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Sommario del 07/01/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Dalla Congregazione per la Dottrina della Fede le linee pastorali per l'Anno della fede
  • Udienze, rinunce e nomine
  • P. Lombardi: il viaggio del Papa a Cuba e in Messico, chance di speranza per l'America Latina
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Nigeria: violenze anticristiane, otto morti per un attacco in una chiesa
  • Monti all'Eliseo: dall'Italia sforzi enormi, ora tocca all'Ue. Il commento dell'economista Vaciago
  • Siria: i funerali delle 26 persone uccise nell'attentato di ieri a Damasco
  • Partito il pellegrinaggio dei vescovi europei e americani in Terra Santa
  • Le Chiese ortodosse festeggiano il Natale. Intervista con il nunzio in Bielorussia, mons. Gugerotti
  • Omicidio nella comunità cinese di Roma: forse non una semplice rapina
  • Due anni fa la rivolta degli immigrati a Rosarno. Don Varrà: da allora non è cambiato granché
  • Il commento al Vangelo della domenica dopo l'Epifania del teologo padre Bruno Secondin
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Pakistan. Legali di Asia Bibi presentano istanza d’appello: dagli estremisti minacce di morte
  • Unicef: tornano a scuola i bambini della Libia e delle Filippine, importante segno di normalità
  • A Cuba si apre l’Anno giubilare dedicato alla Madonna della “Caridad del Cobe”
  • Usa: il cardinale O'Malley sugli abusi sessuali nell'arcidiocesi di Boston
  • Australia: una proposta di legge minaccia gli enti caritativi. L’appello del Catholic Health
  • Mongolia: verso l’abolizione della pena di morte. Soddisfazione della Comunità di Sant’Egidio
  • Le Figlie di Nostra Signora delle Missioni festeggiano i 150 anni di presenza in Bangladesh
  • Provincia d'Italia dei Gesuiti: rinnovare lo slancio missionario nella crisi del Paese
  • All’Università Lateranense l’incontro “Quale famiglia per quale società”
  • Il Papa e la Santa Sede



    Dalla Congregazione per la Dottrina della Fede le linee pastorali per l'Anno della fede

    ◊   La Sala stampa della Santa Sede ha reso noto oggi la Nota della Congregazione per la Dottrina della fede che offre indicazioni pastorali per l’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI dall’11 ottobre prossimo al 24 novembre del 2013. Un anno che cade nel 50° dell’apertura del Concilio Vaticano II e del 20° del Catechismo della Chiesa Cattolica. Le indicazioni pastorali – preparate da più dicasteri della Santa Sede – sono rivolte alla Chiesa universale – con molti eventi presieduti dal Papa - alle Conferenze episcopali, alle Diocesi ed alle Parrocchie, Comunità, Associazioni e Movimenti. Roberto Piermarini ha chiesto al padre Hermann Geissler, responsabile dell’Ufficio Dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede perché il suo Dicastero ha voluto offrire indicazioni pastorali per l’Anno della fede:

    R. – Come si sa la Congregazione per la Dottrina della Fede è competente non solo per correggere gli errori, ma anche e primariamente per promuovere la dottrina della verità. Mi pare che questa Nota, con suggerimenti pastorali, entri perfettamente in questo compito promozionale, che è anche specifica della Congregazione stessa; mi pare anche che entri perfettamente nel programma del Papa che, sin dall’inizio del suo Pontificato, ha cercato di rinnovare la fede, partendo da Cristo: ricordo solo il suo accenno recentemente alla Curia Romana, quando ha detto “se la fede non riprende vitalità, tutte le altre riforme rimarranno inefficaci”. La riforma veramente necessaria, oggi, nella Chiesa è quindi il rinnovamento della fede. Direi che lo scopo di questa Nota è triplice. Il primo scopo è quello di aiutare i fedeli a riscoprire il nucleo della fede, il fondamento della fede, che è l’incontro personale con Cristo, l’incontro personale col Signore, che ci ama, ci sostiene, ci perdona, ci incoraggia e ci mostra un grande futuro. Partendo da questo, penso che ci sia un secondo scopo della Nota – anch’esso molto importante – che è quello di aiutare tutti a riscoprire il significato e i documenti del Vaticano II. Molti parlano del Vaticano II, ma quando poi si scende un po’ più approfonditamente, ci si accorge che pochi conoscono veramente i testi di questo grande e ultimo Concilio. Quindi penso che sia veramente molto importante riscoprire il tesoro di tutto questo. Menziono anche il terzo scopo, che è quello di riscoprire la fede in tutta la sua bellezza e nella sua integralità. Per questo credo, ovviamente, che il Catechismo della Chiesa Cattolica possa aiutarci molto, perché è importante oggi capire e comprendere anche la Dottrina della Fede. L’Anno della Fede vuole aiutarci proprio in questo.

    D. – Quali proposte pastorali offre la Nota?

    R. – La Nota offre tante proposte: sono 40 e vengono proposte a livello di Chiesa universale, a livello di Conferenze episcopali, a livello poi delle diocesi, delle parrocchie, delle comunità, delle associazioni e dei movimenti. Per quanto riguarda le proposte della Chiesa universale saranno ovviamente caratterizzate da molti eventi che vedranno la partecipazione del Santo Padre: l’apertura dell’Anno della Fede, ad esempio, sarà una solenne celebrazione in ricordo del 50.mo di apertura del Vaticano II; ricordo poi il Sinodo dedicato alla nuova evangelizzazione, all’inizio di questo Anno della Fede, che rappresenterà un momento molto importante; ricordo anche i simposi e i convegni che si terranno qui a Roma a livello internazionale, per riscoprire proprio il significato del Vaticano II. Sempre a livello di Chiesa universale sono anche previste celebrazioni ecumeniche per promuovere l’unità dei fedeli: un punto forte, questo, del Concilio. Ci sarà una solenne celebrazione con tutti i cristiani per riaffermare la fede comune in Cristo. A livello poi delle Conferenze episcopali ricordo soltanto una proposta, che è quella di impegnarsi nuovamente nella catechesi, perché la Catechesi è assai importante per la Chiesa: sappiamo, infatti, che la catechesi sta vivendo un momento di crisi in molte parti della Chiesa e a questo riguardo la Nota incoraggia i vescovi a rifare i sussidi, che non sono in parte ancora conformi al Catechismo della Chiesa Cattolica. Credo che sia molto importante che i testi della catechesi siano veramente ben fatti per essere veramente di aiuto ai fedeli. Per quanto riguarda poi le proposte a livello diocesano, c’è la proposta che ogni vescovo faccia una Lettera pastorale sulla fede; c’è poi la proposta di offrire catechesi per i giovani nelle cattedrali e nelle grandi chiese o per quelle persone che stanno cercando la fede o il senso della vita; c’è ancora la proposta di un rinnovato dialogo tra fede e ragione, che appare molto importante ai nostri giorni, in cui non in pochi pensano che fra fede e ragione non vi possa essere una sintonia. Il Papa invece dice che c’è, che ci sia anzi un’amicizia. A questo scopo è stato chiesto alle Università cattoliche di impegnarsi nella promozione di simposi, di giornate di studio, etc. Per quanto riguarda poi le parrocchie, faccio presente che la proposta centrale è molto semplice, ma comunque centrale, ed è la celebrazione dell’Eucaristia: che sia ben fatta, perché l’Eucaristia è il Mistero della Fede e nell’Eucaristia Gesù stesso rinnova la fede in noi, ci incoraggia, ci sostiene, ci fortifica. Partendo dall’Eucaristia devono poi nascere tutte le altre proposte a livello parrocchiale: rinnovamento della catechesi, distribuzione del Catechismo, collaborazione con i movimenti, con le associazione. Qui ci vuole anche un nuovo accordo, una nuova sinergia, una nuova collaborazione di tutte le forze della Chiesa

    D – A livello pastorale, come saranno ricordati i due eventi commemorativi che caratterizzano l’Anno della Fede, che lei ha già citato: il 50.mo del Concilio Vaticano II ed il 20.mo del Catechismo della Chiesa Cattolica?

