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Sommario del 01/02/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI all'udienza generale: affidarsi a Dio per vincere il male che è dentro e attorno a noi
  • Il Papa per la morte del cardinale di Philadelphia, Bevilacqua: ebbe a cuore giustizia sociale e immmigrati
  • Messa nell'anniversario della morte di padre Van Straaten: la libertà religiosa è la libertà delle libertà
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Egitto. Ancora in migliaia in piazza contro la giunta militare e i Fratelli musulmani
  • Casamance: il principale gruppo ribelle accetta la mediazione di Sant'Egidio per una pace col governo del Senegal
  • Il premier somalo a Roma: la comunità internazionale può fare di più per la pace nel Paese
  • India. L'attacco di estremisti indù al Collegio gesuita. Il testimone: lasciati liberi di agire
  • Tragico aumento degli episodi di pirateria stradale. In un anno cresciuti del 45%
  • Chiusa la mostra sulle radici cristiane dell'unità d'Italia. Intervista con mons. Dal Covolo
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • La Russia apre alla risoluzione dell'Onu sulla Siria. Oltre 40 i morti oggi
  • Usa: Mitt Romney vince le primarie in Florida. Arretra Gingrich
  • India: al via a Bangalore la 30.ma Plenaria della Conferenza episcopale
  • India: profanato cimitero cristiano. La protesta di centinaia di fedeli
  • Pakistan: oltre 580 mila firme da 100 Paesi del mondo per salvare Asia Bibi
  • Malawi: appello dei vescovi al dialogo e alla pace nel Paese
  • Sudan: il vescovo di Khartoum sul rilascio dei due religiosi
  • Sudafrica. Gli aborti superano il milione: l'impegno della Chiesa per il diritto alla vita
  • Centrafrica: il vescovo denuncia abusi contro i civili nella guerra ai ribelli
  • Myanmar: chiese e parrocchie aprono le porte ai profughi Kachin
  • Ciad: non applicata la legge che imponeva di usare i soldi del petrolio a fini civili
  • La visita in Terra Santa del primate anglicano Rowan Williams
  • Usa. L’arcivescovo di San Francisco: dignità e diritti degli immigrati
  • Regno Unito: la Conferenza episcopale lancia la “Faith Card”
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI all'udienza generale: affidarsi a Dio per vincere il male che è dentro e attorno a noi

    ◊   Come vincere il male che è dentro e attorno a noi: ne ha parlato stamane il Papa nella catechesi dell’udienza generale nell’Aula Paolo VI, in Vaticano, dedicata alla preghiera di Gesù al Getsemani. Il servizio di Roberta Gisotti.

    “Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia”. Disse loro: ‘La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate’”. Le parole di Gesù durante la preghiera nel Giardino degli Ulivi, rivelano – ha spiegato Benedetto XVI – come Cristo “in quell’‘Ora’ sperimenti l’ultima profonda solitudine proprio mentre il disegno di Dio si sta attuando. In tale paura e angoscia di Gesù – ha sottolineato ancora il Papa - è ricapitolato tutto l’orrore dell’uomo davanti alla propria morte, la certezza della sua inesorabilità e la percezione del peso del male che lambisce la nostra vita”:

    “Cari amici, anche noi, nella preghiera dobbiamo essere capaci di portare davanti a Dio le nostre fatiche, la sofferenza di certe situazioni, di certe giornate, l’impegno quotidiano di seguirlo, di essere cristiani e anche il peso del male che vediamo in noi e attorno a noi, perché Egli ci dia speranza, ci faccia sentire la sua vicinanza, ci doni un po’ di luce nel cammino della vita”.

    Gesù nella preghiera davanti alla morte e al male si rivolge al Padre: “Tutto è possibile per te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu”. “Questo è importante – ha sottolineato Benedetto XVI - anche nella nostra preghiera” quotidiana:

    “…dobbiamo imparare ad affidarci di più alla Provvidenza divina, chiedere a Dio la forza di uscire da noi stessi per rinnovargli il nostro 'sì', per ripetergli ‘sia fatta la tua volontà’, per conformare la nostra volontà alla sua”.

    Da rilevare poi che “i tre discepoli, scelti da Gesù per essergli vicino, non furono capaci di vegliare con Lui, di condividere la sua preghiera, la sua adesione al Padre e furono sopraffatti dal sonno”:

    “…domandiamo al Signore di essere capaci di vegliare con Lui in preghiera, di seguire la volontà di Dio ogni giorno anche se parla di Croce, di vivere un’intimità sempre più grande con il Signore, per portare in questa ‘terra’ un po’ del ‘cielo’ di Dio”.

    Nei saluti finali, il Papa ha rammentato che domani sarà celebrata la Giornata delle persone consacrate, “testimoni speciali” nella Chiesa di dedizione alla volontà di Dio. Ed ancora ha richiamato la figura di San Giovanni Bosco, festeggiato ieri, per sottolineare “quanto sia importante educare le nuove generazioni agli autentici valori umani e spirituali della vita”. Un indirizzo particolare è andato ai vescovi della Comunità di Sant’Egidio, giunti da vari Paesi dell’Europa, dell’Africa e dell’Asia, incoraggiandoli “ad operare con entusiasmo al servizio del Vangelo, nonostante le difficoltà che possono incontrare nella loro missione”.

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    Il Papa per la morte del cardinale di Philadelphia, Bevilacqua: ebbe a cuore giustizia sociale e immmigrati

    ◊   Il cardinale arcivescovo emerito di Philadelphia, Anthony Joseph Bevilacqua, è morto ieri all’età di 88 anni, nella sua residenza privata, dopo una lunga malattia. Unendosi al cordoglio della famiglia e dell’arcidiocesi, Benedetto XVI ne sottolinea, fra l’altro, in un telegramma il “lungo impegno per la giustizia sociale e la cura pastorale degli immigrati, e il suo qualificato contributo alla revisione del Diritto canonico negli anni successivi al Concilio Vaticano II”.

    Figlio di emigranti italiani originari della Puglia, il porporato era nato a New York il 17 giugno 1923. Ordinato sacerdote nel 1949, ha perfezionato gli studi conseguendo la laurea in Diritto Canonico alla Pontificia Università Gregoriana. Inoltre, ha ottenuto un Master in Scienze Politiche presso la Columbia University e una successiva laurea in Diritto Civile alla St. John University di Queens di New York. Nominato ausiliare di Brooklyn nel 1980, da Giovanni Paolo II venne destinato tre anni dopo come vescovo alla Diocesi di Pittsburgh. Quindi, nel 1988 venne nominato arcivescovo di Philadelphia, ministero pastorale ricoperto fino al momento del pensionamento, avvenuto nel 2003. In precedenza, Giovanni Paolo II lo aveva creato e pubblicato cardinale nel Concistoro del 28 giugno 1991. (A cura di Alessandro De Carolis)

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    Messa nell'anniversario della morte di padre Van Straaten: la libertà religiosa è la libertà delle libertà

    ◊   Sostenere la Chiesa dove è perseguitata o priva dei mezzi per adempiere la sua funzione pastorale. Questa la missione della quale si occupa da 65 anni l’associazione “Aiuto alla Chiesa che soffre”. Una Messa in ricordo del suo fondatore, padre Werenfried Van Straaten, scomparso nove anni fa, è stata presieduta ieri a Roma dal cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. Il servizio di Michele Raviart.

    “Un pioniere della carità ecclesiale”, che ha denunciato con chiarezza “il dramma della scristianizzazione e dell’ateismo materialista”. Così il cardinale Sandri ricorda la figura di padre Werenfried Van Straaten, il monaco che nel 1947 raccolse aiuti in Belgio e Olanda per sedici milioni di tedeschi in fuga dalla nascente Germania Est, in buona parte cattolici. Da quell’esperienza, che valse a padre Werenfried il soprannome di “Padre Lardo”, dal grasso raccolto per nutrire i profughi, cominciò un percorso eccezionale di soccorso alle Chiese perseguitate oltre la "Cortina di ferro", come ci spiega lo stesso cardinale Leonardo Sandri:

    “Sia Giovanni Paolo II sia padre Van Straaten sono come il dittico della nuova era dell’Europa libera, dell’Europa che usciva dalla persecuzione e dal comunismo e che ha trovato la voce in Giovanni Paolo II e l’energia e la forza in padre Van Straaten, che ha saputo unire gli aiuti di tantissima gente dell’Occidente per questi nostri fratelli che avevano sofferto”.

    Con gli anni il raggio d’azione di “Aiuto alla Chiesa che soffre”, si amplia all’America Latina, all’Asia, all’Africa. Un progetto ecumenico di aiuto che non riguarda solo i cattolici. Mons. Sante Babolin, presidente ACS-Italia:

    “Giovanni Paolo II chiede alla nostra opera di aiutare la Chiesa ortodossa russa come fosse la Chiesa cattolica. Quindi, i progetti pastorali che la Chiesa ortodossa russa ci presenta, vengono trattati come fossero progetti della Chiesa cattolica”.

    Oggi “Aiuto alla Chiesa che soffre”, che dal dicembre scorso è stata elevata al rango di Fondazione di diritto pontificio, opera in 153 Paesi nel mondo e porta avanti oltre cinquemila progetti. Massimo Ilardo direttore ACS-Italia:

    “La nostra peculiarità è quella di assistere i perseguitati o coloro che sono oppressi e limitati nella propria professione di fede, in particolare la Chiesa cattolica. La nostra specifica è quella di ricostruire chiese, cappelle, monasteri, seminari. La libertà religiosa è la libertà delle libertà ed è la cartina tornasole per comprendere meglio se in quel Paese la libertà è mantenuta”.

    Un’opera di evangelizzazione capillare, che vede nella “Bibbia del fanciullo”, raccolta di testi sacri riadattati per i bambini, uno dei simboli dell’associazione. Ancora Massimo Ilardo:

    “’La Bibbia del fanciullo’ è stata stampata in circa 45 milioni di copie in 136 lingue e l’ultima lingua è stato lo swahili della Repubblica Democratica del Congo. La bellezza di queste Bibbie è che spesso sono l’unico testo con cui i bambini possono imparare a leggere”.

    In Iraq, India, Nigeria, Paesi in cui numerosi sono i casi di discriminazione dei cristiani, ACS continua a tessere, nelle parole del cardinale Sandri, “il prezioso velo della pace”, “a sostegno della libertà religiosa, culturale e sociale per tutti i sofferenti indistintamente”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Quel si che libera: all'udienza generale il Papa parla della preghiera di Gesù nel Getsemani.

    Oggi l'antico di giorni diventa bambino: in prima pagina, Manuel Nin sulla festa dell'Incontro del Signore nella tradizione bizantina.

    Nel Mediterraneo naufraga la speranza: in rilievo, nell'informazione internazionale, il rapporto dell'Unhcr secondo cui, nel 2011, sono morti oltre 1.500 profughi e migranti.

    Autorità e autorevolezza: in cultura, l'arcivescovo Agostino Marchetto sull'ermeneutica teologica del Vaticano II.

    Alla ricerca del tempo d'oro: Isabella Farinelli sul saggio più recente di Le Goff che riprende in esame la "Legenda aurea" di Iacopo da Varazze.

    Un articolo di Giulia Galeotti dal titolo "Dire 'no' a Iago": Luigi Zoja ripercorre la storia della paranoia. Scatti in rosa per l'indipendenza: Gaetano Vallini su Homai Vyarawalla, morta il 15 gennaio a 98 anni, la prima fotoreporter indiana.

    Nell'informazione vaticana, in occasione della Giornata mondiale della vista consacrata, interviste di Nicola Gori al cardinale Braz de Aviz e a suor Nicla Spezzati.

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    Oggi in Primo Piano



    Egitto. Ancora in migliaia in piazza contro la giunta militare e i Fratelli musulmani

    ◊   Si apre un nuovo capitolo nella crisi politica egiziana, dopo la rivolta che ha portato alla caduta del presidente Mubarak. Ieri, migliaia di giovani del movimento di piazza Tahrir sono nuovamente scesi in strada al Cairo per chiedere la fine della giunta militare e per protestare contro i Fratelli musulmani, usciti vincitori dalle ultime tornate elettorali. Quello che si può considerare come il movimento laico dell’opposizione teme, infatti, un accordo tra militari e movimento islamico che tradisca gli ideali della "primavera araba". Stefano Leszczynski ha intervistato Adib Fateh Alì, giornalista esperto di questioni mediterranee:

    R. - In Egitto, i giovani che hanno inizialmente promosso la rivolta vorrebbero accelerare i tempi e sperano nella nomina veloce di un presidente che possa in qualche modo riequilibrare il rapporto con gli islamici. Gli islamici, dal canto loro, quando hanno visto che i risultati elettorali erano a loro favore hanno assunto una posizione più tollerante e di maggiore intesa con la Giunta militare. Ed è proprio questo quello di cui i giovani li accusano: che ci sia un’intesa segreta tra i Fratelli musulmani e la Giunta militare.

    D. - Con questo atteggiamento troppo morbido nei confronti della Giunta militare, e così rigido invece nei confronti dei manifestanti di Piazza Tharir, i Fratelli musulmani non rischiano di perdere parte del consenso, che li ha portati finora al successo elettorale?

    R. - I giovani della rivolta probabilmente contano proprio su questo: accentuare le divergenze in modo da far uscire allo scoperto questa presunta “intesa” segreta tra i Fratelli musulmani e la Giunta militare. E in parte, secondo me, un minimo di successo lo stanno avendo. Sicuramente, stanno facendo pressione proprio per accentuare le contraddizioni..

    D. - Possiamo parlare di una rivoluzione mancata, che tra l’altro comporta anche gravissimi danni economici. Questo a cosa può portare nel lungo periodo?

    R. - Il livello di povertà è salito dal 21% dell’anno scorso al 25%. E quando si parla di povertà, secondo gli standard egiziani, bisogna tenere presente che si tratta un reddito di 1,40 centesimi di euro al giorno. La situazione è assolutamente esplosiva, perché il Paese ha perso un moltissimo in termini di turismo, una voce che rappresenta il dieci percento del Pil nazionale.

    D. - Come mai la comunità internazionale che è così rigida nei confronti di alcuni regimi, sembra aver accettato - tutto sommato - la presenza di un regime militare che sta portando invece il Paese verso la rovina...

    R. – Nella strategia statunitense, è probabile che far arrivare gli islamici al potere sia un modo per sconfiggere Al Qaeda. In Egitto si lascia dunque che gli islamici arrivino al potere, con i militari a fare da garanti nei confronti della comunità internazionale, lasciando nelle loro mani un sistema di governo, approvato dalla maggior parte della popolazione, che poi è quella che li ha votati. (bi)

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    Casamance: il principale gruppo ribelle accetta la mediazione di Sant'Egidio per una pace col governo del Senegal

    ◊   Uno dei gruppi della ribellione in Casamance, il Movimento delle forze democratiche MFDC, considerato tra i più radicali del sud del Senegal, è pronto ad accettare una mediazione della Comunità di Sant’Egidio per una pacificazione col governo centrale di Dakar. Lo hanno comunicato i vertici militari dei ribelli. Dal 1982 è in corso in Casamance un sanguinoso conflitto interno, spesso inserito tra le guerre dimenticate, che ha già provocato migliaia di vittime. A meno di un mese dalle presidenziali del 26 febbraio, in vista delle quali è tornata alta la tensione nel Paese africano, gli analisti internazionali fanno notare che è la prima volta che le autorità senegalesi e la ribellione in Casamance si dichiarano - a distanza di poco tempo - disponibili ad una mediazione. Giada Aquilino ne ha parlato con Mario Giro, responsabile delle Relazioni internazionali della Comunità di Sant’Egidio:

    R. – E’ una notizia positiva per il popolo della Casamance che soffre di questa guerra che si svolge da oltre venti anni, senza molta “pubblicità”. Quindi noi speriamo che sia possibile entro breve tempo iniziare un dialogo tra le due parti, un dialogo che in effetti c’era stato e a cui avevamo anche partecipato sotto la mediazione della Guinea Bissau, una decina di anni fa, ma non aveva prodotto risultati. Certo la situazione è molto complicata perché si tratta di un conflitto che si è incancrenito col passare degli anni.

    D. – In tre decenni, il conflitto in Casamance ha fatto migliaia di vittime, forse quattromila. Dal 1982 ufficialmente solo le mine antipersona e anticarro hanno provocato oltre 160 morti. Che zona è quella del Senegal meridionale? Si sa che è la zona più fertile del Paese…

    R. – E’ una bellissima zona, che ho visitato: è la zona più verde del Paese. Il problema della Casamance è che il Gambia lo separa dal corpo centrale del Senegal. I casamancesi si sentono da sempre un popolo diverso dagli altri che compongono il Senegal e quindi mirano a una loro identità. Questa è una guerra anche per un’identità conosciuta, che non è solo tribale ma pure geografica, in parte religiosa, etnica sicuramente. Si tratterà di vedere come ricreare un quadro di convivenza.

    D. – Quali sono le istanze portate avanti dal Movimento delle forze democratiche della Casamance?

    R. - Diverse, vanno dall’autonomia all’indipendenza, perché il Movimento delle forze democratiche di Casamance ha tante tendenze interne.

    D. – Ma prima d’ora il Movimento MFDC s’era detto disponibile ad una mediazione? Era quella a cui ha fatto cenno?

    R. – Quella mediazione fu con l’ala politica, questa volta è l’ala militare. È una cosa molto importante perché i militari non avevano mai partecipato a nessuna mediazione.

    D. – Dopo l’esperienza in Mozambico, Niger, Costa d’Avorio e altri Paesi, su quale piano si muoverà la mediazione di Sant’Egidio?

    R. - Tradizionalmente Sant’Egidio si muove su un piano di ricucitura, di creazione della fiducia, perché il tavolo possa portare un frutto in maniera riservata, senza tanta pubblicità, anche perché si tratta di mettere insieme parti che non hanno mai dialogato veramente. Si tratterà di avere molta pazienza e di dare il tempo perché maturi una soluzione condivisa.

    D. - In queste settimane in Senegal sono esplose le violenze dopo la decisione del Consiglio costituzionale che ha accettato la terza candidatura dell’attuale capo di Stato, Abdoulaye Wade, alle presidenziali mentre ha dichiarato irricevibile quella del cantante Youssou N’Dour. Qual è l’auspicio di Sant’ Egidio per tutto il Senegal?

    R. – Per tutto il Senegal l’auspicio è quello di una pace duratura. E’ un Paese democratico, il primo Paese democratico dell’Africa subsahariana, lo è da moltissimo tempo, è un esempio per tutti ed è un Paese anche dalle molte risorse umane. Il Senegal è molto importante nel contesto internazionale, anche per la posizione sempre moderata, di facilitazione che ha avuto in altre crisi che l’hanno visto protagonista. Noi speriamo che questo continui e che gli attuali sommovimenti dovuti al momento elettorale passino in fretta. Ci teniamo che il Senegal resti quello che è o continui a occupare una posizione importante anche da protagonista - che ha sempre avuto - nella comunità internazionale. Ci teniamo molto alla sua stabilità. (bf)

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    Il premier somalo a Roma: la comunità internazionale può fare di più per la pace nel Paese

    ◊   Il primo ministro della Somalia, Abdiweli Mohamed Ali, in visita a Roma, ha incontrato oggi a Palazzo Chigi il presidente del Consiglio, Mario Monti. Il premier somalo, ringraziando l'Italia per il suo sostegno al processo di pacificazione in Somalia, ha ribadito l’impegno del suo governo contro il terrorismo e la pirateria e in particolare per la liberazione della nave italiana Enrico Ievoli, sequestrata a fine dicembre con 18 membri dell’equipaggio. Da parte sua, Monti ha sottolineato che la Conferenza di Londra del 23 febbraio prossimo può rappresentare una tappa importante per raccogliere il sostegno della comunità internazionale alla pacificazione del Paese. Al microfono di Davide Maggiore, il primo ministro somalo Abdulweli Mohammed Ali si è soffermato sul ruolo che la comunità internazionale può svolgere nella crisi politica del suo Paese:

    R. – The international community is doing...
    La comunità internazionale sta già operando e contribuisce alla pace e alla sicurezza in Somalia, in particolare l’Unione Africana. Abbiamo una missione africana in Somalia (Amisom) che ha sacrificato molte vite per riportare la Somalia nella comunità delle nazioni, e noi siamo molto grati per il loro sacrificio. Ma abbiamo bisogno di molto di più. Dobbiamo imparare a capire che a lungo termine dobbiamo fare affidamento solo su noi stessi e che un Esercito nazionale somalo dovrà raccogliere la sfida della sicurezza del Paese. Ma nell’immediato e a medio termine, serve un supporto maggiore, più soldati, maggiore supporto logistico per portare la pace in Somalia.

    D. – La scorsa settimana gli uffici delle Nazioni Unite a Mogadiscio hanno riaperto dopo 17 anni. E’ un primo segnale dell’importanza data dalla comunità internazionale alla crisi somala?

    R. – Of course, it is welcome. ...
    Certo, ed è gradito. Noi siamo riconoscenti al segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, per l’impegno a riaprire gli uffici delle Nazioni Unite a Mogadiscio. Se lavori per la Somalia, se la tua attività si svolge in Somalia, non c’è motivo di tenere tante agenzie dell’Onu a Nairobi. Se sei un manager che si occupa di un progetto in Somalia, dovresti stare in Somalia. Ora la capitale sta diventando più sicura ed anche altre parti del Paese sono più sicure e tranquille. Perciò noi saremo ben felici che le organizzazioni non governative internazionali, insieme alle agenzie ed organizzazioni dell’Onu si trasferiscano in Somalia.

    D. – Un’altra questione è quella dell’informazione. Alcuni giorni fa un giornalista locale è stato ucciso a Mogadiscio. Cosa può essere fatto per garantire la sicurezza di coloro che forniscono un’informazione indipendente sulla Somalia?

    R. – Free and independent media is very important for us …
    Media liberi e indipendenti sono molto importanti per noi, sono il requisito per un buon governo, per la democrazia. Noi incoraggiamo tutto questo e appoggiamo il giornalismo indipendente. Ci dispiace per la morte di questo uomo, il direttore di Radio Shabelle. E’ stata una perdita tragica per noi, per la sua famiglia e per i somali. E’ necessario però comprendere che ora che gli Shabab sono stati sconfitti in prima linea, usano una strategia asimmetrica con omicidi e assassinii. Questi sono i mezzi che usano. Sono stati sconfitti in prima linea e quindi usano queste tattiche per contrattaccare; ma sicuramente saranno sconfitti anche loro.

    D. – Cosa può essere fatto localmente per migliorare il controllo del governo sul territorio?

    R. – Since August last year, we’ve made huge progress…
    Dall’agosto dell’anno scorso abbiamo fatto grandi progressi in gran parte del Paese. Mogadiscio è stata completamente liberata dagli Shabab. Ora stiamo estendendo la zona di sicurezza ad altre parti del Paese: nel centro della Somalia, nel Sud, nel Sud-Ovest, ovunque. La liberazione del Paese sta procedendo, sta andando avanti. E non ci fermeremo finché ogni città, ogni villaggio, ogni comunità sia liberata da questo nemico e la Somalia sarà salva e sicura affinché i somali possano vivere in pace e tranquillità. (ap)

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    India. L'attacco di estremisti indù al Collegio gesuita. Il testimone: lasciati liberi di agire

    ◊   Lo Stato del Karnataka, nel sud dell’India, è stato teatro nei giorni scorsi di un nuovo episodio di intolleranza anticristiana. Un gruppo di estremisti indù ha attaccato il Collegio dei Gesuiti-Liceo San Giuseppe, nella cittadina di Anekal, ferendo alcuni degli studenti che vi si trovavano. Dietro il fatto, che risale al 27 gennaio, c’è l’accusa mossa dagli estremisti di non aver issato nel Collegio la bandiera nazionale in occasione della Festa della Repubblica. Una motivazione bollata come pretesto dai Gesuiti. La collega della redazione francese, Helene Destombes, è riuscita a contattare sul posto uno dei giovani seminaristi gesuiti, Traveen Kumard:

    R. – Ce qui c’est passé le 27 Janvier, pout tout le monde…
    Quello che è successo il 27 gennaio è stato veramente scioccante, per tutti, ma soprattutto per i Gesuiti. I Gesuiti si trovano ad Anekal ormai da qualche anno. Avevano aperto il liceo nel 2010. Ma già prima di questa aggressione, gli estremisti indù venivano spesso al Collegio chiedendo denaro e sollecitando gli alunni a unirsi al loro gruppo. Già nel 2010, la parrocchia dei Gesuiti era stata attaccata, come pure il campus degli studenti.

    D. – Qual è stata la reazione delle autorità, di fronte a questi atti di violenza, di fronte alle persecuzioni nei riguardi dei cristiani?

    R. – La réaction est nulle, parce que le gouvernement qu’on a ici, même dans l’état, …
    Assolutamente nulla: il nostro governo, qui, anche a livello di Stato, è nelle mani del Bharatiya Janata Party, che è il gruppo estremista: per questo, non c’è stata reazione da parte delle autorità. Non hanno reagito, hanno lasciato che la folla prendesse ciò che voleva…

    D. – Quali rapporti intercorrono tra la comunità cristiana e la popolazione indù?

    R. – Avec la population indu on a très bonnes relations…
    Con la popolazione indù i rapporti sono molto buoni: non tutti gli indù sono estremisti. C’è una minoranza indù che afferma di essere contraria ai cristiani, perché i cristiani sono da sempre impegnati nell’educazione della popolazione dalit, che gli indù radicali considerano non umani. Ci sono tanti poveri e grazie al nostro Collegio i figli dei poveri possono andare a scuola e ricevere una formazione. Gli indù estremisti non hanno accettato questo cambiamento.

    D. – Ma si può parlare veramente di “persecuzione” nello Stato del Karnataka?

    R. – Oui. Ce n’est pas la première fois que les chrétiens en Inde sont attaqués. …
    Sì. Non è la prima volta che i cristiani sono attaccati, in India. Nel nord del Paese, molte parrocchie sono state attaccate e bruciate. Ora è il turno dello Stato del Karnataka. Il messaggio che vorrei lanciare è che, tanto per incominciare, è necessario essere consapevoli del fatto che tutto ciò che facciamo qui, noi cristiani non lo facciamo per “convertire” ma per favorire lo sviluppo del Paese attraverso l’educazione delle persone. E poi chiediamo di pregare per noi, soprattutto per i cristiani che vengono aggrediti in questo momento. (gf)

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    Tragico aumento degli episodi di pirateria stradale. In un anno cresciuti del 45%

    ◊   In Italia, nel 2011, sono stati 852 gli episodi di pirateria della strada: 127 le persone rimaste uccise, 995 i feriti gravi. Tra le vittime la maggior parte erano pedoni o ciclisti, quattro i minori. Le cifre fornite oggi dall’osservatorio dell’Associazione sostenitori e amici della Polizia stradale (Asaps) evidenziano un fenomeno in aumento del 45% rispetto al 2010. L’Asaps, assieme ad altre associazioni di riferimento per la sicurezza stradale e l’assistenza alle vittime, ha anche presentato un progetto di consulenza contro la pirateria, che mira soprattutto ad aiutare i cittadini a contrastarla, attraverso la distribuzione di materiale informativo, l'istituzione di un punto di contatto, l'assistenza alle vittime e un riconoscimento pubblico per chi contribuirà in modo determinante all'identificazione dei pirati della strada. Francesca Sabatinelli ha intervistato Giordano Biserni, presidente di Asaps:

    R. – È una situazione che non è sotto controllo perché, rispetto a quelli noti, ci sono ulteriori elementi che inducono a fuggire dopo un incidente. Sappiamo che il pirata della strada è solitamente un giovane di sesso maschile, di età compresa prevalentemente tra i 18 e i 45 anni. L’indicazione che emerge è che spesso si tratta di una persona che ha una particolare confidenza con l’abuso di alcolici e droga: nel 35% dei casi di pirateria mortale, il pirata è risultato positivo al test. Si tratta di soggetti che facilmente si danno alla fuga per risparmiare i punti della patente, o perché hanno paura del ritiro della stessa. C’è poi un fattore nuovo che emerge in maniera sensibile, anche se non facilmente documentabile: l'assenza di copertura assicurativa. In molti fuggono perché non più coperti da assicurazione o perché in possesso di un’assicurazione falsa. Questo è un fattore che purtroppo induce alla fuga molti soggetti che, in caso di incidente, preferiscono tentare di sottrarsi alle responsabilità. Voglio però ricordare che il 73% dei pirati della strada poi viene scoperto.

    D. - L’alta percentuale di successo a cosa è dovuta?

    R. - Ovviamente, all’affinamento investigativo delle forze di Polizia locale dello Stato. Però, sicuramente, aiutano molto i sistemi di telecamere posizionati, in particolare nelle città, anche nelle ore notturne, che consentono di rivisitare i passaggi delle vetture nella zona incriminata negli attimi immediatamente precedenti all’impatto. Noi abbiamo voluto fare qualcosa di più. Di fronte a questi dati così preoccupanti, assieme all’Associazione familiare vittime della strada e alle associazioni che hanno dato vita con noi all’iniziativa per raccogliere le firme sull’omicidio stradale, abbiamo voluto creare questa consulenza contro la pirateria stradale, che vuole essere una spinta ulteriore nella direzione verso il contrasto del fenomeno.

    D. – Dai vostri dati emerge chiaro che chi ha la peggio sono i più deboli: tra i 127 morti denunciati nel 2011 c’è un alto numero di pedoni, e ci sono anche diversi ciclisti...

    R. - È ovvio che le "prede" preferite dai pirati della strada siano i pedoni. Su 127 morti in totale sono periti 72 pedoni e 16 ciclisti. Gli altri sono vittime di impatto con altri veicoli, passeggeri o conducenti, e poi motociclisti. Voglio precisare che un atto di pirateria stradale può anche partire da un incidente banale, un colpo non troppo forte a una vettura che però, buttata fuori strada, magari contro una pianta, può causare la morte o gravi lesioni a chi è a bordo. È evidente, però, che la percentuale più elevata in assoluto è quella dei pedoni. Inoltre, il 15% degli incidenti ha visto coinvolti dei minori: quattro sono i minori morti nel 2011 per pirateria stradale.

    D. - A suo giudizio, le attuali norme che puniscono i pirati della strada sono efficaci?

    R. - Le norme sono più che sufficienti. Però, le pene scritte sulla carta non sono praticamente quasi mai applicate, e quindi questo fa sì che i reati dei pirati della strada, compreso l’omicidio stradale legato a pirateria della strada – che è il più bieco dei comportamenti - spesso in realtà rimangano di fatto impuniti. Faccio un esempio: dei 127 pirati del 2011 almeno 80 sono stati identificati. Bene, di questi 80 non mi risulta ce ne sia uno che abbia pagato con qualche giorno di galera, se non in casi eccezionali e comunque per poco tempo.

    R. - L’iniziativa presentata vi vede protagonisti assieme a diverse associazioni di riferimento per la sicurezza stradale e l’assistenza alle vittime. Come nasce?

    D. - Con questa iniziativa chiediamo supporto agli organi di informazione, affinché ci diano una mano in questa campagna di sensibilizzazione, fatta anche di pannelli informativi contenenti le modalità per intercettare un pirata, cosa bisogna registrare, cosa bisogna segnalare. Soprattutto, noi vorremmo far capire che la camera di espansione del fenomeno della pirateria sulle nostre strade deve trovare uno sbarramento. Vogliamo far capire chiaro e forte ai pirati passati, a quelli presenti e soprattutto a quelli futuri, che il loro mare, quello dei pirati che è fatto d’asfalto, sarà sempre più mosso se non addirittura agitato. (bi)

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    Chiusa la mostra sulle radici cristiane dell'unità d'Italia. Intervista con mons. Dal Covolo

    ◊   Il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, ha visitato questa mattina la mostra libraria dedicata alle Radici Cristiane dell’Italia Unita, allestita alla Pontificia Università Lateranense. Il capo dello Stato ha affermato che, già prima del 1861, i cattolici avevano contribuito a consolidare il senso di unità nazionale. Alla visita erano presenti, tra gli altri, anche il cardinale vicario, Agostino Vallini, e il rettore della Lateranense, mons. Enrico Dal Covolo. La mostra è stata chiusa ufficialmente oggi, alla presenza del ministro per i Beni e le attività culturali, Lorenzo Ornaghi, che ha sottolineato il contributo dei cattolici non solo all’unificazione nazionale ma anche alla costruzione e al consolidamento dell’Europa. Al microfono di Davide Maggiore, mons. Enrico Dal Covolo, si è soffermato sulla visita del capo dello Stato e sul significato della mostra:

    R. – Vogliamo far comprendere che alle radici dell’unità nazionale c’è il contributo decisivo dei cristiani impegnati nella società. Soprattutto, noi alludiamo in modo particolare al contributo dei cosiddetti “santi sociali” dell’Ottocento che hanno dato un apporto decisivo ad una formazione spirituale dell’Italia unita.

    D. – Santi sociali tra i quali c’è San Giovanni Bosco…

    R. – Proprio quest’oggi è venuto in visita da noi, in forma strettamente privata, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Abbiamo ripercorso con lui, visitando la mostra, le varie tappe del messaggio che il Papa ha indirizzato al presidente Napolitano per la circostanza. In modo particolare, il presidente si è fermato con molto interesse ad osservare la copia autografa del primo contratto di apprendistato firmato contemporaneamente dal datore di lavoro, dall’apprendista e da San Giovanni Bosco come garante. Il presidente mi disse: “Certo, noi dobbiamo tener presente anche nel momento attuale nel quale ci stiamo occupando delle leggi sull’apprendistato, questi passi fatti da San Giovanni Bosco”.

    D. – In che modo il riferimento spirituale ai valori cristiani, quindi, può costituire una guida anche oggi in un momento che certo non è facile per l’Italia?

    R. – Il messaggio cristiano ha qualche cosa di importante da dire in ogni momento. In modo particolare adesso, di fronte all’emergenza educativa si tratta – attraverso quella che don Bosco chiamava la ‘pedagogia del cuore’ – di insistere particolarmente proprio sull’amorevolezza, sulla capacità di fare breccia nel cuore dell’educando per trasmettere valori.

    D. – In questo contesto, che ruolo potrebbero svolgere le istituzioni educative e universitarie?

    R. – Io credo che anzitutto le istituzioni educative o – come qualcuno dice – le varie “agenzie” educative, dovrebbero fare una sorta di “patto” educativo: cioè mettersi d’accordo tra loro a seconda del progetto che si vuole raggiungere. (gf)

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    Nella Chiesa e nel mondo



    La Russia apre alla risoluzione dell'Onu sulla Siria. Oltre 40 i morti oggi

    ◊   La Russia apre alla risoluzione discussa ieri al Consiglio di sicurezza dell’Onu per ottenere le dimissioni del presidente siriano Bashar al Assad e fermare la drammatica repressione in Siria. Il segretario di Stato Usa Hillary Clinton invita gli Stati a fare una scelta definitiva e sostenere il popolo. Dal canto suo il presidente della Lega Araba, Nabil al Arabi, esprime preoccupazione e denuncia la grave situazione di guerra civile. "Un consenso generale non solo è possibile, ma è anche necessario", ha detto l'ambasciatore russo alle Nazioni Unite Ciurkin che ha però voluto rimarcare la necessità che ogni decisione sia ispirata dal principio di non interferenza negli affari interni di uno Stato. Gli Usa continuano a fare pressione e il segretario di Stato Clinton non usa mezzi termini: "tutti noi, dice, dobbiamo compiere una scelta, sostenere il popolo siriano oppure diventare complici di barbare violenze". Nel documento che per ora avrebbe il sostegno di 15 Paesi si condanna con forza il regime al potere, senza però fare riferimento a sanzioni. Ma la violenza non accenna a diminuire: 40 le vittime di oggi in raid compiuti dai soldati governativi ad Homs e Damasco e per gli attivisti i morti dall’inizio delle violenze sono oltre 7 mila. Intanto Assad compare in Tv mentre visita nell'ospedale di Damasco, i militari feriti negli scontri da quelli che definisce "terroristi". (A cura di Cecilia Seppia)

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    Usa: Mitt Romney vince le primarie in Florida. Arretra Gingrich

    ◊   Mitt Romney ha vinto le primarie repubblicane in Florida. L’ex governatore del Massachussetts che aveva preso una batosta all’ultimo appuntamento elettorale in South Carolina ha lasciato ieri nella polvere il diretto rivale Newt Gingrich ex speaker della Camera americana. Romney ha vinto con uno scarto di 15 punti percentuali, si trova così solidamente in testa nella gara per la nomination del partito conservatore. Lontani, il cattolico ex senatore italoamericano Rick Santorum al 13% e Ron Paul al 7. La vittoria è significativa perché la Florida è il primo grande Stato americano a votare. Da solo vale 50 delegati alla Convention repubblicana di agosto che sceglierà l’avversario di Obama e che si terrà proprio a Tampa, in Florida, lo stesso luogo dove Romney ieri ha celebrato con i suoi fans. Gingrich ha chiarito però che non intende mollare. “Siamo lungi dall’essere alla fine della gara - ha detto ieri sera - il cammino è ancora molto lungo”. Secondo la maggior parte degli esperti difficilmente la nomination potrà sfuggire a Romney. Le primarie passano ora nel West, sabato in Nevada e il 7 febbraio in Colorado e in Minnesota; il 28 in Arizona e Michigan, lo Stato di cui il padre di Romney è stato governatore negli anni 60. (Da Miami, Elena Molinari)

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    India: al via a Bangalore la 30.ma Plenaria della Conferenza episcopale

    ◊   Con una Messa solenne celebrata stamani a Bangalore, si è aperta ufficialmente la 30.ma Assemblea generale della Conferenza episcopale indiana (Cbci). I lavori proseguiranno fino all’8 febbraio e saranno incentrati sul tema “Il ruolo della Chiesa per un’India migliore”. Incontrando la stampa prima dell’inaugurazione dell’Assemblea, il cardinale Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai e presidente dei vescovi indiani, ha reso noti alcuni punti che verranno esaminati dalla Plenaria: tra questi, “il contributo molto significativo che la Chiesa Cattolica ha offerto per lo sviluppo dell’India”, in particolare nel settore educativo - “aprendo, oltre 150 anni fa, scuole e college in varie parti del Paese”, nel settore sanitario – “introducendo sistemi medici moderni soprattutto nelle regioni rurali” – e nel settore sociale – “instradando l’India sulla via della democrazia e dello sviluppo” e promuovendo “una cultura dell’inclusione e dell’equità sociale”. “Il valore tradizionale del rispetto di tutte le religioni – ha ribadito il cardinale Gracias – è sempre stato sostenuto dalle istituzioni educative cattoliche, senza alcuna discriminazione di casta o di credo”. Quindi ha aggiunto: “Il fondamento dell’educazione cattolica è il rispetto di tutti gli esseri umani, creati ad immagine e somiglianza di Dio, ed il fornire loro pari opportunità di crescita e di sviluppo”. Ma il presidente della Cbci non ha tralasciato le note negative che l’India presenta, come “la piaga dilagante della corruzione, le violenze etniche e commerciali, la criminalizzazione dei politici, il numero crescente di sfollati, l’inadeguatezza delle strutture educative e sanitarie, la massiccia disoccupazione ed il divario crescente tra ricchi e poveri”. Di fronte a tale situazione, ha detto il porporato, “la Chiesa deve riflettere di più sulla necessità di creare una società più giusta ed umana”. In questo senso, è stata ribadita la piena collaborazione con il governo da parte della comunità cristiana, nonostante essa rappresenti solo il 2,32 % della popolazione indiana. Rispondendo, poi, alle domande dei giornalisti riguardanti gli attentati contro le minoranze, il cardinale Gracias ha affermato che l’atteggiamento della Chiesa “resta positivo, gli attacchi non la scoraggiano in alcun modo”. Allo stesso tempo, essa “esprime la sua solidarietà ai poveri e ai sofferenti, i settori più deboli della società”, nella sequela “del mandato di Cristo di servire i poveri e gli abbandonati”. Interpellato, inoltre sulla questione delle conversioni, il cardinale Gracias ha ribadito che “è contrario ai principi e agli insegnamenti della Chiesa includere qualcuno a caso”, poiché “l’ammissione alla Chiesa cattolica comporta un lungo processo di prove e numerose formalità”. Quanto alla questione dei dalit cristiani - esclusi dall’attuazione della normativa del 1950 che riconosce la parità dei diritti solo ai dalit indù – il porporato ha dichiarato che non c’è la volontà politica di risolvere la questione e che molti leader di partito presentano atteggiamenti ambivalenti. (A cura di Isabella Piro)

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    India: profanato cimitero cristiano. La protesta di centinaia di fedeli

    ◊   Un antico cimitero cristiano è stato profanato e devastato con bulldozer a Sabarmati, nei pressi di Ahmedabad, capitale dello Stato di Gujarat, nell'India occidentale. Secondo i cristiani dell’All India Christian Council (Aicc) che oggi, hanno indetto una manifestazione per protestare contro “l’atto barbarico e irrispettoso”, vi sono fondati sospetti che l’attacco sia opera di gruppi radicali indù, molto attivi nello Stato. Dato il grave episodio, risalente al 26 gennaio scorso, l’Aicc chiede le dimissioni immediate del Primo ministro del Gujarat, Narendra Modi, noto leader militante nel Baratiya Janata Party (Bjp), e molto vicino a gruppi estremisti indù. Modi, afferma l’Aicc in una nota inviata a Fides, “non tutela i cristiani nello Stato. Lo stato di diritto – aggiunge- è del tutto assente in Gujarat: i viventi, ma anche i luoghi di sepoltura, non sono al sicuro”. L’Aicc chiede anche la destituzione del capo della polizia di Sabarmati, S.D. Patel, per mancato adempimento dei suoi doveri costituzionali. La scena che si è presentata agli attivisti dell’Aicc, è stata desolante: lapidi e croci distrutte e ammucchiate, una parte del campo devastata, un’altra parte del cimitero è stata spianata da bulldozer ed è diventata un parcheggio. Il cimitero ecumenico di Sabarmati risale al periodo britannico. L’area era stata concessa ai fedeli di sette confessioni cristiane presenti ad Ahmedabad (cattolici, metodisti, e alcuni gruppi pentecostali) prima del 1947. Samson Christian, dell’Aicc, ha condannato con veemenza l’accaduto sottolineando la responsabilità del governo locale del Bjp e notando che “in Gujarat c’è un grave problema: il disprezzo per i sentimenti religiosi delle minoranze”. (C.S.)

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    Pakistan: oltre 580 mila firme da 100 Paesi del mondo per salvare Asia Bibi

    ◊   Oltre 580mila persone, in tutto il mondo, hanno firmato una petizione chiedendo al governo pakistano di liberare Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte ingiustamente per blasfemia. Per la donna è stato avviato il processo di appello davanti all’Alta Corte di Lahore. Il caso è divenuto un simbolo per le persecuzioni dei cristiani in Pakistan e per l’abuso della legge sulla blasfemia. La petizione on-line è stata lanciata dall’organizzazione “Voice of Martyrs” (Vom) con sede negli Stati Uniti, ed è ancora disponibile sul sito web www.CallForMercy.com. L’organizzazione l’ha avviata dopo che, oltre un anno fa, circa 150.000 cristiani pakistani avevano iniziato a raccogliere firme, chiedendo giustizia per Asia Bibi e una maggiore protezione delle minoranze religiose in Pakistan. Le firme, riferisce Vom all'agenzia Fides, sono giunte da oltre 100 Paesi del mondo e altre associazioni cristiane, nei cinque continenti, hanno promosso la campagna. Le firme sono state presentate all’ambasciata pakistana a Washington, ma la raccolta continua, con l’obiettivo di raggiungere quota un milione. Secondo funzionari pakistani, è bene lasciare che il caso faccia il suo corso legale: il verdetto della Corte di Appello, quello eventuale della Corte Suprema, infine la possibilità di un ricorso diretto al Presidente del Pakistan. Le Ong che si occupano della donna, però, notano che le sue condizioni di salute in carcere stanno peggiorando e che “il tempo stringe per poterla salvare”. (R.P.)

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    Malawi: appello dei vescovi al dialogo e alla pace nel Paese

    ◊   È un appello al dialogo, al rispetto reciproco ed alla pace quello lanciato dalla Conferenza episcopale del Malawi (Ecm) al termine della prima Plenaria del 2012, svoltasi a Lilongwe dal 24 al 27 gennaio. Nel documento pubblicato al termine dei lavori, a firma del segretario generale dell’Ecm, padre George Buleya, i vescovi chiamano in causa “il governo, i partiti politici, le comunità di fede, la società civile e i diplomatici” affinché considerino “il difficile momento che il Malawi sta vivendo dal punto di vista politico, sociale ed economico” e decidano di “gestire la situazione con sobrietà, guidati dallo Spirito di verità e di carità che porta i diversi attori sociali ad impegnarsi in un dialogo significativo e reciproco”. In tal modo, scrivono i vescovi, “tutta la popolazione sarà in grado di rispettarsi reciprocamente e di sostenere i diritti di ciascuno, specialmente quelli delle donne e dei bambini”. L’Ecm, quindi, chiede a tutti i cittadini “di rifiutare ogni forma di violenza che non porterebbe altro che la disgregazione dello sviluppo e della pace, tanto desiderati per il nostro Paese”. Tra gli altri temi esaminati dall’Assemblea, emerge quello dell’attuazione dell’Africae Munus, l’Esortazione apostolica post-sinodale siglata da Benedetto XVI nel novembre 2011 e che raccoglie i frutti del secondo Sinodo speciale per l’Africa del 2009. In particolare, i presuli del Malawi ne mettono in luce l’importanza data al ruolo della donna, ai giovani ed al diritto alla vita nella società contemporanea. Centrale anche la riflessione sull’Anno della Fede, indetto dal Papa per il 2012-2013, e in occasione del quale la Chiesa di Lilongwe vuole preparare un vademecum catechetico riassuntivo. L’Ecm ha inoltre approvato le bozze di due documenti: uno relativo alla “Politica educativa cattolica” ed il secondo riguardante il Piano pastorale della Chiesa locale per i prossimi cinque anni; con l’obiettivo, poi, di “incoraggiare gli uomini e le donne che vogliono avvicinarsi alla Chiesa nell’esercizio delle loro funzioni, l’Ecm ha approvato l’Associazione dei giornalisti cattolici in Malawi”. E ancora: in un’ottica esclusivamente medico-sanitaria, i vescovi malawiani ammettono che la circoncisione maschile sia effettuata nelle strutture sanitarie della Chiesa preposte a tale operazione. Infine, i presuli dicono sì alla proposta di aumentare leggermente le tasse nelle scuole cattoliche, così come suggerito dalla Commissione per l’Educazione. Al termine dei lavori, l’Assemblea ha nominato il Comitato preparatorio della Plenaria dell’Amecea - l’Associazione dei membri delle Conferenze episcopali dell’Africa Orientale, composta da Tanzania, Uganda, Kenya, Zambia, Etiopia, Malawi, Eritrea e Sudan, con Gibuti e Somalia come affiliati - che avrà luogo in Malawi nel 2014. (A cura di Isabella Piro)

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    Sudan: il vescovo di Khartoum sul rilascio dei due religiosi

    ◊   Saranno trasferiti a Khartoum domani per “accertamenti medici”, i due sacerdoti sud-sudanesi rilasciati dopo un sequestro durato due settimane: lo dice mons. Daniel Adwok Kur, vescovo ausiliare di Khartoum, raggiunto dall'agenzia Misna mentre si trovava in compagnia dei religiosi appena tornati in libertà. “Padre Joseph Makwey è stato ferito alla testa e ha un taglio su una mano” racconta il vescovo dalla cittadina di Kosti, circa 200 chilometri a sud della capitale. I due sacerdoti oggi saranno sentiti dagli inquirenti che indagano sul caso. I sequestratori pare avessero chiesto il pagamento di 500 mila sterline sudanesi, oltre 142 mila euro, per la liberazione degli ostaggi, ma mons. Kur ha ribadito che non è stato versato alcun riscatto. Il sequestro sarebbe stato compiuto da un gruppo ribelle di etnia shilluk, attivo in una zona al confine tra Sudan e Sud Sudan. È possibile che a guidare la formazione sia Johnson Olony, un comandante che dopo il fallimento di un accordo di pace ha condotto l’anno scorso diverse offensive contro l’esercito del nuovo Stato del Sud Sudan. (C.S.)

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    Sudafrica. Gli aborti superano il milione: l'impegno della Chiesa per il diritto alla vita

    ◊   Sono passati 15 anni da quando l’aborto è stato legalizzato in Sudafrica. Da allora si stima che ad oltre un milione di bambini non nati sia stato negato il più fondamentale dei diritti umani: il diritto alla vita. E’ quanto afferma un comunicato della Conferenza episcopale dell’Africa del Sud (Sacbc), firmato da mons. Buti Tlhagale, arcivescovo di Johannesburg e presidente della Sacbc. “Ricordiamo quel milione di bambini non nati. Ci dispiace che a quei figli di Dio è stato negato il diritto di nascere nel mondo creato da Dio e di arricchirlo con i propri doni e talenti unici. Non riusciremo mai a realizzare pienamente quello che abbiamo perso perché la legge dice che l’ aborto va bene”, si legge nel comunicato inviato all’agenzia Fides. Mons. Tlhagale ricorda che coloro che sostenevano la legge sostenevano che fosse necessaria per combattere la piaga degli aborti clandestini ma l’arcivescovo si chiede se a distanza di 15 anni la legge abbia raggiunto lo scopo, visto che “su quasi ogni palo della luce, lungo le strade delle città e dei villaggi, ci sono manifesti che reclamizzano aborti sicuri e indolori”. La posizione della Chiesa cattolica sull’aborto è chiara e inequivocabile, ribadisce il presule secondo cui il fatto che la legge dica che è legale non lo rende moralmente giusto. Oltre al diritto alla vita, spiega mons. Tlhagale, un altro diritto che deve essere rispettato da parte dello Stato e dei suoi funzionari è quello dell’obiezione di coscienza. “Coloro che credono che l’aborto sia moralmente sbagliato hanno il diritto di rifiutare di partecipare alle procedure per attuarlo”. Quindi ha ribadito l’impegno della Chiesa per sconfiggere questa piaga e in sostegno di tutte quelle ragazze incinte non sposate o per le coppie tentate dal prendere la strada dell’aborto. (C.S.)

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    Centrafrica: il vescovo denuncia abusi contro i civili nella guerra ai ribelli

    ◊   “Ha fatto anche vittime civili l’offensiva militare contro le postazioni dei ribelli di Baba Ladé. A fianco delle Forze armate centrafricane sono intervenuti elicotteri da combattimento del Ciad, che hanno bombardato in modo indiscriminato. Ma non è tutto: ci sono stati abusi nei rastrellamenti condotti dai soldati nei villaggi e persino nella città di Kaga-Bandoro. Con l’accusa di essere sostenitori dei ribelli, alcuni abitanti vengono prelevati, torturati e uccisi”: a denunciare all'agenzia Misna le violazioni dei diritti umani in corso nella regione settentrionale del Centrafrica è mons. Albert Vanbuel, vescovo di Kaga-Bandoro. “La mia diocesi – dice il vescovo – è teatro delle azioni dei ribelli guidati da Baba Ladé da due o tre anni. In questo arco di tempo, hanno causato sofferenze alla popolazione, rubando capi di bestiame e taglieggiando gli allevatori. È una situazione difficile, che andava risolta. Ma non con la guerra”. L’8 gennaio i rappresentanti della Conferenza episcopale centrafricana si erano rivolti al presidente François Bozizé, chiedendo una soluzione al problema dell’insicurezza nella regione di Kaga-Bandoro e denunciando la drammatica situazione della sanità e dell’istruzione, nonché la corruzione diffusa. Pochi giorni dopo il governo di Bangui ha deciso di avviare una vasta offensiva militare, con la collaborazione del presidente ciadiano Idriss Deby Itno. Una collaborazione giustificata dal fatto che Baba Ladé è cittadino del Ciad, rifugiato in Centrafrica. “La situazione è molto grave, mi auguro che si torni alla pace il più presto possibile e che cessino gli abusi commessi dai militari” ha detto mons. Vanbuel. Non si conosce il bilancio delle vittime civili dei bombardamenti degli arresti arbitrari effettuati dai soldati, centrafricani e ciadiani all’opera nella diocesi di Kaga-Bandoro. (R.P.)

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    Myanmar: chiese e parrocchie aprono le porte ai profughi Kachin

    ◊   I profughi Kachin, che da mesi hanno abbandonato le loro case per il conflitto fra esercito birmano e milizie ribelli, hanno "paura" di rientrare perché temono una nuova ondata di violenze. A dispetto dei colloqui di pace fra rappresentati governativi e leader militari del Kachin Indipendence Army (Kia), la tensione non accenna a diminuire e per le decine di migliaia di sfollati - ospitati in strutture cristiane o case private - il futuro resta ancora incerto. Intanto - riferisce l'agenzia AsiaNews - i capi politici della minoranza etnica nel nord del Myanmar, nell'omonimo Stato al confine con la Cina, precisano di non essere interessati a un "cessate il fuoco", ma vogliono un "dialogo politico" formale con l'esecutivo guidato dal presidente Thein Sein. Il riacutizzarsi della guerra nel giugno scorso - dopo 17 anni di relativa calma - mostra secondo i leader Kachin che tutte le questioni più importanti, fra cui una "maggiore autonomia" sono rimaste irrisolte. Padre Luke Kha Li, parroco della chiesa di San Patrizio a Manwingyi (nel distretto di Bhamo), spiega a Ucan che le maggiori preoccupazioni sono "il rifornimento di cibo" ai profughi e le modalità di rientro nei loro villaggi. Nell'area ancora oggi quasi 500 profughi hanno trovato rifugio nei locali della parrocchia, mentre altri 1200 circa sono ospitati in abitazioni private, con il sostegno attivo di Karuna Banmaw Social Service (la Caritas locale). Da quando è riesploso il conflitto fra esercito birmano e minoranza Kachin, nel giugno 2011, circa 60mila persone hanno lasciato le loro case trovando rifugio in chiese, parrocchie e case private di cristiani, che hanno aperto le porte per accogliere gli sfollati. Gli operatori umanitari hanno lanciato un allarme, esprimendo "forti preoccupazioni" per le condizioni di salute e igienico-sanitarie fra i profughi. (R.P.)

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    Ciad: non applicata la legge che imponeva di usare i soldi del petrolio a fini civili

    ◊   Nel 2010 il Ciad ha speso 154 miliardi di franchi Cfa (234 milioni di euro) in armamenti, una cifra ancora molta alta anche se inferiore a quella del 2008 (275,7 miliardi di franchi CFA, 420 milioni di euro), anno nel quale il regime del Presidente Idriss Déby dovette fronteggiare una serie di movimenti di guerriglia, che arrivarono a minacciare la capitale, N’Djamena. È quanto emerge da un recente rapporto elaborato dall’Ong Ccfd-Terre Solidaire che denuncia il forte aumento di trasferimento di armi nel Paese africano dal 2004 al 2010, in violazione dello spirito della legge dell’11 gennaio 1999 che stabiliva che le risorse petrolifere del Paese dovessero essere impiegate a fini sociali. In particolare la legge stabiliva che il 10% dei proventi del petrolio ciadiano dovesse essere depositato su un apposito conto destinato alle generazioni future; l’80% doveva essere investito in sanità, affari sociali, insegnamento, infrastrutture, sviluppo rurale (allevamento e agricoltura), ambiente e risorse idriche; e il 5% per le comunità locali delle regioni dove il greggio viene estratto. La legge era stata imposta dalla Banca Mondiale come condizione per la concessione di fondi per la costruzione delle infrastrutture necessarie alla sfruttamento del petrolio (in particolare l’oleodotto che collega il Ciad al porto Doula in Camerun). Questa legge, come afferma il rapporto, non è stata mai applicata ed anzi è stata soppiantata da un’altra del 2005 che ha soppresso la parte dei proventi destinata alle generazioni future ed ha invece aumentato la quota dedicata alla sicurezza, alla giustizia ed all’amministrazione del territorio. “Questi settori definiti prioritari si vedono attribuiti il 65% degli introiti diretti” afferma il rapporto ripreso dall'agenzia Fides. Le conseguenze sul piano sociale sono drammatiche: nel 2009 il Ciad era al 175esimo posto su 182 Paesi nell’indice di sviluppo umano ed al 132esimo posto su 135 per quel che concerno l’indice di povertà umana. La proliferazione delle armi, soprattutto di quelle leggere, sul suolo ciadiano ha inoltre accresciuto la violenza tra le comunità locali (oltre ad essere esportate verso i Paesi vicini, in particolare nella regione sudanese del Darfur), mentre permane il grave problema delle mine (1 milione) e degli ordigni inesplosi (2 milioni). (R.P.)

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    La visita in Terra Santa del primate anglicano Rowan Williams

    ◊   Pace, riconciliazione, relazioni interecclesiali e interreligiose, la nuova armonia in Medio Oriente: sono i temi affrontati dall’arcivescovo di Canterbury, il rev. Rowan Williams, capo della Comunione anglicana, sabato scorso a Nazaret, alla St. Margaret Guesthouse, dove ha preso parte ad un incontro interreligioso nel corso del suo pellegrinaggio in Terra Santa. Nel suo discorso il primate anglicano si è soffermato, in particolare, sul “messaggio di Nazaret” affermando che “tutti i credenti” sono invitati “a vivere la fede di Abramo e a realizzare la promessa di Abramo, imitando “Maria di Nazareth nella sua totale disponibilità alla parola di Dio e nel suo abbandono radicale alla volontà di Dio”. All’incontro, si legge sul portale del patriarcato latino di Gerusalemme www.lpj.org, hanno partecipato musulmani, drusi e cristiani di diverse confessioni compresi i cattolici, rappresentati da mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo, vicario patriarcale latino per Israele, mons. Elias Shacour, arcivescovo melchita di Acri e mons. Boutros Mouallem, emerito. Hanno preso la parola il vescovo Suheil Dawani, della Chiesa Anglicana di Terra Santa, lo Sheikh Mouaffaq Tarif, a nome dei drusi, lo Sheikh Fihmi Ahmad, a nome dei musulmani, e l’arcivescovo Shacour, a nome dei cristiani. Mons. Marcuzzo, nel porgere il discorso di benvenuto all’arcivescovo di Canterbury, per congratularsi e ringraziarlo per la sua “straordinaria posizione in favore della giustizia e della pace in Terra Santa e nel Medio Oriente in generale, per la sua visione cristiana su questioni scientifiche come l’evoluzione, per il dialogo ecumenico e interreligioso, e per le sue eccellenti relazioni con la Chiesa cattolica emerse durante la visita del Papa in Inghilterra, della beatificazione di John Henry Newman e a proposito dell’Ordinariato Personale”, creato appositamente per gli anglicani diventati cattolici. L’arcivescovo di Canterbury compirà in questi giorni visite pastorali alle comunità anglicane locali e incontri di dialogo interreligioso. (T.C.)

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    Usa. L’arcivescovo di San Francisco: dignità e diritti degli immigrati

    ◊   Il rispetto della dignità delle persone non conosce frontiere, non tiene conto del colore della pelle, non si ferma di fronte all’esistenza o meno di validi documenti di riconoscimento. E, soprattutto, non si sospende all’interno delle carceri. È quanto, in sostanza, ha ribadito l’arcivescovo di San Francisco, George Hugh Niederauer. Il presule è intervenuto sabato scorso, presso la cattedrale di St. Mary, a un incontro interreligioso al quale hanno partecipato centinaia di immigrati, la maggior parte dei quali d’origine ispanica. E ha fermamente contestato il programma federale di contrasto all’immigrazione clandestina. In particolare laddove queste misure — che contemplano l’espulsione dal territorio statunitense — vengono rigidamente applicate all’interno della popolazione carceraria. Provocando sofferenza e divisioni profonde tra le famiglie immigrate presenti in gran numero nel territorio dell’arcidiocesi californiana. «Non possiamo permettere il dolore delle famiglie e che nelle nostre comunità continui la separazione e la paura», ha detto l’arcivescovo, sottolineando anche che «occorre rispettare la dignità di tutti i nostri fratelli e sorelle, privi di documenti o meno». Il programma federale di contrasto all’immigrazione irregolare — la California è lo Stato con il maggior numero di lavoratori immigrati al mondo — prevede anche controlli all’interno delle prigioni. Le impronte digitali dei detenuti vengono confrontate con quelle raccolte negli archivi informatici dall’agenzia Immigration and Customs Enforcement (Ice). E per coloro che risultano essere entrati illegalmente nel Paese scatta l’espulsione. L’applicazione di questo programma, secondo i responsabili dell’Ice, ha finora portato al rimpatrio coatto di ben 110.000 immigrati. Tuttavia, coloro che difendono i diritti degli immigrati sostengono che la normativa viene facilmente applicata anche nei confronti di persone condannate per reati o illeciti di lievissima entità. In molti casi, addirittura, le forze di polizia eseguono fermi tra la popolazione immigrata sulla base di generici sospetti senza che sussistano particolari motivazioni di ordine pubblico. «Questo programma permette che nostri fratelli e sorelle siano inviate a un centro di detenzione anche per una piccola violazione del codice della strada», ha detto, durante l’incontro di sabato, Moises Agudo, dell’arcidiocesi di San Francisco. Il mese scorso 33 presuli cattolici degli Stati Uniti hanno chiesto «una riforma sull’immigrazione giusta, umana ed efficace» assicurando agli immigrati senza documenti che essi «non sono soli o dimenticati». (T.C.)

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    Regno Unito: la Conferenza episcopale lancia la “Faith Card”

    ◊   Una “Faith Card”, una “carta della fede” per ricordarsi dei principi evangelici e promuovere la Buona Novella: questa l’iniziativa lanciata dal Dipartimento per l’evangelizzazione e la catechesi della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles. La carta, dalle dimensioni di una normale carta di credito, da un lato riporta il nome del proprietario e sei compiti che gli spettano in quanto cattolico: “Condividere con gli altri la gioia di conoscere Cristo; pregare; celebrare regolarmente i sacramenti; amare il prossimo come se stessi; mettere saggiamente a frutto i doni ricevuti; perdonare così come si è stati perdonati”. Sul retro, la carta riporta una citazione del Beato Henry Newman che ricorda la chiamata al servizio, per ogni cattolico, e l’importanza della missione. Infine, una segnalazione avvisa che “in caso di emergenza, si è pregati di contattare un sacerdote cattolico”. In fondo, spiega mons. Kieran Corry, presidente del Dipartimento per l’evangelizzazione e la catechesi dei vescovi inglesi e gallesi, “tutti noi portiamo nel portafoglio una grande varietà di carte che riflettono in parte la nostra identità e mostrano le cose per noi importanti”. In quest’ottica, continua il presule, “la Faith card vuole offrire ai cattolici un promemoria quotidiano su cosa significa essere un seguace di Cristo. Non possiamo riassumere l’intera nostra fede in questa carta, ma speriamo solo che essa invogli i fedeli a fare, leggere ed imparare di più”. “La fede non è un fatto privato – ribadisce mons. Conry – Portare questa carta richiede coraggio perché essa rivela agli altri che si crede in Dio, che la vita ha uno scopo, che si cerca di amare e servire il prossimo”. L’auspicio, quindi, conclude il presule, è che “i cattolici utilizzino la Faith Card per testimoniare la loro fede. Se qualcuno pone loro delle domande sul cattolicesimo, un punto di partenza potrebbe essere quello di mostrare la carta e partire da lì”. Completamente gratuita, la Faith Card verrà prodotta in un milione di esemplari e verrà distribuita, nei mesi di febbraio e marzo, nelle 24 diocesi cattoliche di Inghilterra e Galles, incluso l’Ordinariato militare. (I.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 32

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli.