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Sommario del 09/01/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa al Corpo diplomatico: non scoraggiarsi di fronte alla crisi, ma ripensare il cammino dell'umanità verso la pace
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria, la testimonianza di padre dall’Oglio: restare tra mille difficoltà o partire per fuggire alle violenze
  • Crisi economica Ue: Merkel e Sarkozy discutono della "Tobin tax"
  • Al via il tour diplomatico del presidente iraniano Ahmadinejad in America Latina
  • Myanmar: un possibile ruolo pubblico per Aung San Suu Kyi
  • Yemen: amnistia per il presidente deposto Saleh
  • Incontro dei vescovi europei e americani pro-Terra Santa al Ministero degli esteri israeliano
  • Aperta negli Usa la Settimana nazionale per le vocazioni. In aumento sacerdoti, religiosi e diaconi
  • Le mani della mafia sull'impresa del gioco d'azzardo. Pubblicato un rapporto di Libera
  • A Roma altre 72 pietre di inciampo per ricordare le vittime della furia nazista
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Nigeria. Cristiani in fuga, sale la tensione per il caro-benzina
  • In Inghilterra il governo taglia l’insegnamento della religione
  • Sri Lanka: leader religiosi chiedono soluzioni urgenti per sfollati e riconciliazione con i tamil
  • Filippine: oltre 9 milioni di fedeli a Manila per la processione del Nazareno
  • Lione: convegno su Pauline Jaricot fondatrice dell'Opera della Propaganda della Fede
  • Malaysia: le Chiese cristiane dicono basta alle discriminazioni e chiedono più tutele
  • Usa-Messico: cresce il numero dei bambini reclutati dal narcotraffico
  • In Cile è emergenza incendi. Forte appello dell’arcivescovo di Concepción
  • Usa: il 23 gennaio a Washington la tradizionale Marcia per la Vita contro l'aborto
  • Kenya: un progetto teatrale dell’Aibi per bambini abbandonati
  • Il Patriarcato di Venezia invia in Bolivia un diacono
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa al Corpo diplomatico: non scoraggiarsi di fronte alla crisi, ma ripensare il cammino dell'umanità verso la pace

    ◊   Per uscire dalla crisi economica e costruire la pace nel mondo, bisogna mettere al centro la persona umana: questo, in estrema sintesi, il messaggio che Benedetto XVI ha lanciato alla comunità internazionale, all’inizio del 2012, ricevendo stamani nella Sala Regia del Palazzo Apostolico i membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Il Papa ha pronunciato un articolato ed appassionato discorso, toccando tutti i principali temi dell’attualità internazionale. Attualmente, la Santa Sede intrattiene relazioni piene con 179 Stati. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Il mondo è buio laddove non è rischiarato dalla luce divina”: muove da questa convinzione il ragionamento di Benedetto XVI nel rivolgersi al Corpo diplomatico. Il Papa riconosce che il “momento attuale è segnato purtroppo da un profondo malessere”. Sottolinea così che la crisi economica-finanziaria mondiale ha colpito i Paesi in via di sviluppo non meno di quelli avanzati, dove tanti giovani si sentono oggi “disorientati e frustrati nelle loro aspirazioni”. Di qui, l’esortazione del Papa, a non scoraggiarsi, ma a “riprogettare risolutamente il nostro cammino”.

    “La crise peut et doit…”
    “La crisi – ha ribadito – può e deve essere uno sprone a riflettere sull’esistenza umana e sull’importanza della sua dimensione etica, prima ancora che sui meccanismi che governano la vita economica”. Servono, ha aggiunto, “nuove regole che assicurino a tutti la possibilità di vivere dignitosamente”. Ha quindi rivolto il pensiero al Nord Africa e al Medio Oriente, dove i giovani hanno lanciato il movimento della “primavera araba”. “L’ottimismo iniziale”, ha detto il Papa, ha ceduto “il passo al riconoscimento delle difficoltà di questo momento di transizione e di cambiamento”. Ed ha così indicato nel “riconoscimento della dignità inalienabile” della persona la “via adeguata per continuare il cammino intrapreso”. Ancora, ha invitato la Comunità internazionale “a dialogare con gli attori dei processi in atto, nel rispetto dei popoli” e in vista della costruzione di società “stabili e riconciliate”.

    “J’eprouve une grande préoccupation…”
    Il Papa ha espresso grande preoccupazione per le violenze in Siria, dove ha auspicato “una rapida fine degli spargimenti di sangue e l’inizio di un dialogo fruttuoso tra le parti”, favorito dalla presenza “degli osservatori indipendenti”. Non ha poi mancato di riferirsi con apprensione alla “recrudescenza della violenza in Nigeria”, ai recenti attentati in Iraq, alle tensioni e scontri nel Sud Sudan, in Costa d’Avorio, in Somalia e nella regione dei Grandi Laghi. Riferendosi poi al Medio Oriente ha auspicato che riparta il processo di pace in Terra Santa, elogiando l’iniziativa per il dialogo del Regno di Giordania. Palestinesi e israeliani, ha detto, devono adottare “decisioni coraggiose e lungimiranti in favore della pace”. Un’attenzione particolare il Pontefice l’ha poi rivolta al rispetto della libertà religiosa, che, ha ribadito, “è il primo dei diritti umani, perché essa esprime la realtà più fondamentale della persona”. Troppo spesso, è stato il rammarico del Papa, questo diritto viene “ancora limitato o schernito”:

    “Dans de nombreux pays…”
    “In non pochi Paesi – ha constatato – i cristiani sono privati dei diritti fondamentali e messi ai margini della vita pubblica”, “in altri subiscono attacchi violenti contro le loro chiese e le loro abitazioni”. E talvolta sono “costretti ad abbandonare Paesi che essi hanno contribuito ad edificare”. Il Papa ha salutato con commozione la memoria del ministro pakistano Shahbaz Bhatti, la cui “infaticabile lotta per i diritti delle minoranze – ha affermato – si è conclusa con una morte tragica”. Di qui, richiamando l’incontro di Assisi dell’ottobre scorso, ha rinnovato la sua ferma condanna del “terrorismo motivato religiosamente”. Ha quindi dedicato una parte importante del discorso all’educazione dei giovani alla pace, ribadendo l’importanza innanzitutto della famiglia per questo compito. Il Papa ha affermato che “le politiche lesive della famiglia minacciano la dignità umana e il futuro stesso dell’umanità”. Allo stesso modo, ha proseguito, si oppongono all’educazione dei giovani “le misure che non solo permettono, ma talvolta addirittura favoriscono l’aborto, per motivi di convenienza o per ragioni mediche discutibili”:

    “J’accueille donc avec satisfaction…”
    Ha così elogiato la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che vieta di brevettare le cellule staminali embrionali, come anche la risoluzione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa che condanna la selezione prenatale. Un segnale incoraggiante, ha detto ancora, è la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in favore della presenza del Crocifisso nella aule scolastiche italiane. E proprio all’Italia, in occasione del 150.mo anniversario della sua unificazione, è andato un pensiero particolare del Papa:

    “Les relations entre Saint-Siège…”
    “Le relazioni tra la Santa Sede e lo Stato italiano – ha rilevato – hanno attraversato momenti difficili dopo l’unificazione”, ma nel tempo “hanno prevalso la concordia e la reciproca volontà di cooperare” per il bene comune. Benedetto XVI ha quindi auspicato che l’Italia “continui a promuovere un rapporto equilibrato tra la Chiesa e lo Stato”, costituendo così un esempio per le altre nazioni. Nella parte conclusiva del suo discorso, il Papa ha richiamato l’importanza del rispetto del creato anche alla luce di recenti disastri ambientali come quello della centrale nucleare di Fukushima. “La salvaguardia dell’ambiente – ha osservato – la sinergia tra lotta contro la povertà e quella contro i cambiamenti climatici” sono ambiti rilevanti per la promozione dello sviluppo umano integrale”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Al fianco della comunità internazionale: in prima pagina, un editoriale del direttore sul discorso di Benedetto XVI al corpo diplomatico.

    In prima pagina, un articolo di Alain Besancon dal titolo "Il mondo alla vigilia": se abbiamo la fortuna di essere cristiani, abbiamo imparato a distinguere l'aspettativa dalla speranza, che è un dono prezioso.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, l'Iran: presto operativo un nuovo sito per l'arricchimento dell'uranio.

    Nell'informazione religiosa, la prefazione del cardinale segretario di Stato al libro di Mauro Anselmo "Luigi Novarese. Lo spirito che cura il corpo".

    Nuove strade per l'evangelizzazione: dall'ultimo numero del mensile "Migranti press", l'intervento dell'arcivescovo presidente Antonio Maria Vegliò sulla Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che si celebra il 15 gennaio, e l'editoriale di Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes.

    La prima scelta educativa: nella Cappella Sistina, il Papa battezza sedici neonati.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria, la testimonianza di padre dall’Oglio: restare tra mille difficoltà o partire per fuggire alle violenze

    ◊   In Siria non si arresta la repressione antiregime, che secondo stime Onu ha già fatto cinquemila vittime. Sul fronte diplomatico la Lega araba chiede a governo ed opposizione di porre fine alla violenze, mentre la missione di osservatori dell’organizzazione panaraba verrà prorogata e rafforzata, senza ricorrere all’aiuto dell’Onu. Tra tanta sofferenza prosegue la vita dei civili in Siria, e tra questi sono i cristiani, sotto forte pressione in tutta l’area dei Paesi arabi, scossi da tumulti sociali. Testimonianza particolare offre padre Paolo dall’Oglio, fondatore in Siria della comunità monastica di Deir Mar Musa al-Habachi, vicino Nabak, promotore di dialogo tra cristiani e musulmani, da mesi impegnato negli sforzi di riconciliazione interna. Ascoltiamolo al microfono della nostra collega tedesca, Anne Kathrin Preckel:

    R. - La vita di fede è intensa, si prega molto in Siria in questo momento. Direi non solo in Siria. Abbiamo visto anche cristiani iracheni, quanta fede hanno saputo esprimere nella terribile crisi che li ha colpiti per tanti anni e i cristiani egiziani, che sono in un momento di grande importanza. Anche i cristiani giordani accompagnano il movimento di rinnovamento della società con forte entusiasmo evangelico. Accanto a questi sentimenti, molti cristiani soffrono la grande paura del futuro: hanno paura che l’emergenza dei movimenti islamici riporti indietro le lancette della storia, riportando tutti a una condizione di sottomissione, di minoranza, di minorità morale, civile e che diventi impossibile vivere come cristiani cittadini in questi Paesi. Questa paura però rende sterile l’impegno cristiano in questi Paesi. Superare la paura è certamente l’invito che cerchiamo di rivolgere ai cristiani del Medio Oriente, ai cristiani dei Paesi in evoluzione, perché possano partecipare con coraggio e semplicità. Noi abbiamo la vocazione di essere lievito nella pasta, non possiamo rimanere accanto alla pasta. Ci saranno certamente delle difficoltà da superare. Credo che coloro che Gesù invia come colombe, come agnelli e come saggi possano operare con la regola dell’umiltà. Penso a Francesco e ai suoi frati. Non per essere sottomessi, inattivi e ignoranti. I cristiani del Medio Oriente accettano di vedere i loro concittadini musulmani liberi, responsabili e carichi del peso della responsabilità democratica e questo ha un prezzo rispetto ad una libertà di movimento che i cristiani avevano prima, ma è per questa strada che i cristiani possono portare il loro lievito in questa pasta.

    D. - Lei ha citato varie volte l’Iraq, lì dove l’esodo è molto forte. In Siria come è la situazione? Lei ha comprensione per i cristiani che lasciano il Paese in questo momento?

    R. - Certamente, ho molta comprensione, perché quando manca la sicurezza si ha paura per i propri figli. Quando un padre di famiglia deve andare a lavorare e ha paura di non poter tornare - soprattutto se c’è una parte della famiglia che è già all’estero che chiede di raggiungerli - ciò crea le condizioni per un aumento molto forte dell’emigrazione ,che è un disastro per la Chiesa ma si può benissimo capire sul piano umano. Di fatto, la gente oggi nel mondo si muove facilmente. Quando le cose andranno meglio i nostri torneranno. E se non torneranno loro, torneranno degli altri. In questo bisogna essere un po’ umili. Le ragioni di una famiglia per muoversi non sono facilmente le ragioni generali di una Chiesa per incoraggiarli a restare. Incoraggiamo a restare: alcuni molto coraggiosi, restano per motivi spirituali, altri sentono il dovere di proteggere i loro figli.

    D. - Sa quante persone hanno lasciato il Paese?
    No, non sono in grado di dare statistiche. Devo dire che l’immensa difficoltà di ricevere i visti in Occidente rende molto difficile la possibilità di poter emigrare. In generale, molti sono quelli che desiderano andare via, pochi sono quelli che lo possono fare. Non penso, allora, che si possa parlare di grandi numeri. Nella parte più colta della popolazione, più benestante sul piano economico, più connessa sul piano internazionale, certamente ci sono molti vuoti.

    D. - Parliamo più concretamente della vita del Monastero. Come possiamo immaginare un giorno lì?

    R. - Al mattino, abbiamo una preghiera con i salmi, la Bibbia, i Padri della Chiesa e gli inni. Tutto in arabo perché noi preghiamo in arabo. Siamo di rito siriaco, dipendiamo dall’eparchia, la diocesi siriaca di Homs, e quindi abbiamo famiglie dei monaci che sono di Homs, della città che sta soffrendo di più in questo momento. Siamo della tradizione antiochena, una Chiesa orientale di obbedienza cattolica. Dopo la preghiera del mattino, segue una conferenza catechetica alla quale partecipano anche gli ospiti (in arabo) e si cerca di tradurre se ci sono degli ospiti stranieri. In questo momento, c’è un giovane tedesco che starà qui con noi per sei mesi e che per motivi culturali e spirituali viene a stare con noi. La conferenza è seguita con molta pazienza e benevolenza da chi mi ascolta e poi c’è una giornata di lavoro dopo la prima colazione. Noi produciamo formaggio, abbiamo delle capre, che poi cerchiamo di vendere anche se non è facile oggi. Lo facciamo nei negozi di Damasco: prima si poteva vendere ai turisti, oggi i turisti non ci sono più. Quindi si lavora nella terra, nel restauro e nella pulizia del monastero e dei locali e nell’attività economica. Nel pomeriggio, c’è più tempo per la riflessione, la preghiera e la lettura. Abbiamo una magnifica Biblioteca del dialogo interreligioso, di teologia, di studio delle religioni e molti giovani ne approfittano. Sono sempre molto consolato quando vedo i giovani studiare in Biblioteca. La sera, alle 19, abbiamo un’ora di silenzio vissuta con Maria, "che meditava queste cose nel cuore in silenzio". Dopo quest’ora mariana di silenzio e di adorazione del Mistero di Dio incarnato, fa seguito l’Eucaristia serale. Poi la cena, due chiacchiere e tutti a dormire.(dd)

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    Crisi economica Ue: Merkel e Sarkozy discutono della "Tobin tax"

    ◊   La crisi economica e del debito domina ancora lo scenario europeo. Mentre oggi a Bruxelles si è aperto il tavolo dei negoziatori per arrivare ad una nuova Unione economica rafforzata, che potrebbe punire con sanzioni i Paesi meno virtuosi, a Berlino s’incontrano il presidente Sarkozy e la cancelliera Merkel per trovare un’intesa sull’ipotesi "Tobin Tax". Intanto, si amplia la spaccatura con la Gran Bretagna isolata dal resto dell’Ue. A Pier Virgilio Dàstoli, presidente del Movimento europeo, Stefano Leszczynski ha chiesto se le riforme proposte serviranno a rafforzare il sistema europeo:

    R. – E’ evidente che il problema della crisi non si risolve esclusivamente attraverso la disciplina di bilancio ed è anche evidente che non è possibile affermare, come per ora si afferma, che il rafforzamento dell’unione economica si ottenga esclusivamente attraverso quello che è stato chiamato il "Fiscal Compact", cioè l’unione fiscale. Ci vogliono degli strumenti che non possono essere certo ottenuti attraverso un trattato internazionale, possono essere ottenuti soltanto attraverso politiche dell’Unione; ci vogliono degli strumenti diversi per garantire la crescita e lo sviluppo.

    D. – La riunione dei "Cento più uno", che si è aperta oggi a Bruxelles, si concentrerà soprattutto sulle questioni fiscali e, tra l’altro, sulle questioni sanzionatorie per gli Stati meno virtuosi…

    R. – Queste sanzioni poi sono di carattere finanziario. E’ come porre degli strumenti ancora peggiori per i Paesi che hanno bisogno invece di strumenti di aiuto. Quindi, non è attraverso queste sanzioni che si risolve il problema.

    D. – Nel concerto europeo, l’unico Paese che al momento si è isolato è l’Inghilterra. Un nuovo impulso nel senso della crescita potrebbe, a sorpresa, venire proprio dall’Inghilterra?

    R. – Il Regno Unito è considerevolmente interessato al tema del mercato interno. Questo è uno dei temi – quello del rilancio e della realizzazione completa nel mercato interno – che per ora mancavano nel trattato internazionale e sul quale insiste molto anche la Commissione Europea e, quindi, è uno degli elementi del rilancio dell’economia. Certo, per ora, da tutte le dichiarazioni che vengono fatte, il Regno Unito non è il Paese da cui parte il rilancio. La mia opinione, e che poi è anche l’opinione del movimento europeo che presiedo, è che come in altri momenti della storia europea bisogna che ci sia qualcuno che si assuma la responsabilità di indicare un progetto, un metodo e un’agenda per rilanciare il sogno europeo.

    D. – Insomma, l’Europa sente anche il bisogno di ritornare alla politica alta...

    R. – Noi abbiamo un livello di disoccupazione, in Europa, che è arrivato ad oltre il 10 per cento e abbiamo 87 milioni di poveri. Bisognerà tornare all’alta politica. Non è questo un bricolage di un trattato che si limita esclusivamente a porsi il problema della disciplina di bilancio. (ap)

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    Al via il tour diplomatico del presidente iraniano Ahmadinejad in America Latina

    ◊   Quattro Paesi in cinque giorni, accompagnato da una delegazione di oltre 100 persone. Questi i numeri del viaggio del presidente iraniano, Ahmadinejad, in America Latina. Un tour diplomatico che giunge in un momento di grande tensione con la comunità internazionale per il programma nucleare di Teheran. Quali le motivazioni alla base di questo viaggio? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica all’Università Cattolica di Milano:

    R. - Vi sono diverse motivazioni: in primo luogo, Ahmadinejad, fin dalla sua prima elezione nel 2005, ha sempre amato questi tour diplomatici in vari Paesi. In secondo luogo - in un momento in cui l’Iran si percepisce isolato, in cui l’Occidente cerca di metterlo nell’angolo - ogni possibile contatto, ogni rapporto bilaterale va rinfrancato. E tradizionalmente l’America Latina è un posto dove ci sono soprattutto alcuni degli alleati storici, come il presidente Chavez in Venezuela, o Cuba. E l’Iran punta a diversificare, a rafforzarsi sulla scena internazionale, rispondendo alle pressioni occidentali, attraverso queste iniziative verso i Paesi non allineati: Paesi latinoamericani, africani e asiatici.

    D. - Molti osservatori sostengono che questa visita sia legata proprio al nucleare, una sorta di raccolta di consensi per poter procedere sulla strada dell’atomica… Un’analisi che lei condivide?

    R. - Personalmente, no. Evidentemente, l’Iran è molto attivo - pensando alle nuove decisioni Onu e quindi a nuove sanzioni sul nucleare - ma in realtà le decisioni non le prende l’assemblea Onu in cui contano i Paesi non allineati, i Paesi latinoamericani: le prende il Consiglio di sicurezza e soprattutto le prendono le grandi potenze che sono tutte impegnate con il cosiddetto “gruppo dei 5+1” nella trattativa.

    D. - Ahmadinejad continua a lanciare proclami contro gli Stati Uniti, che però escludono un’azione militare contro la Repubblica islamica. Quanto influisce il clima elettorale americano su questa questione?

    R. - Influisce molto, perché gli anni elettorali a Washington come a Theran sono di solito terribili per la serietà dei rapporti e degli sforzi diplomatici. A Washington c’è una fortissima pressione su Obama da parte del Partito repubblicano e varie lobbies, affinché accentui la linea dura contro Theran. Teheran, da parte sua, regisce rinfocolando le tensioni. Non dimentichiamoci che Ahmadinejad gioca anche una sua partita: a marzo ci sono le elezioni parlamentari e lì ci sarà uno scontro non più fra conservatori e riformisti – dato che questi ultimi sono stati spazzati via dalla repressione - ma all’interno dei conservatori, ossia gli ultra-radicali di Ahmadinejad contro i conservatori tradizionali legati al leader supremo, l’ayatollah Ali Khamenei. Anche in questo caso, allora, la politica estera serve ad avvantaggiare uno dei contendenti interni. (bi)

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    Myanmar: un possibile ruolo pubblico per Aung San Suu Kyi

    ◊   La presidenza del Myanmar apre alla possibilità che Aung San Suu Kyi - premio Nobel per la pace, leader dell'opposizione birmana e libera dal 2010 dopo anni di arresti domiciliari - possa in futuro ricoprire un ruolo nel governo, se conquisterà un seggio nelle elezioni suppletive del prossimo primo aprile, o comunque un posto di rilievo nell’amministrazione pubblica. Ad affermarlo è Nay Zin Latt, consigliere della presidenza del Paese asiatico, secondo cui il capo dello Stato, Thein Sein, punterebbe a consultazioni “libere e giuste”. Nell’ottica di nuove aperture, negli ultimi mesi il governo del Myanmar ha scarcerato diverse centinaia di prigionieri politici, ma - secondo alcuni attivisti birmani riparati in Thailandia - altri mille sarebbero ancora dietro le sbarre. In questo clima, che possibilità ci sono dunque che le autorità di Naypyidaw aprano effettivamente ad un incarico pubblico per Aung San Suu Kyi? Giada Aquilino ha intervistato Carlo Filippini, docente di Economia politica all’Università Bocconi di Milano ed esperto di Asia orientale:

    R. – Temo che un incarico pubblico di qualche importanza sia un avvenimento ancora molto lontano nel tempo. Pare certamente che i primi cambiamenti che si sono avuti dopo le elezioni del 2010 e il nuovo governo - apparentemente civile, anche se formato da ex generali che si sono tolti la divisa - siano l’inizio di un processo che, temo, richiederà tuttavia ancora molto tempo. Nell’Asia orientale non si fa mai quasi nulla di fretta.

    D. – Le elezioni del prossimo aprile arrivano comunque quando ci sono state alcune timide aperture in senso democratico: censura allentata, prigionieri politici rilasciati, il "sì" alla candidatura di Aung San Suu Kyi alle prossime elezioni. Però, di fatto, il Myanmar che Paese è?

    R. – Il Paese è ancora strettamente controllato dai militari. Sembra però che in ambito Asean, l’associazione dei Paesi del Sudest asiatico, gli altri Paesi membri premano perché l’ex Birmania diventi un po’ più democratica, o meglio un po’ più rispettabile agli occhi del mondo. Però dobbiamo pensare più a un modello cinese che a un modello democratico all’occidentale, europeo o americano.

    D. - Alcuni media stranieri hanno parlato di “primavera birmana”, ma il Myanmar è ancora un Paese in cui il reddito medio mensile è di 27 dollari. Da un punto di vista economico, che quadro se ne può tracciare?

    R. – Il Paese certamente è poverissimo e questo è anche un effetto delle politiche dei precedenti governi militari birmani. Ad esempio, pur di assicurarsi l’appoggio di Cina e India hanno svenduto le ricchezze naturali ed energetiche, soprattutto il petrolio. In altre parole, la povertà è dovuta pure alle politiche che hanno privilegiato i pochi sostenitori del regime, le forze armate e i fedeli del governo e che invece hanno trascurato un po’ tutto il resto della popolazione.

    D. - Allora, in quale quadro vanno letti gli ultimi dati secondo cui starebbero arrivando più turisti in Myanmar: da due anni i visitatori sarebbero cresciuti del 25 per cento…

    R. – La Birmania è un magnifico Paese, con natura ancora relativamente incontaminata e con una tradizione artistica e religiosa che risale a secoli fa, se non a millenni. Quindi, come destinazione turistica è certamente ideale. Purtroppo, finora era la giunta militare che approfittava di ciò, imponendo sostanzialmente “taglieggiamenti” su tutte le agenzie turistiche ed era difficile visitare il Paese attraverso tour operator o agenzie turistiche che fossero indipendenti. Quindi, è certamente un fatto positivo perché porta reddito e potrebbe accelerare i cambiamenti, anche se a mio parere in Occidente ci illudiamo un po’ troppo sulle varie “primavere”. (bf)

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    Yemen: amnistia per il presidente deposto Saleh

    ◊   Lo Yemen alle prese con un difficile processo di cambiamento. Il governo ad interim di Sanaa ha approvato una proposta di legge per l’amnistia nei confronti del deposto presidente, Ali Abdullah Saleh, e di tutto il suo esecutivo. L’opposizione aveva chiesto che Saleh fosse processato per aver ordinato l'uccisione di centinaia di manifestanti durante le dimostrazioni antiregime. La normativa dovrà essere adottata in via definitiva dal parlamento. Si tratta di un passo risolutivo della crisi o rischia di innescare altre tensioni? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Camille Eid, esperto di Paesi arabi del quotidiano Avvenire:

    R. – Bisogna ricordare che questa amnistia era già prevista nell’accordo che ha messo fine agli scontri interni allo Yemen, però incontra ancora delle resistenze all’interno dell’opposizione, che partecipa al governo di intesa nazionale. La domanda che si pone – a livello arabo più che solo yemenita – è se questo accordo non costituisca un pericoloso precedente che potrà incoraggiare altri dittatori a reprimere con la violenza i loro oppositori interni e poi sperare di ottenere una specie di impunità in cambio della loro uscita di scena. Io sinceramente non mi auguro, soprattutto pensando alla Siria, che un giorno Assad, con il gruppo al potere a Damasco, possa godere di una specie di immunità contro i crimini che sta commettendo.

    D. – Che cosa fare, comunque, affinché i Paesi che stanno vivendo questi rivolgimenti non nascano nel desiderio di vendetta per le tante vittime che ci sono state?

    R. – Questo è inevitabile. Ci sono dissidi su questo punto e su altri, che andranno avanti, che riguarderanno anche le vittime, che sono centinaia, se non migliaia, cadute in decine di scontri. Bisogna vedere fino a che punto si estende questa impunità. Tutte le famiglie che hanno subito delle morti chiederanno conto di questo a qualcuno: se non possono chiederlo a Saleh, dovrebbero poterlo pur chiedere a qualcun altro. (ap)

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    Incontro dei vescovi europei e americani pro-Terra Santa al Ministero degli esteri israeliano

    ◊   La delegazione dei vescovi europei e americani, che da sabato scorso è in Terra Santa per portare sostegno alle comunità cattoliche, ha avuto questa mattina un importante incontro al Ministero degli esteri israeliano. Alla presenza del viceministro, Danny Ayalon, sono state toccate alcune delle questioni principali riguardanti la Chiesa locale. Alessandro De Carolis ne ha parlato con mons. Joan Enric Vives i Sicilia, vescovo di Urgell e delegato della Conferenza episcopale spagnola:

    R. – Abbiamo voluto dire alle autorità israeliane che quello che la Chiesa cattolica vuole è manifestare che non è contro lo Stato di Israele, ma vuole solo aiutare la gente perché questo è il nostro compito. Non si tratta di un compito politico, ma si tratta di un compito di solidarietà, di vigilanza, di comunione.

    D. – Quali sono gli argomenti che avete trattato?

    R. – Gli argomenti più difficili per le comunità: ad esempio il visto per i sacerdoti, i seminaristi e i religiosi. Altri problemi di rielievo per la Chiesa cattolica in Terra Santa e in Israele sono rappresentati dalle tasse: quello che le autorità israeliane affermano è che si tratta di debiti storici, mentre la Chiesa sostiene che questo non era contemplato. C’è quindi in atto un confronto al riguardo. Un’altra questione è rappresentata dall’uso del Cenacolo: la Chiesa cattolica è estremamente ferma nel difendere quello che pensiamo siano i nostri diritti. Il ministro ha auspicato di risolverli entro l'anno.

    D. – Ieri il vostro gruppo ha fatto visita alla comunità cattolica di Gaza, alla quale avete detto: “Voi non siete soli”…

    R. – La comunità di Gaza è stata molto contenta della nostra visita. Abbiamo anche potuto visitare la scuola cattolica: ci sono anche altre scuolea Gaza, di cui tre cattoliche, una ortodossa e una evangelica. E’ stato un momento di gioia, di condivisione e di comunione fortissima, una visita "pastorale" in senso pieno, così come desideravamo che fosse. (mg)

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    Aperta negli Usa la Settimana nazionale per le vocazioni. In aumento sacerdoti, religiosi e diaconi

    ◊   Vocazioni in “aumento”, anche se di poco, sia tra i sacerdoti diocesani che fra i religiosi. È quanto si registra all’interno della Chiesa statunitense, che da oggi inaugura la Settimana nazionale di sensibilizzazione per le vocazioni. Il collega Christopher Wells, della redazione inglese della nostra emittente, ne ha parlato con padre Shawn McKnight, direttore esecutivo della Commissione del clero, della vita consacrata e delle vocazioni della Conferenza episcopale degli Stati Uniti:

    R. – The purpose is to once again highlight the various…
    Il proposito è quello di evidenziare di nuovo le varie vocazioni all’interno della Chiesa, dei sacerdoti, delle diverse forme di vita consacrata e del diaconato permanente. Noi, quindi, forniamo materiali che aiutino i genitori, i parrocchiani e i sacerdoti nelle parrocchie. In modo analogo facciamo con i religiosi, fornendo sussidi affinché i giovani si impegnino a riconoscere una vocazione verso la vita religiosa, verso il sacerdozio o il diaconato.

    D. – Come sono le prospettive delle vocazioni per i prossimi anni?

    R. – Well, we’ve had actually, recently…
    Veramente, di recente, alcuni studi mostrano un rialzo nel numero sia delle vocazioni dei consacrati che di quelle nel sacerdozio, e lo stesso vale per il diaconato permanente. Il clero è un gruppo che cresce all’interno della nostra Chiesa, perché il suo ministero serve sempre di più ed è riconosciuto sempre di più in tutto il Paese. Quindi, ci sono buoni risultati, ma abbiamo bisogno di più di quello che abbiamo. Penso che - contrariamente a quanto si pensa riguardo agli scandali e al loro impatto sulle vocazioni - non abbiamo visto un abbassamento, ma abbiamo visto solo un aumento nel numero delle vocazioni. (ap)

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    Le mani della mafia sull'impresa del gioco d'azzardo. Pubblicato un rapporto di Libera

    ◊   E’ considerata la terza impresa in Italia, l’unica con un bilancio sempre attivo e un fatturato legale annuo stimato in oltre 76 miliardi. E’ la macchina del gioco d’azzardo, spesso terreno d’affari per la criminalità organizzata. Il tema è al centro del dossier "Azzardopoli", curato dall’Associazione Libera e presentato questa mattina a Roma. Il servizio è di Paolo Ondarza:

    Oltre 76 miliardi di fatturato legale, 10 miliardi di quello illegale: produce tanto il gioco d’azzardo in Italia. Un settore che offre lavoro a 120 mila persone e mobilita il 4% del pil nazionale, con guadagni due volte superiori a quanto le famiglie spendono per la salute, otto volte rispetto a quanto riversato sull’istruzione. Circa 1260 gli euro pro-capite spesi tra video poker, slot machine, gratta e vinci, sale bingo, nell’illusione che un colpo di fortuna possa cambiare la vita. Speranze che per tanti si trasformano in una trappola economica e psicologica e delle quali approfitta la mafia: si contano in 41 i clan interessati. Daniele Poto, curatore del dossier Libera Azzardopoli:

    R. - Le mafie entrano sia nel gioco legale che nel gioco illegale, attraverso il riciclaggio, attraverso la gestione diretta di punti scommessa, attraverso l'usura o la gestione diretta di apparecchi più o meno legali…

    D. - E poi c’è il caso dell’acquisto da parte dei clan dei biglietti vincenti di lotteria, superenalotto, gratta e vinci… Si arriva a intercettare il vincitore per acquistare quel biglietto ad un prezzo, sì maggiorato, ma per poter riciclare i soldi…

    R. - Questo è addirittura sorprendente: è stata una pratica confermata anche dal procuratore antimafia, Diana Di Martino..

    La Lombardia è la regione dove si spende di più per il gioco, ma il primato tra le città ce l’ha Roma con 294 sale. Su un totale di 2 milioni di giocatori a rischio dipendenza sono 800 mila quelli patologici. L’azzardo – come detto dal card. Bagnasco – è una vera e propria droga. Matteo Iori, presidente della Onlus Papa Giovanni XXIII:

    “Una patologia che si manifesta in svariate forme: abbiamo sotto gli occhi quelle del video poker ma abbiamo anche una patologia da gratta e vinci, cioè di chi compulsivamente non può fare a meno ogni giorno di 'grattare' per vedere se ha vinto. E, naturalmente, se avrà vinto avrà comunque perso, perché 90 volte su 100 reinvestirà la modesta vincita sull’acquisto di nuovi gratta e vinci”.

    Libera sollecita le istituzioni ad intervenire su questa calamità economica e sociale a livello normativo, educativo, culturale, formativo e di informazione.(bi)

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    A Roma altre 72 pietre di inciampo per ricordare le vittime della furia nazista

    ◊   Ricordare con alcune pietre speciali, ideate dall’artista tedesco Gunter Deming, le vittime del nazifascismo. E’ l’obiettivo del progetto “Memorie di inciampo a Roma”, promosso dall’Associazione nazionale ex deportati e realizzato con modalità analoghe anche in altre città europee. La terza edizione di questa iniziativa è stata inaugurata oggi con l’installazione a Roma, in via Urbana 2, di un sampietrino in memoria di don Pietro Pappagallo, sacerdote ucciso alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del 1944. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    (Prime note della colonna sonora del film "Schindler List")

    Le nuove pietre ampliano il mosaico della memoria aggiungendo un nuovo tassello, che spinge a ricordare quanto accaduto in quel luogo e in quella data, intrecciando passato e presente. E’ quanto sottolinea Adachiara Zevi, curatrice del progetto in Italia:

    “In questa terza edizione saranno aggiunte 72 nuove pietre, quindi si raggiungerà un totale di 150 pietre. Ormai non c’è nessuno che abiti in un quartiere di Roma che non abbia almeno una pietra di inciampo e quindi che non abbia preso coscienza di quanto è accaduto. Il numero delle pietre in Europa, in 10 Paesi europei, ha raggiunto quota 33 mila. E’ un progetto che forse – purtroppo – non si esaurirà mai perché è impensabile puntare a collocare 10 milioni di pietre. Quelle pietre sono un po’ contro tutti quelli che fanno revisionismo, tutti quelli che fanno negazionismo. Queste pietre servono a 'riportare a casa' persone ridotte ad un semplice numero, a cui è stata tolta ogni dignità di persona”.

    La prima pietra di questa terza edizione romana è stata posta, questa mattina, per ricordare don Pietro Pappagallo, sacerdote ucciso nel 1944, che durante l’occupazione nazista di Roma dette asilo ai perseguitati “di ogni fede e condizione”. La pietra è stata commissionata da don Francesco Pesce, parroco della Chiesa Santa Maria ai Monti, che ricorda con queste parole il sacerdote vittima della furia nazista:

    “Era un uomo che ha vissuto il Vangelo fino in fondo, fino all’effusione del sangue. Per me è stato un grande onore partecipare a questa iniziativa ma anche un dovere di meditazione, per riflettere su ciò che è accaduto, certamente il male assoluto. Ma il bene esiste e sono queste persone che fanno la storia. Nella nostra parrocchia, sopra il campanile, ci sono ancora alcune stanze visibili dove il parroco nascondeva questi rifugiati, in particolare bambini. Ci sono scritte sui muri che sono ad altezza bambino e, quindi, custodire questa memoria è proprio un dovere per tutta la comunità parrocchiale. E’ un nostro dovere continuare nelle persecuzioni moderne: dare un esempio di come il Vangelo vince il mondo, di come è possibile far trionfare ancora il bene”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Nigeria. Cristiani in fuga, sale la tensione per il caro-benzina

    ◊   In Nigeria, una persona è stata uccisa durante manifestazioni nell’ambito dello sciopero generale proclamato oggi in segno di protesta contro il raddoppio dei prezzi del carburante. E’ accaduto a Lagos, mentre a Kano la folla ha cercato di entrare nell'ufficio del governatore. Nel Paese resta alta la tensione anche per i massacri contro i cristiani. Il presidente Jonathan ieri ha accusato “elementi interni all'apparato statale di appoggiare e "coprire" gli integralisti islamici del gruppo Boko Haram” che, da Natale, hanno massacrato più di 80 persone. Dai sanguinosi assalti alle chiese che il giorno di Natale avevano causato almeno 49 morti, nuovi attacchi – in maggioranza rivendicati dagli integralisti islamici di Boko Haram – hanno ucciso altre decine di cristiani. Stragi contro le quali nulla ha potuto finora lo stato d'emergenza decretato il 31 dicembre in alcuni Stati del nord dal presidente, né il coprifuoco imposto per 24 ore nell'Adamawa, un altro Stato del nordest, dalle autorità locali. Intanto, i cristiani delle tribù indigene nello stato di Yobe sono terrorizzati e si preparano ad abbandonare i loro territori ancestrali, a causa delle minacce e delle violenze del gruppo Boko Haram. E’ quanto riferiscono fonti di Fides in Nigeria, ricordando che Boko Haram "sta cambiando tattica per aggirare lo stato di emergenza. Stanno monitorando le aree in cui i cristiani si riuniscono, segnalano le case e cappelle cristiane e poi attaccano, casa per casa, durante la notte”. Come riferisce l’Ong “Christian Solidarity Worldwide”, che è presente in loco, a Damaturu, capitale dello Stato di Yobe, uomini armati hanno attaccato un complesso cristiano a Gashu'a Road, uccidendo due persone e ferendone altrie. La milizia continua a organizzare attentati esplosivi negli Stati di Borno e Jigawa e Gombe. Secondo i cristiani locali, “il pericolo è che ci siano rappresaglie, che possono innescare ulteriori violenze e spargimenti di sangue”. Padre Timothy Lehane Barrett, Segretario generale della “Pontificia Opera per la Propagazione della Fede”, che è stato di recente in Nigeria afferma: “Il Boko Haram non rappresenta i musulmani nigeriani: ho visto molte manifestazione di dialogo e solidarietà interreligiosa, perché i musulmani vedono le buone opere compiute dai cristiani. Vogliamo dire ai cristiani nigeriani che non sono soli, che molte comunità nel mondo pregano per loro e sono loro vicini. So che i fedeli in Nigeria offrono a Dio la loro sofferenza e pregano per i cristiani perseguitati in tutto il mondo e anche per i loro nemici, cioè per quanti li attaccano e li uccidono”. (F. S. e L.Z.)

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    In Inghilterra il governo taglia l’insegnamento della religione

    ◊   Il governo Cameron ha deciso il taglio del 15% dei posti riservati a chi insegna religione. Di conseguenza – riferisce l’agenzia Sir - sono scesi da 460 quest’anno ad appena 400 per il settembre 2012. Il portavoce del dipartimento dell’educazione della conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, Maeve McCormack, ha sottolineato che non solo ci saranno conseguenze sulla popolarità della materia ma peserà soprattutto l’esclusione dal nuovo baccalaureato inglese, una qualifica che comprende sei materie nelle quali gli studenti fanno esami a 16 anni. “Un provvedimento – ha aggiunto – che indica una mancanza di interesse del governo per l’insegnamento della religione”. “Eppure – ha proseguito McCormack - nell’apprendimento della religione gli alunni hanno l’opportunità di fare i conti non soltanto con le questioni metafisiche più profonde che riguardano l’esistenza umana e la natura della realtà ma anche con i problemi etici più urgenti del nostro tempo”. “La religione è una materia umanistica che richiede competenze e abilità nella storia, nella critica dei testi, nell’antropologia, nell’etica, nella filosofia e nella teologia e quindi – ha continuato - è adatta ad essere parte di qualsiasi qualifica che cerca di garantire una ampia educazione per i nostri alunni”. Le scuole cattoliche continuano ad essere tra gli istituti più prestigiosi nel Regno Unito. Le elementari sono in cima alle classifiche compilate dal governo per matematica e inglese nelle classi dai 7 ai 10 anni.(B.C.)

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    Sri Lanka: leader religiosi chiedono soluzioni urgenti per sfollati e riconciliazione con i tamil

    ◊   Leader di tutte le religioni chiedono al governo dello Sri Lanka di attuare “subito” le promesse fatte nel rapporto sulla guerra civile rilasciato dalla commissione d'inchiesta del presidente Mahinda Rajapaksa, la Lessons Learnt and Reconciliation Commission (Llrc). Tra i problemi rilevati, la Llrc evidenziava i presunti crimini di guerra, il reinsediamento di circa 200mila sfollati interni e la necessità di una soluzione del problema etnico tra singalesi e tamil. Per cristiani, buddisti, musulmani e indù del Congresso delle religioni “realizzare le proposte fatte nel documento è essenziale per stabilire una pace duratura al Paese, devastato da 30 anni di conflitto etnico”. Tuttavia, il governo ha replicato che al momento “non è possibile attuare subito tutti i propositi descritti nel rapporto”. Tutti i leader religiosi hanno inoltre sottolineato l’importanza della “libertà di stampa e parola” per “una riconciliazione permanente”. Keheliya Rambukwella, portavoce del ministero della Comunicazione, ha specificato: “Il governo deve prima confrontarsi con tutte le parti coinvolte nel processo di riconciliazione. Solo allora sarà possibile prendere provvedimenti, a seconda dei casi”. Il cardinale Oswald Gomes, arcivescovo emerito di Colombo, afferma invece che “bisogna attuare al più presto le promesse fatte nel rapporto Llrc, per non ripetere un’altra guerra”. Per l’arcivescovo infatti “la guerra non finirà fino a quando il governo non troverà una soluzione duratura al problema etnico”. “Il rapporto Llrc – ricorda il ven. Bellanvila Wimalaranthana Tero – suggeriva un’indagine sui crimini di guerra e le morti di migliaia di civili commessi dalle forze governative e dai ribelli delle Tigri Tamil”. Oltre a questo, il bonzo sottolinea la necessità di reinsediare nelle loro terre d’origine gli sfollati interni (Idps, Internally Displaced People) che ancora vivono nei campi profughi. “Il governo – afferma – dovrebbe istituire un sistema giudiziario indipendente e garantire una società libera dalla violenza”. Molti hanno giudicano il rapporto di 400 pagine della Llrc come una difesa delle forze armate nazionali dalle accuse di crimini di guerra formulate in un documento Onu del 26 aprile 2011. (R.P.)

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    Filippine: oltre 9 milioni di fedeli a Manila per la processione del Nazareno

    ◊   Sono in maggioranza giovani, incuranti delle minacce terroristiche registrate dal governo filippino, quelli che partecipano a Manila alla solenne processione del Nazareno, la statua del Bambino Gesù di colore conservata nel Santuario di Quiapo. La statua attraversa la città a bordo di un carro fino ad arrivare alla Basilica dove, oggi e domani, saranno celebrate incessantemente le Sante messe. Secondo l’agenzia Fides, il rischio di attentati potrebbe venire dai militanti islamici del sud, come il gruppo terrorista “Abu Sayyaf”, o da settori anticattolici e laicisti. Quindicimila agenti sono stati chiamati a presiedere alla celebrazione, ai fedeli è stato chiesto di non usare fuochi d’artificio, né portare borse o zaini. “La devozione al Nazareno – ha spiegato mons. Bernardino Cortez, vescovo ausiliare di Manila – ha oggi un profondo significato per la popolazione filippina, soprattutto per i poveri”. Il presule ha anche ricordato che in altre zone delle Filippine oggi si prega il Nazareno perché l’arcidiocesi di Manila ha inviato diverse copie della statua; oltre un milione di fedeli sono riuniti a Mindanao, nella regione di Cagayan de Oro, colpita di recente dal tifone Sendong. Al Nazareno chiederanno sostegno e consolazione per le loro disgrazie. La statua originale del Bambino Gesù è arrivata a Manila dal Messico nel 1607 a bordo di una nave che aveva preso fuoco. Proprio a causa dell’incendio la statua si è annerita e da qui il nome di “Nazareno Nero”. Altri roghi hanno segnato la sua storia sia nel 1791 che nel 1929. LA statua è rimasta indenne pure ai terremoti che hanno colpito la chiesa di Quiapo nel 1645 e nel 1863 e al bombardamento di Manila nel 1945, durante la Seconda Guerra mondiale.(B.C.)


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    Lione: convegno su Pauline Jaricot fondatrice dell'Opera della Propaganda della Fede

    ◊   “Rileggendo la vita di Pauline Jaricot, io penso a Davide, questo piccolo pastore, che affronta Golia. Sì, Pauline è Davide, e direi che il clima religioso e culturale fortemente anticlericale seguito alla Rivoluzione Francese, è il suo Golia”. A tratteggiare questo parallelo è mons. Savio Hon Tai Fai, Segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, nel suo intervento al colloquio internazionale sul tema “Pauline Jaricot, una donna sempre attuale” che si svolge oggi a Lione, in occasione del 150° anniversario della nascita al cielo della venerabile Pauline Marie Jaricot (1799-1862), che dedicò tutta la sua vita alla missione, alla preghiera ed al servizio dei poveri, fondando la Pontificia Opera della Propagazione della Fede ed il Rosario vivente.Come Davide, anche Pauline Jaricot si è recata al torrente della Scrittura, ha spiegato il Segretario del dicastero missionario, dove ha trovato le sue cinque piccole pietre levigate: la preghiera, la carità, l’umiltà, la fiducia in Dio, l’amore per il Santo Padre. “Pauline fonda il Rosario Vivente, questa catena di preghiera che sale ogni giorno dal cuore dei fedeli verso il Signore, per la propagazione del Vangelo e la venuta del Regno di Dio sulla terra” ha detto mons. Savio Hon Tai Fai . La seconda pietra è quella della Carità: “Pauline comprende che le missioni hanno anche bisogno di aiuto materiale, e a questo scopo organizza una raccolta settimanale per le missioni”, la prima nella storia, ad imitazione della colletta dei primi cristiani per la comunità di Gerusalemme, che successivamente estende a tutte le nazioni. Tradita, ingannata da loschi affaristi, Pauline vede poi contestato il suo ruolo di fondatrice, la sua salute malferma ed il suo cammino spirituale la riducono al silenzio. “Fino alla fine della sua vita, essa porterà con amore tutte le sue croci, fedele all’offerta che aveva fatto di se stessa a Cristo nella sua Passione, che era stata il motore del suo impegno”. Infine la sua incrollabile fiducia in Dio, che non viene scalfita nemmeno dalle più grandi difficoltà, e l’amore per il Santo Padre, concretizzato in una “obbedienza docile e attiva”: “alla luce della fede, comprende che la sua sottomissione alla Chiesa è la garanzia della fedeltà dell’Opera al suo carisma”.Concludendo il suo intervento, mons. Savio Hon Tai Fai ha ricordato le parole incise nella cappella dove è conservato il suo cuore, che la definiscono “martire della carità in favore della classe operaia”, ed ha sottolineato che “il suo esempio ha anticipato in maniera profetica l’appello di Benedetto XVI quando ha detto: ‘E’ necessario gettare le reti del Vangelo nel mare della storia per guidare gli uomini verso la terra di Dio’.” (R.P.)

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    Malaysia: le Chiese cristiane dicono basta alle discriminazioni e chiedono più tutele

    ◊   Le Chiese cristiane in Malaysia non sono più disposte ad accettare un trattamento inferiore e discriminatorio nei loro confronti. È la decisa presa di posizione espressa dalla Federazione cristiana della Malaysia (Cfm) in un comunicato diffuso il 6 gennaio dopo un colloquio con il Premier Najib Razak. Durante l’incontro i rappresentanti dell’associazione, che riunisce le principali Chiese del Paese tra cui quella cattolica, hanno chiesto un più deciso intervento del Governo per fermare l’escalation di attacchi, fisici e verbali, di cui sono stati vittime i cristiani nel Paese in questi ultimi mesi e di smantellare tutte le leggi e regolamenti che legittimano le discriminazioni nei loro confronti. “Nell’anno appena trascorso – denuncia la nota, firmata dal presidente della Cfm, il vescovo anglicano Ng Moon Hing - siamo stati testimoni di incidenti senza precedenti in cui i cristiani sono stati oggetto di accuse infondate e di insulti ai quali la polizia ha dato credito accogliendo le denunce. Non solo – continua il testo ripreso dall’agenzia Eglises d’Asie –, ma gli organi ufficiali del governo, tra cui i media, hanno agito nello stesso senso nella più completa impunità”. La nota non si risparmia critiche esplicite all’”inerzia” del Premier Najib Razak: secondo la Cfm, nonostante la sua immagine di uomo di dialogo e i diversi incontri avuti con i responsabili cristiani sul problema, il Primo Ministro non è riuscito a fare seguire alle parole i fatti e a fare prevalere la sua linea di moderazione nell’amministrazione pubblica. In conclusione, i leader cristiani chiedono al Primo Ministro di istituire un Ministero per gli affari religiosi non musulmani con il compito di difendere e proteggere i diritti e gli interessi delle minoranze religiose, che siano cristiane, buddiste, sikh, taoiste o indù. I cristiani in Malaysia sono il 9% della popolazione, per i due terzi musulmana sunnita (religione ufficiale del Paese), mentre il 19% pratica il buddismo; e il 6% induismo. La Chiesa vive in uno stato di soggezione e di esclusione nei confronti della maggioranza musulmana, un'esclusione che trova la sua legittimazione nello stesso ordinamento giuridico, sempre più islamizzato, come conferma tra l’altro l’annosa controversia sull’uso nei testi cristiani del termine Allah per indicare Dio. (L.Z.)

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    Usa-Messico: cresce il numero dei bambini reclutati dal narcotraffico

    ◊   E’ un vero e proprio allarme quello lanciato congiuntamente dalla Drug and Force Administration (Des), agenzia federale antidroga statunitense, e dall’Immigration and Customs Enforcement (Ice). In Messico ma anche negli Stati Uniti, è in crescita il numero dei minori tra gli 11 ed i 17 anni reclutati dai narcotrafficanti. Secondo quanto riporta l’agenzia Fides – i bambini sono impiegati come spie o come pali e il loro compenso varia a seconda della banda alla quale appartengono. Ad esempio l’organizzazione criminale messicana “Zetas” e il “cartello del Golfo” offrono una media di 500 dollari per il traffico di droga, mille per controllare gli ostaggi per un mese o 1.500 dollari per spiare e informare sugli spostamenti delle autorità. Recenti dati evidenziano che, nel sud della California, è aumentato il numero dei bambini messi in carcere per narcotraffico, complicità in estorsioni e rapimenti, corruzione e spionaggio. (B.C.)


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    In Cile è emergenza incendi. Forte appello dell’arcivescovo di Concepción

    ◊   In una nota diffusa dall’agenzia Fides, mons. Fernando Natalio Chomali Garib, arcivescovo di Concepción, ha lanciato un grido d’aiuto per la popolazione cilena in gravi difficoltà a causa degli incendi che hanno distrutto una vasta area del sud del Paese, oltre 37mila ettari. Al momento le vittime sono 8, tra di loro 7 vigili del fuoco, 500 gli sfollati, più di 220 le case distrutte. Il governo non esclude che gli incendi siano dolosi e si sta indagando in questa direzione. “La Chiesa di Concepcion è scioccata per quello che sta succedendo – ha scritto in una nota l’arcivescovo - il mio appello alla solidarietà è per coloro che soffrono perché molte famiglie hanno perso le loro case e ci sono persone che hanno perso anche il posto di lavoro”. “Non possiamo restare indifferenti”: ha ribadito il presule che ha fatto appello a quanti sono in grado di reperire urgentemente coperte, cibo e acqua. “La Chiesa coopera con lo Stato – ha evidenziato mons. Chomali - mettendo a disposizione le strutture pastorali per portare sostegno alle persone colpite da questa tragedia”. Per fortuna sono stati tratti in salvo i 20 anziani residenti nella casa di cura “San Jose”, nella zona di Nipas. (B.C.)

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    Usa: il 23 gennaio a Washington la tradizionale Marcia per la Vita contro l'aborto

    ◊   “Uniamoci sui principi della vita per rovesciare la Roe contro Wade e proteggiamo con amore le madri e i bambini non nati, senza se e senza ma”. Sarà questo il tema della 39ª edizione della Marcia per la Vita a Washington, l’ormai tradizionale appuntamento promosso dalla Chiesa americana nell'anniversario della storica sentenza della Corte Suprema che nel 1973 ha legalizzato l'aborto negli Stati Uniti. La manifestazione – riferisce l’agenzia Cns - si svolgerà il 23 gennaio e, come ogni anno, sarà preceduta da una Veglia notturna di preghiera per la Vita nel Santuario nazionale dell'Immacolata Concezione alla quale sono attese circa 20mila persone. A presiedere la Messa di apertura, nella serata del 22 gennaio, sarà il cardinale Daniel Di Nardo, arcivescovo di Galveston-Houston e presidente della Commissione per le attività pro-vita della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, che svolgerà l’omelia. La veglia si concluderà la mattina successiva con una concelebrazione eucaristica presieduta dal cardinale designato Timothy Dolan, arcivescovo di New York. Seguirà la tradizionale marcia diretta alla Corte Suprema organizzata da diverse organizzazioni pro-vita. L’evento sarà accompagnato e preceduto da numerose altre manifestazioni e iniziative a Washington , ma anche in altre città del Paese. Tra queste la 16ª Messa e Marcia dei giovani per la Vita promossa dall’arcidiocesi di Washington, che ospiterà anche due concerti per la vita, il 21 e 22 gennaio, e, il 22 gennaio, una conferenza presso la Georgetown University alla quale interverrà il cardinale Charles J. Chaput. Si segnala inoltre la “Camminata per la Vita sulla West Coast” (West Coast Walk for Life), a San Francisco, giunta alla sua ottava edizione. Dopo il boom di adesioni registrato nelle ultime edizioni, gli organizzatori si attendono anche quest’anno una grande partecipazione, soprattutto tra i giovani. (L.Z.)

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    Kenya: un progetto teatrale dell’Aibi per bambini abbandonati

    ◊   “Senza un nome, non esisti”: è il progetto che l’Aibi, Associazione Amici dei bambini, ha promosso in Kenya a partire dallo scorso anno presso sei istituti. Si tratta – riferisce l’agenzia Sir – di un’iniziativa per coinvolgere i bimbi abbandonati in rappresentazioni teatrali nelle quali imparare i diritti e i doveri fondamentali. “E’ un modo divertente – fanno sapere gli organizzatori - oltre che un’opportunità di coinvolgimento in attività propedeutiche” . I ragazzi coinvolti, di età compresa tra i 5 e i 18 anni, imparano a relazionarsi tra loro e a “fare gruppo”. Le storie sono scritte dai bambini con l’aiuto dell’insegnante che gli spiega i loro diritti fondamentali, solo successivamente vengono messe in scena con danze e canti. (B.C.)

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    Il Patriarcato di Venezia invia in Bolivia un diacono

    ◊   Nel corso della Santa Messa dell’Epifania del Signore, l’amministratore apostolico del Patriarcato di Venezia ha annunciato l’invio in Bolivia di un diacono. Si tratta di Tiziano Scatto, già segretario del cardinale Angelo Scola, al quale è stato consegnato un Crocifisso, segno della missione, a nome della chiesa diocesana. Da tempo – ha riferito mons. Pizziol – il cardinale Julio Terrazas Sandoval, vescovo di Santa Cruz della Sierra, aveva chiesto un aiuto per l’Hogar di Santa Maria degli Angeli, una casa che accoglie circa 80 bambini e bambine dai 6 ai 17 anni. Si tratta di bimbi solitamente orfani, poveri, disabili o abbandonati dalle loro famiglie. “La Bolivia – ha sottolineato mons. Pizziol – è tra i Paesi più poveri dell'America Latina, pur avendo enormi ricchezze e la povertà genera nella popolazione gravi problemi di ordine morale e di convivenza civile”. Così l’invio del diacono potrà assicurare sostegno materiale e spirituale a questa zona in difficoltà.(B.C.)

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli.