la responsabilità cristiana e la cittadinanza della Conferenza dei vescovi d’Inghilterra e Galles. Secondo la commissione presieduta da lord Falconer, i medici dovrebbero poter prescrivere dosi letali di medicine ai malati terminali, purché questi abbiano espresso chiaramente il desiderio di morire, siano in possesso delle facoltà mentali, assumano autonomamente tali farmaci. “Molte persone hanno giustamente messo in dubbio la credibilità della commissione” - scrive l’arcivescovo in un comunicato - ricordando che questa “è stata promossa dall’associazione ‘Dignità nella morte’, ex Società per l’eutanasia volontaria”. Uno degli sponsor dell’associazione è il finanziatore della commissione e al suo interno “tre quarti dei membri, compreso lo stesso lord Falconer, sostengono la legalizzazione del suicidio assistito”. “Non sarà certo stata una sorpresa – prosegue – che abbiano raccomandato un regime per la legalizzazione del suicidio assistito, addirittura meno severo di quello proposto da lord Joffe sei anni fa, che venne sconfitto con decisione in parlamento”. Mons. Smith dice di essere stato “colpito e incoraggiato da un’ampia gamma di risposte critiche” al rapporto, soprattutto provenienti da persone con handicap e da esperti medici e legali di ogni credo religioso. “Hanno ragione a sottolineare che legalizzare significa normalizzare; la nostra società – evidenzia il vescovo – non può cambiare una legge così importante, che esiste per proteggere i vulnerabili”. Secondo il presule “dobbiamo fare di più per curare bene coloro che stanno morendo e sostenere maggiormente e meglio gli hospice e le cure palliative. Legalizzare il suicidio assistito non è la risposta”. Se i suggerimenti della commissione Falconer trovassero applicazione oltre mille persone ogni anno verrebbero aiutate a morire, secondo il quotidiano britannico “Daily Telegraph”, il quale in un’inchiesta riconosce che la legalizzazione rischierebbe di mettere sotto pressione persone vulnerabili perché acconsentano a togliersi la vita. (F.S.)

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    Congo: centenario dell’evangelizzazione della diocesi di Goma

    ◊   Il perdono e la riconciliazione, la vita consacrata, il dialogo interreligioso, lo sviluppo sostenibile: su questi temi, si è aperto a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo, il Congresso per il centenario dell’evangelizzazione della diocesi. I lavori si concluderanno domani con una tavola rotonda. La serie di conferenze è stata inaugurata da padre Bernard Ugeux, missionario d’Africa e professore di Teologia all’Università di Tolosa: nel suo intervento, il religioso ha ribadito che “la riconciliazione ristabilisce l’unione dei cuori e la via dell’unità, supera le crisi ed apre allo sviluppo a tutti i livelli”. Ricordando che la giustizia senza riconciliazione “non è degna” del suo nome e che una carità irrispettosa della giustizia “è sbagliata”, padre Ugeux ha sottolineato le dimensioni della riconciliazione: “verità, pentimento, giustizia, perdono, guarigione”. “L’esperienza della vita coniugale e comunitaria – ha continuato il padre missionario – dimostra che nella riconciliazione esistono responsabilità da entrambi i lati. Essa esige il risanamento della vittima e, allo stesso tempo, la responsabilità di chi ha recato l’offesa”. Anche perché, ha affermato padre Ugeux, “il primo beneficiario del perdono è colui che lo dona. Ed è per questo che non bisogna aspettare che il malfattore si penta, bensì bisogna andargli incontro”. “Solo il perdono – ha concluso il missionario d’Africa – permette di evitare la vendetta. E Dio si aspetta che noi siamo uomini di giustizia”. La diocesi di Goma, eretta il 10 novembre 1959, è attualmente guidata dal vescovo Théophile Kaboy Ruboneka, nominato dal Papa il 18 marzo 2010. Secondo gli ultimi dati, su una popolazione di circa 2milioni di abitanti, la percentuale di cattolici è vicina al 39%. (I.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 12

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