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Sommario del 16/02/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI ai vescovi europei e africani: la Chiesa non ha paura di annunciare il Vangelo tra tanti problemi e sfide
  • Unità e impegno concreto, è quanto emerge dai lavori in corso del secondo Simposio dei vescovi d'Africa e d'Europa
  • Il Papa ai seminaristi romani: non conformarsi al potere di finanza e media che, pur necessari, rischiano di opprimere l’uomo
  • La crisi non risparmia l’economia vaticana, il grazie dei cardinali per il sostegno dei fedeli al ministero del Papa
  • Altre udienze
  • Il Papa nomina mons. Luciano Russo nunzio in Rwanda
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Honduras. Incendio in un carcere: oltre 350 le vittime. Il nunzio: una tragedia, ora si pensi alla situazione dei detenuti
  • Ban Ki-moon: possibili crimini contro l’umanità in Siria. Decine di vittime anche oggi
  • Esenzione Ici. Cardia: una norma che riguarda tutti e non solo la Chiesa. Tutelare il no-profit
  • Moody's declassa 114 banche europee, ma i fondi Usa ritornano in Europa
  • Grecia: via libera del governo a 325 milioni di tagli in vista degli aiuti europei
  • Nagorno-Karabakh: dopo 18 anni trattative ancora bloccate. L'esperto: "L'intera regione resta instabile"
  • Spese militari in Italia. Rete per il Disarmo: taglio al personale ma investimenti ingenti in armi

  • Piano umanitario per il Sahel: la carestia colpisce 10 milioni di persone
  • Il "Fattore famiglia" è legge in Lombardia. La soddisfazione del Forum
  • Nuova evangelizzazione, padre Rupnik: ripartire dalla misericordia
  • "Un esempio di speranza". Così il sindaco di Savona sul bidello che ha dipinto la scuola prima di andare in pensione
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Terra Santa: padre Pizzaballa chiede un gesto concreto di carità per i cristiani siriani
  • Messico: l’arcidiocesi prepara i laici ad un “voto di coscienza” per le presidenziali
  • Gravi danni in Messico per la siccità che ha colpito l’agricoltura
  • Madagascar: il ciclone Giovanna crea gravi danni alle coltivazioni
  • Senegal: 850 osservatori della Chiesa cattolica per le prossime presidenziali
  • Sud Sudan: bambini abbandonati a causa degli scontri tra etnie
  • India: arrestato un cristiano attivista dei tribali che ora rischia l’ergastolo
  • Indonesia: i cattolici di Ambon in festa per l’ordinazione di 5 nuovi sacerdoti
  • Cina: lutto per la morte di padre Mattia Leopoldo Guo Ji Fen
  • Gabon: la Chiesa celebra il 30.mo anniversario della visita di Papa Wojtyla
  • Piano strategico "più forte ed unito" per il Jesuit Refugee Service
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI ai vescovi europei e africani: la Chiesa non ha paura di annunciare il Vangelo tra tanti problemi e sfide

    ◊   I problemi “non mancano” ma “sono anche la prova che la Chiesa è viva” “e non ha paura” di annunciare il Vangelo. Così Benedetto XVI rivolto stamane ai vescovi europei ed africani riuniti a Roma questa settimana per il secondo Simposio delle Conferenze episcopali dei due continenti, insieme a delegati di dicasteri vaticani e di organismi ecclesiali. Circa 80 i partecipanti all’udienza svoltasi nella Sala Clementina del Palazzo apostolico. Il servizio di Roberta Gisotti:

    “Fede e carità” “si illuminano a vicenda nella loro verità”. Lo ha ricordato il Papa a tutti i partecipanti al Simposio, raccomandando di tenere ben saldo questo legame nei rapporti tra Chiese in Africa e in Europa:

    “….è bello vedere come la Chiesa in Africa, pur vivendo in mezzo a tante difficoltà e con il bisogno di pace e di riconciliazione, è disponibile a condividere la sua fede”.

    La speranza e la gioia espresse dalle comunità ecclesiali africane sono sempre per le Chiese europee “un momento di grazia”. Ma ci sono “sfide impegnative” comuni da affrontare, ha sottolineato Benedetto XVI. In primo luogo l’indifferenza religiosa, “che porta molte persone a vivere come se Dio non ci fosse o ad accontentarsi di una religiosità vaga, incapace di misurarsi con la questione della verità e il dovere della coerenza”:

    “Oggi, soprattutto in Europa, ma anche in alcune parti dell’Africa, si sente il peso dell’ambiente secolarizzato e spesso ostile alla fede cristiana”.

    Altre sfide, l’edonismo, “che ha contribuito a far penetrare la crisi dei valori nella vita quotidiana, nella struttura della famiglia, nel modo stesso di interpretare il senso dell’esistenza”. Ed ancora pornografia e prostituzione, “sintomo di una situazione di grave malessere sociale”:

    “Voi siete ben consapevoli di queste sfide, che provocano la vostra coscienza pastorale e il vostro senso di responsabilità”.

    Sfide che non devono scoraggiare, ha detto il Santo Padre ma “rinnovare l’impegno e la speranza”, ponendo al centro dell’attenzione pastorale anzitutto la famiglia, “chiesa domestica”, “solida garanzia” per rinnovare la società, custode di “usanze, tradizioni, costumi, riti impregnati di fede”, terreno più adatto per il fiorire di vocazioni, minacciate dall’odierna mentalità consumistica; famiglia “fulcro formativo della gioventù”:

    “L’Europa e l’Africa hanno bisogno di giovani generosi, che sappiano farsi carico responsabilmente del loro futuro”.

    Da qui il richiamo a tutte le Istituzioni perché il cammino dei giovani “non sia segnato dall’incertezza e dal buio” ma piuttosto sia supportato – ha raccomandato ai presuli - da una formazione culturale, illuminata dalla luce del Vangelo:

    “Così la cultura nutrita dalla fede porta alla vera umanizzazione, mentre le false culture finiscono per condurre alla disumanizzazione: in Europa e in Africa ne abbiamo avuto tristi esempi”.

    Ha concluso il Papa chiedendo la preghiera e l’impegno di tutti i fedeli per affrontare i tanti problemi emersi nel Simposio:

    “Certo, essi non mancano, e sono talvolta rilevanti; ma, d’altra parte, sono anche la prova che la Chiesa è viva, è in crescita, e non ha paura di compiere la sua missione evangelizzatrice”.

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    Unità e impegno concreto, è quanto emerge dai lavori in corso del secondo Simposio dei vescovi d'Africa e d'Europa

    ◊   In pieno svolgimento a Roma il secondo Simposio fra vescovi d’Africa e d’Europa dedicato all'evangelizzazione all’insegna della comunione e della collaborazione. Intanto, ieri pomeriggio, delegati delle Conferenze episcopali dei due continenti hanno fatto il punto sui lavori sottolineando una forte comunione di pensiero e di speranze. Al microfono di Gabriella Ceraso le testimonianze del cardinale Péter Erdő, presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa e mons Buti Joseph Tlhagale, arcivescovo di Johannesburg:

    R. – Ancora 10 anni fa si aveva l’impressione che vi fossero due gruppi – africani ed europei - con grandi diversità che dovevano cercare di dialogare tra loro. Oggi ci consideriamo come confratelli con problemi analoghi, come la migrazione e l’educazione, i problemi sociali, la giustizia e l’economia. Notiamo, inoltre, che il ragionamento comune è capace di presentare nuove idee ed anche nuove strategie.

    D. – Cosa può dare l’Europa, in questo momento storico, all’Africa?

    R. – Di certo non soltanto aiuti economici, ma anche una propria conversione: analizzando alcune situazioni di ingiustizia e di altre problematiche che si presentano in Africa, possiamo trovare le radici dei nostri Paesi. Dobbiamo perciò alzare la voce, analizzare le cause e promuovere una visione più giusta ed equilibrata anche nella stessa Europa.

    D. – Mons. Tlhagale, lei ha parlato di un cambiamento di mentalità, nei confronti dell’Africa, che sta emergendo dal Simposio. Che cosa intende dire?

    R. – In questo momento abbiamo i preti o altre persone religiose che vengono proprio in Africa, rendendosi responsabili per la loro evangelizzazione. Penso anche che questo cambi il modo di vedere l’Africa: abbiamo sempre pensato che l’origine delle cose, del modo di pensare fosse proprio qui, in Europa. Ma non è più così: l’Africa ha un certo influsso sull’Europa.

    D. – Domani il vostro messaggio conclusivo. Quali sono le sue speranze per il futuro?

    R. – Quella che facciamo tra noi è una promessa: possiamo lavorare insieme e possiamo riuscirci. (vv)

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    Il Papa ai seminaristi romani: non conformarsi al potere di finanza e media che, pur necessari, rischiano di opprimere l’uomo

    ◊   Il cristiano è chiamato a non conformarsi, per essere libero. Non conformarsi al potere di finanza e media che, pur necessari, rischiano di opprimere l’uomo. Così il Papa ieri pomeriggio durante la Lectio Divina tenuta ai seminaristi del Pontificio Seminario Romano Maggiore in occasione della Festa della Madonna della Fiducia. Al termine dell’incontro Benedetto XVI si è fermato a cena con i seminaristi, quindi il rientro in Vaticano. Il servizio di Paolo Ondarza:

    C’è un non conformismo del cristiano rispetto al mondo. Il Papa lo ha indicato ai “suoi seminaristi”, come lui stesso affettuosamente li ha salutati, circa 190 futuri sacerdoti di 5 seminari romani. Accolto da don Concetto Occhipinti, rettore del Seminario Romano Maggiore, e dall'entusiasmo della comunità dell'istituto, Benedetto XVI si è inizialmente soffermato in adorazione davanti al Tabernacolo. Quindi la lectio divina sul brano paolino della Lettera ai Romani: l’invito dell’Apostolo delle Genti ad offrire il proprio corpo come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, a non conformarsi a questo mondo, a lasciarsi trasformare per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.

    Ma non conformarsi non vuol dire fuggire dal mondo: è una via per essere veramente liberi. Il potere della finanza e quello dei media, ha spiegato il Papa, ambedue necessari e utili a volte rischiano di dominare sull’uomo. Il primo diventa non più uno strumento che favorisce l'umanità, ma che la opprime:

    "Il mondo della finanza non rappresenta più uno strumento per favorire il benessere, per favorire la vita dell’uomo, ma diventa un potere che lo opprime, che deve essere quasi adorato, mammona, la vera divinità falsa che domina il mondo. Contro questo conformismo della sottomissione a questo potere, siamo non conformisti: non l’avere conta, ma l’essere conta! Non sottomettiamoci a questo, usiamolo come mezzo, ma con la libertà dei figli di Dio".

    Allo stesso modo spesso l’informazione non fa realmente luce e ciò che viene detto o scritto, diviene più importante della realtà stessa. Il mondo virtuale rischia quindi di diventare più importante di quello reale. Il cristiano si conforma per essere libero:

    "Il non conformismo del cristiano ci redime, ci restituisce alla verità. E preghiamo il Signore perché ci aiuti ad essere uomini liberi in questo non conformismo che non è contro il mondo, ma è il vero amore del mondo".

    Oggi si parla tanto della Chiesa di Roma, su di essa si dicono tante cose – ha notato il Papa:

    "Anche oggi si parla molto della Chiesa di Roma, di tante cose, speriamo che si parli anche della nostra fede, della fede esemplare della Chiesa di Roma e preghiamo il Signore, perché possiamo fare così che si parli non di tante cose, ma si parli della fede della Chiesa di Roma".

    Quindi Benedetto XVI ha ammonito: il cristianesimo non è solo spiritualizzazione, moralizzazione, ma incarnazione. L’invito di Paolo ad offrire i propri corpi è invito ad essere un tutt'uno con Dio:

    "Dobbiamo essere realmente penetrati dalla realtà di Dio, così che tutta la nostra vita – e non solo alcuni pensieri – siano liturgia, siano adorazione".

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    La crisi non risparmia l’economia vaticana, il grazie dei cardinali per il sostegno dei fedeli al ministero del Papa

    ◊   Si è conclusa ieri in Vaticano la riunione del Consiglio dei cardinali per lo Studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede, presieduta dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone. Durante l’incontro è stato illustrato il rinnovato ruolo che la Prefettura per gli Affari Economici, in base al suo nuovo Regolamento, assume rispetto alle Amministrazioni della Santa Sede e del Governatorato. Dopo le relazioni sul Bilancio preventivo Consolidato 2012 della Santa Sede e su quello del Governatorato, sono seguiti gli interventi dei cardinali, i quali – riferisce un comunicato – “pur esprimendo compiacimento per i risultati prospettati, non hanno mancato di manifestare preoccupazione per la situazione di crisi generale, la quale non risparmia neppure il sistema economico vaticano nel suo complesso. Ciò appare evidente – prosegue il comunicato - soprattutto per la Santa Sede, la cui insostituibile fonte di sovvenzionamento è costituita dalle libere offerte dei fedeli”. I membri del Consiglio “hanno espresso profonda gratitudine per il sostegno che questi ultimi danno, spesso in forma anonima, al ministero universale” del Papa, “esortandoli a perseverare in tale opera di bene”. Infine, il Consiglio ha riconosciuto “l’impegno per il continuo miglioramento dell’amministrazione dei beni e delle risorse della Santa Sede”.

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    Altre udienze

    ◊   Il Papa ha ricevuto stamani in successive udienze il signor Budiarman Barar, ambasciatore di Indonesia per la presentazione delle Lettere Credenziali; il signor Daniel Edgardo Ramada Piendibene, ambasciatore di Uruguay per la presentazione delle Lettere Credenziali. Ancora, il Papa ha ricevuto in udienza mons. Emil Paul Tscherrig, arcivescovo tit. di Voli, nunzio apostolico in Argentina e mons. Franz-Peter Tebartz-van Elst, vescovo di Limburg (Repubblica Federale di Germania).

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    Il Papa nomina mons. Luciano Russo nunzio in Rwanda

    ◊   Benedetto XVI ha nominato nunzio apostolico in Rwanda mons. Luciano Russo, arcivescovo titolare eletto di Monteverde. Mons. Russo è nato a Lusciano (Caserta), il 23 giugno 1963. È stato ordinato sacerdote il primo ottobre 1988 ed incardinato ad Aversa. È laureato in Diritto Canonico. Entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede il primo luglio 1993, ha prestato successivamente la propria opera presso le rappresentanze pontificie in Papua Nuova Guinea, Honduras, Siria, Brasile, Paesi Bassi, Stati Uniti d'America, Honduras e in Bulgaria. È stato nominato nunzio apostolico ed eletto arcivescovo tit. di Monteverde il 27 gennaio 2012. Parla anche il francese, l’inglese e lo spagnolo.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Un nuovo modo di pensare da cristiani non conformisti: lectio divina di Benedetto XVI per i seminaristi della diocesi di Roma.

    Incertezza europea: in rilievo, nell'informazione internazionale, il possibile rinvio degli aiuti alla Grecia.

    Insuperabili trofei quelli della Roma di Gaio: in cultura, Carlo Carletti su nascita, significato originario ed evoluzione del termine "santuario".

    Un articolo del vescovo Michele Pennisi dal titolo "Fratelli Sturzo a confronto": consigli reciproci e divergenze di pensiero emergono dall'epistolario.

    L'arte è polifonica: la premessa di Micol Forti al catalogo "Lo splendore della verità, la bellezza della carità. Omggio degli artisti a Benedetto XVI per il sessantesimo di sacerdozio".

    Perché l'amore precede la conoscenza: la presentazione, del cardinale Carlo Maria Martini, della prima edizione italiana del volume "Il verbo incarnato" di Bernard Lonergan.

    Sulla strada della fraternità e della cooperazione: nell'informazione vaticana, il discorso del Papa ai partecipanti al simposio dei vescovi d'Africa e d'Europa.

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    Oggi in Primo Piano



    Honduras. Incendio in un carcere: oltre 350 le vittime. Il nunzio: una tragedia, ora si pensi alla situazione dei detenuti

    ◊   In Honduras sono oltre 350 le vittime dell'incendio che la notte scorsa ha devastato il penitenziario di Comayagua, struttura che ospitava 852 detenuti. Centinaia i feriti, molti anche gli evasi. Le indagini della polizia non escludono l’ipotesi dell’incendio doloso. In un comunicato il vescovo della diocesi di Comayagua, mons. Roberto Camilleri, parla di “peggiore tragedia nella storia delle carceri” dell’Honduras e invita ad uno “sforzo comune” per “alleviare i bisogni più urgenti dei sopravvissuti e delle famiglie colpite”. Il servizio è di Cecilia Seppia:

    Qualcuno avrebbe appiccato il fuoco volontariamente, bruciando dei materassi durante una delle tante rivolte esplose nella prigione, a nord di Tegucicalpa, tra guardie e detenuti, e in pochi minuti il caos, con tanto di spari incrociati e persone che saltavano nel vuoto pur di salvarsi. Altra ipotesi quella di un corto circuito improvviso al sistema elettrico. Poi la più accreditata: l’incendio doloso confermato dalla testimonianza di un detenuto che avrebbe telefonato alla governatrice del dipartimento di Comayagua, Paola Castro, per informarla su quanto stava accadendo. Impossibile comunque per i vigili del fuoco raggiungere le varie zone della struttura che ospitava 853 reclusi, 400 in più rispetto all’effettiva capienza. Almeno 350 per ora le vittime accertate, morte carbonizzate. Sul posto sono subito accorsi i familiari dei reclusi: i militari hanno lanciato gas lacrimogeni e sparato in aria colpi di arma da fuoco per disperdere l’enorme folla. Qualcuno, potrebbe aver approfittato della situazione per evadere. Il presidente Porfirio Lobo Sosa ha convocato d’urgenza il Consiglio di Sicurezza, mentre il segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani ha richiesto l’invio della Commissione dei diritti umani per far luce sul caso.

    E la Chiesa honduregna si stringe in preghiera per quello che definisce "un fatto grave" che dovrà portare ad una seria riflessione sulla situazione delle carceri. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento del nunzio apostolico in Honduras mons. Luigi Bianco:

    R. - La diocesi di Comayagua con il suo vescovo, monsignor Roberto Camilleri, tutto il presbiterio e tutta la Chiesa di Honduras, partecipano al grande dolore per questa tragedia che ha colpito centinaia di persone che si trovavano in quel carcere, i loro familiari e tutto il Paese. E così si unisce, alla preghiera di conforto di suffragio per le vittime, di conforto per tutti coloro che sono colpiti e si sente solidale con le molte iniziative di aiuto che stanno arrivando da diversi Paesi.

    D. - Viene ribadito che questo era un carcere tra i più sicuri...

    R. - Sì. Il comunicato della diocesi ricorda che il centro penitenziario di Comayagua era considerato come quello con il maggiore livello di sicurezza di tutto il Paese. Certamente, questo grave fatto farà sorgere delle proposte, delle considerazioni, su come migliorare la situazione dei carcerati e dei centri penitenziari del Paese.

    D. - In questa situazione, tutto il mondo sta mostrando una grande solidarietà...

    R. – Stiamo apprezzando i messaggi di solidarietà e di aiuto che stanno arrivando, questo è anche una spinta affnché il popolo dell'Honduras, il governo con l’impegno di tutti, possa affrontare questa situazione e possa dare delle risposte ad una problematica difficile ma che va affrontata necessariamente. (bi)

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    Ban Ki-moon: possibili crimini contro l’umanità in Siria. Decine di vittime anche oggi

    ◊   Il presidente siriano Bashar El Assad cerca una via d’uscita alla crisi, che vede sempre più la comunità internazionale contro il regime di Damasco, convocando per il 26 febbraio prossimo un referendum sulla nuova Costituzione, che – a detta del capo dello Stato – aprirà una nuova era per il Paese. Immediata la reazione degli Stati Uniti, che hanno definito la decisione ”risibile”. Da parte sua, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon ha evocato nuovamente “crimini contro l’umanità” perpetrati dal regime. Intanto nel Paese è ancora tensione, con 11 morti nelle ultime 36 ore. Ed il futuro è incerto anche per i cristiani presenti nel Paese. A lanciare l’allarme è “Aiuto alla Chiesa che Soffre”, che attraverso le dichiarazioni dell’arcivescovo maronita di Damasco, mons. Samir Nassar, disegna uno scenario a tinte fosche. Salvatore Sabatino ha intervistato Marta Petrosillo, portavoce della fondazione:

    R. - I cristiani sono molto preoccupati riguardo il loro futuro. Hanno davanti lo spauracchio dei rifugiati iracheni, che dal 2003 - dall’inizio della guerra -, hanno trovato sicurezza in Siria e soprattutto a Damasco. L’arcivescovo maronita di Damasco, l’ha definita “una sindrome irachena”. Questa incertezza del futuro è talmente forte che non si sa cosa aspettarsi. L’arcivescovo ci ha poi detto: “alla fine di ogni Messa i fedeli si dicono addio”, proprio perché non sanno se si potranno nuovamente incontrare.

    D. - Una situazione molto difficile anche dal punto di vista sociale e soprattutto economico. Il vostro Paese sta attraversando un momento davvero difficile…

    R. - Il Paese attraversa un momento difficile. La lira siriana ha ridotto di oltre il sessanta percento il potere di acquisto dei cittadini, poi c’è l’embargo economico… Quindi la Chiesa si trova a rispondere alle necessità dei cittadini, e il confessionale diviene un po’ il luogo del sostegno psicologico, oltre che del servizio pastorale. Le difficoltà economiche hanno colpito soprattutto la gente comune; c’è un forte aumento della disoccupazione, in più ci troviamo di fronte ad una grande penuria di gas, mancano l’elettricità, il carburante… E il tutto è reso molto più complicato dalla rigidità dell’inverno.

    D. - In linea generale, possiamo dire che si sta lentamente scivolando verso una guerra civile, con la comunità internazionale che però continua ad essere divisa sulla crisi siriana..

    R. – Come sappiamo, la comunità internazionale è divisa perché la Russia ha dei legami con il regime di Assad, sia di carattere commerciale - sappiamo di un commercio di armi -, sia perché il Porto di Tartus è uno degli sbocchi della Russia, e questa vuole continuare ad utilizzarlo.

    D. - La Siria è un Paese diviso, diviso internamente. La Chiesa aveva un ruolo di mediazione tra le due fazioni islamiche, quella sciita e quella sunnita. Potrà nel futuro, secondo Lei, continuare a ricoprire questo ruolo?

    R. - La Chiesa continua, nonostante le difficoltà, ad invitare al dialogo, a cercare di mediare. Però il problema della Chiesa ora è l’importanza della sua presenza. La Chiesa si chiede se ci potrà ancora essere un futuro, e su questo ancora non ci possiamo esprimere. Ovviamente, come è giusto che sia, la Chiesa non si schiera. Quello che spera è che finalmente il Paese possa raggiungere una democratizzazione, e soprattutto, che sia garantita la sicurezza per i cristiani. (bi)

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    Esenzione Ici. Cardia: una norma che riguarda tutti e non solo la Chiesa. Tutelare il no-profit

    ◊   Il premier italiano Mario Monti ha comunicato, ieri, al vicepresidente della Commissione europea, Joaquin Almunia, l’intenzione di presentare al Parlamento un emendamento sulle esenzioni Ici per gli immobili. In un comunicato, pubblicato sul sito web di Palazzo Chigi, si informa che verranno esentati solo gli immobili nei quali si svolge in “modo esclusivo” un’attività non commerciale. Dal canto suo, il portavoce della Cei, don Domenico Pompili, ha affermato in una nota che ogni intervento di chiarimento è “accolto con la massima attenzione e senso di responsabilità”. Al contempo, don Pompili auspica che sia riconosciuto “il valore sociale del mondo no-profit”. Sui cambiamenti annunciati da Monti, Alessandro Gisotti ha intervistato il giurista Carlo Cardia, docente di diritto ecclesiastico all'Università Roma Tre:

    R. – Mentre prima si parlava del fatto che l’esenzione dell’Ici riguardasse le attività di religione, di culto, assistenziali, caritative, sociali, no-profit – perché la norma, ricordiamo, non riguarda la Chiesa ma tutte le Chiese e tutte le associazioni, anche laiche, che svolgono attività sociali - e tutti quegli immobili che non erano esclusivamente commerciali, ora invece vengono aggiunte due cose. L’esenzione riguarda gli immobili che sono esclusivamente ad uso commerciale e, seconda cosa, laddove vi siano attività miste l’esenzione riguarda solo quella parte dell’immobile dove si svolgono attività non commerciali. Da un lato, da un punto di vista concettuale, vi è una demarcazione più precisa, ma dall’altro non è sempre facile stabilire con il metro quadrato dove finisce l’attività commerciale. Ricordiamo, tra l’altro, che si tratta di attività commerciali estremamente modeste. Io, come tecnico, manifesto la perplessità che si possa riaprire un contenzioso nei casi specifici.

    D. – I giornali titolano: “Svolta sull’esenzione dell’Ici alla Chiesa”. Nel comunicato ufficiale di palazzo Chigi, però, la Chiesa non è neppure nominata…

    R. – Questa è una tematica che riguarda tutti. Di svolta non se ne parla per niente, perché si tratta di un chiarimento all’interno di una lettura che, purtroppo, riguarda norme che presentano, dal punto di vista tecnico, delle ambiguità. E’ la vita reale che presenta delle ambiguità, ma sicuramente non c’è la svolta nei confronti della Chiesa. C’è, piuttosto, una reinterpretazione che riguarda tutti.

    D. – Del resto, la Chiesa già paga l’Ici su molti beni immobili. Anche questo è un altro mito da sfatare: si pensa, appunto, che da domani la Chiesa pagherà l’Ici che prima non aveva mai pagato su nulla…

    R. – Vorrei dire un paio di cose proprio su quest’aspetto. In primis, chi ha seguito la polemica ha visto che sono stati chiamati, per nome e cognome, degli importanti immobili appartenenti ad enti ecclesiastici ed è poi risultato che questi pagavano normalmente l’Ici. La seconda cosa è che le attività devono essere libere quando svolgono una funzione sociale: non si devono sentire quasi colpevolizzate, come se quest’esenzione fosse una loro colpa. Questo è il punto essenziale, che riguarda tutti.

    D. – Non c’è il rischio che queste nuove tassazioni, di fatto, incidano sul mondo del no-profit, ancora più fondamentale in questo periodo di crisi economica?

    R. – Il rischio c’è, ed è il rischio di un contenzioso. Già il contenzioso pone l’ente no-profit in una condizione di singolarità, perché non sa cosa deve pagare, non sa com’è il suo bilancio e così via. Teniamo conto che si tratta di enti abbastanza deboli: non sono delle holding o delle società, ma sono tutti fondati sul volontariato. La preoccupazione che tutto ciò possa aprire una fase di disagio esiste. Al momento, però, quello che abbiamo è un comunicato da parte della Presidenza del Consiglio: la norma ancora non c’è. Spero, quindi, che si tenga conto di tutto questo nella riscrittura della norma, proprio per evitare che si apra un’altra “zona grigia” o di ambiguità, che va poi a svantaggio di chi svolge queste attività sociali. (vv)

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    Moody's declassa 114 banche europee, ma i fondi Usa ritornano in Europa

    ◊   L’economia europea è praticamente ferma, la locomotiva tedesca non traina più, l’Italia è in forte recessione. Solo il Pil francese sui dati del quarto trimestre 2011 segna un rialzo. In questo contesto si è abbattuta sugli istituti di credito europei la scure dell’agenzia di rating Moody’s che ha declassato 114 banche, delle quali 24 italiane. A Carlo Altomonte, docente di politica economica europea presso l’Università Bocconi, Stefano Leszczynski ha chiesto quali saranno gli effetti concreti di questo declassamento

    R. – Le conseguenze sono che le obbligazioni con cui questi istituti si finanziano sul mercato a lungo termine diventano leggermente più rischiose, ma si tratta semplicemente, per alcuni istituti o anche per alcune regioni italiane, di uno step da A3 ad A2. Il costo del finanziamento e della raccolta di denaro per questi istituti, quindi, sale leggermente. Le ragioni per cui Moody’s l’ha fatto sono abbastanza note e naturali: il rating di ogni istituto di credito è molto vicino al rating del Paese in cui questo istituto ha la sede legale o, comunque, una maggiore base di operazioni. Avendo perciò declassato il rating italiano la scorsa settimana, com’era nelle previsioni – peraltro, ritengo che il declassamento sia anche minore rispetto a quello che si potesse pensare, perché il declassamento è stato di un gradino piuttosto che di due -, ha anche adeguato il rating degli istituti di credito operanti in Italia e negli altri Paesi declassati.

    D. – Quello che viene da chiedersi è il ruolo di queste agenzie di rating. E’ effettivamente così importante lanciare questo tipo di allarme sui mercati o sono manovre che hanno un significato diverso da quello che normalmente si potrebbe interpretare?

    R. – E’ fondamentale avere dei rating, perché la complessità dei prodotti e dei titoli finanziari che ci sono oggi, la loro numerosità e la rapidità con cui gli operatori devono prendere delle decisioni, richiedono la presenza di agenzie in grado di dare un’opinione su quanto è il rischio di un determinato titolo. In questo modo si facilita molto il lavoro degli operatori e, evidentemente, questo garantisce maggiori condizioni di liquidità. Per cui, se non ci fossero, avremmo dovuto inventarle. Quello che ogni tanto lascia un po’ sospettosi, è la tempistica con cui questi rating vengono dati: spesso e volentieri, sono dei rating che, più che guardare avanti, guardano indietro oppure avvengono alla vigilia o subito dopo una serie di decisioni politiche. Non c’è una correlazione di natura deterministica tra questi eventi: a volte il mercato anticipa quello che poi le agenzie di rating certificano e a volte le agenzie di rating si portano avanti, con le loro analisi, rispetto a dei comportamenti di mercato e questo, quindi, crea poi degli scompensi. E’ fondamentale comprendere una cosa: non si tratta di oracoli. Sono un’opinione, tra le tante, che ci dobbiamo e ci possiamo formare nel momento in cui valutiamo la bontà dei prodotti finanziari.

    D. – Ieri sono usciti anche dei dati che indicano una nuova recessione dell’Italia. Un ‘downgrade’, da parte di un’agenzia di rating come Moody’s, sull’Europa, rende le cose più difficili per la ripresa economica?

    R. – Sicuramente aumenta il costo del finanziamento, e quindi non agevola la circolazione di credito e, di conseguenza, non favorisce una ripresa veloce. Tuttavia, sappiamo anche che la Banca Centrale Europea, a fine febbraio, interverrà con ulteriori iniezioni di liquidità che dovrebbero, da questo punto di vista, dare una mano. Per fortuna la Banca Centrale Europea è immune dal rating, entro una certa misura, nel momento in cui deve accettare il collaterale per le garanzie che dà quando eroga liquidità, e questo è sicuramente un bene.

    D. – Semplificando all’eccesso, possiamo dire che non c’è uno “sgambetto” da parte del mercato americano nei confronti di quello europeo con un declassamento del genere?

    R. – No, in questa fase non mi pare. Magari potevamo ipotizzare degli scenari un po’ più ‘complottisti’ lo scorso novembre, ma in questa fase, in realtà, i fondi americani stanno lentamente tornando in Europa, perché hanno visto che forse, l’Europa, ha imboccato una strada lenta ma giusta per uscire dalla crisi. Certo, gestire bene la questione greca sarà importante. (vv)

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    Grecia: via libera del governo a 325 milioni di tagli in vista degli aiuti europei

    ◊   In Grecia, il governo ha raggiunto un accordo per 325 milioni di euro di tagli alla spesa per consentire lo sblocco degli aiuti internazionali necessari per evitare il fallimento. Intanto, l’eurogruppo ha rinviato alla riunione di lunedì prossimo la decisione sul dossier di Atene. Ce ne parla Eugenio Bonanata:

    Si fa strada l’ipotesi di rinviare il tutto a dopo le elezioni greche che potrebbero tenersi ad aprile. Subito l’Europa potrebbe inviare un "prestito ponte" per consentire alla Grecia di onorare gli impegni a breve scadenza. Lunedì prossimo l’eurogruppo scioglierà la riserva, mentre ad Atene alcuni esponenti di governo si oppongono alle elezioni anticipate chiedendo al premier Papademos di restare in carica fino al 2013. Intanto, la Grecia prosegue anche con gli sforzi per convincere i creditori internazionali che il Paese è in grado di mettere in atto le misure "lacrime e sangue" varate nei giorni scorsi dal parlamento. Va in questa direzione l’accordo del governo per 325 milioni di euro di tagli alle spese e quella del presidente Papoulias di rinunciare al proprio stipendio che ammonta a circa 300 mila euro l’anno. In queste ore, però, la stampa internazionale sostiene che il piano di sostegno europeo da 130 milioni non sarà sufficiente a spingere il debito greco sotto il 120 per cento entro il 2020.

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    Nagorno-Karabakh: dopo 18 anni trattative ancora bloccate. L'esperto: "L'intera regione resta instabile"

    ◊   Anche in assenza di guerre combattute, la regione del Caucaso resta un’area di tensioni. In particolare restano difficili le relazioni tra Armenia ed Azerbaijan, da due decenni in conflitto per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh, che si trova in territorio azero ma è abitata principalmente da armeni. Sull’importanza di questo contrasto, Davide Maggiore ha sentito il parere di Lawrence Sheets, analista e responsabile del progetto Caucaso dell’International Crisis Group:

    R. - Quello che bisogna capire è che non stiamo parlando solo di un conflitto che potrebbe eventualmente sorgere tra Azerbaijan e Armenia, ma di uno scontro che potrebbe diventare rapidamente regionale, trascinando potenze come la Turchia, la Russia e l’Iran, in un’area strategicamente importante per il mondo, dove, per le forti rivalità e le importanti riserve energetiche, le implicazioni potrebbero essere gravi per l’Europa e per l’intera regione.

    D. - Come influisce il conflitto tra Armenia e Azerbaijan sugli scenari regionali del Caucaso?

    R. - Credo che fin quando ci sarà questa situazione, con due Paesi che hanno accumulato grandi quantità di armi e una linea del fronte di 180 chilometri tra le due parti, scontri sporadici che provocano dozzine di morti all’anno, una retorica ostile, la regione non può che mantenersi in una situazione instabile. Se ci fosse un nuovo conflitto vero e proprio in Nagorno-Karabakh o tra Azerbaijan e Armenia, non è chiaro fino a che punto la Russia sarebbe coinvolta…

    D. - Si tratta di un conflitto ben lontano dall'essere risolto…

    R. - Sfortunatamente il conflitto è in un serio stallo per quanto riguarda i negoziati. Ci sono stati 18 anni di negoziati che disgraziatamente non hanno dato risultati, finora. Semmai c’è stata una radicalizzazione delle posizioni, rispetto a 2 o 3 anni fa, quando c’era una vera speranza di poter giungere almeno ad un accordo di base. I due Paesi si sono trovati d’accordo più volte su quale dovessero essere le linee fondamentali di soluzione del conflitto. L’Armenia e le sue forze armate avrebbero dovuto rinunciare al controllo dei territori occupati intorno al Nagorno-Karabakh, le frontiere tra i due Paesi avrebbero dovuto essere riaperte, le relazioni diplomatiche ripristinate, e una forza di pace avrebbe dovuto essere inviata nella regione. I rifugiati e gli sfollati sarebbero dovuti tornare alle loro vecchie case. In più, in futuro ci sarebbe dovuto essere un voto sullo status del Nagorno-Karabakh stesso, e questo è uno dei più forti argomenti di discussione. Quando tenerlo, però, è una questione scottante, perché i sentimenti pesano ancora molto… Da parte armena si vorrebbe fissare una data per lo svolgimento del referendum, e mettere sul tavolo la questione dell’indipendenza o dell’unione con l’Armenia del Nagorno-Karabakh, che è principalmente – non del tutto - abitato da armeni… L’Azerbaijan vorrebbe una soluzione per far sì che questa data sia posticipata fino a un momento non meglio specificato in cui i sentimenti non abbiano il peso attuale e non sia così difficile far accettare alla società azera che si tenga il referendum. Il quadro di base, i punti principali su cui i due Stati dovrebbero accordarsi sembrano essere patrimonio comune, ma quando si inizia a discutere su cose più piccole, ma che sono potenzialmente pericolose o esplosive sul piano politico, per i governi al potere nei due Paesi, tutto diventa più difficile.

    D. - Che ruolo gioca la Russia in questo conflitto, e nell’intera area?

    R. - La Russia è uno dei tre Paesi che presiedono al processo di pace. E tuttavia, è una situazione unica nel suo genere: perché l’Armenia è ufficialmente e chiaramente un alleato militare e strategico della Russia, mentre l’Azerbajian è un Paese non-allineato, dichiaratamente neutrale, con relazioni difficili verso l’Iran, che va indicato tra gli attori regionali, anche per quanto riguarda il conflitto azero-armeno. La Georgia invece è un Paese il cui governo vorrebbe entrare nell’Unione europea e nella Nato, ma è in conflitto con la Russia: niente relazioni diplomatiche dal 2008… Si capisce quindi che si tratta di una polveriera, sfortunatamente.

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    Spese militari in Italia. Rete per il Disarmo: taglio al personale ma investimenti ingenti in armi

    ◊   L'Italia è in recessione tecnica e sono già state introdotte diverse misure anticrisi. Ma ci sono settori in cui la spesa non diminuisce. E’ il caso del comparto militare, per il quale lo Stato spende complessivamente oltre 21 miliardi di euro all’anno. Il ministro della Difesa, l'Ammiraglio Giampaolo Di Paola, ha in realtà annunciato tagli del 20 per cento al personale nell’arco di un decennio. Ma si tratta di una “finta riforma” che non comporterà “alcun risparmio”, sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco il coordinatore della “Rete Italiana per il Disarmo” Francesco Vignarca:

    R. – Effettivamente in Italia abbiamo una forte spesa per il personale, però non basta solo spostare questa spesa e ridurla, cancellando quindi dei posti di lavoro e dismettendo il personale militare se poi, contemporaneamente, si vanno ad acquistare più armi. Questo, oltretutto, ci renderebbe ancora più schiavi di programmi a lunga gittata come anni e, soprattutto, inutili e di impatto più forte.

    D. – A proposito di armamenti l’Italia, nei prossimi anni, acquisterà 90 caccia bombardieri F35 e non 130, come inizialmente previsto. La spesa è di circa oltre 15 miliardi di euro. Questa spesa secondo voi è giustificata?

    R. – Secondo noi no. Continueremo nella nostra campagna, “Taglia le ali alle armi”, affinché questi bombardieri arrivino a zero. Quello che il ministro Di Paola non dice, in questi giorni in cui conferma gli F35, è che la stessa ‘Lockheed Martin’ – l’azienda produttrice – ha affermato che il taglio delle prenotazioni americane e degli alleati comporterà una crescita del costo unitario per singolo aereo. Quindi noi andremo magari a comprarne di meno ma spendendo poco di meno. Insomma, assolutamente un cattivo affare.

    D. – Ogni caccia costa 120 milioni di euro: voi fate notare che con questa cifra si potrebbero costruire 185 asili nido per esempio ...

    R. – ... tra l’altro, tutti i fondi nazionali delle politiche sociali, che sono quelli che servono a garantire i livelli essenziali di assistenza sul territorio, sono diminuiti. Sono diminuiti del 16 per cento negli ultimi anni, mentre la spesa della Difesa neanche dell’uno per cento. Crediamo che un Paese che investe in aerei che, bene che andrà, non dovranno essere usati, stia in realtà ‘uccidendo’ delle persone non garantendo assistenza. Questo non è il modo di costruire il futuro e non è il modo di difendere la vita degli italiani.

    D. – Un'altra considerazione: le spese e gli investimenti in armamenti non hanno effetti particolarmente virtuosi per la creazione di posti di lavoro …

    R. – Quest’aspetto ci dovrebbe far riflettere. Facciamo un esempio di ‘casa nostra’, la Finmeccanica. La Finmeccanica, quest’anno, sta decidendo di tagliare quattro mila posti di lavoro. Si tratta di una società che negli ultimi tre anni ha fatto complessivamente quasi due miliardi di euro di utile e non riesce, solo per un anno di congiuntura sfavorevole delle spese militari, a garantire livelli occupazionali. Questo dimostra quanto diciamo da sempre: investire i soldi nell’industria militare e nell’acquisto di armamenti non solo è eticamente sbagliato per chi è disarmista e non violento come noi, ma è anche poco conveniente, perché questa non è l’industria più efficiente per far funzionare l’economia. Se mettessimo gli stessi soldi nell’energia pulita, nella sanità o nell’assistenza, avremmo il 60 per cento di posti di lavoro in più. Posti che non muoiono con il chiudersi delle commesse, ma rimangono. Un ultimo dato: il commercio di armi è circa il 2,5 per cento del commercio mondiale complessivo, ma è responsabile del 50 per cento della corruzione mondiale. Noi non dobbiamo più investire in quel comparto economico ma in altri molto più utili. (vv)

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    Piano umanitario per il Sahel: la carestia colpisce 10 milioni di persone

    ◊   Salvare il Sahel dalla siccità attraverso l’impegno congiunto delle grandi istituzioni internazionali. Questo l’obiettivo del piano umanitario presentato ieri a Roma nelle sede del Programma Alimentare Mondiale, con la partecipazione, tra gli altri, della Fao, dell’Ifad e di Usaid. Linee guida del programma: agire insieme ed evitare gli errori del passato. Il servizio di Michele Raviart:

    Piogge tardive e irregolari, raccolti scarsi e bestiame ridotto in fin di vita. Segnali inequivocabili, che nel Sahel, ai margini del deserto nell’Africa occidentale, significano l’imminente arrivo della fame. Quella di quest’anno sarà la quarta carestia in dieci anni. L’ultima delle quali, nel 2011, è stata così vicina nel tempo da non consentire alle popolazioni locali di riorganizzarsi. Theodore Yanga, direttore del Pam per l’Africa occidentale:

    “At the moment in Sahel…
    Al momento la regione del Sahel è fortemente colpita dalla scarsità alimentare: le produzioni sono state colpite dalla siccità e in aggiunta a questo la situazione resta comunque difficile per l’insicurezza dovuta alla presenza di gruppi terroristici nella Regione. Un altro fattore molto importante è il prezzo elevato del cibo: i prezzi hanno un’oscillazione che va dal 30 al 50 per cento di aumento. Inoltre a causa della crisi libica e della situazione in Costa d’Avorio molte famiglie hanno perso le rimesse che provenivano da quei Paesi”.

    Un’emergenza che coinvolge oltre dieci milioni di persone, dalla Mauritania al Ciad, per le quali le grandi agenzie d’aiuto delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea e degli Stati Uniti si sono mosse d’anticipo, cercando di evitare gli errori compiuti in altre crisi, come nel Corno d’Africa. Josè Graziano da Silva, direttore generale della Fao:

    “What is new now is that we are together …
    Quello che adesso c’è di nuovo è che siamo uniti. Ma abbiamo poco tempo per agire: il lavoro è iniziato, ma alla fame non si può sfuggire. Abbiamo bisogno di tempo per fare questo, ma abbiamo soltanto due mesi, forse tre… ma non più di questo! Questa è una regione molto conflittuale e la sua sicurezza alimentare può rappresentare un fattore importante per risolvere i conflitti che sono ancora aperti in questa regione”.

    Un piano congiunto con pochi precedenti nella storia dell’aiuto umanitario e che prevede un impegno di oltre 700 milioni di dollari per i Paesi donatori, con l’obiettivo non solo di garantire cibo, ma anche di fornire alle popolazioni il sostegno necessario a far ripartire le già povere economie della regione, devastate dalla desertificazione. Josette Sheerean, direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale:

    “The World Food Program…
    Il Pam cercherà di raggiungere almeno 8 milioni di persone nei prossimi mesi. Lo faremo con la consegna di cibo e di buoni spesa, che potranno essere scambiati per cibo extra nei mercati, sostenendo così i piccoli produttori contadini e i negozi, dove possibile. Ma la priorità più grande sarà quella di assicurare provviste alle donne incinte e ai bambini, che in questa carestia rischiano danni permanenti”.

    Anche il Papa, venerdì scorso, aveva esortato la comunità internazionale ad agire per il Sahel, un appello che non è rimasto inascoltato. Krisalina Georgieva, commissario europeo per gli aiuti umanitari:

    “It is an appeal at the right time…
    E’ un appello che giunge al momento giusto, perché abbiamo bisogno di agire immediatamente per aiutare i Paesi colpiti. E’ una chiamata morale fatta al resto del mondo per agire. Questo è il tempo della compassione per la gente del Sahel. E’ una compassione che sentiamo molto all’Unione Europea ed è la ragione per la quale abbiamo creato un programma di 725 milioni di dollari per rispondere per un intero anno alle necessità della popolazione sofferente nella regione”.

    Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger hanno già dichiarato lo Stato di emergenza per la siccità, che potrebbe arrivare già nelle prossime settimane. (mg)

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    Il "Fattore famiglia" è legge in Lombardia. La soddisfazione del Forum

    ◊   Un importante precedente per le politiche familiari in Italia. In Lombardia il “Fattore famiglia” è finalmente legge: dunque diventa determinante ai fini contributivi o per l’accesso ai servizi socio assistenziali non solo la situazione patrimoniale, ma anche il numero di minori a carico, di anziani o non autosufficienti presenti in un nucleo familiare. Positiva la reazione del Forum delle Famiglie ricevuto ieri dal ministro Riccardi. Ma cos’è il "Fattore famiglia"? Al microfono di Paolo Ondarza risponde Gianna Savaris, vicepresidente del Forum:

    R. – Il "Fattore famiglia" ha come due facce. La prima riguarda il fatto che ciascuno deve pagare le tasse in base alla sua capacità contributiva, quindi il riconoscimento dei carichi familiari. I figli sono un valore ed un investimento che la famiglia fa per il futuro di tutta la società. C’è poi la declinazione – e questo è il caso – dell’attuazione del "Fattore famiglia": teniamo cioè conto dei carichi familiari nella formulazione delle tariffe di accesso ai servizi sociali, dall’infanzia alla vecchiaia.

    D. – Attualmente, per l’accesso ai servizi sociali – ad esempio gli asili nido – si tiene conto dell’indicatore Isee...

    R. – Noi diciamo sempre che il "Fattore famiglia" dovrà prevedere una rivisitazione dell’Isee. L’iniziativa della regione Lombardia rappresenta un salto di qualità, in quanto parte come un’iniziativa di singoli comuni che hanno dimostrato che questo è possibile per arrivare ad un’iniziativa regionale.

    D. – Il vostro auspiicio, a questo punto, é che il cerchio possa allargarsi e che quindi il "Fattore Famiglia" possa essere applicato a livello nazionale?

    R. – Sì, che possa diventare una mentalità.

    D. – Ieri siete stati ricevuti dal ministro Riccardi che ha assicurato, nonostante la crisi, l’impegno del governo per le politiche famigliari...

    R. – Le nostre proposte, che hanno un forte valore sociale ed anche ideale, restano affermate ma devono essere declinate con realismo in questo momento di cirsi. Che cosa possiamo fare, quindi? Quella della regione Lombardia è già una risposta. Occorre riprendere un colloquio stabile, riconosciuto, operativo, con i nostri interlocutori politici su queste tematiche. (vv)

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    Nuova evangelizzazione, padre Rupnik: ripartire dalla misericordia

    ◊   A San Giovanni Rotondo è in corso la II Settimana internazionale della riconciliazione promossa dalla curia generale dei Frati Minori Cappuccini sul tema: “Il Sacramento della Riconciliazione e la Nuova Evangelizzazione – Tempo di riflessione e di formazione per i presbiteri”. Tra i relatori anche il teologo gesuita, Marko Ivan Rupnik, direttore del Centro Aletti, intervistato da padre Ivan Herceg, responsabile del nostro programma sloveno:

    R. - Riconciliazione è la nuova evangelizzazione. Non vedo nessuna possibilità per una rinascita spirituale dell’Europa, se non che l’Europa e gli europei rinascano in Cristo. Qualcuno ci deve rigenerare, e penso, che già la riconciliazione in se stessa ha un itinerario che porta al ritorno verso il Padre. E non è possibile che noi possiamo rivelare agli altri la bellezza, il fascino, la ricchezza, la profondità della nuova vita che abbiamo ricevuto nel Battesimo, se tutto questo è rimasto sepolto.

    D. - Oggi, i cristiani fanno molta fatica ad accostarsi a questo Sacramento: allora, la nuova evangelizzazione deve partire anche da loro?

    R. - Assolutamente. Penso che la nuova evangelizzazione dovrebbe anche riprendere le tappe che prevedono un vero incontro di riavvicinamento del cristiano con Cristo, e queste tappe potrebbero aiutare a riscoprire il vero significato. Bisogna mettere da parte tutte le vicende superficiali che sono accadute intorno alla Confessione. Bisogna scoprire che la Confessione è un bagno. La riconciliazione è un bagno nel sangue di Cristo: è una vera rinascita, un essere rigenerati e un incontro con lo sguardo della misericordia che ci accompagna in ogni momento della vita. C’è un solo sguardo che unisce tutti i dettagli e tutte le fotografie della nostra vita. E questo sguardo è il Buon Pastore, è il Signore, che con uno sguardo di infinita misericordia ha colto San Pietro quando Cristo l’ha guardato durante il processo, sul cortile, quando Pietro lo ha rinnegato. Questo sguardo, ha fatto divenire Pietro un uomo nuovo, e quando le persone capiranno questo, scopriranno di nuovo cos’è la riconciliazione.

    D. - Come sacerdoti, quali strade pastorali ritenete siano importanti per aiutare a riscoprire il valore della riconciliazione con Dio?

    R. - Penso che le vie della nuova evangelizzazione possono essere migliaia e migliaia. Ma certamente, bisogna che prima o poi, si ritorni ai padri e alle madri. Qualcuno deve guardarti senza interessi, con amore, con misericordia, senza fare calcoli. Se la persona non incontrerà questo sguardo libero, di amore, senza calcoli, senza interessi, senza condizioni, allora non so da che cosa le persone potranno essere toccate con amore. Solo un tale sguardo può toccarti con amore, e prima o poi darai il nome a questo amore: è Cristo. (bi)

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    "Un esempio di speranza". Così il sindaco di Savona sul bidello che ha dipinto la scuola prima di andare in pensione

    ◊   “Un riconoscimento per il suo grande senso civico”. Così il sindaco di Savona, Federico Berruti, che ha premiato Giovanni Garulla, operatore scolastico che prima di andare in pensione ha ridipinto, di sua iniziativa, la scuola elementare Mignone, dove ha lavorato per quasi vent’anni. Massimiliano Menichetti:

    E’ diventato in pochi giorni, da quando la sua storia ha fatto il giro di Internet, il bidello più famoso d’Italia. Si tratta di Giovanni Garulla, 61 anni, lunghi baffoni neri, in pensione da settembre, che prima di appendere il grembiule scuro che lo ha accompagnato per 18 anni, ha preso pennello e vernice per ridare alla sua scuola una nuova veste. Un incarico fuori mansione, nato in un pomeriggio di primavera, quando Giancarlo - come lo chiamano tutti - ha guardato le pareti scrostate, coperte da disegni, della scuola elementare Mignone, nel quartiere di Legino, periferia savonese e così ha deciso la spedizione al colorificio più vicino. Non ha esitato a portarsi vestiti da lavoro e pennelli da casa. Il resto della spesa a carico del Comune. A dargli una mano le altre colleghe. Ecco quanto ci dice Giancarlo Garulla:

    “La scuola è grande, onestamente non mi ricordo quante stanze ci sono... Anche le altre bidelle che erano a Legino mi hanno aiutato. Ho visto che la scuola aveva bisogno di interventi, ho chiesto alla capo gruppo se potevo dare la tinta, il bianco e il resto…”

    Una vicenda, in tempi di crisi e amarezze, che mostra ancora una volta un volto bello dell’Italia: quello che non si scoraggia, che dona, dell’orgoglio e del servizio. “Non mi è mai piaciuto stare senza far niente”, ribadisce semplicemente l’operatore scolastico più famoso d’Italia, che ha regalato a tutti, insegnanti, alunni, genitori e colleghi, stanze colorate e sorrisi:

    R. - Mi vorrebbero ancora lì, nonostante ora sia in pensione.

    D. - Le manca un po’ la scuola che ha ridipinto?

    R. - Sì, ogni tanto mi manca.

    D. – Adesso la sua scuola di cosa ha bisogno?

    R. - Per ora non ha bisogno di niente, perchè è a posto. Certo, sono rimaste ancora delle parti minori da dipingere, ma ho detto che se hanno bisogno, la prossima estate torno a finirle.

    Giancarlo, prima di lavorare a scuola, è stato un operaio saldatore, ha tre figli e una moglie casalinga che si dice orgogliosa ed emozionata per quanto sta succedendo. Tutti hanno stretto la mano al sindaco di Savona, Federico Berruti, che venuto a conoscenza della storia ha invitato la famiglia in municipio, per consegnare personalmente a Giancarlo un premio: un quadro.

    R. - Mi ha sorpreso l’eco di questo nostro gesto, che voleva essere assolutamente un gesto semplice. Questa eco, comunque, fa in qualche modo riflettere: significa che, in questo momento, abbiamo bisogno di ritemprarci con questi esempi di cittadini che amano il proprio lavoro e la propria città. Cittadini che hanno la capacità, l’energia e la voglia di fare qualcosa che va oltre il loro dovere, un qualcosa che quindi possiamo chiamare “passione civile”. E’ un merito che va assolutamente riconosciuto.

    D. – E’ un po’ un simbolo, questo caso, secondo lei?

    R. – Certamente lo é. E’ chiaro che non potremmo premiare tutti questi gesti. Il fatto di premiarne qualcuno vuole rendere evidenti dei simboli positivi, perché poi questi gesti sono molto diffusi. Credo che conoscerli e renderli visibili intanto ci spinge ad emularli, e poi ci può dare anche fiducia o, volendo usare un termine più importante, anche speranza.

    D. – Possiamo dire, quindi, che ad essere simbolicamente premiate sono tutte le persone che vanno oltre quello che gli è meramente richiesto?

    R. – Il senso è sicuramente questo. Non c’è dubbio che è rappresentativo di tanti altri: noi ci troviamo a Savona, ma questo è un paese che è noto a noi ed è noto nel mondo proprio per questa generosità che non è un luogo comune ... è vera. Credo perciò che questo sia un elemento essenziale, dal quale ripartire per questa ricostruzione in cui tutti siamo impegnati.(vv)

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Terra Santa: padre Pizzaballa chiede un gesto concreto di carità per i cristiani siriani

    ◊   “Un gesto concreto per sostenere i numerosi cristiani siriani e le opere di carità della Custodia di Terra Santa”: a chiederlo è il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa che all'agenzia Sir parla di un “Paese in grave difficoltà economica e sociale segnato da violenze che gettano lunghe ombre sul suo futuro e sulla reale possibilità di trovare una soluzione alla crisi interna in atto”. In questo contesto di grande tensione, in cui “il conflitto sembra assumere le caratteristiche di guerra civile - spiega il Custode - i francescani, insieme a pochi altri esponenti della chiesa latina, sono impegnati a sostenere i bisogni della popolazione cristiana locale. La Custodia, infatti - riferisce l'agenzia Sir - è presente in diverse zone del Paese: Damasco, Aleppo, Lattakiah, Oronte”. L’appello alla solidarietà per la Siria di padre Pizzaballa, lanciato attraverso “Ats pro Terra Sancta” l’onlus della Custodia, giunge, “in un momento di totale confusione e smarrimento, molte aziende, soprattutto d’import-export, hanno chiuso i battenti. Delle migliaia di turisti, che alimentavano una moderna e florida industria, con un indotto di centinaia di posti lavoro nel settore dei trasporti, alberghiero, servizi, non rimane alcuna traccia. I produttori agricoli sono in grave difficoltà. L’embargo internazionale impedisce ogni possibilità di esportazione e i prezzi sono crollati. Le fasce più deboli sono colpite in modo ineludibile e subiscono la mancanza di approvvigionamento energetico e di acqua. Nelle grandi città la corrente elettrica manca per diverse ore ogni giorno, se non del tutto; il gasolio è razionato. Tutto ciò crea enormi disagi alla popolazione, costretta ad affrontare le temperature invernali senza possibilità di riscaldarsi”. I dispensari medici dei conventi francescani, secondo la tradizione della Custodia, diventano “luogo di rifugio e accoglienza per tutti, senza alcuna differenza fra etnie di alawiti, sunniti, cristiani o ribelli e governativi. Stare con la gente, accogliere e assistere chi si trova nel bisogno, garantire il servizio religioso ai fedeli perché comprendano l’importanza di restare nel proprio Paese” rimane, per padre Pizzaballa, “il senso della missione francescana” sull’esempio di san Francesco. “Noi frati, ricchi di questo straordinario esempio ereditato senza alcun merito, abbiamo il compito di emulare e diffondere l’insegnamento del nostro maestro alle future generazioni, perché possano proseguire la strada da lui tracciata con immenso amore e umile dedizione”. (R.P.)

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    Messico: l’arcidiocesi prepara i laici ad un “voto di coscienza” per le presidenziali

    ◊   A meno di 50 giorni dall’avvio della campagna elettorale per le elezioni presidenziali, l'arcidiocesi di Mexico ha invitato i cattolici e le persone di buona volontà ad esercitare il diritto di voto in conformità con i dettami della propria coscienza. In una dichiarazione firmata dall'arcivescovo di Mexico, il cardinale Norberto Rivera Carrera, e dai suoi vescovi ausiliari, l'arcidiocesi invita i fedeli a partecipare alla costruzione del bene comune nella società. “Ci riferiamo alla responsabilità dei fedeli laici di partecipare alla costruzione della vita democratica del Paese con il voto nelle elezioni di luglio 2012” è scritto nel testo. Il comunicato, ripreso dall’agenzia Fides, spiega: “il voto dovrebbe assumere una responsabilità morale, cioè, deve essere coerente con i dettami della coscienza e della fede, che non possono essere separati dalle scelte politiche, dal momento che la politica può contraddire la giustizia e la verità”. Citando il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, il cardinale Rivera Carrera e i vescovi chiedono ai pastori di guidare i fedeli a discernere quelle proposte politiche che, per le loro implicazioni religiose, morali e sociali, contraddicono gli insegnamenti della Chiesa cattolica. Il testo specifica che il voto espresso in coscienza dovrebbe tenere in considerazione almeno nove elementi, secondo i valori di un umanesimo autentico che mette la persona e la dignità umana al centro del servizio dell'attività politica, al di sopra degli interessi di partito o delle loro ideologie. Un altro aspetto da considerare è l'educazione, intesa non solo come trasmissione del sapere, ma come una formazione integrale che promuove i diversi valori della convivenza umana. Da considerare anche la promozione della famiglia, tenendo presente che il matrimonio è costituito tra un uomo e una donna, come la base della società umana e cristiana. Allo stesso modo bisogna ricordare la lotta contro le ingiustizie sociali, drammaticamente presente nelle abissali disuguaglianze sociali e nella povertà in cui vive oltre metà della popolazione. Ciò significa creare posti di lavoro adeguatamente retribuiti, programmi sociali liberi dal paternalismo e dal clientelismo, promuovere una cultura del lavoro, della solidarietà, dell'impegno per la comunità e del risparmio. E' inoltre necessario ricordare la lotta contro la corruzione, che deve iniziare con la fedina penale pulita dei candidati, che è un impegno concreto dei partiti per combattere e ripudiare la disonestà. In questo senso, l'arcidiocesi ha ribadito che la corruzione è oggi il cancro che distrugge il paese e corrompe le giovani generazioni, che vedono questo male come un qualcosa di naturale o necessario. Nell’esprimere il voto è necessario anche tenere presente: la necessità di promuovere iniziative di sviluppo economico del Paese, attraverso una serie di riforme costituzionali rimandate più volte dagli interessi dei partiti; analizzare la lotta contro la criminalità organizzata. Per quanto riguarda i valori del Vangelo, i cattolici “devono essere consci dell'impegno dei candidati e dei loro partiti a rispettare i diritti, prima di tutto, il diritto alla vita, dal momento del concepimento fino alla fine naturale" sottolinea il documento. (R.P.)

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    Gravi danni in Messico per la siccità che ha colpito l’agricoltura

    ◊   La più grave siccità degli ultimi 70 anni in Messico continua a colpire 22 dei 32 Stati del Paese dove si preannuncia un calo del 40% della produzione agricola: un’emergenza che comporterà nei prossimi mesi una sensibile carenza di generi alimentari. L’allarme viene dalla Confederazione nazionale contadina (Cnc) che – secondo quanto riporta l’agenzia Misna - ha giudicato insufficienti gli aiuti promessi dal governo di Felipe Calderón per mitigare le conseguenze della mancanza di piogge, che si protrae ormai da nove mesi. Continuando ad assistere attraverso camion cisterna 420 mila famiglie, pari a due milioni e mezzo di persone che lamentano anche la carenza di acqua potabile, l’esecutivo ha annunciato a gennaio un programma di aiuti immediati alle popolazioni rurali con uno stanziamento di 34 miliardi di pesos (pari a circa 3 miliardi di euro). Provvedimenti, secondo il capo della Cnc, Gerardo Sánchez, che non bastano: la comunità indigena Tarahumara, nello Stato settentrionale di Chihuahua, “ha raccolto appena il 42% del mais previsto e il 41% dei fagioli” alimenti della dieta quotidiana dei messicani il cui prezzo ora rischia importanti aumenti speculativi. “Dei 4,2 milioni di messicani che hanno sofferto insicurezza alimentare tra il 2008 e il 2010, il 75% vive nelle campagne, ma i ‘campesinos’ continuano ad essere abbandonati alla loro sorte” ha sottolineato Sánchez. Le previsioni meteorologiche indicano che la siccità potrebbe durare almeno fino a metà anno, comportando un nuovo esodo di massa dai campi alle città in cerca di lavoro. Gli Stati più colpiti restano Chihuahua, Coahuila, Durango, San Luis Potosí e Zacatecas, nel nord del Paese. Critica la situazione a Durango, dove, secondo il governatore, Jorge Herrera Caldera, “non piove da 18 mesi e i raccolti saranno equivalenti a nulla”. La siccità ha ucciso anche 60 mila capi di bestiame in tutto il Paese. (E.B.)

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    Madagascar: il ciclone Giovanna crea gravi danni alle coltivazioni

    ◊   Nonostante le precarie connessioni internet, il vescovo di Ambanja, mons. Rosario Vella, è riuscito a mettersi in contatto con l’agenzia Fides comunicando alcune informazioni sul ciclone Giovanna che il 13 febbraio è entrato dalla zona est del Madagascar . “La prima città che ha incontrato è stata Vatomandry, poi Brickaville e Moramanga” riferisce il vescovo. “In queste tre città ci sono stati i danni principali. Il vento è stato molto forte e una pioggia intensa si è abbattuta su tutta la regione. Le notizie per ora non sono molte: i telefoni sono bloccati e le comunicazioni sono molto difficili. Ho cercato di mettermi in contatto con mons. Gaetano Di Pierro, vescovo di Moramanga, ma ancora non ci sono riuscito. Le notizie ufficiali parlano di tre morti e di un numero non ben determinato di senza tetto. Il danno principale invece è certamente quello alle coltivazioni. Le risaie sono inondate e non è sicuro che il riso darà il suo raccolto. Anche altre colture, come mais, manioca, fagioli, legumi, sono state fortemente danneggiate. Il pericolo della carestia in queste zone è sempre in agguato. Il ciclone ha poi proseguito la sua traiettoria: Tananarive, Antsirabe, Morondava. La città di Tanà non ha avuto elettricità per quasi tutta la giornata. Molti alberi sono caduti in mezzo alle strade bloccando la circolazione. Così pure i pali dell'elettricità, cadendo, hanno bloccato il traffico. La zona di Ambanja non è stata per nulla toccata: abbiamo avuto un pò di pioggia ma niente di speciale”, conclude mons. Vella. (R.P.)

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    Senegal: 850 osservatori della Chiesa cattolica per le prossime presidenziali

    ◊   La Chiesa cattolica del Senegal metterà a disposizione, su tutto il territorio nazionale, 850 osservatori che seguiranno le elezioni presidenziali di domenica 26 febbraio. In questo modo, ha spiegato padre Alphonse Seck, vicario generale dell’arcidiocesi di Dakar e segretario generale della Commissione Giustizia e Pace (Cjp) dei vescovi senegalesi, “la Chiesa vuole contribuire ad un voto corretto e a risultati senza contestazioni”. Ricordando che la Chiesa “interpella gli uomini politici affinché ciascuno, al proprio livello, si assuma le proprie responsabilità, in modo che nel Paese regni la pace”, padre Seck ha aggiunto: “La supervisione di elezioni regolari e trasparenti, i cui risultati siano rispettati da tutti, allontana lo spettro della violenza”. In questo senso, la Commissione Giustizia e Pace ha intrapreso una campagna di sensibilizzazione affinché lo scrutinio dei voti si svolga in modo calmo e trasparente. Nel gennaio scorso, la Cjp ha pubblicato un documento intitolato “Campagna per l’elezione presidenziale del febbraio 2012”, che aiuta i lettori a comprendere i meccanismi della votazioni e richiama l’importanza di evitare la corruzione. Ma la campagna di sensibilizzazione include anche altre forme di comunicazione: dibattiti, incontri teatrali, piccoli concerti di quartiere e un’ampia informazione su social network come Facebook. Intanto, il clima politico nel Paese si fa sempre più teso: sono tredici i candidati in lizza per la poltrona del capo di Stato; tra loro, anche il presidente uscente Abdoulaye Wade, che si candida per il terzo mandato. Oggi, il governo di Dakar ha vietato all’opposizione di tenere una manifestazione di protesta proprio contro Wade, al quale si contesta la regolarità della candidatura. Il presidente uscente sostiene invece di avere i titoli necessari a scendere in campo, in quanto si tratterebbe della sua prima candidatura dall’entrata in vigore della nuova Carta fondamentale. Una tesi che è stata accolta dal tribunale incaricato di valutare le candidature avanzate. (I.P.)

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    Sud Sudan: bambini abbandonati a causa degli scontri tra etnie

    ◊   In Sud Sudan aumenta il numero di bambini abbandonati a causa dei recenti scontri scoppiati tra le comunità etniche dei Lou Nuer e dei Murle a Likuangole, nella regione di Jonglei. L’agenzia Fides ricorda che fino ad ora si contrano oltre 2 mila morti, 250 mila sfollati mentre 170 mila persone hanno visto bruciare le loro case. Si tratta prevalentemente di donne e bambini. Ovunque – si legge in una dichiarazione del direttore del piano di emergenza internazionale attuato sul terreno – si vedono bambini che piangono soli per le strade: ogni giorno si possono notare madri in difficoltà e piccoli orfani abbandonati o separati dalle rispettive famiglie. Quando si realizza uno spostamento di massa di popolazione capita spesso che i bambini perdano il contatto con i genitori. Inoltre manca acqua e cibo, ci sono 40° all’ombra e le abitazioni sono completamente bruciate. A Likuangole, uno dei villaggi più colpiti, non c’è acqua potabile e l’elettricità è limitata a tre ore al giorno. Dallo scorso mese di dicembre gli abusi tra le etnie si sono radicalizzati con furti di bestiame e incendi dei campi e delle case lasciando la popolazione totalmente indifesa. (E.B.)

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    India: arrestato un cristiano attivista dei tribali che ora rischia l’ergastolo

    ◊   In India un cristiano – noto attivista per i diritti dei tribali - rischia l’ergastolo per detenzione di esplosivo. Protagonista della vicenda - riferisce l’agenzia AsiaNews – è Junesh Pradhan, detenuto nel carcere di Baliguda, in Orissa, dopo l’arresto avvenuto lo scorso 9 febbraio. Per il presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), Sajan George si tratta di un arresto “illegale” e di “una scandalosa violazione dei diritti umani”. Intervistato dalle televisioni locali, J.N. Pankaj, sovrintendente della polizia, ha dichiarato che su Junesh pesano "solide prove". Il Gcic riferisce che le Forze dell’ordine hanno registrato il caso sotto varie sezioni del Codice penale. In particolare una delle accuse riguarda l’uso o l’intenzione dell’uso di qualunque sostanza esplosiva che potrebbe causare danni alla vita o alla proprietà: un reato punibile con l’ergastolo. Secondo Sajan George, intervistato da AsiaNews - Junes “ha solo alzato la voce contro l'arresto di tribali innocenti, una causa sostenuta anche dai maoisti. Chiediamo la sua scarcerazione immediata, di ritirare ogni accusa e di prendere provvedimenti contro gli agenti di polizia. Inoltre – conclude - esigiamo la protezione per tutti i membri della sua famiglia”.(E.B.)

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    Indonesia: i cattolici di Ambon in festa per l’ordinazione di 5 nuovi sacerdoti

    ◊   Nelle Molucche i cattolici di Ambon hanno festeggiato l'ordinazione di cinque nuovi sacerdoti e due diaconi. Il vescovo locale mons. Petrus Canisius Mandagi, dei Missionari del Sacro Cuore (Msc), ha presieduto la cerimonia, che si è svolta lo scorso 11 febbraio nella cattedrale, davanti alla comunità cristiana e a una folla di fedeli. Per la minoranza religiosa indonesiana – ricorda l’agenzia AsiaNews - le nuove vocazioni sono indice della vitalità della Chiesa locale e un momento di gioia in un'area più volte teatro, in passato, di violenze interconfessionali e scontri tra cristiani e musulmani. Due dei cinque nuovi sacerdoti appartengono alla congregazione dei Missionari del Sacro Cuore, gli altri tre sono invece preti diocesani. I due diaconi sono entrambi provenienti dall'isola di Flores, nella provincia di East Nusa Tenggara (Ntt), area a grande maggioranza cattolica. A breve uno dei missionari del Sacro Cuore partirà alla volta dell'Australia, come missionario al servizio della parrocchia di Kippax, a Canberra. Gli altri, invece, resteranno nella diocesi di Ambon, la cui area comprende le province di Central e North Maluku, per un totale di 43 parrocchie. Nell’area i cattolici sono almeno 130mila; in tema di vocazioni, sono 55 i sacerdoti diocesani e 35 i preti appartenenti ai Missionari del Sacro Cuore (Msc). A oggi il seminario minore accoglie 300 persone, mentre sono 111 gli studenti nel seminario maggiore. In passato nelle Molucche si sono registrate violenze di natura confessionale fra cristiani e musulmani che ha provocato almeno 9 mila vittime. La firma di un trattato di pace fra i due fronti nel febbraio 2002 - il Trattato di pace di Malino, siglato nelle Sulawesi del Sud - ha messo fine al conflitto sebbene nell’area permangano focolai di tensione. (E.B.)

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    Cina: lutto per la morte di padre Mattia Leopoldo Guo Ji Fen

    ◊   “La sua vita di autentica dedizione al servizio del Signore è un vero modello per tutti noi sacerdoti, religiosi/e e fedeli laici. Dobbiamo imitare la sua fedeltà a Cristo, il suo zelo per l’evangelizzazione e il grande senso di servizio ai fedeli”. Così mons. Paolo Meng Ningyou, coadiutore della diocesi di Taiyuan (consacrato con l’approvazione della Santa Sede il 16 settembre 2010, di cui le Autorità cinesi hanno permesso l’ordinazione), ha definito padre Mattia Leopoldo Guo Ji Fen, francescano centenario, morto ieri nella diocesi di Taiyuan della provincia dello Shan Xi, nella Cina continentale. Padre Guo – riporta l’agenzia Fides - è sempre rimasto al suo posto nella missione cinese, anche nei momenti più critici per la Chiesa, e non ha mai esitato ad annunciare il Vangelo, ad esercitare la sua missione di evangelizzazione, nonostante 25 anni di carcere. Padre Guo era nato il 18 febbraio 1913 (secondo la tradizione cinese, l’età si conta dal momento del concepimento e non della nascita, quindi per tutti aveva 100 anni) nel villaggio di Shui Gou, di Taiyuan. Nel settembre 1926 entrò nel seminario minore di Taiyuan, ed il 12 febbraio 1931 è diventato novizio del seminario francescano. Emise i primi voti temporanei di tre anni il 13 febbraio 1932, prendendo il nome religioso di Leopoldo, ed il 3 settembre 1935 i voti solenni. Venne ordinato sacerdote nella Giornata Missionaria Mondiale del 24 ottobre 1937 da mons. Agapito Fiorentini, (1866-1941), dal 1924 al 1940 vicario apostolico di Taiyuan. Dopo l’ordinazione è stato parroco, rettore del seminario minore, cancelliere diocesano. Nel settembre 1955 venne imprigionato, e fino all’aprile 1980 passò 25 anni tra prigione e campi di lavoro per la rieducazione. Appena liberato, riprese il lavoro pastorale di parroco e nell’aprile 1985 divenne economo del seminario maggiore di S. Giovanni da Monte Corvino. Dal 27 marzo 1996 era a riposo, ma ha sempre continuato ad evangelizzare fino alla fine della sua vita terrena. (E.B.)

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    Gabon: la Chiesa celebra il 30.mo anniversario della visita di Papa Wojtyla

    ◊   Era il 19 febbraio del 1982 quando Giovanni Paolo II giungeva in visita apostolica in Gabon. Il Paese africano era la terza tappa del decimo viaggio apostolico internazionale di Papa Wojtyla, che comprendeva anche Nigeria, Benin e Guinea Equatoriale. Trent’anni dopo, la Chiesa del Gabon si prepara a commemorare questo anniversario e per questo il sito della Conferenza episcopale del Gabon ha creato una sezione speciale dedicata a ”Giovanni Paolo II: l’audacia di credere”, in cui si invitano tutti i fedeli a riflettere sull’importanza di questo trentennale. “Il successore di Pietro, beatificato il 1.mo maggio 2011 – scrivono i vescovi sul web – ha reso possibile, in Gabon come negli altri Paesi che ha visitato nel corso del suo pontificato, un rilancio della fede cattolica”. “Egli è stato vicino ai giovani – si legge ancora – iniziatore dei simboli di fede, dell’unità dei cristiani e della carità. Innovatore della preghiera del Rosario, alla quale aggiunse i Misteri Luminosi, instituì la Domenica della Divina Misericordia, rafforzò il dialogo ecumenico con gli Incontri di Assisi, indisse la Giornata di preghiera per i malati”. Quindi, il sito web dei vescovi pubblica l’omelia integrale che Giovanni Paolo II pronunciò a Libreville il 19 febbraio dell’82, e chiede ai fedeli di meditarne quattro passaggi fondamentali dedicati a “la pace in Dio, la costruzione della Chiesa nel Gabon, la difesa della famiglia cellula basilare della società, la speranza sul cammino della santità”. Indimenticabili, poi, le parole che Papa Wojtyla pronunciò alla fine della Messa: “Sono qui per confermarvi nella vostra fede, nel vostro cammino, e tessere dei legami di comunione ancor più solidi tra voi e la Chiesa universale che è solidale con voi – disse ai fedeli radunati a Libreville - Un’ultima parola vi spiegherà il senso della mia missione. Quando l’apostolo Pietro si fermò davanti allo storpio della Porta Bella di Gerusalemme, gli disse: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina” (At 3,6). Oggi, in senso spirituale, vedendo la vostra buona volontà, il successore di Pietro dice a tutta la Chiesa del Gabon: non sono venuto a portarti né oro né argento. Ma non temere. Abbi fiducia. Nel nome di Gesù Cristo, alzati e cammina!”. (I.P.)

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    Piano strategico "più forte ed unito" per il Jesuit Refugee Service

    ◊   Il Padre Generale dei Gesuiti, padre Adolfo Nicolás, ha approvato recentemente il Piano Strategico 2012-2015 del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (Jrs). Il Piano è il risultato di un'approfondita consultazione tra direttori regionali, membri del consiglio amministrativo e personale dell'ufficio internazionale. Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides dalla Curia generale dei gesuiti, il documento offre una serie di strategie ispiratrici e stimolanti per tutte le dieci regioni del Jrs che si avvarranno di esso per sviluppare i loro piani strategici regionali e quelli per l'azione annuale. Scaturito dalla missione di accompagnare, servire e difendere i diritti dei rifugiati e degli sfollati forzati, il Piano evidenzia l'identità del Jrs come organizzazione cattolica e opera della Compagnia di Gesù. Ispirato da profondi valori, il Jrs ha deciso di perseguire nei prossimi quattro anni i seguenti obiettivi: 1. Compassione per chi è ai margini della società; 2. Radicati nella fede e attivi nella giustizia; 3. Accendere la speranza attraverso l'educazione; 4. Un Jrs più forte e unito, che si basa sui valori della sussidiarietà e della partecipazione. Nella prefazione il Padre Generale ha definito il Piano strategico un documento creativo, stimolante e impegnativo che richiederà dedizione e notevole rischio. Ha espresso anche la sua gioia perché in questo documento "pieno di fervore cristiano e visione ignaziana... vediamo la fede, la giustizia e la collaborazione unite ancora una volta in una sola visione unitaria". (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 47

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli.