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Sommario del 22/02/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all'udienza generale: Quaresima, tempo per ritrovare nuovo coraggio di fronte alle prove della vita
  • Il Papa per la Campagna di Fraternità in Brasile: ampliare l'accesso delle persone ai servizi sanitari
  • Il patriarca Twal per la Quaresima: per la pace in Terra Santa preghiera, penitenza e digiuno
  • Rinuncia e nomine
  • Aiuti della Santa Sede per nove Paesi del Sahel colpiti da siccità e desertificazione
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Violenze tribali in Libia: almeno 130 morti
  • Siria: altri due giornalisti uccisi. Sono l'americana Mary Colvin e il francese Remi Ochlik
  • Iran: impedito l'accesso degli osservatori dell'Aiea al sito di Parchin
  • Flessibilità che diventa precariato: i sindacati chiedono più welfare e impresa
  • Consiglio d'Europa: in Italia più impegno contro la discriminazione
  • Dal film dei Taviani un messaggio: il carcere può valorizzare. Don Spriano: centrale l'opera dei volontari
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Pescatori uccisi in Kerala: il cardinale Alencherry smentisce la mediazione India-Italia
  • Rapporto di Iran human rights sulla pena di morte: nel 2011 il numero più alto di casi dagli anni ’90
  • Iran: si teme esecuzione per il pastore cristiano Nadarkhani, condannato a morte per apostasia
  • Grecia. Il presidente dei vescovi: "Ormai solo la fede non si può tassare"
  • Usa: veto del governatore del New Jersey alla proposta di legge sui matrimoni gay
  • Messico. Disastro ambientale e siccità: è emergenza nella Sierra Tarahumara
  • Messico: una nuova radio online, Radio Cristo Rey, prepara la visita del Papa
  • Senegal: dopo gli scontri per le presidenziali la Chiesa invita alla calma
  • Vescovi dello Sri Lanka: Quaresima, tempo di riflessione profonda per ogni cristiano
  • Iniziativa di Sos Villaggi dei Bambini per gli sfollati del Sud Sudan
  • Inghilterra. I vescovi sulle possibili modifiche alla definizione di matrimonio
  • Ungheria: altre 17 comunità religiose per lo status giuridico
  • Trovati altri quattro corpi nella Costa Concordia, tra cui quello della piccola Dayana
  • Università europea di Roma: dal 27 febbraio mostra dedicata al Beato Newman
  • 155 anni fa nasceva Heinrich Rudolf Hertz, lo scienziato che scoprì le onde radio
  • Radio Vaticana: prende il via oggi il programma di spiritualità "Radio Quaresima"
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all'udienza generale: Quaresima, tempo per ritrovare nuovo coraggio di fronte alle prove della vita

    ◊   All’udienza generale, nel Mercoledì delle Ceneri, Benedetto XVI ha evocato l’immagine di una Chiesa “in cammino nel ‘deserto’ del mondo e della storia”, sollecitando i credenti in tempo di Quaresima a ritrovare “nuovo coraggio” per affrontare le prove della vita. La Quaresima - ha sottolineato il Papa - "è il tempo delle decisioni mature". Il servizio di Roberta Gisotti.

    Quaresima tempo di cambiamento, pentimento, conversione per incontrare Cristo alla fine dei secoli, “per imparare ad imitare Gesù, che nei quaranta giorni trascorsi nel deserto insegnò a vincere la tentazione con la Parola di Dio”, contrapponendo il messianismo dell’amore e del dono totale di sé sulla Croce al messianismo del potere e del successo. Così anche la Chiesa – ha osservato il Papa - si trova “in cammino nel ‘deserto’ del mondo e della storia”. Deserto dove i credenti hanno “l’opportunità di fare una profonda esperienza di Dio che rende forte lo spirito, conferma la fede, nutre la speranza, anima la carità”. Ma “il deserto è anche l’aspetto negativo della realtà che ci circonda”, ha sottolineato Benedetto XVI:

    “L’aridità, la povertà di parole di vita e di valori, il secolarismo e la cultura materialista, che rinchiudono la persona nell’orizzonte mondano dell’esistere sottraendolo ad ogni riferimento alla trascendenza. E’ questo anche l’ambiente in cui il cielo sopra di noi è oscuro, perché coperto dalle nubi dell’egoismo, dell’incomprensione e dell’inganno”.

    Questo non impedisce alla Chiesa di oggi – ha rassicurato il Papa – di trasformare “il tempo del deserto” “in tempo di grazia”, nella “certezza che anche dalla roccia più dura Dio può far scaturire l’acqua viva che disseta e ristora”:

    “Cari fratelli e sorelle, in questi quaranta giorni che ci condurranno alla Pasqua di Risurrezione possiamo ritrovare nuovo coraggio per accettare con pazienza e con fede ogni situazione di difficoltà, di afflizione e di prova, nella consapevolezza che dalle tenebre il Signore farà sorgere il giorno nuovo”.

    Nei saluti finali, un indirizzo particolare Benedetto XVI ha rivolto all’Ordinariato personale di nostra Signora di Walsingham, costituito da ex anglicani entrati nella Chiesa cattolica, in occasione del primo pellegrinaggio alla sede di Pietro. Tra i fedeli presenti nella Basilica vaticana, le Ancelle del Sacro Cuore di Gesù riunite per il Capitolo generale e i Diaconi di Milano: costruite sempre la vostra vita – li ha incoraggiati il Papa – “secondo la logica del Vangelo”, del “non conformismo cristiano”. Un saluto affettuoso è andato poi ai rappresentanti della Lega italiana contro i tumori e alla delegazione dei Mondiali Juniores di Sci, che si svolgeranno dal 29 febbraio al 9 marzo a Roccaraso e Rivisondoli in Abruzzo: la delegazione ha consegnato al Papa una medaglia d'oro speciale creata appositamente per il Pontefice. Una raccomandazione infine ai legali dell’Avvocatura italiana perché svolgano il loro lavoro “seguendo sempre i criteri di amore alla giustizia e di servizio al bene comune".

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    Il Papa per la Campagna di Fraternità in Brasile: ampliare l'accesso delle persone ai servizi sanitari

    ◊   Garantire a un numero crescente di persone l’accesso ai servizi sanitari. È l’auspicio con il quale Benedetto XVI accompagna in un Messaggio l’inizio della Campagna di Fraternità che ogni anno, in Quaresima, viene lanciata dai vescovi in Brasile. Il Papa esorta a farsi carico non solo dei mali fisici, ma anche di quelli spirituali di ogni persona inferma. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Al malato, sovente, fa soffrire più la solitudine in cui lo costringe la malattia che ciò che gli ha danneggiato la salute. È un concetto semplice, ma carico di implicazioni cristiane e umanitarie, quello che Benedetto XVI mette al centro del suo Messaggio per la Campagna di Fraternità 2012 della Chiesa brasiliana. “Fraternità e sanità pubblica” recita il titolo della Campagna, alla quale il Papa dice di volersi associare facendo sue “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce di ognuno”, ma anche sperando che – sia a livello statale, sia individuale – l’iniziativa stimoli una “riflessione sulla realtà della salute in Brasile, un maggiore spirito fraterno e comunitario nella cura dei malati”, che porti la società “a garantire a un maggior numero di persone il diritto di accesso alle risorse necessarie per condurre una vita sana”. Per i cristiani, in particolare, nota Benedetto XVI, l’idea della salute travalica il concetto di “semplice benessere del corpo”. Quando nel Vangelo Gesù guarisce il paralitico, prima di tutto gli offre il perdono dei peccati, insegnando così – ha rimarcato il Pontefice – che è quella la “cura perfetta” e che “la salute per eccellenza è quella dell'anima.

    “Con il suo esempio davanti agli occhi” e secondo “l’autentico spirito della Quaresima”, ha proseguito il Papa, la Campagna di Fraternità possa dunque “ispirare nei cuori dei credenti e delle persone di buona volontà una solidarietà ancora più profonda nei confronti degli infermi, che tante volte soffrono più per la solitudine e l’abbandono che per la malattia”. Bella anche la preghiera di Benedetto XVI invocata per l’intera nazione attraverso l’intercessione di Nostra Signora di Aparecida. Oltre al “progresso sociale e sanitario”, ha auspicato, possa il Brasile diventare “fertile nella santità, prospero nell'economia, equo nella ripartizione delle ricchezze, gioioso nel servizio pubblico, equanime nel potere e fraterno nel suo esercizio”.

    Sugli aspetti pastorali e sociali della Campagna di Fraternità 2012, la collega della redazione brasiliana della nostra emittente, Christiane Murray, ha intervistato mons. Leonardo Ulrich Steiner, vescovo ausiliare di Brasilia e segretario generale della Conferenza episcopale brasiliana:

    R. – La Chiesa è sempre in cammino, nel tempo quaresimale, per essere toccata da Gesù crocifisso e risorto. La Quaresima è un’opportunità bellissima per comprendere le radici della nostra fede. In questo senso, la Chiesa brasiliana ha sempre scelto un tema per aiutare a riflettere sulla realtà umana, sulla realtà sociale: perché la fede è sempre incarnata, è sempre viva. La fede sostiene i cambiamenti delle strutture. Quest’anno, quindi, la Conferenza episcopale brasiliana ha scelto come tema quello della salute, nel senso di ciò che spetta come responsabilità alla sanità pubblica. Questo è molto importante, perché sentiamo che la tutela sanitaria non si estende fino ai più poveri, a quella parte di popolazione brasiliana che vive più all’interno del Paese, nei piccoli villaggi lontani: lì, quasi non arriva di ciò di cui si deve occupare il governo. E riflettiamo anche sulla necessità di un maggiore apporto finanziario da parte del governo, perché le strutture adibite a fornire i servizi sanitari per tutti possano essere più efficienti. Penso – ad esempio – alla popolazione indigena, ai tanti popoli che non hanno accesso alla salute. Penso a coloro che sono i discendenti degli schiavi, i quilomboles: anche a queste popolazioni manca una struttura più efficiente di assistenza sanitaria. Per questo, nel cammino quaresimale, la Chiesa brasiliana quest’anno vuole riflettere, pregare, meditare sulla questione della salute affinché diventi un cammino in cui si viva il Vangelo, Gesù crocifisso e risorto.