    R. – Direi che c’è ovviamente una celebrazione solenne di apertura dell’Anno della Fede e che sarà un momento commemorativo anche dell’apertura del Concilio Vaticano II, cinquant’anni fa, e ci sarà poi anche una solenne celebrazione conclusiva non solo a Roma – perché ci si propone di farlo in tutte le diocesi del mondo – in cui riaffermare la fede della Chiesa, riaffermare la gioia della fede della Chiesa. L’accento della Nota, però, non è sulle celebrazioni; l’accento è anzitutto sulla formazione: ciò che mi pare oggi importante è quello di fare una grande opera di formazione in tutta la Chiesa. Ho già fatto un accenno di come sia necessario riscoprire veramente il significato e i testi del Vaticano II, proprio perché questo Concilio ha voluto, partendo proprio da Cristo, rinnovare tutta la Chiesa, approfondendo così la sua natura e il suo rapporto con il mondo contemporaneo. Mi pare che qui ci siano gravi lacune, perché molti – come ho già detto – non conoscono i testi; molti non hanno capito bene il Vaticano II. Il Vaticano II ha voluto aprire le finestre affinché lo Spirito del Signore potesse penetrare il mondo: ma, in realtà, in molte parti purtroppo è lo spirito del mondo che è entrato nella Chiesa. Dobbiamo quindi ritornare ai testi del Concilio per riscoprire di nuovo le grandi intenzioni e il vero significato di questi testi. Mi pare che il Catechismo della Chiesa Cattolica, che è l’altro grande movimento che verrà commemorato, è di grande aiuto: il Catechismo presenta la dottrina del Concilio all’interno di tutta la tradizione, di tutta la dottrina della Chiesa, della fede, dei sacramenti, della morale, della preghiera e rappresenta veramente una grande opera di sintesi che ci presenta la sinfonia della fede, la bellezza della fede, l’integralità della fede. Mi pare quindi che sia di grande aiuto e spero che i fedeli e tutti coloro che ricoprono un ruolo nella Chiesa usino molto questo strumento per riscoprire il tesoro della fede.

    D. - Tra i suggerimenti particolari a livello delle diocesi, la nota propone “celebrazioni penitenziali per chiedere perdono a Dio specialmente per i peccati contro la fede”. Può approfondire il significato che si vuole dare a queste celebrazioni e il valore di queste iniziative nel contesto dell’Anno della Fede?

    R. – Sì, ho già detto che la fede è un dono prezioso. Il Vangelo parla una volta della “perla preziosa” e se la fede è veramente un grande dono dobbiamo valorizzare questo dono, dobbiamo accoglierlo, dobbiamo nutrirlo, dobbiamo diffonderlo, dare testimonianza, e mi pare che, se siamo sinceri, dobbiamo dire che nella Chiesa ci sono grandi lacune. Ci sono fedeli che non conoscono affatto la fede, che non praticano la fede, che non si interessano di formare la fede. Per non parlare della testimonianza, che non c’è: quando il cuore non brucia, la fede non può essere trasmessa. Dobbiamo ammettere che ci sono queste grandi lacune e mi permetto anche di dire che ci sono catechisti e sacerdoti che non presentano la fede nella sua integralità, nella sua bellezza e che, in parte, seminano anche dubbi e incertezze. Queste sono cose gravi. In parti della Chiesa l’accento è stato anche posto molto sulla dimensione sociale, umanitaria, che è importante, però talvolta la fede è stata messa in seconda fila. Penso che questo sia un problema e dobbiamo ammettere che anche all’interno della Chiesa abbiamo sbagliato. Secondo me, dobbiamo capire di nuovo che i peccati contro la fede sono molto gravi, sono molto nocivi per la Chiesa. Gesù stesso dice: “se il sale perde il suo sapore a che cosa serve?” Mi pare una domanda molto seria. Gesù dice un’altra volta:” il Figlio dell’uomo quando tornerà troverà ancora fede sulla terra?” Dobbiamo porci queste domande e dobbiamo umilmente chiedere perdono a Dio per i peccati contro la fede che abbiamo commesso.

    D. – La nota si avvale del contributo di altri Dicasteri della Santa Sede?

    R. – Naturalmente. A Roma si lavora sempre in modo collegiale. La nota è stata preparata sostanzialmente dal Comitato per la preparazione dell’Anno della Fede e questo comitato è stato composto da circa 15 cardinali e presuli, in parte da grandi diocesi del mondo, in parte da capi Dicastero qui a Roma, i capi dei Dicasteri più coinvolti: anzitutto l’Educazione cattolica, i Vescovi, il Clero, l’Evangelizzazione, la Nuova evangelizzazione, anche i Laici... Quindi già nella preparazione di tutto l’Anno della Fede c’è stato un lavoro collegiale qui a Roma – come, secondo me, deve essere - e poi quando il progetto della nota è stato elaborato, è stato trasmesso a tutti i Dicasteri coinvolti, anche a quelli che non erano rappresentati nel comitato, come il Dicastero per la Vita Consacrata, il Dicastero per l’Unità della Chiesa, per la Cultura, tutti hanno contribuito per la stesura finale della nota. Mi permetto di aggiungere che auspico che questo lavoro collegiale, così ben iniziato, possa continuare e non solo a Roma. Penso che dobbiamo tutti stringerci intorno al Papa: tutti i vescovi, i sacerdoti, i laici, tutta la Chiesa, per promuovere questo Anno della Fede, perché diventi veramente un anno di grazia.

    D. - Come saranno coordinate le diverse iniziative promosse dai vari Dicasteri della Santa Sede per questo anno della fede?

    R. – E’ una domanda importante perché bisogna coordinare bene le diverse iniziative. A questo scopo, presso il Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione, è stata istituita una segreteria che ha il compito di coordinare tutte le iniziative promosse qui a Roma, le iniziative maggiori a livello universale e, poi, anche proporre iniziative, suggerire nuove iniziative, perché le proposte che la nota offre sono solo esemplificative, possono nascerne molte altre che lo Spirito Santo magari suscita nella testa e nei cuori dei fedeli, dei pastori… Poi sempre questa segreteria strutturerà un sito internet che offrirà informazioni utili per i fedeli per essere veramente informati bene e aggiornati su tutte le iniziative dell’Anno della Fede. (mg/bf)

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    Udienze, rinunce e nomine

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale vicario, Agostino Vallini, e il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. Il Papa ha inoltre ricevuto l’arcivescovo Charles John Brown, nunzio apostolico in Irlanda, con i familiari, e l’arcivescovo Marek Solczyński, nunzio apostolico in Georgia e Armenia, anch’egli accompagnato da familiari.

    Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Makeni (Sierra Leone), presentata da S.E. Mons George Biguzzi, S.X., in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Makeni (Sierra Leone) il Rev.do Henry Aruna, del clero di Kenema, Segretario Generale della Conferenza Episcopale di Gambia e Sierra Leone. Il Rev.do Henry Aruna è nato il 2 agosto 1964 a Yemandu, diocesi di Kenema. Ha compiuto gli studi elementari nella St. Paul’s Primary School e le scuole secondarie nella Holy Trinity Secondary School a Kenema. Dal 1982 al 1984 ha frequentato il Seminario minore San Kizito a Kenema, dove ha completato poi il corso propedeutico nel 1985. Ha svolto gli studi filosofici prima al St. Paul’s College Seminary, a Gbarnga, in Liberia, e poi a Makeni, in Sierra Leone, dove ha conseguito il Baccalaureato in Filosofia (1985-1989) e in Teologia (1989-1922). È stato ordinato sacerdote il 16 aprile 1993 ed incardinato nella diocesi di Kenema.Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: 1993-1995: Vicario nella parrocchia di Blama; 1995-1996: Amministratore della missione cattolica presso i rifugiati, in collaborazione con la Caritas e l’UNHCR; 1996-1999: Professore al Seminario maggiore St. Paul’s di Makeni; nel 1997, ha svolto un breve corso di formazione religiosa: Counselling, Human Growth, Spirituality and Development presso l’Istituto di Sant’Anselmo, Kent, Inghilterra; 1999-2011: Studi per la Licenza in Filosofia presso l’Università Urbaniana a Roma; 2001-2009: Professore al Seminario maggiore St. Paul’s di Freetown, dove è stato anche Decano degli Studi ed Economo; 2004-2005: Master of Education all’Università di Sierra Leone. Dal 2008 è Segretario della Conferenza Episcopale di Gambia e Sierra Leone e Direttore Nazionale delle PP.OO.MM.

    Il Santo Padre ha nominato Vescovo della diocesi di Ngong (Kenya) il Rev.do John Oballa Owaa, Rettore e Docente al Seminario maggiore nazionale di St. Thomas Aquinas di Nairobi. Il Rev.do John Oballa Owaa è nato il 28 agosto 1958 nella parrocchia di Ahero, arcidiocesi di Kisumu. Ha studiato Filosofia nel Seminario aggiore di St. Augustine (1980-1982) e Teologia presso il Seminario maggiore nazionale di St. Thomas Aquinas (1982-1986). È stato ordinato sacerdote il 28 agosto 1986 e incardinato nell’arcidiocesi di Kisumu. Dopo l’ordinazione sacedotale ha svolto i seguenti incarichi: 1986-1988: Vicario parrocchiale, Kibuye e Cattedrale; 1989-1990: locum tenens, Barkorwa, Catholic Church; 1991-1997: Studi per la Licenza e il Dottorato in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Urbaniana, a Roma; nel medesimo periodo ha anche ottenuto un Diploma in Giurisprudenza presso l’Università Gregoriana; 1995-1997: Officiale del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari; 1998-2010: Parroco nella Parrocchia di Ojolla; 1999-2001: Segretario e Amministratore delle finanze dell’arcidiocesi di Kisumu; 2004-2010: Vicario Generale dell’Arcidiocesi di Kisumu. Dal 2010 è Rettore del Seminario Maggiore Nazionale di St. Thomas Aquinas a Nairobi.

    Il Papa ha nominato Consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede il Rev.do P. Serge Thomas Bonino, O.P., Segretario Generale della Commissione Teologica Internazionale.

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    P. Lombardi: il viaggio del Papa a Cuba e in Messico, chance di speranza per l'America Latina

    ◊   Ha suscitato una corrente di interesse ed entusiasmo tuttora vivi la notizia, rilanciata in questo giorni dagli episcopati locali, del viaggio apostolico a Cuba e in Messico che Benedetto XVI compirà a fine marzo prossimo. Sulla tappa messicana che aprirà la visita papale si sofferma in particolare il nostro direttore generale, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per "Octava Dies," il settimanale d'informazione del Centro Televisivo Vaticano:

    Nel primo giorno del nuovo anno, i vescovi del Messico e di Cuba hanno annunciato il programma del viaggio del Papa nei due Paesi. Non c’è molto bisogno di attirare l’attenzione sulla tappa cubana, dato che il giubileo della Vergine della Caridad del Cobre si inserisce su una singolare situazione storica e politica della grande isola caraibica, mentre è giusto mettere a fuoco i molteplici motivi e il significato continentale della tappa messicana, non per nulla la prima del viaggio.

    Celebrando il 12 dicembre in San Pietro la solennità di Nostra Signora di Guadalupe, il Papa ha indicato la sua volontà di partecipare al Bicentenario dell’indipendenza dei Paesi dell’America Latina, e ha parlato con intensità del “cammino di integrazione” di questo “caro continente” e “del suo nuovo protagonismo emergente nel concerto mondiale”, indicando gli orizzonti di una crescita pienamente umana e della “missione continentale” di “nuova evangelizzazione”. Così ora ha scelto di recarsi nel più popoloso dei Paesi ispanici, per continuarvi la celebrazione, insieme ai rappresentanti degli episcopati latinoamericani, proprio in quel “Parco del Bicentenario” costruito recentemente nell’esatto centro geografico del Messico, ai piedi del Cubilete, dove sorge il Santuario nazionale di Cristo Re, da cui si abbraccia spiritualmente l’intero Paese.

    Chi non rimane toccato dall’affetto dei messicani per il Papa? dal loro entusiasmo quando vengono a trovarlo a Roma? Chi non ricorda l’accoglienza trionfale che hanno offerto a Giovanni Paolo II nei suoi cinque viaggi in vita, e negli ultimi mesi anche alla sua reliquia pellegrina nella loro terra? Venti anni fa, stabilendo i rapporti diplomatici con la Santa Sede, il Paese ha riconosciuto la profonda anima cattolica del suo popolo. Papa Benedetto sapeva di dover andare in Messico, e ha voluto scegliere una località in cui il suo Predecessore non aveva potuto recarsi. Perché è la stessa missione che continua e si sviluppa. Possa il suo viaggio essere impulso di superamento della povertà e della violenza, di speranza e di pace per il Messico e per tutta l’America Latina.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il messaggio di Benedetto XVI nella solennità dell'Epifania.

    In prima pagina, un editoriale del direttore dal titolo “Con umile coraggio”

    Segni dei tempi: Prosper Grech sul libro dell’Apocalisse e la storia.

    Nell'informazione internazionale, la situazione in Nigeria: decine di morti in attacchi dei fondamentalisti islamici nel nord.

    Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede con indicazioni pastorali per l’Anno della fede.

    Il Concilio Vaticano II: il discorso di Paolo VI all'udienza generale dell'8 marzo 1967.

    Speranza da condividere: in Terra Santa l’annuale incontro di vescovi europei e del Nord America.

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    Oggi in Primo Piano



    Nigeria: violenze anticristiane, otto morti per un attacco in una chiesa

    ◊   Continuano le violenze contro i cristiani in Nigeria, dove nella notte otto persone sono state uccise durante un attacco ad una chiesa nello Stato di Adawama. Intanto, centinaia di persone hanno lasciato le loro abitazioni nella città di Potiskum, nel nordest del Paese, dopo gli scontri a fuoco tra islamisti e forze di sicurezza. Sulla situazione nel Paese africano Fabio Colagrande ha intervistato padre Franco Moretti, direttore di Nigrizia:

    R. - Siamo di fronte al fatto che una popolazione si trova in un Paese molto ricco, benedetto dall’alto con immense risorse – soprattutto petrolio – ma dove la popolazione, soprattutto nel Nord del Paese, stenta a godere di questi beni, di queste risorse. Se ci fosse più giustizia e più armonia sociale, questi scontri diminuirebbero e forse cesserebbero.

    D. – Nel Paese continuano le tensioni sociali legate anche all’aumento del prezzo della benzina, che è raddoppiato dall’inizio dell’anno. C’è qualche collegamento tra queste violenze e la situazione sociale ed economica?

    R. – Noi abbiamo l’incontro tra le popolazioni animiste e cristiane con le grandi masse islamiche. Teniamo presente che il nome del movimento Boko Haram vuol dire, in sostanza, che tutto ciò che è occidentale è anatema, quindi è peccato e va evitato. Sono fondamentalisti. Dunque, ci sono due visioni religiose che si scontrano e tuttavia il carburante vero di questo scontro è dato dal fatto che gli uni hanno goduto della modernità, sono andati a scuola, hanno mezzi per migliorare la qualità della vita, e gli altri, invece - anche per tradizione - non hanno mai goduto davvero di questo nuovo progresso. (ap)

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    Monti all'Eliseo: dall'Italia sforzi enormi, ora tocca all'Ue. Il commento dell'economista Vaciago

    ◊   Dall'Italia sono venuti degli sforzi enormi e adesso tocca all'Unione Europea fare la sua parte con un segnale forte. Questo il messaggio che il premier italiano, Mario Monti, ha lanciato ieri dall’Eliseo, dove ha incontrato il presidente francese Sarkozy. Il segnale che si vuole dare, insomma, è che la crisi non aspetta e Bruxelles deve muoversi per tempo se si vuole salvare l'Eurozona. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Giacomo Vaciago, docente di Economia Internazionale presso l’Università Cattolica di Milano:

    R. – Sono due le cose da fare: ridurre lo squilibrio di finanza pubblica e fare le riforme, grazie alle quali potremo tornare a crescere. Questo vale per l’Italia, ma vale a maggior ragione per l’Europa. Da due anni Berlino predica austerità, ma di austerità si muore. Il vero problema è che oltre all’austerità ci vuole anche una locomotiva che faccia ripartire l’Europa.

    D. – Il premier Monti vuole ritagliare un ruolo per l’Italia che potrebbe mettere d’accordo anche Merkel e Sarkozy. Ci riuscirà e, se sì, in che modo?

    R. – Spero fortemente che ci riesca. In questi due anni abbiamo assistito a una recita incredibile: quasi ogni settimana c’erano incontri tra la Merkel e Sarkozy, ma il divario tra i due era talmente evidente da non poter essere colmato. La guida europea, che per tradizione cinquantennale era franco-tedesca, è venuta a mancare. Se Monti, completando il duetto, riuscirà a fare squadra, si potrà definire la strategia. Attenzione, questi vertici non devono decidere cosa succederà domani, ma dove l’Europa andrà nei prossimi 20 anni.

    D. – Ci vuole, quindi, una strategia di comunione per superare la crisi?

    R. – E’ fondamentale riscoprire le ragioni dello stare insieme. Mai come oggi avremmo bisogno di un’Europa unita, e la moneta può essere il collante o il solvente. Potrebbe anche costringerci, se non riuscissimo a stare insieme, ad andare ognuno per la propria strada. Questo sarebbe un esito davvero triste, perché quel giorno anche la grande Germania, da sola, non conterebbe più niente.

    D. – Se le cose non cambiano, c’è il rischio che possa ripetersi anche l’esperienza della Grecia, un Paese che vive un continuo rischio "default"?

    R. – L’intera costruzione europea è a rischio default. In questi giorni, abbiamo rivisto spread che scommettono sul disfacimento dell’Europa e non più sull’uscita di un solo Paese, che sarebbe poco male su un totale di 17. Il problema è che questi mercati stanno ancora scommettendo su una prossima scomparsa dell’Europa. (vv)

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    Siria: i funerali delle 26 persone uccise nell'attentato di ieri a Damasco

    ◊   Oggi, in Siria, si celebrano i funerali ufficiali delle 26 persone uccise nell’attentato suicida avvenuto ieri nel pieno centro di Damasco. Per il governo, che ha annunciato il pugno di ferro, l’azione è opera di terroristi. Unanime la condanna della comunità internazionale. L’Iran e le milizie libanesi di Hezbollah puntano il dito contro quelli che definiscono “i nemici della Siria” e in particolare contro gli Stati Uniti. Solidarietà a Damasco anche da parte della Russia, che ha inviato nell’area due navi da guerra. Gli attivisti, invece, lamentano seimila morti dall’inizio della repressione e chiedono l’uscita di scena del presidente Assad. In merito alla situazione in Siria, Eugenio Bonanata ha raccolto il commento di Paolo Branca, docente di Lingue e letteratura araba all'Università Cattolica di Milano:

    R. – Penso che la situazione della Siria sia emblematica per quanto riguarda i paradossi della politica internazionale. Quello siriano è uno dei regimi più feroci e più invisi all’Occidente, eppure questa transizione fa molta più fatica rispetto a quella avvenuta in Tunisia ed Egitto, che erano visti come Paesi moderati e a noi più prossimi. Ho paura che questo bagno di sangue che sta sconvolgendo il Paese non abbia sbocchi, perché non ci sono in ballo interessi più generali possano spingere in tale direzione e continuano quindi ad imporsi le vecchie logiche.

    D. – Cosa possiamo dire della missione degli osservatori della Lega araba, che ormai ha ammesso gli errori fatti sul territorio e, per questi stessi errori, sarebbe anche pronta a chiedere il sostegno dell’Onu?

    R. – Credo che i rappresentanti dei Paesi arabi siano ancora funzionari di regimi o di ex regimi. La cosa che più li impaurisce, probabilmente, è l’ulteriore contagio, l’effetto-domino che può diffondersi ancora di più nell’area, e quindi si trovano lì per fare, per così dire, il meno possibile. Questo appellarsi all’Onu è alquanto paradossale, perché hanno sempre contestato il fatto che l’Onu fosse "super partes" in questioni come quella palestinese o simili. Siamo veramente in una situazione di stallo.

    D. – La Lega araba, attraverso Hamas, ha comunque chiesto alla Siria di porre fine alle violenze…

    R. – Questo è inevitabile: in fondo, si tratta di cittadini disarmati che vengono uccisi dal loro stesso governo. Questa, alla lunga, è una cosa che ripugna e che non può stare in piedi. Penso che il regime di Damasco avrebbe dovuto muoversi da tempo per guidare la transizione piuttosto che subirla. Evidentemente, però, stanno prevalendo le frange oltranziste, anche interne.

    D. – In questo quadro si estende il fronte dei dissidenti: in queste ore, anche un alto generale ha voltato le spalle a Damasco. Cosa possono fare?

    R. – Sono certamente delle figure simboliche, che però danno un segnale molto preoccupante, che siamo cioè alle soglie – o addirittura già all’interno – di una guerra civile. Questo, forse, è uno degli elementi che preme maggiormente la diplomazia internazionale per intervenire con decisione, perché ci sono fattori etnico-religiosi che potrebbero trasformare la Siria in un altro Iraq: a ridosso di Israele, in una zona così delicata, ovviamente questa possibilità spaventa tutti.

    D. – Finché ci sarà l’opposizione della Cina e della Russia, in sede del Consiglio di sicurezza dell’Onu, probabilmente non ci sarà un avanzamento o una novità significativa nella crisi siriana…

    R. – Potrebbe essere anche un buon alibi, perché non credo che i Paesi occidentali possano fare, in Siria, qualcosa di simile a ciò che è stato fatto in Libia, anche perché mancherebbero le condizioni per farlo. Tutto sommato, quindi, può anche far comodo che qualcuno dica di "no", per affermare che si hanno le mani legate. (vv)

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    Partito il pellegrinaggio dei vescovi europei e americani in Terra Santa

    ◊   Condividere la vita pastorale della Chiesa in Terrasanta di fronte agli importanti cambiamenti politici e socio-economici. E’ uno degli obiettivi dell’incontro annuale del Coordinamento per la Terra Santa che prende ufficialmente il via domani ma che già oggi a Gerusalemme prevede una serie di riunioni. Presenti membri e delegati di numerose Conferenze episcopali del mondo dagli Stati Uniti all’Inghilterra e Galles. Alina Tufani, collega della nostra sezione spagnola, ha intervistato mons. Joan Enric Vives i Sicilia, vescovo di Urgell e delegato della Conferenza episcopale spagnola:

    R. - Siamo in riunione e in ascolto. C’è una riflessione molto importante che faremo con il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, con il padre Custode di Terra Santa, padre Pizzaballa, con il nunzio del Santo Padre in Terra Santa, mons. Franco, e altri. Lo scopo è di condividere e vivere un’espressione attenta e feconda della comunione. La Chiesa è comunione e dobbiamo viverla e farla vivere ai nostri fedeli, alle nostre diocesi, ai nostri Paesi con i cristiani che sono in Terra Santa. Molti di loro soffrono per le condizioni di vita e per tanti altri problemi legati alla mancanza di pace, alla violenza, alla mancanza di lavoro. Vediamo che, in questo momento, anche Paesi che confinano con la Terra Santa come l’Iraq, la Siria, il Libano e l’Egitto hanno grandi problemi. I palestinesi, i cristiani palestinesi soprattutto, che vivono in questi Paesi soffrono perché la maggioranza è musulmana e non sempre c’è rispetto per la libertà religiosa.

    D. - Sappiamo che tutto il 2011 è stato particolare per la richiesta dei palestinesi di essere considerati uno Stato. Qualche piccolo passo è stato fatto: pensa che di fronte a questi cambiamenti i cristiani in Terra Santa possono avere una prospettiva migliore in una situazione più pacifica?

    R. – Aspettiamo, questa è però la nostra speranza. Da sempre, anche la posizione di molte potenze mondiali rispetto alla questione è che Israele abbia tutto il diritto di essere uno Stato – è un grande Stato – e che tuttavia, dall’altra parte, anche i palestinesi abbiano il diritto di essere uno Stato. E i due Stati, Israele e Palestina, dovrebbero vivere in pace. Pensiamo pure che la città di Gerusalemme debba avere uno statuto regolato a livello internazionale e difeso. E’ una città santa per tutte e tre le grandi religioni – ebrea, cristiana e musulmana – perciò dobbiamo conoscere meglio quelle zone, ascoltando i nostri fratelli che là vivono ogni giorno. “Loro sono le pietre vive”: dice il Santo Padre. Andiamo dunque in pellegrinaggio per dire a tutti loro che noi siamo fratelli, che siamo uniti nello Spirito Santo, perché siamo una sola Chiesa. Questo è il messaggio che noi vogliamo portare, ascoltarli e dire loro che non sono soli: siamo vicini, siamo fratelli, siamo in una stessa comunione. (bi)

    Saranno molti, in questo pellegrinaggio dei vescovi, i momenti di confronto e di dialogo. Al centro delle discussioni, anche l’impatto che la "primavera araba" ha avuto sul conflitto israelo-palestinese, ma anche le prospettive del dialogo interreligioso alla luce dell’incontro convocato dal Papa ad Assisi, lo scorso ottobre. La nostra inviata al seguito dei presuli, Philippa Hitchen, ha chiesto a mons. Patrick Kelly, arcivescovo di Liverpool e vicepresidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, quali sono i momenti più importanti di questo incontro :

    R. – I suppose the first highlight….
    Suppongo che il primo momento saliente, per me personalmente, come sempre sarà la visita a Nablus, alla parrocchia di San Giuseppe, al pozzo in Samaria. Si sa che quello è un grande luogo di evangelizzazione e penso che il Santo Padre abbia richiamato ad una nuova evangelizzazione. Quel dialogo con la donna al pozzo ci insegna così tanto: è un dialogo che Gesù vuole avere con tutti noi, che porta a quella meravigliosa professione di fede. Noi sappiamo che Lui è il Salvatore del mondo, quindi Nablus è molto speciale.

    D. – Questo viaggio significa continuare un dialogo con la comunità cristiana locale…

    R. – It is but against I think…
    Lo è, ma di contro ci sono due differenze molto significative. C’è quella che, descritta in vari modi, chiamiamo “primavera araba” e che è una realtà che ha molti aspetti differenti, alcuni positivi e alcuni negativi, per quanto riguarda le comunità cristiane. Quindi, questo farà parte delle nostre conversazioni quest’anno. Secondo – e probabilmente collegato a questo – ho letto delle difficoltà di molti cristiani in vari Paesi e questo ha influito sul tipo di dialogo che intratteniamo con ebrei e musulmani. C’è un nuovo imperativo nel nostro dialogo quest’anno. (ap)

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    Le Chiese ortodosse festeggiano il Natale. Intervista con il nunzio in Bielorussia, mons. Gugerotti

    ◊   Per le Chiese cristiane che seguono il calendario giuliano oggi è la solennità del Natale. A Mosca, circa seimila fedeli hanno preso parte, nella cattedrale del Cristo Salvatore, alla divina liturgia presieduta dal Patriarca ortodosso Kirill, alla presenza del capo del Cremlino, Dmitri Medvedev. Al termine della divina liturgia, Kirill ha rivolto un messaggio ai cristiani di Russia, Ucraina e Bielorussia perché restino saldi nella fede in Dio, a differenza di coloro che nella società contemporanea, ha detto, "non collegano alcuna luce di verità alla grotta di Betlemme". A Minsk, il nunzio apostolico in Bielorussia, l’arcivescovo Claudio Gugerotti, ha partecipato nella cattedrale ortodossa del Santo spirito alla solennità del Natale ortodosso. Il presule è stato raggiunto telefonicamente dalla collega della redazione bielorussa della nostra emittente, Elena Martetskaia:

    R. – Sono stato invitato dal metropolita Filaret alla celebrazione del Natale ortodosso come segno di questa comunione, di questa fraternità nella venerazione dell’unico Signore. Con la Chiesa ortodossa abbiamo avuto parecchi incontri, ci sentiamo già in piena sintonia, senza alcuna difficoltà. Da parte mia, ho cercato di muovermi, di visitare tutte le diocesi, di incontrare i greco-cattolici e di avviare varie procedure per rinforzare la struttura della Chiesa.

    D. – Prendendo servizio in veste di nunzio apostolico in Bielorussia, lo scorso autunno, lei ha immediatamente partecipato, insieme con il cardinale Koch, alla Conferenza di Minsk dedicata al dialogo tra gli ortodossi e cattolici e al loro contributo nella vita sociale europea. Quali sono state le sue impressioni a riguardo?

    R. – L’ho trovata molto significativa, oltre che per i contenuti che sono stati espressi nelle varie relazioni, anche perché si sentiva anzitutto un grande clima di calore e di ascolto reciproco. Si percepiva, inoltre, la preoccupazione che le due Chiese hanno per questo tema, lì al’ordine del giorno: é una preoccupazione pastorale che non è soltanto un interesse teorico, ma condiziona e indirizza, in qualche modo, la quotidiana attività pastorale della Chiesa. È quindi stato un evento molto interessante. Anche il cardinale Koch vi ha partecipato e si è reso conto di questo clima particolare, sottolineandolo più volte nei nostri colloqui personali. So che ne ha riferito anche al Santo Padre, e credo sia stato davvero un grande avvenimento, che tra l’altro avrà la possibilità di avvicinare maggiormente le nostre Chiese.

    D. – Lei ha appena festeggiato i dieci anni della consacrazione episcopale insieme ai cattolici bielorussi…

    R. – Le emozioni di dieci anni fa sono ancora molto vive nel mio ricordo. Sento molto vivo l’affetto con cui il Santo Padre Giovanni Paolo II ha voluto impormi le mani, e anche la carezza che mi ha lasciato, come ricordo, sul volto, alla fine dell’ordinazione. Questa è una sensazione che non dimenticherò mai, che mi segna ancora, che mi dà forza e coraggio per continuare nella mia missione. (vv)

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    Omicidio nella comunità cinese di Roma: forse non una semplice rapina

    ◊   Nuove piste si aprono sul caso dell’omicidio del 4 gennaio nel quartiere romano di Torpignattara, in cui un trentunenne commerciante cinese e sua figlia di nove mesi, sono morti, e la mamma è rimasta ferita. Diversi indizi fanno pensare non alla semplice rapina, ma a un avvertimento o ad una regolazione di conti a livello criminale, anche perchè la donna ferita gestiva un’attività illegale di money transfer e aveva già ricevuto minacce. Intanto i controlli continuano a tappeto. Gabriella Ceraso ne ha parlato con Antonio Turri referente nel Lazio di Libera, Associazione contro le mafie:

    R. – L’omicidio comunque si inserisce in un clima di violenza e di sopraffazione che coinvolge tutti, sia i cittadini italiani che gli ospiti stranieri. A Roma è in corso una lotta tra gruppi criminali per il controllo delle attività cosiddette illegali, ma anche del riciclaggio del denaro sporco: chi non ci sta viene da prima avvertito, successivamente si uccide.

    D. – Quanti soldi e quante possibilità hanno le comunità cinesi? Quanto sono controllate o controllabili?

    R. – Credo che proprio su questo, quello che è avvenuto era prevedibile, nel senso che spesso giovani cinesi, ma anche di altre etnie, così come i nostri mafiosi, tendono a investire milioni di euro soprattutto in attività commerciali e questo riguarda interi quartieri, anche a Latina, nel resto della regione Lazio, senza che dal comune di Roma si sappia o senza che l’Agenzia delle Entrate sappia da dove vengono questi soldi, come sono stati accumulati, in quanto tempo… Ebbene io credo che su questo ci sia da porsi forti interrogativi. Lontano da ogni forma di razzismo, io credo che un Paese che non abbia il controllo sui flussi di capitali sia una Paese dove situazioni del genere siano prevedibili.

    D. – Serve, quello che si sta dicendo in queste ore da varie fonti istituzionali, uno statuto speciale? Servono più forze dell’ordine in strada?

    R. – No, non serve a nulla. Servono interventi legislativi seri e mirati e mi riferisco soprattutto al seguire un po’ il mercato delle licenze, delle autorizzazioni; ma nei quartieri di Roma, nelle immense periferie, servono anche forti interventi di carattere sociale. Non bisogna far finta di non vedere. Lo ripeto: alla politica, alla classe dirigente romana e del Paese, spetta molto da fare in questo campo. (bf)

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    Due anni fa la rivolta degli immigrati a Rosarno. Don Varrà: da allora non è cambiato granché

    ◊   Nel gennaio 2010, la località calabrese di Rosarno fu teatro di duri scontri tra la popolazione residente e gli operai stagionali immigrati, costretti a lavorare in nero e a vivere in condizioni disumane. A due anni dalla rivolta, nella quale furono ferite 53 persone, qual è oggi la situazione nel paese della Calabria? Michele Raviart lo ha chiesto a don Pino Varrà, parroco di San Giovanni Battista a Rosarno:

    R. – Purtroppo, da parte delle autorità e degli enti non è cambiato molto. A parte il villaggio di container nella zona industriale, non c’è altra assistenza concreta. So che l’amministrazione comunale sta insistendo molto, presso la Regione, per avere altri moduli abitativi, però il problema riguarda quelle persone che non hanno il permesso di soggiorno e che si sistemano dove e come possono. In genere, le persone che vengono qui lo fanno per questo periodo, e dopo si recano in altre zone: vanno Napoli a raccogliere i pomodori, si spostano verso Foggia o anche nel nord quando ci sono da raccogliere le mele. Si tratta quindi di “presenze stagionali”.

    D. – In quali condizioni vivono, ancora adesso, gli immigrati?

    R. – Solo quelli che si trovano nei container vivono relativamente bene. Ci sono poi quelli che sono già in affitto in delle vere e proprie case oppure fanno riferimento a un centro di raccolta, dove è sistemato un certo numero di extracomunitari. C’è ancora gente che arriva qui, a Rosarno, senza sapere dove andare, senza avere un punto di riferimento, e queste sono situazioni sempre molto precarie. L’amministrazione comunale sta davvero lavorando molto, presso la Regione, per avere altri alloggi, perché quelli tutt’ora disponibili sono insufficienti.

    D. – Quali sono le attuali prospettive di lavoro a Rosarno?

    R. – Quest’anno c’è meno lavoro, e quindi la crisi che c’è non è solo quella più generale, che colpisce tutti, ma riguarda anche la produzione degli agrumi della nostra zona. Credo che, se da parte delle autorità e dello Stato in genere si prendano dei provvedimenti riguardanti anche i permessi di soggiorno, diventerà sempre più difficile. Queste persone non possono, ad esempio, avere questi moduli abitativi, non possono usufruire di tanti servizi e, se continuerà questa crisi agrumaria, non saremo neanche più pronti per affrontare una nuova emergenza.

    D. – La parrocchia come si sta attivando per aiutare queste persone?

    R. – Abbiamo iniziato già da 20 anni, per quel poco che purtroppo possiamo fare. Abbiamo in attivo la mensa quattro volte la settimana in tutte e due le parrocchie, la distribuzione dei vestiti. Inizialmente, abbiamo anche distribuito i medicinali, abbiamo fornito l’assistenza sanitaria con dei medici. Questo, però lo abbiamo potuto fare solo entro certi limiti, perché le strutture – come anche le stesse parrocchie – qui non sono in grado di fornire totale assistenza. (vv)

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    Il commento al Vangelo della domenica dopo l'Epifania del teologo padre Bruno Secondin

    ◊   Il Vangelo della Domenica dopo l’Epifania presenta il brano di Marco in cui Gesù parte da Nazaret e raggiunge il Giordano, facendosi battezzare da Giovanni. Uscendo dall'acqua lo Spirito discende su di lui come una colomba e si ode una voce dal cielo che dice:

    “Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento”.

    Su questo brano del Vangelo, ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:

    Ancora brilla sopra di noi la stella che guidava i magi dal bambino, le nostre case sono ancora ingombre di decorazioni natalizie, e la liturgia accelera sui tempi: Gesù si presenta già grande, in fila come tutti per ricevere da Giovanni l’acqua della purificazione, mentre i cieli sopra di lui si squarciano. Lo Spirito di profezia e di vita plana come fa una colomba e una voce dal cielo rompe il silenzio rituale.

    Il ciclo del Natale termina qui: con questo cielo lacerato, con questa voce che parla di amore e compiacimento. In questa processione popolare per ricevere il battesimo, nella quale si pone anche Gesù, c’è una grande novità: il Figlio di Dio è con noi, con i nostri sogni e le nostre attese, e il Padre ama questa solidarietà, e lo Spirito consolida questa vicinanza, planando su di lui, abitandolo, guidandolo.

    È simbolo e modello di ogni nostro battesimo: diventare figli amati, abitati e impregnati dallo Spirito di vita e profezia, capaci di metterci in cammino, con l’umanità che implora umilmente fuoco e novità.

    La scia luminosa delle sante feste natalizie avrà lasciato qualcosa di vivo dentro di noi? O arriviamo esausti per troppa sazietà a questo passaggio dalle feste al tempo ordinario? Diamo a Dio e alla sua Parola ancora tempo e cuore: germoglierà nuova passione per il Vangelo e nuova speranza ci guiderà sui sentieri della fedeltà.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Pakistan. Legali di Asia Bibi presentano istanza d’appello: dagli estremisti minacce di morte

    ◊   I legali di Asia Bibi e gli attivisti della Masihi Foundation hanno ultimato l’istanza d’appello da presentare all’Alta Corte del Pakistan per Asia Bibi, la cattolica di 45 anni e madre di cinque figli condannata a morte per blasfemia e detenuta in isolamento nel carcere di Sheikpura. Da tempo gli estremisti islamici hanno messo una taglia su di lei e nel mirino sono finiti anche coloro che la difendono: i suoi stessi avvocati sono stati oggetto di recenti minacce di morte. Nell’istanza i legali tornano a sottolineare, per il caso della donna, “l’errata interpretazione” della legge promulgata nel 1986, precisando di non avere prese di posizione contro comunità o fedeli musulmani, ma solo “il desiderio di salvare la vita di un’innocente e di rispettare il bene più profondo, la vita umana”. “Auspichiamo che il caso si trasformi in un ponte e non un muro tra cristiani e musulmani”, hanno aggiunto, come riporta l'agenzia AsiaNews. L’avvocato S.K. Chaudry, inoltre, specifica che l’obiettivo primario resta la tutela della donna e della sua famiglia e afferma di nutrire sentimenti di fiducia nei confronti del sistema giudiziario locale. Dal canto loro i leader della Masihi Foundation hanno rivolto un ringraziamento particolare a Benedetto XVI per la sua preghiera per “la dignità umana e i diritti di base di ciascuno”: le parole del Papa, infatti, sono una fonte di coraggio e un monito al pieno rispetto della persona umana. (R.B.)

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    Unicef: tornano a scuola i bambini della Libia e delle Filippine, importante segno di normalità

    ◊   A un anno dalla chiusura delle strutture causata dalla rivoluzione popolare che ha condotto al rovesciamento del leader Muammar Gheddafi, circa un milione e 200mila bambini libici oggi sono tornati sui banchi di scuola. A comunicarlo è l’Unicef, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di minori e infanzia, secondo la quale il ministero dell’Istruzione libico ha provveduto a mandare in stampa 27 milioni di testi scolastici, dieci dei quali sono già stati consegnati agli studenti. Restano, però, problemi come il trasporto da e per la scuola e la condizione delle attrezzature scolastiche, stando a quanto riferito dal direttore regionale dell’Unicef per il Medio Oriente e il nord Africa, Maria Calivis, che definisce, tuttavia, la giornata di oggi “una grande conquista per il popolo libico”. Le autorità della Libia, inoltre, proprio in collaborazione con l’Unicef, hanno lavorato per eliminare le macerie e rimuovere le mine inesplose nelle aree dove sorgono le scuole e hanno ristrutturato diversi edifici. “Investire in un sistema educativo inclusivo, infatti – ha detto Calivis – è il primo passo verso la costruzione di un Paese tollerante e produttivo”. Qualche giorno fa sono tornati a scuola anche i piccoli allievi delle Filippine, appena due settimane dopo il passaggio della violentissima tempesta tropicale Washi che ha messo in ginocchio gran parte del Paese e ha causato quasi mezzo milione di sfollati, di cui 200mila sono, appunto bambini. Nonostante i danni, la mancanza dell’acqua corrente in alcune strutture che viene fornita tramite autocisterne e la trasformazione di scuole e asili in centri per gli sfollati, infatti, molti degli sforzi si sono concentrati sul ritorno a scuola dei bambini, ospitati sia in edifici che in tende: un importante segno di normalità che combatte l’ansia e lo stress provocato dal disastro. (A cura di Roberta Barbi)

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    A Cuba si apre l’Anno giubilare dedicato alla Madonna della “Caridad del Cobe”

    ◊   Grandi preparativi a Cuba dove oggi si aprono le celebrazioni per l’Anno giubilare dedicato a Nostra Signora de la Caridad del Cobre, a 400 anni dalla scoperta di una piccola statua della Vergine raccolta in mare da alcuni pescatori. Domani presso il Santuario dedicato alla Madonna, sorto vicino al luogo del ritrovamento, i vescovi cubani concelebreranno una Santa messa per l’inizio dell’Anno giubilare. Una ricorrenza che sarà onorata dalla presenza del Papa, atteso a Cuba dal 26 al 28 marzo. In un’intervista all’Aci Prensa, il segretario generale della Conferenza episcopale cubana, mons. Juan de Dios Hernandez, ha sottolineato come l’Anno giubilare sia un momento di grande incontro con Dio attraverso la Vergine. Il presule ha definito la visita del Papa sull’isola “una benedizione per il Paese” e, ricordando il motto del viaggio apostolico: “Pellegrino della carità”, ha espresso l’auspicio che proprio la carità sia “la virtù in grado di unire il popolo cubano e non solo i cristiani”. Lo scorso 7 dicembre, annunciando l'Anno giubilare, i vescovi dell’isola in un documento hanno evidenziato come la Madonna de la Caridad del Cobre sia “un’espressione dell’anima cubana come dimostra anche la lunga storia di 4 secoli scritta nell'anima della nazione. Cuba – si legge ancora - ha bisogno della gioia della fede e la Vergine della Carità è venuta incontro ai suoi figli in modo che coloro che si sono allontanati da Dio ritornino a Lui. Coloro che invece sono rimasti fermi nella fede cristiana – prosegue il documento - possano far crescere il loro impegno, sulla strada dell'unità nella verità e nell'amore tra tutti coloro che formano un unico popolo, superando e integrando le differenze sempre nel pieno rispetto l’uno dell’altro”. (B.C.)

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    Usa: il cardinale O'Malley sugli abusi sessuali nell'arcidiocesi di Boston

    ◊   «La nostra Chiesa non potrà mai dimenticare la crisi subita per gli abusi sessuali perpetrati dal clero. I giorni traumatici e dolorosi che abbiamo vissuto dieci anni fa ci hanno giustamente spinto ad affrontare la questione con onestà e a mettere in atto molti necessari cambiamenti. Saremo sempre concentrati sulla protezione dei bambini con la massima serietà e attenzione. Siamo una Chiesa chiamata alla missione. Mentre continueremo sempre ad avere cura delle vittime e a rendere la Chiesa l’ambiente più sicuro per tutti, guardiamo al futuro con la fiducia che Dio porterà del bene da questa situazione e offrirà speranza e guarigione a tutte le persone colpite da questa crisi». È questo uno dei principali passaggi di un documento contenente alcune riflessioni che il cardinale arcivescovo di Boston, Sean Patrick O’Malley, ha indirizzato alla comunità ecclesiale mercoledì scorso, in occasione dei dieci anni dalla scoperta di una serie di abusi sessuali perpetrati su minori da parte del clero dell’arcidiocesi. Il documento, dal titolo Ten Years Later-Reflections on the Sexual Abuse Crisis in the Archdiocese of Boston, è accompagnato da una lettera nella quale viene riassunta la questione, sottolineando come un decennio fa «un problema con la storia, più profondo di quanto si sarebbe potuto immaginare, è esploso nella comunità ecclesiale». Come Chiesa, si aggiunge, «non potremo mai dimenticare e mai lo faremo, il trauma e il senso di repulsione nell’aver appreso che per decenni i bambini sono stati oggetto di abusi sessuali che hanno devastato le loro vite e quelle dei propri familiari. Dobbiamo continuare a esprimere la nostra profonda tristezza e contrizione per come abbiamo fallito nei confronti di coloro che ci erano stati affidati alla nostra sollecitudine». Nella lettera - riferisce L'Osservatore Romano - si pone poi l’accento sull’opera del personale specializzato nell’assistenza psicologica che ha consentito di formare volontari e di portare avanti efficaci programmi di protezione per i minori all’interno delle parrocchie, delle scuole e delle agenzie per la fornitura di servizi sociali. «Questi volontari dediti — si evidenzia — hanno speso innumerevoli ore nel formare adulti nel territorio dell’arcidiocesi affinché i programmi di protezione dei minori “fossero sempre e ovunque” nella vita della Chiesa». Il documento, nel ribadire l’impegno per la protezione dei minori, offre a tale riguardo un quadro degli interventi effettuati. Oltre 150.000 tra catechisti e volontari, in particolare, sono stati finora impegnati nei corsi di formazione, che «attraverso la loro dedizione hanno permesso di rendere le parrocchie e le scuole luoghi sicuri per consentire ai bambini di crescere nella fede e nell’amore di Dio». Inoltre, attraverso l’Office of Pastoral Support and Outreach dell’arcidiocesi sono stati organizzati incontri con oltre un migliaio di vittime degli abusi e i loro familiari. Infine, oltre 7 milioni di dollari sono stati spesi in servizi di assistenza. (L.Z.)

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    Australia: una proposta di legge minaccia gli enti caritativi. L’appello del Catholic Health

    ◊   Il direttore generale del Catholic Health Australia (Cha), Martin Laverty lancia l’allarme sul rischio sopravvivenza che potrebbero correre i servizi di assistenza dedicati alle fasce più svantaggiate della popolazione australiana se si concretizzasse l’intenzione espressa dal governo federale di Canberra di definire, dal punto di vista legale, la natura degli enti caritativi. Nel bilancio di previsione 2011-2012, infatti, come scrive L’Osservatore Romano, l’esecutivo ha inserito l’introduzione, a partire dal primo luglio 2013, della definizione legale del termine “carità” da applicare a tutti gli enti che non operano a scopo di lucro, in modo da far usufruire delle agevolazioni fiscali previste solo le attività connesse con l’assistenza ai più deboli e non le attività commerciali ad essa correlate. Per distinguere le categorie, inoltre, il governo formerà una commissione che si occuperà, appunto, di regolamentare il settore, in modo che i redditi provenienti dalle attività commerciali vengano più o meno tassati. L’appello di Laverty riguarda proprio il rischio che si apra “la porta a una pignoleria legale” che potrebbe portare a una grande incertezza “per i poveri e gli emarginati che dipendono solo ed esclusivamente dal sostegno degli enti caritativi”. Da oltre un secolo, infatti, le agenzie australiane no profit operano in modo efficace in base al diritto comune adottato dal 1601 dalla legge britannica. Un altro punto molto discusso è la definizione legale del termine “beneficio pubblico” da utilizzare, secondo l’interpretazione del governo, solo nei casi in cui le agenzie no profit possano essere identificate come enti caritativi. “Tale definizione restrittiva – ha aggiunto Laverty della Cha, che rappresenta 75 ospedali e 550 residenze per anziani cattoliche – potrebbe alterare completamente lo scenario della beneficenza australiana escludendo alcune associazioni dalla categoria delle charities. Le charities – ha concluso – offrono tanto a questo Paese e non devono essere colpite da tentativi ben intenzionati di controllare queste organizzazioni”. (R.B.)

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    Mongolia: verso l’abolizione della pena di morte. Soddisfazione della Comunità di Sant’Egidio

    ◊   Un passo importante verso l’abolizione definitiva della pena di morte e la nascita di un nuovo umanesimo asiatico: questo il valore della delibera del 5 gennaio scorso del Parlamento della Mongolia, che ha approvato l’adozione del Secondo protocollo opzionale al Patto internazionale sui diritti civili e politici. In questo modo il Paese si impegna solennemente, davanti alle Nazioni Unite, di non ricorrere più alle esecuzioni e di lavorare con l’obiettivo dell’eliminazione totale della pena capitale dal proprio ordinamento. Il cammino verso questo risultato è iniziato due anni fa dal presidente Tsakhia Elbegdorj che decise di proclamare una moratoria delle condanne e delle esecuzioni alla quale collaborò fattivamente anche la Comunità di Sant’Egidio che oggi, in un comunicato, ha espresso tutta la propria soddisfazione per la notizia. Già nel febbraio 2010, ricorda Sant’Egidio, la Mongolia partecipò al IV Congresso mondiale contro la pena di morte a Ginevra e, qualche mese dopo, all’evento annuale organizzato a Roma dalla Comunità: il quinto Congresso dei Ministri della Giustizia, che segnò l’inizio della stretta collaborazione con la presidenza di Elbegdorj. Da allora sono seguite l’adesione alla giornata internazionale “Città per la Vita” e, il 21 novembre 2010, il primo straordinario risultato: il voto della Mongolia a favore della risoluzione per la moratoria universale in seno all’assemblea generale Onu, nonostante l’opposizione dei deputati del Partito rivoluzionario del Popolo mongolo. (R.B.)

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    Le Figlie di Nostra Signora delle Missioni festeggiano i 150 anni di presenza in Bangladesh

    ◊   Con una Messa giubilare cui ha partecipato la comunità cattolica locale, oltre a quattro vescovi e numerosi sacerdoti, le Figlie di Nostra Signora delle Missioni hanno celebrato i loro 150 anni di presenza in Bangladesh. Era il 25 marzo 1883, infatti, ricorda l'agenzia AsiaNews, quando la fondatrice della congregazione, suor Euphrasie Barbier, arrivò nella città di Chittagong con cinque consorelle. Da lì, poi, le religiose si sono divise in sette distretti del Paese in cui hanno fondato scuole, sanatori, orfanotrofi e ostelli per ragazze, dedicando la propria attività pastorale ai poveri, ai giovani e alle ragazze e lavorando per lo sviluppo economico del Bangladesh con un occhio rivolto ai bisogni dei rifugiati, dei lavoratori migranti e dei malati di Aids. Proprio alla fondatrice e alla storia della congregazione è stato dedicato l’evento celebrativo “Fare tesoro del passato; dare forma al nostro futuro”, durante il quale sono intervenute molte personalità della società civile e non solo. “Le sorelle hanno servito il Paese per 128 anni con altruismo e profondo spirito di sacrificio – è stata la testimonianza di mons. Patrick D’Rozario, arcivescovo di Dhaka – dedicandosi ai più bisognosi e all’educazione delle giovani donne, con la convinzione che queste possano essere istruite e che ciò sia un beneficio per tutta la società”. “L’essere umano è per l’essere umano”, è stata, infine, la dichiarazione di Promod Mankhin, ministro per gli Affari culturali e unico esponente di fede cattolica al governo. (R.B.)

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    Provincia d'Italia dei Gesuiti: rinnovare lo slancio missionario nella crisi del Paese

    ◊   Si è appena conclusa l’VIII Congregazione della Provincia d’Italia della Compagnia di Gesù, che ha riunito 56 gesuiti e la cui agenda è stata riconfigurata alla luce della crisi economica che attanaglia il Paese. Durante i lavori, infatti, è emerso con forza il desiderio di partecipare pienamente al momento drammatico che l’Italia sta attraversando, confermando l’impegno a contribuire, secondo la logica evangelica e le proprie risorse, a una convivenza più umana. Sul tema della formazione dei giovani gesuiti, è stato proposto un maggiore sforzo nel campo economico e la politico, per meglio conoscere e saper interpretare i fenomeni in atto alla luce del Vangelo e far emergere le istanze più feconde della cultura contemporanea, soprattutto in ambito filosofico-teologico e nell’analisi socio-politica. Sulla proposta educativa nelle scuole, si ribadisce l’ideale della formazione integrale della persona, capace di impegnarsi responsabilmente nella società per un mondo più giusto. Resta, dunque, una priorità, formare i laici a una coscienza umana, libera e capace di scegliere come credenti adulti nel confronto costante con la persona di Gesù Cristo e offrire opportunità di aggregazione e accompagnamento personale. In campo sociale, infine, si ricorda l’attività del Jesuit Social Network, la rete di associazioni di ispirazione ignaziana impegnate nella società. Tra le novità della Congregazione Provinciale appena conclusa, l’apertura di questa all’esterno grazie al “live twitting” e a un blog con materiale multimediale, che hanno consentito a 7500 persone di seguire l’evento, nel corso del quale è stato scelto padre Roberto del Riccio come rappresentante per la prossima Congregazione di procuratori a Nairobi e si è deciso di “non convocare” una Congregazione generale. Così la Compagnia di Gesù - si legge in un comunicato - si percepisce come espressione della Chiesa tesa a favorire quell’umanesimo profetizzato dal Concilio Vaticano II di cui quest’anno ricorre il 50.mo anniversario, sfidando le tendenze egoistiche, xenofobe e ideologiche e creando le condizioni per un dialogo capace di far partecipare tutti gli interlocutori sociali alla ricerca del bene comune. (R.B.)

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    All’Università Lateranense l’incontro “Quale famiglia per quale società”

    ◊   Si svolgerà mercoledì 11 gennaio a Roma presso l’Università Lateranense il convegno sulla famiglia intitolato “Quale famiglia per quale società”. L’iniziativa, riporta l’agenzia Sir, è promossa dall’Istituto pastorale Redemptor Hominis diretto da Dario Edoardo Viganò e interno all’ateneo, e dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli studi su matrimonio e famiglia. La giornata di lavori servirà anche a preparare il VII Incontro Mondiale delle famiglie in calendario dal 30 maggio al 3 giugno a Milano. Questo il programma del convegno: dopo il saluto del Rettore della Lateranense, mons. Enrico Dal Covolo, e del preside dell’Istituto Giovanni Paolo II, Livio Melina; seguiranno gli interventi del responsabile dell’ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Milano, don Davide Milani; José Noriega dell’Istituto Giovanni paolo II e Chiara Palazzini, vicepresidente dell’Istituto pastorale Redemptor Hominis. Le conclusioni saranno affidate al presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, cardinale Ennio Antonelli. (R.B.)

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli.