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Sommario del 11/01/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all'udienza generale: nell'Eucaristia viviamo la preghiera di Gesù affinché il male non vinca
  • Mons. Baldisseri è il nuovo segretario della Congregazione per i Vescovi
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • L'Iran punta il dito contro Israele per l'assassinio di uno scienziato a Teheran
  • Vertice di Berlino. Merkel: disposti ad aumentare il fondo salva-Stati. Monti: Italia non più fonte d'infezione
  • Usa. Mitt Romney batte tutti alle primarie in New Hampshire
  • Dieci anni fa l'apertura del carcere Usa a Guantanamo. Amnesty: eclissi del diritto
  • Conclusa la visita ufficiale in Cina del presidente della Corea del Sud
  • Il nunzio a Gerusalemme: progressi nel dialogo tra Chiesa e Stato israeliano
  • Convegno alla Lateranense “Quale famiglia per quale società“. Don Milani: recuperare il tempo per la famiglia
  • Norvegia: incontro del Consiglio europeo di “Religioni per la pace” sulla Primavera araba
  • Il cappellano dei cattolici cinesi a Roma: dopo la morte di Zou Zheng e Joy chiediamo giustizia e sicurezza
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Pakistan: a Lahore il governo abbatte un istituto cattolico ed espropria i terreni
  • Filippine: il neo governatore musulmano di Mindanao è impegnato nel dialogo interreligioso
  • Ancora episodi di violenza in Kivu ma è libero fratel Evariste rapito a dicembre
  • Congo: nota dei missionari sui risultati delle elezioni legislative
  • Usa: i cattolici cubani residenti in Florida pellegrini a Cuba per incontrare il Papa
  • Brasile: il Consiglio indigenista missionario denuncia le violenze contro i bambini
  • India. Primo studio sulla malnutrizione: ne soffre il 42% dei bambini dei distretti più poveri
  • Messaggio dei vescovi italiani per Giornata mondiale della vita consacrata
  • Mons. Celli ricorda il compianto cardinale Foley "uomo di fede, evangelizzatore e comunicatore"
  • Terra Santa: i Salesiani e le figlie di Maria Ausiliatrice smentiscono i presunti contrasti
  • Senegal: conclusa la 48.ma Assemblea generale della Caritas
  • Regno Unito. I vescovi: “I migranti sono un arricchimento per le parrocchie”
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all'udienza generale: nell'Eucaristia viviamo la preghiera di Gesù affinché il male non vinca

    ◊   Prosegue la riflessione di Benedetto XVI sulla preghiera di Gesù, presentata nei Vangeli. All’Udienza generale di oggi, in Aula Paolo VI, il Papa ha infatti meditato sul momento della preghiera di Cristo all'Ultima Cena, ricordando che, partecipando all'Eucaristia, anche noi viviamo la preghiera che Gesù ha fatto e continuamente fa per ciascuno, affinché il male non vinca sul bene. Il servizio di Giada Aquilino:

    Nella solennità dell’Ultima Cena, “Gesù anticipa la sua morte e la sua risurrezione”. Lo ha ricordato Benedetto XVI all’udienza generale di oggi, spiegando che in quel “convito in cui Gesù si congeda dagli amici” sente “l’imminenza della sua morte”: “Gesù sa - ha aggiunto il Papa - che la vita sta per essergli tolta attraverso il supplizio della croce, la pena capitale degli uomini non liberi”. Il nucleo di quella “cena di addio” di Gesù ai suoi, nei giorni in prossimità della Pasqua ebraica, sta nei gesti - "del capofamiglia, che accoglie alla sua mensa i familiari" - dello spezzare il pane, del distribuirlo ai discepoli e del condividere il calice del vino con le parole che li accompagnano e nel contesto di preghiera in cui si collocano: “è l’istituzione dell’Eucaristia, è la grande preghiera di Gesù e della Chiesa”:

    "Gesù guarda alla sua Passione, Morte e Risurrezione, essendone pienamente consapevole. Egli vuole vivere questa Cena con i suoi discepoli, con un carattere del tutto speciale e diverso dagli altri conviti; è la sua Cena, nella quale dona Qualcosa di totalmente nuovo: Se stesso. In questo modo, Gesù celebra la sua Pasqua, anticipa la sua Croce e la sua Risurrezione".

    Nella preghiera, Gesù mostra poi “la sua identità e la determinazione a compiere fino in fondo la sua missione di amore totale, di offerta in obbedienza alla volontà del Padre”.

    "Egli offre in anticipo la vita che gli sarà tolta e in questo modo trasforma la sua morte violenta in un atto libero di donazione di sé per gli altri e agli altri. La violenza subita si trasforma in un sacrificio attivo, libero e redentivo".

    E nei gesti e nelle parole di quella notte, “vediamo chiaramente - ha detto il Papa - che il rapporto intimo e costante con il Padre è il luogo in cui Egli realizza il gesto di lasciare ai suoi, e a ciascuno di noi, il Sacramento dell'amore, il «Sacramentum caritatis»”. Quindi una riflessione proprio sulla profondità della preghiera di Cristo per i discepoli, che “sorregge la loro debolezza”, “la loro fatica di comprendere che la via di Dio passa attraverso il Mistero pasquale di morte e risurrezione, anticipato nell’offerta del pane e del vino”. D’altra parte, l’Eucaristia “è cibo dei pellegrini che diventa forza anche per chi è stanco, sfinito e disorientato”. Benedetto XVI si è quindi soffermato sull’attenzione di Gesù per ciascuno dei suoi, con una preghiera che “è particolarmente per Pietro, perché, una volta convertito, confermi i fratelli nella fede”.

    "Cari fratelli e sorelle, partecipando all'Eucaristia, viviamo in modo straordinario la preghiera che Gesù ha fatto e continuamente fa per ciascuno affinché il male, che tutti incontriamo nella vita, non abbia a vincere e agisca in noi la forza trasformante della morte e risurrezione di Cristo. Nell’Eucaristia la Chiesa risponde al comando di Gesù: «Fate questo in memoria di me»".

    Le tradizioni neotestamentarie dell’istituzione dell’Eucaristia, ricordate dal Pontefice con Paolo e Luca, Marco e Matteo, riportano - dal greco - un significato di “eucaristia/ringraziamento” e “eulogia/benedizione”, che rimandano direttamente alla berakha ebraica, grande preghiera della tradizione d’Israele. “La berakha - ha spiegato il Santo Padre - è anzitutto ringraziamento e lode che sale a Dio per il dono ricevuto: nell’Ultima Cena di Gesù, si tratta del pane – lavorato dal frumento che Dio fa germogliare e crescere dalla terra – e del vino prodotto dal frutto maturato sulle viti. Questa preghiera di lode e ringraziamento, che si innalza verso Dio, ritorna come benedizione, che scende da Dio sul dono e lo arricchisce. Il ringraziare, lodare Dio diventa così benedizione, e l’offerta donata a Dio ritorna all’uomo benedetta dall’Onnipotente”.

    L’esortazione del Papa è stata quella di chiedere “al Signore che, dopo esserci debitamente preparati, anche con il Sacramento della Penitenza, la nostra partecipazione alla sua Eucaristia, indispensabile per la vita cristiana, sia sempre il punto più alto di tutta la nostra preghiera. Domandiamo che, uniti profondamente nella sua stessa offerta al Padre, possiamo anche noi trasformare le nostre croci in sacrificio, libero e responsabile, di amore a Dio e ai fratelli”.

    "Fin dall’inizio, la Chiesa ha compreso le parole di consacrazione come parte della preghiera fatta insieme a Gesù; come parte centrale della lode colma di gratitudine, attraverso la quale il frutto della terra e del lavoro dell’uomo ci viene nuovamente donato da Dio come corpo e sangue di Gesù, come auto-donazione di Dio stesso nell'amore accogliente del Figlio (cfr Gesù di Nazaret, II, pag. 146). Partecipando all’Eucaristia, nutrendoci della Carne e del Sangue del Figlio di Dio, noi uniamo la nostra preghiera a quella dell’Agnello pasquale nella sua notte suprema, perché la nostra vita non vada perduta, nonostante la nostra debolezza e le nostre infedeltà, ma venga trasformata".

    Al termine dell’udienza, il Papa ha salutato tra gli altri un gruppo di 200 circensi e alcuni di loro - clown, acrobati e giocolieri - si sono esibiti ai piedi del palco offendo un colorato e spiritoso spettacolo al Pontefice. I saluti finali di Benedetto XVI sono andati anche ai dipendenti del Bioparco di Roma che, nel centenario di fondazione dell’istituzione, hanno portato in Aula Paolo VI un piccolo e raro coccodrillo cubano di 40 centimetri, che - dopo un periodo di affidamento e cure presso l’ex Zoo della capitale italiana - sarà restituito alla sua terra d’origine, in coincidenza con il viaggio apostolico di Benedetto XVI a Cuba, il prossimo marzo.

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    Mons. Baldisseri è il nuovo segretario della Congregazione per i Vescovi

    ◊   Il Papa ha nominato segretario della Congregazione per i Vescovi mons. Lorenzo Baldisseri, arcivescovo titolare di Diocleziana, finora nunzio apostolico in Brasile. Mons. Baldisseri è nato a Barga, arcidiocesi di Pisa, il 29 settembre 1940, è stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1963 e consacrato vescovo il 7 marzo 1992.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il cibo che dà forza a chi è stanco e disorientato: all'udienza generale il Papa parla della preghiera con cui Gesù istituisce l'Eucaristia.

    In prima pagina, un editoriale di Cristian Martini Grimaldi dal titolo "Il Vangelo al tempo di Facebook”.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, l'incontro, a Berlino, fra Monti e Merkel.

    La Bibbia che fece l'Inghilterra: in cultura, l'intervento del premier britannico, David Cameron, in occasione del quattrocentesimo anniversario della traduzione della Bibbia in inglese attribuita a re Giacomo.

    Messaggeri di bellezza: l'abate di Monserrat, Josep M. Soler, sull'attività e gli obiettivi della prestigiosa scuola dell'Escoliana.

    Nuovo Testamento in cuffia a tutte le latitudini: Silvia Guidi sul progetto internazionale "Fides ex auditu" dell'organizzazione Faith Comes by Hearing.

    Sei milioni di fiammiferi per un monastero: intervista di Raffaele Alessandrini all'ambasciatore d'Italia in Bulgaria, Stefano Benazzo, che spiega i motivi di una mostra di modellismo architettonico inaugurata a Sofia e dedicata al tema della tolleranza.

    La santa che fece l'Italia: Giulia Galeotti su una mostra, al Vittoriano, dedicata alla figura di Francesca Cabrini.

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    Oggi in Primo Piano



    L'Iran punta il dito contro Israele per l'assassinio di uno scienziato a Teheran

    ◊   Le autorità iraniane hanno reagito duramente alla morte, in un attentato dinamitardo a Teheran, di un altro dei propri scienziati, il quarto dal 2010, avvertendo che questo omicidio non fermerà il "progresso" del programma nucleare e puntando il dito contro Israele. Ad accrescere la tensione anche l’annuncio da parte dell’Unione Europea di un possibile inasprimento delle sanzioni petrolifere, mentre da Pechino è arrivato l’invito a riprendere i negoziati sul nucleare in ambito Aiea. Ad Eric Salerno, esperto di questioni mediorientali, Stefano Leszczynski ha chiesto se questo attentato possa essere ricondotto a una guerra di intelligence contro l’Iran:

    R. - È una guerra vera. I morti al momento si contano solo dalla parte iraniana, ma sicuramente le tensioni si comprendono e la situazione tenderà a peggiorare in questo clima.

    D. - Tensioni che tenderanno a peggiorare, anche per la decisione dell’Unione Europea di inasprire le sanzioni nei confronti dell’Iran?

    R. - Direi in parte senz’altro: l’Iran ha già grandi difficoltà con il proprio petrolio; l’embargo ha un effetto molto importante su quello che succede, non soltanto a livello economico ma anche a livello sociale, in Iran.

    D. - Nonstante l’Iran sia nell’occhio del ciclone a livello internazionale, ha un’attività diplomatica molto intensa. Il presidente Ahmadinejad è a Cuba, mentre il ministro degli Esteri Larijani si trova in Turchia. Non sembra un isolamento particolarmente rigido…

    R. - Credo che, nell’insieme, buona parte della comunità internazionale ritenga che il ruolo iraniano nello scacchiere in cui si trova, cioè in questo a cavallo tra l’Oriente e l’Occidente, debba essere un ruolo importante.

    D. - Le relazioni con la Turchia sono molto particolari e forse c’è un interesse comune sull’attuale crisi siriana ...

    R. - Io credo che quello sia uno degli elementi importanti. Un altro elemento importante è la questione curda e sicuramente c’è un discorso di egemonia nella regione. La Turchia si è spostata, si è in qualche modo allontanata dall’Europa, è tornata verso Oriente, e sta puntando a rafforzare la propria posizione in quell’area specifica, che interessa anche all’Iran. (bi)

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    Vertice di Berlino. Merkel: disposti ad aumentare il fondo salva-Stati. Monti: Italia non più fonte d'infezione

    ◊   In Italia sono state adottate "misure importanti per risanare il bilancio e accelerare le riforme": lo ha detto il cancelliere tedesco Angela Merkel dopo l’incontro, oggi a Berlino, col presidente del Consiglio italiano Mario Monti. La Merkel, per la quale tra Italia e Germania esiste un’ottima collaborazione, ha affermato che il suo Paese è pronto a mettere più capitali nel Fondo salva-Stati se altri faranno lo stesso. Dal canto suo, Monti ha ribadito che “l'Italia farà la sua parte e non sarà più fonte possibile di infezione per la zona euro''. Intanto, continua il dibattito sulla cosiddetta Tobn Tax, la tassazione sulle transazioni finanziarie, che vede favorevoli il presidente francese Sarkozy, Merkel e Monti, mentre contrario è il premier britannico Cameron. Salvatore Sabatino ne ha parlato con l’economista Francesco Carlà:

    R. – Qui la contrapposizione è complessa, perché la proposta è dell’Unione Europea, che vuole farla a 27; 27, senza l’Inghilterra sono già 26; poi, a quanto pare, ci sarebbe anche la Danimarca che sarebbe contraria … Insomma, la situazione è abbastanza fluida, in questo momento …

    D. – Perché Londra è così contraria alla Tobin Tax? Cosa ci viene a guadagnare, in termini pratici?

    R. – L’industria prevalente nel Regno Unito è la finanza. Tassare le transazioni finanziarie per l’Inghilterra significa danneggiare l’industria finanziaria. Ma l’Associazione bancaria tedesca ha già calcolato che le banche ci rimetterebbero dal 5 al 10 per cento del fatturato: ecco, questo è quello che potrebbe succedere in Gran Bretagna ed è per questo che Cameron è così fermamente contrario.

    D. – Il fatto che la Gran Bretagna non sia mai entrata nell’area euro, quanto le ha giovato e quanto invece non l’ha avvantaggiata?

    R. – In questo momento, le ha decisamente giovato perché le condizioni economiche e finanziarie inglesi non sono compatibili con i tassi così bassi che riesce a pagare quando si indebita perché la sterlina è vista, in questo momento, come un’altra "valuta-rifugio" insieme al dollaro e allo yen e, naturalmente, ai bund tedeschi. Quindi, in questo momento sicuramente da un punto di vista finanziario si sta avvantaggiando. Bisogna vedere però fino a quando e bisogna anche vedere le conseguenze che il costo del denaro, così basso in Inghilterra, sta già creando all’economia inglese, che sta andando in recessione.

    D. – Il quanto mai ipotetico ingresso di Londra nell’eurozona porterebbe benefici all’Europa colpita fortemente dalla crisi, oppure no?

    R. – Potrebbe portare qualche beneficio, per esempio, in relazione alla famosa possibilità degli eurobond, perché io penso che gli inglesi potrebbero essere d’accordo. Il problema di fondo è che gli inglesi non hanno nessuna intenzione – perlomeno non sotto il governo Cameron – di entrare nell’area Euro.

    D. – Questo fronte comune tra Germania, Francia e Italia non potrebbe fare da pungolo per fare cambiare la posizione di Londra?

    R. – Da pungolo, non credo, perché anzi, in questo momento, se gli altri 26 veramente introducessero la Tobin Tax la piazza inglese non ne avrebbe un ulteriore vantaggio. Il punto è che, dalle ultime news che vedo, mi sembra già che la posizione di Sarkozy si stia un po’ ammorbidendo – non vorrei che fosse elettorale! – perché ho letto che pensa ad una Tobin Tax simile a quella che c’è già, cioè la tassa sull’acquisto di titoli azionari che in Inghilterra c’è già ed è intorno allo 0,5 per cento. Potrebbe essere anche un “ballon d’essai” francese, legato al fatto che tra tre mesi in Francia si vota … (gf)

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    Usa. Mitt Romney batte tutti alle primarie in New Hampshire

    ◊   Primarie repubblicane la scorsa notte in New Hampshire, negli Stati Uniti. Ha prevalso Mitt Romney con il 39% di voti, seguito da Ron Paul col 23% e dall’ex ambasciatore americano in Cina Jon Huntsman, al 17%. Delusione invece per l’ex- speaker della Camera Gingrich, finito quarto, e per l'eroe dell'Iowa Santorum, solo quinto. E la corsa repubblicana per le presidenziali di novembre è stato il tema della tavola rotonda intitolata “America 2012, rilancio o declino”, svoltasi presso la sede della Rubbettino editore a Roma. Il servizio di Michele Raviart:

    Mitt Romney vince nel New Hampshire e compie un passo forse decisivo verso la nomination repubblicana per la Casa Bianca. L’ex governatore del Massachussets, 64 anni, mormone e un passato legato alle società di consulenza finanziaria dell’East Coast, sembra ormai avere la credibilità necessaria per compattare il frammentato schieramento repubblicano. Alia Nardini del Centro Studi Tocqueville-Acton:

    “Romney ha numerosi elementi di trasversalità che lo contraddistinguono. Sa dimostrarsi estremamente capace nel parlare di questioni economiche che preocccupano l’America in questo momento, però sa assumere dove è necessario anche toni più marcatamente populisti contro, per esempio, lo strapotere di Wall Street. Romney viene criticato d’altra parte proprio per questa sua familiarità con la realtà imprenditoriale, viene percepito come un candidato che ha ancora le mani troppo addentro ai grandi mercati, alle grandi corporations”.

    Sconfitti, ma non surclassati gli altri candidati, espressione di un conservatorismo più populista e legato al movimento dei “Tea Party”, per una campagna per le primarie che l’establishment repubblicano vorrebbe lunga il meno possibile, al fine di risparmiare fondi per la sfida finale con Obama. Mai come quest’anno il tema dello scontro elettorale sarà infatti l’economia, tra un debito pubblico mai così alto e un tasso di disoccupazione per la prima volta in leggero calo da mesi. Il prof. Flavio Felice della Pontificia Università Lateranense:

    “Il tema del debito pubblico peserà tantissimo sulla testa di Barack Obama. Proprio di questi giorni è la polemica sul fatto che il governo Obama avrebbe fatto crescere il debito pubblico in maniera spropositata raggiungendo l’ammontare che tutti i presidenti degli Stati Uniti d’America, da George Washington fino a George Bush, hanno costruito. Il tema della disoccupazione invece potrà essere un segnale positivo che verrà usato da Barack Obama contro l’avversario”.

    Un avversario che non avrà vita facile contro Obama, dato dagli analisti politici ancora in vantaggio per la vittoria finale. A favore del presidente in carica i successi in politica estera, la cattura di Bin Laden e il ritiro dall’Iraq su tutti, e un carisma mediatico ancora ineguagliato. (bf)

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    Dieci anni fa l'apertura del carcere Usa a Guantanamo. Amnesty: eclissi del diritto

    ◊   A dieci anni dal trasferimento dei primi detenuti nella prigione statunitense di Guantanamo, a seguito degli attacchi dell’11 settembre, Amnesty International denuncia la mancata chiusura del centro, nonostante l’impegno dell’attuale presidente Usa, Barack Obama, a farlo entro il gennaio del 2010. “E’ un’eredità velenosa ai diritti umani”, si legge in un Rapporto che denuncia il trattamento illegale subito dai detenuti. A metà del dicembre scorso, a Guantanamo si contavano ancora 171 uomini. Di loro, spiega Amnesty, 12 vi furono trasferiti l’11 gennaio di 10 anni fa: uno di essi sta scontando una condanna all’ergastolo inflitta da una commissione militare nel 2008, gli altri 11 non sono mai stati incriminati. Francesca Sabatinelli ha intervistato Mauro Palma, membro del Consiglio europeo per la cooperazione nell’esecuzione penale, già presidente del Comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani:

    R. – Guantanamo, in qualche modo, ha rappresentato un’eclissi totale del diritto. Fondamento del diritto è innanzitutto che le persone debbano e possano essere private della libertà soltanto sulla base di una specifica imputazione, sotto un controllo di un’autorità indipendente, e abbiano la possibilità di ricorrere contro alla loro privazione di libertà. Tutto ciò non è avvenuto a Guantanamo. Oltre a questo, ci sono poi le condizioni “materiali” e le condizioni offensive della dignità delle persone su come sono state detenute. Ricordiamo anche le grandi denunce che noi abbiamo avuto sulla struttura di queste celle, spesso senza pareti, e sulle persone tenute bendate e legate, sull’offesa ai loro sentimenti, per esempio al loro sentimento religioso.

    D. - Per avviare la chiusura di Guantanamo, gli Stati Uniti chiesero aiuto all’Europa, che si disse pronta ad accogliere un certo numero di detenuti. Nel tempo, però, le posizioni europee nei confronti della questione Guantanamo si sono mostrate sempre piuttosto deboli…

    R. - L’Europa si è dimostrata non solo molto debole, ma direi “balbettante” sin da quando Guantanamo, in qualche modo, è stato istituito. Ed è altrettanto debole nel momento in cui lo si vuole smantellare. L’Europa non ha mai avuto il coraggio di dire che quelle situazioni erano una palese violazione di qualunque diritto, sia del diritto in caso di guerra, sia dei diritti fondamentali delle persone, così come stabilito da dichiarazioni e convenzioni. Inoltre, non ha offerto una grande sponda per risolvere la situazione nel momento in cui negli Stati Uniti c’era una nuova amministrazione che voleva in qualche modo chiudere quella fase. I numeri delle persone che sono state trasferite da Guantanamo in Europa sono molto esigui: riguardano principalmente quelle persone che, avendo una cittadinanza in uno qualsiasi dei Paesi europei, o comunque avendo in uno qualsiasi dei Paesi europei un motivo per essere privati della libertà, potevano essere trasferiti in un carcere europeo. Ci sono stati anche due o tre casi italiani. Però, c’è un principio su cui l’Europa, in un certo senso, è anche "sanamente" impedita. In Europa, non è possibile privare della libertà una persona se non si ha un capo di imputazione definito. Trasferire detenuti che non devono rispondere di un crimine specifico non è possibile nel territorio europeo. Quindi, trasferendoli in Europa – e qui l’Europa doveva avere coraggio – avrebbero dovuto essere messi in libertà, magari sotto una qualche forma di controllo, ma essere messi in libertà. Parliamo di quelli che non avevano un mandato d’arresto qui in Europa. Questa è l’unica strada che si può percorrere. La stragrande maggioranza di quelle persone non sono imputate di nulla – sono poche quelle che sono sotto le corti militari stabilite da Bush – potrebbero quindi essere trasferite in Europa e messe in libertà, seppur, ripeto, sotto controllo.

    D. - A Guantanamo, furono rinchiusi anche dei minori che oggi sono ancora tra i detenuti e sono divenuti maggiorenni: questo è avvenuto in palese violazione di qualsiasi convenzione sui diritti dei minori…

    R. - Se ragioniamo bene questo è un elemento di grande tristezza. Sono passati dieci anni, ci sono alcuni minori che li hanno interamente trascorsi all’interno di quelle gabbie. Tutti questi Stati, inclusi gli Stati Uniti, dimostrano di essere fermamente convinti quando si tratta di approvare dichiarazioni, di stabilire alcuni principi. Ebbene, c’è un principio che dice che l’interesse del minore dovrebbe essere prevalente sopra tutti gli altri interessi, e questo è un elemento della Convenzione delle Nazioni Unite sui minori. Allora, cerchiamo di non togliere dalla nostra mente l’immagine di queste vite, perché altrimenti ne facciamo un problema solo giuridico senza avere in mente che stiamo rubando delle vite. La soluzione va trovata, gli Usa devono essere incoraggiati e – direi – spinti, per esempio dalle Nazioni Unite, a ritrovare il senso del valore supremo della vita delle persone, della dignità della vita delle persone. Solo a partire da questo, in piene condizioni di sicurezza, le soluzioni possono essere trovate. Quelle sono vite che noi altrimenti stiamo rubando. (bi)

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    Conclusa la visita ufficiale in Cina del presidente della Corea del Sud

    ◊   Il presidente della Repubblica di Corea (la Corea del Sud), Lee Myung-back ha terminato oggi la sua tre giorni di visita ufficiale in Cina. Oltre al presidente, Hu Jintao, il capo di Stato sudcoreano ha incontrato il premier cinese, Wen Jiabao, e il presidente del parlamento, Wu Bangguo. La visita rientra nella ricorrenza del ventesimo anniversario delle relazioni diplomatiche sino-coreane. “La Cina - ha detto il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino Hong Lei - pone molta importanza alla visita e spera che questa visita possa ancora di più stringere la fiducia reciproca politica, così come gli scambi e la cooperazione fra i due Paesi e la partnership strategica bilaterale”. Dei temi al centro dei colloqui, Fausta Speranza ha parlato con Francesco Sisci giornalista del Sole24Ore, da anni a Pechino:

    R. – Senz’altro, l’economia è un elemento estremamente importante. Ma io direi anche la politica, in questa occasione. Infatti, i 20 anni della normalizzazione dei rapporti diplomatici sono estremamente importanti perché in quel momento, nel 1992, la Cina decise di allontanare, allentare le relazioni con la Corea del Nord e aprirsi alla Corea del Sud come partner commerciale ma anche politico, per una stabilizzazione della situazione in tutta la penisola coreana.

    D. – E poi c’è la questione della Corea del Nord…

    R. – Oggi, abbiamo una fase di transizione estremamente delicata della Corea del Nord. Abbiamo un nuovo leader – Kim Jong-il – è un ventenne che deve ancora provare a sé, al suo Paese e al mondo di cosa sia capace. Tutti sono estremamente preoccupati: la Cina – e il Giappone, l’abbiamo visto – ma anche la Corea del Sud, che affronta un problema enorme, cioè la possibilità di una riunificazione con il Nord. Questa possibilità di riunificazione è un ideale nazionalistico, magari altissimo e bellissimo, ma che da un punto di vista economico e politico avrebbe dei costi giganteschi.

    D. – C’è una strategia “bilaterale” Cina-Corea del Sud, ma c’è anche tutto un equilibrio regionale: che dire di questo?

    R. – Sì, c’è un equilibrio regionale molto delicato. Noi abbiamo visto che lo scorso Natale c’è stato un vertice tra giapponesi e cinesi. Noi sappiamo che i coreani del Sud hanno dietro, come anche i giapponesi, gli americani. Credo che intorno a questi incontri si stia cercando di definire un futuro politico nel quale la Corea del Nord possa rimanere indipendente, ma possa essere sempre più integrata in un futuro ordine regionale. Quale sia questo ordine regionale è tutto da pensare e da creare, e non è chiaro. L’importante sarebbe, per ora, non avere scoppi improvvisi di tensione intorno alla Corea del Nord.

    D. – Tra Corea del Sud e Cina, se parliamo di economia, c’è in un certo senso il baluardo "fisico" della Corea del Nord. Adesso si sta in qualche modo preparando un passaggio maggiore di merci, di scambi?

    R. – Diciamo che ancora sul passaggio fisico delle merci – per esempio dalla Corea del Sud alla Cina, che è una delle idee che si ventilano ormai da oltre un decennio – tutto questo ancora non è stato chiarito. Quello che mi sembra essere importante al momento, e che si sta cercando di verificare, è qualcosa di un po’ più semplice: la possibilità che la Corea del Nord non esploda in politiche aggressive né, in qualche modo, si frantumi, si sciolga, lasciando un vuoto geopolitico enorme nella regione. (gf)

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    Il nunzio a Gerusalemme: progressi nel dialogo tra Chiesa e Stato israeliano

    ◊   Alla vigilia della sua conclusione, il pellegrinaggio dei vescovi europei e americani del Coordinamento per la Terra Santa ha fatto questa mattina tappa a Ramallah. Nel frattempo, un comitato è al lavoro per preparare il Messaggio conclusivo che sarà reso noto domani. La nostra inviata, Philippa Hitchen, ha chiesto al nunzio apostolico in Israele, l’arcivescovo Antonio Franco, una valutazione del recente confronto avuto con le autorità israeliane:

    R. – Si cerca di trovare soluzioni alle nostre difficoltà, ai nostri problemi, per consentire alla Chiesa di poter continuare il suo lavoro a servizio delle comunità dei cristiani e anche per organizzare l’accoglienza dei pellegrini in maniera soddisfacente.

    D. – Quali sono le sue speranze per l'incontro con i vertici del governo israeliano, dopo tanti anni di negoziato?

    R. – Io credo si stiano facendo progressi. C’è una parte di rispetto e di comprensione per la realtà della Chiesa cattolica, nel senso che qui i fedeli sono pochi e non sono ricchi da poter sostenere la Chiesa, quindi si ha bisogno sempre del contributo della Chiesa universale e per alcune cose abbiamo ottenuto l’esenzione totale dalle tasse. Per altre cose, dobbiamo dare il nostro piccolo contributo.

    D. - Oltre alla situazione fiscale, c’è l’importante questione sull'uso del Cenacolo...

    R. - Sì, c’è anche l’uso del Cenacolo. Stiamo cercando di ottenere comprensione perché il Cenacolo e il Santo Sepolcro sono i tesori più preziosi che abbiamo, come memoria della vita di Gesù. Abbiamo fiducia.

    D. – Secondo lei, la presenza di questa delegazione internazionale e gli incontri con i responsabili del governo israeliano possono fare qualcosa in questo senso o no?

    R. – Questa è una presenza molto importante, perché è un segno sensibile dell’interesse della Chiesa universale per la Terra Santa. Ci sono tanti segni, tante manifestazioni. Questa è una ed è privilegiata, perché ci sono i rappresentanti della Conferenza episcopale di Europa e Nord America. Quindi, anche questi incontri servono soprattutto per creare un’atmosfera di fiducia reciproca, di rispetto e di comprensione, anche delle difficoltà degli uni e degli altri. Logicamente, i progressi si fanno con gli anni, con il tempo che è necessario, anche per abbattere certi muri di pregiudizi e certe eredità storiche. (bf)

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    Convegno alla Lateranense “Quale famiglia per quale società“. Don Milani: recuperare il tempo per la famiglia

    ◊   “Quale famiglia per quale società”: il titolo del Convegno ospitato stamani alla Pontificia Università Lateranense, promosso dall’Istituto pastorale Redemptor Hominis e dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia. Aprendo i lavori, il rettore mons. Enrico dal Covolo ha sottolineato l’importanza dell’iniziativa in vista del VII Incontro mondiale delle famiglie, in programma a Milano dal 30 maggio al 3 giugno prossimi. Roberta Gisotti ha intervistato don Davide Milani, responsabile Comunicazioni sociali della diocesi ambrosiana e dell’evento che culminerà con la visita di Benedetto XVI:

    D. – Don Milani, a dire il vero si parla sovente di una famiglia ideale che si confronta con una società che sembra congiurare – in realtà – contro questa famiglia ideale…

    R. – Il tema che il Santo Padre ha scelto per il settimo Incontro mondiale delle famiglie, cioè “La famiglia, il lavoro e la festa”, ci aiuta a risolvere felicemente questa apparente tensione. Noi non siamo chiamati a parlare della famiglia in generale – avremmo comunque tanto da dire – siamo chiamati a mostrare la famiglia dentro questo dinamismo vitale del lavoro e della festa. Siamo convinti che, mostrando la famiglia nel suo darsi, riusciremo a far risplendere il grande valore della famiglia stessa che intendiamo come unione stabile, pubblica tra un uomo e una donna, aperta alla vita.

    D. – Nella cultura di oggi c’è una certa ambiguità sul termine ‘famiglia’. Quindi, sarà importante ribadire quali sono i principi, i valori e la carta d’identità di questa famiglia cristiana…

    R. – Certo. Lo diremo, lo ribadiremo, non in astratto. Parlare del lavoro non significa semplicemente parlare dell’impiego di uno dei due genitori, dei coniugi fuori casa, ma mostrare quella dimensione fondamentale del lavoro che è per l’uomo: il modo in cui l’uomo è nel mondo, in cui la donna è nel mondo. E allo stesso tempo, parlare della famiglia e la festa vuol dire celebrare quel fondamento dell’unione matrimoniale che è l’amore: il tempo per la famiglia e il tempo per la relazione con il Signore, la festa, il tema della domenica. E’ un incontro in cui diremo l’identità della famiglia cristiana, ma saremo aperti anche a dialogare con tutti, senza nascondere la nostra identità. Anzi, poiché l’identità della famiglia cristiana è molto forte, in noi abbiamo la forza e il coraggio di sostenere il confronto con tutti.

    D. – Il tempo della famiglia: un tempo che viene conteso, soprattutto in termini commerciali, nella società di oggi…

    R. – Sì, questo è un tema molto "caldo", sul quale stiamo riflettendo tanto. Una riflessione che viene da Milano, una città molto caotica, molto frenetica, nei suoi ritmi e tempi di vita. L’ancora di salvezza per la famiglia, in relazione al tempo, è la dimensione della comunità. Laddove c’è una comunità – la comunità cristiana, per noi – la comunità territoriale, questa dimensione del tempo si stempera ed è percepita in maniera meno conflittuale. Certo che, se la famiglia si percepisce come barricata dentro il proprio appartamento, alle prese con mille appuntamenti e mille impegni, tutto diventa più complicato, più frenetico. Se invece si sente percepita all’interno di una comunità – come si sperimenta in una comunità amicale, parentale, cristiana – questa tensione è meno percepibile. Anzi, si percepisce un’alleanza di fondo, una benevolenza di fondo.

    D. – A che punto sono i preparativi dell'Incontro di giugno?

    R. – Siamo a buon punto. Le sfide su cui siamo impegnati sono la ricerca di cinquemila volontari, che vengano da Milano, dalla diocesi, dall’Italia e dal mondo per darci una mano. Cerchiamo gli iscritti al Convegno teologico per gli operatori di pastorale familiare, e cerchiamo le famiglie che dal mondo vengano a Milano a vivere questo incontro con il Papa. E su Milano e sulla Lombardia cerchiamo anche 100 mila famiglie che aprano la propria porta di casa per accogliere i pellegrini. (gf)

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    Norvegia: incontro del Consiglio europeo di “Religioni per la pace” sulla Primavera araba

    ◊   L’importanza delle religioni nella costruzione del post "primavera araba". Se ne parla in un Convegno promosso dall’organizzazione internazionale "Religions for Peace", che vede riuniti fino ad oggi, in Norvegia, rappresentanti religiosi del Medio Oriente, del Nord Africa e dell’Europa. "Bisogna essere profeti di perseveranza anche in tempi di disperazione e di conflitto", ha affermato stamattina il vescovo emerito di Oslo, Gunnar Stalsett, intervenendo al Convegno. Ma come possono le comunità religiose e i loro leader intervenire in un processo in costruzione come quello dei Paesi della primavera araba, ancora sconvolti dalla violenza e dagli scontri? Francesca Sabatinelli lo ha chiesto a Luigi De Salvia, segretario generale della sezione italiana di "Religions for Peace":

    R. – Possono intervenire nel rapporto con le comunità, per portare al centro il tema del rispetto reciproco della tolleranza, nel senso positivo, del rispetto delle minoranze, e questo può essere efficace perché, insieme, portano avanti questi discorsi che si basano su valori condivisi: i valori della persona, della vita anche nelle sue espressioni più significative – quindi la libertà di coscienza, la libertà religiosa – e poi anche la questione dei metodi, cioè il rifiuto, per quanto sia possibile, della violenza.

    D. – Ma il messaggio dei leader religiosi riuniti in Norvegia tiene conto del fatto che si rivolge a giovani e donne – soprattutto – che nei loro Paesi stanno lottando per la libertà, per il rispetto dei diritti umani, e anche contro la povertà?

    R. – Certo. Questa è anche la ragione centrale di un movimento come “Religions for Peace” e di movimenti analoghi, ossia quella della lotta alla povertà e la lotta per i diritti umani, che “pretende” di avere un retroterra importante, che è quello del valore in sé della vita umana. Quindi, non un semplice mettersi d’accordo su certi principi in modo convenzionale.

    D. – Nel discorso al Corpo diplomatico presso la Santa Sede, Benedetto XVI ha ricordato la grave situazione dei cristiani in Nigeria, ha chiesto che il mondo si mobiliti per sostenerli. E, soprattutto, ha chiesto il rispetto dei membri di tutte le etnie, di tutte le religioni. Abbiamo visto a Natale una fortissima recrudescenza della violenza in Nigeria: stiamo assistendo all’ennesimo tentativo di esercitare violenza usando il nome di Dio?

    R. – Nella contrapposizione spesso abbiamo bisogno di una ragione per esercitare violenza: a questo si presta in modo abusivo anche un riferimento alla religione, un riferimento alla propria religione, demonizzando gli altri. Questa componente non va sottovalutata, non è solo strumentale. Lo sforzo del dialogo e della cooperazione tra le religioni che 25 anni fa ebbe quel momento storico ad Assisi, promosso da Giovanni Paolo II, è veramente un antidoto a tutto questo. E ha avuto un ruolo in tutta una serie di situazioni, e ne avrà ancora di più. Anche se non c’è un modo facile per eliminare tutto questo, ma la delegittimazione dell’uso della violenza in nome della religione è un fatto acquisito. Diciamo che, di per sé, non riesce a eliminare ogni esplosione, ma è un riferimento sicuro anche poi quando si tratterà di costruire la riconciliazione. (gf)

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    Il cappellano dei cattolici cinesi a Roma: dopo la morte di Zou Zheng e Joy chiediamo giustizia e sicurezza

    ◊   Due quartieri romani in particolare sono stati teatro ieri sera di una marcia di solidarietà in ricordo Zou Zheng e di sua figlia Joy, di 9 mesi, uccisi mercoledì scorso durante una rapina. Mentre continua la caccia ai due marocchini ritenuti i responsabili dell’omicidio, questa mattina alla Radio Vaticana Luca Collodi ha raccolto la testimonianza del cappellano della comunità cattolica cinese nella capitale, padre Michele Goh:

    R. – Due punti sono molto chiari: no alla violenza e più sicurezza. Questo è stato molto chiaro. È stata la prima volta che qui a Roma si è svolta una manifestazione così grande, che ha permesso ai cinesi di diventare una voce sola per la città, per il Paese in cui vivono.

    D. – Si sa poco di come la comunità cinese a Roma sia organizzata. Ma la manifestazione di ieri ha in qualche modo espresso il dolore anche italiano, di Roma, per i cinesi…

    R. – … sì, è vero, c’erano anche tanti italiani, tanti stranieri…

    D. - … e ha mostrato anche una comunità cinese che è integrata nel tessuto della città…

    R. – Loro lavorano sempre, sono molto impegnati nel lavoro: non hanno tempo libero. Lavorano sempre…

    D. – Questa manifestazione ha rafforzato l’unione tra la comunità cinese a Roma e la città?

    R. – Sì: ieri l’ho visto. Tutti i negozi di piazza Vittorio erano chiusi per poter permettere a tutti di partecipare a questa manifestazione.

    D. – Padre Michele, come ha commentato lei con la comunità cattolica cinese questo duplice omicidio di Tor Pignattara?

    R. – La sera, la notte, c’è paura perché non c’è sicurezza. I cinesi hanno paura per la loro sicurezza.

    D. – Per i cinesi, c’è un problema sicurezza in una grande città come Roma?

    R. – Sì, sì. Però, il Comune stesso l’ha detto: è necessario rendere questa città più sicura.

    D. – Padre Michele, lei ha incontrato la vedova dell’uomo cinese e la mamma della bambina che sono stati uccisi…

    R. – Sì. Qualche ora fa ho parlato con lei. Piange tanto, racconta tante cose… Io ho svolto il mio ministero di sacerdote e le ho spiegato che è necessario che lei trovi il coraggio per guarire velocemente e così contribuire a risolvere questo caso.

    D. – La comunità cinese vuole che la polizia italiana rintracci i responsabili di questo grave episodio?

    R. – Sì, questo sì. E’ davvero necessario, questo. Abbiamo visto che è morta una bimba di nove mesi. Loro non pensavano che ci fosse pericolo… Lui era molto buono, l’ha detto anche il suo vicino di negozio: buono, gentile.

    D. – Quindi, si cerca la giustizia?

    R. – La giustizia, sì. (gf)

    Commosso e composto, il corteo di ieri ha dunque voluto esprimere il rifiuto di ogni forma di violenza nella capitale, nei riguardi dei cittadini di qualsiasi nazionalità. A seguirne lo svolgimento c’era per noi Irene Pugliese:

    (voci manifestanti)

    Questo coro, che in italiano significa meno violenza più sicurezza, ha accompagnato tutto il corteo che da piazza Vittorio ha attraversato gran parte della zona est di Roma per arrivare a Via Alò Giovannoli a Tor Pignattara, il luogo dove il 4 gennaio scorso, sono stati uccisi Zu Zheng, 31 anni, e la sua figlioletta Joy, di nove mesi. Serrande dei negozi abbassate, fiori e candele bianche in mano, un fazzoletto al braccio e un lungo striscione: un modo della comunità cinese di rendere omaggio alle due vittime, ma anche per chiedere più sicurezza. Lucia King è la portavoce della comunità cinese a Roma:

    “Chiediamo non violenza e più sicurezza. Io non considero quello che è successo un atto di razzismo, perché poteva capitare a chiunque. Però diciamo basta, perché non si può vivere con la paura in questo modo. Ieri, ci siamo rivolti al sindaco Alemanno, che c’è sempre stato molto vicino. Ha detto che avrebbe convocato una riunione straordinaria presso la sicurezza”.

    Ma alla manifestazione, che si è poi unita con una fiaccolata organizzata dal municipio dove è avvenuto l’omicidio, c’erano anche tanti italiani:

    “Purtroppo, sono cose che non dovrebbero accadere, perché i bambini non si toccano e poi basta con la violenza! Perché qui non se ne può più!”.

    “Da oggi mi sento più cinese che italiano: non so ancora cosa sia successo, il perché, ma non c’è un motivo valido per arrivare a questo punto”.

    E’ solo con la solidarietà e la collaborazione tra le varie comunità che abitano Roma, che si può superare un episodio tragico come questo. A sottolinearlo è Marco Wong, presidente di Associna, secondo cui questa manifestazione ha diversi significati:

    “Ci sono tre temi principali: uno è la pace, l’altro è il contrasto alla violenza e quello forse più importante è la solidarietà alla vittima, che esprime il senso di cordoglio, di dolore, che è condiviso da tutti quanti. Speriamo che questo modo di stare tutti quanti insieme sia anche un modo per scacciare questa paura. Abbiamo avuto anche la risposta delle istituzioni, che è stata commovente: pensare che il presidente della Repubblica, Napolitano, sia andato a trovare la madre della povera bambina è sicuramente un segnale di grande attenzione. Poi, anche sul luogo dell’omicidio ci sono state tante testimonianze di solidarietà. Quindi, tutti questi sono dei modi per sconfiggere la paura”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Pakistan: a Lahore il governo abbatte un istituto cattolico ed espropria i terreni

    ◊   Ira e sconcerto fra i cattolici del Punjab, per la decisione presa ieri dal governo locale di abbattere un edificio di proprietà della Chiesa – i documenti lo confermano – e sequestrare il terreno circostante. Durante la demolizione della struttura sono andate distrutte anche diverse copie della Bibbia e alcuni oggetti e immagini sacre. Questa mattina la comunità dei fedeli ha indetto una manifestazione di protesta, che si svolgerà nei pressi dell’area sequestrata; intanto i funzionari governativi hanno stanziato un reparto delle forze di polizia, per bloccare qualsiasi azione di rivendicazione da parte dei cristiani. Il centro di accoglienza “Gosha-e-Aman”, situato in Allama Iqbal Road, nel quartiere di Garhi Shahu, gestito da Caritas Pakistan e dalla Lahore Charitable Association, è stato demolito nella prima mattinata di ieri per ordine del governo provinciale. L’istituto, fondato nel 1887, è circondato da due acri di terreno, per un valore complessivo di miliardi di rupie. Al suo interno vi erano una casa di accoglienza per anziani, una scuola per ragazze, un convento e una cappella per la preghiera. La controversia relativa al possesso dell’edificio e dell’area circostante era da tempo al centro di una vertenza legale, tuttora pendente presso l’Alta corte di Lahore, sebbene la Chiesa posseggga tutta la documentazione. Pare che a innescare la vicenda sia stata una donna che in passato ha cercato ospitalità presso il centro. Dopo qualche tempo, essa si è convertita all’islam e ha rivendicato il diritto di proprietà sulle due stanze da lei occupate. Il caso sarebbe quindi servito al governo per requisire l’intera zona e abbattere l’istituto cattolico. Sotto la supervisione del più alto funzionario distrettuale e con la copertura fornita dagli agenti di polizia, grossi macchinari hanno provveduto a demolire le proprietà dei cattolici; l’operazione è stata preceduta dalla sgombero forzato di un paio di famiglie, che risiedevano da tempo nella struttura ormai distrutta. Per i vertici della polizia e i funzionari presenti sulla scena, ora la proprietà è passata “nelle mani del governo del Punjab”. Nel pomeriggio di ieri padre Emmanuel Yousaf ha tenuto una conferenza stampa, in rappresentanza dei vertici della Chiesa cattolica di Lahore. Egli ha condannato con forza il gesto e intimato all’esecutivo di “restituire l’area ai legittimi proprietari”, come dimostrato anche dai vari documenti, provvedendo inoltre a fornire un adeguato risarcimento per il danno inferto. Il sacerdote ha ricordato le violenze contro le comunità cristiane a Gojra e Shantinagar: anche gesti come la demolizione di un edificio e l’esproprio forzato, ha spiegato p. Emmanuel, seminano dolore e sconforto tra i fedeli, oltre che essere un chiaro segnale del mancato rispetto della libertà religiosa e dei diritti dei cristiani in Pakistan. (R.P.)


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    Filippine: il neo governatore musulmano di Mindanao è impegnato nel dialogo interreligioso

    ◊   Le speranze di pace e di riconciliazione crescono nel Sud delle Filippine, dove vive una comunità musulmana di oltre 6 milioni di persone, per la maggiore parte residenti nella “Regione Autonoma Musulmana di Mindanao” (la grande isola nel Sud dell’arcipelago). Il Presidente filippino Benigno Aquino ha infatti nominato il nuovo Governatore della Regione Autonoma: si tratta del musulmano Mujiv Hataman, che va a occupare lo scomodo posto che era stato del discusso Governatore Datu Zaldy Ampatuan, accusato di essere coinvolto nel massacro di Mauguindanao (nel novembre 2009 furono uccise 58 persone per motivi politici). Il nuovo Governatore, 39enne, ex membro del Parlamento filippino, è stato un allievo del Centro per il dialogo interreligioso “Silsilah”, avviato 20 anni fa a Zamboanaga dal missionario del Pime padre Sebastiano D’Ambra, ed è “persona sinceramente impegnata nel dialogo e nella pace”, dicono fonti locali di Fides. Nel suo discorso di insediamento, Hataman ha detto. “Creeremo una nuova cultura nella Regione Autonoma Musulmana, una cultura di buon governo, basata sulla trasparenza e sulla responsabilità, ancorata alla democrazia, alla partecipazione e alla promozione sociale”. Padre D’Ambra, alla notizia della nomina, ha inviato una lettera aperta al governatore, in cui rimarca che quella occupata da Hataman è “una posizione impegnativa, che può facilitare il processo di pace o far continuare violenza e corruzione a Mindanao”. Il missionario – nel testo della missiva che ha inviato all’agenzia Fides – sottolinea che la sicurezza e la pace a Mindanao non dipendono solo dallo stanziamento di truppe militari: occorre un sforzo di “verità”, fondamento di pace e sviluppo, nell’ottica di una “reale e genuina autonomia”, che possa fare di Mindanao un esempio, come “appropriata forma di federalismo”. D’Ambra augura ad Hataman di essere “modello di un leader in prima linea per il bene comune”, e di ricordare l'impegno in “Silsilah” per promuovere “la cultura del dialogo, via alla pace, basata sulla trasformazione personale e sociale”. Per superare conflitti storici, nuovi pregiudizi e forme di diffidenza tra le due comunità di fede, padre D’Ambra offre un suggerimento al Governatore: seguire l'invito delle Nazioni Unite, celebrando la prima settimana di febbraio la “Settimana Mondiale dell’Armonia Interreligiosa”. Questo invito dell’Onu, ricorda il missionario, è stato ispirato dalla Lettera di 138 leader musulmani del mondo a Papa Benedetto XVI, in cui si esprimeva il desiderio di lavorare insieme per la pace. (R.P.)


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    Ancora episodi di violenza in Kivu ma è libero fratel Evariste rapito a dicembre

    ◊   È di quattro civili uccisi e otto feriti il bilancio di un’imboscata tesa a un pullman che trasportava una ventina di passeggeri nel Kivu, provincia della Repubblica Democratica del Congo. Attribuito a presunti ribelli delle Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (Fdlr), l’episodio, avvenuto nel sud del Sud-Kivu nei pressi di Fizi, si inserisce in un clima di rinnovata violenza nell’est del Paese, culminato la scorsa settimana con l’uccisione di almeno 45 civili in alcuni villaggi dell’area di Shabunda, circa 600 chilometri a nordovest da Fizi. Sempre dal Kivu giunge invece notizia che è salvo e libero il religioso rapito a metà dicembre a Beni, fratel Evariste Kasereka Makobe. Il religioso è stato liberato la scorsa settimana dagli uomini armati, non meglio identificati, che lo avevano prelevato all’interno del complesso della chiesa di Saint Gustave Paida, a Beni. Ha raccontato di essere stato portato molto lontano dalla città. La Missione Onu nella Repubblica democratica del Congo, nota con l’acronimo Monusco, ha annunciato di aver rafforzato la sorveglianza dell’area di Shabunda con sorvoli aerei e pattugliamenti. L’abbandono della regione da parte delle Forze armate regolari è stata denunciata con forza dalla società civile locale. Negli ultimi 10 giorni nella vicina provincia del Nord-Kivu un contadino è stato ucciso mentre stava lavorando nel suo campo, da presunti ribelli delle Adf-Nalu, un commerciante e allevatore di Beni-Butembo è stato rapito per un riscatto. “Chiediamo una valutazione delle operazioni militari in atto da giugno 2010 nell’ambito dell’operazione Ruwenzori, che doveva contrastare le milizie attive nella nostra regione. A nostro parere, non hanno avuto un impatto significativo sulla sicurezza dei civili” ha commentato all'agenzia Misna Omar Kavota, vice-presidente della società civile del Nord-Kivu. (F.S.)


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    Congo: nota dei missionari sui risultati delle elezioni legislative

    ◊   La Repubblica Democratica del Congo (Rdc) continua a vivere in uno stallo politico alquanto complesso. Mentre il Presidente Joseph Kabila ha prestato giuramento il 20 dicembre, il suo principiale oppositore, Etienne Tshisekedi continua ad affermare di essere il “Presidente eletto”. “Come uscire dall'impasse? I due principali avversari di Joseph Kabila, Etienne Tshisekedi e Vital Kamerhe, propongono che la comunità internazionale contribuisca a costituire una ‘Commissione di verifica’ dei risultati delle elezioni presidenziali. Si dovrebbe riesaminare tutto: le liste degli elettori, i voti per deroga e, naturalmente, il conteggio delle schede elettorali” afferma in una nota, inviata all’agenzia Fides, la Rete Pace per il Congo. “La Commissione elettorale congolese (Ceni) sta pubblicando i risultati parziali delle elezioni legislative, che si sono tenute contemporaneamente a quelle presidenziali. Ma molti candidati perdenti stanno denunciando irregolarità e frodi ovunque. La commissione aveva addirittura sospeso la compilazione dei risultati, nell’attesa dell’arrivo di un gruppo di esperti internazionali che potevano aiutare a rendere più credibili i risultati” prosegue la nota. La Rete Pace per il Congo sottolinea che, nello scontro politico, il perdente è la popolazione locale:“Il popolo congolese ha già sofferto troppo. I cinque anni delle prime ribellioni subito dopo l’indipendenza, i trenta anni di dittatura, gli otto anni di guerra con oltre sei milioni di vittime, gli ultimi 5 anni con una classe politica irresponsabile (corruzione, arricchimento illecito, violazioni dei diritti umani e dei principi costituzionali) ma sempre protetta dall’impunità. Il popolo congolese non sopporta più che le sue donne continuino ad essere violentate ogni giorno, non ce la fa più a pagare lo stipendio mensile degli insegnanti, non tollera più che alla guida dell’esercito ci siano dei criminali di guerra, non accetta più che le ricchezze minerarie siano sfruttate illegalmente da società minerarie internazionali, senza alcun vantaggio economico per le popolazioni locali, tanto meno accetta ora che non si rispetti la sua volontà espressa nelle urne. Il popolo congolese esige la verità delle urne per poter continuare sul cammino della democrazia, della giustizia, del rispetto dei diritti umani, della pace e dello sviluppo” conclude la nota dell’associazione promossa dai missionari che operano nella Rdc. (R.P.)


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    Usa: i cattolici cubani residenti in Florida pellegrini a Cuba per incontrare il Papa

    ◊   L'arcidiocesi di Miami ha confermato un pellegrinaggio a Cuba per consentire ai devoti cattolici cubani del sud della Florida di partecipare alla visita all'isola di Papa Benedetto XVI, prevista per la fine di marzo. I dettagli saranno comunicati entro dieci giorni, secondo gli incaricati dall’arcidiocesi di Miami. “Spero che saranno centinaia le persone che andranno a Cuba” ha detto l'arcivescovo di Miami, mons. Thomas Wenski, durante un incontro con “El Nuevo Herald” e “The Miami Herald”. Mons. Wenski ha ribadito che il viaggio del Santo Padre, oltre a rafforzare la fede cattolica nell'isola, servirà anche per unire i cattolici cubani che vivono nel Paese con quelli fuori dell'isola. Recentemente - riferisce l'agenzia Fides - l'arcivescovo di Miami ha concelebrato, insieme con i vescovi di Cuba, una Messa all'aperto a La Habana, che ha segnato la fine dei tre anni di preparazione al Giubileo Mariano del 2012, promosso dai Vescovi di Cuba per commemorare i 400 anni del ritrovamento dell'immagine della Vergine della Carità, patrona di Cuba, che ha gettato le basi per il culto cristiano nell'isola. Durante la sua visita pastorale, dal 26 al 28 marzo, il Papa visiterà il Santuario di Nostra Signora della Carità a El Cobre, a Santiago de Cuba, che conserva l'immagine originale della Vergine, ritrovata nella baia di Nipe nel 1612. (R.P.)


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    Brasile: il Consiglio indigenista missionario denuncia le violenze contro i bambini

    ◊   L'omicidio di un bambino indigeno di Maranhão, carbonizzato dai trafficanti del legno (madeireiros) nel mese di ottobre 2011, ha provocato di recente l'indignazione di molti brasiliani manifestata nelle reti sociali. Anche se in ritardo, la reazione non riguarda un caso isolato o inedito, perché ogni anno bambini e giovani indigeni vengono uccisi in tutto il Paese. Gli assassini tuttavia non sono sempre perpetrati da non-indiani in cerca di terra e legno. Le Comunità dove vivono quanti hanno problemi di alcol e droga sono spesso, purtroppo, scenario di tragici eventi, come l'omicidio di una bambina indigena di 9 mesi, assassinata con un macete, nel novembre dello scorso anno. Il fatto è avvenuto dopo una lite tra il padre della bambina e altri indigeni ubriachi della tribù, che si trova a Minas Gerais. Secondo la nota inviata all’agenzia Fides dal Cimi (Consiglio Indigenista Missionario), il numero dei bambini indigeni assassinati nel 2011 non è ancora stato definito. Tuttavia nel 2010 il rapporto del Cimi informava che quattro bambini erano stati uccisi, tra cui una bambina di 8 anni, violentata, picchiata e uccisa nel villaggio di Tey Cue, nel Mato Grosso do Sul. Secondo le indagini, una zia della ragazza ha “venduto” la bambina in cambio di droga. Nel 2009 il Cimi ha segnalato 11 omicidi di minori, tra cui un bambino di nove anni del gruppo Guarani Kaiowá, violentato e ucciso da un adolescente dallo stesso villaggio. Nel 2008, una ragazza della etnia Guajajara è stata uccisa con armi da fuoco nel Maranhao, mentre guardava la televisione nella propria casa. Oltre a episodi di violenza di cui sono fatti oggetto, decine di bambini indigeni muoiono ogni anno per cattive condizioni igieniche, malnutrizione e mancanza di cure mediche. Nel gennaio dello scorso anno, otto bambini dell’etnia Xavante sono morti in appena 15 giorni, in seguito ad un attacco di polmonite. (R.P.)


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    India. Primo studio sulla malnutrizione: ne soffre il 42% dei bambini dei distretti più poveri

    ◊   "HUNGaMA" (Fame e malnutrizione) è il nome del primo studio effettuato dopo anni sul problema della malnutrizione infantile. Secondo il rapporto appena presentato dal Primo ministro del Paese, Manmohan Singh, la metà dei bambini che vivono nei 100 distretti più poveri dell’India soffre di atrofie o malnutrizione già a due anni di età. Il ministro - riferisce l'agenzia Fides - ha rilevato che il 42% dei bambini indiani sono malnutriti e ha definito la malnutrizione una "vergogna nazionale" per l’India. Stando agli ultimi dati del 2009, forniti dall’Unicef, nel Paese asiatico sono denutriti circa 61 milioni di bambini, un terzo del totale globale. I tassi attuali sono allarmanti, il 59% dei bambini con meno di 5 anni è colpito da atrofie. Inoltre, a causa di campagne informative precarie, il 92% delle madri non ha mai sentito parlare di “malnutrizione”. Infatti solo meno della metà delle mamme allatta e quasi nessuna sa dire cosa sia la malnutrizione. Lo studio è stato realizzato dalla fondazione Naandi in 112 distretti dell’India, con interviste a 73 mila famiglie. Il Primo ministro indiano ha anche detto che il suo Governo ha deciso, tra le altre cose, di promuovere un programma di sviluppo multisettoriale, una campagna di comunicazione contro la denutrizione e iniziative per garantire il benessere dei minori. La lotta contro la piaga della malnutrizione in India è iniziata nel 1975, con l’apertura di centri dedicati a favorire la formazione nutrizionale e ad alimentare i piccoli. Tuttavia il programma va avanti senza portare i frutti desiderati. Secondo gli esperti, la maggior parte dei bambini indiani ha una alimentazione monotona e basata su pochi cibi di natura vegetale, oltre a non essere allattati perché le mamme introducono subito l’acqua come elemento della dieta. Sebbene sia un problema generale, si concentra in poche regioni, in particolare nella zona settentrionale del paese conosciuta con l’acronimo "Bimarou", riferito a Bihar-Jharkhand, Madhya Pradesh, Rajastán, Orissa e Uttar Pradesh. In lingua hindi, la parola "bimar" significa malato, e in generale queste regioni appaiono in coda agli indicatori dello sviluppo umano. (R.P.)


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    Messaggio dei vescovi italiani per Giornata mondiale della vita consacrata

    ◊   “Il proprium della vita consacrata è riproporre la forma di vita che Gesù ha abbracciato e offerto ai discepoli che lo seguivano: l’evangelica vivendi forma”: su questo pensiero centrale si impernia il “Messaggio della Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata per la 16ª Giornata mondiale della vita consacrata” (del 2 febbraio prossimo) reso noto oggi. In Italia i religiosi sono circa 140 mila, dei quali 18 mila uomini e 122 mila donne. A livello mondiale sono quasi 875 mila, con 135 mila uomini e 740 mila donne. I religiosi italiani rappresentano il 16% del totale. Il titolo scelto per il messaggio è “Educarsi alla vita santa di Gesù” e i vescovi della Commissione sottolineano in apertura del testo un rapporto particolare tra i consacrati e il cammino di questo decennio per la Chiesa italiana dedicato al tema dell’educazione. “‘Educare alla vita buona del Vangelo’ – scrivono - implica certamente l’educare alla vita santa di Gesù. È questo il dono e l’impegno di ogni persona che voglia farsi discepola di Gesù, specialmente di chi è chiamato alla vita consacrata”. Nella parte centrale del messaggio per la 16ª Giornata della vita consacrata i vescovi indicano quattro “note” che “mostrano la coerenza della vita con la vostra specifica vocazione”: le note sono “primato di Dio”, “fraternità”, “zelo divino” e “stile di vita”. Quanto alla prima, richiamano l’insistenza di Benedetto XVI circa “la sfida principale del tempo presente” che consiste nella secolarizzazione. Particolarmente i consacrati sono chiamati a riflettere sul fatto che “urge una nuova evangelizzazione, che metta al centro dell’esistenza umana il primo comandamento di Dio, la confessio Trinitatis e la Parola di salvezza, di cui – scrivono - voi avete profonda esperienza spirituale”. Dopo aver descritto l’esigenza di una “fraternità universale” in un mondo segnato da “dilagante conflittualità”, il messaggio evidenzia la “bella testimonianza ecclesiale” offerta dalle comunità religiose, come pure lo “zelo divino” mostrato dai consacrati. Quanto all’ultima nota, sullo “stile di vita”, il messaggio evidenzia i tre voti di castità, povertà e obbedienza, tipici dei religiosi, e afferma che “vissuti sull’esempio di Cristo e dei santi, i consigli evangelici costituiscono una vera testimonianza profetica dal profondo significato antropologico, che suppone e richiede un grande impegno educativo”. (R.P.)


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    Mons. Celli ricorda il compianto cardinale Foley "uomo di fede, evangelizzatore e comunicatore"

    ◊   “Era venuto a darci l'ultima, più importante lezione, mettendo in campo tutto il meglio di sé, come comunicatore – certo – ma ancor più come testimone e fedele servitore della Parola. Quella lezione non l'abbiamo dimenticata”. Mons. Claudio M. Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, ha ricordato così - riporta l'agenzia Sir - l’ultimo incontro con il cardinale John P. Foley, presidente emerito dello stesso Pontificio Consiglio, durante la messa celebrata questa mattina nella chiesa di Santa Maria in Traspontina per il trigesimo della morte del porporato. “Quell'incontro sembrò, e fu, – ha proseguito - la sintesi degli oltre 20 anni di permanenza del compianto cardinale alla guida del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali. C'era l'uomo di fede, l'evangelizzatore e il comunicatore. In lui era possibile non solo scorgere, ma vedere, il volto di una chiesa capace di parlare al mondo con cordialità e dialogare con esso con la massima apertura, senza mai mettere da parte la verità o le proprie ragioni. Aveva i toni di chi, nel confronto, non vedeva nemici o avversari, ma uomini davanti ai quali lasciar trasparire, attraverso un'accoglienza sempre cordiale, la benevolenza del Signore. Al lungo servizio nel campo della comunicazione – ha osservato mons. Celli - Foley era riuscito a portare intatte, e a metterle a frutto, tutte le doti di educatore, di studioso e di operatore impegnato sul campo dei mass-media, prima diocesani, poi internazionali”. A Roma il cardinale Foley approdò “proprio come operatore della comunicazione, avendo svolto il compito di addetto stampa per la lingua inglese nel Sinodo dei vescovi dell'Ottanta”. E “fu probabilmente questo incarico ad aprirgli la lunga strada del suo impegno più diretto nella comunicazione vaticana”. Erano gli anni del consolidamento “di tutte le strutture della comunicazione vaticana dopo la fondamentale esperienza del Concilio. La Chiesa in tutto il mondo prendeva sempre più coscienza dell'importanza e dell'incidenza dei media nella società e nella vita della comunità ecclesiale”. Foley guidò “con saggezza, passione e competenza la difficile fase che, seppure in maniera graduale, preludeva alle profonde trasformazioni introdotte dalla nuove tecnologie informatiche”. Dal Pontificio Consiglio di Foley, ha ricordato mons. Celli, “sono usciti i primi approfondimenti dottrinali e culturali sul ruolo di internet, come pure sull'incidenza della pubblicità come elemento di comunicazione. Altri importanti documenti hanno riguardato il pericoloso assalto, segnalato al suo nascere, portato alla rete dalla pornografia”. (R.P.)


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    Terra Santa: i Salesiani e le figlie di Maria Ausiliatrice smentiscono i presunti contrasti

    ◊   Ha suscitato perplessità e tristezza un articolo pubblicato su un quotidiano italiano nel quale con tono polemico e ingiustificato viene presentata una situazione di presunto conflitto tra la comunità dei Sacerdoti salesiani e la comunità della Figlie di Maria Ausiliatrice che operano da molti anni a Cremisan, vicino Betlemme. Motivo della presunta conflittualità sarebbe stato un differente atteggiamento nei confronti del muro eretto lungo i territori della Cisgiordania per dividere gli israeliani dai palestinesi. Un clima di serenità ha animato ieri pomeriggio a Cremisan l’incontro tra la comunità dei Salesiani e quella delle Figlie di Maria Ausiliatrice, finalizzato a chiarire la situazione descritta con toni aggressivi e a testimoniare con estremo realismo che da sempre esiste un pieno e significativo accordo tra le due opere educative e formative che favoriscono l’annuncio evangelico in un territorio che purtroppo è oggetto di tensioni internazionali, politiche ed economiche. In forma concreta don Giovanni Laconi, direttore dell’opera salesiana di Cremisan, e suor Adriana Grasso, direttrice dell’opera delle Suore Salesiane Figlie di Maria Ausiliatrice di Cremisan, hanno sottoscritto un comunicato in cui si legge che «in riferimento ad articoli di un quotidiano nazionale e di alcune testate online, le Suore Salesiane e i Religiosi Salesiani di Cremisan affermano con chiarezza che non esiste tra loro alcun contrasto e non esistono posizioni differenti in riferimento alla costruzione del “muro”». E, nonostante le due comunità religiose siano autonome nell’organizzazione delle propria attività a favore della popolazione locale, «hanno sempre vissuto e vivono tutt’ora in ottime relazioni e rispetto vicendevole. Hanno sempre espresso la loro contrarietà alla costruzione del “muro” e hanno pure espresso, nelle forme ritenute più idonee, piena solidarietà alle famiglie palestinesi di Beit Jala, che nella costruzione del “muro” subiscono ingiustizie e sono private dei terreni di loro proprietà». Per un’informazione più precisa è bene sapere che a Cremisan le Suore Salesiane gestiscono una Scuola materna ed elementare e un Centro Giovanile per la formazione integrale dei bambini e dei giovani che li frequentano, accolti tutti senza distinzione alcuna e con un’attenzione particolare ai più bisognosi. I Religiosi Salesiani, che sono presenti a Cremisan dal 1891, inizialmente hanno avviato un Centro di Studio Teologico, finalizzato alla formazione dei giovani religiosi di varie parti del mondo, provenienti da oltre 20 nazioni. Nel 2004 questo Centro studi è stato trasferito a Gerusalemme e, chiamato “Ratisbonne”, costituisce la sezione inglese della Facoltà di Teologia dell’Università Pontificia Salesiana di Roma e accoglie ben 37 giovani studenti salesiani. Ovviamente continua nel territorio di Cremisan l’attività di produzione vitivinicola che, stando all’affermazione del direttore don Giovanni Laconi, «è da sempre all’avanguardia per tecnica e qualità, è stata riconosciuta di recente anche a livello internazionale, dà lavoro a una ventina di famiglie della zona e contribuisce al sostentamento delle attività educative e formative dei Salesiani in Terra Santa». (F.S.)


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    Senegal: conclusa la 48.ma Assemblea generale della Caritas

    ◊   “Africa, alzati e cammina. È una questione di amore, di volontà e di speranza”: su questo tema, ispirato all’Esortazione apostolica post-sinodale “Africae Munus”, siglata da Benedetto XVI nel novembre scorso, la Caritas Senegal ha tenuto, il 7 e l’8 gennaio, la sua 48.ma Assemblea generale. L’incontro, svoltosi a Kaolack, è stato presieduto da mons. Jean-Pierre Bassene, presidente di Caritas Senegal, alla presenza di 56 delegati di 7 diverse diocesi. Numerosi e diversificati gli argomenti trattati nel corso dei lavori e ricordati dal documento conclusivo: dalla sicurezza alimentare, soprattutto nella regione del Sahel, alla necessità di ridistribuire al meglio le risorse umane e finanziarie in favore delle persone svantaggiate. Ribadendo, poi, che “la Caritas ha la missione di promuovere la crescita integrale dell’uomo, attraverso lo sviluppo solidale, la giustizia, la riconciliazione e la pace”, il documento finale dell’Assemblea raccomanda la messa in atto di misure preventive per affrontare i rischi derivanti da conflitti elettorali o pluriennali, come quello in Casamance; una maggiore interazione con la Commissione Giustizia e Pace; la promozione di una buona governance sia a livello della Caritas che istituzionale; il rafforzamento della vita associativa, con particolare attenzione per l’organizzazione ed il dinamismo dei comitati diocesani e parrocchiali. Inoltre, la Caritas Senegal auspica “la promozione di una pastorale della solidarietà a tutti i livelli della Chiesa”; “la definizione di una strategia chiara ed efficace per combattere e prevenire l’insicurezza alimentare” ed “il rafforzamento della visibilità del contributo dell’organizzazione all’interno dello sviluppo economico, sociale e culturale del Senegal”. (I.P.)

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    Regno Unito. I vescovi: “I migranti sono un arricchimento per le parrocchie”

    ◊   “I migranti sono un arricchimento per le parrocchie”: è quanto scrive mons. Patrick Lynch, direttore dell’Ufficio per le Migrazioni della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles. In occasione della Giornata mondiale dei migranti e dei rifugiati, che ricorre domenica prossima, 15 gennaio, mons. Lynch ha diffuso un messaggio in cui invita i fedeli a guardare ai grandi benefici che “la fede e la testimonianza” delle comunità migranti portano alla Chiesa ogni giorno, nel corso degli anni. Quindi, il presule sottolinea “il forte senso comunitario e il grande impegno nella vita familiare” che gli immigrati portano avanti, insieme al loro “amore per le Scritture, alla loro devozione a Maria e specialmente alla loro gioiosa partecipazione alla celebrazione dell’Eucaristia”. Inoltre, mons. Lynch fa presente che negli ultimi anni “la Chiesa cattolica in Inghilterra e in Galles, specialmente nelle aree urbane, ha visto crescere il numero dei parrocchiani provenienti dall’Africa, dall’Asia, dall’Europa dell’est e dell’ovest, dai Caraibi e dal Sud America”. In questo contesto, il direttore dell’Ufficio per le Migrazioni dei vescovi inglesi lancia un appello ai fedeli affinché vivano il loro percorso di fede come “un percorso di vita”, da compiere non da soli e soltanto per se stessi, ma “in una comunità e come una comunità”. Ricordando, infine, il tema scelto da Benedetto XVI per la Giornata del 15 gennaio, ovvero “Migrazione e nuova evangelizzazione”, mons. Lynch chiede ai fedeli di essere sempre più “consapevoli del fatto che tutti siamo chiamati ad essere evangelizzati ed evangelizzatori”, “araldi della Parola di Dio e testimoni di Cristo Risorto” nel mondo contemporaneo. (I.P.)


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