    D. – Questa Campagna ha come apice una grande colletta, nella quale la popolazione cattolica – e anche quella non cattolica – può esprimere questa solidarietà con gesti concreti…

    R. – Questo gesto concreto lo compiamo sempre nella Domenica delle Palme. E’ un gesto molto significativo, perché grazie a questa colletta le diocesi potranno chiedere sostegno per quei piccoli progetti che aiutano ad avere l’assistenza sanitaria nelle comunità. Quest’anno, siamo in dialogo con il governo per realizzare insieme questi progetti. È un gesto molto importante, perché mostra una condivisione: condivisione nella fede e condivisione nella solidarietà, poiché amore vuol dire condivisione. E così, con la colletta, avremo anche la possibilità di esprimere quello che Dio ha condiviso con noi: la sua vita, il suo amore. (gf)

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    Il patriarca Twal per la Quaresima: per la pace in Terra Santa preghiera, penitenza e digiuno

    ◊   “Penitenza per il Regno e la Pace”. Questo il titolo della Lettera per la Quaresima 2012 diffusa dal patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal. Il presule in questo documento rimette in evidenza la drammatica situazione della Terra Santa ancora in preda a violenze e conflitti, proponendo la via della preghiera, della penitenza e del digiuno per ottenere dal Signore il tanto agognato bene della pace. Giancarlo La Vella ne ha parlato con il patriarca latino, raggiunto telefonicamente a Gerusalemme:

    R. – Il digiuno deve essere per tutti i cristiani, per tutti noi in Terra Santa. In questa Quaresima, dobbiamo portare la Croce e al di fuori di questa Quaresima dobbiamo avere una dimensione spirituale, più marcata che in passato. Ho chiesto a tutti i nostri fedeli di offrire questo digiuno, questo sacrificio, questa Croce per la pace che ci manca.

    D. – E c’è sempre la speranza che la Croce si trasformi poi in Resurrezione: cosa ritiene si possa fare per questa tormentata regione?

    R. – Non dobbiamo mai dimenticare due dimensioni: la dimensione della Croce e del sacrificio e, l’altra, la dimensione della speranza e della Resurrezione. Sappiamo che la Quaresima e il digiuno non sono fini a se stessi, perché devono terminare con la gioia della Resurrezione. Questa dimensione di speranza non deve mai mancare alle persone, alle famiglie, ai sofferenti, ai senzatetto. Questa lettera pastorale è per ribadire che non dobbiamo mai perdere la speranza e che un giorno anche noi, anche Gerusalemme, ritroverà la sua vocazione di città di pace per tutti, per tutti gli abitanti e per tutti gli uomini.

    D. – Quali azioni concretamente gli uomini possono fare?

    R. – Abbiamo tanto bisogno di gesti concreti. La speranza non si ferma con i muri, non si ferma con la croce: la nostra speranza va oltre! Questa speranza e questo coraggio di vivere non vengono da quello che vediamo, dalle circostanze politiche che viviamo attualmente. Grazie a Dio, la speranza viene da un’altra fonte, da Qualcuno che ci ha detto: non abbiate paura, sono con voi; prima di voi ho sofferto, prima di voi ho pianto su questa città, prima di voi ho portato la Croce. Ci appoggiamo così sulle sue parole, quando ci ha detto: non abbiate paura, sono con voi e un giorno vi darò la mia pace. (mg)

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    Rinuncia e nomine

    ◊   In Nuova Zelanda, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Palmerston North presentata per raggiunti limiti di età da S.E. Mons. Peter James Cullinane. Gli succede S.E. Mons. Charles Drennan, Coadiutore della medesima diocesi.

    In Brasile, il Papa ha nominato Arcivescovo Metropolita di Teresina, S.E. Mons. Jacinto Furtado de Brito Sobrinho, trasferendolo dalla diocesi di Crateús. S.E. Mons. Jacinto Furtado de Brito Sobrinho, è nato il 16 giugno 1947 in Bacabal, nello Stato di Maranhão. Ha iniziato gli studi di Filosofia presso il Seminario provinciale di Fortaleza (1966) e dopo si è trasferito al Seminario Regionale del Nordeste, in Recife. Lì ha frequentato anche il corso di Teologia (1967-1970). Ha fatto alcuni studi di specializzazione, prima presso il CESEP – Centro Ecumênico de Serviço à Evangelização Popular (1983) e dopo ha seguito un corso di Psico-pedagogia in Viamão, nello Stato di Rio Grande do Sul (1995-1996). Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 15 gennaio 1972 per il clero della diocesi di Bacabal. Come sacerdote ha ricoperto i seguenti incarichi: Parroco nella Parrocchia São Benedito in Pedreiras, diocesi di Bacabal (1972-1994); Membro del Consiglio Pastorale Diocesano (1972-1980); Membro della Commissione Nazionale del Clero (1980-1983); Membro del Collegio dei Consultori della diocesi (1984-1994); Vicario Generale della diocesi (1990-1995); Vice-Rettore (1994-1995) e Rettore del Seminario Interdiocesano Santo Antônio, in São Luís do Maranhão (1995-1998); Professore di Pratica Sacramentale nel Seminario Interdiocesano di São Luís. È anche autore di diversi libri di carattere spirituale e pastorale. Eletto Vescovo di Crateús il 18 febbraio 1998, è stato consacrato e si è insediato il 24 maggio seguente.

    In Francia, il Pontefice ha nominato Vescovo di Ajaccio il Rev. Olivier de Germay, del clero dell’arcidiocesi di Tolosa, finora Vicario episcopale e parrocco dell’ensemble paroissial di Bauzelle. Il Rev. Olivier de Germay è nato il 18 settembre 1960 a Tours, nell’arcidiocesi omonima. Dopo gli studi primari e secondari, è entrato nel Liceo militare a la Flèche e poi nella Scuola speciale militare di Saint-Cyr-Coëtquidan, terminando i corsi con il diploma di Ingegnere ed il grado di Capitano. Entrato in Seminario nel 1991, ha frequentato il corso propedeutico ed il primo ciclo nel Seminario di Paray-le-Monial; sucessivamente, il secondo ciclo nel seminario universitario Pio XI e nell’Institut Catholique di Toulouse. Inviato a Roma presso il Seminario Francese, ha conseguito la Licenza in Teologia morale presso l’Istituto Giovanni Paolo II. È stato ordinato sacerdote il 17 maggio 1998 per l’arcidiocesi di Toulouse. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi ministeriali: Vicario a Castanet Tolosan e Cappellano diocesano delle Guide di Francia (1999-2001); Parroco dell’ensemble parrocchiale di Catenet (2001-2003); Decano della zona di Banlieues-Sud di Toulouse (2003-2006). Dal 2006 è Parocco dell’ensemble parrocchiale di Beauzelle. Contemporaneamente, dal 2004, è Vicario episcopale per la zona periferica di Toulouse. Inoltre, da 2008, è Professore di Teologia sacramentale e della famiglia presso l’Institut Catholique di Toulouse e, dal 2010, Assistente del Servizio diocesano della pastorale familiare.

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    Aiuti della Santa Sede per nove Paesi del Sahel colpiti da siccità e desertificazione

    ◊   Si è da poco conclusa a Roma la 30.ma Sessione del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel, l’organismo voluto dal Papa dopo la sua prima visita in Africa, dove rimase impressionato dalla grande tragedia provocata dalla siccità e dalla desertificazione. Parlando ai partecipanti alla Sessione, Benedetto XVI ha rivolto un appello alla comunità internazionale «a considerare seriamente l’estrema povertà» delle popolazioni del Sahel, le cui condizioni di vita si stanno ulteriormente deteriorando a causa di una consistente diminuzione delle risorse alimentari e della carestia provocata dalla mancanza di pioggia e dell’avanzare del deserto. Roberto Piermarini ha chiesto a mons. Giampietro Dal Toso, segretario del Pontificio Consiglio Cor Unum di cui fa parte la Fondazione, quali iniziative concrete sono state prese nel corso di questa 30.ma sessione del Consiglio di amministrazione dell’organismo vaticano per il Sahel?

    R. – Anche quest’anno il Consiglio di Amministrazione aveva come primo scopo quello di studiare i progetti che vengono presentati annualmente alla Fondazione per essere finanziati. Quest’anno superiamo i due milioni di dollari in aiuti per quasi 200 progetti che sono distribuiti per i nove Paesi che fanno parte della Fondazione e che riguardano in particolare la lotta alla desertificazione, quindi la lotta alla siccità, l’irrigazione e la formazione. Devo dire che il Consiglio di amministrazione di quest’anno ha avuto come secondo scopo, oltre a quello dell’approvazione dei progetti, anche di fare una riflessione sul senso di una Fondazione pontificia per il Sahel e quindi di rinverdire le motivazioni che a suo tempo avevano portato Giovanni Paolo II a questo gesto profetico: il fatto che si ripresenti quest’anno di nuovo questo problema della siccità dice quanto è importante che si intervenga in questo settore all’interno di questi Paesi. Quindi il Consiglio di amministrazione ha voluto anche riflettere su come implementare e rafforzare la presenza della Fondazione nei nove Paesi.

    D. – Quali sono i risichi agroalimentari che stanno colpendo la fascia sahariana in questo tempo?

    R. – Come ha detto anche lo stesso Santo Padre nel discorso che ha rivolto ai membri del Consiglio di amministrazione, al momento, c’è anche una difficoltà in più rispetto agli altri anni nel Sahel e cioè la mancanza di piogge dell’anno scorso. La siccità causata dalla mancanza di piogge ha anche una ricaduta negativa sull’agricoltura e quindi ne è risultata una mancanza di cibo che avrà il suo apice nei prossimi mesi. Questa è una situazione abbastanza diffusa, che ovviamente preoccupa, però nello stesso tempo dobbiamo dire che sia la comunità internazionale sia, nello specifico, alcuni organismi cattolici stanno cercando di intervenire per prevenire questa crisi. Nella gravità della situazione stiamo mettendo in opera le condizioni per evitare di arrivare a una situazione gravemente compromettente.

    D. - Che quadro è emerso della situazione sociopolitica e religiosa dei vari Paesi del Sahel secondo le testimonianze offerte dai vescovi della regione?

    R. – Dobbiamo pensare che si tratta in larga parte di Paesi dove la Chiesa è una minoranza, in alcuni casi una minoranza veramente minuscola, in un ambiente segnato soprattutto dall’islam o dalle religioni tradizionali. Questo secondo me è un valore in più della Fondazione che è nel concreto anche uno strumento di dialogo concreto con altre religioni e in questo senso lo vogliamo non solo apprezzare ma sostenere, tenendo presente che la Fondazione sostiene l’opera della Chiesa. In una situazione così minoritaria la Chiesa cosa può fare se non testimoniare quello che è? Come ci sta insegnando il Papa insistentemente in questi ultimi tempi, la fede si manifesta nelle opere e quello che riusciamo a manifestare attraverso la carità vuole essere alla fine nel piccolo, nel possibile, una testimonianza di Cristo. (bf)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Verso una nuova alba: Benedetto XVI durante l'udienza generale introduce il cammino quaresimale.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, lo sdegno e le proteste a Kabul dopo la profanazione, in una base statunitense, di copie del Corano.

    Lo squadrone volante di Innocenzo XI: in cultura, Silvano Giordano dalla disputa antigallicana al rinnovamento morale e religioso di Roma barocca.

    Cosa hai visto nel mio volto?: la prefazione di Lucetta Scaraffia al libro di Cristiana Dobner

    "Principio di interiorità. Edith Stein, Etty Hillesum". Gli sguardi di due donne straordinarie si sono incrociati prima di affrontare l'inferno di Auschwitz.

    A sei mesi dalla Giornata mondiale della gioventù a Madrid, un articolo di Manuel Milian Mestre.

    Simona Verrazzo recensisce "Come il cristianesimo ha trasformato il libro" di Grafton e Williams.

    Se un incendio in soffitta vale più di una rivoluzione: Gianluca Biccini sulla tavola rotonda "La Chiesa fa ancora notizia?", all'ambasciata di Spagna presso la Santa Sede.

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    Oggi in Primo Piano



    Violenze tribali in Libia: almeno 130 morti

    ◊   Una strage che si sta consumando nel silenzio. Sono oltre 130 i morti provocati in Libia da cruenti scontri scoppiati negli ultimi giorni tra tribù da sempre divise, ma le cui rivalità erano rimaste sopite durante il regime del colonnello Gheddafi. Un Paese che vive, dunque, una difficile transizione e che continua a confrontarsi quotidianamente con la violenza. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Arturo Varvelli, ricercatore dell’Istituto per gli studi di Politica Internazionale, autore di due pubblicazioni dedicate al Paese nordafricano:

    R. – La situazione che sta vivendo la Libia adesso è il risultato di un vuoto di potere. Il vuoto di potere è stato creato dalla caduta del regime di Gheddafi, che – bene o male per 42 anni - ha governato il Paese. Un Paese composto di elementi tribali e da clan che compongono il tessuto sociale della Libia: seppur non dobbiamo immaginarli seduti attorno al totem, vediamo come queste costanti storiche, questa composizione sociale stia emergendo in questi mesi.

    D. – Secondo una fonte del Cnt, queste tribù si scontrano per il controllo dei traffici illeciti: quanto può essere reale e quanto, invece, sono mossi da poteri politici?

    R. – Io credo che ci possano essere entrambe le cose. Sicuramente nel sud del Paese i traffici illeciti possono essere un business, in particolare nella zona di Kufra, dove si sono verificati questi ultimi accadimenti. Penso poi che ci possano essere anche motivazioni politiche, ma politiche perché legate al controllo del territorio, al controllo della cittadina …

    D. – Queste divisioni interne, secondo lei, quanto possono intralciare il percorso di normalizzazione della Libia?

    R. – Il percorso di normalizzazione della Libia è molto, molto complesso. Io penso che questo sia un elemento essenziale e fondamentale che deve trovare una soluzione. Questo è naturalmente legato al fatto che nel Paese esistono le milizie, le milizie che hanno combattuto contro il regime di Gheddafi e che non sembrano voler riconoscere pienamente l’autorità centrale: con autorità centrale intendiamo il Cnt e il governo provvisorio. Dalla loro parte hanno, però, il fatto di avere la gestione della rendita petrolifera e questo è un elemento, forse, unificante del Paese: tutti quanti sanno che se vogliono mantenersi, non devono spaccare questo giocattolo.

    D. – Numerose sono le richieste di intervento che giungono alla Comunità internazionale per far cessare le violenze: richieste che però non trovano alcuna risposta. Eppure dobbiamo dire che numerosi Paesi avevano spinto per la caduta di Gheddafi… Ora cosa sta succedendo?

    R. – Diciamo che i maggiori promotori della guerra a Gheddafi, al regime di Gheddafi – essenzialmente la Francia, seguita poi dalla Gran Bretagna e in seconda battuta, se non in terza, da Stati Uniti e poi Italia – erano più interessati, in qualche maniera, a farsi i mentori di questa fase di transizione della Primavera Araba. In qualche maniera si sono illusi che si potesse guidare in una certa maniera, che si potesse rimanere nel corso della storia e anche di indirizzarla. E’ quello che è stato fatto in Libia. Dall’altra parte ci sono naturalmente i Paesi arabi – abbiamo visto un Qatar molto attivo, con grossi interessi – e quindi saranno probabilmente i Paesi arabi ad essere maggiormente coinvolti in questa fase di transizione.

    D. – Il Cnt avrà la forza per ristabilire la calma e far nascere quella nuova Libia che oggi stenta a prendere forma?

    R. – Io onestamente sono molto pessimista, molto pessimista proprio per le ragioni espresse in precedenza: gli aspetti legati alle milizie, alle fazioni che sono ancora presenti e soprattutto, il punto critico è che il Cnt non ha una legittimità: ha una forte legittimità esterna, che è stata data da Paesi occidentali e dai Paesi arabi, che lo hanno subito riconosciuto e accreditato, ma ha una scarsissima legittimità interna. Diciamo che il Cnt viene guardato quasi come un organo autoproclamatosi. (mg,)

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    Siria: altri due giornalisti uccisi. Sono l'americana Mary Colvin e il francese Remi Ochlik

    ◊   Aumenta drammaticamente il numero dei giornalisti uccisi in Siria. Gli ultimi a cadere sotto i colpi di mortaio oggi a Homs sono stati l'americana Mary Colvin e il francese Remi Ochlik. Il servizio di Giada Aquilino:

    La notizia è stata diffusa dagli attivisti dell'opposizione siriana e ripresa dalla tv satellitare al-Jazeera. L'americana Mary Colvin, da anni residente in Gran Bretagna, e il francese Remi Ochlik si trovavano in un centro stampa allestito in un edificio del quartiere - sotto assedio dal 4 febbraio scorso - di Bab Amro, raggiunto stamani da proiettili di mortaio. Un video diffuso dagli attivisti mostra la costruzione quasi interamente distrutta e, tra le macerie, due corpi che - secondo le testimonianze - sono quelli della corrispondente del Sunday Times e del fotoreporter di Paris Match. In base a quanto si è appreso, 13 civili siriani sono rimasti uccisi e altri 3 giornalisti stranieri sono stati feriti. Mary Colvin negli ultimi 20 anni era stata inviata in molti teatri di guerra, occupandosi dei conflitti in Iraq e in Cecenia, dell'Intifada palestinese e delle violenze in Sri Lanka, dove nel 2001 rimase ferita gravemente da una scheggia di granata e perse un occhio. In quell'anno fu insignita del premio come miglior 'inviato estero dell'anno' della stampa britannica. Remi Ochlik, fotografo free-lance per diverse testate, aveva collaborato anche per Le Monde, Time Magazine e The Wall Street Journal. Nel 2005 aveva creato una propria agenzia fotografica, la Ip3 Press, e nel 2011 aveva seguito le rivoluzioni in Tunisia, Egitto e Libia. L'anno scorso vinse il Gran Prix Photo Jean-Louis Calderon e il 10 febbraio di quest’anno era risultato tra i vincitori del World Press Photo, il più prestigioso premio di fotogiornalismo, proprio per una foto scattata in Libia. L'11 gennaio scorso un altro reporter francese, Gilles Jacquier di France 2, aveva perso la vita in un bombardamento a colpi di mortaio mentre insieme ad un gruppo di colleghi si trovava a Homs in un viaggio organizzato dalle autorità di Damasco. Il 16 febbraio il corrispondente del New York Times dal Medio Oriente, l'americano di origine libanese Anthony Shadid, era morto nel nord del Paese a causa di un attacco di asma. A livello diplomatico intanto in queste ore si esamina la proposta formulata nei giorni scorsi dal Comitato internazionale della Croce Rossa per una tregua di due ore al giorno, al fine di consentire ai soccorsi di raggiungere le popolazioni colpite.

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    Iran: impedito l'accesso degli osservatori dell'Aiea al sito di Parchin

    ◊   Nuove frizioni tra comunità internazionale e Iran sulla questione nucleare. Teheran ha vietato l’ingresso degli osservatori dell’Aiea al sito di Parchin, già concesso in passato. Secondo l’Agenzia dell’Onu per l’energia atomica, in quell’impianto potrebbero essere in corso attività per la produzione di ordigni nucleari. L’atteggiamento iraniano, a detta del presidente degli Stati Uniti Barack Obama, è molto grave. Dalla sua, la guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, afferma che il suo Paese non ha intenzione di dotarsi di armamenti nucleari, ma che nessuno gli impedirà di sviluppare i propri programmi. Sulla vicenda Giancarlo La Vella ha intervistato il giornalista Antonello Sacchetti, esperto di questioni iraniane e appena rientrato dalla Repubblica islamica:

    R. – Questo sito di Parchin non rientra tra i siti dichiarati nucleari. E’ uno di quegli impianti che sarebbero visitabili dall’Aiea, qualora l’Iran aderisse al Protocollo addizionale. E in realtà c’è stato un momento in cui l’Iran ha, de facto, aderito al Protocollo addizionale, dal 2003 al 2006. Quando poi si è verificato lo stallo nei colloqui, tra il gruppo 5+1 in particolare, con Francia, Gran Bretagna e Germania, l’Iran ha sospeso quest’adesione volontaria, il Parlamento iraniano non ha ratificato questo Protocollo ed è stata nuovamente negata la visita a questo sito, attivo dagli anni ’50, dove comunque sono stati realizzati esperimenti e test militari. Qual è la questione? Nel famoso rapporto, rilasciato dall’Aiea nello scorso novembre, si dice che lì potrebbero esserci stati degli esperimenti con ingenti quantità di esplosivo, che potrebbero far pensare ad un collegamento con la questione nucleare.

    D. – Il presidente americano Obama parla di atteggiamento molto grave. A questo punto si tratta più ch altro di uno scontro politico?

    R. – Io direi proprio di sì. E’ chiaro che la questione del nucleare sia usata da tutte e due le parti in modo strumentale. L’Iran la sta sfruttando non perché voglia effettivamente raggiungere la dimensione di potenza nucleare, ma perché vuole raggiungere quello status che già è stato molto utile ad altri Paesi – penso soprattutto alla Corea del Nord – per impedire che si vada avanti con un programma di cambio di regime. Di fatto, parliamo di un Paese che, ammesso e non concesso che effettivamente possa dotarsi dell’arma nucleare, ancora non ha la bomba atomica, ma è vicino ad altri Paesi, come Israele, che ha 300 testate nucleari e inoltre non aderisce nemmeno al Trattato di non proliferazione. Quindi, è chiaro che stiamo parlando di una questione essenzialmente politica. Negli ultimi mesi, la questione si sta radicalizzando, anche perché l’attuale contesto internazionale non favorisce il dialogo. In tutto questo, invece, i contatti degli ultimi giorni, danno, secondo me, più speranze che impressioni negative.

    D. – Ma esiste una strada verso un dialogo?

    R. – Il dialogo c’è sempre, l’importante, però, è che sia un dialogo vero, in cui si è disposti ad accettare che anche l’altro possa avere ragione su qualcosa. Io parto dalla premessa che, se l’Iran ha aderito al Trattato di non proliferazione, abbia dei doveri, ma abbia anche dei diritti, tra i quali quello di sviluppare il nucleare unicamente a scopi civili. Se però si parte dal presupposto che, per cominciare il dialogo, qualcuno dice che bisogna sospendere l’arricchimento dell’uranio, si parte dalla fine, cioè da quella che dovrebbe essere invece la conclusione del negoziato. (ap)

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    Flessibilità che diventa precariato: i sindacati chiedono più welfare e impresa

    ◊   Il tema del lavoro e delle politiche per l’occupazione giovanile continua a rimanere centrale nella maggior parte delle economie europee alle prese con gli effetti della crisi. Secondo un recente rapporto dell’Ilo, l’Organizzazione internazionale del lavoro, i disoccupati nel mondo oggi sono 200 milioni. Sono i giovani a risentire maggiormente della crisi dell’occupazione: dal 2007 al 2011 è aumentato di 4 milioni il numero di giovani tra i 15 e i 24 anni disoccupati, raggiungendo la cifra globale di 74,8 milioni. Il problema evidenziato anche a livello internazionale resta quello della ridotta capacità dei sistemi economici di creare posti di lavoro stabili. Di qui il sempre più diffuso ricorso a lavori a tempo determinato e dunque al precariato. Una soluzione che, tuttavia, in Europa e in Italia in 10 anni non ha prodotto i benefici attesi. A Ilaria Lani, coordinatore delle politiche giovanili della Cgil, Stefano Leszczynski ha chiesto cosa non ha funzionato?

    R. – Non ha funzionato il fatto che i contratti atipici introdotti una decina di anni fa con la legge 30 sono contratti che davano meno diritti – penso quindi per esempio al compenso, penso al diritto alle ferie, alle malattie e alla maternità – e quindi erano contratti cui si faceva ricorso perché costavano meno, per risparmiare, e non prendevano in considerazione la formazione. Il datore di lavoro, dunque, non aveva alcun interesse a investire sul lavoratore e a costruirgli un percorso. Dobbiamo, quindi, ripartire immaginando una forma di ingresso al lavoro che dia formazione, che responsabilizzi il datore di lavoro.

    D. – Quindi, in sostanza il precario oggi viene visto come una manodopera a basso costo, che si può utilizzare quando serve e dismettere quando non serve più. Siamo molto lontani da quel concetto di professionalità che dovrebbe permettere a ciascuno di diventare imprenditore di se stesso...

    R. – Esatto, è esattamente il contrario di quello che ci avevano raccontato quando sono stati introdotti questi contratti. Alla fine, paradossalmente, i precari sono quelli meno autonomi, con meno spazi per esprimere la propria professionalità; sono quelli più subalterni, perché essendo molto ricattabili, sono quelli che hanno meno diritti.

    D. – Inoltre, tra un periodo lavorativo e l’altro, per i precari, l’unico ammortizzatore sociale sembra rimanere la famiglia...

    R. – Questo è il problema. Tanto che se oggi si parla di giovani fino a età improbabili è perché c’è una generazione intrappolata in una condizione di mancanza di autonomia, proprio perché c’è una generazione che è disoccupata o comunque perde il lavoro e non ha sostegno al reddito. L’unico ammortizzatore è la famiglia, che deve sobbarcarsi anche quest’onere. Quindi, oggi, se vogliamo intervenire per consentire ad una generazione di avere autonomia e costruirsi una propria famiglia, dobbiamo intervenire molto sul welfare.

    D. – Ci sono degli esempi in Europa, cui si potrebbe fare riferimento?

    R. – Ci sono modelli molto diversi in Europa. Ci sono modelli per cui è sostenibile una situazione di flexsecurity, come per esempio il modello danese, di cui tanto si è parlato, ma che è un modello dove c’è un intervento pubblico fortissimo, in termini di sostegno al reddito e anche in termini di servizi all’impiego. Quindi, è un modello molto lontano dal nostro. Ci sono poi modelli come la Germania, dove c’è una forte ristrutturazione delle imprese, dove la precarietà non ha assolutamente questo livello, anzi lì si entra in tempi rapidi nel mondo del lavoro. E’ difficile, dunque, parlare di modelli del mercato del lavoro se non si ragiona anche in termini di modelli produttivi e di modelli sociali di intervento pubblico. Modelli negativi, simili al nostro, ci sono: la Spagna, la Grecia... Noi credo che invece dobbiamo guardare a come uscirne, rafforzando il sistema delle imprese, il sistema produttivo e contemporaneamente il nostro sistema di welfare.

    D. – Al momento attuale, secondo lei, la politica si sta muovendo nel senso giusto?

    R. – La grande novità di questi ultimi mesi è che finalmente questo governo ha posto il tema della precarietà e il tema della condizione giovanile come temi da affrontare. Questo è molto importante, perché finora non era neanche riconosciuto il problema ed è un problema invece molto grosso. La questione adesso è trovare le risposte giuste. La cosa che a me spaventa è un atteggiamento talvolta un po’ strumentale che rischia di far passare l’idea che serva ancora nuova flessibilità. Invece non credo che serva nuova flessibilità. Abbiamo visto negli anni 2000 quanto la flessibilità abbia fatto male al nostro Paese e quanto questa cosa abbia prodotto più disoccupazione e non meno disoccupazione. Il tema oggi, quindi, è quello di intervenire sullo sviluppo per ridurre la disoccupazione e intervenire nel mercato del lavoro per ridurre la precarietà. Se si fa questo, io penso si possa fare un buon servizio al Paese e ridare una prospettiva e un futuro ai giovani. (ap)

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    Consiglio d'Europa: in Italia più impegno contro la discriminazione

    ◊   Nonostante i progressi compiuti, l’Italia deve impegnarsi ancora di più per combattere i discorsi di incitazione all’odio e proteggere i Rom e gli immigrati dalla violenza e dalla discriminazione. La raccomandazione arriva dalla Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (Ecri), che in un rapporto pubblicato ieri denuncia il persistere, nella penisola, di pratiche di esclusione. Francesca Sabatinelli ha intervistato Roberto Malini, co-presidente del Gruppo Everyone, organizzazione che opera a livello internazionale per la tutela dei diritti umani e civili e che ha collaborato proprio con l’Ecri.

    R. – Sebbene alcune sentenze di tribunali abbiano annullato provvedimenti discriminatori, come per esempio l’emergenza rom, rimangono punti focali da combattere. Sui rom, il rapporto rivela che, di fatto, non si sono compiuti progressi: emarginazione, effetti degli sgomberi, isolamento dei campi, povertà, scarsa scolarizzazione, sono tuttora problemi esistenti e quindi, nonostante i molti fondi investiti, il problema è rimasto identico, come alcuni anni fa. Un altro punto fondamentale sicuramente è stata la negazione del diritto di asilo a tanti immigrati che avrebbero avuto diritto di accedere a questa possibilità di protezione, mentre invece sono stati respinti, soprattutto quelli provenienti dai Paesi del Nord Africa. Si registra quindi anche l’assoluta inadeguatezza dell’accoglienza verso gli immigrati e i richiedenti asilo. Questi sono i punti fondamentali che la Commissione chiede che l’Italia risolva, o almeno che aumenti il suo impegno per risolverli.

    D. – La Commissione contro il razzismo sottolinea l’aumento, addirittura, del ricorso a discorsi di stampo razzista in politica, il che si traduce poi in politiche razziste e discriminatorie…

    R. – Sì. Purtroppo, in Italia c’è una situazione molto particolare, non a caso l’Ecri (Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza) focalizza proprio sull’Italia queste problematiche in particolare. Perché sebbene esistano decaloghi, normative e auto-normative per limitare l’utilizzo di terminologie discriminatorie per avere vantaggi, politici oppure mediatici, questa pratica prosegue e diciamo che, in un certo senso, in Italia tutte le correnti politiche, tutti i gruppi politici, ne fanno uso abbondante, soprattutto in campagna elettorale. E poi dobbiamo anche notare che i media ormai si sono in parte assuefatti a questo linguaggio e quindi lo accettano piuttosto facilmente. L’Ecri suggerisce, come soluzione, il fatto che l’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) abbia maggiori poteri e possa agire in maniera più efficace. Noi abbiamo ricordato all’Ecri stesso che è una soluzione, ma non basta anche perché l’Unar, purtroppo, è comunque un’istituzione i cui rappresentanti vengono eletti dal governo italiano.

    D. – Nel Rapporto si condanna la politica dei respingimenti attuata dal precedente governo, quello di Berlusconi. Con l’esecutivo Monti voi avete registrato progressi?

    R. – Sicuramente le intenzioni di questo governo riguardo all’immigrazione sembrano migliori rispetto a quelle del governo passato, quindi dobbiamo dargli del tempo per lavorare. Però, al momento attuale dobbiamo dire che i patti stabiliti nuovamente con i Paesi del Nord Africa per la lotta contro l’immigrazione di fatto bloccano il flusso sia dei lavoratori legali – chiamiamoli così – e sia dei veri e propri profughi. Quindi, sostanzialmente, l’accesso al Mediterraneo viene bloccato attraverso questi accordi. Quindi, di fatto, i respingimenti non avvengono più nelle acque verso l’Italia: avvengono prima ancora. Che in fondo è la stessa cosa. Ci sono poi etnie come i curdi o gli afgani che invece vengono regolarmente arrestati e rimpatriati senza che abbiano possibilità di chiedere asilo politico o protezione internazionale. Quindi, sotto questo aspetto, bisogna che il governo modifichi completamente le procedure rispetto a quello del passato, altrimenti non assisteremo a nessun cambiamento se non a livello di espressioni e di parole.

    D. – Fin qui abbiamo sottolineato le raccomandazioni. Ma ci sono stati passi avanti nel cammino contro la discriminazione?

    R. – Sicuramente. Come ad esempio alcune decisioni dei tribunali che hanno reso illegale l’emergenza nomadi, vanificando quindi tutto il lavoro che aveva fatto Maroni come ministro dell’Interno per trasformare, in un certo senso, il problema dei rom in un problema di sicurezza. Lentamente si sta migliorando, ma sicuramente non c’è ancora una corretta gestione di fondi, gestioni, risorse, programmi, per poter dire che l’Italia sta veramente entrando nel pieno rispetto degli accordi internazionali, della parte più attuale e più moderna dell’Europa nei confronti degli stranieri. (gf)



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    Dal film dei Taviani un messaggio: il carcere può valorizzare. Don Spriano: centrale l'opera dei volontari

    ◊   I recenti fatti di cronaca hanno confermato che la situazione negli Istituti di pena è resa drammatica per lo più dal sovraffollamento. Le condizioni di vita dei detenuti sono spesso insostenibili, ma ad alleviare le loro sofferenze c’è ogni giorno un esercito silenzioso che si occupa di loro: i volontari. Ce ne parla Davide Dionisi:

    Il successo a Berlino del film "Cesare deve morire" - la pellicola dei fratelli Taviani interamente girata tra le mura di Rebibbia - ha riproposto con forza il tema della valorizzazione e del reinserimento sociale delle persone detenute. Ruolo affidato per lo più al volontariato che, attraverso un incessante impegno quotidiano, accompagna tanti uomini e donne, durante l'espiazione della pena, nella delicata fase di transizione da modelli comportamentali delinquenziali all'adesione ai corretti modelli della civile convivenza. Ci spiega come don Sandro Spriano, cappellano del carcere:

    R. - Oggi, i volontari che riescono a offrire un servizio ai detenuti, sono davvero preziosissimi, perché i numeri del sovraffollamento tolgono potere a tutti gli operatori istituzionali, in quanto non si riesce a seguire individualmente le persone come prevede la Costituzione, la legge, e quindi dare loro un trattamento individualizzato. E quindi, il fatto che ci siano volontari che possano fare sia da “centro di ascolto” ai singoli detenuti che hanno bisogno di parlare, di avere delle risposte, di avere dei collegamenti , sia portare avanti delle iniziative a sfondo religioso e creativo, rappresentano oggi il respiro del carcere. Altrimenti, sarebbe davvero una situazione piuttosto tombale. Quando il pomeriggio del sabato, la domenica mattina, in carcere non ci sono tanti operatori, anzi ce ne sono pochissimi, c’è un silenzio impressionante e davvero si comprende l’abbandono, la solitudine e anche il disinteresse della nostra società.

    D. - Considerato che la potenzialità rieducativa del carcere è connessa con le opportunità che tale istituzione offre per realizzare scambi interpersonali, l'azione del volontario in questo senso assume un ruolo chiave…

    R . - Si, anche se purtroppo poi non si riesce nemmeno con l’aiuto dei volontari, che non neanche sono un’infinità. Diciamo che le nostre carceri - circa 210 - non hanno tutte la stessa presenza di volontari. Nelle grandi città, si riesce a esprimere questo volontariato, mentre nei posti piccoli non c’è quasi niente. E anche qui, nelle grandi città, devo dire che la maggior parte del volontariato puro è espresso proprio dalla Chiesa di Roma. Però, questa presenza riesce davvero a fare un controllo sociale, perché tante cose che non funzionano possono essere da noi denunciate, cercando di risolverle. Normalmente, il detenuto non ha questa possibilità normalmente.

    D. - Non pensa che si debbano determinare, così come avviene per gli altri operatori penitenziari, settori di specializzazione anche tra i volontari che operano nel carcere? Penso, per esempio, ai detenuti tossicodipendenti...

    R. - Fino ad un certo punto. Intanto, io non credo che noi dobbiamo sostituire ciò che lo Stato ha come compito primario, cioè quello di trattare i singoli condannati. E già qui, c’è una grande distinzione, perché i condannati sono la metà dei detenuti, gli altri sono in attesa di giudizio. (bi)

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Pescatori uccisi in Kerala: il cardinale Alencherry smentisce la mediazione India-Italia

    ◊   “Verità e giustizia” nella vicenda dei pescatori uccisi in Kerala il 15 febbraio scorso, nel caso in cui è coinvolta una petroliera italiana: è quanto chiede in un colloquio con l’agenzia Fides il neo cardinale George Alencherry, arcivescovo maggiore della Chiesa siro-malabarese, con base in Kerala. Il porporato ha rilasciato oggi all’agenzia Fides una dichiarazione nella quale ha voluto precisare il suo pensiero sull’incidente in cui due pescatori sono stati uccisi in mare del Kerala, giorni fa. "Questo episodio - ha detto - dev’essere investigato: se c’è un’azione colpevole, dev’essere trattata legalmente e i colpevoli devono essere puniti. Si devono rispettare pienamente verità e giustizia”. Il cardinale ha spiegato l’espressione, da lui usata, parlando di “soluzione pacifica” alla vicenda: “Quello che intendevo dire è che auspico questo evento non diventi motivo di conflitti e di inimicizia, nelle comunità e fra le nazioni. Non ho intenzione - ha sottolineato - di assumere un ruolo di mediatore nel risolvere la vicenda”. (R.P.)

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    Rapporto di Iran human rights sulla pena di morte: nel 2011 il numero più alto di casi dagli anni ’90

    ◊   Nel 2011 in Iran almeno 676 persone sono state messe a morte, il numero più alto dagli anni ‘90 ad oggi. Aumentato drasticamente il numero delle esecuzioni in pubblico: 65, un dato di oltre tre volte superiore alla media degli ultimi anni. Lo riferisce l’agenzia Sir, in base al rapporto annuale sulla pena di morte dell’organizzazione per i diritti umani Iran human rights, presentato ieri a Roma, al Senato della Repubblica. “Non ci sono dubbi - ha affermato Mahmood Amiry-Moghaddam, portavoce internazionale di Iran Human Rights - che le autorità iraniane usino la pena di morte come strumento politico. Il drammatico aumento nel numero delle esecuzioni dimostra - ha proseguito - che il regime iraniano, ora più che mai, lega il prolungamento della sua sopravvivenza alla capacità di diffondere il terrore. La pena di morte in generale e le esecuzioni pubbliche in particolare - ha aggiunto - sono lo strumento più importante usato dal regime iraniano per suscitare paura all’interno della società”. L’81% delle persone messe a morte è stato accusato di narcotraffico, ma l’organizzazione riferisce che l’80% di queste non sono state identificate con il nome completo e i processi si sono svolti a porte chiuse. Non si può perciò escludere, secondo Iran human rights, “l’eventualità che possano esserci, tra loro, persone che avevano partecipato a manifestazioni di protesta, dissidenti o membri dell’opposizione”. Per alcuni condannati, è stata mossa l’accusa di “moharebeh”, cioè di “inimicizia con Dio”, usata nel 2011 per mettere a morte il 4% delle persone, ritenute colpevoli di essere coinvolte nella lotta armata contro le autorità o avere solo qualche legame con gruppi considerati ostili. Inoltre, nonostante l’Iran abbia ratificato la Convenzione internazionale Onu sui diritti dell’infanzia, che vieta la pena di morte per i reati commessi sotto i 18 anni di età, secondo i dati riportati nel rapporto sono almeno 4 i minori messi a morte nel 2011. Condannati anche 4 ideatori di siti web, giudicati colpevoli di diffondere la “corruzione sulla terra”. “Alla vigilia delle elezioni parlamentari del 2 marzo, l‘Iran - ha osservato Marco Curatolo, presidente di Iran Human Rights Italia - è di nuovo, come spesso è accaduto in questi ultimi anni, la più grande prigione al mondo per blogger e giornalisti”. (G.A.)

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    Iran: si teme esecuzione per il pastore cristiano Nadarkhani, condannato a morte per apostasia

    ◊   Come riferisce all'agenzia Fides l’Ong “Christian Solidarity Worldwide” (Csw), l'avvocato del Pastore sta cercando conferme alla notizia di una imminente esecuzione del Pastore. Vi sono fondati timori, nota l’Ong, che la condanna a morte possa essere effettuata in qualsiasi momento, senza preavviso, e che le autorità si limitino a darne notizia solo dopo averla effettuata, pratica che non è rara in Iran. Il Pastore cristiano Yousef Nadarkhani ha subito una condanna a morte per apostasia (è un ex musulmano), ed è stato in attesa di una decisione definitiva sul verdetto per diversi mesi. In almeno quattro occasioni gli è stata offerta la libertà in cambio della rinuncia alla sua fede cristiana, ma ha sempre rifiutato. Csw informa che anche Farshid Malayeri Fathi, un leader della Chiesa evangelica tenuto in carcere dal dicembre 2010, è stato processato il 5 febbraio scorso da un tribunale nella prigione di Evin. Fathi, padre di due figli, è stato arrestato dalle autorità il 26 dicembre 2010 durante il raid che ha colpito un gran numero di cittadini cristiani, molti dei quali furono poi rilasciati dopo il pagamento di cauzioni esorbitanti. L’uomo è stato tenuto in isolamento per gran parte della sua incarcerazione, e interrogato da agenti che lavorano per il Ministero dei servizi segreti sulle sue attività religiose e i contatti all'estero. Csw afferma: “Siamo profondamente preoccupati per la possibilità, molto reale, che la condanna a morte del Pastore Nadarkhani possa essere effettuata in qualsiasi momento, nonostante l’assenza di qualsiasi base giuridica. Sollecitiamo la comunità internazionale ad esercitare pressioni sul governo iraniano per il suo rilascio, per il rispetto dei diritti civili e politici e la libertà di religione”. (R.P.)

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    Grecia. Il presidente dei vescovi: "Ormai solo la fede non si può tassare"

    ◊   “Il popolo non capisce ciò che sta accadendo. A seguire ciò che scrivono i giornali, radio e tv, a leggere ciò che riportano i tanti siti internet, è impossibile comprendere veramente a fondo la situazione. Ma una cosa è certa: il popolo non ne può più e la miseria cresce giorno dopo giorno”. Non basta la notizia dell’approvazione, nella notte tra il 20 e il 21 febbraio, del secondo piano di aiuti Ue, di 130 miliardi di euro, che si aggiungono ai quasi 110 già stanziati in precedenza, per ridare un po’ di sorriso al presidente dei vescovi di Grecia, mons. Francesco Papamanolis, che all'agenzia Sir parla degli sviluppi della crisi nel suo Paese. “Ogni giorno - rivela - incontro persone, padri di famiglia, lavoratori che vengono a chiedere aiuto ed è una pena non poterlo fare. Questa è la realtà. Anche come Chiesa cattolica siamo in difficoltà”. Difficoltà anche per pagare le tasse, che “raggiungono il 48,2% dei nostri introiti che provengono solo dagli affitti degli immobili delle diocesi. Il piano di aiuti - denuncia il vescovo - ci ha fatto perdere la nostra indipendenza. Ora, infatti, dovremo accettare una sorveglianza ‘rafforzata’, che prevede la presenza permanente della troika (Ue, Bce e Fmi) e l’inserimento nella Costituzione di una norma sulla priorità dei pagamenti delle scadenze del debito”. Mons. Papamanolis punta l’indice anche contro il mondo politico reo di non tagliare i costi della politica: “Come si fa - domanda il presidente dei vescovi greci - a chiedere sacrifici al popolo? Le pensioni sono state tagliate, le bollette aumentano. E non saranno le elezioni a cambiare le sorti della politica. Ci aspettano anni difficili, duri, non so come ne usciremo. La miseria è impressionante. L’unica cosa che non ci hanno ancora tassato sono le preghiere. Ma la fede non si può tassare”. (R.P.)

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    Usa: veto del governatore del New Jersey alla proposta di legge sui matrimoni gay

    ◊   Battuta di arresto per la legge sui matrimoni omosessuali nel New Jersey. Il Governatore repubblicano dello Stato, Chris Christie, ha infatti posto il veto alla proposta di legge approvata la settimana scorsa dal Parlamento statale. Durante tutto l’iter legislativo del provvedimento, Christie, un cattolico, ha sempre sostenuto che la legalizzazione dei matrimoni omosessuali dovrebbe essere sottoposta ad un referendum popolare. La sua decisione di porre il veto viene incontro alle richieste della Conferenza cattolica del New Jersey, organo dei vescovi dello Stato, il cui portavoce Patrick Brannigan era stato ascoltato lo scorso gennaio in un’audizione al Congresso locale. Nel suo intervento – riferisce l’agenzia Cns - Brannigan aveva esortato i parlamentari “a continuare a riconoscere il matrimonio quale unione tra un uomo e una donna”, poiché, aveva detto, esso “è il fondamento della famiglia e la famiglia è la cellula fondamentale della società”. Brannigan aveva inoltre ricordato che se la Chiesa si oppone ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, essa è anche contraria alle discriminazioni contro gli omosessuali i cui “diritti umani fondamentali vanno difesi”. Questi diritti - aveva puntualizzato - non sono toccati dal divieto ai matrimoni omosessuali. Il Governatore Christie, ha accompagnato la propria decisione di mettere il veto con l’invito ai deputati a nominare un rappresentante per i diritti delle coppie omosessuali sulla base della legge esistente nello Stato che regola le unioni civili.
    Mentre in New Jersey le nozze omosessuali non passano, nello Stato di Washington DC, la Governatrice Christine Gregoire ha dato il via libera la settimana scorsa alla loro legalizzazione. Esse potrebbero diventare presto una realtà anche in Maryland, dove una proposta in tal senso è stata approvata dalla Camera dei rappresentanti locale sempre la settimana scorsa. Ora serve il via libera del Senato e la firma del Governatore Martin O'Malley, ma entrambi appaiono scontati. Con Washington sono diventati sette gli Stati americani che hanno legalizzato il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Gli altri sei sono: il Massachusetts, il Connecticut, l’Iowa, il New Hampshire , il Vermont e New York. (L.Z.)

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    Messico. Disastro ambientale e siccità: è emergenza nella Sierra Tarahumara

    ◊   Il disboscamento illegale e l'inquinamento dei fiumi sono alcuni dei danni riconducibili alla “corruzione” e all’“immoralità” delle autorità, i cui effetti hanno causato la fame nella Sierra Tarahumara. È quanto riportato dall'editoriale del settimanale “Desde la Fé” dell'arcidiocesi di Mexico e rilanciato dall’agenzia Fides. La situazione nell’immediato “può essere tenuta sotto controllo, ma a lungo andare continuerà ad essere latente, non solo a causa dello stile di vita nella zona di Tarahumara, ma soprattutto a causa della siccità, che colpisce metà del Paese e che si sta mostrando come un problema più grave a livello mondiale: lo squilibrio ecologico che porta al disastro ambientale". Il settimanale diocesano fa notare che in Messico sono state colpite irresponsabilmente e in maniera irreversibile le risorse naturali locali, con la complicità di funzionari corrotti a tutti i livelli, “motivati da avidità economica e rapacità immorale”. “La risposta a questa emergenza - recita l’editoriale - deve essere ora un cambio di mentalità nelle persone e nelle nuove politiche pubbliche di governo per risolvere i problemi a lungo termine. La natura merita maggiore rispetto e cura”, conclude il testo. Anche mons. Rafael Sandoval Sandoval, vescovo della diocesi di Tarahumara, in un’intervista alla stampa della zona, ha denunciato che la gente di Tarahumara ha fame: “la Chiesa missionaria nella zona stava preparando ‘Red Serrana’, un progetto di solidarietà e di sviluppo della comunità. La siccità però è arrivata a sorpresa. Ho detto ai parroci - ha spiegato - di muoversi per portare aiuti alle comunità che ne hanno bisogno”. A tale emergenza, riporta ancora Fides, si è riallacciato pure mons. Armando Colin Cruz, vescovo ausiliare dell'arcidiocesi di Mexico, che nell’omelia della terza domenica di febbraio - quando in Messico si celebra la Giornata della Pontificia opera dell'infanzia e dell’Adolescenza missionaria - ha parlato della situazione precaria in cui vivono milioni di bambini, sia in Somalia come nella Sierra Tarahumara: “ci sono molte famiglie distrutte, prive del necessario per vivere: mancanza di cibo, di assistenza sanitaria, di medicine, di educazione; a molti - ha concluso - manca la pace e perfino la serenità per poter affrontare tutti i problemi che vive il nostro mondo”. (G.A.)

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    Messico: una nuova radio online, Radio Cristo Rey, prepara la visita del Papa

    ◊   Mancano solo 30 giorni alla visita di Benedetto XVI in Messico, e l'arcidiocesi di Leon ha annunciato l'apertura di una radio via internet, Radio Cristo Rey, la quale ha anche una presenza nei social network, con più di 12 programmi in diretta, coinvolgendo sacerdoti, diaconi e laici delle diocesi di Queretaro, Celaya e León. Il suo obiettivo iniziale è che gli utenti conoscano Benedetto XVI e il significato del messaggio che porta con la sua visita. “Conoscendo la realtà del web, assumendo la missione di diffondere il messaggio di Cristo e del Papa, vogliamo raggiungere tutte le persone di buona volontà. Per questo motivo avremo anche piccoli programmi in inglese, francese e italiano, così come in Nahuatl, Mixe, Tarahumara e Otomi" spiega la nota inviata all'agenzia Fides. La “copertura speciale” inizia con il programma "Discepoli e missionari", trasmesso dalla diocesi di Queretaro alle ore 10, al quale parteciperà il vescovo mons. Faustino Armendáriz. Il comunicato ricorda che la visita del Papa avviene nel contesto dell'anniversario dell'indipendenza, che si celebra in diversi paesi dell'America Latina, e che il Papa viene "ad annunciare la Parola di Cristo e a rafforzare la convinzione che questo è un tempo prezioso per evangelizzare con una fede coraggiosa". Fra le commissioni create per occuparsi di tutti gli aspetti che riguardano la visita del Papa, c'è anche quella della comunicazione, e la radio vuole promuovere attraverso la rete la preparazione alla visita in tutti i mezzi di comunicazione.(R.P.)

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    Senegal: dopo gli scontri per le presidenziali la Chiesa invita alla calma

    ◊   La Chiesa senegalese sta pianificando iniziative per richiamare alla pace in vista delle elezioni presidenziali del 26 febbraio. Dopo le violenze verificatesi nei giorni scorsi a Dakar, si pensa alla possibilità di far dialogare potere e opposizione. Secous Catholique finanzierà inoltre il progetto di osservazione che prevede l’impegno di 850 persone sul territorio nazionale durante lo svolgimento delle votazioni. Formati appositamente dalla Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale senegalese, gli osservatori dovranno “verificare l’assenza di frodi e vera trasparenza”, come spiega padre Alphonse Seck, vicario generale della diocesi di Dakar e segretario esecutivo della Commissione Giustizia e Pace. Tali osservatori, riferisce il portale www.secours-catholique.org, saranno presenti agli scrutini, mentre dal 26 gennaio, stanno valutando lo svolgimento della campagna elettorale centinaia di inviati dell’Unione europea. Padre Seck ha invitato i politici ad evitare il caos. A pochi giorni dall’appuntamento alle urne, la capitale senegalese ha assistito a diversi scontri tra forze dell’ordine e oppositori al potere, giovani soprattutto, che hanno tentato di partecipare a manifestazioni non autorizzate. Sei persone sono morte e numerosi manifestanti e civili sono stati feriti. Gli incidenti si sono verificati dopo il riconoscimento, da parte del Consiglio costituzionale, il 27 gennaio, della validità, della candidatura del presidente uscente Abdoulaye Wade. Eletto nel 2000 e rieletto nel 2007 per 5 anni, dopo la riforma costituzionale del 2001 che aveva istituito il rinnovo del quinquennato per una volta, Wade si ripresenta alle elezioni dopo la reintroduzione nel 2008 del settennato. L’opposizione, riunita nel Movimento del 23 giugno, denominato M23, ha denunciato un colpo di stato costituzionale affermando che Wade ha esaurito i suoi due mandati legali. Cheikh Tidiane Gadio, ex ministro degli Affari Esteri di Wade, passato all’opposizione nell’M23 e candidatosi a sua volta, ha tra l’altro annunciato la creazione di un Consiglio nazionale di transizione se Wade dovesse persistere. “Sono convinto che la governance non sarà più la stessa in Senegal dopo queste elezioni – ha detto padre Seck –. Il popolo sarà più vigilante e chiederà il rendiconto alla classe dirigente. Queste elezioni, al di là delle violenze, sono espressione dell’essere cittadini, del rinnovamento”. (T.C.)

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    Vescovi dello Sri Lanka: Quaresima, tempo di riflessione profonda per ogni cristiano

    ◊   La Quaresima, che comincia oggi, mercoledì delle Ceneri, è "un tempo che chiama ogni cristiano a una riflessione profonda sulla propria vita, non solo al pentimento e alla riconciliazione". Così mons. Harold Anthony Perera, presidente della Commissione cattolica nazionale per Giustizia, pace e sviluppo umano, ha introdotto il messaggio quaresimale della Conferenza episcopale dello Sri Lanka (Cbcsl). Il tema scelto quest'anno dai vescovi srilankesi - riferisce l'agenzia AsiaNews - è "Unità attraverso la riconciliazione. Il nostro Paese - prosegue il vescovo - ha bisogno di un certo tipo di unità, quella che ci porterà a guarire attraverso un pentimento genuino. Per unità non intendiamo una società libera da conflitti; piuttosto, una società in cui tutte le persone possono godere della libertà e vivere amore e compassione". Citando un passo del profeta Gioele (2:13) "Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio, perché egli è misericordioso e benigno, tardo all'ira e ricco di benevolenza, e si impietosisce riguardo alla sventura", mons. Perera aggiunge: "Lacerare il nostro cuore è certo un compito difficile, perché la natura umana è fragile. Tuttavia, i suoi frutti sono inestimabili e il vero pentimento lo richiede". Infine, il vescovo esorta i fedeli: "Non confiniamoci dietro le sole cerimonie. Costruiamo una relazione vicina e profonda con il Signore. Facciamo esperienza di un cambiamento profondo nelle nostre vite. Dedichiamoci al servizio dei nostri fratelli, così da condividere con Dio un'esperienza pasquale autentica". (R.P.)

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    Iniziativa di Sos Villaggi dei Bambini per gli sfollati del Sud Sudan

    ◊   Migliaia di sud sudanesi, fuggiti nei mesi scorsi in Sudan a causa delle ultime violenze scoppiate nel 2011, saranno rimpatriati a partire da marzo dalle autorità di Khartoum. L’ultimatum è stato fissato dal governo del presidente Omar Hassan al Bashir. L’organizzazione umanitaria Sos Villaggi dei Bambini Sudan riferisce che tra gli sfollati ci sono anche 2.000 bambini privi di cure familiari. Per far fronte a tale emergenza, l’organizzazione - in collaborazione con le autorità locali, le agenzie Onu e le Ong presenti sul campo - allestirà due rifugi temporanei rispettivamente a Juba e Malakal, dove si prenderà cura di 400 piccoli, offrendo loro accoglienza temporanea, accesso all’istruzione e sostegno psicologico. Verranno inoltre avviate le procedure di riconoscimento dei piccoli non accompagnati, per poi iniziare le attività di ricongiungimento familiare. Sos Villaggi dei Bambini - informa una nota - è presente in Sudan da più di 30 anni. (G.A.)

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    Inghilterra. I vescovi sulle possibili modifiche alla definizione di matrimonio

    ◊   L’imminente consultazione del governo britannico sulla modifica della definizione di matrimonio è di “grande preoccupazione per molte persone nella nostra società e incoraggiamo i cattolici a partecipare alla consultazione e a far conoscere le loro obiezioni”. Così l’arcivescovo cattolico Peter Smith si esprime in un comunicato diffuso dalla Conferenza episcopale inglese, riportato dall’agenzia Sir. A nome della Chiesa cattolica presente nel Paese, il presule dà sostegno alla formazione della “Coalizione per il matrimonio”, un movimento popolare che promuove la campagna affinché “la definizione corrente del matrimonio rimanga nel diritto inglese”. “Un cambiamento - avverte l’arcivescovo Smith - non è necessario perché il Civil Partnerships Act prevede già i diritti civili delle coppie dello stesso sesso. Né un cambiamento è auspicabile – prosegue - perché cambierebbe radicalmente lo scopo legale del matrimonio, eliminando qualsiasi riferimento alla procreazione ed educazione dei figli. Il matrimonio è un’istituzione sociale fondamentale e né lo Stato né la Chiesa - aggiunge - hanno il diritto di ridefinire il significato. Insieme con la Chiesa d‘Inghilterra e la nuova “Coalizione per il matrimonio”, incoraggeremo - conclude - le persone a firmare la petizione esprimendo la loro opposizione ad un cambiamento nella legge sul matrimonio”. La Gran Bretagna ha previsto le unioni civili fra persone dello stesso sesso, ma non il matrimonio vero e proprio. (G.A.)

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    Ungheria: altre 17 comunità religiose per lo status giuridico

    ◊   Altre 17 denominazioni religiose sono state proposte per la concessione di status di Chiese, con una mozione approvata il 10 febbraio dalla Commissione parlamentare per i diritti umani, le minoranze e gli affari religiosi. Il Parlamento - riferisce l'agenzia Sir - ha previsto di emendare di conseguenza la legge sulle Chiese in questa settimana. La mozione è stata approvata col voto unanime da tutti i membri governativi del Parlamento, mentre i membri dell’opposizione della Commissione si sono astenuti. In Ungheria, la legge sulle Chiese, approvata lo scorso anno, ha riconosciuto ufficialmente 14 Chiese ed ha permesso ad altre denominazioni e comunità religiose di presentare domanda per ottenere lo status di Chiese. Le richieste dovevano essere presentate al Ministero della giustizia, che le avrebbe poi trasmesse al Parlamento per la decisione. Secondo il sito web www.politics.hu, tra le 17 comunità religiose attualmente proposte per l’approvazione ci sono 10 denominazioni cristiane, una comunità hindu, una comunità islamica e 5 congregazioni buddiste. La nuova legge è entrata in vigore il 1° gennaio 2012. Lo scopo della legislazione è quello di fermare la diffusione delle associazioni che hanno beneficiato di sostegno finanziario pubblico spacciandosi per comunità religiose dopo la caduta del regime comunista. (R.P.)

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    Trovati altri quattro corpi nella Costa Concordia, tra cui quello della piccola Dayana

    ◊   Nell’ambito delle operazioni di ricerca all’interno del relitto della nave da crociera Costa Concordia, naufragata sull’Isola del Giglio lo scorso 13 gennaio, i vigili del fuoco hanno individuato questa mattina quattro corpi nella parte sommersa dell’imbarcazione. Fonti dei soccorritori riferiscono che tra i corpi localizzati sul ponte 4 c’è anche quello della piccola Dayana Arlotti, la bimba di 5 anni di Rimini che si trovava in crociera con il padre. È in corso la fase di ricupero, i cui tempi non sono ancora stati stimati a causa delle difficili condizioni di operatività. (G.A.)

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    Università europea di Roma: dal 27 febbraio mostra dedicata al Beato Newman

    ◊   “Cor ad cor loquitur – La certezza di Newman: la coscienza e la realtà”. È il titolo della mostra dedicata al beato John Henry Newman che l'Università Europea di Roma proporrà dal 27 febbraio al 2 marzo. L'ateneo, riferisce un comunicato stampa, ha ricostruito un percorso biografico e tematico legato al cardinale inglese - beatificato a Birmingham da Benedetto XVI il 19 settembre 2010 - da cui emerge come la “coscienza sia stata la forza motrice di tutto il cammino Newman verso la certezza della verità e come tale cammino abbia caratterizzato anche il suo essere educatore e amante della bellezza”. La prima conversione “è la scoperta che Dio e l’anima sono reali”: il giovane Newman “realizza che ciò che veramente conta nella vita non è la realtà afferrabile ma l’evidente presenza della persona di Dio”. La seconda conversione “porta alla consapevolezza che la fede non si esaurisce in un'esperienza di dialogo intimistico con Dio ma diventa intelligenza della realtà”. Infine la conversione al cattolicesimo: “è la scoperta che Dio ha deciso di ‘intromettersi negli affari umani’ creando un luogo reale della sua presenza che è la Chiesa cattolica”. L'ingresso all’esposizione sarà libero, con possibilità di visite guidate gratuite curate dagli studenti dell'Università Europea. Lunedì 27 febbraio si terrà l'incontro di presentazione della mostra, con il curatore Samuele Busetto, e con Luca F. Tuninetti, docente di logica e filosofia della conoscenza presso la Pontificia Università Urbaniana, e Guido Traversa, docente di filosofia morale presso l’ateneo organizzatore dell’evento. (G.A.)

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    155 anni fa nasceva Heinrich Rudolf Hertz, lo scienziato che scoprì le onde radio

    ◊   “Non c'è nessun tipo di utilizzo”. “Abbiamo queste misteriose onde elettromagnetiche che non possiamo vedere ad occhio nudo, ma che ci sono”. Niente di più che una teoria scientifica dimostrata, insomma: era questo che il prof. Heinrich Rudolf Hertz – di famiglia ebrea convertita al cristianesimo – rispondeva ai suoi studenti quando, impressionati dagli esperimenti di quel giovane e brillante docente, gli domandavano in che modo si potessero utilizzare quelle “nuove” onde elettromagnetiche. “È solo un esperimento che dimostra che Maxwell aveva ragione”, replicava pacato Hertz, riferendosi alla nuova teoria elettromagnetica che James Clerk Maxwell aveva formulato nel 1884. Ma quello che Hertz ha scoperto pochi anni dopo, con i suoi “oscillatori”, in un angolo dell’aula di Fisica – dove appena 28.enne insegna all'Istituto tecnico Karlsruhe di Berlino – è la scintilla da cui sta per scoccare la rivoluzione mediatica del Novecento. A Berlino, Hertz trova le apparecchiature per chiarire ed espandere gli studi di Maxwell ai quali da tempo si dedicava, provocando in circuiti elettrici semplici (gli oscillatori di Hertz, appunto) delle scariche oscillanti di altissima frequenza, riuscendo poi a captarle con circuiti risonanti rivelatori. I suoi esperimenti arrivano a sondare tutti gli aspetti delle onde elettromagnetiche: riflessione, rifrazione, polarizzazione, interferenza e velocità. Il ventaglio completo di un genio che essendo anche un uomo riservato e non roso dall’ambizione, si limita ad archiviare i propri risultati come mere prove speculative, senza finalità pratiche. Un abbaglio involontario ma enorme, perché quelle onde invisibili, che oggi portano il suo nome, daranno “vita” al telegrafo senza fili, alla radio, alla tv, al radar, alla telefonia cellulare. Hertz, di salute malferma, muore a nemmeno 37 anni, il 1 gennaio 1894. L’8 dicembre 1895, lo sparo da dietro la collina di Villa Griffone cambia la storia del mondo moderno: Guglielmo Marconi ha effettuato la prima trasmissione senza fili. Le onde invisibili di Hertz hanno tenuto a battesimo la radio. (A cura di Alessandro De Carolis)

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    Radio Vaticana: prende il via oggi il programma di spiritualità "Radio Quaresima"

    ◊   Con il Mercoledì delle Ceneri prende avvio oggi la “Radio Quaresima”, annuale proposta di spiritualità in preparazione alla Pasqua del Programma Orizzonti Cristiani della Radio Vaticana. L’iniziativa è articolata in un duplice percorso. Il primo ciclo, a cadenza giornaliera (in onda alle ore 7.15 e, in replica, alle 23.45), è intitolato “Come in pieno giorno” e comprende 40 meditazioni di mons. Matteo Maria Zuppi proposte al microfono da Monia Parente. Il secondo ciclo, intitolato “Amare ancora”, propone 18 riflessioni di mons. Massimo Camisasca con la voce di Rosario Tronnolone. Le 18 trasmissioni previste dal 23 febbraio al 31 marzo verranno diffuse il giovedì, il venerdì e il sabato alle 14.30 (solo giovedì e venerdì), alle 17,30 e alle 6.00 del giorno successivo. Inoltre Radio Quaresima si può ascoltare in diretta oppure on demand sulla pagina Web del canale italiano 105 Fm all’indirizzo . (M.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 53

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli.