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Sommario del 21/02/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Domani, il Papa presiede il Rito delle Ceneri all’Aventino. La riflessione di mons. Sigalini sulla Quaresima
  • Vigilia della Campagna di fraternità in Brasile dedicata alla tutela sanitaria. Intervista al cardinale Hummes
  • Nomina negli Stati Uniti
  • Incontro tra il cardinale Bertone e il rettore della Pontificia Università Cattolica del Perù
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Grecia. Barroso ottimista: sventato definitivamente il fallimento
  • Pirati e stabilità interna: le priorità della Conferenza di Londra sulla Somalia
  • Mediazione della Chiesa del Kerala nella vicenda dei marò italiani accusati di omicidio
  • Nigeria, forse i Boko Haram dietro l'ultima strage. Un Rapporto rivela: povertà in serio aumento
  • Mons. Leuzzi sui pronto soccorso a Roma: se il malato non viene accolto è in crisi la stessa società
  • Giornata mondiale della lingua madre: la diversità culturale è ricchezza dell'umanità
  • Politiche per la famiglia e rilancio della cultura familiare al centro di un convegno a Roma
  • Al via le cerimonie per il decimo anniversario della Beatificazione di Tommaso Maria Fusco
  • La scomparsa dello scienziato italiano Dulbecco riapre il dibattito sulla ricerca in Italia
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Pakistan: la polizia scagiona Abid Malik, incriminato per l’assassinio Bhatti
  • Consiglio Mondiale delle Chiese: solidarietà alle Chiese in Siria
  • Siria: l’arcivescovo di Damasco ricorda le sofferenze della popolazione
  • Il Patriarca ortodosso Bartolomeo I chiede libertà per le minoranze nella nuova Costituzione
  • Egitto: il parlamento difende le famiglie copte dall’espulsione dai loro villaggi
  • Iraq. Mons. Sleiman: una Quaresima per rafforzare la speranza
  • Mauritania: 12 milioni di persone a rischio per siccità e malnutrizione
  • India. Il neo cardinale Alencherry: l’intolleranza contro i cristiani fenomeno di pochi estremisti
  • Malaysia: i cristiani dicono no a un codice per i rapporti tra musulmani e altre religioni
  • Sri Lanka: il dramma delle bambine soldato anche dopo la fine delle guerre
  • India: Campagna delle religiose-medico contro feticidi e infanticidi femminili
  • Haiti: torna il Carnevale ma restano i problemi della ricostruzione
  • Gambia: dedicata al perdono la riflessione quaresimale della Chiesa
  • Canada: le scuole cattoliche contro le modifiche all'ora di religione
  • Malta. I vescovi per la Quaresima: uscire dall’esilio spirituale della cultura di oggi
  • Consiglio d’Europa: in Italia più impegno contro la discriminazione
  • Il Papa e la Santa Sede



    Domani, il Papa presiede il Rito delle Ceneri all’Aventino. La riflessione di mons. Sigalini sulla Quaresima

    ◊   Domani, Mercoledì delle Ceneri, Benedetto XVI presiederà la tradizionale Stazione Quaresimale sull’Aventino, a partire dalle ore 16.30 nella chiesa di Sant’Anselmo. Si terrà quindi la processione verso la Basilica di Santa Sabina. Qui avrà luogo la celebrazione dell’Eucaristia con il rito di benedizione e imposizione delle ceneri. Sul significato di questo tempo forte per la vita dei cristiani, Alessandro Gisotti ha intervistato il vescovo di Palestrina, mons. Domenico Sigalini:

    R. – Il cammino della Quaresima per un cristiano è importante come la primavera per la natura, perché è la primavera dello spirito. E’ il momento in cui rinasce, riprende il cammino verso la santità. Noi siamo convinti che come cristiani non possiamo ridurre la nostra risposta ai doni di Dio soltanto a qualche gesto di cortesia o a qualche elemento funzionale alla buona educazione. Noi siamo coinvolti da Dio nel suo grande disegno di salvezza per l’umanità: dare all’uomo la speranza che tante volte tradisce, ridare alla gente un’apertura verso il trascendente, verso di Lui, e allo stesso tempo riscoprire il Vangelo come percorso che ci aiuta ad incontrare Dio nelle persone e le persone dentro le loro fatiche, le loro gioie, le loro speranze.

    D. – Nel Messaggio per la Quaresima, Benedetto XVI mette l’accento sulla responsabilità verso il fratello, e mette in guardia dall’anestesia spirituale che rende ciechi alle sofferenze altrui: un richiamo anche particolarmente attuale, visti i tempi in cui viviamo?

    R. – E’ esatto. E anche molto forte, che esige un grande equilibrio. Di fatto, il Papa propone l’esempio negativo che ci viene da un episodio del Vangelo, quello del Buon Samaritano che viene lasciato mezzo morto sulla strada da gente che va dritta, consapevole di essere stata al servizio del Tempio senza accorgersi, però, che questo Tempio è allargato a tutti i poveri che incontra. Ciò per dire che questa anestesia spirituale colpisce tutti: colpisce gli uomini di Chiesa, colpisce chiunque si rinchiuda nel suo egoismo. Esige e sollecita, quindi – dice il Papa – la consapevolezza di avere una responsabilità verso gli altri. A me pare che questo sia importante. E c’è un altro accenno che vale la pena di sottolineare, che non è soltanto l’attenzione all’altro perché ha bisogno, perché bisogna essere generosi: c’è anche una solidarietà nel cogliere che siamo chiamati a fare il bene, quindi nel vedere anche i comportamenti e vedere se questi comportamenti sono impostati sul Vangelo o se invece sono impostati su qualcos’altro. E’ un atteggiamento difficile, ma ricordarci a vicenda che dobbiamo puntare più in alto è un’opera quaresimale eccezionale.

    D. – Il Papa, nel Messaggio, sottolinea appunto l’importanza e il richiamo a un aspetto della vita cristiana che pare caduto in oblio: la correzione fraterna…

    R. – Noi cristiani siamo sempre stati un po’ puntati, perché facciamo i moralizzatori. Ecco: il Papa non dice questo. Non ci chiede di fare i moralizzatori, ma dice che la nostra esperienza cristiana – se vuole essere fedele al Vangelo e quindi anche all’uomo, alla donna che incontra – dev’essere capace anche di alzare il livello della nostra prospettiva, della prospettiva di tutti. Cioè, deve vedere che dentro ai mali del mondo c’è un’assenza di Dio e che questa va sottolineata. Non si giudica ma si coglie la strada che occorre seguire per cambiare.

    D. – Quale augurio si sente di fare ai fedeli, non solo della sua diocesi, e agli ascoltatori della Radio Vaticana, per questo inizio di Quaresima?

    R. – Io vi auguro di incominciare decisi, di non stare a voltarvi indietro e di prendere tutti i giorni il Vangelo come l’ispirazione fondamentale della giornata. (gf)

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    Vigilia della Campagna di fraternità in Brasile dedicata alla tutela sanitaria. Intervista al cardinale Hummes

    ◊   In Brasile, è vigilia della Campagna di Fraternità 2012, l’annuale iniziativa promossa dalla Conferenza episcopale brasiliana per il periodo di Quaresima. Il titolo della Campagna per il 2012 è “Fraternità e sanità pubblica”. La collega della redazione brasiliana della nostra emittente, Christiane Murray, ne ha parlato con l'arcivescovo emerito di San Paolo, il cardinale Claudio Hummes:

    R. – La questione della sanità e della salute è un diritto fondamentale, che tutti noi dobbiamo richiedere e insieme promuovere, non solo per noi stessi ma anche per gli altri. In questa Quaresima, la Chiesa in Brasile vuole riflettere soprattutto sulla salute e sulla sanità, invitare la società a prendere coscienza di questo aspetto della vita civile. Credo che in Brasile già molto sia stato fatto e si continui a fare per la sanità pubblica, ma molto ancora rimane da fare, soprattutto per i più poveri: sono ancora 16 milioni le persone che vivono al di sotto della soglia di povertà. Erano circa il 40%, 10-12 anni fa, ma in questi ultimi anni 20-25 milioni di persone sono uscite dalla povertà: questo è stato un grandissimo passo che il Brasile è riuscito a fare. Tra i poveri, ovviamente, la questione della salute è spesso veramente disastrosa. Molta gente manca di un accesso agevole e sufficiente alla sanità pubblica e così finisce per soffrire ogni genere di malattie e di infermità. Questo accade, ad esempio, per gli indios dell’Amazzonia: anche qui la questione è urgentissima, poiché gli indios sono molto più fragili in quanto capacità immunitaria nei riguardi delle epidemie che noi stessi abbiamo portato loro. In definitiva, la Campagna della fraternità con questo tema presenta un riferimento molto concreto, sociale e politico - anche perché ci vuole una decisione politica per maggiori investimenti nella salute pubblica e nella sanità. E insieme, c'è il riferimento alla morte e alla risurrezione di Gesù Cristo, che guarsice ogni forma di male e di morte. (gf)

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    Nomina negli Stati Uniti

    ◊   Negli Stati Uniti, Benedetto XVI ha nominato Vescovo Ausiliare di Galveston-Houston (U.S.A.) Mons. George A. Sheltz, del clero della medesima arcidiocesi, finora Vicario Generale, Cancelliere e Moderatore della Curia, assegnandogli la sede titolare vescovile di Irina. Mons. George A. Sheltz è nato a Houston (Texas) nell’arcidiocesi di Galveston-Houston, il 20 aprile 1946. Ha compiuto gli studi ecclesiastici presso il Saint Mary Seminary a Houston. Ordinato sacerdote il 15 maggio 1971 per l’arcidiocesi di Galveston-Houston, ha svolto poi i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale della Assumption Parish (1971-1973), della Sacred Heart Co-Cathedral (1973-1976), della Saint Vincent de Paul Parish (1976-1980) sempre a Houston; Parroco della Christ the Redeemer Parish a Houston (1980-1990), della Prince of Peace Parish a Houston (1990-1999), della Saint Anthony of Padua Parish a The Woodlands (1999-2007); Direttore del Segretariato del Clero e dei Cappellani, Consultore, Membro del Consiglio presbiterale (2007-2011). Dal 2011 è Vicario Generale, Cancelliere e Moderatore della Curia per l’arcidiocesi di Galveston-Houston.


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    Incontro tra il cardinale Bertone e il rettore della Pontificia Università Cattolica del Perù

    ◊   Il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ha incontrato questa mattina il dott. Marcial Rubio Correa, rettore della Pontificia Università Cattolica del Perù (Pucp). Il porporato, informa una nota della Sala Stampa Vaticana, “ha fatto riferimento all’assiduo e dedicato impegno con cui vari esponenti dell’Università si adoperano per la qualificazione degli studenti, come pure al variegato spettro di discipline che la Pucp offre ai giovani”. Successivamente, il cardinale Bertone ha comunicato al rettore le conclusioni a cui è pervenuta la Santa Sede, in seguito “al fitto dialogo e ai numerosi incontri svoltisi nell’arco di molti anni tra l’attuale Gran Cancelliere, i suoi predecessori e l’università, nonché durante la visita apostolica” all’ateneo compiuta dal cardinale Peter Erdö, arcivescovo di Esztergom-Budapest, nei giorni 5-11 dicembre 2011.

    Il cardinale Bertone ha sottolineato al dott. Rubio Correa la richiesta della Santa Sede che gli Statuti della Pucp siano “regolarizzati quanto prima, adeguandoli alla Costituzione Apostolica Ex Corde Ecclesiae, per il bene della stessa Pucp e della Chiesa in Perù”. “Attesa l’ovvia importanza di salvaguardare l’identità cattolica dell’Università”, si legge ancora nel comunicato, il cardinale Bertone “ha chiesto pertanto che entro la Domenica di Pasqua, 8 aprile, le Autorità accademiche competenti presentino gli Statuti, per l’approvazione, con gli emendamenti indicati all’Università il 16 luglio 2011”. Infine, il cardinale Bertone ha formulato l’auspicio che “la comunità accademica saprà accogliere” questo “in modo che la Pucp possa realizzare sempre di più la sua missione di offrire alle giovani generazioni una solida formazione, radicata nella fedeltà al Magistero della Chiesa, a garanzia del grande contributo che l’Università è chiamata ad offrire al Paese”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Le due strade: in prima pagina, Ferdinando Cancelli in merito al dibattito, in Francia, sull’eutanasia.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, l’economia: Atene, salvataggio con riserva.

    L’uomo può cambiare: in cultura, l’introduzione al libro di Ettore Gotti Tedeschi, presidente dell’Istituto per le Opere di Religione, “Le ragioni dell’economia. Scritti per l’Osservatore Romano”.

    Guide sicure per una strada scoscesa: il vescovo Enrico dal Covolo riguardo alla lezione dei Padri a cinquant’anni dalla costituzione apostolica “Veterum sapientia” sullo studio del latino.

    Come rubare la luce al sole: il percorso umano e artistico di Giò Pomodoro raccontato, in un’intervista di Silvia Guidi, da Giuliana Godio, curatrice della mostra, ad Alessandria, dedicata allo scultore marchigiano.

    Quello sterminio progettato al civico 4: Giulia Galeotti su una mostra, a Roma, sul programma nazista di eliminazione dei disabili.

    La strada per lo spazio passa per l’Italia: il vettore Vega darà nuovo impulso agli studi sulla Teoria della relatività generale.

    La morte di Renato Dulbecco, premio Nobel per la medicina.

    Ritorno alle radici trinitarie della vita consacrata: nell’informazione vaticana, l’incontro, in Uganda, dell’arcivescovo Braz de Aviz con le superiore e i superiori maggiori dell’Africa e del Madagascar.

    Tutti impegnati nella ricostruzione economica e morale: intervista di Nicola Gori all’arcivescovo di New Orleans, Gregory Michael Aymond.

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    Oggi in Primo Piano



    Grecia. Barroso ottimista: sventato definitivamente il fallimento

    ◊   “Abbiamo definitivamente chiuso la porta al fallimento” della Grecia: così il presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, si è espresso dopo l’accordo raggiunto dall’Eurogruppo, che nella notte ha dato il via libera ai 130 miliardi di euro di aiuti ad Atene. Soddisfazione è stata espressa anche dalla Banca centrale europea (Bce) e dal ministro dell’Economia della Danimarca, presidente di turno del Consiglio Ue. Per un commento su questo accordo, Federico Piana ha intervistato Lucio Battistotti, direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea:

    R. – Costituisce il salvagente che era assolutamente necessario per non dichiarare fallimento. C’è però una condizione derivante da questo prestito, ovvero la presenza permanente di una task force dell'Eurocommissione sul suolo greco. Questa è, di certo, una condizione pesante per la Grecia da accettare. Credo che quello che sia stato importante finalmente, è dire che, c’è solidarietà nei confronti della Grecia, che si accompagna a un forte impegno da parte dei leader politici greci per risanare l’economia.

    D. – Questo però, significa che la Grecia deve fare un’altra manovra di "lacrime e sangue"...

    R. – L’economia greca ha bisogno di essere alleggerita, in modo di ripartire per attirare gli investimenti sia greci che esteri. Ripartire, quindi con nuovo sviluppo e creazione di nuovi posti di lavoro. Per fare questo cosa ci vuole? Un sistema di tasse efficiente e trasparente, un’amministrazione che sia efficiente ed efficace nel raggiungere i propri obiettivi, e un clima favorevole alla creazione di impresa.

    D. – Dobbiamo dire che la Grecia a questo punto è sotto tutela: ogni atto governativo, sia economico che politico, deve essere deciso dall’Europa.

    R. – L’Europa è un unico continente geografico, ha un mercato unico, ha una moneta unica, ma non è ancora uno Stato federale, non ha un bilancio federale e non ha una banca centrale di tipo federale. È questo quello che ci manca, perché credo, che questa task force, che monitorerà gli sforzi della Grecia, dovrà in effetti stare molto attenta a "non allargarsi troppo", nel monitoraggio sulla scena economica e sociale ed eventualmente anche politica. Deve usare moltissima attenzione, ma la soluzione non è in queste cose, la soluzione è una vera Banca centrale europea, che possa essere il prestatore di ultima istanza, cioè una banca centrale come la Federal reserve, che in caso di difficoltà, è capace di intervenire sul mercato, e di stroncare la speculazione sul nascere, come hanno fatto negli Stati Uniti. (bi)

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    Pirati e stabilità interna: le priorità della Conferenza di Londra sulla Somalia

    ◊   A due giorni dalla Conferenza di Londra sulla Somalia, si intensificano i contatti diplomatici per trovare una soluzione al più lungo conflitto del Corno d’Africa. Il premier britannico, David Cameron, ha incontrato a Downing Street alcuni "membri della diaspora somala" per ascoltare il loro punto di vista e capire come la comunità internazionale possa agire. Intanto, sul terreno i ribelli al Sahabaab hanno annunciato di voler lanciare una nuova offensiva contro i contingenti dell'Amisom, dell’Etiopia e del Kenya che operano nelle regioni meridionali e centrali del Paese. Stefano Leszczynski ha intervistato Mario Raffaelli, presidente dell’Ong Amref ed esperto di Somalia:

    R. – La Conferenza, che si aprirà il 23 febbraio a Londra, sarà certamente un momento importante per rimettere l’attenzione internazionale sulla Somalia, visto l’alto livello e l’alto numero di partecipanti. Le ambizioni iniziali, però, che sembravano quelle di poter avviare un nuovo approccio definitivo sul problema, mi pare si siano ridimensionate anche per l’esistenza di diverse posizioni all’interno della Comunità internazionale. E’ già tra l’altro annunciata per giugno una nuova conferenza ad Istanbul, organizzata dalla Turchia, che di per sé mi sembra una esplicita ammissione che questa non sarà risolutiva.

    D. – Guardando alla comunità internazionale, e pensando in particolare all’Occidente, sembra che la cosa che preoccupa di più sia quella della pirateria...

    R. – Purtroppo, l’ottica prevalente è sempre quella legata agli interessi mediati e quindi la pirateria. Non è un caso che ci sia stata questa iniziativa a Londra, decisa dal primo ministro: sappiamo che le compagnie di assicurazione sono basate essenzialmente lì e sappiamo anche che ci sono state grosse pressioni per affrontare questo problema che, ancora una volta peròm può essere risolto solamente se si risolve il problema terra: non può essere risolto solo con mezzi militari. C’era un nuovo atteggiamento positivo, che era quello di capire il tentativo di risolvere i problemi partendo da un governo centrale e poi, via via, estendendo il controllo sul territorio non può funzionare e quindi una c’è una nuova attenzione sulle realtà territoriali. Tutto questo è limitato, però, alle realtà territoriali cosiddette liberate.

    D. – A livello politico e diplomatico, sembra un po’ che questa scelta e questa opzione di uno Stato federale rappresenti una soluzione di comodo per dare uno Stato definitivo al frazionamento di quella che un tempo era la Somalia...

    R. – Diciamo che il problema è come questa scelta federale sarà gestiva, nel senso che sicuramente un assetto decentrato è l’unica strada per risolvere il problema somalo. La dimostrazione è data proprio da Somaliland e dal Puntland, che essendosi costituita attraverso processi fra somali, su una base – diciamo – di rappresentanza etnica equilibrata, sono gli esempi di stabilità consolidatisi ormai nel corso di quasi 20 anni in un caso e meno nell’altro. In sé è giusta la strada del decentramento, ma bisogna stare attenti a come perseguirla, perché è chiaro che nel momento in cui questa diventa la scelta prioritaria nascono anche spinte di microfrazioni o "micro-cla"n o piccoli leader che controllano porzioni del territorio e che – come sta accadendo, perché ci sono ormai decine di richieste di autonomia – vogliano diventare presidenti di qualcosa. E’ importante ribadire che le regioni in Somalia sono quelle storicamente determinate, sono quelle venti e non possono certo essere moltiplicate a piacimento. Portare avanti un ragionamento di stabilità, anche in maniera graduale e in maniera incrementale. (mg)

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    Mediazione della Chiesa del Kerala nella vicenda dei marò italiani accusati di omicidio

    ◊   “Considerevoli divergenze” di carattere giuridico hanno reso la situazione dei due marò italiani, agli arresti in India per l'omicidio di due pescatori, assai “ingarbugliata”. Sono parole del presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, che evidenzia “il caso diplomatico”. Continuano intanto le proteste in India contro l’Italia, ma le autorità indiane non hanno ancora esibito nessuna prova sulle responsabilità dei marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, che continuano a ribadire la loro innocenza, per l’uccisione dei due pescatori indiani, scambiati per pirati. Il Ministero degli esteri fa sapere che il sottosegretario Staffan De Mistura parte oggi per l'India. Nella vicenda che ha coinvolto, lo scorso 15 febbraio, due soldati italiani sulla petroliera “Enrica Lexie”, interviene il neo cardinale George Alencherry, arcivescovo maggiore della Chiesa Syro-malabarese in Kerala, con sede a Cochin. Il servizio di Fausta Speranza:

    In un colloquio con l’agenzia Fides, il cardinale Alencherry conferma di aver contattato i ministri cattolici nel governo del Kerala. E annuncia il suo costante interessamento finchè il caso non sarà “chiarito e risolto”. Aggiunge l’avverbio “pacificamente” e spiega che vanno allontanati i rischi, che definisce “concreti”, di strumentalizzazioni politiche. Nell’episodio, - afferma il cardinale - vi sono stati certo degli errori, dato che i pescatori sono stati scambiati per pirati. Ma il punto è un altro, spiega: sembra che il partito di opposizione voglia sfruttare la situazione e strumentalizzare il caso per motivi elettoralistici, parlando di "potenze occidentali" o di "volontà di dominio americano".

    Ci sono anche le dichiarazioni di fra Raphael Paliakkara, ministro provinciale dei Frati Cappuccini della Provincia di San Tommaso Apostolo, con sede sempre a Cochin. Il religioso racconta a Fides che la gente è abbastanza indignata per un episodio che viene dipinto “da media e politici come un oltraggio nazionale”. Ricorda che i pescatori uccisi sono cattolici e che la comunità cattolica si sente toccata, ma sottolinea che “in questa vicenda la religione non centra” e ribadisce che “non si devono stimolare il nazionalismo o sentimenti religiosi”. Ricordiamo che in Kerala, a marzo, sono previste le elezioni del parlamento statale. Il governo è guidato dalla coalizione “United Democratic Front”, con a capo il “Congress Party”, la stessa al governo a livello federale. L’opposizione è costituita dalla coalizione del “Left Democratic Front” (LDF), guidata dal “Communist Party of India” (CPI).

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    Nigeria, forse i Boko Haram dietro l'ultima strage. Un Rapporto rivela: povertà in serio aumento

    ◊   Nella Nigeria sconvolta questa mattina da una nuova scia di sangue – con 30 morti in un mercato, dopo uno scontro a fuoco tra soldati e probabili miliziani della setta islamica dei Boko Haram, episodio che ha suscitato un appello alla pace da parte del vescovo di Maiduguri, mons. Doeme – è in primo piano anche la questione della povertà. L’ultimo rapporto del National bureau of statistics (NBS) del Paese afferma che "nonostante la crescita dell'economia, la percentuale di nigeriani che vive in povertà è in aumento ogni anno”. Secondo lo studio, la popolazione continua a impoverirsi nonostante la crescita dovuta soprattutto alle attività legate al petrolio. In dettaglio, nel 2010 il 61,2% della popolazione viveva con meno di un dollaro al giorno, contro poco più del 50% del 2004, anche se, secondo la Banca Mondiale, l’economia del Paese più popoloso d’Africa - con circa 160 milioni di abitanti - è aumentata in media del 7,6% su base annua tra il 2003 e il 2010. Gli analisti nigeriani ritengono che il predominio del settore petrolifero nelle attività produttive sfavorisca i poveri, con l'abbandono di altri settori produttivi tradizionali. Giada Aquilino ne ha parlato con Vincenzo Giardina, redattore dell’agenzia Misna ed esperto di questioni africane:

    R. – I dati dell’Ente nazionale di statistica della Nigeria sono la fotografia di un fallimento. La povertà aumenta nonostante la crescita economica sia forte, superiore negli ultimi anni sempre al 7% della crescita del prodotto interno lordo, perché mancano politiche capaci di garantire una redistribuzione della ricchezza. In sette anni, il tasso dei poveri in termini assoluti – cioè di coloro che vivono con meno dell’equivalente di un dollaro al giorno – è aumentato dal 54% a più del 60% della popolazione nigeriana, e questo nonostante una crescita economica sostenuta. Un altro elemento importante, rivelato dallo studio, è ancora l’incapacità delle istituzioni pubbliche di porre rimedio a squilibri regionali che vanno allargandosi. A fronte di aree più sviluppate – in particolare quelle che circondano la metropoli di Lagos, la principale città della Nigeria, nel sudovest, dove il tasso di povertà assoluta è al di sotto del 60% – ci sono zone, in particolare le regioni del nordest e del nordovest, dove si arriva a livelli altissimi, che sfiorano l’80%. Un dato che ci è capitato di notare, insieme ai missionari, ai vescovi – che sentiamo quotidianamente – e anche al nunzio apostolico mons. Augustine Kasujja, è una certa coincidenza tra le regioni più povere del Paese, come il nordest ed il nordovest, con le zone dove il gruppo armato Boko Haram è più forte e ha colpito in modo più duro. Penso, ad esempio, alle stragi di Kano, la principale città del nord, dove il 20 gennaio scorso una serie di attacchi coordinati ha provocato più di 180 vittime, oltre 200 secondo alcune stime.

    D. – Perché non si hanno ripercussioni sulla società di questa crescita economica?

    R. – Il mese scorso, la Nigeria è stata spazzata da proteste di piazza. L’origine di tali movimenti è stata l’abolizione, da parte del governo, dei sussidi pubblici che per anni avevano tenuto bassi i prezzi della benzina. L’accusa al governo è sostanzialmente di voler applicare in Nigeria le ricette neoliberiste che in Africa hanno fatto tanto male in diversi Paesi. Poi, un altro elemento da tenere presente, quando si parla di Nigeria, è quello di un paradosso strutturale. La Nigeria è l’ottavo produttore mondiale di petrolio, ma importa il 90% del carburante che consuma. Non ha raffinerie. Cioè, le risorse che sarebbero potute essere accumulate nei decenni grazie alle esportazioni di petrolio non hanno permesso nemmeno la costruzione di raffinerie funzionanti. Quindi, c’è un problema che può essere riassunto in una parola: corruzione. Che poi è l’altro grande male contro il quale in gennaio migliaia di persone sono scese in piazza in Nigeria.

    D. – Abbiamo parlato del petrolio: ma qual è la situazione degli altri settori dell’economia, per esempio dell’agricoltura?

    R. – Diciamo che gli ultimi rapporti hanno sottolineato un avanzamento dell’agricoltura in termini relativi. Però, proprio guardando agli altri settori, un dato interessante soprattutto in questo momento è il crollo dell’industria tessile nelle regioni semi-aride – per lo più musulmane – del nord; un crollo che a partire dal 2009 è andato di pari passo all’intensificarsi degli attentati e degli agguati contro le forze dell’ordine, ma anche contro obiettivi diversi: penso alla strage nella chiesa cristiana di Madalla del Natale scorso. Viene da dire che verranno tempi difficili per la Nigeria. Il giorno della diffusione del rapporto dell’Ente nazionale di statistica, il presidente Goodluck Jonathan ha annunciato un piano per l’occupazione che dovrebbe consentire in pochi anni la creazione di 370 mila posti di lavoro: era un piano pensato soprattutto per le donne e per i giovani. Questo annuncio esprime il timore, la consapevolezza di essere giunti a un momento di svolta, in cui alcuni problemi devono essere risolti assolutamente. (gf)

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    Mons. Leuzzi sui pronto soccorso a Roma: se il malato non viene accolto è in crisi la stessa società

    ◊   L’emergenza dei pronto soccorso a Roma. La presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, ha convocato il direttore generale del Policlinico Umberto I di Roma, Antonio Capparelli. Nel pomeriggio incontrerà i direttori generali degli ospedali dotati di pronto soccorso. Intanto, i Nas hanno effettuato controlli al Policlinico Tor Vergata e al San Camillo riscontrando “condizioni precarie di sovraffollamento”. Alessandro Guarasci ha sentito monsignor Lorenzo Leuzzi, responsabile della pastorale sanitaria della diocesi di Roma e cappellano di Montecitorio:

    D. – Come commenta questi ripetuti casi di malasanità nei pronto soccorso a Roma?

    R. – Ci sono carenze di organico e difficoltà di ospedalizzazione, è vero. Però è anche vero che probabilmente bisogna, un po’ a monte, rivedere quel rapporto tra medico-paziente che sul territorio deve avere anche una sua altissima competenza, in modo tale da evitare il sovraffollamento. E’ necessario che tutte le istituzioni e tutti coloro che sono impegnati nella sanità facciano un grande sforzo per recuperare quel rapporto di reciproca fiducia, di solidarietà, di disponibilità che certamente c’è, ma che deve essere potenziato proprio perché siamo di fronte a una situazione, anche economico-finanziaria, che tante volte può creare dei problemi per la presenza di nuovi posti letto. Dove il malato non viene accolto bene, non viene assistito bene, è in crisi la stessa società.

    D. – E' in gioco la dignità della persona, la vita?

    R. – Serve potenziare quelle capacità relazionali di servizio in modo tale che il malato possa in ogni momento ricevere quell’assistenza e quel servizio sanitario adeguato alle varie situazioni.
    D. – Secondo lei, bisognerà prima o poi porre un fine ai tagli nel settore sanitario? Il sociale non va tutelato con una certa attenzione?

    R. – Una società dipende molto, si qualifica per la sua attenzione al malato, alla malattia. Bisogna restaurare e recuperare un nuovo clima di fiducia nella sanità. Non sarà l’efficienza a garantire la dimensione umana nella sanità, ma sarà soltanto un’anima di piena solidarietà, di collaborazione, di rispetto della persona umana, che può veicolare le risorse – anche quando sono poche – verso una sanità sempre più efficiente. (mg)

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    Giornata mondiale della lingua madre: la diversità culturale è ricchezza dell'umanità

    ◊   Oggi si celebra la 13.ma edizione della Giornata mondiale della lingua materna. Una data isitituita dall'Unesco, che ricorda l'eccidio dei bengalesi che, nel 1952, nell'allora Pakistan orientale volevano difendere la loro lingua madre. Il servizio di Massimo Pittarelllo:

    “La lingua dei nostri pensieri è il nostro bene più prezioso. Il multilinguismo promuove l’istruzione di qualità e combatte la discriminazione”. Il direttore generale dell‘Unesco, Irina Bokova, presenta così la 13.ma edizione della Giornata Mondiale della Lingua Materna. Una data istituita nel ’99, per ricordare la sollevazione del 21 febbraio del ’52 dei bengalesi in difesa della loro lingua che, nell’allora Pakistan orientale, portò a un eccidio. Abbiamo chiesto allo scrittore bilingue italo-algerino, Amara Lakhous, se il rispetto per le lingue, sia condizione necessaria per un dialogo autentico fra gli uomini:

    R. – La lingua, come esseri umani, è il nostro primo strumento per comunicare. Se non c’è lingua, è molto difficile comunicare: è il nostro primo strumento, e io direi, anche di più. La lingua non è solo il nostro “occhiale” per guardare meglio una certa realtà, la lingua diventa anche i nostri "occhi", perché ogni lingua porta a un pensiero, a una cultura, è come un laboratorio collettivo di generazioni e generazioni di esseri umani. La lingua che oggi noi usiamo è frutto di un contributo, di un lavoro, di un’esperienza pratica comunicativa, che si tramanda da generazione a generazione. E ogni generazione aggiunge vocaboli, espressioni, proverbi, elabora, rielabora, traduce. Quindi, la lingua è fondamentale. Figuriamoci poi la lingua madre.

    D. – Nelson Mandela ha detto: "Parlare a qualcuno in una lingua che comprende consente di raggiungere il suo cervello. Parlargli nella sua lingua madre significa raggiungere il suo cuore"...

    R. – Certo. Se vogliamo utilizzare altre metafore, si potrebbe dire che è come "il latte del seno materno”: quel latte che ci fa vivere nei primi mesi, è fondamentale e quindi è altrettanto fondamentale salvaguardare le lingue.

    D. – La nostra generazione, anche attraverso Internet, rischia l’impoverimento dei linguaggi?

    R. – Uno dei problemi delle società occidentali è l’abbondanza. Anche alcune malattie sono dovute soprattutto all’abbondanza, non alla mancanza del cibo. La stessa cosa succede con la lingua: il rischio è quello dell’abbondanza. Se ci troviamo di fronte a una marea di offerte linguistiche, poi alla fine non ci capiamo niente. Invece, ci vuole una selezione, una scelta, perché poi l’umanità si è sempre confrontata con il tema della scelta. Più che un rischio costituisce una grande sfida.

    D. - In effetti, l’Unesco afferma che “quasi la metà delle oltre 6 mila lingue parlate nel mondo, potrebbe morire entro la fine del secolo”. La perdita di una lingua impoverisce l'umanità o semplifica il linguaggio?

    R. - Certamente la impoverisce. È come in natura: quando scompare una pianta, perdiamo qualcosa, perché perdiamo nel quadro la diversità che è un elemento biologico, bioetico fondamentale: più siamo meglio è. Ovviamente, in questa diversità – nel senso largo della parola, diversità culturale, linguistica – bisogna trovare delle regole di convivenza, perché la questione fondamentale è: come vivere insieme con le nostre diversità? (bi)

    L’ambasciata del Bangladesh, con la Commissione nazionale italiana per l’Unesco, ha commemorato oggi la strage del 1952 presso il Monumento internazionale alla Lingua Madre di Roma. La rilfessione di Mariella De Nicolò,membro del Segretariato della Commissione nazionale italiana dell'Unesco che si occupa di lingua madre:

    R. - La lingua madre è quella del cuore, la lingua con la quale si impara a esprimere il mondo. Attraverso questa lingua, si impara a guardare il mondo da un determinato punto di vista: è la lingua che ci accompagnerà per tutta la vita e ci resterà nel cuore. E’ un modo per capire la realtà, uno strumento per capire la realtà e per interpretarla.

    D. – L’Unesco sostiene che delle seimila lingue che si parlano nel mondo oltre la metà potrebbe scomparire entro la fine del secolo. La perdita di una lingua impoverisce l’umanità o piuttosto favorisce la comunicazione transnazionale?

    R. – No, assolutamente, la lingua è una parte della nostra identità. Ognuno esprime la propria identità attraverso la lingua. La perdita di una lingua vuol dire perdere tutta una serie di conoscenze, un modo di interpretare la realtà e di comprenderla. Per alcune popolazioni indigene un po’ isolate, la perdita di una lingua significa anche la perdita di tutta una serie di conoscenze. Come la biodiversità è importante in natura, anche la diversità linguistica è importante poiché perdere una lingua significa perdere la capacità di interpretare il mondo e dunque anche le conoscenze antiche vengono perse.

    D. – La tutela della lingua madre è uno strumento che può favorire e in che modo il dialogo fra le diverse culture?

    R. – La conoscenza dell’altro è fondamentale per una pacifica conoscenza tra le culture e i popoli. Il multilinguismo è importante e va di pari passo con la tutela della propria lingua madre. La difesa della propria lingua madre non è antitetica con la diffusione del multilinguismo. Quante più lingue si conoscono, tanto più si può comunicare e la comunicazione è alla base della cultura del dialogo e della pacifica coesistenza.

    D. – Può l’utilizzo di Internet impoverire i linguaggi?

    R. – L’utilizzo di Internet, obiettivamente, va utilizzato in modo migliore, perché attualmente le lingue rappresentate sul web sono molto poche. Quello che l’Unesco cerca di favorire è proprio la diffusione di più lingue nella rete informatica.

    D. – Oggi, la Commissione italiana per l’Unesco, di cui lei fa parte, ha celebrato insieme cpn l’ambasciata del Bangladesh la strage del 21 febbraio del ’52, data che ha fissato questa Giornata: proteggere le lingue significa anche proteggere i popoli?

    R. – Sì, certo, significa proteggere l’identità culturale di ciascuno e la protezione dell’identità culturale è non soltanto un dovere ma un diritto. E’ una Giornata in cui viene, ogni anno, ricordata l’importanza di questa tutela delle lingue, specialmente quelle minoritarie, perché tutelare una lingua significa tutelare l’identità di un popolo. (bf)

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    Politiche per la famiglia e rilancio della cultura familiare al centro di un convegno a Roma

    ◊   Sostegno economico ai nuclei familiari, ma anche rilancio della cultura della famiglia: è quanto emerso al convegno “Famiglia e politica: un binomio possibile? Le provocazioni della Familiaris Consortio”, che si è tenuto ieri pomeriggio a Roma. A intervenire anche Andrea Riccardi, ministro della Cooperazione e integrazione, con delega alla Famiglia. Il servizio di Debora Donnini:

    “Le autorità pubbliche devono fare il possibile per assicurare alle famiglie tutti quegli aiuti – economici, sociali, educativi, politici, culturali – di cui hanno bisogno per far fronte in modo umano a tutte le loro responsabilità”. Queste parole scritte più di 30 anni fa da Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica Familiaris consortio sono state il punto di partenza della discussione. Nodo centrale, quello delle politiche familiari in un’Italia con una natalità fra le più basse del mondo. Le parole del ministro Andrea Riccardi a margine del convegno:

    “Credo che il discorso del fattore familiare sia un discorso importante ma credo che, ancora di più, vadano fatte delle politiche rapide di sostegno alla famiglia e a chi decide di avere figli. Penso anche alle tante difficoltà. Recentemente ho proposto la questione dei prodotti per l’infanzia che, nel nostro Paese, costano di più - del 20, 30 per cento e oltre - rispetto agli altri Paesi, tanto che alcuni genitori vanno a comprarli all’estero. E’ un modo, anche questo, di aiutare la famiglia”.

    All'incontro, sono intervenuti anche diversi esponenti politici e il professore di economia, Stefano Zamagni. Il Forum delle famiglie già da tempo insiste sulla proposta del “fattore famiglia” per tenere conto, nel sistema fiscale, del numero dei figli a carico. Al presidente dello Forum, Francesco Belletti, presente all’incontro, abbiamo domandato cosa chiede il Forum alle istituzioni in questo momento:

    R. - Noi chiediamo, in generale, che la famiglia non sia più a piè di lista, ma sia al primo posto nell’agenda del Paese, perché siamo convinti che sia il luogo che sta tenendo insieme il Paese: è un fattore di solidarietà, protegge i giovani e gli anziani, con servizi sempre meno diffusi e con una disoccupazione giovanile alle stelle. Quindi, senza la famiglia questo Paese avrebbe un grado di conflittualità molto più forte. Bisogna, perciò, partire dalla famiglia come una risorsa su cui investire, e le due richieste su cui abbiamo già contattato il governo sono: una seria revisione del fisco a favore delle famiglie con figli.

    D. – Con il cosiddetto "fattore famiglia”?

    R. – Sì, con il "fattore-famiglia". E poi con misure di conciliazione famiglia-lavoro. E’ in corso la discussione sulla riforma del lavoro: come per il fisco e per la riforma del lavoro, non ci sarà equità se non saranno a misura di famiglia.

    D. – A chi dice che non ci sono i soldi, cosa rispondete?

    R. – Prima di tutto, dico che si potrebbero fare misure equilibrate, anche a costo zero, riequilibrando i carichi fiscali e i costi delle misure su chi è stato finora avvantaggiato. Dico, inoltre, che possiamo tranquillamente adottare una politica di gradualità: non chiediamo tutto subito, possiamo partire dalle famiglie con bambini piccoli. L’importante è che venga riconosciuto il criterio: l’equità a misura di famiglia è un dato di civiltà che il nostro Paese non può più dimenticare.

    D. – E la natalità è anche un fattore di sviluppo…

    R. – E’ un dato abbastanza semplice da vedere. Tutti i Paesi in via di sviluppo hanno anche buoni tassi di natalità e le nazioni, in Europa, che resistono di fronte alla crisi non sono demograficamente bloccate. (v.v.)

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    Al via le cerimonie per il decimo anniversario della Beatificazione di Tommaso Maria Fusco

    ◊   Un esempio e una guida di santità per sacerdoti e il popolo di Dio: con queste parole, Giovanni Paolo II beatificava, il 7 ottobre del 2001, Tommaso Maria Fusco, fondatore della Congregazione delle Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue. Dieci anni dopo e per tutto il 2012, le religiose ricorderanno con numerosi eventi il loro fondatore, che visse alla fine dell’800 dedicando la sua vita all’educazione e al mantenimento dei bambini orfani. Isabella Piro ne ha parlato con suor Lionella Calderaro, postulatrice della Causa di Beatificazione e di Canonizzazione di Tommaso Maria Fusco:

    R. - Abbiamo stilato un programma coordinato dalle responsabili dei diversi settori. A Pagani, in provincia di Salerno, luogo di nascita del Fondatore, stiamo organizzando iniziative culturali: mostre, canti sacri, convegni, incontri con i ragazzi, con i giovani, con le famiglie, con gli ammalati, con interventi di esperti relatori; pellegrinaggi nei luoghi del Beato; solenni celebrazioni in tutte le case della Congregazione. Festeggeremo poi a Roma, nella Casa Generalizia, con la partecipazione di tutte le Suore provenienti da diversi Paesi, il “Centenario” di approvazione dell’Istituto da parte del Papa San Pio X, il 5 agosto 1912. Infine, il 7 ottobre 2012, ci sarà la solenne celebrazione di chiusura.

    D. – Qual è il carisma del Beato Tommaso Maria Fusco?

    R. - La Carità del Preziosissimo Sangue è la formula carismatica, coniata dal Fondatore. Le Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue sono chiamate a “ritrarre e riflettere la più viva immagine di quella divina carità, di cui Gesù Crocifisso è segno, espressione, misura e pegno”. Debbono saper vedere nel Sangue di Gesù non solo la prova dell’amore più grande dello stesso Gesù, ma anche la manifestazione suprema dell’amore che il Padre, unica sorgente della Carità divina, ha per tutti gli uomini.

    D. - Il Beato Tommaso diceva: “Il Sangue di Gesù è la manifestazione suprema dell’amore del Padre”. Qual è l’attualità di questa frase?

    R. - Il pensiero del Beato è in sintonia con quello di San Giovanni: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Gv 3,16) e con quello di San Paolo: "Cristo ha amato la sua Chiesa e ha dato se stesso per lei" (Ef 5,25). Sulla scia del Beato, noi, Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue, a imitazione della Vergine “Immacolata e Addolorata”, come la indicava il nostro Fondatore, continuiamo a guardare il Crocifisso che muore in atto di supremo amore ed a Lui ci rivolgiamo come perenne fonte dell’universale salvezza. Gesù ha dato e continua a dare il suo Sangue a trionfo di sua misericordia e a manifestazione dell’infinito suo amore per noi. Ecco l’attualità che stava nel cuore di Tommaso Maria Fusco.

    D. - La Congregazione delle Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue come porta avanti l’opera del suo fondatore?
    R. - La missione del Beato Tommaso continua ancora oggi, attraverso le sue Figlie sparse in molte nazioni del mondo: oltre che in Italia, negli Stati Uniti, in Brasile, in Nigeria, in India, nelle Filippine e in Indonesia, chiamate ad essere testimoni della Carità “senza contare i passi”, mettendosi cioè a servizio di Dio e dei fratelli con ogni generosità affrontando, per amore, ogni sacrificio.
    D. - Qual è il vostro auspicio per questo anno 2012 così importante per voi?

    R. – Innanzitutto, rilanciare il carisma: onorare cioè con la vita la Carità del Padre che noi, animate dallo Spirito di amore, continuiamo a vedere somma nell’effusione del Preziosissimo Sangue e, quindi, nella Santissima Eucaristia, che a noi piace indicare come Sacramento della Carità del Preziosissimo Sangue. Poi, vivere noi con maggiore impegno, impostando tutta la nostra vita a servizio della Carità del Preziosissimo Sangue, perché – e questo è il terzo punto - possiamo ottenere numerose e sante vocazioni e collaborare alla promozione integrale di quanti frequentano i nostri Istituti e di tutti coloro con cui veniamo a contatto. Io esprimo la più viva gratitudine al Signore che ha donato alla Chiesa e al mondo il Beato Tommaso Fusco con il suo carisma, che è sempre attuale, ci auguriamo continui a dare un importante contributo sul piano dell’evangelizzazione nelle nazioni, in cui le suore sono inviate, anche per ottenere la canonizzazione del Fondatore: perché il carisma da Lui ricevuto e a noi comunicato possa essere da tutti meglio conosciuto e vissuto.

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    La scomparsa dello scienziato italiano Dulbecco riapre il dibattito sulla ricerca in Italia

    ◊   Cordoglio nella comunità scientifica internazionale per la notizia giunta ieri della morte di Renato Dulbecco, Premio Nobel per la Medicina nel 1975, spentosi domenica scorsa in California, dove viveva nei pressi di San Diego. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Domani avrebbe compiuto di 98 anni. Pionere negli anni ’60 nello studio del Dna finalizzato all'indagine sui tumori, aveva condotto le prime ricerche a Torino, si era poi trasferito negli Stati Uniti, per rientrare in Italia nel 1987 alla guida del Progetto Genoma Umano, che ha permesso di ottenere la mappa completa del Dna: progetto internazionale che si arena in Italia per mancanza di fondi pubblici. Nel ‘95 era tornato all’estero, non senza amarezza per le condizioni critiche della ricerca in Italia. La sua morte riapre ferite mai rimarginate sulla mancanza di progettualità e investimenti in settori vitali per lo sviluppo di un Paese.

    Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, auspica ora che l’Italia “sappia, con coerenza, continuare” sulla strada tracciata da Dulbecco e “valorizzare le proprie risorse intellettuali”. Dulbecco “resterà - aggiunge il premier Monti - un punto di riferimento per coloro che, soprattutto se giovani, decidono di dedicare la propria vita alla ricerca scientifica”. Proprio pensando ai giovani, Dulbecco, 85.enne, era salito sul palco del Festival di Sanremo per finanziare - con i proventi della sua partecipazione - il progetto "Carriere", promosso da Telethon per favorire il rientro in Italia dei cervelli fuggiti all’estero. “Curioso, rigoroso, ottimista”, “aperto all’integrazione dei saperi”: così lo ricorda Luigi Nicolais presidente del Cnr. Un genio gentiluomo, sempre sorridente, l’immagine Dulbecco impressa nel pubblico che lo aveva conosciuto sui media.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Pakistan: la polizia scagiona Abid Malik, incriminato per l’assassinio Bhatti

    ◊   Abid Malik, uno dei due presunti assassini di Shahbaz Bhatti, è stato scagionato e fra poco dovrebbe essere rimesso in libertà. Nell'udienza a suo carico tenuta oggi di fronte al tribunale per l'antiterrorismo di Rawalpindi, la polizia ha confermato che non vi sono indizi di colpevolezza. Egli era stato arrestato nei giorni scorsi negli Emirati Arabi Uniti, con l'aiuto congiunto delle forze di sicurezza pakistane e dell'Interpol, quindi rimpatriato per essere sottoposto a processo. Resta ancora latitante un secondo sospetto, Zia-ur-Rehman, che ha fatto perdere le proprie tracce. Per i vertici cattolici appare sempre più chiaro il tentativo di "prendere tempo" degli inquirenti, che non sembrano intenzionati a punire gli autori del crimine. Rimane dunque ancora avvolta nel mistero la morte del ministro cattolico per le Minoranze, massacrato con 30 colpi di pistola il 2 marzo 2011 a Islamabad. I sospetti gravano sui movimenti fondamentalisti islamici, che in passato - e a più riprese - avevano minacciato Shahbaz Bhatti per la sua battaglia contro le leggi sulla blasfemia. In questi mesi si sono susseguiti tentativi di depistaggio denunciati con forza dai leader cattolici, in base ai quali l'assassinio si sarebbe consumato per "vendette personali" o "questioni familiari" che non riguardano il lavoro del politico. Nell'udienza di oggi i funzionari di polizia hanno raccontato l'interrogatorio di Malik, al termine del quale non sarebbero emersi "elementi di colpevolezza". Egli non sarebbe quindi coinvolto nell'omicidio - come lui stesso ha affermato ai giudici - e dovrebbe essere rilasciato a breve, come gli altri indiziati fermati finora e poi liberati. I due sospettati della morte, Zia-ur-Rehman e Abid Malik, sarebbero due ex cristiani di Faisalabad, convertiti all'islam, che hanno avuto dissidi con la famiglia Bhatti per questioni economiche. Ad accusarli è un ex pastore protestante, Hafiz Nazar, fermato nei mesi scorsi perché - in una telefonata intercettata - parlava di un loro "coinvolgimento". Nel corso dell'interrogatorio è emerso che Nazar è "mentalmente instabile" e non può essere ritenuto attendibile. Intervistato dall'agenzia AsiaNews mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad e amico personale di Shahbaz, sottolinea che "questa è solo un'altra delle tattiche dilatorie... Una giustizia rimandata è una giustizia negata". Il prelato punta il dito contro la polizia, che "si fa beffe" della gente "mettendo in giro voci" per poi testimoniare che "la persona arrestata non è coinvolta". "Chiediamo l'arresto immediato - è l'appello del vescovo della capitale - dei veri colpevoli", mentre la polizia "scagiona Malik". (R.P.)

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    Consiglio Mondiale delle Chiese: solidarietà alle Chiese in Siria

    ◊   Il Consiglio Mondiale delle Chiese (Wcc) ha inviato un messaggio di solidarietà alle Chiese cristiane in Siria per sostenerle in questo periodo di “sfide enormi a causa delle violenze in corso nel Paese”. “Il messaggio - si legge in un comunicato diffuso oggi da Ginevra e ripreso dall'agenzia Sir - arriva in un momento in cui la situazione in Siria continua a deteriorarsi”. In dicembre la crisi siriana era stata al centro delle discussioni di una riunione che aveva visto la partecipazione di alcuni leader delle 20 Chiese di varie tradizioni cristiane presenti in Siria. Il messaggio diffuso oggi da Bossey esprime “la speranza che si ponga fine alla violenza e si avvii un dialogo nazionale in grado di uscire dal conflitto, fondando il processo di pace sulla giustizia, il riconoscimento dei diritti umani e della dignità umana e la necessità di vivere insieme nel rispetto reciproco”. “Purtroppo - si legge nel messaggio - l’azione militare e la repressione sono aumentate e la violenza si è diffusa in tutto il Paese, provocando la perdita di migliaia di vite umane. Molti sono stati costretti a rifugiarsi nei Paesi vicini della regione”. Il Wcc esprime particolare preoccupazione per la sicurezza dei cristiani in Siria e ricordano l’appello lanciato dai Patriarchi delle Chiese siriane - Ignatius IV, Zakka I e Gregorios III - per condannare “l’uso di ogni tipo di violenza” e incoraggiare a “non perdere la speranza". (R.P.)

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    Siria: l’arcivescovo di Damasco ricorda le sofferenze della popolazione

    ◊   Nella grave situazione in cui versa la Siria, “l’unica àncora di salvezza per il popolo è la famiglia”. E’ quanto scrive l’arcivescovo maronita di Damasco, mons. Samir Nassar, nella lettera di Quaresima 2012 in cui invita i fedeli a “pregare per la famiglia che la Chiesa intende sostenere dandole tutto l’aiuto possibile”. “La famiglia – spiega – è luogo di vita e di accoglienza, di protezione e di salvezza, piccola cellula della società che assorbe gli choc di coloro che sono sfollati, feriti, disoccupati. La famiglia è il baluardo, davanti al vuoto e al caos, che garantisce la sopravvivenza della società e della chiesa. Da crisi locale a regionale ed ora internazionale, la Siria è crocevia di interessi politici, militari ed economici - afferma mons. Nassar - che ne determinano l’avvenire, tenendo in ostaggio la soluzione, lasciando porte aperte alle violenze e alle sofferenze”. L’embargo economico, l’inflazione, la svalutazione della moneta locale, la disoccupazione - per l’arcivescovo - “mettono a dura prova il popolo esponendolo a sofferenze che aumentano, man mano che cresce l’odio e la divisione, anche in assenza di movimenti caritativi ed umanitari”. La Siria sembra trovarsi davanti a quella che definisce “una impasse mortale in cui non si vede la fine del tunnel. Entriamo, allora, in Quaresima in silenzio, - è l’invito dell’arcivescovo - a mani vuote e cuore fisso a Cristo risorto perché ci guidi sul cammino del perdono e della pace”. (F.S.)

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    Il Patriarca ortodosso Bartolomeo I chiede libertà per le minoranze nella nuova Costituzione

    ◊   Un documento di 18 pagine in cui il patriarcato ecumenico chiede “piena libertà” per le minoranze non musulmane in Turchia. E’ stato consegnato ieri mattina personalmente dal patriarca ecumenico Bartolomeo I al termine di un’audizione durata un’ora con i membri della Commissione parlamentare che stanno lavorando alla revisione della Costituzione turca. “Per il momento, il documento non si può diffondere perché è allo studio della Commissione”, dicono all'agenzia Sir oggi fonti del patriarcato ecumenico che si definiscono comunque “chiaramente soddisfatti perché è stata la prima volta” che il patriarca è stato invitato dal parlamento di Ankara a presentare le sue proposte. La revisione costituzionale - spiegano ancora dal patriarcato - “è in una fase ancora iniziale” e la speranza è che si possa essere ancora convocati e soprattutto leggere la bozza prima che venga approvata. “Per la prima volta nella storia della Repubblica - ha detto il Patriarca ecumenico ai giornalisti uscendo dall’audizione - le minoranze in Turchia hanno ricevuto invito formale ad esprimere le loro proposte sulla bozza della nuova costituzione. Purtroppo, sono state compiute ingiustizie ai danni delle minoranze in Turchia ma ora sono state riconosciute è una nuova Turchia sta nascendo. Lasciamo questo incontro con speranza e siamo estremamente grati”. Gratitudine viene espressa anche nel comunicato ufficiale diffuso dal Patriarcato in cui si afferma che durante l’audizione il patriarca ha potuto parlare dei “problemi” delle minoranze religiose in Turchia chiedendo quindi il rispetto “dei diritti umani, e soprattutto la libertà di religione, di coscienza e di istruzione”. Nel documento di 18 pagine, si sottolinea l’esigenza che le minoranze siano riconosciute “come cittadini a pieno titolo del Paese” così da superare “le discriminazioni e le ingiustizie del passato”. Il patriarca era accompagnato da un team del patriarcato: tra i membri della delegazione, c’era anche Emre Öktem, professore di diritto, che ha suggerito che la nuova costituzione faccia riferimento al Trattato di Losanna, firmato il 24 luglio 1923, in cui sono state definite le relazioni dello Stato turco con le religioni non musulmane e in cui vengono garantite i diritti delle comunità cristiane nel paese. Tra le richieste contenute del documento del patriarcato, spicca la riapertura della Scuola teologica di Halki, che fino alla sua chiusura avvenuta nel 1971 per ordine delle autorità turche era la principale scuola di teologia del patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Numerosi studiosi ortodossi, teologi, preti e vescovi nonché molti patriarchi hanno studiato ad Halki, compresi lo stesso patriarca Bartolomeo e i suoi predecessori: i patriarchi Demetrius, Athenagoras, and Maximus V. (R.P.)

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    Egitto: il parlamento difende le famiglie copte dall’espulsione dai loro villaggi

    ◊   Il parlamento egiziano cancella l'ordine di espulsione per 8 famiglie copte dal villaggio di Sharbat, distretto di el-Ameriya (Alessandria). Una corte locale guidata da membri dei Fratelli musulmani e salafiti aveva emesso l’ordine lo scorso 1° febbraio. Da allora, una Commissione parlamentare indaga. Ieri, in una riunione speciale del parlamento, la Commissione ha giudicato nulla la sentenza del tribunale locale. Ha chiesto al governo di risarcire le famiglie alle quali sono stati incendiati abitazioni e negozi, invitando la polizia ad individuare ed arrestare gli autori dell'assalto. Secondo padre Rafic Greiche, portavoce della chiesa cattolica egiziana, l'indagine mostra l'unità dei musulmani moderati che desiderano difendere i copti dalle minacce dei partiti islamisti. A capo della Commissione vi è Mohamed Sadat, figlio del defunto presidente Anwar al-Sadat. "Mohamed Sadat ha chiesto al governo di risarcire le famiglie vittime delle violenze - afferma il sacerdote - sottolineando che i cristiani egiziani devono essere rispettati”. “Sadat – aggiunge - ha anche sollevato l'urgenza di una legge contro le discriminazioni, per difendere i cristiani da questo tipo di attacchi, che spesso restano impuniti". Lo scorso 27 gennaio circa 3 mila salafiti hanno attaccato il villaggio di Sharbat bruciando abitazioni e negozi cristiani. E’ avvenuto in seguito alla denuncia da parte di alcuni musulmani contro Mourad Samy Guirgis, sarto cristiano, accusato di tenere nel suo cellulare foto “illecite” di una donna musulmana. Dopo l'attacco, i salafiti si sono rivolti al tribunale guidato da estremisti islamici chiedendo l'espulsione di 62 famiglie cristiane, l'intera comunità copta del villaggio. A tutt'oggi non vi sono prove contro il giovane copto e la sua famiglia, ma il 1° febbraio la corte ha arrestato Guirgis e ha ordinato l'espulsione e il congelamento dei beni della sua e di altre sette famiglie. L'uomo è stato rilasciato su cauzione lo scorso 15 febbraio. Le paure di cristiani e musulmani moderati sono aumentate con la vittoria degli islamisti alle elezioni: Fratelli musulmani e salafiti hanno guadagnato circa il 73% dei seggi, pari a 358 su 498. I leader di Giustizia e libertà - formazione politica dei Fratelli musulmani - hanno più volte rassicurato le minoranze religiose sul loro futuro, garantendo parità di diritti. Legittimati dal risultato elettorale, i salafiti hanno invece continuato a definire i cristiani “infedeli”, promettendo di cacciarli dal Paese. Fonti di AsiaNews affermano che slogan e dichiarazioni contro i copti appaiono tutti i giorni su programmi televisivi, radio e siti internet. Casi di violenze contro le minoranze cristiane si registrano in tutto il Paese. Lo scorso 12 febbraio circa 2mila salafiti hanno attaccato la chiesa di St. Mary e St. Abram, bruciato la casa del parroco e diversi edifici e auto della comunità copta, nel villaggio di Meet Bashar (provincia di Sharqia, circa 50 km a nord est del Cairo). (F.S.)

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    Iraq. Mons. Sleiman: una Quaresima per rafforzare la speranza

    ◊   “L’Iraq non ha risolto i suoi problemi. Siamo allo stallo politico ed economico, la gente soffre non solo una grave condizione sociale ma anche per la mancanza di sicurezza e di stabilità. Gli attentati dinamitardi proseguono lasciando sul terreno decine di vittime”. A parlare è l’arcivescovo latino di Baghdad, mons. Jean Benjamin Sleiman, che, alla vigilia della Quaresima racconta all'agenzia Sir di “fedeli provati ma forti nella fede. I nostri fratelli delle chiese orientali hanno già, da ieri, cominciato il percorso quaresimale con il digiuno e l’astinenza. La nostra fede ci invita alla speranza e questo tempo di preghiera e di penitenza serve a rafforzarla. L’Iraq sembra non trovare più spazio nei media - dichiara il presule - ma ciò non vuol dire che non esistono problemi. Anzi. Ai nostri si aggiungono quelli dei Paesi confinanti, come Siria ed Iran, che versano in note difficoltà politiche ed economiche”. Per mons. Sleiman “l’impegno della Comunità internazionale a favore dell’Iraq viene, in qualche modo, depotenziato dalle divergenze profonde presenti nella politica nazionale, tra sciiti e sunniti tanto per fare un esempio, difficili da ricomporre. Divisioni che si riflettono anche nella religione che così viene strumentalizzata a fini politici. A pagare tutto questo sono sempre i più piccoli, ovvero la povera gente”. (R.P.)

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    Mauritania: 12 milioni di persone a rischio per siccità e malnutrizione

    ◊   La maggior parte degli abitanti di Douerara, una piccola località situata a circa 800 chilometri ad est di Nouakchot, la capitale della Mauritania, vivono su un territorio sabbioso e roccioso immerso nel Sahel. A causa della siccità, dagli inizi di febbraio, quasi 6 mesi prima dell’arrivo previsto delle prossime piogge, la popolazione non ha di che mangiare, i raccolti sono andati distrutti e la gente è costretta a comprare riso a credito, ma non ha né carne né latte. Oltre alla Mauritania, riporta l'agenzia Fides, altri Paesi del Sahel, come Burkina Faso, Ciad, Mali, Niger e le regioni del nord del Camerun, Nigeria e Senegal, si trovano nella stessa drammatica situazione. Secondo le agenzie umanitarie, dodici milioni di persone soffriranno insicurezza alimentare severa e fame. La Mauritania, che dispone delle minori riserve di acqua potabile del mondo, è una delle nazioni più colpite. Un terzo della popolazione è già a rischio fame. Secondo esperti nutrizionisti locali del centro sanitario di Kiffa, piccola località sudoccidentale, la situazione è molto grave, soprattutto per i bambini più piccoli. Ogni settimana - riferisce l'agenzia Fides - sempre più persone si recano alla clinica in cerca di aiuto. Mancano latte e cibo, e la popolazione lotta costantemente per sopravvivere, soprattutto i bambini più piccoli. Una crisi alimentare può causare la morte del 60% dei piccoli denutriti, ma la cifra per quest’anno potrebbe essere ancora maggiore, perché la regione non si è ancora ripresa dalla grave siccità del 2010. Il Sahel è una regione in crisi permanente, che vive lo stato di insicurezza alimentare cronica. Infatti, anche nel corso di una annata “normale”, la metà di tutti i piccoli con meno di 5 anni di età soffre di denutrizione cronica. Le statistiche superano la soglia del 10%, il limite dello stato di emergenza. Ad aggravare la situazione, in Mauritania ed in altri Paesi della regione, c’è stato il vertiginoso rialzo dei prezzi degli alimenti, mentre quelli del bestiame, che costituisce il valore principale nella regione, è diminuito drasticamente quando i pascoli hanno iniziato a seccarsi. Per le strade si incontrano scheletri di mucche morte di fame o sete. La regione meridionale di Hodh el Gharbi, è una delle più colpite della Mauritania. La salute della popolazione si sta deteriorando rapidamente. Dal 2000, i raccolti vanno continuamente riducendosi a causa delle scarse piogge diventate sempre più imprevedibili. (R.P.)

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    India. Il neo cardinale Alencherry: l’intolleranza contro i cristiani fenomeno di pochi estremisti

    ◊   L’estremismo religioso è un fenomeno minoritario in India, anche se si è macchiato di delitti “atroci” con la complicità di alcuni partiti che vogliono strumentalizzare la religione a scopo elettorale. Ad affermarlo è stato il neo-cardinale indiano George Alencherry in un’intervista rilasciata a Roma all’agenzia Ucan poco prima di ricevere sabato la berretta cardinalizia dal Santo Padre. I gruppi estremisti indù – ha spiegato il neo-porporato - vedono la Chiesa come “una minaccia”, nonostante rappresentino neanche l’1,9% della popolazione, e attraverso le loro lobby sono riusciti a trovare ascolto presso il Governo e a fare valere le loro rivendicazioni contro i diritti dei cristiani. Questo - ha precisato il cardinale Alencherry – non significa che “tutto l’induismo sia intollerante: la grande maggioranza degli indù vivono con noi in armonia e pace e vedono anche positivamente il cristianesimo in India”. Nonostante la Costituzione indiana garantisca la libertà religiosa – ha aggiunto – a volte lo Stato protegge gli estremisti, perché “alcuni partiti sfruttano le tensioni religiose per ottenere più voti”. Il neo-cardinale ha inoltre invitato il Governo a cambiare le sue politiche discriminatorie nei confronti dei dalit (fuori casta) cristiani. I dalit convertiti all’Islam e al cristianesimo – lo ricordiamo - sono tuttora esclusi dai benefici costituzionali riconosciuti alle caste basse indù e sikh. Il pretesto è che i cristiani e musulmani non riconoscono il sistema castale, ma, secondo il cardinale Alencherry, il vero motivo è il timore che se queste discriminazioni su base religiosa fossero abolite ci potrebbero essere massicce conversioni al cristianesimo. Anche se nessuno lo dice esplicitamente, ha detto - sotto sotto il cristianesimo è percepito “come una minaccia alla religione maggioritaria, l’induismo”. (L.Z.)

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    Malaysia: i cristiani dicono no a un codice per i rapporti tra musulmani e altre religioni

    ◊   Le Chiese cristiane malesi hanno espresso preoccupazione per la proposta presentata la settimana scorsa dall’Associazione degli Ulama della Malaysia di introdurre una sorta di codice di condotta per regolare i rapporti tra fedeli musulmani e non musulmani nel Paese. La stessa associazione ha anche invitato i fedeli musulmani a non partecipare a feste non musulmane. La proposta – riferisce l’agenzia Ucan - si inserisce nel dibattito aperto nel Paese dalla recente partecipazione del Primo Ministro Najib Razak, musulmano, a una festa indù. Secondo l’Associazione degli Ulama le linee guida darebbero regole chiare che servirebbero a prevenire tensioni interreligiose nel Paese. Un argomento giudicato pretestuoso non solo dai leader cristiani, ma anche da diversi esponenti musulmani. Secondo il pastore evangelico Eu Hong Seng, presidente del National Evangelical Christian Fellowship Malaysia, in teoria “le linee guida potrebbero essere un utile strumento per promuovere l’armonia ed evitare malintesi”, ma in pratica, nelle mani di fanatici intolleranti diventerebbero un editto contro le altre religioni, e sarebbero quindi “un disastro”. Dello stesso tenore il giudizio del pastore Thomas Philips, Presidente del Consiglio delle Chiese della Malaysia, che ritiene le nuove norme inutili: “Ci sono abbastanza leggi in Malaysia per proteggere gli interessi di tutte le comunità”, ha detto il leader religioso cristiano aggiungendo che vietare ai musulmani di presenziare a celebrazioni religiose non musulmane servirebbe solo a creare un clima di sospetto. Alle critiche dei cristiani si sono aggiunte anche quelle di alcuni esponenti musulmani. Tra questi Marina Mahathir, figlia dell’ex Primo Ministro Mahathir Mohamad: “È ridicolo che dopo 54 anni di indipendenza e di convivenza, i musulmani sentano il bisogno di direttive su come comportarsi con i non musulmani”, ha dichiarato l’ attivista impegnata per i diritti delle donne in Malaysia. (L.Z.)

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    Sri Lanka: il dramma delle bambine soldato anche dopo la fine delle guerre

    ◊   Quando si parla di bambini soldato non si fa quasi mai riferimento alle bambine e alle ragazze arruolate, nonostante siano il 40% quelle coinvolte nelle guerre. Hanno ruoli diversi, appena rapite fanno da sguattere ai soldati, cucinano, raccolgono provviste e, una volta raggiunta la pubertà, sono costrette a sposare il capo dei guerriglieri. Altre invece diventano schiave dei soldati, che abusano di loro; altre ancora combattono con le armi, fanno da spia e da informatrici. Purtroppo i problemi di queste giovani non finiscono al termine della guerra, anzi, al contrario, una volta rientrate nel proprio paese, queste bambine, spesso con figli al seguito, continuano ad essere seriamente emarginate. Soffrono di gravi disturbi psicologici e fisici, e anche quando riescono a tornare alle loro famiglie, vengono emarginate perché creano motivo di vergogna e imbarazzo. Questo grave fenomeno colpisce quasi tutti i paesi che vivono conflitti, dal Sudamerica all’Africa fino all’Asia. Nello Sri Lanka lacerato da una guerra civile di 25 anni, il conflitto iniziato nel 1983 e concluso nel 2009 ha generato oltre 280 mila rifugiati di guerra, la maggior parte giovani. Sono bambini e bambine nati durante la guerra e addestrati per combattere. A Vavuniya le suore salesiane Figlie di Maria Ausiliatrice si occupano di queste sfortunate bambine nella “Casa per bambine combattenti ed ex soldato”. Attualmente ci sono 173 giovani tra le più vulnerabili, povere ed emarginate. Di queste 77 frequentano le scuole e 80 sono orfane. La più piccola ha solo 3 anni e frequenta l’asilo. Una ragazza studia all’università, 20 seguono corsi professionali e 2 un corso di fisioterapia. Dieci tra le più grandi lavorano. Le iniziative delle Salesiane mirano a tutelarne la salute fisica e psichica, l’istruzione e la formazione spirituale, e lavorano congiuntamente con altre reti non governative internazionali, come la Croce Rossa Internazionale, l’Unicef e il Programma Alimentare Mondiale, e nazionali come Shade e Seed, che collaborano settimanalmente con la Don Bosco Children’s home. (R.P.)

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    India: Campagna delle religiose-medico contro feticidi e infanticidi femminili

    ◊   Una campagna di sensibilizzazione contro i feticidi e gli infanticidi femminili. A lanciarla è il Sisters Doctors Forum of India (Sdfi) che riunisce le 650 religiose che svolgono la professione medica in India. L’iniziativa – riferisce l’agenzia Ucan - è stata illustrata nei giorni scorsi a una riunione a Mangalore alla quale è intervenuto, tra gli altri, mons. Vincent Concessao, arcivescovo di Delhi e presidente della Commissione per la pastorale sanitaria della Conferenza episcopale indiana (Cbci). Intitolata “Let the Girl Child Live” (“Lasciate vivere la bambina”), la campagna si propone di richiamare l’attenzione di autorità e opinione pubblica su un fenomeno non solo intollerabile sotto il profilo morale, ma che sta assumendo, in India come in altri Paesi asiatici, dimensioni drammatiche tali da incidere sui futuri equilibri demografici nel Paese con pesanti conseguenze anche sulla stabilità sociale. Tra queste, ha rilevato la presidente della Sdfi suor Lucian, l’aumento della criminalità. Secondo alcune stime, sarebbero 39 milioni le donne che mancano all’appello in India di cui 10 milioni sono state eliminate negli ultimi 20 anni: “Le neonate vengono gettate nelle fogne e nelle foreste e una bambina su 25 non nate è stata abortita”, ha detto la religiosa, mentre tre milioni di bambine non raggiungono il 15.mo anno di età. La campagna delle religiose indiane, che culminerà l’8 marzo, Festa internazionale della donna, prevede seminari, proiezioni di film e di documentari per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di proteggere le bambine, ma anche per promuovere un’immagine più positiva della donna nella società. “Il nostro obiettivo – ha spiegato suor Lucian - è di migliorare il rapporto tra numero di nascite maschili e femminili a favore di queste ultime e quindi eliminare gli aborti selettivi” . I feticidi e gli infanticidi femminili stanno alterando la composizione demografica non solo in India, ma in tutta l’Asia, dove la pratica è molto diffusa a causa di antichi retaggi culturali. Secondo i dati raccolti dalla Divisione Popolazione dell’Onu (Unpd) e dal U.S. Census Bureau’s International Programs Center (Ipc), le due maggiori organizzazioni che si occupano di controllare e registrare le tendenze di crescita della popolazione mondiale, a detenere il primato sono l’India e la Cina con un indice medio del rapporto tra numero di nascite maschili e femminili (sex ratio) di 120. Il limite oltre il quale si parla di sex ratio innaturale è di 105. (L.Z.)

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    Haiti: torna il Carnevale ma restano i problemi della ricostruzione

    ◊   Ad Haiti, Paese drammaticamente colpito dal terremoto nel 2010, sono tornati i festeggiamenti per il Carnevale nazionale, un evento molto radicato nella cultura e nella tradizione haitiana. Per la prima volta nella storia del Paese, però, non si tiene nella capitale Port-au-Prince ma 200 chilometri più a sud, nella città di Les Cayes. Dopo il devastante terremoto e le tensioni seguite alle elezioni nel 2011, è la prima volta in tre anni che il Carnevale si festeggia di nuovo ufficialmente con tre giorni festivi concessi a tutti gli abitanti di uno dei Paesi più poveri al mondo. Il presidente Michel Martelly, che a Les Cayes aveva ottenuto un forte appoggio elettorale, ha partecipato in prima persona, domenica, all’inizio delle sfilate e festeggiamenti che si concluderanno oggi, ‘martedì grasso’. Abituato al palcoscenico e ai contatti con la folla, l’ex cantautore eletto nel 2011 ha preso in mano il microfono e si è mischiato alla folla intonando canti e slogan a partire dal tema scelto per quest’anno, il “Decollo di Haiti”. Una tregua – sottolineano fonti della Misna sentite a Port-au-Prince – che spezza un clima politico rovente, segnato da tensioni, sospetti e disaccordi tra i dirigenti del Paese su più livelli. Al già noto braccio di ferro tra il presidente Martelly e il Parlamento, dominato dall’opposizione, si è innescata una crisi di fiducia tra lo stesso presidente e il primo ministro, Garry Conille, sul dossier della nazionalità degli eletti. Lo scorso 16 febbraio, alla convocazione dei ministri e dei segretari di Stato da parte della Commissione senatoriale per la verifica della nazionalità, si è presentato soltanto Conille, in aperto contrasto con il suo esecutivo e con il presidente, fautori di una risoluzione che consente ai membri del governo di non rispondere alle richieste del Senato. Il periodo è cruciale anche in vista delle elezioni senatoriali parziali previste a maggio. Attivo comunicatore, promotore di una “diplomazia degli affari”, il presidente Martelly ha annunciato l’avvio di numerosi progetti per lo sviluppo del Paese, tra cui la scuola gratuita per oltre 700.000 bambini, il ricollocamento degli sfollati del terremoto. Secondo fonti della Misna nel Paese, però, risultano come sforzi minimi in un oceano di bisogni. (F.S.)

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    Gambia: dedicata al perdono la riflessione quaresimale della Chiesa

    ◊   “Signore, donami un cuore misericordioso”: è la preghiera che mons. Robert Ellison, vescovo di Banjul, in Gambia, pone al centro della sua Lettera pastorale per la Quaresima 2012, interamente dedicata al tema del perdono. “Perdonare non è facile per nessuno”, scrive il presule, perché “saper perdonare è un dono di Dio” e significa “rendere liberi i fratelli”. Ma è ancora “più importante – continua mons. Ellison – che il perdono includa la mia liberazione dalla miserabile prigione del risentimento e del rancore. Serbare rancore è come bere del veleno, è come un cancro dello spirito e, come tale, cresce e ci devasta”. Solo affidandoci a Dio, invece, si può comprendere che “la pace e la liberazione profonde derivano dall’aprire la porta del cuore a quelle parole di salvezza che Cristo ha pronunciato sulla Croce, ovvero ‘Signore, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Quindi, il vescovo di Banjul sottolinea che “la storia della Salvezza è la storia del perdono di Dio per tutta l’umanità. Dio ama e perdona ciascuno di noi, così che possiamo amarci e perdonarci gli uni con gli altri”. In questo senso, afferma il presule, fondamentale diventa il sacramento della confessione, poiché “quando si decide di accostarsi alla confessione, significa che si è già scelto di cambiare qualcosa di sbagliato nelle nostre vite”. Non solo: la confessione “include anche la grazia necessaria per mettere in pratica tale cambiamento”. Ecco perché, dice mons. Ellison, “il sacramento della confessione non è un ornamento: al contrario, la ferma decisione di perdonare e non peccare più, che si legge nell’Atto di dolore, è un elemento fondamentale”. Di qui, la preghiera conclusiva che il vescovo di Banjul innalza affinché Dio doni “un cuore misericordioso” a tutti i fedeli. (I.P.)

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    Canada: le scuole cattoliche contro le modifiche all'ora di religione

    ◊   Il corso obbligatorio di “Etica e Cultura religiosa” (Erc) nelle scuole del Québec non viola i diritti e le libertà sancite dalla Costituzione canadese. È quanto ha stabilito la Corte Suprema del Canada che ha così respinto il ricorso presentato da due genitori cattolici per esonerare i propri figli dal corso in quanto l’insegnamento obbligatorio della nuova materia violerebbe il loro diritto di crescere i figli nella dottrina della Chiesa. Il contenzioso risale al 2008 quando il Governo dello Stato canadese aveva introdotto il nuovo programma al posto dell’ora di religione, sostenendo che solo una scuola aconfessionale è in grado di garantire la libertà di tutti in una società pluralista. Una tesi contestata dalle scuole cattoliche, ma anche da altre organizzazioni cristiane, che hanno appoggiato i ricorsi contro il provvedimento, oggi più di duemila. La sentenza della Corte Suprema - riferisce il quotidiano cattolico francese “La Vie” - conferma i verdetti emessi in precedenza dal Tribunale di prima istanza e dalla Corte d’appello del Québec. Secondo i supremi giudici, “la legge non impedisce ai genitori di trasmettere le loro credenze ai figli” e “l’esposizione a realtà diverse da quelle proposte all’interno della famiglia è un fatto della vita” di cui occorre prendere atto. Pensare il contrario, continua il testo, significa “rigettare la realtà multiculturale della società canadese”. Il nuovo verdetto lascia peraltro aperto uno spiraglio: esso infatti non esclude che l’Erc nella sua concreta applicazione in futuro “possa violare i diritti dei ricorrenti e di altre persone che si trovano nella stessa situazione”. La stessa Corte Suprema deve ancora pronunciarsi su un altro ricorso, presentato questa volta dal Governo del Québec, contro la sentenza di un tribunale locale che ha invece concesso ad un istituto gesuita di potere impartire i corsi di Ecr “secondo una prospettiva cattolica”. La sentenza è attesa per marzo. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Malta. I vescovi per la Quaresima: uscire dall’esilio spirituale della cultura di oggi

    ◊   Vivere il tempo di Quaresima come un’opportunità per uscire dall’esilio della cultura contemporanea: è l’invito che la Chiesa di Malta rivolge ai suoi fedeli nella Lettera pastorale per la Quaresima 2012. Nella lunga missiva, a firma di mons. Paul Cremona e di mons. Mario Grech, rispettivamente arcivescovo di Malta e vescovo di Gozo, si spiega che per esilio si intende “tutto ciò che ci allontana da Dio”. Ciò si verifica, ad esempio, “quando non consideriamo le nostre decisioni alla luce della Parola di Dio, o quando sentiamo che nella nostra vita non abbiamo bisogno di Gesù o della Chiesa, tranne che nei momenti di emergenza come la malattia o la morte. O ancora, quando siamo totalmente consumati dal materialismo a tal punto che ignoriamo i principi etici e le giuste misure”. In sostanza, continuano i presuli, “siamo in un esilio spirituale quando mettiamo da parte i comandamenti di Dio” e ciò si riscontra spesso “nel nostro mondo contemporaneo”, in cui “molte persone ritengono che se spingono Dio da una parte, saranno libere di seguire le proprie inclinazioni”. In realtà, poi, “esse realizzano che hanno bisogno di Dio e tornano a rivolgersi a Lui ancora una volta”. Per questo, la Chiesa di Malta ribadisce che “il tempo di Quaresima diventa più significativo se scegliamo un percorso che ci porti fuori dal nostro esilio”, ovvero se decidiamo di “dedicare più tempo alla preghiera, essere più moderati nelle cose puramente materiali, leggere la Parola di Dio, accostarsi al sacramento della Riconciliazione, che aiuta a discernere cosa è giusto e cosa è sbagliato nella vita, ed essere in più stretta comunione con il sacramento dell’Eucaristia”. “Offriamo ai fedeli queste proposte come una sfida – concludono mons. Cremona e mons. Grech – per iniziare un lungo percorso che li porti a riflettere più profondamente sul mistero del vivere come cristiani”. (A cura di Isabella Piro)

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    Consiglio d’Europa: in Italia più impegno contro la discriminazione

    ◊   “Nonostante qualche progresso, è ancora necessario un maggiore impegno per combattere l’istigazione all’odio e proteggere Rom e immigrati dalla violenza e dalla discriminazione”. Si apre così il rapporto dell’Ecri (Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa) sull’Italia. Il presidente ad interim, François Sant’Angelo, scrive che l’Italia dispone ora di un’efficace normativa contro la discriminazione e la violenza razzista nello sport, ma che aumentano i discorsi razzisti in politica. Gli immigrati – spiega - sono sempre presentati come fonte di insicurezza e questo linguaggio discriminatorio influenza l’opinione pubblica. Anche se un certo numero di comuni e di regioni hanno adottato programmi a favore dell’inclusione sociale, i Rom continuano a subire discriminazione ed emarginazione. I campi nomadi, seppure autorizzati, sono relegati in aree lontane dai centri urbani. Mentre i campi abusivi, sono oggetto continuo di sgomberi forzati e demolizioni. La politica dei respingimenti, inaugurata nel maggio del 2009, che prevede di rimandare nel Paese di origine i battelli intercettati in mare aperto tra l’Italia e la Libia, ha privato un certo numero di persone della possibilità di fare valere il loro diritto d’asilo. Altri problemi sono stati riscontrati a seguito degli eventi del Nord Africa agli inizi del 2011. Non si possono non deplorare i respingimenti affrettati e le condizioni di accoglienza inadeguate. Persistono i pregiudizi contro i musulmani e l’antisemitismo, e si segnalano casi di discriminazione nei confronti dei gruppi vulnerabili nell’accesso agli alloggi dati in locazione da privati. L’Ecri ha previsto una procedura di valutazione intermedia entro due anni e formulato un certo numero di raccomandazioni tra cui la garanzia di protezione per tutti i Rom, soprattutto per chi subisce operazioni di sgombero, e il rispetto del principio del non respingimento. Il rapporto è stato elaborato sui dati raccolti durante la visita dell’Ecri in Italia nel novembre 2010 e tiene conto degli ultimi sviluppi fino a giugno 2011. (F.S.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 52

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli.