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Sommario del 04/02/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Simposio alla Gregoriana sugli abusi su minori compiuti dal clero: intervista con padre Hans Zollner
  • Credibilità e trasparenza: l'editoriale di padre Lombardi per "Octava Dies"
  • La Chiesa in Africa, segno di riconciliazione e di pace. Intervista al prefetto di Propaganda Fide mons. Filoni
  • Nomina
  • Comunicato della Presidenza del Governatorato
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Maltempo. Oltre 170 le vittime nell'Est Europa. In Italia la neve paralizza il Centro-Sud. Caos a Roma
  • Russia: opposizioni in piazza per l'apertura della campagna elettorale
  • Ripetuti episodi di violenza contro religiosi nel Continente americano
  • Giornata mondiale per la lotta al cancro: attività fisica, importante elemento di prevenzione
  • I giovani al centro della 34.ma Giornata italiana per la Vita, promossa dalla Cei
  • Concluso a Gerusalemme il Congresso internazionale dei commissari francescani di Terra Santa
  • Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Simposio a Roma dei vescovi africani ed europei sull'evangelizzazione
  • Africa occidentale: risoluzioni finali dell’Assemblea della Recowa-Cerao
  • Rwanda: incontro ecumenico sulla pace e la sicurezza in Africa
  • India: leader protestante condanna le aggressioni indù contro scuole cristiane
  • Nel mondo i morti per malaria sono 1,2 milioni: il doppio di quelli stimati dall’Oms
  • Indonesia: la Chiesa di Papua prepara il dialogo fra Jakarta e indipendentisti
  • A Java centrale la Chiesa indonesiana festeggia un boom di vocazioni
  • Il Papa e la Santa Sede



    Simposio alla Gregoriana sugli abusi su minori compiuti dal clero: intervista con padre Hans Zollner

    ◊   E' stato presentato ieri a Roma il Simposio intitolato "Verso la Guarigione e il Rinnovamento" che vedrà riuniti vescovi cattolici e superiori degli ordini religiosi sulla questione degli abusi sessuali sui minori, che si svolgerà presso la Pontificia Università Gregoriana dal 6 al 9 febbraio. Al Simposio prenderanno parte i rappresentanti di oltre 100 Conferenze episcopali, dieci cardinali e più di 40 relatori altamente specializzati. Il servizio di Stefano Leszczynski:

    La Chiesa torna ad affrontare il drammatico e penoso tema degli abusi sui minori commessi da esponenti del clero con un Simposio sul tema prioritario della tutela dei più vulnerabili e l’assistenza alle vittime degli abusi. La priorità della Chiesa – ha spiegato mons. Charles Scicluna, promotore di Giustizia per la Congregazione per la Dottrina della Fede – è la protezione dei bambini, che “deve essere un principio e una preoccupazione permanente in ogni decisione" della Chiesa, aggiungendo che ''non ci può essere una distinzione tra il bene della Chiesa e la protezione dei giovani''. “Il Simposio – ha spiegato padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana – non è una conferenza fine a sé stessa, ma rappresenta un contributo specifico nell’ambito di un cammino in cui si prospetta una strategia”. Dal Simposio, organizzato dall’Università Gregoriana, dovrà, dunque, arrivare un input che aiuti i pastori della Chiesa ad affrontare nella pratica il drammatico tema degli abusi sui minori. Tra le iniziative che prenderanno concretamente vita al termine dei lavori vi sarà l’immediata operatività del Centro per la protezione dei bambini, con sede a Monaco, con un programma di apprendimento a distanza. Il progetto è stato reso possibile anche grazie al contributo della Papal Foundation, direttamente autorizzato dal Santo Padre. Ampia la partecipazione al Simposio, con la presenza di delegati da 110 Conferenze episcopali e dei superiori generali di oltre 30 ordini religiosi. Ad aprire i lavori sarà il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, cardinale William Levada, con una prolusione sul tema “L’abuso sessuale sui minori. Una poliedrica risposta alla sfida”. Tra i relatori si conta anche una delle vittime degli abusi, la signora Marie Collins, che porterà la propria personale testimonianza su come dare voce alle vittime delle violenze sessuali avvenute nell’ambito della Chiesa. Durante i tre giorni di Simposio, è prevista anche una particolare Veglia penitenziale, che sarà presieduta dal cardinale Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi per chiedere il perdono delle vittime degli abusi. Sulle priorità di questo Simposio abbiamo intervistato padre Hans Zollner, preside dell’Istituto di psicologia della Gregoriana e presidente del Comitato organizzatore dell'evento:

    D. - Padre Zollner come si attua il cammino verso la guarigione per le vittime degli abusi?

    R. – Sappiamo che la misura migliore è quella di ascoltare, quella di dare ascolto alla sofferenza. Questo è successo, per esempio, negli ultimi mesi in Irlanda, dove lo scandalo degli abusi è molto presente nella società e nella Chiesa. Questa è la cosa principale. Oltre a questo, molte persone hanno ricevuto anche dalla Chiesa un sostegno per essere aiutati con la psicoterapia o con un altro tipo di terapia; e poi un riconoscimento anche dal punto economico che certamente esplicita che la Chiesa si assume la responsabilità di ciò che hanno fatto, del male che è stato commesso dai suoi ministri.

    D. – Molte di queste vittime desiderano ardentemente riuscire a rimanere e a riconciliarsi con la Chiesa. Ora quanto è importante aiutare questo riavvicinamento e com’è possibile, soprattutto, riuscire a farlo?

    R. – Si deve vedere caso per caso: ogni persona è individuale e certamente nel modo in cui le persone incontrano la loro sofferenza, bisogna vedere quanto sono ferite, quanto vogliono che questa riconciliazione possa realmente avvenire. Per alcune persone il capitolo Chiesa è chiuso per sempre, perché sono talmente deluse, sono così ferite che non c’è possibilità di cambiare questo loro atteggiamento. Altre, invece, proprio perché vogliono riconciliarsi profondamente con loro stesse devono lavorare anche per una ulteriore riconciliazione di fronte a questa realtà o di fronte ai rappresentanti di questa istituzione che le hanno ferite; ci sono poi persone che, oltre a questo, vogliono aiutare - da vittime - la Chiesa affinché non si ripetano episodi così tragici e che vogliono far sentire la loro voce per risvegliare ancora di più l’attenzione e la sensibilità all’interno della Chiesa, ma anche nel mondo e nella società per agire decisamente affinché questi abusi non si ripetano.

    D. – Nei confronti, invece, di chi ha commesso degli abusi: ci si chiede spesso come si debba agire?

    R. – Ciascuna persona che abusa un’altra persona deve essere trattata a seconda delle sue capacità e anche della sua presa di coscienza riguardo a quanto ha fatto. Ci sono alcune persone che hanno compiuto gli abusi ma che non hanno maturato la minima attenzione e la minima sensibilità per le vittime e per ciò che hanno fatto; ci sono alcune di queste persone che sono veramente incurabili e possono essere soltanto trattenute: si deve quindi vedere in che contesto possono essere controllati. La soluzione non può essere di dimetterli semplicemente dal sacerdozio o dalla vita consacrata, perché se poi non c’è nessun controllo le cose si ripetono. Certo è uno scandalo all’interno della Chiesa, ma la Chiesa è anche una comunità di peccatori: per cui la Chiesa non può semplicemente distanziarsi e cacciar via i colpevoli, ma deve offrire le terapie possibili… Con alcuni funzioneranno, con alcuni molto poco. Si deve quindi vedere di cosa sia capace una persona, quanto spazio di crescita ha e quanto sia cosciente del male e regolarsi di conseguenza.

    D. – E’ vero che gli aggressori sessuali si trovano ovunque nella società. Nella Chiesa, tuttavia, non si capita per caso, ma si sceglie di entrare e in un certo senso si viene ammessi: nell’ambito della prevenzione è possibile fare qualcosa, ad esempio, per valutare se ci sono persone predisposte ad un determinato atteggiamento o meno?

    R. – Ci sono alcuni segni molto chiari, che indicano che potrebbe esserci un problema, anche un problema relativo ad una personalità pedofila. La psicologia, come tutta la conoscenza umana, è fallibile: la psicoterapia e la psichiatria non sono scienze esatte. Nell’ammissione al sacerdozio i criteri devono essere molto chiari e questo è quello che la Congregazione per l’educazione cattolica, per esempio, ha ribadito anche ultimamente: nella selezione e nella scelta dei candidati al sacerdozio, dobbiamo veramente adoperare dei criteri molto rigorosi.

    D. – Nel cercare le cause di determinate tragedie, è lecito interrogarsi su quante siano le responsabilità della società e dell’ambito culturale in cui viviamo oggi…

    R. – Attualmente abbiamo un calo nei casi di abuso nelle società di cui abbiamo statistiche. Parliamo solo dell’Occidente, parliamo solo dei Paesi del Nord America e dell’Ovest dell’Europa. Non abbiamo statistiche sicure per nessun Paese, perché intorno agli abusi e specificamente alla pedofilia e cioè all’abuso sessuale di bambini, prima cioè dell’adolescenza, c’è una omertà incredibile. E questo specialmente perché moltissimi di questi casi succedono all’interno delle famiglie: qui è ancora molto, molto difficile parlare. Il picco dei casi di abuso lo abbiamo avuto all’inizio degli anni Settanta e fino a tutti gli Ottanta, e questo nel momento in cui la cosiddetta rivoluzione sessuale ha preso il sopravvento. Ultimamente, grazie a tutta questa attenzione – anche riguardo agli scandali all’interno della Chiesa – e grazie all’attenzione dei media, certamente il clima nella società è cambiato, la sensibilità è molto cresciuta. Certamente, però, in alcune società dove è presente la Chiesa – parliamo dell’Africa, parliamo dell’Asia, parliamo dell’America Latina – questa sensibilità non è ancora così presente, non è ancora cresciuta. Certamente non siamo ancora alla fine di tutte queste cose. (mg)

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    Credibilità e trasparenza: l'editoriale di padre Lombardi per "Octava Dies"

    ◊   La lotta alla piaga degli abusi sessuali su minori da parte di membri del clero e l'impegno per la trasparenza nelle attività finanziarie: sono due temi sui quali si sta contraddistinguendo con forza il Pontificato di Benedetto XVI. Su questo si sofferma si sofferma in particolare il nostro direttore generale, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per "Octava Dies," il settimanale d'informazione del Centro Televisivo Vaticano:

    In questi anni di dibattiti accesi e di forti critiche verso la Santa Sede e la Chiesa è assolutamente necessario tenere fermo il timone anche in acque agitate e – ispirandosi al seguito del Papa a criteri evangelici, di verità e di rigore morale – mostrare la ferma volontà di far risplendere una testimonianza coerente dei valori annunciati. La cosa è urgente in due campi che attirano grande attenzione del pubblico: la questione degli abusi sessuali su minori e la questione della trasparenza economico-finanziaria.

    Nel primo campo, la linea tracciata dal Papa e l’impegno sviluppato in diverse Chiese locali duramente provate dallo scandalo, hanno messo in movimento una serie sempre più vasta di iniziative di ascolto delle vittime, di intervento di aiuto, di approfondimento delle cause, di consapevolezza e prevenzione, per cui si può dire con fiducia che siamo sulla strada giusta. Il Convegno dei prossimi giorni presso la Università Gregoriana di Roma - “Verso la guarigione e il rinnovamento” - con la partecipazione di rappresentanti di oltre 100 Conferenze episcopali e 30 Ordini religiosi, e con il lancio di un Centro internazionale che ne continuerà gli impulsi, ne è la riprova. La Chiesa intende fare giustizia, rinnovarsi, essere capace di aiutare una società e un mondo in cui gli abusi sessuali dilagano a combattere efficacemente questa piaga.

    Nel secondo campo, la Santa Sede si sta impegnando per inserire le sue istituzioni nel sistema internazionale di controlli delle attività economiche per la lotta contro il riciclaggio, il crimine organizzato e il terrorismo. Diverse volte le istituzioni economiche vaticane, in particolare lo Ior, sono state accusate ingiustamente: proprio in questi giorni presso un tribunale degli Stati Uniti è stata conclusa per totale infondatezza anche la terza di ben tre cause mosse contro lo Ior negli scorsi anni. E ora, una serie di nuove normative garantirà sempre più efficacemente che le attività svolte con la motivazione del servizio della Chiesa siano del tutto trasparenti e sicure.

    La strada è lunga e difficile, ma la rotta è chiara e la volontà sicura. La testimonianza per il Vangelo ne avrà grande vantaggio.

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    La Chiesa in Africa, segno di riconciliazione e di pace. Intervista al prefetto di Propaganda Fide mons. Filoni

    ◊   “Promuovere la riconciliazione, la giustizia e la pace in Africa guardando alla Chiesa come famiglia di Dio”, così i vescovi della Conferenza episcopale regionale dell’Africa occidentale Recowa-Cerao, al termine della loro Assemblea che si è tenuta la settimana scorsa a Yamoussoukro in Costa d’Avorio. Un’assemblea che ha riunito per la prima volta l’Associazione delle Conferenze episcopali anglofone dell’Africa occidentale con quelle francofone e lusitane. Presente alla riunione, il prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, il cardinale designato l'arcivescovo Fernando Filoni il quale spiega al microfono di Roberto Piermarini il perché si è voluto riunire in una sola Conferenza di vescovi, tutti gli episcopali della regione dell’Africa occidentale:

    R. – Intanto dobbiamo considerare che l’Africa è un grande contenitore e che ci sono delle omogeneità tra regione e regione. In questa regione occidentale dell’Africa ci sono molte similarità a livello etnico, a livello anche linguistico locale, a livello religioso e anche a livello di problematiche: c’è una condivisione, ci sono similarità. Dunque la differenziazione linguistica che si aveva in passato: una parte anglofona, una parte francofona e una parte lusitana, era un aspetto che non poteva sostanzialmente reggere, proprio perché c’era un substrato comune. Quindi si è pensato che questo aspetto linguistico non dovesse essere una barriera e pertanto si è pensato di unificare la regione per affrontare insieme tutte le sfide pastorali, ma non solo.

    D. – La Chiesa in Africa come può farsi promotrice di riconciliazione, di giustizia e di pace come invocato dalle conclusioni della Plenaria in Costa d’Avorio?

    R. – Diciamo che questa regione proprio perché ha delle similarità, può affrontarle insieme per una omogenea visione e anche per i mezzi che dispone e dei quali, comunque, questa regione si può dotare. Dunque si può fare promotrice, perché ci sono appunto queste similarità, perché ci sono anche strumenti che permettono di lavorare insieme in una forma unitaria. I vescovi ritengono, quindi, che avendo questa possibilità il coordinamento – che tanto è stato auspicato anche a livello di Sinodo per l’Africa - sia assolutamente opportuno: quantomeno bisogna lavorare, perché anche se inizialmente potranno esserci delle differenziazioni, però si può lavorare per arrivare ad un’unificazione anche metodologica degli strumenti che si hanno a disposizione. E’ importante che anche i vescovi stessi si conoscono, è importante che si stimino reciprocamente, è importante che stabiliscano elementi di comunione reciproca. Questo aiuterà un po’ tutta la regione a trovare una visione unitaria all’interno delle problematiche della Chiesa, ma anche all’interno delle problematiche più ampie che sono quelle etniche, quelle politiche e sociali, etc.

    D. – Eccellenza, quanto incide nel processo di riconciliazione, di giustizia e pace la formazione del clero, delle varie componenti ecclesiali ma soprattutto dei giovani?

    R. – In questa regione abbiamo delle istituzioni che già lavorano a livello di Conferenze episcopali nazionali. Le istituzioni catechetiche superiori, per esempio, accolgono catechisti di un Paese o di un altro e questo specialmente se ci sono similarità linguistiche e culturali. Abbiamo ancora i Seminari, dove i seminaristi superiori di teologia, di filosofia, già si incontrando superando quelli che sono gli aspetti ovviamente nazionali. Specialmente laddove la Chiesa è minoritaria, c’è la necessità di avere istituzioni ben formate e soprattutto che sappiano dare una buona formazione comune. Questo permetto non solo la formazione stessa, ma anche che i giovani che si preparano alla vita religiosa – sacerdoti, religiosi e religiose e catechisti stessi – di conoscersi e quindi anche di condividere le problematiche che sono comuni. Dunque istituzioni catechetiche, scuole superiori, seminari, università già di fatto sono quelle componenti che lavorano in questo senso, proprio nella riconciliazione, nella giustizia e nella pace.

    D. – Quali raccomandazioni deve seguire la Chiesa africana dall’Esortazione apostolica “Africae munus”, pubblicata in Benin da Benedetto XVI?

    R. – Il tema stesso che è stato preso come elemento comune in questo incontro dei vescovi della Recowa-Cerao, è lo stesso del Sinodo e quindi promuovere la giustizia e la pace. I vescovi qui si sono molto richiamati all’Esortazione apostolica che quindi è diventata un po’ l’elemento centrale di riferimento per tutti gli incontri e per tutte le discussioni. D’altronde quello che l’“Africae munus” rende manifesti nelle due grandi parti e poi nei cinque capitoli che la compongono sono esattamente quello che i vescovi hanno ripreso e che stanno cercando di realizzare. Si pensi al servizio della riconciliazione, per esempio nel primo capitolo dell’“Africae munus”, che è esattamente quello che i vescovi hanno come intuizione voluto proprio per questa regione. Il Papa stesso nell’“Africae munus” parla di servizio alla riconciliazione e poi dei “cantieri per la riconciliazione”: dunque luoghi in cui i vescovi sono chiamati a collaborare. Anche nella seconda parte dell’“Africae munus” i vescovi sanno benissimo che qui il Papa ha parlato ai membri della Chiesa e quindi a vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi. Il Papa ha parlato in questo senso nei campi di apostolato e quindi la Chiesa, il mondo, la salute, l’informazione. Infine l’Esortazione, proprio perché insegnamento di Gesù, deve diventare il punto di riferimento costante in tutto questo lavoro che l’Africa in generale, ma che la regione Recowa-Cerao in particolare, devono portare avanti.

    D. – Eccellenza, di fronte alle sfide del fondamentalismo islamico in Africa come deve rispondere la Chiesa?

    R. – I vescovi hanno fatto proprio quello che già il Papa aveva, molto bene, delineato ed espresso nel numero 94 dell’“Africae munus”: ovviamente dobbiamo pensare che l’Africa, e in particolare questa regione, si trova in una complessità di rapporti con la realtà musulmana. In alcune parti e in alcuni Paesi c’è una buona relazione tra cristiani e musulmani, ma ci sono anche zone in cui vi è conflittualità e aggressività. Dunque il Papa ha esortato e i vescovi hanno fatto propri questi punti. Ad esempio mi riferisco alla stima che i cristiani devono avere verso i musulmani, perché c’è una condivisione nell’adorazione dell’unico vero Dio, vivente e sussistente. E questo è un aspetto fondamentale come substrato teologico per la stima stessa. C’è poi anche il fatto che i cristiani non possono utilizzare strumenti che siano contrari a quelli che sono poi i diritti stessi della persona e anche della fede e quindi è necessario bandire tutte le forme di discriminazione, di intolleranza, il fondamentalismo confessionale. Poi, come altro elemento, il Papa dice – e i vescovi sono perfettamente d’accordo – che bisogna aiutare chi è nel bisogno e noi sappiamo bene che in tante scuole, in tante istituzioni anche relative alla salute, all’educazione, le scuole cristiane sono miste, ci sono cristiani, ci sono musulmani, ci sono animisti. Dunque anche in questo si manifesta un aiuto che la Chiesa deve dare con una convinzione. Infine c’è la questione di ricercare sempre un dialogo paziente con i musulmani, rivendicando - come aspetto importante - la libertà religiosa, che è uguale per tutti; l’esercizio di culto, che deve essere rispettato per ciascuno; e, infine, la libertà di coscienza, senza la quale poi i diritti umani cadono. (mg)

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    Nomina

    ◊   In Colombia, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Neiva, presentata da mons. Ramón Darío MOLINA JARAMILLO, O.F.M., in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Neiva il reverendo Froilán Tiberio CASAS ORTIZ, del clero dell’arcidiocesi di Tunja, finora rettore del Seminario Maggiore arcidiocesano.

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    Comunicato della Presidenza del Governatorato

    ◊   La Presidenza del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano ribadisce, in una dichiarazione, “piena fiducia” nelle persone che collaborano all’amministrazione dell’organismo. Riferendosi alla pubblicazione abusiva di due lettere riservate, la nota sottolinea la correttezza della gestione del Governatorato, pur nella consapevolezza che “può essere ulteriormente perfezionata”. Ribadisce, quindi, che “la trasparenza e il rigore, lodevolmente perseguiti dalla precedente Presidenza, con pari impegno e altrettanta serenità, sono perseguiti anche dagli attuali Superiori”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, un editoriale di Cristian Martini Grimaldi dal titolo "Il Vangelo in 140 caratteri": anche su Twitter le parole di Gesù.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, la Siria, dove continuano i sanguinosi combattimenti.

    Novant'anni dall'elezione di Pio XI: in cultura, il saluto del cardinale Gianfranco Ravasi al convegno, a Desio, su Papa Ratti e il suo tempo, e la relazione di Alberto Guasco.

    Un articolo di Andrea Possieri dal titolo "Rileggendo Porzus si ripensa l'Italia": Tommaso Piffer cura un nuovo volume sul terribile eccidio del 7 febbraio 1945.

    La sottile differenza tra educare e istruire: intervista di Alessandro Scafi alla storica dell'arte Clare Hornsby sul progetto varato a Londra per una nuova università cattolica che si chiamerà "Benedictus".

    Giulia Galeotti recensisce il libro di Jean Vanier "Segni. Sette parole per sperare".

    Il duro che per una volta fece il santo: è morto Ben Gazzara grande interprete di don Bosco.

    In vetrina le opere di Papa Ratzinger: nell'informazione vaticana, l'inaugurazione di un bassorilievo con lo stemma pontificio (lunedì presso la Libreria Internazionale Benedetto XVI della Lev).

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    Oggi in Primo Piano



    Maltempo. Oltre 170 le vittime nell'Est Europa. In Italia la neve paralizza il Centro-Sud. Caos a Roma

    ◊   La morsa del freddo stritola l’Europa. Oltre 170 le vittime, la situazione peggiore in Ucraina dove si registrano, a causa del freddo, circa 50 morti. In Italia la neve sta paralizzando il Centro-Sud dove ha causato la morte di tre persone. E’ caos totale a Roma imbiancata nelle ultime 24 ore da una candida coltre bianca. Massimiliano Menichetti:

    Il gelo continua a mietere vittime in tutta l'Europa orientale. Il bilancio complessivo della guerra contro il freddo è di oltre 170 morti. Solo in Bielorussia si contano oltre cento vittime, in Polonia, dove la colonnina di mercurio è scesa sotto i 30 gradi, sono 50 ad aver perso la vita, ovunque interi villaggi sono isolati per le abbondanti nevicate. Situazione grave anche in Romania, 22 le vittime. In Bulgaria i media parlano di almeno 10 morti, come in Lettonia, ma decessi si registrano anche in Austria, Serbia, Grecia e Repubblica Ceca. Secondo l'Ufficio meteorologico di Londra, le temperature non saliranno a breve ed in molte aree ci saranno nuove nevicate. In Francia l'allarme neve è scattato in 41 delle 101 regioni. Situazione caotica anche in Italia dove il maltempo sta dando tregua al Centro-Nord, ma imperversa sul Centro-Sud. Paralizzata parte della Sardegna. In diverse regioni sta intervenendo l’Esercito, attive Caritas, centri di volontariato e Comuni per dare assistenza soprattutto ai senza tetto. Caos totale a Roma dove tra gesti di solidarietà e scatti fotografici di turisti e cittadini, la viabilità rimane paralizzata, molte le denuncie per l’assenza di soccorsi ed interventi in situazioni di emergenza. Caso emblematico la coda di automobili e camion bloccate per otto ore in otto chilometri, ieri sera, sul Grande Raccordo Anulare, oltre sedicimila le chiamate arrivate al 113 nel corso della notte. Tutt’ora bloccati nella Caserma di Cesano oltre 700 viaggiatori dei convogli diretti verso Viterbo, fermo a Carsoli da questa notte un altro convoglio pieno di gente. In queste ore, scambio di accuse sulle responsabilità tra Protezione Civile, Regione Lazio, Trenitalia: non è stato risparmiato il Sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che ha stabilito l’obbligo di catene in città e chiede aiuto ai volontari.

    Centinaia di persone da questa mattina si stanno dirigendo sui luoghi simbolo di Roma innevata. Anche il Papa dalla finestra del suo studio privato guardando Piazza San Pietro ha detto ai presenti: “è uno spettacolo della natura; mi sembra come un saluto della mia patria, la Baviera”. E in città c’è chi scatta foto e chi ritiene insostenibile la gestione dell’emergenza. Massimiliano Menichetti ed Eugenio Bonanata hanno raccolto una serie di testimonianze:

    D. – A che ora ti sei mosso, questa mattina, a Roma?

    R. – Alle 5.40 ho preso l’autobus o meglio sono andato alla fermata per prendere l’autobus: l’autobus è passato ... dopo un’ora e mezzo.

    D – La neve a Roma che effetto le fa?

    R. – E’ bella a vedersi, ma si sa che porta disagio. Comunque va bene così….

    R. – E’ una cosa bellissima: quando i bambini si svegliano, cominciano a fare a “pallate”; i genitori, invece ... pure!

    R. – E’ desolante, è tutto fermo: è bello solo per chi sta a casa.

    R. – Diciamo che è molto bella, ma certo dà fastidio per camminare, per tutto. Però, come vede, anche io sono uscita, anche se non avevo bisogno, per camminare un po’ sulla neve.

    D. – La neve a Roma che effetto le fa?

    R. – Son due dita di neve, niente!

    R. – E’ sorprendente come tutto sia fermo. E’ quasi ridicolo, ti dirò di più: a Sondrio c’è pochissima neve e quindi una rabbia…

    R. – E’ la terza neve della mia vita ed è sempre stupenda!

    D. – Un po’ Roma che veste un altro abito…

    R. – Ma anche un altro respiro, un altro odore… Questo silenzio meraviglioso! E’ una cosa fantastica.

    R. – Noi siamo romani, ma siamo scesi apposta per vedere questa bellezza insolita.

    R. – Mi sembra di essere ancora di più a casa, perché a casa mia – in Svizzera – ce n’è tanta di più. Per me è bellissimo lavorare così: mi piace!

    D. – I turisti guardano dentro San Pietro molto curiosi…

    R. – Sì, curiosi; sorpresi. Non avrebbero mai immaginato di vederlo così.

    D. – Da dove venite?

    R. – Dal Belgio. Noi studiamo qui con il Progetto Erasmus. Siamo andati al Colosseo, ora siamo qui al Vaticano… E’ bello, magico. E’ strano…

    R. – Dobbiamo studiare, ma siamo in giro per vedere la città.

    R. – A me fa un bellissimo effetto, naturalmente.

    D. – E’ venuto qui a Piazza San Pietro a vedere la Piazza con la neve?

    R. – Io abito qui e quindi ho voluto vederla “vestita di bianco”.

    R. – E’ un effetto che ho già provato circa 30 anni fa: è sempre piacevole ed inconsueto.

    D. - Disagi, comunque...

    R. – Abbastanza direi, però vista la giornata – essendo sabato, per fortuna! – sono attenuati.

    R. – Roma non è adatta per la neve. Da San Pietro a Monte Mario a piedi. E’ scandaloso, non è disagio!

    D. – Di dove sei?

    R. – Di Madrid.

    D. – Sei in Piazza San Pietro e la piazza è completamente bianca…

    R. – Mi ricorda il Papa: è bello!

    R – Noi non siamo di Roma, siamo di Palermo. San Pietro innevata è uno spettacolo unico! Decisamente, mai visto.

    R. – Roma è meravigliosa così. La neve mi dà gioia.

    R. – Siamo emozionate, veramente. Per noi non è una novità, perché in Romania, da dove veniamo, la neve è usuale, ma vedere la neve così alta a Roma, dopo tantissimi anni… Io sono emozionata.

    D. – Lei è venuto qui stamattina a lavorare a che ora?

    R. – Alle 5 meno 10. La città con la neve è un grosso problema: Roma è un grosso problema con la neve.

    R. – Mezzi inesistenti o quantomeno molto, molto ridotti e la difficoltà di camminare lungo le strade.

    D. – Insomma c’è un fascino, ma Roma non ce la fa con due fiocchi di neve…

    R. – Sì, alcuni hanno impiegato sei ore per fare sette chilometri di strada.

    D. – Roma quindi non risponde benissimo: fascino da una parte, ma non risponde bene alla neve?

    R. – Saremo sicuramente pronti per la prossima volta…. (mg)

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    Russia: opposizioni in piazza per l'apertura della campagna elettorale

    ◊   Al via oggi in Russia la campagna elettorale per le presidenziali di marzo. Le opposizioni hanno organizzato 4 distinte manifestazioni di piazza: oltre alla società civile ci saranno i liberali, la sinistra e i nazionalisti. Si attendono decine di migliaia di persone. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Fulvio Scaglione vicedirettore di Famiglia Cristiana ed esperto di questioni russe:

    R. – Da un lato c’è la contestazione politica ad un regime che alle contestazioni politiche è molto poco abituato e dall’altro c’è una forma di autocoscienza - direi quasi virale, per mutuare i termini di Internet – e cioè più la gente manifesta, più si convince di poter manifestare e questo, in un Paese dove l’opinione pubblica non ha mai avuto una voce decisiva, è molto importante.

    D. – Tutti chiedono elezioni oneste: quanto è alto il rischio di brogli alla tornata elettorale?

    R – Io credo che il rischio di brogli sia questa volta più alto che mai, perché una certa percentuale di irregolarità c’è sempre stata, anche in epoche precedenti a quella di Putin: il sistema è troppo dipendente dal potere centrale per essere completamente – diciamo così – pulito. Questa volta, però, Putin ha assoluta necessità non solo di vincere – che credo sarà abbastanza scontato che avverrà – ma di vincere in maniera larga, in maniera almeno numericamente convincente. Quindi è possibile che qualcosa succeda.

    D. – Tra le varie anime dell’opposizione ci sono anche i nazionalisti che hanno un passato un po’ chiacchierato...

    R. – Sì, questo è il forte problema del fronte di protesta che si oppone a Putin e al Cremlino: di essere così variegato da risultare indecifrabile ai limiti, poi, dell’inefficacia, perché certamente nelle manifestazioni di piazza si vedono sfilare i libertari e i nostalgici comunisti; si vedono i nazionalisti alle soglie del neofascismo; si vedono, invece, gli ecologisti. C’è questo miscuglio che impedisce che questa massa si compatti e quindi rende più difficile che le proteste approdino a qualche concreto risultato politico.

    D. – Cosa ci possiamo aspettare durante questa campagna elettorale?

    R. – Credo che ci possiamo tranquillamente aspettare qualche colpo basso e molte proteste, molte più proteste. Bisogna, secondo me, anche vedere il bicchiere mezzo pieno di questa cosa: c’è tutta una generazione di russi, che sono quelli che sostanzialmente non hanno conosciuto l’Unione Sovietica oppure l’hanno conosciuta senza saperlo, perché erano molto piccoli, che si sta esprimendo in maniera diversa rispetto ai loro genitori. Questi ragazzi vivono in una Russia più stabile, in una Russia che certamente non ha più gli sconvolgimenti dell’era Gorbaciov o dell’era di Eltsin e quindi possono permettersi una prospettiva più alta, più ampia e quindi possono anche guardare al loro futuro, chiedendo delle modifiche oggi.

    D. – Quindi bisognerà capire che peso avranno in questa tornata...

    R. – Bisogna vedere se andranno a votare, per esempio, o se preferiranno esprimere il loro dissenso con il non voto. Vorrei ricordare che i russi hanno questa curiosa possibilità che noi non abbiamo: sulla scheda c’è una voce particolare che si chiama “contro tutti” e quindi possono votare, ma votare contro tutti. Ci sono tante varianti… Io credo che comunque ciò che sta succedendo – le proteste, le manifestazioni, etc – non potrà essere ignorato da Putin, che tornerà al Cremlino, ma tornerà al Cremlino con qualche preoccupazione in più. (mg)

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    Ripetuti episodi di violenza contro religiosi nel Continente americano

    ◊   In questi ultimi giorni le cronache dal Continente americano sono state caratterizzate da una serie di episodi di violenza contro sacerdoti e missionari cristiani. In Guatemala è stato ucciso barbaramente un anziano sacerdote solo perché aveva provocato un banale incidente automobilistico, un lieve tamponamento. In Messico, durante un furto in una chiesa, è stato assassinato un altro sacerdote: aveva 65 anni. Infine, sempre in Messico, sono stati uccisi due missionari battisti statunitensi. Su queste aggressioni Sergio Centofanti ha intervistato Luis Badilla, esperto di questioni latinoamericane:

    R. – Le aggressioni contro due sacerdoti cattolici, che sono stati uccisi in circostanze diverse, e poi contro due missionari statunitensi di una Chiesa battista, sono un fatto particolare, nel senso che da molto tempo non accadeva che ci fossero aggressioni di questo tipo, a breve distanza di tempo contro personale religioso. Però, la cosa fondamentale da dire è che si tratta di attacchi o di aggressioni omicide in un contesto di violenza molto grave che caratterizza le società messicana e guatemalteca – ma anche altre società del Centro America – e che a tutt’oggi non si comprende come possa essere risolto in una prospettiva di pace, di riconciliazione o di normalità “cittadina”.

    D. – Quale è stata la reazione delle Chiese locali?

    R. – Sia la Chiesa del Guatemala, sia quella del Messico, e poi la comunità battista nel Texas, negli Stati Uniti, in momenti diversi hanno fatto dichiarazioni molto rilevanti perché coincidono sostanzialmente nelle parole e nelle riflessioni. Il problema dell’America Centrale è che è schiacciata tra due violenze: quella che viene dal Nord e che si traduce soprattutto in un traffico d’armi clandestino verso il Messico, il Guatemala e il Centro America; e quell’altra violenza, quella che viene dal Sud, che è quella del narcotraffico e che ha creato – come l’hanno definita in questi giorni alcuni giornalisti – questa sorta di “corridoio della morte” o “corridoio della violenza”. Questi tre interventi dicono che la violenza finirà soltanto educando i nostri figli, fin da piccoli, a rispettare la vita, a capire quanto sia sacro il valore della vita. Perché alla fine, quello che è in gioco, quello che sta succedendo, è che in questa regione del continente americano, purtroppo, la vita ha perso ogni valore. Vale qualsiasi cosa, purché possa essere uno strumento per raggiungere altri scopi, in particolare – e soprattutto – quelli della manovalanza del narcotraffico.

    D. – A marzo il Papa sarà in Messico e a Cuba. Come potrà aiutare a risolvere questa situazione, questo viaggio apostolico?

    R. – Già lo stanno dicendo, in Messico: la stampa locale, i leader religiosi, anche i leader politici. La presenza del Papa in Messico, soprattutto, in questo senso sarà fondamentale. Certamente lui non andrà a fare nessuna richiesta di tregua nel narcotraffico, come si è scritto. Ma andrà soprattutto a difendere il valore supremo della vita, a promuovere, a consolidare la cultura della vita e, in particolare, a insegnare come questa cultura e questo valore della vita si possa far crescere nel cuore delle persone, in particolare dei più piccoli e dei più giovani, che sono il futuro di questo Paese e della regione. (gf)

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    Giornata mondiale per la lotta al cancro: attività fisica, importante elemento di prevenzione

    ◊   Si celebra oggi in tutto il mondo la Giornata per la lotta al cancro, che quest’anno è incentrata sull’importanza dell’attività fisica come forma di prevenzione e strategia per migliorare lo stile e la qualità di vita dei malati. Secondo i dati dell’Oms, 7,6 milioni di persone dal 2008 ad oggi sono morte a causa di questa malattia. La ricerca sta facendo passi avanti ma medici e ricercatori ancora denunciano la mancanza di fondi per sviluppare cure efficaci. Una nuova frontiera in questo ambito, fortemente utilizzata in America e Giappone, ma in via di sviluppo anche in Italia e nel resto d’Europa, è rappresentata dalla “farmaco-genetica” che mira a realizzare terapie personalizzate. Su questo, Cecilia Seppia ha intervistato il prof. Giuseppe Tòffoli direttore dell’unita di farmacologia sperimentale clinica di Aviano:

    R. – Quello che oggi si sta cercando di fare, è personalizzare la terapia, cioè di dare il farmaco giusto al giusto paziente, al dosaggio giusto, adeguato. Per far questo si cerca di capire quali siano le caratteristiche genetiche che caratterizzano ciascun paziente e ciascun tumore – io mi occupo di farmaci anti-tumorali – e in base a questo poi modulare il farmaco, scegliere il farmaco e il relativo dosaggio.

    D. – Cure oncologiche personalizzate, su misura, che partono però da uno studio sul Dna …

    R. – L’obiettivo è quello di andare a capire quali sono le peculiarità che caratterizzano il Dna del tumore: ma questo già si sta facendo. Cioè, in base a peculiarità e specificità del Dna del tumore, si dà la terapia. Il farmaco va dato in funzione di specifiche caratteristiche. Ma quello che si vuol fare, in futuro, non è solo dare il farmaco in base alla caratteristica del tumore, ma anche alle caratteristiche del paziente, del Dna di ciascun paziente. E noi abbiamo, nel nostro Dna, circa 37 milioni di polimorfismi, cioè di variazioni genetiche presenti all’interno della popolazione, che sono probabilmente quelle che poi condizionano non solo la terapia, ma lo stile di vita, il modo di essere di ciascuno di noi. Proprio questi polimorfismi sono alla base delle strategie terapeutiche future personalizzate.

    D. – Ci sono effetti collaterali?

    R. – Direi che è esattamente il contrario! La personalizzazione della terapia – cioè la farmacogenetica – dovrebbe limitare gli effetti tossici nel caso della terapia antitumorale, dove gli effetti tossici – come tutti sanno – possono essere anche frequenti ed impegnativi per il paziente: dovrebbero cercare di evitare proprio questi!

    D. – Per quanto riguarda l’Italia, ci sono attualmente pazienti in cura con questo nuovo metodo?

    R. – Noi stiamo operando su 15 mila pazienti; abbiamo una casistica che grosso modo si aggira su questi numeri, che sono stati monitorati per le loro peculiarità farmaco genetiche e in cui stiamo cercando di ottimizzare la terapia e trarre conclusioni per rendere effettiva questa strategia, per renderla concreta nella pratica quotidiana.

    D. – Quale eco, quale impatto ha la farmacogenetica anche a livello mondiale?

    R. – L’impatto è notevole. Le agenzie regolatorie – sia l’Emea (European Medicines Agency) che l’Fda americana (Food and Drug Administration) raccomandano i test genetici nella sottomissione delle procedure per l’approvazione di un farmaco nella terapia dei pazienti. Quindi l’impatto sicuramente è molto forte. Ci sono due cose che riguardano la genetica del farmaco. Una, relativa al tumore, e su questo siamo già molto avanti perché oggi, nella pratica quotidiana, i farmaci – certi farmaci – vengono dosati in base alle specificità genetiche del tumore. L’altra, su cui ancora siamo ancora un po’ indietro, siamo ancora un po’ agli inizi, è quella che riguarda le caratteristiche genetiche del paziente, quei 37 milioni di polimorfismi, alcuni dei quali possono essere importanti per personalizzare la terapia.

    D. – Ci sono abbastanza fondi in Italia per implementare la farmacogenetica?

    R. – Questo è un argomento su cui io personalmente sono molto sensibile. Non ci sono fondi sufficienti per la ricerca. Questo è vero. Però, probabilmente, c’è anche la necessità di razionalizzare meglio le risorse che vengono investite. Forse dobbiamo anche modificare un po’ il nostro atteggiamento nei confronti dei finanziamenti della ricerca nel nostro Paese. E soprattutto, un’altra cosa che secondo me è estremamente importante: dovremmo anche rendere la ricerca produttiva. Cioè, c’è quel trasferimento tecnologico di cui il nostro Paese ha sicuramente molto bisogno.

    D. – Quest’anno, la Giornata è incentrata sull’attività fisica come forma di prevenzione e come strategia per migliorare la vita dei malati... Sicuramente è importante l’attività fisica, è importante avere uno stile di vita adeguato anche per prevenire il tumore?

    R. – Assolutamente sì. Lo stile di vita – cioè tutto ciò che è ambiente, noi diciamo – è fondamentale. Cioè, il fumo di sigaretta è estremamente pericoloso; certi grassi nell’alimentazione … Però, richiamandomi a quello che dicevo prima sulla farmacogenetica, molti di questi polimorfismi di cui parlavo prima, possono essere importanti proprio in funzione dello stile di vita: cioè, soggetti che sono più a rischio e non sanno di esserlo, se conducono uno stile di vita più appropriato sicuramente possono evitare l’insorgere di malattie, di tumori o di tutto ciò che magari la loro predisposizione genetica porta loro. (gf)

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    I giovani al centro della 34.ma Giornata italiana per la Vita, promossa dalla Cei

    ◊   "Giovani aperti alla vita". E’ questo è il tema della 34.ma Giornata della Vita che si celebra domani in tutta Italia. Centinaia gli eventi organizzati nel Paese, insieme o a fianco alle iniziative delle diocesi, per proporre alla comunità cristiana ed alla società civile una riflessione sul tema del diritto alla vita. Ce ne parla Davide Dionisi:

    “La vera giovinezza risiede e fiorisce in chi non si chiude alla vita. Essa è testimoniata da chi non rifiuta il suo dono e da chi si dispone a esserne servitore e non padrone, in se stesso e negli altri”. Nell’apertura del messaggio del Consiglio episcopale permanente per la 34.ma Giornata nazionale per la vita c’è tutto il significato di questa giornata. Ma operare per un effettivo superamento delle cause che inducono all’aborto, in campo socio-sanitario e culturale, anche a livello nazionale e internazionale è sempre più difficile. Cosa significa, allora, essere oggi al servizio della vita? Lo abbiamo chiesto a Patrizia Lupo, responsabile del segretariato sociale per la vita, associazione cattolica che opera a Roma dal 1985:

    R. – Significa essere totalmente disponibili alla vita, alla vita che non ha un momento per nascere o per morire: ogni momento è buono …

    D. – Per molte donne, l’aborto da eccezione sta diventando la regola. Non pensa che la 194 venga troppe volte disattesa o mal interpretata dai medici?

    R. – La 194, purtroppo, ha creato una mentalità ed una "cultura", un costume, una mentalità che ormai ha fortemente facilitato le cose, e così ha svilito la vita … Io lo definisco sempre una ferita profonda, un colpo purtroppo incassato e dimenticato nel cassetto, da parte della nostra società …

    D. – Perché, secondo lei, le politiche per la vita ancora non vengono affiancate a quelle della famiglia? Quali sono le difficoltà?

    R. – C’è una mancanza di impegno. Se andiamo a vedere le relazioni che ogni anno vengono presentate sull’andamento del fenomeno-aborto, non c’è mai una statistica in cui si parli dei motivi che spingono una donna, una coppia, ad abortire. Se conosco i motivi, è chiaro che poi devo in qualche modo intervenire ed ammettere che possa esserci un aborto: ma ci dimentichiamo che attraverso la 194 in questi anni sono stati praticati più di 5 milioni di aborti, senza parlare dell’aborto clandestino che, comunque, esiste ancora. (gf)

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    Concluso a Gerusalemme il Congresso internazionale dei commissari francescani di Terra Santa

    ◊   “Potenziare e adattare la missione ai nuovi tempi e alle nuove esigenze ecclesiali”. Questo uno degli spunti di riflessione del terzo Congresso internazionale dei commissari di Terra Santa, chiusosi oggi a Gerusalemme dopo una settimana di lavori. Stamani, il ministro generale dell’Ordine francescano dei frati minori, padre José Rodríguez Carballo, ha presieduto la celebrazione eucaristica conclusiva. Al Congresso hanno preso parte, tra gli altri, padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa, e novanta delegati da una quarantina di nazioni del mondo, incaricati del sostegno alla Custodia e dell’animazione dei pellegrinaggi, presenti ovunque ci sia una provincia francescana. Al centro dei lavori, il ruolo e la missione dei frati minori al servizio della Terra Santa, l’impegno della comunicazione riguardo ai luoghi santi, l’importanza delle relazioni con diocesi e gruppi ecclesiali internazionali. Sui temi dell'incontro, Giada Aquilino ha intervistato padre Giorgio Vigna, segretario generale del Congresso internazionale dei commissari di Terra Santa e responsabile dell’ufficio di coordinamento dei commissariati del mondo presso la Custodia, a Gerusalemme:

    R. – Oggi le nuove esigenze ecclesiali in Terra Santa riguardano fondamentalmente la formazione dei cristiani: aiutarli ad essere sempre più radicati, convinti ed anche entusiasti di professare la fede cristiana ed appartenere alla Chiesa cattolica. Questo è importante per la loro vita cristiana ma anche per motivare maggiormente la loro permanenza in Terra Santa, nonostante tutte le difficoltà socio-politiche, economiche, religiose che purtroppo vi sono. La particolare esigenza di questi ultimi anni è la cura pastorale, da parte dei frati, nei confronti dei cristiani a loro affidati, che oggi si trovano a vivere in nuove situazioni, causate proprio dal conflitto israelo-palestinese. L’esistenza stessa del muro divide le famiglie tra loro, divide non solo le proprietà ma anche i cristiani dai loro centri di culto, centri pastorali. Il parroco, qualche anno fa, poteva impiegare mezz’ora per raggiungere le succursali della parrocchia, adesso può impiegare anche due o tre ore.

    D. – Uno degli spunti di riflessione rimane quello dei pellegrinaggi in Terra Santa. In questi giorni, il sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat, ha detto che punta a passare, entro un decennio, dai tre milioni e mezzo di visitatori l’anno ai dieci milioni. Per quanto riguarda i vostri pellegrinaggi in Terra Santa, qual è la situazione e su cosa si deve puntare?

    R. – La situazione dei pellegrinaggi la definirei buona, nel senso che è in aumento la domanda: non solo da parte di italiani o europei, ma anche da parte di africani, asiatici, latino-americani. A ciò, però, corrisponde una non facile animazione di questi gruppi: dal punto di vista della collaborazione con le autorità israeliane o da parte delle agenzie di viaggio, non abbiamo nulla da eccepire. La difficoltà è di assicurare ai pellegrini che si recano in Terra Santa – e che magari lo fanno con grande sacrificio - un pellegrinaggio davvero qualificato sotto ogni aspetto, dall’animazione alle buone sistemazioni, alla facilità con cui possono accedere ai diversi luoghi e godere di essi nella preghiera e nella riflessione.

    D. – La crisi economica globale come si riflette sulla Terra Santa?

    R. – Si riflette molto male, perché la Custodia di Terra Santa e le opere che sono gestite da questa – le parrocchie, i santuari, le scuole ed i collegi - sussistono grazie all’apporto che proviene dai cristiani di tutto il mondo attraverso le nostre istituzioni, i commissariati di Terra Santa o anche attraverso altri canali. Nella crisi generale, anche qui in Israele, Palestina e Terra Santa, quella prettamente economica si fa sentire: c’è l’aumento della disoccupazione, del costo della vita, delle esigenze stesse in generale. Al contempo, abbiamo anche assistito ad una caduta a picco degli apporti che provengono dalle diverse parti del mondo. Si tratta quindi, da parte nostra, di trovare nuove strategie, nuove motivazioni ed una nuova “politica” – se così vogliamo chiamarla – per motivare i cristiani del mondo a sostenere la Terra Santa, la presenza, la qualità e la bellezza dei luoghi sacri, perché la Terra Santa continua ad essere la Chiesa-madre di tutti noi.

    D. – L’esodo dei cristiani, purtroppo, è ancora una realtà. Come si possono superare tali difficoltà?

    R. – Innanzitutto, bisogna avere molta comprensione – e di questo ne sono persuaso – nei confronti di quei giovani, di quelle famiglie e di quelle coppie che, ad un certo punto della loro vita, si stancano di lottare contro le divisioni, le difficoltà economiche, la difficoltà di avere e costruire una casa e vanno in cerca di una situazione sociale un po’ più favorevole e rilassata. Detto questo, è però estremamente difficile trovare delle strategie che possano frenare l’esodo dei cristiani. Una delle strategie è quella della motivazione: motivare i cristiani a rimanere ed incoraggiarli in tutti modi, perché rimangano ad essere pietre vive che parlano al mondo intero. Un’altra strategia è quella di creare, attorno a loro, un’area di sostegno pratico: cercare di offrir loro possibilità di lavoro o una casa che poi si può affittare a prezzo politico. Questo significa però, da parte della Custodia di Terra Santa, un investimento di energie, strategie e finanze non indifferenti, perché la costruzione ed il restauro delle case, che vengono poi concesse in affitto ai cristiani, ha un costo. Va ricordato infine che i cristiani in Terra Santa sono stimati perché sono persone pacifiche, che hanno un discreto livello culturale, e quindi la loro presenza è apprezzata sia in Israele e sia in Palestina. (vv)

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    Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica

    ◊   Nella quinta Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il passo del Vangelo in cui Gesù, dopo aver guarito la suocera di Pietro e molti altri malati e indemoniati, si ritira in un luogo deserto per pregare. Ma Pietro e altri discepoli lo raggiungono, dicendogli: “Tutti ti cercano!”. Gesù risponde:

    “Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!”.

    Su questo brano del Vangelo, ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:

    Una giornata intensa, fatta di predicazione in mattinata e poi di vicinanza e dedizione ai malati, prima in casa di Pietro dove la suocera giaceva con la febbre e a sera inoltrata alla porta della città. Marco non ha molto interesse a dirci cosa diceva Gesù, ma ama zoomare sulla sua attività di guarigione e di liberazione. Da qui un entusiasmo popolare, che mostra il bisogno inquieto di tanti per una vita meno tribolata, per una speranza e dignità che avverse circostanze hanno negato. Col rischio di fare di Gesù un santone e guaritore, distributore di benefici. Per questo si ritira in solitudine di mattina presto: per recuperare sempre di nuovo il dialogo col Padre, e sottrarsi all’entusiasmo equivoco. Non sanno sottrarsi al rischio i discepoli, che lo cercano con urgenza e lo invitano a tener conto dell’entusiasmo popolare: “Tutti ti cercano!”. A questi pescatori sta a cuore conservare questa corrente calda e felice del popolo guarito, e godere con Gesù della fama che sta diffondendosi.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Simposio a Roma dei vescovi africani ed europei sull'evangelizzazione

    ◊   Vescovi d’Africa e d’Europa terranno il loro secondo simposio a Roma dal 13 al 17 febbraio prossimo, sul tema “L’evangelizzazione oggi: comunione e collaborazione pastorale tra l’Africa e l’Europa. L’uomo e Dio: la missione della Chiesa di annunciare la presenza e l’amore di Dio”. L’evento è organizzato dal Simposio delle Conferenze episcopali d’Africa e Madagascar (Secam-Sceam) e dal Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa (Ccee). I partecipanti includono circa 70 vescovi delegati delle Conferenze episcopali in Africa e in Europa, oltre a rappresentanti di dicasteri vaticani e organismi partner come Aiuto alla Chiesa che soffre e Missio. Il simposio è parte di un progetto di collaborazione tra i due organismi, che iniziò in seguito al primo simposio a Roma nel novembre 2004. Una collaborazione, spiegano, “volta ad approfondire la comune responsabilità dei vescovi africani ed europei nei confronti dell’evangelizzazione e della promozione umana, dei rispettivi continenti in particolare e del mondo in generale”. In passato i vescovi africani ed europei hanno partecipato ai seminari su: la schiavitù e le nuove schiavitù, novembre 2007, Elmina, Ghana; le migrazioni come nuovo spazio di evangelizzazione e di solidarietà, novembre 2008, Liverpool, Regno Unito; la nuova situazione della missione ad Gentes, novembre 2010, Abidjan, Costa d’Avorio. Durante il prossimo simposio a Roma, gli episcopati dei due continenti intendono, tra l’altro, “valutare il cammino finora compiuto, verificare l’attuale situazione della comunione pastorale tra l'Europa e l’Africa e cercare ambiti di collaborazione per il futuro, discutere del prossimo Sinodo dei vescovi, in programma in Vaticano nell’ottobre 2012”. I lavori saranno scanditi da vari momenti di preghiera, di condivisione di idee ed esperienze attraverso una riflessione, introdotta da vescovi europei e africani, che partirà dalla persona umana (chi sono l’uomo e la donna in Africa e in Europa) e dal suo rapporto con Dio, per giungere all’annuncio del Vangelo. Giovedì 16 febbraio, dopo la celebrazione eucaristica nella Basilica di San Pietro, i partecipanti saranno ricevuti in udienza da Benedetto XVI; mentre venerdì 17 febbraio si recheranno in pellegrinaggio al Santuario del Santo Volto di Manoppello. L’incontro si svolgerà a porte chiuse, ad eccezione di una parte della sessione di apertura, lunedì 13 febbraio. I vescovi concluderanno il Simposio con un messaggio congiunto. (R.P.)

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    Africa occidentale: risoluzioni finali dell’Assemblea della Recowa-Cerao

    ◊   Otto risoluzioni e dieci raccomandazioni: con questi numeri si è chiusa, il 29 gennaio, la prima Assemblea costitutiva dei vescovi della Recowa-Cerao (Conferenza episcopale regionale dell’Africa Occidentale). La Plenaria, tenutasi a Yamoussoukro, in Costa d’Avorio, è stata incentrata sul tema “La Chiesa, Famiglia di Dio, nell’Africa dell’Ovest al servizio della Riconciliazione, della Giustizia e della Pace”. Al termine dei lavori, i presuli hanno pubblicato sia un Messaggio - in cui si esortano i fedeli, i governi e le diocesi locali a promuovere la riconciliazione, la giustizia e la pace in Africa, guardando alla Chiesa come famiglia di Dio – sia un elenco dettagliato di risoluzioni e raccomandazioni. In esse, i presuli partono dalla necessità di una “conversione personale e culturale di vescovi, sacerdoti, consacrati e laici”, per ottenere la riconciliazione e la pace. “Tale conversione – si legge nelle risoluzioni – passa attraverso una lotta risoluta contro l’etnocentrismo, il regionalismo e tutte le altre strutture di peccato che minacciano pericolosamente la preziosa preparazione evangelica a diventare famiglia di Dio che l’Africa ha”. In quest’ottica, la Recowa-Cerao si impegna a dare “testimonianza di vita” nell’impegno per la riconciliazione, “animata dalla forza della verità del Risorto, per essere la voce dei senza voce”. Allo stesso tempo, l’organismo episcopale offre la propria cooperazione ai governi in favore “della giustizia e della pace”, chiedendo al contempo ai fedeli impegnati in politica di vigilare affinché “la Comunità internazionale lavori ad una governance mondiale fortemente etica e non permetta che gli interventi umanitari si trasformino in guerre di colonizzazione delle nazioni africane, ricche di risorse materiali, ma deboli politicamente”. E per questo, la Recowa-Cerao ha stabilito di creare “una struttura o un comitato regionale di riconciliazione in caso di conflitto, capace di dislocarsi là dove la regione occidentale dell’Africa necessiti di una mediazione”. Tra le altre risoluzioni c’è il richiamo a “leggere, approfondire e divulgare l’Esortazione apostolica post-sinodale Africae Munus”, siglata da Benedetto XVI nel novembre 2011 e contenente le riflessioni emerse dal secondo Sinodo speciale per l’Africa del 2009; non manca poi la decisione di indire, in tempo di Avvento e di Quaresima, un momento di preghiera in tutte le diocesi “per la purificazione della memoria e a favore della riconciliazione, la giustizia e la pace”. L’ultima risoluzione, invece, è dedicata “all’attenzione per la pastorale della famiglia e specialmente per le donne che sono le colonne portanti dei nuclei familiari, garanti e portatrici di vita nella società”. Seguono, quindi le raccomandazioni approvate dalla Recowa-Cerao, in cui si richiede “a tutte le strutture accademiche e di formazione di lavorare per far conoscere e far vivere la teologia della Chiesa Famiglia di Dio”, così come “per promuovere la trasparenza dello spirito missionario autentico”. Allo stesso tempo, il documento finale della Plenaria ribadisce l’importanza “dell’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nei seminari, nella preparazione ai sacramenti e nei programmi di formazione permanente”. Infine, le ultime due raccomandazioni riguardano “l’attuazione di una politica comune della regione in caso di risoluzione di conflitti” e il rispetto per l’ambiente: “La Recowa-Cerao – si legge – lancia un appello ad una seria presa di coscienza della nostra responsabilità ecologica di fronte alle generazioni future ed al nostro forte impegno a fare il possibile per preservare l’ambiente da ogni genere di inquinamento”. (A cura di Isabella Piro)

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    Rwanda: incontro ecumenico sulla pace e la sicurezza in Africa

    ◊   “La pace e la sicurezza in Africa. La risposta ecumenica”: su questo tema si è tenuto, dal 28 gennaio al 1.mo febbraio, a Kigali, in Rwanda, un Simposio ecumenico organizzato dalla Conferenza delle Chiese di tutta l’Africa (Ceta) e dal Consiglio ecumenico delle Chiese (Wcc), in particolare dalla Commissione delle Chiese per gli Affari Internazionali (Ceai). Gli oltre 90 partecipanti all’evento, informa una nota del Wcc, hanno affrontato la questione della riconciliazione in Nigeria, Sudan, Somalia, Zimbabwe, Costa d’Avorio e Repubblica democratica del Congo. Le sessioni di lavoro si sono concentrate, nello specifico, sulle violazioni dei diritti umani, i conflitti etnici e religiosi, i rapporti tra uno Stato di diritto e una governance Democratica, la libertà religiosa, il proliferare delle armi, la militarizzazione e le violenze di genere. “L’esperienza di africani che sono costretti a vivere in situazioni di vulnerabilità – ha detto il presidente della Ceta, l’arcivescovo anglicano Valentine Mokiwa – obbliga il movimento ecumenico a proporre delle soluzioni che permettano alle popolazioni africane di celebrare e vivere la pace, godendo della sicurezza e della dignità umana”. Dal suo canto, il direttore della Ceai, Mathews George Chunakara, ha aggiunto: “I cambiamenti geopolitici che stanno emergendo ed il nuovo ordine mondiale giustificano un altro modello in materia di sicurezza. E tale modello deve affermare il principio cardine della sicurezza umana, che garantirà i diritti e la dignità dell’uomo”. Infine, i partecipanti al Simposio hanno dedicato una riflessione alla violenza etnica ed al genocidio che il Rwanda ha conosciuto in passato. L’incontro di Kigali è il secondo di una serie di simposi organizzati dal Ceai sin dal 2011. Il precedente convegno si era svolto in Asia, mentre il prossimo avrà luogo in America Latina. (I.P.)

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    India: leader protestante condanna le aggressioni indù contro scuole cristiane

    ◊   “L’ondata di attacchi contro scuole e insegnanti cristiani è da condannare nei termini più duri. È una violazione indecente dei diritti umani e delle minoranze”. Sajan K George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), denuncia le accuse mosse da attivisti indù dell’Akhil Bharatiya Vidyarthi Parishad (Abvp) a due istituti cristiani, nel Chhattisgarh e nel Karnataka. L’Abvp è un’organizzazione studentesca affiliata al Baratiya Janata Party (Bjp), partito ultranazionalista alla guida dei due Stati che sostiene gruppi appartenenti al movimento estremista indù del Sangh Parivar, come il Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), il Vishwa Hindu Parishad (Vhp) o il Bajrang Dal, spesso responsabili delle violenze contro dalit e cristiani. A Korba (Chhattisgarh), uno studente della Nirmala Convent School, condotta dalle Francescane dell’Immacolata, ha cercato di praticare il “Saraswati Pooja”, un rituale indù dedicato alla dea della conoscenza Saraswati. Di fronte al rifiuto di suor Ajaya Mary, preside della scuola, attivisti dell’Abvp hanno organizzato una manifestazione per chiederne l’arresto, accusandola di aver “dissacrato” gli oggetti usati dal ragazzo per il rito. Ad Anekal, nel Karnataka, 100 militanti dell’Abvp hanno creato agitazioni nel St Joseph’s P.U. College, chiedendo l’arresto del preside, il gesuita padre Melwin Mendonca. “Le scandalose accuse mosse da questi attivisti – commenta Sajan George – riflettono gli interessi del Bjp e la protezione di cui godono. Questi attacchi contro istituti cristiani rappresentano una tendenza molto pericolosa: attraverso una propaganda anticristiana, questi ultranazionalisti stanno avvelenando le menti impressionabili degli studenti, molti dei quali sono indù. Il rischio è di creare disarmonia all’interno dell’intera comunità”. (R.P.)

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    Nel mondo i morti per malaria sono 1,2 milioni: il doppio di quelli stimati dall’Oms

    ◊   Una ricerca pubblicata dalla rivista scientifica britannica Lancet sostiene che le morti per malaria sono il doppio di quelle dichiarate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Secondo lo studio, nel 2010 le vittime della malattia sono state circa 1,24 milioni, il 47% in più della stima ufficiale dell’Oms, di 655mila morti. La ricerca - riferisce l'agenzia AsiaNews - è stata condotta dall’Institute for Health Metrics della University of Washington (Seattle) e finanziata dalla Bill and Melissa Gates Foundation, organizzazione beneficata creata nel 1994 dal fondatore di Microsoft. I ricercatori hanno calcolato le nuove stime ricostruendo con modelli statistici l’andamento della malattia fra il 1980 e il 2010. I dati parlano di 995mila morti nel 1980 e di un picco di 1,82 milioni di decessi nel 2004, dovuto all’aumento della popolazione in aree del pianeta in cui è più diffusa la malattia. Negli ultimi anni si è registrato invece un calo delle morti causato - secondo lo studio - dal rinnovato impegno di organizzazioni internazionali e umanitarie nel prevenire e debellare la malattia, soprattutto nel continente africano, in America del sud e in parte dell’Asia. La malaria è causata da parassiti, i protozoi appartenenti al genere plasmodium, che causano febbre alta con diversi tipi di complicazioni che possono portare alla morte. La principale via di contagio è la zanzara anofele, molto diffusa nelle aree paludose. Per le sue particolari caratteristiche la malattia è molto difficile da curare e a tutt’oggi non esistono vaccini, ma solo delle profilassi mediche. Le tecniche di prevenzione sono indirizzate a ridurre le popolazioni di insetti nelle aree molto abitate. I soggetti più a rischio sono i bambini di età inferiore ai 5 anni, ma la ricerca ha portato alla luce anche inquietanti dati sul numero delle morti nella popolazione di età adulta in aree in cui è presente la malaria. Secondo la medicina tradizionale le persone sopravissute da bambini al contagio hanno scarsa probabilità di contrarre la malattia da adulti. Tuttavia, i ricercatori dell’Università di Seattle hanno calcolato nel solo continente africano circa 433mila vittime rispetto alle stime dell’Oms del 2010. In Asia, i Paesi che hanno parzialmente debellato la malattia sono Cina, Giappone, Filippine e Sri Lanka. A tutt’oggi la maggioranza dei decessi nel continente si registra in India, Bangladesh, Indonesia, Pakistan, Afghanistan e penisola indocinese. (R.P.)


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    Indonesia: la Chiesa di Papua prepara il dialogo fra Jakarta e indipendentisti

    ◊   I leader cristiani di Papua preparano il terreno per "veri dialoghi" fra il governo centrale indonesiano e i capi dell'amministrazione papuana e i vertici del movimento separatista. Tre giorni fa a Jakarta, al palazzo presidenziale, Susilo Bambang Yudhoyono e ministri dell'esecutivo hanno incontrato alcuni esponenti della Chiesa di Papua, cattolici e protestanti, bissando il faccia a faccia del 16 dicembre 2011. La provincia orientale dell'arcipelago, un tempo nota come Irian Jaya, è ricca di risorse naturali ed è stata teatro di una violenta campagna militare - ai tempi del presidente Sukarno - che ha determinato l'annessione nel 1969. Il pugno di ferro usato dal regime di Suharto fra il 1967 e il 1998 e la massiccia invasione di multinazionali straniere e compagnie indonesiane ha favorito la nascita di un movimento separatista, che lotta da anni per la separazione da Jakarta. Secondo molti papuani e leader cristiani locali, Papua ha rappresentato a lungo una "grande mela" da sfruttare, con i nativi locali spettatori inermi di spoliazioni e abusi commessi in nome dell'economia e del progresso. E proprio nei vertici della Chiesa, i capi delle varie tribù hanno visto un possibile sostegno nella lotta per i loro diritti e la fine dello sfruttamento imposto da Jakarta. In un comunicato diffuso al termine dell'incontro, il Sinodo delle Chiese di Papua e la locale Conferenza dei vescovi hanno espresso "apprezzamento" per l'impegno del presidente Yudhoyono e la sua "buona volontà" nell'affrontare i problemi. Commentando i due incontri in poche settimane, i leader cristiani si dicono soddisfatti per la svolta impressa dal governo centrale e confermano il proprio sostegno nel solco del dialogo. Tuttavia, precisano i vertici, il ruolo della Chiesa è quello di preparare il terreno per un "vero dialogo" fra esecutivo e leader papuani. Interpellato dall'agenzia AsiaNews il pastore Lipiyus Biniluk STh ha sottolineato che il ruolo della Chiesa è di promuovere giustizia e pace, preparando la strada a una "serie di incontri"; tuttavia, egli non vuole commentare l'ipotesi di una possibile richiesta di indipendenza di Papua dall'Indonesia. Padre Neles Tebay Pr., rappresentante cattolico nel Peace Papuan Network, organismo che promuove il dialogo fra Jakarta e leader papuani, precisa che al momento non vi è un programma definito di futuri vertici, ma "ci stiamo lavorando". (R.P.)


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    A Java centrale la Chiesa indonesiana festeggia un boom di vocazioni

    ◊   Con oltre 250 studenti nei seminari, nel nuovo anno il numero dei candidati al sacerdozio nello Java centrale ha registrato una forte crescita; dopo tre anni di lento declino, la Chiesa indonesiana celebra quindi una netta inversione di tendenza, come confermano rettori di seminari e vescovi diocesani. Padre Gandhi Hartono, docente e preside del Seminario minore di San Pietro Canisio a Mertoyudan, nella reggenza di Magelang, riferisce che l'istituto gesuita è pronto ad accogliere oltre 150 candidati, provenienti da centinaia di parrocchie sparse nell'arcidiocesi di Semarang, nella diocesi di Purwokerto e in altre aree della provincia dello Java centrale. Stesso entusiasmo emerge dai commenti del rettore del seminario, padre Ignatius Sumaryo, il quale conferma che il maggior numero di futuri seminaristi proviene da Semarang. Nel giugno 2012 - riferisce l'agenzia AsiaNews - il Seminario minore di San Pietro Canisio festeggia i 100 anni di vita. Un traguardo importante per l'istituto di proprietà dell'arcidiocesi di Semarang, ma retto dai gesuiti insieme a sacerdoti "nativi" della zona. Molti dei preti oggi attivi in Indonesia - fra cui vescovi, cardinali o consacrati - sono stati un tempo alunni di questa struttura. In tutta l'isola di Java sono presenti tre seminari minori: il Wacana Bhakti a South Jakarta e di proprietà della locale arcidiocesi; il San Vincenzo de Paoli a Garum, a East Java e della diocesi di Surabaya e il Berthinianum postulate a Yogyakarta, dei missionari della Sacra Famiglia. Padre Gandhi Hartono spiega che nel seminario di Mertoyudan arriveranno 85 giovani seminaristi del 9° anno e altri venti del 12° anno, cui basterà un biennio di studi per aspirare al sacerdozio, con un approfondimento specifico dello studio del latino, inglese e Sacre scritture. Egli conferma che il desiderio del sacerdozio "è in forte crescita" con un aumento "del 15-20% su base annua". "Quest'anno abbiamo 256 studenti - aggiunge - rispetto ai 'soli' 225, 198 e 166 degli anni precedenti". La comunità cattolica indonesiana ha festeggiato la crescita delle vocazioni, come conferma il vescovo di Purwokerto mons. Julianus Sunarka che esclama: "il numero è enorme". Il prelato aggiunge che la sua diocesi registra il numero record di 76 preti - di varie congregazioni e diocesani - mentre le suore o le consacrate sono 210, i religiosi 33; un milione, infine, i fedeli. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 35

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