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Sommario del 02/01/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Viaggio del Papa in Messico e Cuba: gli episcopati locali pubblicano il programma della visita
  • Il patriarca Twal sul Messaggio del Papa per la pace: educare i giovani del Medio Oriente ad andare controcorrente
  • Il premier italiano Monti in visita privata in Vaticano
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Nigeria, ultimatum di Boko Haram ai cristiani. Mons. Kaigama: no alla violenza
  • Tensione in rialzo tra Iran e Usa. Teheran annuncia lancio di due missili a lunga gittata nel Golfo Persico
  • In Somalia si stringe il cerchio intorno alle milizie Shabab
  • Disoccupazione. Per i sindacati è rischio "tensioni sociali". Il cardinale Bagnasco: occorre coesione
  • Carceri, altri due suicidi a Capodanno. Intervista con don Spriano
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Somalia: nei campi profughi di Mogadiscio è ancora emergenza malnutrizione
  • India: per il nuovo anno la Chiesa chiede giustizia per le vittime dell'Orissa
  • Filippine: per l'assassinio di padre Tentorio, caccia ai mandati in ambienti politici e militari
  • Venezuela: appello per la pace a Caracas. A dicembre registrate 623 morti violente
  • Brasile: sono oltre un milione i bambini ancora costretti a lavorare
  • Violenza in Casamance. Il cardinale Sarr: “Il fuoco non si spegne col fuoco”
  • Usa-GB: aumentano i medici pro-vita fin dal concepimento e contro l'eutanasia
  • Germania. I vescovi: disponibili i fondi per gli abusi negli orfanatrofi
  • Cina: celebrazioni natalizie animate dalla vitalità della comunità cattolica
  • Giappone: il 2012 inizia nel ricordo delle vittime dello tsunami
  • Il Papa e la Santa Sede



    Viaggio del Papa in Messico e Cuba: gli episcopati locali pubblicano il programma della visita

    ◊   Le Conferenze episcopali di Messico e Cuba hanno pubblicato ieri il programma del viaggio apostolico che il Papa compirà nei due Paesi, dal 23 al 28 marzo prossimo. Si tratta del 23.mo viaggio internazionale, annunciato da Benedetto XVI lo scorso 12 dicembre durante la Messa per l’America Latina. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Messico e Cuba attendono con gioia e trepidazione il Papa. Il Pontefice, informa una nota dell’episcopato messicano, arriverà il pomeriggio di venerdì 23 marzo all’aeroporto di León nello Stato di Guanajuato, nel nord del Messico. Qui si svolgerà la cerimonia di benvenuto con il presidente Felipe Calderón. Quindi, il Papa si recherà alla residenza “Colegio Miraflores” dove soggiornerà durante la permanenza in Messico. Sabato 24, dopo la visita di cortesia al presidente, il Papa saluterà e benedirà i bambini messicani raccolti nella “Plaza de la Paz” nella città di Guanajuato. Momento culminante del viaggio la Messa - nella mattinata di domenica 25 marzo - nel Parco Bicentenario di León. Quindi nel pomeriggio, nella Cattedrale cittadina, il Papa celebrerà i Vespri assieme ai vescovi messicani e ad una delegazione di presuli latinoamericani e dei Caraibi.

    La mattina dopo, il Papa volerà dunque alla volta di Cuba. Il Pontefice sarà ricevuto dal presidente Raul Castro a Santiago de Cuba, quindi si recherà nella sede dell’arcivescovado. Nel pomeriggio, nella Festa dell’Annunciazione, il Papa celebrerà una grande Messa nella Piazza della Rivoluzione “Antonio Maceo”. La mattina del 27 marzo, si recherà dunque in visita privata al Santuario della “Vergine della Carità” del Cobre per un momento di preghiera, poi si trasferirà in aereo all’Avana dove sarà ricevuto dal cardinale arcivescovo della città, Jaime Ortega Alamino. Nel pomeriggio, colloquio ufficiale con il presidente cubano Raul Castro, infine l’incontro con i vescovi cubani nella nunziatura. Il 28 marzo, ultimo giorno del viaggio, il Papa presiederà la Messa nella Piazza della Rivoluzione “José Marti” dell’Avana, quindi nel pomeriggio si trasferirà all’aeroporto per fare ritorno a Roma.

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    Il patriarca Twal sul Messaggio del Papa per la pace: educare i giovani del Medio Oriente ad andare controcorrente

    ◊   Il Messaggio del Papa per la Giornata della Pace ha ricevuto un’attenzione particolare in Medio Oriente dove purtroppo la pace manca da oltre 60 anni. Il Messaggio, intitolato “Educare i giovani alla giustizia e alla pace”, è stato al centro dell’omelia, ieri, del patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal. Fausta Speranza lo ha intervistato:

    R. – Credo che questo messaggio è come se fosse stato fatto per noi, per noi qui in Terra Santa, per la regione del Medio Oriente. Educare i giovani alla giustizia e alla pace è come dire di andare controcorrente. Non è facile, perché abbiamo una cultura di violenza, una cultura che non ci dà pace, e abbiamo una situazione in cui si è persa tanta credibilità nei discorsi politici fatti in tante visite. Nonostante tutto, bisogna andare controcorrente e sperare. Il Santo Padre ci chiede di educare i giovani alla pace e alla giustizia e dobbiamo farlo! Abbiamo tutta una generazione di giovani – sia israeliani che palestinesi – che sono nati e cresciuti nella violenza, con l’occupazione, circondati dai muri; abbiamo tutta una generazione che non conosce ancora dov’è il Santo Sepolcro, a causa di questa situazione politica, per motivi di sicurezza e così via. Nonostante tutto siamo chiamati ad educare alla giustizia e alla pace. Non è facile, lo sappiamo. Tutti i movimenti del mondo arabo di questi giovani pensano ad avere più pace, più giustizia, più dignità, più lavoro.

    D. – A proposito di questo, Sua Beatitudine, il Papa è chiaro: chiede di “ascoltare, valorizzare le nuove generazioni nella realizzazione del bene comune”…

    R. – Sì, questo è il nostro dovere. I primi movimenti, i primi cambiamenti che si sono avuti nel Nord Africa non avevano un colore politico, non avevano un colore fanatico o rivoluzionario nel senso peggiore: volevano solamente più giustizia, più dignità, più lavoro, più libertà di coscienza e libertà in generale.

    D. – Il Papa parla di diritti e libertà fondamentali dell’uomo da rispettare e poi parla anche di bene comune: dunque centralità della persona e anche centralità del bene comune. Quale speranza per il futuro in Medio Oriente?

    R. – Torniamo all’educazione e siamo con il Papa al cento per cento, perché è rimasta l’unica voce, come Giovanni Battista, che grida nel deserto. Siamo in un deserto, benché ci si trovi nel cuore delle grandi città, con tanta agitazione politica. Continuiamo però a gridare con il Santo Padre, come Giovanni Battista, sapendo che non siamo soli in questo terreno e che il Signore sta con noi. Andiamo avanti, sperando che quest’anno nuovo sia nuovo in tutti i sensi, anche in senso democratico, nel senso della libertà e della giustizia.

    D. – In concreto, se guardiamo al conflitto israelo-palestinese c’è l’appuntamento domani di due delegazioni in Giordania. E’ davvero una ripresa dei negoziati dopo lo stallo che si trascina dal 2010?

    R. – So che domani ci sarà questo incontro e noi accompagneremo le due delegazioni, quella israeliana e quella palestinese, con le nostre preghiere e il nostro augurio, perché si arrivi ad una soluzione per il bene di tutti, per la pace di tutti e per la serenità di tutti. Auguriamo molto bene e speriamo altrettanto bene. Non perdiamo la speranza e accompagniamo domani queste delegazioni con la nostra preghiera. Io domani farò un salto in Giordania per augurare buon Natale a tante nostre parrocchie che si trovano in Giordania.

    D. – Quindi, in qualche modo è vicino anche fisicamente a questo incontro che può segnare la ripresa...

    R. – In tutti i sensi noi siamo vicini: siamo nel cuore della situazione.(ap)

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    Il premier italiano Monti in visita privata in Vaticano

    ◊   Un’ora in Vaticano, tra il presepe di Piazza San Pietro e la sosta davanti alla tomba di Giovanni Paolo II. È quella trascorsa ieri pomeriggio, fra le 16 e le 17, dal presidente del Consiglio italiano, Mario Monti, insieme con i suoi familiari. In compagnia della moglie, del figlio e la figlia e dei loro rispettivi congiunti, Monti – informa una nota ufficiale – ha visitato l’allestimento della Natività nel Colonnato del Bernini, quindi si è recato nella Basilica sulla tomba del Beato Papa Wojtyla. I visitatori sono stati accolti dal presidente e dal segretario del Governatorato, i mons. Bertello e Sciacca, e dal cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica di San Pietro.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La pace pane per il mondo: Benedetto XVI di fronte alle ombre che si allungano sull'orizzonte del mondo indica nel Cristo misericordioso la via da seguire e nei giovani i protagonisti di un futuro di speranza.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, lo stato di emergenza in Nigeria, dove continuano le violenze tra etnie.

    Tutto il Vaticano II in un bloc-notes: in cultura, l'arcivescovo Agostino Marchetto sul diario del gesuita Sebastian Tromp.

    Dalla parte di un altro essere umano: Giulia Galeotti recensisce il volume "Maritain e Alinsky: un'amicizia", curato da Bernard Doering e Lucio D'Ubaldo.

    Un articolo di Sandro Barbagallo dal titolo "Giallo, rosso (e un po' di blu)": alla scoperta del vulcanico Mondrian in mostra al Vittoriano.

    Il caffè dei letterati e la lavanderia a gettone: Silvia Guidi su "Midnight in Paris" di Woody Allen.

    Assurdità dell'antigiudaismo: Cristiana Dobner sull'ortodossa ebraicità di Gesù alla luce dei Vangeli.

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    Oggi in Primo Piano



    Nigeria, ultimatum di Boko Haram ai cristiani. Mons. Kaigama: no alla violenza

    ◊   In Nigeria, nuove minacce sono state lanciate dal movimento radicale islamico Boko Haram contri i cristiani, i quali – secondo l’ultimatum degli integralisti – hanno tre giorni di tempo per abbandonare il Nord del Paese, a maggioranza musulmana, pena pesanti conseguenze. Il gruppo radicale ha pure criticato la decisione del presidente, Goodluck Jonathan, di decretare lo stato d’emergenza in alcune zone della Nigeria e di chiudere le frontiere con il Camerun, il Ciad e il Niger. Boko Haram aveva già rivendicato la serie di attentati che hanno fatto strage in alcune chiese cristiane nel giorno di Natale. Sulla drammatica situazione dei cristiani, Emer McCarthy ha intervistato l’arcivescovo di Jos, mons. Ignatius Ayau Kaigama:

    R. – Churches have been destroyed...
    Le chiese sono state distrutte e sono andate perdute delle vite e non c’è segno che tutto questo possa finire, finché il governo non interverrà in maniera decisiva. Non abbiamo mai smesso di chiedere ai cristiani di avere consapevolezza della questione della sicurezza: quando si recano in chiesa, devono essere attenti e devono fare attenzione perfino nelle loro stesse case. Noi diciamo no alle rappresaglie e continuiamo a predicare la pace, sperando che tutti noi, in Nigeria, musulmani e cristiani, saremo in grado di lavorare e vivere felicemente insieme. Questa è la nostra posizione: no alla violenza, no alla rappresaglia. Vogliamo vivere nella pace.

    D. – Sono molti i cristiani che hanno iniziato a lasciare il Nord?

    R. – Yes, in the core of the Northern States where…
    Sì, nel cuore del Nord dello Stato dove c’è la maggioranza dei musulmani, molti cristiani si sentono poco accettati … Quindi, non meraviglia che abbiano deciso di ricollocarsi in zone più sicure.

    D. – C’è qualcosa che vorrebbe aggiungere?

    R. – We just continue to appeal …
    Noi continuiamo a fare appello alla ragione, a chiedere di parlarci ed io credo che sia possibile. E’ possibile che in questo Paese musulmani e cristiani possano ragionare insieme. Sappiamo che ci sono altre forze perfino dietro ai cosiddetti Boko Haram, ma al momento non sappiamo nemmeno chi siano i Boko Haram, cosa vogliono. Ci sono alcune forze segrete dietro di loro: in Nigeria o all’estero … (ap/gf)

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    Tensione in rialzo tra Iran e Usa. Teheran annuncia lancio di due missili a lunga gittata nel Golfo Persico

    ◊   In questi primi giorni del 2012 non solo parole ma fatti nel braccio di ferro tra Iran e Stati Uniti. Dopo le nuove sanzioni finanziarie imposte dagli Stati Uniti, Teheran ha annunciato stamane il lancio di due missili terra-aria a lunga gittata nello stretto di Hormuz, in grado teoricamente di colpire Israele e basi Usa. Ciò accade nell’ultimo giorno di esercitazioni avviate da oltre una settimana dall’Iran nel Golfo Persico. Quanta preoccupazione c’è di fronte a questi eventi? Roberta Gisotti ha intervistato il giornalista iraniano Ahmad Rafat:

    R. – Il lancio dei missili è in parte una risposta alla riunione che si è tenuta a Roma il 20 dicembre sulla possibilità effettiva di porre l’embargo sul petrolio iraniano. E’ una risposta politica da parte iraniana ad una decisione dei Paesi occidentali che gode anche dell’appoggio di certi Paesi arabi.

    D. – Le sanzioni finanziarie decise da Obama alla vigilia di Capodanno, hanno aggravato la situazione e provocato il crollo del rial, ed ora Teheran paventa anche un rialzo del petrolio con perdite, però, reciproche, in questo caso …

    R. – La decisione di porre sotto embargo la Banca centrale iraniana ovviamente è un danno enorme per l’economia iraniana. I mercati valutari in Iran hanno reagito immediatamente, ed infatti il primo gennaio – che ovviamente in Iran non era festa – il dollaro non veniva più venduto perché si suppone un aumento ulteriore nei prossimi giorni; il mercato del cambio si limitava ad acquistare il dollaro. Ma il fatto che l’Iran da solo possa provocare un aumento del greggio, è difficile, a meno che non decida veramente di mettere in atto una minaccia molto grave, come quella della chiusura dello Stretto di Hormuz.

    D. – C’è un’altra sfida importante sul fronte atomico, ed è l’annuncio di avere inserito nel cuore del reattore di ricerca nucleare di Teheran una barra di uranio arricchito, arricchito per la prima volta in Iran …

    R. – Questo è, effettivamente, un fatto che preoccupa moltissimo non solo l’Occidente, ma soprattutto i Paesi della regione e non solo Israele, ma anche l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e il Kuwait. Se questa notizia fosse confermata – perché nel passato l’Iran ha annunciato diverse volte dei passi avanti nel nucleare, che poi non si sono dimostrati completamente veri – se questo fosse confermato dagli esperti dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, allora sì che si entrerebbe in una fase nuova per quanto riguarda la questione nucleare iraniana, con un possibile inasprimento delle sanzioni e - secondo quanto ha dichiarato di recente anche il capo dello stato maggiore americano - un intervento militare se fosse necessario.

    D. – Dr. Rafat, in questo scenario – appunto – di tensione che si è alzata, quale ruolo può giocare l’Unione Europea sul piano diplomatico?

    R. – L’Unione Europea potrebbe aumentare le pressioni sull’Iran per costringerlo a tornare al tavolo delle trattative; negli ultimi giorni dell’anno, c’è stato uno scambio indiretto di messaggi tra il responsabile della Politica estera europea e il ministro degli Esteri iraniano, ma non è andato oltre uno scambio di messaggi indiretti. Il ruolo dell’Unione Europea potrebbe essere proprio quello di fare da mediatore tra la Repubblica islamica e l’Occidente nel suo complesso.

    D. – E’ una situazione comunque da seguire con apprensione, in questa giornata e forse anche nei prossimi giorni?

    R. – Io credo di sì, perché in Iran molta gente comune ha iniziato, nei giorni scorsi, a prepararsi ad un eventuale scontro, anche militare, già prima della decisione di Obama di sanzionare la Banca centrale iraniana: non si trovano alcuni generi alimentari perché la gente sta accumulando in vista di un possibile attacco. Pertanto, almeno da parte iraniana c’è molta preoccupazione per questo indurimento dello scontro tra Iran ed il resto del mondo. (gf)

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    In Somalia si stringe il cerchio intorno alle milizie Shabab

    ◊   In Somalia continua a imperversare la violenza. Reparti militari etiopici sono entrati nel Paese con l’obiettivo, così come già fatto dal Kenya, di fronteggiare le scorribande delle milizie islamiche degli Shabab. Si sta stringendo il cerchio intorno al gruppo di ispirazione qaedista? Benedetta Capelli lo ha chiesto a Mario Raffaelli, presidente di Amref, organizzazione che si occupa di progetti umanitari in Africa, ed esperto dell’area:

    R. – E’ da qualche tempo che si parla della possibilità di un’offensiva coordinata – anche se non esplicitamente, ma di fatto – tra queste tre operazioni militari: quella di Amisom, quella del Kenya, che dovrebbe anch’essa diventare poi con cappello Amisom, perché il parlamento kenyota ha deciso appunto di aderire all’operazione internazionale, e questa ultima, da parte etiopica. E certamente, dal punto di vista militare – come si è visto sempre, ogni volta che c’è stato uno scontro di tipo “convenzionale” tra esercito regolare e gli Shabaab – non c’è dubbio che le forze convenzionali sono destinate a prevalere. Resta però il problema che se a queste vittorie militari non segue poi anche una soluzione di tipo politico, l’unico effetto è una mutazione del fenomeno degli Shabaab. Così come a Mogadiscio si sono ritirati ricominciando un’azione di guerriglia tradizionale, la stessa cosa potrebbe accadere nelle altre aree: potremmo assistere ad una mutazione degli Shabaab in un movimento sempre più di tipo terroristico e con attività probabilmente non solo in Somalia, ma anche nei Paesi vicini.

    D. – Questo movimento è un movimento unitario, oppure ci sono all’interno correnti diverse?

    R. – Non è mai stato un movimento unitario: ci sono correnti diverse sia nel gruppo dirigente, in particolare tra quelli maggiormente collegati al network terroristico nel senso proprio, e la parte che invece ha un’agenda radicale ma di tipo somalo, che persegue la creazione di una Somalia “islamica”, sia pure radicale. Poi, ci sono ulteriori differenze in quelle aree dove gli Shabaab si sono affermati più che con un messaggio religioso, sfruttando le contraddizioni claniche. E’ evidente che queste cose possono funzionare quando c’è un controllo anche di tipo amministrativo, come è stato per lungo tempo ed è ancora in parte in tre quarti del Sud Somalia: nel momento in cui questi interventi militari cancellano la presenza formale degli Shabaab, questo non potrà più accadere. Ecco perché rimane il nucleo duro dei combattenti, inferiori per numero ma più pericolosi come attività terroristica.

    D. – Che reazione c’è da attendersi da parte di questo movimento?

    R. – Quella che già si sta vedendo a Mogadiscio, appunto, dove si è tornati agli assalti terroristici tradizionali e che potrebbe accadere anche nelle altre città importanti controllate dagli Shabaab, qualora venissero cacciati militarmente. A meno che non ci sia, finalmente, una capacità – una volta cacciati gli Shabaab – di creare delle istituzioni locali percepite come genuine dalla popolazione e quindi dopo la vittoria militare, avere anche una vittoria politica. Ma in assenza di questo, si tratta solo di un cambiamento di strategia militare da parte di questi movimenti e, ripeto, anche con il rischio che il coinvolgimento così aperto da parte di truppe dei Paesi vicini possa portare all’esportazione, in questi Paesi, delle attività terroristiche: una cosa che si è già vista in Uganda con l’attentato, alla fine dei campionati mondiali di calcio, con i 70 morti che ci furono all’epoca; e qualcosa di questo tipo si comincia ad intravedere anche in Kenya con piccoli attentati – per ora – che però hanno già causato vittime civili. (gf)

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    Disoccupazione. Per i sindacati è rischio "tensioni sociali". Il cardinale Bagnasco: occorre coesione

    ◊   Per i sindacati, in Italia c’è un rischio reale di tensioni sociali derivanti dalla crescente disoccupazione. Cgil, Cisl, Uil e Ugl chiedono al governo la difesa del lavoro. Da parte sua, il premier mario Monti, in un colloquio telefonico con i leader delle quattro organizzazioni ha detto “sì” ad un confronto, ma in tempi brevi. In merito alla questione è intervenuto anche il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco: “Per evitare tensioni – ha spiegato – occorre “essere più positivi” e “creare coesione”. Al microfono di Paolo Ondarza, mons. Giovanni Ricchiuti, arcivescovo di Acerenza e segretario della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro:

    R. - Occorre trovare un punto di convergenza, senza trincerarsi nel "fortino" dei propri privilegi, cercando anche con fatica di sedere intorno a un tavolo dove ognuno fa la propria parte... Si tratta di rendersi conto che siamo in un momento di grande difficoltà, soprattutto sono in grande difficoltà le fasce più deboli di questa nostra società.

    D. - Questo vuol dire che sia governo che parti sociali devono fare un passo indietro?

    R. - Penso proprio di sì, nel senso di quella equità che il governo Monti aveva prospettato, bisognerebbe farlo. Come anche le parti sociali dovrebbero fare un passo in avanti rispetto a qualche posizione su quanto viene chiesto loro.

    D. - Per i sindacati in Italia è rischio tensioni sociali ...

    R. - Io temo questo fuoco che cova sotto la cenere, perché le tensioni, anche come preti e vescovi, le tocchiamo con mano. Una tensione che può, purtroppo, degenerare in tensione sociale creata non dal lavoro in sè, ma dall’assoluta mancanza di lavoro. La situazione del lavoro è ai limiti del drammatico.(bi)

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    Carceri, altri due suicidi a Capodanno. Intervista con don Spriano

    ◊   E’ sempre alta in Italia l’emergenza carceri. A Capodanno ci sono stati altri due suicidi che hanno fatto salire a 66 quelli avvenuti nel 2011. In tutto sono state 183 le morti nelle carceri italiane, dove vivono più di 68 mila detenuti a fronte di 45 mila 654 posti disponibili. Un’emergenza che è stata messa in evidenza anche dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, nel discorso di fine anno. Debora Donnini ha intervistato don Sandro Spriano, cappellano del carcere di Rebibbia:

    R. – Interventi veramente efficaci per poter abbassare il numero impressionante di detenuti ancora non ce ne sono. Quindi, la situazione rimane assolutamente drammatica. C’è però da dire anche che i suicidi non dipendono soltanto dal fatto di essere in tanti in carcere, anzi da questo dipendono poco.

    D. – Da cosa dipendono per lo più, allora?

    R. – I suicidi dipendono dal fatto spesso finiscono in carcere molte persone fragili, deboli, con problemi psicologici, con problemi familiari, le quali non reggono a un impatto così duro e la loro fragilità fa fare scelte drammatiche.

    D. – Nella sua recente visita al carcere di Rebibbia, il Papa ha messo in evidenza – sempre nel rispetto della giustizia – l’importanza delle pene alternative. Questo, secondo lei, è il nodo centrale?

    R. – Sì: è uno dei nodi centrali, perché oggi si sanziona tutto con il carcere: è più facile, costa meno. Questo, però non porta da nessuna parte; anzi porta all’imbarbarimento della nostra civiltà. Noi come società dobbiamo lavorare – perché questo tocca a noi, non tanto al governo – così da sviluppare una capacità di accoglienza: perché qualsiasi misura che possa essere veramente importante per diminuire il numero dei detenuti richiede poi l’accoglienza da parte di noi cittadini liberi. Se manca questo, non c’è misura che riesca a risolvere. (gf)

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Somalia: nei campi profughi di Mogadiscio è ancora emergenza malnutrizione

    ◊   Le mutate condizioni meteo, con l’arrivo delle prime piogge nel dicembre scorso, e la distribuzione degli aiuti umanitari stranieri non allentano l’emergenza umanitaria in Somalia e in particolare il dramma della malnutrizione nei campi profughi. Nel Paese del Corno d’Africa restano 4 milioni di persone che necessitano di aiuti e 1 milione e mezzo di rifugiati interni, 250mila dei quali definiti a “grave rischio”. Le Nazioni Unite parlano di crisi umanitaria più grave del mondo e a luglio hanno dichiarato lo stato di carestia in 3 zone del Paese controllate dal gruppo islamico Al Shabaab, che non vi lascia accedere le agenzie umanitarie occidentali. Secondo alcuni dati diffusi dall’agenzia Fides, da settembre la carestia si è diffusa in altre 3 aree della Somalia, decine di migliaia di persone sono morte e altre 750 mila soffrono la fame. Per questo motivo molti operatori umanitari hanno espresso disappunto per le affermazioni del primo ministro somalo, Abdiweli Mohamed Ali, secondo il quale la popolazione di Mogadiscio non sta morendo di fame. Le Ong hanno, in effetti, rilevato una lieve attenuazione dell’emergenza ma continuano denunciare nuovi casi di malnutrizione acuta. Nel centro gestito dal Somali Relief Rehabilitation and Development Organisation sacchi di generi alimentari sono stati distribuiti dal Programma Alimentare Mondiale (Pam) ed è stata allestita una cucina all'aperto che ogni giorno offre pasti a 6 mila persone. Ma al momento nella capitale somala ci sono oltre 300 campi che ospitano 185 mila sfollati, altre 18 mila persone vivono in rifugi di cartone nel villaggio di Maajo, dove il governo non è mai intervenuto. (A cura di Marco Guerra)

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    India: per il nuovo anno la Chiesa chiede giustizia per le vittime dell'Orissa

    ◊   Il nuovo anno deve portare un frutto prioritario: la giustizia per le vittime dei massacri anticristiani avvenuti in Orissa: è quanto chiedono i cristiani indiani riuniti nell’All India Christian Council (Aicc), organizzazione impegnata nella difesa dei diritti dei credenti in India. Le cifre fornite all’agenzia Fides dalla Chiesa locale in Orissa parlano da sole: sulle oltre 3.500 denunce presentate dopo i massacri del 2008, i casi registrati dalla polizia sono 827. Il numero delle relazioni finali, presentate ai tribunali dopo le indagini, scende a 315 e i casi “chiusi con una condanna” sono solo 68, con 412 persone condannate a pene lievi. I casi chiusi con una assoluzione sono stati 140 e le persone assolte in tutto 1.900. I casi ancora in attesa di giudizio, a tre anni dai tragici eventi, sono 304. Le cifre dicono che “la giustizia rimane ancora un problema enorme per i circa 56.000 cristiani per i quali la vita è cambiata radicalmente a partire dall’agosto del 2008”, commenta in una nota John Dayal, Segretario esecutivo dell’Aicc. “Gli aggressori – ricorda – chiedevano loro di convertirsi all'induismo e di bruciare una Bibbia come segno. Non lo hanno fatto e hanno preferito fuggire. In 400 villaggi la presenza cristiana è stata del tutto cancellata, più di 5.600 case e circa 295 chiese sono state bruciate, un centinaio di morti, alcune donne, tra cui almeno una suora, violentate”. La tensione in Orissa oggi resta alta , aggravata dall'omicidio di un assistente legale, ed ex catechista cattolico, Rabindra Parichha, che era coinvolto nella protezione dei testimoni. Le violenze continuano: prima di Natale, nel villaggio di Bujlimendi, la casa di Kaleswar Digal, 45enne cristiano con moglie e tre figli, è stata data alle fiamme poco dopo la mezzanotte. Ora le 25 famiglie cristiane del villaggio di 100 case vivono nella paura. Rabindra Parichha è il terzo leader cristiano ad essere ucciso nel 2011, dopo l’omicidio dei due Pastori protestanti, Saul Pradhan di Banjamaha (Raikia) e Minoketan Nayak di Midiakia (Baliguda). Secondo alcuni testimoni oculari, Manoj Pradhan, membro dell'assemblea legislativa dello stato di Orissa, e primo imputato in diversi casi di omicidio, è passato da un villaggio all'altro istigando elementi antisociali a “eliminare tutti i leader cristiani di Kandhamal”. La polizia – denuncia l’Aicc – è anche sorda alle denunce dei discorsi di odio, che avvengono regolarmente in manifestazioni di gruppi estremisti indù. “La cosa più triste oggi in Orissa è la mancata dispensa della giustizia, specialmente nei tribunali, dove non una sola persona è stata finora condannato per omicidio, soprattutto perché i testimoni sono stati costretti al silenzio e la polizia ha presentato ben poche prove, dopo indagini scadenti”, conclude Dayal.(R.P.)

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    Filippine: per l'assassinio di padre Tentorio, caccia ai mandati in ambienti politici e militari

    ◊   I mandanti dell’omicidio di padre Fausto Tentorio vanno ricercati fra uomini politici corrotti e funzionari delle compagnie energetiche, responsabili del progetto di una diga sul fiume Pulangi; e negli apparati deviati dell’esercito e fra i corpi paramilitari, impegnati nella lotta ai ribelli comunisti. Secondo quanto riferisce Fides, su questi versanti si concentrano le indagini della Task Force, istituita dal governo filippino per far luce sull’omicidio del missionario del Pime, avvenuto il 17 ottobre ad Arakan, sull’isola di Mindanao, nelle Filippine del Sud. Nei giorni sono stati arrestati i due sospetti esecutori del delitto: si tratta di Jimmy Ato, presunto killer, e di suo fratello Robert, autista della motocicletta su cui i due sono fuggiti. Intanto gli inquirenti stanno proseguendo le indagini che potrebbero interessare anche funzionari della polizia e uomini politici locali, coinvolti in un vorticoso giro di tangenti e corruzione, legato al progetto di costruzione della diga “Pulangi V” e di una relativa centrale idroelettrica. Sul progetto padre Fausto aveva espresso forte dissenso, poiché la diga sommergerà cimiteri, luoghi sacri, terreni agricoli e di caccia delle tribù Maguindanaon e Manobo, per i quali il religioso lavorava, cancellando per sempre l’identità, la cultura e lo stile di vita di un milione di indigeni suddivisi in 27 comunità. Altra pista di indagine sui mandanti, rivelano fonti locali di Fides, è quella che conduce ai gruppi militari e paramilitari che operano nell’area di Arakan, legati all’operazione “Oplna Bantay”, con cui il governo filippino ha stanziato truppe e militarizzato l’area di Kidapawan e Arakan, con l’obiettivo di stanare i ribelli comunisti del National People’s Army. Le operazioni militari hanno causato uccisioni, sfollamento di migliaia di innocenti e gravi violazioni dei diritti umani, denunciate da Ong e missionari come padre Tentorio. I militari, inoltre, hanno formato e addestrato gruppi paramilitari, reclutando adepti anche fra gli indigeni, creando divisioni e conflitti interni anche fra le stesse comunità locali. (M.G.)

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    Venezuela: appello per la pace a Caracas. A dicembre registrate 623 morti violente

    ◊   Il cardinale Jorge Urosa Savino, arcivescovo di Caracas, ha celebrato la Messa del primo gennaio nella cattedrale di Caracas, lanciando un appello per la pace. Nel suo messaggio, indirizzato ai venezuelani e ripreso dall'agenzia Fides, ha chiesto di fermare le morti violente nel paese, morti che solo negli ultimi 15 giorni sono state numerose e in modo terribilmente violento. Ha invitato tutti i venezuelani a vivere nella tolleranza e nella comprensione, ma ha chiesto anche alle autorità di fare tutto il possibile per combattere l'insicurezza e la delinquenza. Secondo i dati pubblicati dalla stampa locale, l'obitorio di Caracas ha registrato 38 morti solo dal 30 dicembre 2011 al primo gennaio 2012, mentre in tutto il mese di dicembre ha registrato 623 morti. Malgrado non esistano fonti ufficiali per queste statistiche, la maggior parte delle persone sono state uccise in modo violento o con le armi. "Bisogna sradicare la violenza dal cuore, ma bisogna anche combattere il crimine e punirlo in conformità con la Costituzione e le leggi" ha detto il cardinale Urosa Savino, che in alcune dichiarazioni rese subito dopo la Messa, ha definito il numero delle vittime della violenza del mese di dicembre come "esagerato e incredibile". Il cardinale ha anche detto di sperare che tutti i processi elettorali in programma per quest'anno si possano svolgere in pace. (R.P.)

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    Brasile: sono oltre un milione i bambini ancora costretti a lavorare

    ◊   In Brasile oltre un milione di bambini tra i 10 ed i 14 anni continuano a lavorare, nonostante i provvedimenti governativi contro lo sfruttamento minorile. È quanto emerge del censimento demografico effettuato dall’Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica, citato dall’agenzia Fides. Lo studio dimostra però che grazie all’impegno del governo nell’ultimo decennio, si è riusciti a ridurre, sia pure in modo contenuto, la percentuale dei bambini e degli adolescenti che cercano di sopravvivere lavorando, passando dal 6,6% nel 2000 al 6,2%, nel 2010. Il problema è particolarmente grave nell’Amazzonia brasiliana, dove i minori lavoratori sono il 10%. L’eliminazione del fenomeno entro il 2020 è uno degli obiettivi del Brasile, tuttavia, secondo gli esperti, per raggiungerla sarà necessario uno sforzo in più da parte del governo, poiché l’attuale sistema di monitoraggio non riesce a rilevare i bambini che lavorano come domestici o in piccole aziende agricole, in particolare nei luoghi più difficilmente raggiungibili, dove è maggiormente diffuso il lavoro minorile invisibile. L’esecutivo deve inoltre scontrarsi con difficoltà di natura culturale, visto che si tratta di una pratica generalmente accettata nelle zone rurali del Paese. (M.G.)

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    Violenza in Casamance. Il cardinale Sarr: “Il fuoco non si spegne col fuoco”

    ◊   Una preghiera interreligiosa tra comunità cristiane, musulmane e tradizionali per il ritorno della pace in Casamance, turbolenta regione del Senegal meridionale. Così si è aperto l’anno a Ziguinchor, capoluogo dell’instabile territorio senegalese, con l’auspicio di vedere risolto il conflitto trentennale tra la ribellione indipendentista del Movimento delle forze democratiche di Casamance (Mfdc) e il governo di Dakar. L’iniziativa, di cui riferisce l'agenzia Misna, arriva nel contesto di una recrudescenza della violenza, riaccesa in vista delle presidenziali del 26 febbraio, nella quale più di 20 persone sono state uccise e altre sei rapite, fra le quali diversi militari. Anche oggi bande armate hanno attaccato un reparto militare nei pressi di Zinguinchor causando la morte di un gendarme e il ferimento di altre persone. “Il fuoco non si può spegnere col fuoco” ha detto l’arcivescovo di Dakar, cardinale Theodore Adrien Sarr, durante la prima messa del nuovo anno nella cattedrale Sant’Antonio da Padova a Zinguinchor. Nell’omelia il porporato ha poi criticato “la negligenza e la cattiva fede di alcuni responsabili” nella gestione della crisi e denunciato “l’avidità di alcune persone che cercano di arricchirsi grazie a questa guerra e sulle spalle della popolazione”. Nel suo intervento l’arcivescovo si è rivolto alla ribellione indipendentista (Mfdc) ancora armata a “coltivare la convinzione che la soluzione alle rivendicazioni si trova altrove, non nella guerra”. Al termine della celebrazione si è svolta una processione silenziosa dalla cattedrale fino alla centrale Piazza Giovanni Paolo II dove sono intervenuti esponenti della società civile, capi tradizionali, rappresenti dell’amministrazione locale e semplici cittadini in una serie di appelli e testimonianze. “Serve un approccio inclusivo per risolvere il conflitto: abbiamo bisogno di tutte le ‘forze vive’ della nazione per archiviare la violenza, le armi e la macchina da guerra” ha detto Ndeye-Marie Thiam, presidente della ‘Piattaforma delle donne per la pace in Casamance’. La preghiera congiunta si è conclusa con tre lanci di colombe per simboleggiare i tre auguri di pace delle tre principali comunità religiose. Nel frattempo, dalla capitale, Dakar, il presidente Abdoulaye Wade ha rivolto un appello ai ribelli del Mfdc, invitandoli a “proseguire il dialogo col governo per trovare una soluzione pacifica alla crisi” e promesso “misure di reinserimento sociale a sostegno di chi deporrà le armi”. (M.G.)

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    Usa-GB: aumentano i medici pro-vita fin dal concepimento e contro l'eutanasia

    ◊   Un’inchiesta pubblicata sul numero di dicembre della rivista dei ginecologi statunitensi rivela che il 57% di essi ritiene che la gravidanza inizi con la fecondazione dell’ovocita da parte dello spermatozoo; si tratta di una percentuale doppia rispetto a quanti hanno invece indicato l’impianto come momento d’inizio della gravidanza. I risultati dello studio condotto su 1800 medici rilevano una netta inversione di tendenza nel pensiero scientifico se si considera che nel 1965 la stessa associazione dei ginecologi americani stabilì che il concepimento, e quindi l’inizio della gravidanza, non dovesse essere identificato con l’unione tra lo spermatozoo e la cellula uovo della donna, ma con il momento dell’annidamento dell’embrione nell’utero della madre; anzi, inizialmente non parlavano neppure di embrione, ma di ovulo fecondato. In virtù di potenza culturale di riferimento, la posizione americana condizionò tutte le associazioni mediche, compresa l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che finirono per adeguarsi alla nuova terminologia, che non si fondava su alcuna nuova conoscenza scientifica, se non l’interesse a mimetizzare gli effetti endometriali post-fecondativi della spirale e della pillola contraccettiva. La seconda notizia positiva, di cui da notizia Zenit, giunge invece dal Regno Unito. In questo caso gli autori di uno studio pubblicato su Palliative Medicine hanno revisionato la letteratura medico-scientifica di matrice inglese che negli ultimi 20 anni ha trattato il tema dell’eutanasia e del suicidio assistito. I 15 studi individuati hanno consentito di affermare che la maggioranza dei medici inglesi sono contrari sia all’eutanasia che al suicidio assistito e, cosa ancora più significativa, sono convinti che una tale pratica non abbia nulla a che fare con la professione del medico. I suddetti studi dimostrano la resistenza di una medicina che da Ippocrate in poi è fondata sul bene del paziente e che è assai più radicata di quanto non vorrebbe fare credere una minoranza molto rumorosa di medici. (M.G.)

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    Germania. I vescovi: disponibili i fondi per gli abusi negli orfanatrofi

    ◊   I fondi per le vittime di abusi negli orfanotrofi tedeschi perpetrati tra il 1949 e il 1975 sono disponibili da ieri. Lo riferisce oggi la Conferenza episcopale tedesca (Dbk) in un comunicato ripreso dall'agenzia Sir. Mons. Robert Zollitsch, presidente della Dbk, si è detto “lieto” per il fatto che “sia ora disponibile un’offerta” a disposizione delle vittime che tenga conto “delle loro principali esigenze: necessità di parlare, desiderio di riconoscimento, consulenza e aiuto terapeutico e finanziario”, come auspicato dalla Dbk. Il fondo, in vigore dal 1° gennaio 2012 è di 120 milioni di euro. È stato istituito in collaborazione tra Federazione, alcuni Länder, Chiesa evangelica, diocesi cattoliche, Conferenza dei superiori degli ordini religiosi, Caritas e omologa evangelica Diakonie. Gli importi sono stati versati dalla Federazione e da altri organi federali (Länder e comuni), dalle Chiese cattolica ed evangelica e loro strutture assistenziali e infine dagli ordini religiosi tutti per un terzo. Entro il 31 dicembre 2014, gli interessati che vivono nei Länder dell’ex Germania Occidentale possono presentare domanda per ottenere consulenza e aiuti. Entro l’estate è prevista l’attuazione delle regole e procedure analoghe anche per i Länder dell’ex Ddr. (R.P.)

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    Cina: celebrazioni natalizie animate dalla vitalità della comunità cattolica

    ◊   È stato un Natale ricco di celebrazioni nel segno dall’amministrazione dei sacramenti e delle iniziative legate all’evangelizzazione quello appena trascorso dai cattolici cinesi. Le comunità cattoliche, riferisce l'agenzia Fides, hanno pregato il Signore chiedendo aiuto “ad oltrepassare con lo sguardo le immagini luccicanti di questo tempo, fino a trovare dietro ad esse il Bambino della stalla di Betlemme, per scoprire così la vera gioia e la vera luce”. Diverse le iniziative che vengono segnalate. Nella diocesi di Yi Bin della provincia del Si Chuan, sono stati 97 i catecumeni che hanno ricevuto il battesimo nella Messa solenne della notte di Natale del 24 dicembre, mentre nella diocesi di Wan Zhou i neo battezzati sono stati 80. La parrocchia di Long Gang della diocesi di Wen Zhou, nella provincia dello Zhe Jiang, ha dato risalto al valore del matrimonio e della famiglia cristiana: 23 giovani coppie sono state unite in matrimonio a Natale. I giovani della parrocchia di san Giuseppe della diocesi di Pechino, dopo aver partecipato alla Messa della notte di Natale, hanno voluto prolungare la preghiera con un’animazione rivolta in particolare ai giovani. E ancora la parrocchia di Jia Xing della provincia di Zhe Jiang, in occasione del Natale ha presentato al Bambino Gesù il suo volto rinnovato. Secondo quanto affermato dal parroco: “Abbiamo restaurato il portone della chiesa, rendendolo più visibile, come contributo all’evangelizzazione; abbiamo formato un Gruppo di lettura biblica per i fedeli adulti e anziani; è nato il Gruppo della Carità e anche la Fondazione ‘evangelizzazione e carità; il gruppo di servizio sanitario gratuito della parrocchia è entrato ufficialmente in funzione”. Infine, nella notte di Natale la parrocchia di Ling Dong della provincia di Fu Jian, ha dato vita ad una processione con l’immagine del Bambino Gesù nelle strade intorno alla chiesa: un’occasione per i cattolici di rendere grazie al Signore, e di far conoscere l’Amore di Dio fatto uomo ai non cattolici. (M.G.)

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    Giappone: il 2012 inizia nel ricordo delle vittime dello tsunami

    ◊   Sia a livello centrale, sia in molte cerimonie locali, sono state ricordate le 19 mila vittime accertate a causa del terremoto e del successivo tsunami del 15 marzo scorso, cercando nella loro fine un senso, ma anche un esempio, perché come ha suggerito l’imperatore Akihito nel suo discorso per il nuovo anno, non si tratta di un passato remoto, ma di una realtà che ad oggi ha anche ripercussioni sul Paese. Quello che è entrato nel 2012 è un Giappone non piegato, ma certamente colpito e ora perplesso sulle sue capacità e possibilità. Il 15 marzo 2011 è stato, per molti aspetti, uno spartiacque e oggi il Paese del Sol levante guarda al futuro con minori certezze, ma anche con ritrovata unità e determinazione. Nell’anno che si è aperto ha davanti 3 questioni urgenti e concomitanti: la ricostruzione, la crisi economica globale e la ristrutturazione del suo sistema energetico, finora fortemente dipendente dal nucleare. I giapponesi guardano a Tokyo, perché anche da lì, dovranno arrivare risposte convincenti e azioni coerenti, chiudendo il tempo di una classe dirigente autoreferenziale e poco coraggiosa nelle scelte quanto bloccata nei giochi dei partiti e delle correnti. (A cura di Stefano Vecchia)

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