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Sommario del 15/02/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all’udienza generale: sulla croce Gesù ci insegna che anche nelle prove siamo sempre nelle mani di Dio
  • Appello del Papa per le famiglie numerose: siano sostenute, sono ricchezza e speranza per il Paese
  • Nomine
  • Dal Papa la delegazione del governo britannico: S. Sede e Londra concordi sullo stop delle violenze in Siria
  • Il cardinale di S. Paolo, Scherer: se il Vangelo arriva dovunque è anche grazie alla Radio Vaticana
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Il Parlamento europeo punta il dito contro la troika sulla gestione della crisi greca
  • Kosovo: i serbi del nord al referendum sulla legittimità delle autorità di Pristina
  • Olimpiadi 2020. Achini del Csi rilancia: dopo il "no" di Monti si investa sullo sport per i giovani
  • Celentano contro i giornali cattolici. Il commento del prof. Morcellini
  • La stampa cattolica italiana affronta la crisi e il taglio dei fondi pubblici con l’aiuto delle diocesi
  • "No" della Cei al biglietto d'ingresso nelle chiese italiane. Intervista con mons. Paglia
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Egitto: in Sharqia, chiesa e abitazioni dei copti bruciate da duemila estremisti islamici
  • Pakistan: studenti cristiani universitari discriminati perché “non imparano il Corano”
  • Myanmar: il governo avvia un piano di riconciliazione con le minoranze etniche
  • Vescovi dell'Asia: l'impegno per migranti e sieropositivi
  • Sri Lanka: il cardinale Ranjith in sostegno dei pescatori che protestano per il caro carburante
  • Usa: i vescovi della Florida preoccupati per l'aumento delle condanne a morte
  • Colombia: i vescovi mediano sulla riforma della giustizia
  • Ucraina: rapporto del Consiglio per i diritti umani sulla restituzione dei beni alla Chiesa
  • Turchia: speranza dei vescovi per il riconoscimento giuridico della Chiesa cattolica
  • Mongolia: il cammino della Chiesa missionaria nel Paese
  • India: l’incontro dei preti diocesani di rito latino dedicato alla nuova evangelizzazione
  • Lussemburgo: l’impegno della Chiesa nella difesa delle vittime di abusi
  • Irlanda: la Conferenza episcopale lancia un progetto di assistenza sanitaria
  • Australia: i vescovi chiedono di ricristianizzare la festa di San Valentino
  • Messico: aperto il website per la visita del Papa
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all’udienza generale: sulla croce Gesù ci insegna che anche nelle prove siamo sempre nelle mani di Dio

    ◊   Stamane all’udienza generale, nell'Aula Paolo VI in Vaticano, Benedetto XVI ha proseguito la sua meditazione sulla preghiera di Gesù in Croce. Il Papa ha sottolineato che, anche nelle prove più difficili, non cadiamo mai fuori dalle mani di Dio. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Nell’Aula Paolo VI, gremita di fedeli, il Papa ha offerto la sua riflessione sulla preghiera di Gesù nell’imminenza della morte. Le parole di Gesù sulla Croce, sottolinea il Papa, ci offrono indicazioni “impegnative alla nostra preghiera, ma la aprono anche ad una serena fiducia e ad una ferma speranza”:

    “Gesù che chiede al Padre di perdonare coloro che lo stanno crocifiggendo, ci invita al difficile gesto di pregare anche per coloro che ci fanno torto, ci hanno danneggiato, sapendo perdonare sempre affinché la luce di Dio possa illuminare il loro cuore e ci invita a vivere, nella nostra preghiera, lo stesso atteggiamento di misericordia e di amore che Dio ha nei nostri confronti”.

    Nell’imminenza della crocifissione e, in particolare, nel chiedere il perdono per i propri carnefici, osserva il Papa, Gesù vive pienamente “la sua relazione filiale con Dio”. Il Pontefice si sofferma dunque sulla risposta alla preghiera del “buon ladrone”: “Oggi sarai con me nel paradiso”:

    “Così attraverso questa risposta dona la ferma speranza che la bontà di Dio può toccarci anche nell’ultimo istante della vita e la preghiera di Dio può toccarci anche nell’ultimo istante della vita e la preghiera sincera, anche dopo una vita sbagliata, incontra le braccia aperte del Padre buono che attende il ritorno del figlio”.

    “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”: Gesù, sottolinea, si consegna al Padre “in un atto di totale abbandono”. Il suo è “un forte grido di estremo e totale affidamento a Dio”:

    “La preghiera di Gesù di fronte alla morte è drammatica come lo è per ogni uomo, ma, allo stesso tempo, è pervasa da quella calma profonda che nasce dalla fiducia nel Padre e dalla volontà di consegnarsi totalmente a Lui”.

    Ecco allora, soggiunge, che comprendiamo come Gesù si sia “lasciato consegnare nelle mani degli uomini, ma è nelle mani del Padre che Egli pone il suo spirito”. Un affidamento che è segno di speranza:

    “Gesù che nel momento estremo della morte si affida totalmente nelle mani di Dio Padre, ci comunica la certezza che, per quanto dure siano le prove, difficili i problemi, pesante la sofferenza, non cadremo mai fuori delle mani di Dio, quelle mani che ci hanno creato, ci sostengono e ci accompagnano nel cammino dell’esistenza, perché guidate da un amore infinito e fedele”.

    Dopo la catechesi, il Papa ha rivolto un saluto particolare ai cardinali Stanislao Dziwisz e Stanislao Ryłko e alla delegazione venuta dalla Polonia per presentare la riproduzione della Porta Santa della Basilica di San Pietro, che sarà collocata nel museo del Beato Giovanni Paolo II a Wadowice.

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    Appello del Papa per le famiglie numerose: siano sostenute, sono ricchezza e speranza per il Paese

    ◊   Al termine dell’udienza generale, il Papa ha rivolto un pensiero particolare all’Associazione italiana Famiglie numerose. Ce ne parla Sergio Centofanti.

    Nell’odierno contesto sociale, ha osservato il Papa, “i nuclei familiari con tanti figli costituiscono una testimonianza di fede, di coraggio e di ottimismo, perché senza figli non c’è futuro”:

    “Auspico che vengano ulteriormente promossi adeguati interventi sociali e legislativi a tutela e a sostegno delle famiglie più numerose, che costituiscono una ricchezza e una speranza per l’intero Paese”.

    Su questo appello ascoltiamo il commento di Angelo De Santis, responsabile dell’Associazione Italiana Famiglie numerose per il Lazio:

    R. – Il commento che mi viene è un commento di ringraziamento, veramente sentito, per il Santo Padre, perché è di conforto e di aiuto a noi famiglie numerose. Lui non cessa mai – più di una volta l’ha fatto – di definirle una ricchezza. Le parole del Santo Padre sono come un balsamo per la nostra vita: sono parole di conforto, sono parole di speranza, parole che ci spingono ad andare avanti.

    D. – Quanto sono aiutate oggi le famiglie numerose in Italia?

    R. – In generale, le famiglie numerose non sono state mai aiutate, perché in 60 anni di Repubblica, tutti i governi che si sono succeduti alla guida del Paese non hanno fatto altro che distruggere questa voglia di dare la vita per gli altri. E oggi come oggi siamo fra i più tartassati, perché paghiamo più kilowatt, più metri cubi d’acqua, più tasse scolastiche, moltiplicate per quattro, per cinque, per sei, per otto figli. Non abbiamo nessuno sconto e in più da quest’anno cominceremo anche a pagare l’Ici, che è un’altra iniquità che grava sulle teste dei nostri figli. Far pagare l’Ici a famiglie numerose, che devono per necessità di spazio vivere in case con grosse metrature, significa avere costi molto alti, e molte famiglie stanno ormai scendendo al di sotto della soglia della povertà: una famiglia numerosa su tre è al di sotto della soglia di povertà.

    D. – Che cosa chiedete?

    R. – Chiediamo di essere riconosciuti come ricchezza di questo Paese, perché tutti i governi recenti non hanno fatto altro che distruggere quella che è l’unica possibilità per uscire fuori dalla crisi. Hanno messo la politica in mano all’economia, ma l’economia non può ripartire se non ci sono le famiglie, se non ci sono quelli che consumano, quelli che portano a scuola i figli, quelli che pagano i contributi per le pensioni, quelli che pagano la sanità per chi è ammalato, visto che la vita si sta allungando e c’è più bisogno di intervenire a livello di servizio sanitario nazionale. Chi paga queste cose? Le famiglie.

    D. – Qual è la vostra esperienza di famiglia numerosa?

    R. – Quella di esserci affidati alla Provvidenza. Abbiamo creduto ad una Parola, quella del Vangelo; abbiamo creduto alle parole del Santo Padre Giovanni Paolo II, quando a Tor Vergata ci disse di non avere paura, e ci siamo affidati totalmente alle mani della Vergine Maria, che noi preghiamo sempre e alla quale chiediamo di aiutarci e di aiutare tutte le nostre famiglie e i nostri figli. La nostra unica speranza perciò è riposta nella Provvidenza e il nostro unico “datore di lavoro” è il Signore, che ha sempre provveduto alla nostra vita e non ci ha fatto mai mancare nulla, a noi e ai nostri figli.

    D. – Qual è la gioia di una famiglia numerosa?

    R. – La gioia di una famiglia numerosa è quella di non stare mai da soli, di stare sempre in compagnia, di essere multi-tasking e avere più risposte per più figli contemporaneamente, di vivere in un “disordine ordinato”. Questi figli sono una ricchezza, ci mantengono giovani e ci danno la spinta per andare avanti. Poi, soprattutto, ci permettono di partecipare all’opera creatrice di Dio. Questa per noi è una grande gioia. Vedere un bambino che lancia il primo grido appena si sveglia, è qualcosa che riempie il cuore, che ci dà la forza per andare avanti.(ap)

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    Nomine

    ◊   In Brasile, Benedetto XVI ha nominato Arcivescovo Metropolita di Campinas Mons. Airton José dos Santos, trasferendolo dalla sede vescovile di Mogi das Cruzes.
    Sempre in Brasile, il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Pesqueira Mons. José Luiz Ferreira Salles, C.SS.R., finora Vescovo titolare di Tipasa di Numidia ed Ausiliare di Fortaleza.

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    Dal Papa la delegazione del governo britannico: S. Sede e Londra concordi sullo stop delle violenze in Siria

    ◊   Un’ampia convergenza e un impegno alla collaborazione sui punti più attuali dell’agenda internazionale, dalla crisi in Siria, alla lotta alla miseria, al disarmo alla tutela dell'ambiente. È questo l’esito dei colloqui che, tra ieri e oggi, hanno impegnato in Vaticano il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e il segretario per i Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Dominique Mamberti, con una delegazione ministeriale del governo britannico, guidata dalla deputata Baronessa Warsi. La visita – che ha avuto come cornice celebrativa il ricordo dei 30 anni dallo stabilimento delle piene relazioni diplomatiche tra il Regno Unito e la Santa Sede – ha permesso alle due compagini di confrontarsi su alcune tematiche a partire dalla “necessità urgente”, come si legge nel comunicato congiunto, di “un'azione volta a rafforzare l'impegno universale in favore della libertà religiosa, quale diritto umano fondamentale, e alla sua applicazione pratica, al fine di promuovere il rispetto per tutte le religioni in tutti i Paesi”. La Santa Sede e il governo britannico, si afferma, “desiderano lavorare insieme per combattere l'intolleranza e la discriminazione fondata sulla religione, ovunque essa si manifesti. Al punto successivo, si concorda sulla promozione di “uno sviluppo globale integrale e sostenibile, basato sulla centralità della persona umana”, e dunque sulla lotta alla fame e alla povertà e in favore dell’istruzione e del lavoro. “Alla luce di queste sfide – si legge nel comunicato – riconosciamo un obbligo condiviso di realizzare un equo contesto internazionale, finanziario e commerciale. E ci impegneremo per un futuro migliore per tutta l'umanità, tenendo conto in particolare la cura per le persone più povere del mondo”.

    Gli altri temi del comune impegno tra Santa Sede e governo britannico riguardano i cambiamenti climatici, la prevenzione dei conflitti e il disarmo, in questo caso accompagnata dagli auspici di “risultati positivi” circa i negoziati finali del prossimo luglio riguardanti il Trattato sul Commercio delle armi. La nota congiunta parla anche dei cambiamenti in Nord Africa e Medio Oriente, per i quali si sottolinea l'importanza “di intraprendere vere riforme negli ambiti politico, economico e sociale, per meglio garantire l'unità e lo sviluppo di ogni nazione”, ai quali i cristiani possono contribuire anche tramite il dialogo interreligioso. Sui negoziati israelo-palestinesi la speranza è che si possa conseguire una “pace duratura”, mentre per la crisi siriana si invoca la “fine immediata della violenza”. Altri cenni si concentrano sulla prossima Conferenza di Londra sulla Somalia – per la quale Santa Sede e governo britannico chiedono “una strategia coerente” – e sul processo di riconciliazione in corso nell'Irlanda del Nord. “L'uso della violenza per fini politici – si legge in proposito nel comunicato – è deplorevole, e deve essere messo da parte in favore di un dialogo costruttivo per il benessere di tutta la comunità”. Gli ultimi punti concernono i Giochi olimpici e paraolimpici di Londra e il Giubileo di Diamante di Sua Maestà la Regina, la promozione della collaborazione del Regno Unito con i Musei Vaticani. In chiusura, si riconosce “l'importante contributo che la Chiesa cattolica, e i cristiani in generale, hanno fornito e continuano a fornire per il bene della società britannica”. In particolare, la Santa Sede ha messo in risalto la “necessità di garantire che le istituzioni legate alla Chiesa cattolica possano agire in conformità con i propri principi e convinzioni”. (A cura di Alessandro De Carolis)

    Alcuni di questi temi erano già stati espressi ieri pomeriggio dalla capo delegazione britannica, la baronessa Sayeeda Hussain Warsi, in un discorso tenuto presso la Pontificia Accademia Ecclesiastica. Il servizio di Benedetta Capelli:

    Un lungo e appassionato discorso intrecciato di aneddoti personali, ma anche di importanti considerazioni E’ quello che ieri ha fatto la baronessa Warsi che, parlando delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e il Regno Unito, ha espresso l’auspicio di un ulteriore rafforzamento di questo legame:

    “Because our relationship enables us to act together…"

    “Le nostre relazioni ci permettono di agire insieme in nome del bene comune per promuovere la democrazia, per combattere in favore dei diritti umani, per incoraggiare relazioni corrette e responsabili, per affrontare i cambiamenti climatici e favorire la costruzione di nazioni stabili”. Parlando della visita “storica e indimenticabile” di Benedetto XVI in Gran Bretagna nel settembre del 2010, la baronessa ha detto:

    “It was a milestone in our relationship, a milestone..."

    “E’ stata una pietra miliare delle nostre relazioni, una pietra miliare nella storia della Gran Bretagna, dove il cuore ha veramente parlato al cuore”. Centrale nell’intervento della Warsi l’importanza della fede nella sfera pubblica e soprattutto l’invito alle persone a sentirsi più forti nella propria identità religiosa; invito esteso anche al Vecchio Continente:

    "Europe needs to become more confident in its Christianity..."

    L’Europa ha bisogno di essere più fiduciosa, più ferma nella sua cristianità. Partendo infatti dalla certezza della propria identità – ha sottolineato la baronessa – è molto più facile dialogare. “C'è un equivoco di base – ha aggiunto – per creare eguaglianza e per fare spazio alle minoranze religiose e culturali si rischia di cancellare la maggior parte della nostra eredità religiosa”. Immancabili i riferimenti alla sua storia personale. Warsi è figlia di immigrati pakistani, musulmana, ma ha scelto di far frequentare a sua figlia una scuola anglicana. Un modo per farle conoscere la storia e la cultura del Paese nel quale vive e il patrimonio di valori religiosi ne hanno segnato il percorso.

    Proprio sul dialogo interreligioso, la baronessa ha invitato a creare un nuovo linguaggio:

    "Just as the European language of Esperanto..."

    “Così come l’esperanto ha cercato invano di creare una nuova lingua che neutralizzasse le varie componenti linguistiche europee, il tentativo di appiattire le differenze tra le fedi rischia di annacquare le diversità e l’intensità delle nostre rispettive religioni. Invece, il dialogo interreligioso funziona quando discutiamo delle nostre differenze, quando ci rimbocchiamo le maniche”.

    Richiamando Benedetto XVI e il suo discorso a Westminster, la baronessa Warsi ha evidenziato la ''marginalizzazione'' della fede e della religione. "Lo vedo nel Regno Unito, lo vedo in Europa'', ha detto. "Sono infatti numerosi i tentativi di allontanare la fede dalla sfera pubblica mentre sarebbe utile che i leader religiosi fossero convocati dagli stessi politici quando si parla di principi morali". Infine, la baronessa ha fatto accenno all’attualità parlando della "primavera araba" come di un momento in cui i Paesi coinvolti stanno ridefinendo la loro identità. Si tratta di un’occasione, ha osservato...

    "...to show that their countries are a home for all people..."

    "Per mostrare che i loro Paesi sono una casa per tutte le persone; per dimostrare che la difesa del tuo prossimo, qualunque sia la sua fede, è un obbligo; per dimostrare al mondo il vero spirito pacifico della religione".

    Nel suo indirizzo di saluto, il presidente della Pontificia Accademia Ecclesiastica, mons. Beniamino Stella, aveva sottolineato: "Non siamo esenti da difficoltà e da paure, dovute, ad esempio, al proliferare della violenza, a una crisi economica che affonda le sue radici in quell'annebbiamento della coscienza che impedisce all'uomo di preferire l'essere al fare, il condividere all'approfittare, l'importante all'urgente". "Ci angustia – ha aggiunto – l'imperativo di dover parlare, con profonda convinzione del cuore, un linguaggio etico che la società di oggi, permeata dal relativismo morale, fatica ad accettare ed ancor più a vivere. Cerchiamo, dunque, di prepararci spiritualmente e professionalmente ad uno stile di vita di cui non ignoriamo la delicatezza, la complessità e le sfide. Lavoriamo per questo con tenacia, confidando nella grazia del Signore".

    Sulla visita in Vaticano della delegazione britannica, Philippa Hitchen ha sentito il commento d mons. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster e presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles:

    R. – It’s very significant ...
    E’ davvero una visita molto significativa, una visita storica. Non penso ci sia stata mai una visita alla Santa Sede di sei ministri del governo britannico. L’occasione è il 30.mo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Regno Unito. La storia diplomatica tra il nostro Paese e la Santa Sede risale al 1470, ma penso che questo evento sia un segnale dell’importante e crescente rapporto tra il governo britannico e la Santa Sede e quindi un riconoscimento del ruolo che la Chiesa cattolica gioca nel mondo nelle questioni cruciali di oggi.

    D. – La delegazione è guidata da un ministro musulmano. L’abbiamo sentita parlare del bisogno del Regno Unito e dell’Europa di essere più fiduciose nella loro cristianità. Questo è un messaggio che è molto caro a Papa Benedetto XVI e alla Chiesa in Gran Bretagna oggi…

    R. – That’s true. She is in a unique...
    E’ vero. Lei è in una posizione unica, provenendo da una famiglia di origine pakistana, essendo una musulmana e una donna. Quanto ha detto è un tema costante dei suoi discorsi. Ha fatto appelli simili ai vescovi anglicani, poi a un pubblico ebraico e musulmano e ora cattolico. Quindi, è molto attenta al ruolo che la fede svolge per il bene comune. Ed è allo stesso modo critica verso coloro che sono rigidi, dogmatici e che vogliono emarginare e privatizzare la fede. E’ spesso quel tipo di intolleranza che ostacola i contributi migliori che possono essere dati al bene comune.

    D. – Questa visita in Vaticano è un’indicazione reale di uno sforzo più determinato, da parte del governo britannico, di ascoltare più da vicino quelle voci della comunità di fede, in particolare della Chiesa cattolica?

    R. – The focus here is obviously...
    L’accento qui è ovviamente sulla Chiesa cattolica. Una delle caratteristiche di questa visita è che le discussioni spaziano su molti temi. Alcuni degli argomenti che abbiamo affrontato per esempio riguardano il lavoro internazionale per il disarmo, il disarmo nucleare e la proliferazione delle armi e il lavoro nell’ambito dell’educazione sulle questioni riguardanti i cambiamenti climatici nel mondo. Queste sono grandi questioni globali, di cui il governo britannico si occupa, con il riconoscimento dell’importante ruolo della Santa Sede. Quindi, c’è una prospettiva globale ma c’è anche una prospettiva britannica, perché in un tempo di recessione, in tempo di difficoltà economica, come società dobbiamo tirare fuori la nostra buona volontà e il bisogno di essere attenti agli altri, il bisogno di supportarci l’uno con l’altro. E in tantissime circostanze è proprio la gente semplice che è generosa e che, spesso ispirata dalla sua fede, promuove un’azione del genere.(ap)

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    Il cardinale di S. Paolo, Scherer: se il Vangelo arriva dovunque è anche grazie alla Radio Vaticana

    ◊   Lunedì scorso, le emittenti radiofoniche di tutto il mondo hanno celebrato per la prima volta la Giornata della Radio indetta dall’Unesco. Un’occasione che ha mostrato la mai tramontata attualità di un mezzo che ha fatto e fa della facilità di ascolto a qualsiasi latitudine, anche remota, il suo punto di forza. A unirsi alle celebrazioni è stata anche l’Ebu – l’Unione europea di radiodiffusione - della quale la Radio Vaticana è membro e protagonista di una sua specifica missione a livello mondiale. Missione sulla quale si è soffermato il cardinale arcivescovo di S. Paolo del Brasile, Odilo Scherer, al microfono di Christiane Murray della nostra redazione brasiliana:

    R. – La Radio Vaticana ha una lunga storia, ha una storia gloriosa e già in passato ha svolto un ruolo di grande importanza nel far sentire la voce della Chiesa e del Santo Padre in Paesi dove la voce e il messaggio della Chiesa non sarebbero mai arrivati. Oggi, i tempi sono cambiati e anche la Radio cambia il modo di comunicare attraverso le nuove modalità, le nuove tecniche di comunicazione. Questo è un bene, per proseguire la sua missione e perché la sua voce possa continuare a essere ascoltata in molti Paesi, in molti contesti differenti, con linguaggi e interessi diversi.

    D. – L’importanza della Radio Vaticana, dunque, va vista come missione di servizio pubblico, il cui ritorno non si può quantificare perché non è economico, ma è un ritorno che si conteggia o che comunque si constata con l’evangelizzazione...

    R. – Sì, questo è importante anche se, per il bilancio del Vaticano, la Radio è sempre una voce passiva. Si deve guardare piuttosto al frutto di evangelizzazione proprio del messaggio della Chiesa, che è reso possibile attraverso il servizio della Radio Vaticana. Quindi, mi auguro che la Radio Vaticana possa continuare e progredire sempre nella comunicazione che le è propria. La Radio è tuttora importante, anche perché è un mezzo molto versatile e diverso da altri, che esigono una tecnica più sofisticata. Ricevere il segnale della radio richiede una tecnica molto semplice e duttile, che si può avere ovunque: in macchina, in cucina, in camera da letto, quando si va in giro a passeggio. Quindi, spero che la Radio Vaticana possa continuare a essere la voce della Chiesa e del Santo Padre nel mondo. (ap)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Sempre nelle mani di Dio: la catechesi di Benedetto XVI all'udienza generale.

    Nell'informazione internazionale, comunicato congiunto della Santa Sede e del Governo di Sua Maestà Elisabetta II.

    Gadda e Dostoevskij al Vieusseux: in cultura, Silvia Guidi sulle nuove acquisizioni negli archivi fiorentini del Novecento.

    L'introduzione al volume di Laura Palazzani "Sex/gender: gli equivoci dell'uguaglianza".

    L'antichista che amava i pappagalli: Giuseppe Zecchini ricorda Ernst Badian.

    Un articolo di Giulia Galeotti dal titolo "Mai più soli" pensò Marie-Hélène: raccontata in un libro la quarantennale avventura di Foi e Lumière.

    Un articolo di Andrea Monda dal titolo "Attorno alla questione più grande": dieci colloqui su Dio e l'ateismo.

    Nell'informazione religiosa, l'intervento di Sayeeda Hussain Warsi su "Il ruolo della religione nel dibattito politico e negli affari internazionali".

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    Oggi in Primo Piano



    Il Parlamento europeo punta il dito contro la troika sulla gestione della crisi greca

    ◊   Il Parlamento europeo s’interroga sulla democraticità delle imposizioni della “Troika”, formata da Ue, Bce e Fmi, a carico della Grecia. La Conferenza dei capigruppo dell’Europarlamento ha chiesto, infatti, ai membri della "Troika", e in particolare al presidente della Commissione Barroso e al vicepresidente Rehn, di riferire circa quello che i deputati definiscono un approccio punitivo al problema della sovranità greca, tradendo il principio della solidarietà. Sulla questione, Stefano Leszczynski ha intervistato il presidente del Movimento europeo, Pier Virgilio Dàstoli:

    R. – La Trojka va in missione ad Atene sulla base di un mandato che le è stato dato dalla Commissione, dall’Eurogruppo, e quindi sulla base di un mandato che le è stato dato dalle istituzioni, che oggi hanno in mano non soltanto il destino della Grecia, ma in generale il destino dell’euro e del progetto europeo. Al di là del ruolo della Trojka, il problema più generale che – credo – noi ci dobbiamo porre è fino a che punto tutto quello che si sta mettendo in piedi oggi corrisponda ad una disciplina democratica? A chi rispondono quelli che oggi a Bruxelles prendono decisioni nel nome dei 17 Paesi dell’Eurozona?

    D. – Quindi in sostanza possiamo dire che quello che la Trojka pretende dalla Grecia è un po’ la decisione presa da alcuni Stati più forti nell’ambito dell’Unione Europea a nome di tutta l’Unione?

    R. – Di tutta l’Unione è difficile dirlo, ma certamente a nome dei 17 Paesi che hanno la moneta unica.

    D. – I capigruppo sia del Partito popolare che del Partito socialdemocratico si preoccupano del fatto che in tutte queste misure anticrisi, che vengono imposte a determinati Paesi, la Grecia in primis, non c’è nulla che punti a favorire la crescita….

    R. – Questo è vero! La scelta di fare un Trattato internazionale al di fuori dei Trattati è evidente che esclude qualunque possibilità di misure che concernono la crescita. Le misure che concernono la crescita possono essere prese soltanto all’interno dell’Unione Europa. Un Trattato internazionale, per sua natura, non può garantire misure che riguardano la crescita.

    D. – Da un punto di vista istituzionale, come risponde la Commissione di fronte al Parlamento europeo?

    R. – Intanto la Commissione deve rispondere proprio per criteri istituzionali di fronte al Parlamento Ue che l’ha eletta e le ha dato il voto di fiducia. Quindi il primo interlocutore della Commissione è certamente il Parlamento europeo. In misura molto più debole risponde al Parlamento europeo anche il presidente del Consiglio europeo: fra l’altro il Consiglio europeo è oggi un’istituzione che è iscritta nei Trattati e il Consiglio europeo, anch’esso, è sottoposto – laddove assume delle decisioni – al controllo anche della Corte di Giustizia. Il problema è che appare in maniera evidente che in tutti questi mesi c’è stato un tentativo da parte di alcuni governi di mettere da parte la Commissione europea: anche nel Trattato internazionale il primo testo, che era stato concepito a metà di dicembre, cercava di ridurre al minimo i poteri della Commissione europea, anche perché – come dicevo prima – la Commissione europea è sottoposta ad un controllo democratico a cui non sono sottoposte le altre istituzioni.

    D. – Professore, come Movimento europeo avete individuato un elemento che è venuto a mancare negli ultimi decenni in Europa, quello dell’unità politica: ma in che modo questa mancanza si può inserire in quello che vediamo oggi?

    R. – L’unione politica non è una cosa teorica; l’unione politica è basata sul principio di una evoluzione di quello che è già scritto nei Trattati. Nei Trattati abbiamo scritto che l’Unione Europea deve essere basata su alcuni valori, che hanno anche una ragione di essere giuridica e quindi la solidarietà, la tolleranza, il rispetto… Quindi noi chiediamo che si riprenda il cammino che è stato indicato nei Trattati. Dobbiamo dare ai nostri popoli delle speranze e delle indicazioni per il futuro. (mg)

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    Kosovo: i serbi del nord al referendum sulla legittimità delle autorità di Pristina

    ◊   Per il secondo giorno consecutivo, oltre 35 mila elettori serbi nel nord del Kosovo votano per un referendum che invita la popolazione di quattro municipalità - Zvecan, Zubin Potok, Kosovska Mitrovica e Leposavic - a pronunciarsi sulla legittimità degli organi di potere e dell'autorità di Pristina. La consultazione, avversata dall’esecutivo serbo e dal presidente, Boris Tadic, critica di fatto il dialogo intrapreso da Belgrado con Pristina e si tiene alla vigilia del quarto anniversario della proclamazione unilaterale d'indipendenza del Kosovo – a maggioranza albanese – dalla Serbia, avvenuta il 17 febbraio 2008. Ce ne parla Francesco Martino, corrispondente della testata web Osservatorio Balcani e Caucaso, intervistato da Giada Aquilino:

    R. – Il voto di ieri e di oggi non porta novità dal punto di vista della posizione dei serbi del nord del Kosovo, anche perché i risultati di questa consultazione vengono dati ampiamente per scontati: la risposta sarà evidentemente “no”. Più interessante è il suo significato politico, che è utilizzato dai serbi del Kosovo sia per ribadire, appunto, la propria contrarietà alle autorità di Pristina, sia soprattutto come strumento di pressione nei confronti del governo di Belgrado. La Serbia si trova in una posizione delicata: da molto tempo, infatti, il governo del presidente Tadic tenta di assicurare alla Serbia un futuro nell’Unione Europea.

    D. – In questi ultimi mesi, qual è stata la linea del governo e del presidente Tadic rispetto al Kosovo?

    R. – Tra Serbia e Kosovo sono in corso trattative sotto l’egida dell’Unione Europea: Belgrado teme che dare spazio a questo tipo di iniziative referendarie possa, in qualche modo, mettere a repentaglio tutto l’apparato negoziale.

    D. – Mitrovica è una delle città dove si vota ed è un po’ l’emblema della divisione interna del Kosovo: ancora oggi è divisa in due, tra settore albanese e settore serbo separati dal fiume Ibar. Che situazione c’è sul terreno?

    R. – Fortunatamente, almeno nell’immediato, il referendum non ha portato a un’escalation di tensione, anche perché – tra l’altro – il Kosovo è sepolto dalla neve e questo solitamente rende la situazione più tranquilla. Ciò non significa, però, che il referendum non possa portare a nuove tensioni. Ricordiamo che questo appuntamento arriva al termine di una lunga fase di crescita della tensione, che è iniziata la scorsa estate quando il governo di Pristina, insieme con le autorità internazionali, ha tentato in qualche modo di imporre la propria autorità in questa parte del Kosovo, portando doganieri fondamentalmente albanesi su questi confini, che fino ad allora era rimasti aperti.

    D. – Ma di fatto, anche da un punto di vista legale, il referendum che valore ha?

    R. – Il suo valore non è stato riconosciuto da nessuno dei principali attori del teatro kosovaro: né da Pristina naturalmente, né dalle autorità internazionali e nemmeno da Belgrado. Quindi, si tratta, in qualche modo, di un messaggio che viene lanciato dall’elite del Kosovo del nord, che ha organizzato questo referendum, e ha il valore di una consultazione politica. Dal punto di vista legale, gli effetti saranno nulli.

    D. – Il 17 febbraio del 2008 la proclamazione unilaterale dell’indipendenza del Kosovo: quattro anni dopo che Paese è?

    R. – E’ un Paese che ancora ha moltissimo da fare per consolidare le proprie strutture: le ultime elezioni in Kosovo, ad esempio, sono state macchiate da brogli particolarmente ampi e preoccupanti. E’ un Paese che soffre poi la fase di crisi internazionale. Ma è anche un Paese sorprendete per alcuni versi: è un Paese di giovani – la popolazione kosovara è quella che ha l’età media più bassa in tutta Europa – e Pristina si è trasformata in modo molto profondo in questi anni. E' una città dalla quale, nonostante tutti i problemi, emerge una grande voglia di vivere e di cambiamento che sicuramente colpisce. (mg)

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    Olimpiadi 2020. Achini del Csi rilancia: dopo il "no" di Monti si investa sullo sport per i giovani

    ◊   Roma non concorrerà per essere sede delle Olimpiadi del 2020. Dopo il "no" di ieri del premier Monti - che ha spiegato il diniego con l'onere finanziario che l’Italia rischia di accollarsi - espressioni di delusione sono state levate da più parti, ma anche di condivisione del senso di responsabilità da parte del governo. Un rispetto con qualche distinguo che viene espresso anche da Massimo Achini, membro della giunta nazionale del Coni e presidente del Centro Sportivo Italiano. Lo ha intervistato Paolo Ondarza:

    R. – Non nascondo che c’era grande attesa e grande speranza. Era una candidatura di grande buon senso, sin dall’inizio tutto l’aspetto legato all’investimento di tipo economico era stato tenuto in grande considerazione e attenzione. Quindi, c’era la speranza di questo grande traguardo che, indubbiamente, sarebbe stato una grande occasione di rilancio per il sistema sportivo italiano e per tutto il Paese. Di fronte al senso di responsabilità richiamato da Monti, però, non si può che rispondere con un senso di responsabilità: prendendo atto di questa decisione.

    D. – Atto di responsabilità o occasione persa?

    R. – Credo che le due cose stiano insieme: che sia un’occasione persa mi sembra un dato oggettivo innegabile. E’ altrettanto vero che la valutazione del premier Monti non posso immaginarla se non come un grande atto di responsabilità dovuto ad elementi oggettivi, che il premier aveva sottomano. E’ importante però che ancora una volta non si sia di fronte ad un atteggiamento – e non credo sia questo il caso, ma mi piace comunque sottolinearlo – che non comprenda fino in fondo che investire sullo sport non significa spendere delle risorse, ma significa appunto investirle. Se posso giocare in contropiede, su questo mi verrebbe da dire che, tramontata ormai quella che era una grande speranza, un grande sogno, mi piacerebbe immaginare, per esempio, che in questo Paese si realizzasse un grande evento: magari uno dei più grandi eventi mondiali, dedicato allo sport per i giovani. Sarebbe un modo, una testimonianza concreta per confermare che lo sport può essere una grande risorsa, un grande strumento di investimento, soprattutto per l’educazione dei giovani.

    D. – Quanto ha contato, secondo lei, il precedente greco? La Grecia si trova adesso alle prese con una crisi che la sta portando al default... solo nel 2004 ad Atene si tennero i giochi olimpici...

    R. – Dietro alla presentazione della candidatura di Roma 2020, come risulta dal dossier ufficiale, c’era uno studio molto attento e molto preciso riguardo alle prospettive in termini di investimento, di spese e di possibili entrate. Per cui l’analisi era molto attenta. Certo, il caso della Grecia dimostra come le Olimpiadi, se non gestite con grandissima attenzione e grandissima oculatezza, espongano poi ad un rischio, che credo molte volte sia capitato ai Paesi che le hanno ospitate. Ma posso solo dire che si era partiti proprio con il piede giusto, con una grande attenzione per evitare tutto ciò. (ap)

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    Celentano contro i giornali cattolici. Il commento del prof. Morcellini

    ◊   ''Quando l'ignoranza prende il microfono per diffondere il suo messaggio è doveroso replicare, con serenità e rispetto delle persone, per amore della verità''. Così il Sir, agenzia dei vescovi italiani, giudica l’esibizione di Adriano Celentano nella puntata d’esordio di ieri del 62.mo Festival di Sanremo. Reazioni si sono registrate a vari livelli, specie per l’attacco del cantante ai giornali cattolici, in particolare Avvenire e Famiglia Cristiana, accusati di “ipocrisia e di parlare di politica e non di Dio’’. Per il Copercom, “Avvenire e Famiglia Cristiana rappresentano un pezzo di società civile, preti e frati compresi, che merita semplicemente rispetto''. ''Per la Rai che si vanta ad ogni pie' sospinto di essere la più alta espressione del servizio pubblico, quella di ieri sera – scrive in una nota Domenico Delle Foglie, presidente del coordinamento delle Associazioni cattoliche per la Comunicazione - è stata un'occasione sprecata”. Per una riflessione sull’intervento di Celentano , Luca Collodi ha intervistato il prof. Mario Morcellini, direttore del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca sociale dell’Università La Sapienza di Roma, al microfono di Luca Collodi:

    R. – La prima considerazione è sul piano strettamente comunicativo. Per come sta funzionando la comunicazione in Italia – e cioè malissimo – occorre dire che Celentano è perfettamente organico: la sorpresa, l’agguato agli spettatori, tutto quello che prepara un evento televisivo, devo dire che dal punto di vista della spettacolarità non c'è niente da dire. Il problema cambia se si affronta la questione dei contenuti e anche dei modelli culturali che rappresenta Celentano in questo momento, e devo dire ieri in particolare, perché in altre occasioni aveva suggerito anche analisi e, forse, prospettive diverse. Ieri, l’attacco ai giornali cattolici – mi soffermo solo su quelli – è stato del tutto impensabile e folle, soprattutto per l’impatto sul ruolo che questi giornali hanno nella vita sociale. E’ come se, a parità di condizioni, senza conoscere i contenuti – perché altrimenti alcune di quelle frasi non sarebbero state dette – ci fosse stato una specie di agguato premeditato: probabilmente con l’idea che in questo momento i "salotti buoni" della comunicazione e i potentati della comunicazione avrebbero gradito un attacco contro la Chiesa.

    D. – Professor Morcellini, l’episodio di Sanremo di ieri sera ci dimostra quanto sia in crisi il modello comunicativo, che rispecchia un modo di pensare e una cultura di un Paese…

    R. – Mi sembra addirittura di poter dire che è fuori controllo, nel senso che uno dei problemi che ha questo Paese è di non accorgersi di quale sia la disposizione dei poteri reali, i cosiddetti “poteri forti”. La comunicazione è diventata intoccabile, i conduttori televisivi possono dire qualunque cosa, inventare qualunque personaggio politico… E noi abbiamo ripetute prove che soggetti semisconosciuti sono diventati sindaci, presidenti di Regione e forse anche qualcosa di più. Direi che Celentano rappresenta, da questo punto di vista, la prova di quello che sta succedendo nel mondo della tv: lui è più forte di qualunque regola circostante, è più forte anche delle reazioni del pubblico, anche se io credo che da ieri il processo di riconsiderazione sul personaggio comincerà più severamente che in passato.

    D. – La vicenda di Celentano a Sanremo di ieri è la rappresentazione di un populismo che avanza contro tutto e tutti oggi in Italia, per una crisi di valori, di partiti e forse anche della democrazia più in generale?

    R. – E’ una somma tra populismo e public ignorance, della quale – purtroppo – i media, che ci avevano promesso di aumentare i saperi di tutti, sono diventati i principali responsabili. Non è un caso che le istituzioni come la scuola e l’università siano sotto attacco. Non è un caso che gli investimenti sulla cultura siano in declino: tutto si sta spostando su una parvenza di intrattenimento pubblico, di gioco, che alla lunga significa recidere le basi stesse della società. Non a caso, l’aspetto fondamentale del nostro tempo è la sfiducia e l’incattivimento nei confronti degli altri.

    D. – C’è qualcuno che ha interesse a mantenere questa situazione?

    R. – Io direi che più che un interesse sembra essere incapacità culturale di usare sapientemente il proprio ruolo. Io penso che in questo Paese sia arrivato il momento di riflettere attentamente sul potere che abbiamo lasciato gestire agli uomini della comunicazione. (mg)

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    La stampa cattolica italiana affronta la crisi e il taglio dei fondi pubblici con l’aiuto delle diocesi

    ◊   In questi giorni, grande attenzione viene dedicata alla condizione in cui versa la stampa italiana alle prese con la crisi e i tagli dei fondi pubblici. Tante testate rischiano di chiudere paventando centinaia di licenziamenti. Ma come vivono i settimanali e i periodici diocesani? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Francesco Zanotti, presidente della Federazione italiana settimanali cattolici:

    R. – Vivono momenti di grande apprensione e di difficoltà. Dopo un 2010 molto difficile, il 2011 non è stato da meno. Nel 2010, abbiamo dovuto affrontare l’emergenza delle tariffe postali che d’un colpo, tra la notte del 31 marzo e il primo aprile, aumentarono del 121%. Quindi per noi – a campagna abbonamenti chiusa – questo ha comportato un incremento di costi notevole, non potendo più agire sulla parte degli abbonamenti. Allora, abbiamo dovuto fare di necessità virtù, decidendo di tagliare uscite e pagine. In certo qual modo, anche in quell’occasione è stata una sorta di “bavaglio all’informazione”, una sorta di censura. Nel 2011, invece, abbiamo dovuto affrontare i tagli ai fondi per l’editoria. Tagli che hanno ulteriormente colpito ad anno ampiamente avviato, quando ad ottobre-novembre si è scoperto che il fondo per l’editoria era ridotto al 30% del suo ammontare.

    D. – Queste testate, senza il contributo pubblico, non riescono a vivere?

    R. - Queste testate percepiscono il contributo pubblico solamente per una parte: circa una settantina di testate sulle 190 che aderiscono alla Federazione italiana settimanali cattolici, per un milione di copie a settimana. Si tratta delle maggiori testate, quelle più organizzate, quelle più grandi. Nel suo complesso, ai giornali cattolici arrivano circa quattro milioni di euro l’anno che su un ammontare di 150 milioni sono veramente briciole. Ma su queste briciole, noi ci contiamo. Per il futuro, noi abbiamo fatto ricorso a due principi da applicare: rigore ed equità. Rigore perché bisogna essere più rigorosi nel concedere questi contributi a chi è virtuoso e a chi svolge un reale servizio informativo; equità perché situazioni simili andrebbero trattate, a nostro avviso, in maniera uguale.

    D. – Quante sono le testate cattoliche a rischio?

    R. – A rischio pensiamo non ce ne siano tantissime, anzi vorremmo dire che non ce n’è nessuna. Con questo intendo dire che le diocesi provvedono sempre ad aiutarci in qualche modo, anche se ci rendiamo conto che non sarà facile far fronte con decine di migliaia di euro, al posto dei contributi per l’editoria che si aggirerebbero intorno ad alcune centinaia di migliaia di euro. Questo comporta ulteriori riduzioni di uscite, pagine e colore, quindi una contrazione nell’informazione da parte nostra.

    D. – Quante sono le persone impiegate nelle testate cattoliche?

    R. – Per i giornali che percepiscono i contributi pubblici, occupiamo circa 400 persone tra grafici, amministrativi e giornalisti. Ma nel complesso, noi diamo lavoro a 600-700 persone in Italia e a migliaia di collaboratori. Non solo, i giornali diocesani hanno sempre costituito una fucina di giornalisti: sono stati una scuola di giornalismo per tanti che oggi sono giornalisti famosi e per tanti giovani che ancora oggi non trovano posto dove poter provare la professione giornalistica.

    D. – Cosa fanno i giornali cattolici? Qual è la loro missione?

    R. - La loro missione, per definizione, è quella di occuparsi del territorio, dell’Italia e del mondo. Non siamo certamente giornali che si occupano di informazione ecclesiale ma siamo giornali ecclesiali - l’appartenenza è chiara, cioè la comunità diocesana - che si occupano dell’informazione in generale.

    D. – Forse, in futuro, i giornali di carta spariranno: i periodici cattolici sono pronti alla migrazione sul web?

    R. – Siamo pronti a questa sfida. Non crediamo che il web chiuderà i giornali di carta, ma si aggiungerà, come è sempre stato, un nuovo media agli altri esistenti. Nella storia recente, abbiamo compreso che il media nuovo – all’inizio – ha un po’ ucciso quello precendente, ma poi lo ha amplificato, gli ha fatto da cassa di risonanza. Più della metà dei nostri giornali possiede già un sito web e molti di questi lo aggiornano costantemente. Quindi, in un certo senso, anticipiamo anche i quotidiani. (bi)

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    "No" della Cei al biglietto d'ingresso nelle chiese italiane. Intervista con mons. Paglia

    ◊   I vescovi della Cei dicono "no" al biglietto d’ingresso nelle chiese aperte al culto. Lo ribadiscono in una nota dettagliata, che sgombra il campo da interpretazioni fallaci e da abusi. Sulla questione, Roberta Gisotti ha intervistato mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni-Narni-Amelia, e membro del Consiglio permanente della Cei che ha redatto il documento:

    D. – Eccellenza, dove nasce l’esigenza di questa nota e quali sono i punti salienti?

    R. – L’esigenza nasce dal fatto che erano state fatte alcune obiezioni, perché, in effetti, ci sono circa una cinquantina di chiese dove, in maniera differenziata, si paga un ticket di ingresso, ed era importante ribadire che la Chiesa è un luogo sacro. In Italia, ci sono quasi 100 mila chiese e ovviamente sono tutte gratuite, salvo questa piccola eccezione, che peraltro a volte riguarda unicamente alcune adiacenze delle chiese. Ma che si salvaguardi, si ribadisca con forza che la chiesa è un luogo di accoglienza e di preghiera. Questa è una tradizione antichissima. Ricordo, ad esempio, che nei secoli moderni le chiese erano anche luogo di asilo per i condannati. Se uno era condannato a morte e riusciva a entrare in chiesa, non poteva essere tratto fuori con la forza, neppure dalla Chiesa stessa. Questo per dire quanto uno spazio come quello della preghiera sia santo.

    D. – A dire il vero, questa pratica è più diffusa all’estero, ma evidentemente il fatto che diverse chiese italiane abbiano imposto un biglietto ha preoccupato. La nota prevede anche casi eccezionali, a giudizio del vescovo. Quali casi possono essere?

    R. – Casi eccezionali derivano da una considerazione: che non c’è tanto denaro per restaurare chiese soprattutto di grandissimo prestigio e quindi anche di grandissima spesa – e allora alcuni, preoccupati, chiedono che in quelle circostanze possa essere venduto qualche biglietto. In realtà, il Consiglio permanente della Cei ha deciso che comunque debbano rimanere spazi liberi per la preghiera, in maniera totale e assoluta. Se uno vuol visitare il campanile o vuol visitare un battistero o una cripta allora è possibile, in questi casi straordinari, poter esigere il pagamento di un biglietto: come principio generale, però, è assolutamente indispensabile che la chiesa resti un libero luogo di preghiera e di accoglienza.

    D. – Per venire incontro a esigenze economiche per la manutenzione, non è possibile prevedere delle richieste di offerte volontarie…

    R. – Assolutamente. Io credo sia importante essere intelligenti e creativi per venire incontro a questa prospettiva. Posso fare un esempio di quando sono stato parroco nella Basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma. Per chiedere l’aiuto dello Stato italiano per restaurare una chiesa che è un monumento straordinario per tutti, un patrimonio dell’umanità, dovevo garantire l’apertura al pubblico con gli orari di un museo. Io ho fatto ancora di più e l’ho lasciata aperta tutto il giorno, anche durante le ore dei pasti. Questa, per esempio, è una modalità che si può usare. Negli altri casi, è importante che i fedeli stessi, la popolazione di una città o di un quartiere possa contribuire. Questo richiede ovviamente una capacità di dialogo, d’incontro, perché si comprenda che certi monumenti hanno bisogno di manutenzione e a volte di una consistente cifra di denaro. Penso, però, che non si debba assolutamente cedere alla tentazione di dire: "si apre, pagando".(ap)

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Egitto: in Sharqia, chiesa e abitazioni dei copti bruciate da duemila estremisti islamici

    ◊   Circa 2mila salafiti hanno bruciato ieri la chiesa di St. Mary e St. Abram, la casa del parroco e diversi edifici della comunità copta, nel villaggio di Meet Bashar ( provincia di Sharqia, circa 50 km a nord est del Cairo). Dallo scorso 12 febbraio, la zona è teatro di scontri fra estremisti islamici e cristiani. La calma è tornata solo oggi grazie alla mediazione di alcuni leader del partito Giustizia e Libertà dei Fratelli musulmani, che hanno convinto i salafiti a lasciare il villaggio. A scatenare le violenze è stata la scomparsa di Rania Khalil, ragazza cristiana di 14 anni, sparita lo scorso 12 febbraio dopo la conversione del padre all'islam. La giovane è stata ritrovata oggi ed è ora nella mani della polizia, che la interrogherà nei prossimi giorni insieme alla madre. Secondo i salafiti i cristiani hanno rapito la ragazza per evitare la sua conversione all'islam. Padre Rafic Greiche, portavoce della Chiesa cattolica egiziana, sottolinea che dopo la vittoria dei partiti islamici alle elezioni, i casi di attacchi contro i copti sono in aumento in tutto il Paese. L'ultimo si è verificato lo scorso 27 gennaio nel villaggio di Kobry-el-Sharbat a pochi chilometri da Alessandria. I salafiti hanno tentato di cacciare 62 famiglie cristiane - l'intera comunità copta del villaggio - dando fuoco alle loro abitazioni. Ciò è avvenuto in seguito alla denuncia da parte di alcuni musulmani contro Mourad Samy Guirgis, sarto cristiano, accusato di tenere nel suo cellulare foto "illecite" di una donna musulmana. "I radicali islamici - afferma padre Greiche - utilizzano il pretesto dei casi di conversione dall'islam al cristianesimo e viceversa per attaccare e spaventare la comunità copta e costringerla alla fuga. Ciò accade in tutto l'Egitto". "Nei media occidentali - spiega - vi è spesso l'idea che gli scontri fra cristiani e musulmani di natura religiosa avvengano solo nell'Alto Egitto e nei quartieri poveri del Cairo, dove la popolazione è più ignorante. In realtà quando il tema è la conversione da una religione all'altra non vi sono differenze fra ricchi e poveri, colti e ignoranti, Alto o Basso Egitto". Padre Greice fa notare che nella società musulmana chiunque si converte al cristianesimo è un reietto. Chi invece denuncia le conversioni forzate all'islam non viene difeso dalle autorità e nella maggior parte dei casi è costretto a ritirare le accuse attraverso pressioni e minacce. Secondo il sacerdote tale situazione si aggraverà in futuro: "I salafiti sono il secondo partito d'Egitto. Grazie al risultato elettorale essi controllano circa il 20% del parlamento e nei prossimi mesi potrebbero far valere le loro posizioni anticristiane anche da un punto di vista politico". (R.P.)

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    Pakistan: studenti cristiani universitari discriminati perché “non imparano il Corano”

    ◊   Gli studenti cristiani che partecipano agli esami di ammissione nelle università statali sono discriminati e svantaggiati perché “non sanno a memoria il Corano”: è la denuncia inviata all'agenzia Fides dalla Commissione nazionale “Giustizia e Pace” dei vescovi del Pakistan. La Commissione ha presentato un ricorso ufficiale all’Alta Corte di Lahore contro il governo, chiedendo che, nei concorsi pubblici, non siano inserite indicazioni o requisiti inerenti la religione islamica come “lo studio del Corano”. Il caso è nato perchè uno studente cristiano, Aroon Arif, ha ottenuto punteggi altissimi all’esame di ammissione alla Facoltà di medicina dell’Università statale delle Scienze di Lahore (ha superato le prove con 930 punti su 1100 e 860 su 1100), ma non è riuscito a entrare solo perché i concorrenti hanno ottenuto 20 punti in più grazie alla prova di “conoscenza del Corano”. Secondo la Commissione e i diversi leader ascoltati dalla Corte, “tale pratica è discriminatoria e viola la Costituzione del Pakistan”. “Crediamo fermamente che far crescere i bambini nella religione sia responsabilità dei genitori o dei familiari, e non di un istituto universitario pubblico, a cui deve poter accedere qualsiasi studente, al di là della sua fede religiosa” ha detto Alexander John Malik, vescovo protestante di Lahore, della “Chiesa del Pakistan”. Il vescovo ha proposto che, nell’attuale ordinamento, anche le Chiese cristiane possano dare, sulla base del principio di uguaglianza, “20 punti extra agli allievi cristiani”. Un’altra soluzione, prospettata da alcuni leader politici locali, è assegnare agli studenti cristiani 20 punti extra grazie a un esame di informatica. L’importante è porre fine alla “discriminazione istituzionalizzata sulla base della religione”, nota la Commissione “Giustizia e Pace”, “rimuovendo riferimenti e pregiudizi di natura religiosa nei curriculum educativi statali, che dovrebbero concentrarsi sui valori umani universali”. L'Alta Corte di Lahore ha esaminato il ricorso nel gennaio scorso e dovrebbe emettere un verdetto a breve. (R.P.)

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    Myanmar: il governo avvia un piano di riconciliazione con le minoranze etniche

    ◊   Il governo del Myanmar ha ufficialmente espresso l’intento di avviare una piena riconciliazione con le minoranze etniche, ma la neonata “Commissione Nazionale sui Diritti Umani” (Nhrc) non indagherà, per ora, sulle violazioni dei diritti umani nei conflitti, passo ritenuto “prematuro”. Fonti dell'agenzia Fides in Birmania notano che “il processo di riconciliazione sarà lungo e difficile, ma la volontà espressa dal governo lascia ben sperare”. Il presidente del Myanmar, Thein Sein, un ex generale che ha preso il potere l'anno scorso, si è pubblicamente impegnato a cercare una “pace duratura” con i ribelli armati e ha lanciato un appello per la fine delle ostilità con gli eserciti dei gruppi etnici minoritari. Il Presidente ha promesso di attuare sforzi concreti per porre fine a decenni di conflitti, come parte del programma di riforme che il governo ha promosso negli ultimi mesi. Il governo del Myanmar ha raggiunto accordi di pace provvisori con i gruppi ribelli nella parte orientale del Paese, dove ci sono le popolazioni di etnia Shan e Karen, ma nel Nord prosegue il conflitto con i gruppi Kachin. Come riferito in una nota inviata a Fides, la Ong “Christian Solidarity Worldwide”, che ha visitato di recente la zona di conflitto, ha constatato “torture e altri abusi” sulle minoranze, nonché “la questione degli oltre 50mila sfollati interni, che richiede una risposta urgente della comunità internazionale”. D’altro canto Win Mra, che presiede la della Commissione per i Diritti umani del Myanmar, ha rimarcato che “il processo di riconciliazione nazionale è una questione politica”, e che “indagare nelle aree di conflitto non è opportuno in questo momento”. La Nhrc ha visitato di recente il teatro di guerra nello Stato Kachin e ha esortato il governo e l'Organizzazione per l’Indipendenza Kachin (KIO) a “impegnarsi in un processo di dialogo”. (R.P.)

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    Vescovi dell'Asia: l'impegno per migranti e sieropositivi

    ◊   Cura e sostegno ai migranti, unita a un maggiore impegno da dedicare ai malati di Hiv/aids, virus che continua a colpire e a mietere vittime in tutto il continente asiatico. Sono le linee guida emerse da un seminario del Dipartimento per lo sviluppo umano (Ohd) della Conferenza dei vescovi dell'Asia (Fabc), che ha tracciato l'impegno dei cattolici per il 2012 nel settore sociale e sanitario. Per capire meglio le reali condizioni del lavoratori espatriati, i partecipanti al convegno - 21 membri del Bishops' Institute of Social Action (Bisa) e 19 laici, in rappresentanza di 25 nazioni, riuniti presso il centro pastorale dei Camilliani a Lardkrabang, vicino Bangkok - hanno incontrato i migranti nella provincia di Samutsakorn e i sieropositivi accolti nel Centro dei Camilliani nella provincia di Rayong. L'esperienza acquisita durante la visita a poveri e malati servirà, in un futuro prossimo, ad avviare la seconda fase di interventi sul campo, a testimonianza dell'impegno e dell'attenzione della Chiesa ai settori più disagiati della popolazione. La risoluzione finale verrà adottata dai vertici cattolici verrà presentata a tutte le diocesi, alle parrocchie, alle Comunità ecclesiastiche di base (Bec) per un'attuazione concreta. Mons. Philip Banchong Chaiyara, vescovo di Ubon Ratchathani e presidente Ohd, sottolinea che i migranti richiamano all'impegno della Chiesa verso i più poveri e invita a lavorare per "migliorare i loro livelli di vita" partecipando alla loro vita e alle loro sofferenze. Il prelato, che è anche presidente della Commissione cattolica per l'Aids, ricorda il messaggio diffuso il primo dicembre in occasione della Giornata mondiale sull'Aids ed esorta "fedeli, sacerdoti e religiosi a prestare particolare attenzione all'opera di prevenzione". In base alle ultime statistiche, diffuse nel novembre 2011 dal Dipartimento di epidemiologia del ministero thai della Sanità, vi sono a oggi 419.966 sieropositivi nel Paese, di cui 43.267 nella sola Bangkok. Solo lo scorso anno si sono registrati 2384 casi di Aids conclamato, con una media tra 6 e 7 nuovi infetti al giorno, in maggioranza giovani sopra i 15 anni e ragazze che hanno contratto il virus attraverso rapporti sessuali. Tra i malati, si sono registrati 98.721 decessi. Tra i principali fattori di rischio nella contrazione dell'Hiv vi sono il sesso per il 79,37%, la trasmissione da madre a figlio e la donazione del sangue per il 10,73%. Il rapporto dei malati fra maschi e femmine è di 3 a 1. Per quanto concerne le minoranze etniche, il maggior numero di contagi riguarda le minoranze birmane Karen (76.295 casi) e Karenni (13.217). Essi vivono in nove diversi campi profughi lungo il confine fra Thailandia e Myanmar, in un'area che copre quattro province: Mae Hong Son, Chiangrai, Tak (Mae Sot) e Kanchanaburi. (R.P.)

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    Sri Lanka: il cardinale Ranjith in sostegno dei pescatori che protestano per il caro carburante

    ◊   Proteste nello Sri Lanka contro il caro benzina. In prima linea ci sono i pescatori i quali temono che gli aumenti sul prezzo del carburante metteranno a dura prova la propria attività. “Non abbiamo bisogno di sussidi, ma di prezzi umani e sostenibili. Altrimenti, il governo decreterà la nostra fine, e quella della pesca su piccola scala”. Lo affermano all’agenzia AsiaNews alcuni delle migliaia di pescatori cattolici della Western Province, che in questi giorni hanno bloccato le strade della capitale Colombo. L’arcivescovo della città, il card. Malcolm Ranjith, ha provato a parlare personalmente con il ministro della Pesca, Rajith Senarathna. Il politico ha fatto sapere che il governo metterà a disposizione dei sussidi, ma non abbasserà i prezzi che sono aumentati a partire dallo scorso 11 febbraio. Il diesel è salito a 31 rupie (circa 20 cent di euro) al litro; la benzina a 12 rupie (circa 8 cent di euro) al litro; il cherosene a 35 rupie (22 cent euro) al litro. Attraverso radio e televisione di Stato, Senarathna ha precisato che i rimborsi proposti dall’esecutivo sono di 25 rupie (circa 16 cent di euro) per il cherosene e di 12 rupie (circa 8 cent di euro) per il diesel. I pescatori giunti a Colombo provengono da Negombo, Kochchikade, Wennappuwa, Marawila, Chilaw e Mannar, villaggi e città costiere della Western e North Western Province. Dalla sola laguna di Negombo sono giunti più di cinquemila persone, tra uomini, donne e bambini. Il 12 febbraio scorso, tutti i pescatori della Northern Province hanno issato bandiere nere e fermato le loro barche per una giornata, in segno di solidarietà con i manifestanti a Colombo. Fino ad ora la protesta si è svolta in modo pacifico nonostante alcuni momenti di tensione quando alcuni manifestanti hanno distrutto insegne statali e bruciato copertoni. "Di norma - hanno spiegato - il proprietario di un'imbarcazione come la Fiber Replaced Plastic (Frp) spende circa 3mila rupie (18,9 euro) al giorno in carburante. Con i nuovi prezzi, deve spendere circa 4.500 rupie (28,4 euro) al giorno. È una somma insostenibile per noi piccoli pescatori". Herman Kumara, coordinatore nazionale della Nation Fisheries Solidarity Movement (Nafso), conferma le paure dei pescatori: "Questa volta è troppo, nessuno di loro può sopravvivere con questi prezzi". Alla protesta si sono aggiunti anche gli autisti della Lanka Private Bus Owners Association (Lpboa), compagnia privata di trasporto pubblico che dispone di 20mila mezzi su tutto il territorio nazionale. Tuttavia, l’organismo ha revocato lo sciopero dopo aver raggiunto un accordo con il governo sul prezzo delle corse, salito del 20%. (E. B.)

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    Usa: i vescovi della Florida preoccupati per l'aumento delle condanne a morte

    ◊   L'arcivescovo di Miami, mons. Thomas Wenski e cinque vescovi della Florida, hanno inviato una lettera al governatore Rick Scott, chiedendo di sospendere l'esecuzione di Robert Waterhouse e commutare la condanna a morte con l'ergastolo senza possibilità di libertà condizionale. “Questo provvedimento manifesterebbe la convinzione della dignità unica di ogni individuo e della santità della vita umana. Sarebbe riconoscere Dio come Signore della vita ed essere più coerenti con lo spirito del Vangelo” si legge nella lettera, che è datata 13 febbraio 2012. L'esecuzione per iniezione letale di Robert Waterhouse - riferisce l'agenzia Fides - è fissata per oggi, alle ore 23 Gmt, nel carcere di Stato di Starke, a nord dello stato della Florida, secondo l'ordine che il governatore Scott ha firmato lo scorso gennaio. La lettera manifesta la preoccupazione dei vescovi per l'aumento pianificato delle esecuzioni: da agosto 2011 sono una ogni tre mesi. Pertanto nella lettera chiedono al governatore di astenersi dal firmare nuove condanne a morte. “Chiediamo di studiare ciò che fanno negli altri Stati in cui ci sono altre opzioni (ma non la morte del prigioniero) per raggiungere l'obiettivo di tutelare la società e punire il criminale” hanno suggerito. La difesa ha presentato ricorso la settimana scorsa contro l'esecuzione di Waterhouse, ma la Corte Suprema degli Stati Uniti finora non si è pronunciata. La Florida ha giustiziato 71 detenuti da quando è stata ristabilita la pena di morte nello Stato, nel 1976, e questa è la terza firmata dal governatore Scott dal gennaio 2011. (R.P.)

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    Colombia: i vescovi mediano sulla riforma della giustizia

    ◊   La Conferenza episcopale della Colombia (Cec) si è offerta come mediatrice nella discussione che è in corso tra il Governo nazionale e i tribunali sul progetto di riforma costituzionale della giustizia. Secondo quanto riporta l’agenzia Fides, la proposta viene dal presidente della Cec, mons. Rubén Salazar Gomez, arcivescovo di Bogotà, e dal segretario generale, mons. Juan Vicente Córdoba Villota, ausiliare di Bucaramanga, a seguito della visita fatta da diversi giudici ai vescovi riuniti a Bogotà per la 92.ma assemblea Plenaria. Il 10 febbraio scorso, presso la sede della Conferenza episcopale, erano presenti il presidente della Corte suprema, Javier Zapata Ortiz; il presidente del Consiglio di Stato, Gustavo Gomez Aranguren; Ricardo Monroy Church, presidente del Consiglio della magistratura, e il vice Presidente della Camera amministrativa del Consiglio superiore della magistratura, Jose Agustin Suarez Alba. Parlando ai giornalisti mons. Salazar Gomez ha spiegato che si sta cercando di stabilire dei canali di comunicazione. La Chiesa è continuamente chiamata al dialogo, alla consultazione e alla comprensione per costruire un Paese pacifico, “così cercheremo con tutti i mezzi di ottenere che le parti raggiungano un accordo”. In una nota inviata all’agenzia Fides si sottolinea che mons. Cordoba Villota ha detto che ci si adopererà “per evitare di far crescere la tensione fra le parti”. Ascoltare le parti è necessario per avere una visione e una conoscenza che permetta di “valutare, discernere e migliorare le posizioni”. I giudici hanno espresso preoccupazione per questioni quali l'accesso alla giustizia, la sua gratuità e la necessità di modernizzare l’aspetto tecnologico e della sistematizzazione. (E. B.)

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    Ucraina: rapporto del Consiglio per i diritti umani sulla restituzione dei beni alla Chiesa

    ◊   La questione della restituzione dei beni della Chiesa in Ucraina è un problema urgente per le relazioni tra Chiesa e Stato, nelle attuali condizioni. È l’opinione espressa dal commissario del Consiglio supremo per i Diritti umani dell’Ucraina, Nina Karpachova, nel Rapporto annuale sullo stato del rispetto e della protezione delle libertà e dei diritti umani in Ucraina. Secondo il commissario, il processo di restituzione degli edifici religiosi e di altri beni agli enti religiosi dovrebbe essere continuato e ha bisogno di essere regolamentato da una legge appropriata: “La sua approvazione - ha spiegato Karpachova - ridurrebbe considerevolmente l’asprezza dei conflitti che provocano tensioni nelle relazioni tra le diverse denominazioni e tra Stato e Chiesa”. Il Rapporto indica che attualmente solo il 69% degli enti religiosi dell’Ucraina è dotato degli edifici religiosi originari. Circa 8.000 enti religiosi - riferisce l'agenzia Sir - svolgono ancora le proprie attività in sedi in affitto o adattate. Secondo l’Istituto per la libertà religiosa, il monitoraggio svolto dall’ombudsman mostra che ci sono molti problemi in merito alla libertà di culto e di confessione nel Paese. Nel 2011, l’ombudsman ha ricevuto 4.760 domande di 99.486 persone in merito al miglioramento della legge vigente sulla libertà di culto e sugli enti religiosi; la procedura di rinnovo dei diritti delle comunità religiose alla restituzione dei beni ecclesiastici confiscati durante il regime sovietico; la restituzione degli edifici religiosi e di altri edifici ecclesiastici che sono di proprietà dello Stato o di proprietà comune, etc. Secondo l’ombudsman, l’armonizzazione del modello nazionale di relazioni socio-religiose e Stato-Chiesa rispetto agli standard europei richiede l’approvazione del Consiglio per le relazioni Stato-Chiesa in Ucraina e il rinnovo delle leggi in vigore nel più breve tempo possibile. (R.P.)

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    Turchia: speranza dei vescovi per il riconoscimento giuridico della Chiesa cattolica

    ◊   La Conferenza episcopale turca chiede al governo di trovare una soluzione per gli immobili della Chiesa latina, sia quelli officiati sia quelli confiscati. Lo ha fatto nel corso di un colloquio svoltosi ieri tra leader e rappresentanti delle diverse comunità religiose della Turchia. Promosso dal ministro per gli Affari Europei e capo negoziatore per l’Adesione della Turchia all’Unione Europea, Egemen Bağış, l’incontro è stato voluto per affrontare le problematiche che riguardano i luoghi di culto. Il portavoce della Conferenza episcopale turca, Rinaldo Marmara, in una breve allocuzione, ha tracciato la storia della Chiesa latina cattolica di Turchia, da Bisanzio ai giorni nostri, insistendo sul fatto che la Chiesa latina è stata sempre messa da parte a causa della sua universalità, in opposizione alle Chiese locali (greca e armena ortodosse). In un comunicato stampa diffuso al termine dell’incontro, i vescovi della Turchia sottolineano che ancora oggi la Chiesa latina non ha una personalità giuridica e che per tale motivo ha perso i suoi immobili. A tal proposito le controverse questioni giuridiche dei primi anni del ‘900 non sono state ancora risolte. Le proprietà della Chiesa latina infatti, non sono iscritte sulla Lista del 1936, ma figurano sulla Lista detta di Bompard del 1913, firmata dal ministro degli Esteri dell’Impero ottomano Said Halim Paşa e il rappresentante della Chiesa in Turchia, l’ambasciatore di Francia Maurice Bompard. Ma i vescovi sperano che l’articolo addizionale n.17 della legge 5737 pubblicata il 27 agosto del 2011, possa chiarire le cose, e confidano nella volontà e nel desiderio del governo di trovare soluzioni sulla proprietà degli immobili della Chiesa latina in Turchia. (T.C.)

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    Mongolia: il cammino della Chiesa missionaria nel Paese

    ◊   Alla caduta del regime comunista, nel 1991, in Mongolia non risultavano esserci cattolici. Nel 2006 erano 600, compresi 350 nativi mongoli, e la prima vocazione del Paese è nata nel 2008. Ora, grazie alla presenza dei missionari salesiani vietnamiti, il cammino di evangelizzazione della Chiesa cattolica in Mongolia si sta rinnovando. Nel 1992, con la nuova costituzione che riconosce la libertà religiosa, diversi sacerdoti salesiani del Vietnam si sono dedicati alla rinascita della Chiesa locale, hanno ricostruito luoghi di culto e aiutato la popolazione dopo decenni di dittatura. Attualmente, nonostante la comunità cattolica sia ancora piccola, la Chiesa locale realizza una grande opera di assistenza, favorendo le opportunità di istruzione per tutti e promuovendone la partecipazione in attività sociali nuove e creative. La missione dei salesiani vietnamiti oggi dispone di un asilo, di una scuola di formazione tecnica, mense sociali, due aziende agricole e un Centro di accoglienza per 120 bambini disabili. I gruppi salesiani che si occupano di attività sociali aiutano i bambini di strada della capitale, Ulaanbatar, e le donne vittime di abusi. Nel 2002 Papa Giovanni Paolo II ha nominato il primo vescovo di questa regione, mons. Wenceslao Padilla, missionario filippino, della Congregazione del Cuore Immacolato di Maria, che ha guidato agli inizi la missio sui iuris (1992), ed è stato poi nominato vicario apostolico (2002) e infine prefetto apostolico di Ulaanbaatar (2003). Tra le altre iniziative, nel 1997 è stata portata a termine la cattedrale di San Pietro e Paolo. Nel 2004 è stata pubblicata la prima edizione della Bibbia in lingua mongola, oltre a vari libri di preghiere. Attualmente lavorano in Mongolia una sessantina di missionari di diversi Paesi e sono state erette quattro parrocchie, l’ultima nel 2007 nella città industriale di Darhan, al nord del Paese. (R.P.)

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    India: l’incontro dei preti diocesani di rito latino dedicato alla nuova evangelizzazione

    ◊   Per evangelizzare la società e dare adeguate risposte di fede ai suoi problemi, i sacerdoti devono dare l’esempio cominciando da se stessi. È l’esortazione con cui mons. Thomas A Vazhapilly, vescovo di Mysore e presidente della Conferenza dei vescovi indiani di rito latino (Ccbi) ha aperto ieri a Mumbai i lavori della del 10° incontro annuale della Conferenza dei preti diocesani dell’India (Cdpi) dedicato al tema della nuova evangelizzazione. Citando l’esempio della lotta alla corruzione al centro del dibattito politico nel Paese e affrontato dai vescovi alla loro recente plenaria biennale a Mangalore, mons. Vazhapilly ha sottolineato come ogni sacerdote è chiamato a partire da se stesso: “Quando parliamo di corruzione pensiamo sempre agli altri”, ha detto. In realtà chiunque “non faccia il proprio dovere, sia esso un medico, un insegnante, un sacerdote o un vescovo, è corrotto. Un sacerdote che non è onesto con se stesso è corrotto”. Lo stesso vale per la missione evangelizzatrice della Chiesa: “L’evangelizzazione deve essere parte integrante di ogni aspetto della nostra vita, dobbiamo evangelizzare noi stessi prima di evangelizzare gli altri”, ha detto il presule ripreso dall’agenzia Ucan. E questo riguarda in modo particolare i sacerdoti ordinati chiamati a guidare il loro gregge come Mosè e a continuare l’opera redentrice di Cristo. Una missione – ha rilevato – che purtroppo alcuni sacerdoti interpretano in senso restrittivo, limitandola alla celebrazione dell’Eucaristia. La nuova evangelizzazione – ha quindi concluso mons. Vazhapilly - deve essere considerata come il quinto Vangelo: “Ogni battezzato deve vivere nella propria vita quotidiana i quattro Vangeli diventando il quinto Vangelo vivente”. La riunione dei preti diocesani indiani si conclude domani. (L.Z.)

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    Lussemburgo: l’impegno della Chiesa nella difesa delle vittime di abusi

    ◊   “Di fronte al male inflitto alle vittime di abusi sessuali da parte del clero, la Chiesa cattolica del Lussemburgo vuole fare penitenza”: si legge così nel “Decreto arcivescovile concernente il riconoscimento del male inflitto alle vittime di violenze sessuali”, approvato nei giorni scorsi dalla Chiesa locale. “Al fine di dare un segnale chiaro - afferma il documento – e nella direzione di un accordo volontario per quei casi segnalati alla giustizia, ma non perseguibili perché caduti in prescrizione”, si stabilisce innanzitutto che “la Chiesa cattolica del Lussemburgo sosterrà con 50mila euro il progetto ‘Centro di azione comunitaria speranza del futuro’, situato nel quartiere povero di Morro São Carlos a Rio de Janeiro, in Brasile”. Inoltre, “nei casi in cui o le vittime delle violenze sessuali chiedano un risarcimento per il male loro inflitto o il ricorso per la richiesta di risarcimento non possa essere accolto perché caduto in prescrizione, un’indennità dovrà comunque essere accordata, in primo luogo da parte dell’autore del crimine”. Se poi, continua il decreto della Chiesa del Lussemburgo, “per ragioni incomprensibili, l’autore del crimine dovesse rifiutare la propria responsabilità, allora la Chiesa assegnerà alla vittima fino ad un massimo di 5mila euro”. Le domande di risarcimento saranno vagliate da una commissione indipendente di laici, creata per l’occasione, la quale vaglierà le richieste pervenute entro tre mesi. (I.P.)

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    Irlanda: la Conferenza episcopale lancia un progetto di assistenza sanitaria

    ◊   La Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale irlandese ha lanciato il suo progetto di assistenza sanitaria per i fedeli del Paese. Il documento è stato presentato presso l’ospedale “Mater Misericordiae” di Dublino, gestito dalle Suore della Carità, che nel 2011 ha celebrato i 150 anni di attività. “Il progetto episcopale – si legge in una nota dei vescovi – vuole essere una risposta all’attuale programma di governo in campo sanitario ed è ispirato ai principi-cardine della Dottrina sociale della Chiesa: dignità umana, bene comune, partecipazione, solidarietà e sussidiarietà”. In effetti, nel marzo 2011 il governo irlandese ha pubblicato una proposta di riforma del sistema sanitario, anche per rispondere agli obiettivi fissati dall’Unione Europea. In particolare, il piano dell’esecutivo si concentra sulla creazione di un unico livello di servizio sanitario, finanziato da un’assicurazione universale, da introdurre entro il 2016. Come sottolinea mons. Raymond Field, presidente della Commissione episcopale Giustizia e Pace, “il tema dell’assistenza sanitaria e della giustizia è una nostra preoccupazione da lungo tempo. Il progetto presentato lunedì scorso è scaturito anche dalle consultazioni con le Congregazioni religiose impegnate nel campo sanitario”. Ma il messaggio che i vescovi irlandesi vogliono lanciare è che “il concetto di sanità è più ampio di quello di assistenza sanitaria o di servizi sanitari. Oggi, occorre un approccio multidimensionale: ad esempio, il documento episcopale sottolinea l’impatto dell’educazione nelle scelte che le persone compiono in relazione alla propria salute”. Allo stesso tempo, la Chiesa irlandese esprime perplessità su alcuni punti della riforma sanitaria che il governo vuole attuare: in particolare, i vescovi si dicono preoccupati del fatto che “il progetto dell’esecutivo guardi con poca attenzione ai fattori sociali che riguardano la sfera sanitaria e si concentri, invece, strettamente sui servizi sanitari”. “I servizi medici – continuano i presuli – sono solo uno dei fattori che aiuterà a migliorare la salute della popolazione negli anni a venire. Di fatto, abbiamo bisogno di un approccio equilibrato che dia la dovuta attenzione non solo ai servizi medici, ma anche ad altri fattori. In sostanza, ciò che serve è una politica sanitaria, non solo una politica di servizi sanitari”. Tra l’altro, continuano i vescovi, “gli obiettivi del governo in materia di sanità spesso sono espressi con i numeri: riduzione della durata della degenza in ospedale, aumento dei posti letto… Ma non dobbiamo dimenticare dietro le statistiche ci sono persone che soffrono ed altre che si prendono cura di loro”. Per questo, concludono i presuli, “in vista della riforma del sistema sanitario, dobbiamo essere motivati innanzitutto dalla solidarietà”, anche perché “non ci si può dimenticare che la salute è fondamentale per il bene comune”. (A cura di Isabella Piro)

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    Australia: i vescovi chiedono di ricristianizzare la festa di San Valentino

    ◊   Bisogna ricristianizzare la Festa di San Valentino, divenuta ormai troppo secolarizzata: è l’appello lanciato dalla Conferenza episcopale australiana, in occasione della “festa degli innamorati”. “È meraviglioso – scrivono i vescovi in una nota – che oggi tante coppie possano celebrare il loro amore. Noi vogliamo puntare l’attenzione sul fatto che San Valentino è stato un Santo reale e che questa festa ha una storia religiosa, una storia che dimostra l’importanza del sacramento del matrimonio nella società”. Per l’occasione, e per il terzo anno consecutivo, la Chiesa australiana ha preparato un kit informativo destinato ai parroci, alle famiglie e alle scuole. Composto da sette pagine, il documento riporta suggerimenti per le omelie e le preghiere da recitare nelle Messe odierne, un formulario per la benedizione delle coppie, la storia di San Valentino ed alcuni consigli per gli innamorati, come questo: “Trasforma la festa di San Valentino in qualcosa di speciale. Invece di regalare fiori o cioccolatini, regala la tua presenza. Prendi l’impegno di dedicare 10 minuti al giorno alla condivisione con l’altro degli alti e bassi della vita”. “In un mondo in cui la sessualità ed il matrimonio vengono ampiamente dissacrati – si legge nel kit – l’amore reciproco di una coppia sposata è un forte segno di speranza per tutti gli altri”. La Conferenza episcopale australiana ribadisce, poi, che “nella tradizione cattolica, alcuni dei più importanti segni della presenza di Dio sono i sacramenti. E il sacramento del matrimonio ha in ruolo vitale nel rivelare l’amore appassionato che Cristo ha per la sua sposa, la Chiesa”. Per questo, “l’amore costante tra moglie e marito testimonia il fatto che Cristo ama, perdona, sana e guarisce gli amati fedeli di San Valentino”. Infine, i vescovi australiani sottolineano che “l’amore è un sentimento da imparare, è tensione e realizzazione, è gioia e dolore. Non c’è una cosa senza l’altra. Questo kit vuole dare speranza alle coppie ed incoraggiale ad includere Dio nel loro rapporto”. (I.P.)

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    Messico: aperto il website per la visita del Papa

    ◊   “Dalla Conferenza episcopale messicana diamo un caloroso benvenuto al sito ufficiale della Visita apostolica di Papa Benedetto XVI in Messico, che è entrato in funzione la sera del 13 febbraio. Siamo sicuri che questo sito sarà una fonte di informazioni preziose per la Chiesa in Messico e per tutto il mondo”, con queste parole la Conferenza episcopale invita a visitare il nuovo sito - www.benedictomexico.mx - che mostra l’immagine della Madonna di Guadalupe e la foto di Papa Benedetto XVI con le parole: “La nostra Speranza si sente in tutto il Messico… Benvenuto Benedetto!”. Oltre alla biografia del Papa ed ai principali documenti da Lui firmati, il sito presenta i dettagli della visita di Benedetto XVI, l’itinerario, il programma generale, con una sezione preparata per i discorsi, le celebrazioni ed i comunicati. C’è anche una presentazione dei luoghi che visiterà il Papa e uno spazio per le foto che saranno pubblicate. La parte inferiore del sito riporta la preghiera per la visita del Papa e la possibilità di registrarsi come volontari nella preparazione. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 46

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli.