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Sommario del 28/12/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa al nuovo Patriarca greco-ortodosso d'Antiochia: cristiani uniti, testimoni di pace in Medio Oriente
  • Il 2012 di Benedetto XVI, un anno vissuto coraggiosamente
  • Al via a Roma l'incontro europeo dei giovani di Taizé, domani la preghiera con il Papa
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: la Russia chiede negoziati di pace, per Assad ipotesi di asilo politico in Venezuela
  • Centrafrica: la Francia non interviene contro l'avanzata dei ribelli
  • Vertice dei centristi con Monti. I commenti dei giornalisti europei sulla politica italiana
  • Il cardinale Sepe al pranzo di Natale con i poveri di Napoli: la ripresa inizi dagli ultimi
  • Alcoa: cassa integrazione solo per i lavoratori diretti, esclusi quelli dell'indotto
  • Santi Innocenti Martiri. Scienza e Vita: nel mondo milioni di embrioni "congelati"
  • Militari italiani pellegrini in Terra Santa. Mons. Pelvi: sui passi del Principe della Pace
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria. Il vescovo Nazzaro: le autorità di Aleppo apprezzano le parole del Papa. Chiese piene a Natale
  • India: nel Karnataka anche a Natale minacce contro i cristiani
  • Russia: Putin firma la legge anti-adozioni negli Usa
  • Mali: tour africano del premier per avviare un'operazione militare nel Nord
  • Egitto. Sale la tensione: i leader dell'opposizione indagati per tradimento
  • Spagna: domenica la manifestazione in difesa della famiglia cristiana
  • Venezuela: Messaggio di Capodanno del card. Urosa sull'Anno della Fede
  • Gabon: oggi prima Giornata di preghiera per le vittime dei crimini rituali
  • Nigeria. Appello dei vescovi per ridurre la mortalità materna
  • Nepal: il Natale festeggiato da cristiani, indù e buddisti
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa al nuovo Patriarca greco-ortodosso d'Antiochia: cristiani uniti, testimoni di pace in Medio Oriente

    ◊   In questi tempi instabili e inclini alla violenza che conosce il Medio Oriente, è sempre più urgente che i discepoli di Cristo offrano una testimonianza autentica della loro unità, affinché il mondo creda al messaggio di amore, di pace e riconciliazione del Vangelo: è quanto scrive il Papa in un messaggio di saluto fraterno nell’amore di Cristo al nuovo Patriarca greco-ortodosso d'Antiochia e di tutto l'Oriente, Giovanni X, eletto il 17 dicembre scorso dal santo Sinodo riunito presso il monastero di Nostra Signora di Balamand, a Nord di Beirut. Succede al Patriarca Ignazio IV Hazim, spentosi il 5 dicembre all’età di 92 anni. Noi abbiamo la responsabilità – afferma il Papa – di proseguire insieme il nostro cammino per manifestare in maniera ancora più visibile la realtà spirituale della comunione, benché ancora incompleta, che già ci unisce. Benedetto XVI auspica, quindi, che i rapporti tra Patriarcato greco-ortodosso e Chiesa cattolica si sviluppino ulteriormente attraverso forme di collaborazione fruttuosa e il proseguimento dell'impegno a risolvere le questioni che ancora dividono, grazie alla partecipazione attiva e costruttiva ai lavori della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme. Il Papa, infine, assicurando le sue preghiere al nuovo Patriarca, eleva la sua invocazione a Cristo perché porti la consolazione a quanti sono vittime della violenza in Medio Oriente e inspiri a ciascuno gesti di pace. (A cura di Sergio Centofanti)

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    Il 2012 di Benedetto XVI, un anno vissuto coraggiosamente

    ◊   Un anno vissuto intensamente e coraggiosamente. Nel 2012, Benedetto XVI ha compiuto due viaggi internazionali, a Messico e Cuba e in Libano, e quattro visite in Italia, tra cui ai terremotati dell’Emilia Romagna. Ha preso parte all’Incontro Mondiale delle Famiglie, ha indetto l’Anno della Fede, presieduto il Sinodo per la Nuova Evangelizzazione. Il Papa è inoltre approdato su Twitter ed ha pubblicato il suo ultimo volume sulla figura di Gesù di Nazareth. Fede, famiglia, pace tra i temi maggiormente presenti nel suo Magistero in questo anno che ha visto anche un forte impegno per la trasparenza in Vaticano. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Pastore mite e fermo. E coraggioso. Nel 2012, un anno particolarmente intenso anche sul piano personale, Benedetto XVI affronta con decisione le sfide per la vita della Chiesa, ad intra e ad extra. A partire dai suoi viaggi internazionali che ridanno speranza alle popolazioni incontrate. A marzo, il Papa torna nel Continente latinoamericano, visitando il Messico e Cuba. In terra messicana, denuncia la violenza, la corruzione e il narcotraffico con toni vibranti che ricordano l’appello di Giovanni Paolo II contro la mafia, ad Agrigento. In terra cubana, invece, il Papa chiede coraggio alle autorità dell’Avana e alla comunità internazionale:

    “Cuba y el mundo necesitan cambios…”
    “Cuba ed il mondo - avverte - hanno bisogno di cambiamenti, ma questi ci saranno” solo se ognuno si interroga sulla verità e “si decide a intraprendere il cammino dell'amore, seminando riconciliazione e fraternità”. E proprio nel segno della riconciliazione, avviene lo storico viaggio apostolico in Libano, a settembre. In una regione dilaniata dalla violenza, con la Siria sconvolta dalla guerra civile alle porte, il Papa si fa pellegrino di pace. Toccante l’incontro di Benedetto XVI a Beirut con i giovani siriani, cristiani e musulmani, ai quali dedica parole di coraggio e speranza:

    “Il faut que l’ensemble du Moyen-Orient…”
    “E’ necessario - è la sua esortazione - che l’intero Medio Oriente, guardando voi, comprenda che i musulmani e i cristiani, l’Islam e il Cristianesimo, possono vivere insieme senza odio, nel rispetto del credo di ciascuno, per costruire insieme una società libera e umana”. La visita in Libano abbraccia idealmente tutta la regione. Motivo del viaggio è, infatti, la consegna dell’Esortazione apostolica “Ecclesia in Medio Oriente”, frutto del Sinodo dei vescovi mediorientali tenutosi, in Vaticano, nell’ottobre del 2010. Quest’anno, invece, è la volta del Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione. Un tema che sta particolarmente a cuore a Benedetto XVI che, per affrontare questa sfida, ha creato anche un dicastero ad hoc. Il Papa ribadisce, con forza, che la Chiesa “esiste per evangelizzare” e che tutti i battezzati sono chiamati all’impegno dell’evangelizzazione:

    “Tutti gli uomini hanno il diritto di conoscere Gesù Cristo e il suo Vangelo; e a ciò corrisponde il dovere dei cristiani, di tutti i cristiani – sacerdoti, religiosi e laici –, di annunciare la Buona Notizia". (Messa di chiusura del Sinodo, 28 ottobre)

    Legato al tema della Nuova Evangelizzazione è l’Anno della fede, indetto da Benedetto XVI nel 50.mo del Concilio Vaticano II e nel 20.mo della promulgazione del Catechismo della Chiesa cattolica. Un Anno che il Papa affida a Maria, in una visita al Santuario di Loreto sulle orme di Giovanni XXIII. “Se oggi la Chiesa propone un nuovo Anno della fede e la nuova evangelizzazione - afferma il Papa - non è per onorare una ricorrenza, ma perché ce n’è bisogno, ancor più che 50 anni fa!”. E sottolinea che la Chiesa è chiamata a far indietreggiare il processo di “desertificazione spirituale”:

    “Ecco allora come possiamo raffigurare questo Anno della fede: un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo, in cui portare con sé solo ciò che è essenziale: non bastone, né sacca, né pane, né denaro, non due tuniche – come dice il Signore agli Apostoli inviandoli in missione (cfr Lc 9,3), ma il Vangelo e la fede della Chiesa, di cui i documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II sono luminosa espressione”. (Messa per l’apertura dell’Anno della Fede, 11 ottobre 2012)

    Il 2012 di Benedetto XVI è anche fortemente contraddistinto dall’impegno per valorizzare la famiglia, sempre più minacciata come ricorda anche nel discorso natalizio alla Curia Romana. A maggio, a Milano, si celebra il VII Incontro mondiale delle famiglie. A loro, a genitori e figli, il Papa affida un compito straordinario: voi, afferma, siete “l’unica forza che può veramente trasformare il mondo”. Il grande raduno resta memorabile anche per le parole che il Papa rivolge, con amore paterno, alle coppie separate:

    “Mi sembra un grande compito di una parrocchia, di una comunità cattolica di fare realmente il possibile perché esse sentano di essere amate, accettate, che non sono ‘fuori’ anche se non possono ricevere l’assoluzione e l’Eucaristia; devono vedere che anche così vivono pienamente nella Chiesa”. (Festa delle testimonianze, 2 giugno).

    Se a Milano, la dimensione della visita è più internazionale che italiana, il Papa non manca di compiere altre visite in Italia: a Loreto, come ricordato per l’Anno della fede e il 50.mo del Concilio, ad Arezzo e San Sepolcro e, soprattutto ai terremotati dell’Emilia Romagna e della Lombardia. A Rovereto di Novi, tra i centri più colpiti, il Papa commosso assicura la vicinanza spirituale e concreta della Chiesa:

    “La Chiesa vi è vicina e vi sarà vicina con la sua preghiera e con l’aiuto concreto delle sue organizzazioni, in particolare della Caritas, che si impegnerà anche nella ricostruzione del tessuto comunitario delle parrocchie”. (Visita a Rovereto di Novi, 26 giugno)

    In questo anno, il Papa pubblica anche un Motu proprio sul servizio della carità e uno che istituisce la Pontificia Accademia di latinità. Eleva all’onore degli altari sette nuovi Santi e proclama “Dottori della Chiesa” San Giovanni d'Avila e Santa Ildegarda di Bingen. Crea inoltre 28 cardinali, in due concistori: uno a febbraio, l’altro a novembre. Tante le nomine importanti, tra le quali spicca quella di mons. Gerhard Ludwig Müller a nuovo prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. E’ un anno, questo, anche di sofferenza personale per il Papa che si vede tradito in casa propria. A maggio, viene arrestato il suo aiutante di camera per la sottrazione di documenti personali diffusi poi dai mass media. E’ il culmine del cosiddetto “Vatileaks” che vedrà anche un processo e una condanna a carico di Paolo Gabriele al quale il Pontefice concederà la grazia pochi giorni prima di Natale. Nel pieno della dolorosa vicenda, il Papa confida ai fedeli i suoi sentimenti. L’amarezza è forte, ma non prevale:

    “Gli avvenimenti successi in questi giorni circa la Curia ed i miei collaboratori hanno recato tristezza nel mio cuore, ma non si è mai offuscata la ferma certezza che nonostante la debolezza dell’uomo, le difficoltà e le prove la Chiesa è guidata dallo Spirito Santo e il Signore mai le farà mancare il suo aiuto per sostenerla nel suo cammino”. (Udienza generale, 30 maggio 2012)

    Coraggio e trasparenza il Papa chiede anche nella gestione dello Ior. Un processo che porta a dei risultati significativi. A luglio, infatti, l’autorità europea “Moneywal” giudica positivamente le misure prese in Vaticano per la prevenzione del riciclaggio di denaro. Durante l’anno, il settimo del suo Pontificato, il Papa non lesina energie per annunciare il Vangelo a più persone possibili. Lo fa nelle celebrazioni, in udienze ed incontri e ancora visitando parrocchie, carceri e istituti caritativi. Uno sforzo che il Pontefice porta anche nel “Continente digitale”. Il 12 dicembre, Benedetto XVI approda su Twitter. Il suo primo tweet, durante l’udienza generale, è un evento mondiale che viene seguito in diretta dai principali network internazionali. In meno di un mese, il suo account in 8 lingue, @Pontifex supera i due milioni di follower. Un successo è, infine, anche la pubblicazione del libro “L’infanzia di Gesù” con il quale il Papa conclude la sua trilogia su Gesù di Nazareth. Un dono per tutti coloro, credenti e non, che sono in ricerca della verità.

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    Al via a Roma l'incontro europeo dei giovani di Taizé, domani la preghiera con il Papa

    ◊   Comincia, oggi a Roma, il 35.mo incontro europeo dei giovani organizzato dalla Comunità di Taizé, che prevede sei giorni di preghiera, di riflessione e di vita comune. Sono quarantamila i ragazzi e le ragazze che verranno accolti dalle parrocchie, dalle famiglie e dalle comunità religiose della diocesi di Roma, e che domani sera si uniranno al Papa per una preghiera in Piazza San Pietro. Davide Maggiore ha raccolto per noi alcune testimonianze:

    “Scoprire le sorgenti della fiducia in Dio” è il filo conduttore dell’incontro e delle proposte di riflessione fatte dalla comunità ecumenica. Questo concetto torna anche nelle parole con cui i giovani descrivono le motivazioni che li hanno portati a Roma. Ascoltiamo Justine, francese di Lille:

    C’est une motivation très personnelle…
    "È una motivazione molto personale. Sono partita un po’ all’ultimo minuto. Ho avuto la fortuna di trovare un posto. È veramente un pellegrinaggio di fiducia ed era quello che mi interessava, perché è vero che nel mondo in cui viviamo oggi, caratterizzato dall’individualismo, è importante ritrovare fiducia nell’essere umano, nella Fede e nell’incontro con le persone".

    Lo stesso bisogno è condiviso anche da Nicolas, di Parigi, che lo ha ritrovato anche nelle meditazioni proposte dal priore di Taizé:

    Ce qui me touche dans ce que dit frère Alois …
    "Ciò che mi colpisce nelle parole di frère Alois è che lui vuole risvegliare in noi la fiducia; vuole che cerchiamo in noi il fuoco interiore. Vuole semplicemente che ritroviamo la fiducia in noi stessi, e quindi la speranza".

    Uno dei momenti più significativi dell’incontro sarà la preghiera dei giovani con Benedetto XVI in Piazza San Pietro. Justine spiega cosa significa per lei questa occasione:

    Le fait d’être ici c’est déjà très bien…
    "Il fatto di essere qui e vivere tutto questo è già importante. La preghiera per la pace sarà universale e sarà un simbolo molto forte. Noi abbiamo la fortuna di essere qui e di poter pregare nella Basilica di San Pietro con il Papa. È qualcosa di straordinario".

    La proposta di Taizé significa molto anche per chi non è direttamente spinto da motivazioni di fede, ma non smette di interrogarsi sul significato della propria vita. Nicolas descrive così la sua esperienza:

    Moi je fréquente Taizé depuis quelques années déjà…
    "Frequento Taizé già da qualche anno e sono tre anni che prendo parte a questi incontri europei. Vengo a Taizé per ritrovare quella pace interiore che ho perso, cerco di ritrovare la fiducia ed in questo mi sento aiutato dalla spiritualità di Taizé. Ho ricevuto un’educazione cristiana, poi mi sono allontanato dalla Chiesa. Ora, mi sento bene con Taizé ed è interessante, perché Taizé si avvicina proprio alla Chiesa. Ogni anno facciamo numerosi incontri, ed ogni volta è un’esperienza molto bella".

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In rilievo, nell’informazione internazionale, l’abisso americano che fa tremare il mondo: Obama convoca i leader del Congresso sul fiscal cliff.

    Un esodo dimenticato: in cultura, Anna Foa recensisce “Juifs en pays arabes. Le grand déracinement 1850-1975” del francese Georges Bensoussan.

    Un articolo di Timothy Verdon dal titolo “Quando il potere del simbolo si nasconde dietro cose ordinarie”: il Natale dell'Anno della fede e il messaggio sempre nuovo del presepe di Greccio, dall’affresco di Giotto ad Assisi a oggi.

    I libri che ho scritto mi piacciono: Giulia Galeotti sulla produzione di Haruki Murakami.

    La bellezze che hai cercato e amato: Ernesto Vecchi sui funerali, a Bologna, dell’imprenditrice Marilena Ferrari, fondatrice e presidente del gruppo editoriale Fmr-Art’è.

    Un canto di Natale ha conquistato il mondo: Christine Grafinger sul 225.mo anniversario della nascita di Franz Xaver Gruber, compositore di “Stille Nacht”.

    Quattro motivi per fidarsi di Dio: nell’informazione religiosa, lettera del priore di Taizé, fratel Alois, ai partecipanti all’incontro europeo dei giovani.

    I nuovi poveri bussano alla porta del Papa: nell’informazione vaticana, intervista di Nicola Gori all’arcivescovo Guido Pozzo, elemosiniere di Sua Santità.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: la Russia chiede negoziati di pace, per Assad ipotesi di asilo politico in Venezuela

    ◊   In Siria, ancora una giornata di violenza. Scontri si segnalano soprattutto a Damasco, solo ieri – secondo l’opposizione - almeno 142 persone, tra cui 55 civili, hanno perso la vita. Intanto la Russia ha chiesto al fronte degli insorti e al governo di prendere parte a nuovi colloqui di pace che potrebbero tenersi a Mosca, o al Cairo oppure a Ginevra. Cresce dunque il pressing diplomatico mentre si fa strada l’ipotesi di un asilo politico ad Assad e alla sua famiglia in Venezuela; mancano però conferme ufficiali. Sulle reali possibilità di questa eventualità, Benedetta Capelli ha intervistato Emanuele Schibotto, responsabile scientifico del sito di geopolitica “Equilibri.net”:

    R. – E’ un’ipotesi possibile, che ancora non è stata confermata da parte venezuelana. I venezuelani hanno invece confermato l’invio di una lettera da parte di Assad. Potrebbe essere dunque possibile perché i due Paesi hanno rapporti molto stretti da diversi anni, soprattutto da quando i due leader hanno consolidato una relazione personale per vari motivi. Sono entrambi due Paesi ricchi di petrolio, di risorse naturali ed entrambi due Paesi osteggiati da una parte della comunità internazionale e, per questo, hanno trovato diverse affinità. Si sentono una sorta di “paria” della comunità internazionale per alcuni aspetti e per altri aspetti si sentono dei difensori, dei portatori di interessi di quello che Chavez chiama il “mondo nuovo”. Quindi, potrebbe essere possibile. Chavez è stato in Siria diverse volte, i due Paesi hanno, in quelle occasioni, formalizzato una serie di accordi molto importanti a livello economico ed il Venezuela, negli ultimi mesi, ha inviato diversi aiuti al regime siriano sotto forma di navi che trasportavano diesel; Chavez così ha sfidato una parte della comunità internazionale, ha sfidato le sanzioni imposte dagli Stati Uniti, dalla comunità internazionale, e ciò vuol dire che le relazioni sono comunque solide.

    D. – Chavez e Assad sono due leader, in questo momento, abbastanza isolati rispetto alla comunità internazionale. Questa loro unione rischia di isolarli ancora di più?

    R. – Sono isolati per quanto riguarda una parte della comunità internazionale. Teniamo presente che la Cina e la Russia, ad esempio, hanno continuato ad appoggiare, e continuano ad appoggiare, ancora adesso, il regime di Assad all’interno del Consiglio di Sicurezza. Anche in Sudamerica, il Venezuela di Chavez ha comunque diversi sostenitori. Evo Morales, il presidente della Bolivia, il presidente dell’Ecuador, Correa, per non parlare ovviamente di Cuba, dove Chavez si è curato per il suo cancro. Chavez è molto amato da una parte della sua popolazione, ha appena vinto le elezioni anche se ci sono accuse di brogli, di irregolarità ma, oggettivamente parlando, è comunque un leader che ha un certo consenso. Come lo manifesti poi, come lo gestisca, come lo accresca e come lo ingrandisca è un altro discorso. Sono, comunque, due leader che una parte della comunità internazionale osteggia – una gran parte – ma non dimentichiamoci che c’è un’altra faccia della medaglia, con alcuni Paesi che si fanno forza tra di loro.

    D. – L’asilo politico, a questo punto, può essere una parte della soluzione del conflitto siriano?

    R. – Può essere letta come l’ultima carta da giocare per il regime, quella di cercare un Paese amico, forse in questo momento il Paese più "amico", in un contesto completamente diverso. Teniamo presente un’ultima cosa: il Venezuela arriva da un momento di grande difficoltà; c’è grande incertezza sulla salute del presidente, tanto che pochi giorni fa, Chavez stesso ha nominato il vice presidente come suo possibile successore, nel caso in cui il cancro lo dovesse fermare. Ci sono tutta una serie di giochi ad incastro, per cui se Chavez fosse stato in salute, nel pieno del proprio potere, avrebbe già dato l’avallo per l’asilo politico. In una situazione d’incertezza di questo tipo, forse gli uomini più vicini a Chavez stanno aspettando per capire come comportarsi. E’ una dinamica che non controllano bene neanche loro. D’altra parte, Assad cerca forse l’ultima carta per andarsene senza rimetterci la pelle.

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    Centrafrica: la Francia non interviene contro l'avanzata dei ribelli

    ◊   Sempre complicata la situazione nella Repubblica Centrafricana. Il presidente Francois Bozizè ha chiesto aiuto a Stati Uniti e Francia per fronteggiare l’avanzata dei ribelli verso la capitale Bangui. Da Parigi, il capo dell’Eliseo, Hollande, chiarisce che non ci sarà alcuna interferenza negli affari interni centrafricani e che l’obiettivo è solo di proteggere i connazionali. Anche Onu e Stati Uniti adottano misure di sicurezza per il proprio personale. Intanto la Comunità economica degli Stati dell'Africa Centrale (Ceeac) tenta una mediazione tra le parti. Ce ne parla Giulio Albanese:

    I ribelli della coalizione "Seleka" avanzano e il presidente centrafricano François Bozize chiede aiuto perché teme di fare la fine del suo predecessore Patasse. Ma la Francia fa orecchie da mercante, mantenendo dunque, sì, una presenza nella Repubblica Centrafricana, ma solo e unicamente per proteggere i propri interessi e i cittadini francesi, e non il governo di Bozize. Così il numero uno dell’Eliseo, François Hollande, ha chiarito ieri il ruolo del suo governo nelle ore in cui cresce la tensione a Bangui. Sta di fatto che tra i seguaci di Bozize c’è qualcuno che comincia a sospettare che dietro i ribelli che avanzano a spron battuto vi sia proprio l’ex potenza coloniale, indispettita dalle aperture eccessive di Bozize al cartello economico dei Brics. Bozize è comunque in affanno e le Nazioni unite e gli Stati Uniti hanno ordinato il rimpatrio di tutto il personale non essenziale e delle loro famiglie, dimostrando così nei fatti il timore di un’escalation di violenza. La situazione è comunque ancora molto fluida anche perché sono in pochi a fidarsi della reale efficacia della forza multinazionale dell’Africa centrale, la Fomac, messa in campo - grazie anche ai fondi dell’Unione europea - dai Paesi della regione per mantenere la stabilità nella regione. Attualmente la forza conta già 500 militari (provenienti da Gabon, Congo e Ciad) nella Repubblica Centrafricana e ha annunciato l’arrivo di nuove truppe per mettere in sicurezza la capitale. Ma gli interessi legati al sottosuolo minerario del centrafrica - oro, diamanti e petrolio - sembrano essere tali da provocare il ribaltone.

    Per un commento sull’atteggiamento della Francia nella situazione della Repubblica Centrafricana, Eugenio Bonanata ha intervistato Enrico Casale, della rivista dei gesuiti ‘Popoli’:

    R. – E’ una posizione che lascia le "mani libere" a Parigi di non impegnarsi con nessuna delle parti in causa, il che permette di mantenere gli interessi francesi immutati nella nazione. Teniamo presente che la Repubblica Centrafricana è, intanto, un’ex colonia francese. Poi è una nazione abbastanza ricca di risorse, penso soprattutto al legname. L’unica sfortuna è che non ha uno sbocco al mare e quindi deve sempre venire a patti con i propri vicini per riuscire ad esportare le proprie materie. Ma è una nazione che potrebbe vivere in modo decoroso se fosse gestita con attenzione dalla classe politica.

    D. – Come la Francia, anche gli Stati Uniti hanno fatto cadere nel vuoto la richiesta di aiuto da parte della presidenza e hanno chiuso la propria ambasciata e ritirato il personale dal Paese, come del resto ha fatto anche l’Onu...

    R. – Gli Stati Uniti sono meno impegnati rispetto alla Francia, nella Repubblica Centrafricana hanno interessi minori rispetto a quelli di Parigi. Quindi, è giustificabile anche un sostanziale ritiro e un sostanziale non impegno nel Paese da parte di Washington.

    D. – Chi sono i ribelli di "Seleka"? C’è il rischio di estendere l’influenza islamica nel Paese? Insomma, c’è un disegno preciso su questo fronte?

    R. – La questione è ancora abbastanza incerta. La Repubblica Centrafricana è un Paese dell’Africa sub sahariana, nella quale c’è una minoranza islamica, ma non ha una funzione così importante. Certo, il movimento fondamentalista islamico si sta estendendo anche nell’Africa sub sahariana, però non vedrei un disegno complessivo dei fondamentalisti, simile per esempio a quello del Mali dove invece la presenza delle formazioni integraliste è consistente e dove esiste un progetto di creare una base logistica per le azioni in tutto il Sahel. Nella Repubblica Centrafricana, per il momento almeno, non vedo un rischio di questo tipo.

    D. – Qual è il ruolo della forza multinazionale dell’Africa centrale schierata nel Paese?

    R. – Le zone a Nord e ad Ovest della Repubblica Centrafricana sono sempre state zone instabili. Il governo di Patassé prima e di Bozizé dopo non sono mai riusciti a controllare quelle zone. Un intervento di una forza multinazionale potrebbe solamente rallentare un’eventuale avanzata verso la capitale. Ma non so quanto riuscirebbe a riportare la stabilità in zone che, ripeto, sono sempre state instabili e che da anni sono instabili, preda di movimenti ribelli, ma anche di banditismo, di criminalità comune. Teniamo presente che proprio nel Nord della Repubblica Centrafricana si dice che ci siano anche gli ultimi ribelli del Lord’s Resistance Army ugandesi. Quindi, c’è tutta una fascia non controllata da parte del governo che è un po' il "regno di nessuno".

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    Vertice dei centristi con Monti. I commenti dei giornalisti europei sulla politica italiana

    ◊   Altra giornata di grandi manovre politiche in Italia. Il Pd ha ufficialmente candidato capolista Pietro Grasso che lascia l’antimafia; è nato il nuovo movimento "Centro democratico", di Tabacci e Donadi; ma l’appuntamento principale è il vertice in corso tra Mario Monti e i centristi che dovrebbe definire forma e composizione della lista o federazione di liste, che lo sosterrà. E oggi arriva anche il rinnovato auspicio da parte del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, che nelle prossime elezioni prevalga “una politica alta per il bene del Paese”. Ma come l’Europa valuta i cambiamenti in corso nel panorama politico italiano, a partire dal ruolo guida dei centristi, che potrebbe avere Mario Monti? Gabriella Ceraso ne ha parlato con i colleghi Dimitri Deliolanes, della radio televisione Ellenica, e Martina Bachstein corrispondente del Sueddeutsche Zeitung. Dimitri Deliolanes:

    R. – Sicuramente, Monti giocherà un ruolo di primo piano. In Grecia non se ne parla, perché non hanno capito bene la situazione: credono che sia una candidatura contro Berlusconi. Però, sicuramente, nei commenti che ci sono stati finora, il modo in cui ha presentato la sua candidatura è stato criticato. E’ stata una maniera molto impropria di scendere – o salire – in politica.

    D. – Ancora austerity e ancora molta Europa se si affermerà la linea Monti: la Grecia rischia di essere più sola?

    R. – Il governo Monti è stato un prezioso alleato per la Grecia: questo bisogna dirlo. Ed ha anche sostenuto le ragioni di un cambiamento della politica economica europea. Certo, un pò timidamente e tenendo conto, un po’ troppo conto, dei rapporti di forza all’interno dell’Unione Europea. Sicuramente, però, un cambiamento nel governo italiano ci sarà, chiunque vinca. Non nel senso demagogico ma un cambiamento favorevole nei riguardi dei Paesi più problematici dell’Europa,e la Grecia è tra questi.

    D. – Andrea Martina Backstein, la Germania non ha mai nascosto la sua passione per Monti e per le sue scelte. Ma ci sono ad oggi nuove ipotesi che potrebbero essere appoggiate e sostenute egualmente dalla linea tedesca?

    R. – La cosa più importante per la Germania – e non soltanto per la Germania – sarà una politica o un governo che siano affidabili. Bersani, ad esempio, non è molto conosciuto in Germania, però ha sempre avuto contatti intensi con i socialdemocratici; un personaggio come Montezemolo, poi che è conosciuto per la sua carriera nell'industra, pare essere un punto di riferimento, rispetto ai tanti che abbiamo conosciuto prima di Monti. Ovviamente, chiunque venga eletto, alla fine, sarà accettato; la cosa più importante, ripeto, è che sia affidabile …

    D. – Credi che all’estero, in particolare in Germania, si noti una maggiore mobilità politica in Italia?

    R. – Sì: probabilmente, è all’inizio. Non è ancora molto chiaro poi come si svolgerà la creazione di questo nuovo polo, delle liste … i lavori sono ancora in corso. Però, un cambiamento sicuramente viene seguito con grande attenzione, in termini molto positivi.

    D. – Il futuro dell’Italia oggi si guarda con maggiore serenità, o si hanno ancora paure anche sulla sua sorte?

    R. – Preoccupazione c’è, ancora, perché la crisi non è finita, ma per nessuno, in Europa. Penso però che si veda che è possibile cambiare qualcosa e svolgere una politica più coerente, più affidabile. Le grandi preoccupazioni dell’anno scorso sicuramente si sono calmate.

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    Il cardinale Sepe al pranzo di Natale con i poveri di Napoli: la ripresa inizi dagli ultimi

    ◊   Ancora una volta, rinnovando l’invito fatto sin dal suo arrivo a Napoli nel 2006, il cardinale Crescenzio Sepe ha aperto oggi le porte del Palazzo arcivescovile, per offrire il pranzo di Natale a poveri e senza fissa dimora della sua città. Oltre 300 i pasti preparati dalla Caritas e serviti dall’arcivescovo, dai sacerdoti e da numerosi volontari. Sul significato del pranzo, Paolo Ondarza ha intervistato lo stesso cardinale Sepe:

    R. - E’ un segno della vicinanza della Chiesa ai più poveri, ai più emarginati, perché – forse, prima del pane materiale - hanno bisogno della vicinanza della Chiesa. La Chiesa è con loro, la Chiesa è per loro.

    D. – Significativa anche la testimonianza dei volontari…

    R. – Sì, diciamo che senza di loro non si poteva far niente e devo dire che in prima linea ci sono sempre i giovani, che hanno speso tutte le loro energie, sia per organizzare, che per servire. Un gesto commovente e molto efficace.

    D. – Si tratta del settimo pranzo di Natale che viene organizzato da quando lei è arcivescovo di Napoli. Come è mutata la povertà in questi anni, così segnati dalla crisi?

    R. – Oggi questa povertà si è allargata a macchia d’olio. Lo vediamo ogni giorno nelle distribuzioni dei pasti nelle singole parrocchie: prima si distribuivano 50-60 pasti, oggi sono arrivati a distribuirne più di 100-150. Una povertà che coinvolge anche quelli che prima non ne erano investiti: ad esempio anche un professore di latino e greco - essendo monoreddito - non ce la fa e chiede aiuto, partecipando anche a questi pranzi.

    D. – Cioè, i nuovi poveri partecipano a questo pranzo di Natale?

    R. – Sì, alcuni sì. Quelli che hanno più coraggio, perché altri – proprio perché non abituati – cercano un po’ di nascondersi: c’è come un senso di vergogna o paura di essere riconosciuti; però, molti vengono. Anche i separati, i quali - per le condizioni di vita in cui si trovano - non riescono ad arrivare a fine mese. Anche loro fanno parte, ormai, di questo esercito di nuovi poveri, che si allarga sempre di più.

    D. – Quanto lei dice trova riscontro nei numeri. Solo ieri Confindustria ha diffuso dei dati: 16mila le imprese che hanno chiuso nel Mezzogiorno, particolarmente critica la situazione in Campania…

    R. – Purtroppo, la nostra regione ha il primato ed io lo riscontro, per esempio, anche qui vicino la Cattedrale. In Via Duomo – strada classica per i negozi –vedo con i miei occhi, quando cammino, che molti negozi ormai non ce la fanno più e sono stati costretti a chiudere i battenti.

    D. – Alla luce di quanto detto, qual è il suo auspicio come arcivescovo di Napoli?

    R. – Intanto, non bisogna mai perdere la speranza: questo sarebbe il pericolo maggiore. Il mio augurio è che ci sia una vera ed autentica ripresa, che non può assolutamente prescindere da chi è più povero, da chi ha più bisogno. Se ripresa ci deve essere, deve essere una ripresa di tutti, iniziando dai più umili e dai più bisognosi.

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    Alcoa: cassa integrazione solo per i lavoratori diretti, esclusi quelli dell'indotto

    ◊   Via libera alla cassa integrazione straordinaria per i 500 dipendenti diretti dell’ex Alcoa di Portovesme. Disattesa, però, dal provvedimento ratificato ieri presso il Ministero del lavoro, la richiesta dei sindacati di estendere la cassa integrazione anche alle centinaia di lavoratori delle ditte d’appalto. Il dramma dell’azienda, visitata prima di Natale dal cardinale segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone, si aggiunge a quello degli operai della ex Rockwool di Iglesias, che per protesta si sono murati vivi nella galleria di Monteponi. Sulla ratifica della cassa integrazione per i lavoratori diretti dell’Alcoa, Paolo Ondarza ha intervistato don Salvatore Benizzi, direttore dell’Ufficio problemi sociali e lavoro della diocesi di Iglesias:

    R. - La cassa integrazione è un dato positivo molto relativo rispetto a ciò che si perde, diciamo che rappresenta quel minimo per non disperarsi. La cassa integrazione dell’Alcoa si aggiunge alla cassa integrazione dell’Eurallumina; e non dobbiamo dimenticare i lavoratori della Rockwool, che sono trincerati dentro una galleria e si sono murati vivi. Sono tutti segni che, certamente, non portano a quella speranza di cui parlava il cardinale Bertone quando pochi giorni fa ha visitato i lavoratori.

    D. - Al tavolo presso il Ministero del lavoro non è stata trovata una soluzione per le centinaia di lavoratori delle ditte di appalto. Come mai?

    R. - Perché erano assenti, non si sono presentati al tavolo della trattativa, né i Mise - Ministero dello Sviluppo Economico - tantomeno la Regione Sardegna. Questo ci fa molto male, perché se mancano anche gli aiuti da parte di quelli di casa nostra siamo proprio alla fine.

    D. - I lavoratori si sentono lasciati soli…

    R. - Sono molto scoraggiati, delusi di questa mancata presenza e di questa non volontà di voler mettere sul piatto anche la disperazione e le disgrazie dei lavoratori delle ditte di appalto.

    D. - Vogliamo ricordare il dramma umano che si sta vivendo ad Iglesias, a causa della disoccupazione, della mancanza di lavoro…

    R. - Le leggo, adesso, una lettera che è stata data al cardinale Bertone dopo la sua visita all’Alcoa. Si tratta della figlia di una persona espulsa dall’attività lavorativa: “Non crediamo più in niente: classe politica, Dio… Quale Dio? Il mio Dio non avrebbe permesso ai miei occhi di vedere mio padre morire mentalmente e fisicamente. Ha solo 50 anni. Una vita fatta di sacrifici, per che cosa? Senza lavoro non è Natale, non è vita. Ci stanno portando via tutto, compreso l’orgoglio”. Questa è la figlia di uno di quei minatori della Rockwool, murati vivi per protesta. Cosa vuole che le dica: anche noi, come Chiesa, siamo senza parole, siamo vicini e - in questo caso - in religioso silenzio. Sappiamo perfettamente che le risposte non stanno direttamente nel fatto religioso, il lavoro è qualcosa che ti danno e ti tolgono, che prescinde dal fatto di credere o non credere. È stato un Natale molto molto triste per noi, perché oltre ad essere il territorio più povero, siamo anche il territorio che diventa sempre più povero; speriamo inoltre che non scoppino situazioni di reazioni fuori di testa. Speriamo che non accada.

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    Santi Innocenti Martiri. Scienza e Vita: nel mondo milioni di embrioni "congelati"

    ◊   La Chiesa ricorda oggi i Santi Innocenti Martiri, i bambini fatti uccidere dal re Erode allo scopo di eliminare Gesù, della cui nascita era stato informato dai magi che cercavano “il re dei Giudei”. Sono innumerevoli le violenze che nel mondo si compiono sui minori: abusi sessuali, sfruttamento nelle guerre, nel lavoro, uccisioni per il trapianto di organi. Nel Messaggio per la Pace del 2007, Benedetto XVI parlava di “morti silenziose provocate dalla fame, dall’aborto, dalla sperimentazione sugli embrioni”. Ma nel mondo quale tipo di esperimenti vengono fatti sugli embrioni? E con quali scopi? Debora Donnini lo ha chiesto a Lucio Romano, presidente di Scienza e Vita:

    R. – La ricerca è particolarmente incentrata sull’uso degli embrioni da cui poter prelevare le cellule staminali: cellule staminali embrionali che, opportunamente trattate, potrebbero poi andare incontro ad una differenziazione delle cellule da poter usare dalla cosiddetta terapia rigenerativa. E certamente questo è un campo che riscuote un grandissimo interesse da parte della ricerca ma che, d’altra parte, cozza con i fondamenti antropologici della tutela della vita di un essere umano allo stato biologico di embrione e che, evidentemente, con lo stesso prelievo delle cellule verrebbe ad essere soppresso. Il terreno è rappresentato soprattutto dalle cellule prodotte da embrioni e questi embrioni a loro volta sono prodotti attraverso tecniche di fecondazione artificiale. E noi sappiamo come a livello mondiale siano ormai milioni e milioni gli embrioni che vengono prodotti e crio-conservati e centinaia di migliaia non verranno più utilizzati e potrebbero essere destinati alla ricerca.

    D. – In quali Paesi è possibile fare sperimentazione sugli embrioni?

    R. – Esclusa l’Italia, con la legge 40 del 2004 che impedisce la ricerca distruttiva sugli embrioni, in Paesi quali per esempio gli Stati Uniti e i Paesi anglofoni sono quelli in cui si svolge una ricerca sulle cellule di embrioni, di cellule che evidentemente sono frutto di fecondazione artificiale e sulle quali si opera per poter dar luogo poi a eventuali interventi terapeutici futuri.

    D. – Quindi, diciamo che nel mondo ci sono milioni di embrioni congelati …

    R. – Stiamo parlando di esseri umani, di soggetti umani allo stato biologico di embrione in una situazione di stand-by, di crio-conservazione, salvo poi destinazione per la ricerca e, quindi, distruzione degli embrioni stessi. Stiamo parlando di esseri umani che sono stati pensati per poter nascere e proseguire il loro percorso di vita – quindi, venire alla luce – e di conseguenza viene impedito loro questo progetto di vita. E credo che questo sia un problema grandissimo, sotto il profilo antropologico, e che inerisce anche una civiltà non solo di ordine democratico, nell’assetto dell’organizzazione sociale, ma inerisce evidentemente anche lo sfruttamento di una vita umana.

    D. – Ci sono parti del mondo dove, ad esempio, si può scegliere il sesso del nascituro, cosa che invece è vietata – lo ricordiamo – in Europa e nel Regno Unito. Si chiama “bilanciamento familiare”: è così?

    R. – Sì. Il “bilanciamento familiare” contempla il ricorso alla diagnosi genetica pre-impianto, vale a dire alla selezione degli embrioni che presentino determinate caratteristiche. Nel caso specifico, si selezionano da un pool di embrioni quelli di sesso maschile, con cromosoma “Y”, o si selezionano quelli con cromosoma “X”, da qui poi la possibilità di poterli impiantare ed eventualmente la possibilità che prosegua la gestazione. Questo credo che sia un criterio del tutto inaccettabile, perché la selezione comporta evidentemente già di per sé l’inaccettabilità del riconoscimento di una dignità maggiore ad un soggetto che sia di sesso maschile o di sesso femminile, ma si va a ledere il fondamento di un progetto di vita che prescinde dalla determinazione del sesso. Possiamo dire che è una tirannia sociale. Ci sono ricerche che sono state pubblicate e che hanno evidenziato – ad esempio – la selezione dell’embrione in ragione della positività o meno del fattore “Rh”: questo per ragioni cliniche, ma che portavano alla selezione, e quindi alla soppressione, di embrioni con fattore “Rh” non auspicato. Quindi, la selezione può essere fatta con la diagnosi genetica pre-impianto ma è del tutto inaccettabile sotto il profilo etico.

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    Militari italiani pellegrini in Terra Santa. Mons. Pelvi: sui passi del Principe della Pace

    ◊   E’ iniziato oggi il Pellegrinaggio dei militari italiani in Terra Santa: promosso dall’arcivescovo Vincenzo Pelvi, ordinario militare per l’Italia, è una delle iniziative in programma per l’Anno della Fede. Sull’evento, che si concluderà il 4 gennaio, Luca Collodi ha intervistato lo stesso mons. Pelvi:

    R. - In Terra Santa i soldati ci vanno perché lì sentono di poter camminare sui passi del “Principe della pace”. La Terra Santa è una terra benedetta ed è una terra dove la benedizione, tante volte, è segnata dalla violenza, dalla lotta, dalla guerra; vediamo la Terra Santa come una terra di paradosso, un incontro tra cielo e terra. Accanto alla preghiera c’è un compito, un impegno, cioè: i nostri militari in Terra Santa vedono la pace scritta nei volti di quanti appartengono a religioni diverse; vediamo in Terra Santa musulmani, ortodossi, cattolici e tutti - indipendentemente dalla religione professata – desideriamo e vogliamo costruire la stessa pace. Allora, si va in Terra Santa perché vogliamo essere consapevoli del progetto di Dio nella storia dell’uomo; questo progetto è che la guerra non può essere mai una guerra benevola, non può essere mai una guerra giusta, ma dobbiamo tendere ad una pace possibile.

    D. – Voi porterete anche un aiuto concreto ai cristiani di Terra Santa…

    R. – Sì, perché l’Ordinariato militare si è prefisso come progetto il sostegno alle famiglie dei pochi cristiani rimasti in Terra Santa, che non devono mai andar via. Aiutare anche, in maniera tangibile, la costruzione di abitazioni per i cristiani più poveri, perché possano stare nella terra di Gesù. È un progetto che si potrà realizzare sempre meglio.

    D. – Quali saranno le tappe di questo pellegrinaggio?

    R. – Le tappe sono un percorso che si snoda dalla Galilea, l’Annunciazione, cioè da Nazareth, per poi passare in Giudea, a Betlemme, la nascita di Gesù, e arrivare ai momenti significativi della vita di Gesù, della vita pubblica, con una particolare riflessione sulla Chiesa nascente e quindi sugli Apostoli e sulla loro chiamata. Percorrere poi la via del Calvario sino al sepolcro vuoto, che darà uno slancio, una scossa interiore, per una vita più buona secondo il Vangelo. Il Patriarca Twal ci accoglierà per condividere con noi la fede cristiana, calata nei luoghi della vita di Gesù, quasi una possibilità di immettere la linfa della storia dei luoghi di Gesù nella nostra storia e nella nostra vita di ogni giorno.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria. Il vescovo Nazzaro: le autorità di Aleppo apprezzano le parole del Papa. Chiese piene a Natale

    ◊   Il governatore di Aleppo, Mohammad Vakhid Akkad, accompagnato da altre autorità politiche locali, nella giornata di ieri ha voluto incontrare i vescovi e i sacerdoti cattolici riuniti nella citta siriana per porgere loro gli auguri in occasione delle festività natalizie. In tale occasione, il governatore ha espresso il proprio apprezzamento per le frasi che Benedetto XVI ha dedicato alla tragica situazione siriana nel suo Messaggio natalizio. Lo racconta all'agenzia Fides mons. Giuseppe Nazzaro, vicario apostolico di Aleppo dei Latini. “Ieri - riferisce a Fides il vescovo - noi vescovi e i sacerdoti cattolici di Aleppo eravamo riuniti per il nostro ritiro mensile. Quest'anno, vista la situazione, avevamo cancellato le tradizionali visite ufficiali che si svolgono in occasione del Natale. Ma il governatore ha saputo del nostro incontro ed è voluto venire lui stesso per salutarci e dirci anche che aveva molto apprezzato le parole intense che il Papa ha pronunciato il giorno di Natale a favore della pace in Siria. I capi delle nazioni - commenta mons. Nazzaro - devono fare di tutto per fermare il conflitto: stanno distruggendo un Paese intero, e chiunque prevarrà, alla fine si troverà davanti solo un cumulo di macerie, umane e materiali”. La regione di Aleppo continua ad essere teatro di battaglia. Negli ultimi giorni forze ribelli e lealisti si combattono per il controllo dell'aeroporto militare. In questa situazione stravolta, il vescovo confessa che in città tanti cristiani hanno potuto vivere “in santa gioia cristiana” almeno il giorno del Natale: “Le Messe - racconta a Fides - la sera del 24 dicembre sono state anticipate, per permettere a tutti di tornare a casa presto. Io ho celebrato in cattedrale - continua il presule - alle 16, mentre in parrocchia la Messa è iniziata alle 17. Anche il 25 dicembre, alla Messa delle 10 e a quella di mezzogiorno, la cattedrale e la parrocchia latina erano stracolme di fedeli. Lo stesso è accaduto nelle chiese degli altri riti. Una cosa sorprendente, se si pensa ai tanti che sono fuggiti dalla città o che sono sfollati. In questo momento, tutti vengono in chiesa per cercare un conforto e una parola di consolazione, che non trovano da nessun'altra parte. Si sentono spari e cannonate da tutte le parti. Non capiamo da dove partono e dove arrivino: sappiamo solo - afferma mons. Nazzaro - che portano dovunque morte e distruzione”. (R.P.)

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    India: nel Karnataka anche a Natale minacce contro i cristiani

    ◊   “Rapidi nel rispondere alle richieste di nazionalisti indù”, ma “muti spettatori davanti a violenze contro i cristiani”. Così Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), commenta il 40mo attacco in Karnataka dall'inizio del 2012. Il 26 dicembre scorso, attivisti del Bajrang Dal hanno costretto il parroco della chiesa Stella Maris a Kalmady (distretto di Udupi) a rimuovere uno striscione dedicato a Nostra Signora di Velankanni, di cui quest'anno ricorre il Giubileo d'argento. Lo striscione - riferisce l'agenzia AsiaNews - mostrava l'immagine della Madonna e di un bramino con in mano un vaso. Secondo la tradizione, dal 16mo secolo la zona è stata teatro di alcune apparizioni mariane. Il primo testimone è stato un bambino indù che portava del latte, al quale la Vergine chiese il latte per suo figlio, che teneva tra le braccia. Per celebrare i 25 anni della cappella dedicata a Nostra Signora di Velankanni, l'8 dicembre scorso padre Alban D'Souza ha affisso il cartello. Secondo Anil Bangera, a capo dell’unità locale del Bajrang Dal, lo striscione “urtava i sentimenti religiosi della comunità indù di Kalmady”. Rivolgendosi alla polizia, i nazionalisti indù hanno chiesto al parroco di rimuovere la scritta e di “scusarsi per l’offesa”. Per non provocare reazioni violente durante le feste di Natale, padre D'Souza ha acconsentito, spiegando che “la Chiesa non ha intenzione di ferire il credo di nessuno”. Per Sajan George, quanto accaduto è “un atto di intolleranza da condannare con forza, perché getta semi di sfiducia e sospetto all’interno della comunità”, soprattutto perché “l’apparizione di Nostra Signora di Velankanni appartiene alla storia e alla cultura di questa zona, ed è adorata da fedeli di ogni religione”. (R.P.)

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    Russia: Putin firma la legge anti-adozioni negli Usa

    ◊   Sono passate poche ore dalla sua unanime approvazione nel Consiglio federale russo, e il divieto per i cittadini statunitensi di adottare bambini russi è già diventato legge. Il presidente Vladimir Putin lo ha firmato oggi, nonostante le voci contrarie presenti all’interno del governo russo e il recente intervento del portavoce del Dipartimento di Stato Usa Patrick Ventrell, che aveva fortemente criticato la proposta di legge, esortando il governo di Medvedev a “non intrappolare gli orfani russi nelle questioni politiche”. Ventrell aveva dichiarato: “abbiamo più volte ripetuto chiaramente, sia in pubblico che in privato, la nostra profonda preoccupazione per la proposta votata dal Parlamento russo”. Le relazioni tra Russia e Usa si erano incrinate a causa del cosiddetto “Magnitsky Act”, adottato dal Congresso e firmato dal presidente Obama all’inizio di dicembre. Tale legge non permette di viaggiare o possedere immobili negli Stati Uniti ai cittadini russi accusati di violazione dei diritti umani. Il titolo della norma è dovuto al caso di Sergei Magnitsky, un rappresentante della Hermitage Capital Management che nel novembre del 2009 è deceduto nel carcere russo dove stava scontando una pena per presunta evasione fiscale. Magnitsky aveva scoperto una rete di corruzione che coinvolgeva funzionari del fisco e il suo caso era diventato un simbolo della lotta contro la corruzione in Russia. L’anno scorso un rapporto ufficiale russo ha concluso che Magnitsky venne torturato e ammanettato nella sua cella. La norma firmata da Putin capovolge i piani di numerose famiglie americane: nel 2011 almeno un orfano russo su tre veniva adottato da famiglie statunitensi, e si stima che negli ultimi venti anni più di 60mila russi siano stati presi in carico dalle famiglie americane. Dopo la firma, Il presidente della Federazione russa ha affermato: “Probabilmente ci sono molti luoghi nel mondo in cui gli standard di vita sono migliori dei nostri. E quindi? Dovremmo forse mandarci tutti i nostri bambini, o trasferirci tutti?”. (L.P.)

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    Mali: tour africano del premier per avviare un'operazione militare nel Nord

    ◊   Un’operazione militare africana da avviare “il più presto possibile”: è quanto richiesto ad Abidjan dal nuovo capo del governo di transizione maliano Diango Cissoko durante un tour regionale che lo ha prima portato a Ouagadoudou, poi in Benin e oggi in Senegal. A colloquio con il capo di Stato ivoriano Alassane Dramane Ouattara, presidente di turno della Comunità economica dei Paesi dell’Africa occidentale (Cedeao/Ecowas) - riferisce l'agenzia Misna - Cissoko ha sollecitato il “pieno sostegno” dell’organismo regionale per “aiutare il Mali a uscire fuori dalla crisi” ha riferito il quotidiano locale ‘Journal du Mali’. Inoltre il capo del governo maliano ha assicurato che elezioni “credibili e trasparenti si terranno appena le condizioni saranno riunite”: un passaggio istituzionale richiesto dalla Cedeao e dalla comunità internazionale per normalizzare la situazione a Bamako dopo il colpo di Stato dello scorso 22 marzo. Ouattara ha confermato al suo interlocutore che “l’operazione partirà appena le condizioni saranno riunite e faremmo in modo che siano riunite quanto prima”, sottolineando che “si può avere fiducia in quest’intervento”. A Ouagadougou Cissoko ha invece incontrato il presidente burkinabe, Blaise Compaoré, mediatore della Cedeao nella crisi maliana impegnato da settimane in un tentativo di allacciare un dialogo tra le autorità di Bamako e due dei gruppi ribelli che da mesi controllano le regioni settentrionali, gli islamici di Ansar Al Din e i tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla). Nella capitale beninese il capo del governo di Bamako ha poi avuto uno scambio diretto con Thomas Yayi Boni, presidente in esercizio dell’Unione Africana (Ua). A Ouagadougou, Abidjan e Cotonou, il primo ministro maliano ha anche consegnato ai capi di Stato dei Paesi vicini un messaggio a firma del presidente di transizione Dioncounda Traoré. Il primo viaggio di Cissoko fuori dal Mali, dalla sua nomina lo scorso 11 dicembre, interviene a pochi giorni da una risoluzione approvata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. La risoluzione n° 2085, adottata all’unanimità dai 15 Stati membri, autorizza il dispiegamento di una Missione internazionale in Mali (Misma) per un periodo iniziale di un anno e invita le autorità di Bamako ad avviare “negoziati credibili” con alcuni dei gruppi ribelli stanziati nel Nord ma anche organizzare elezioni presidenziali e legislative prima del prossimo aprile. (R.P.)

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    Egitto. Sale la tensione: i leader dell'opposizione indagati per tradimento

    ◊   Talaat Ibrahim Abdallah, il procuratore generale voluto dal Presidente Morsi, apre un'indagine sui leader del National Salvation Front per incitamento alla rivolta e alto tradimento. Hamdeen Sabahi, Amr Moussa e Mohammed ElBaradei - questi ultimi due ex candidati alla presidenza - hanno guidato di recente le manifestazioni oceaniche contro Mohamed Morsi, i Fratelli musulmani e la Costituzione basata sui detti coranici. L'azione legale contro i tre principali leader dell'opposizione democratica giunge dopo le critiche al referendum costituzionale considerato invalido per la poca affluenza alle urne (solo un terzo degli aventi diritto) e i molti casi di brogli compiuti dagli islamisti. Incurante del clima di tensione, mercoledì scorso il Presidente ha firmato la nuova Costituzione e nei prossimi giorni comunicherà la data ufficiale delle nuove elezioni parlamentari. La mossa dei giudici vicini all'establishment islamista aumenta le tensioni fra gli egiziani difensori della laicità dello Stato e il fronte pro-sharia, che rischiano di portare il Paese verso la guerra civile. In un articolo pubblicato oggi dal quotidiano online al-Ahram, alcuni diplomatici vicini all'opposizione parlano di minacce e pressioni da parte dei loro direttori responsabili, che vogliono zittire qualsiasi critica contro Morsi. (R.P.)

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    Spagna: domenica la manifestazione in difesa della famiglia cristiana

    ◊   “La famiglia cristiana è fraintesa e maltrattata”, ha denunciato il presidente della Conferenza episcopale spagnola, il cardinale Antonio Maria Rouco Varela, parlando alla tv cattolica Cope, in occasione della manifestazione che si terrà domenica prossima, 30 dicembre, festa della Santa Famiglia, a Plaza de Colón a Madrid, in difesa della famiglia cristiana. Secondo quanto riferisce l’agenzia Fides, il cardinale ha detto che "nelle circostanze storiche in cui ci troviamo, la famiglia non è capita, e pertanto non è facile vivere in essa tutta la bellezza che le è propria naturalmente. Quando non si permette di vivere la famiglia in questo modo – ha proseguito -, anzi, quando c'è ostilità nei confronti della famiglia, allora non solo la si fraintende, ma la si maltratta; quindi la necessità di affermare la sua fede e il suo contenuto di realtà naturale e soprannaturale, diventa un postulato primario e fondamentale nella missione evangelizzatrice della Chiesa". La famiglia è "una realtà essenziale dell'uomo" e "la prima cellula della Chiesa e della società, quindi la si deve sempre festeggiare". Proprio per questo, i fedeli e le famiglie che verranno domenica a Piazza Colon vogliono dimostrare al mondo che “siamo di fronte ad una emergenza familiare e di fede, del bene comune e della speranza". Madrid negli ultimi anni è diventata il centro delle grandi manifestazioni a favore della famiglia: l’evento dello scorso anno ha radunato migliaia di persone che hanno ribadito il senso dell’impegno cattolico per la famiglia. L’arcidiocesi di Madrid ha inoltre avviato la “Missione-Madrid”, per preparare la missione della Nuova Evangelizzazione partendo dalla famiglia. (R.P.)

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    Venezuela: Messaggio di Capodanno del card. Urosa sull'Anno della Fede

    ◊   L'arcivescovo di Caracas, il card. Jorge Urosa Savino, ha pubblicato un suo Messaggio di Capodanno rivolto a tutti i venezuelani in cui chiede ai cittadini di promuovere la convivenza sociale e alle autorità maggiore sicurezza per la popolazione. Il Messaggio, che inizia ricordando l'invito del Santo Padre a celebrare l'Anno della Fede, propone di "vivere la fede cattolica in mezzo a un mondo secolarizzato, indifferente, e a volte contrario a Dio". Nel testo, riportato dall’agenzia Fides, il cardinale, afferma: "Essere cattolico è una gioia ma implica grandi sfide. Vivere la fede significa lottare contro la violenza", poi aggiunge: "Dobbiamo insistere sull'obbligo costituzionale delle autorità governative di salvaguardare la sicurezza personale e le proprietà di tutti i venezuelani. A questo proposito, sosteniamo tutti gli sforzi legittimi delle organizzazioni governative e non governative per combattere la violenza e le sue fonti". Il cardinale arcivescovo di Caracas inoltre afferma: "La nostra fede ci chiede di promuovere la convivenza sociale. Dinanzi all'incertezza sulla salute del Presidente Hugo Chavez, dobbiamo rispettare la Costituzione. Tutti abbiamo bisogno di rispettare e difendere le norme costituzionali che disciplinano la materia su una possibile assenza temporanea o assoluta del Presidente. Non possiamo accettare altri modi, perché farebbero precipitare il Paese nell’instabilità e violerebbero i diritti dei venezuelani". Alla fine del messaggio, il cardinale chiede di pregare per i prigionieri, per i poveri e i malati, in speciale per il Presidente. (R.P.)

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    Gabon: oggi prima Giornata di preghiera per le vittime dei crimini rituali

    ◊   “Proteggiamo la vita, lottando contro i crimini rituali”: con questo slogan, la Conferenza episcopale del Gabon ha indetto per oggi, 28 dicembre, la prima Giornata nazionale di preghiera per le vittime dei crimini rituali. La scelta del 28 dicembre non è casuale: oggi infatti, la Chiesa celebra la Festa dei Santi innocenti martiri, in memoria della “strage degli innocenti” compiuta dal re Erode. L’iniziativa prenderà il via alle ore 16.00, con un momento di preghiera e meditazione nel seminario “Saint-Jean” di Libreville; quindi, alle 17.30, si terrà una processione che si concluderà nella cattedrale dell’Assunzione dove, alle 18.00, verrà celebrata la Santa Messa. In un messaggio diffuso per l’occasione, la Commissione episcopale locale Giustizia e Pace scrive: “Nessuno ha il diritto di disporre della propria vita, né di quella degli altri”. “I crimini rituali – continuano i vescovi – attentano alla dignità umana; noi condanniamo queste pratiche contrarie ad ogni valore umano e cristiano ed invitiamo ad una maggiore solidarietà e vigilanza, soprattutto sui più vulnerabili, per lottare efficacemente contro tali rituali”. Esprimendo, poi, apprezzamento per gli sforzi compiuti dal governo per debellare questa piaga, la Chiesa del Gabon ribadisce che, tuttavia, “la catena delle colpe è ancora lunga”. “La vita è preziosa per tutti – si legge ancora nel messaggio – E le leggi del Paese dovrebbero essere a favore della tutela della vita di ogni essere umano e permettere che giustizia sia fatta”. Di qui, la sottolineatura forte del fatto che “la vita è un dono di Dio e in nessun caso va distrutta”, poiché “l’uomo è creatura di Dio”. Infine, i vescovi del Gabon auspicano che la Giornata possa contribuire “a cambiare la mentalità dei responsabili di tali crimini odiosi” e permetta di “riflettere sulle leggi del Paese”. Da ricordare che non è la prima volta che la Chiesa di Libreville lancia un appello contro i crimini rituali: lo scorso maggio, ad esempio, si è tenuta una conferenza-dibattito per riflettere sull’attuale ordinamento giuridico relativo alla questione e sulle eventuali strategie d’azione da adottare a livello nazionale. D’altronde, i dati parlano chiaro: secondo l’Alcr – Associazione di lotta contro i crimini rituali – in Gabon ogni anno si contano tra i 30 e i 60 crimini rituali. Nel 2011, i casi sono stati 62 ed hanno colpito 28 bambini, 20 donne e 14 uomini. (A cura di Isabella Piro)

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    Nigeria. Appello dei vescovi per ridurre la mortalità materna

    ◊   Per ridurre la mortalità materna, occorrono “investimenti adeguati nell’educazione, nell’assistenza sanitaria di base, nella pianificazione naturale della famiglia”: è quanto ha affermato, nei giorni scorsi, mons. Gabriel Dunia, vescovo di Auchi, in Nigeria, e presidente della Commissione episcopale per la Salute. Incontrando i giornalisti nel corso di una conferenza stampa, il presule ha messo in guardia da quei programmi promossi da agenzie governative o da organizzazioni straniere che collegano l’assistenza sanitaria delle donne alla pianificazione artificiale della famiglia, ovvero all’uso di contraccettivi e alla pratica dell’aborto. Evidenziando, invece, come anticoncezionali ed interruzione volontaria di gravidanza non significhino “pianificare la famiglia”, mons. Dunia ha ribadito: “ La sessualità dell’uomo è un dono di Dio con uno scopo preciso nel contesto del matrimonio tra uomo e donna” ed è quindi essenziale che “i giovani ricevano una formazione ed una guida su come vivere nel modo migliore la loro sessualità in modo sano”. Al contrario, ha affermato il presule, “i Paesi che accettano l’aborto non insegnano ai cittadini ad amare, bensì ad usare la violenza per ottenere ciò che vogliono, incoraggiando la distruzione della vita”. Di qui, l’esortazione di mons. Dunia affinché i nigeriani dicano “no a tutte le forme di uccisioni e all’aborto” e ricordino la posizione della Chiesa nella “tutela della vita e della dignità umana dal concepimento fino alla morte naturale”. In quest’ottica, quindi, ha concluso il vescovo nigeriano, “la responsabilità genitoriale e i metodi naturali per la pianificazione familiare sono metodi sani per la famiglia stessa, in particolare per la donna, poiché promuovono la comunicazione tra i coniugi e la responsabilità reciproca le quali rendono possibili la stabilità sociale e la crescita di figli fiduciosi nel futuro”. (I.P.)

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    Nepal: il Natale festeggiato da cristiani, indù e buddisti

    ◊   "In virtù del battesimo noi cristiani abbiamo il diritto e il dovere diffondere il messaggio di Cristo e la testimonianza della sua venuta sulla terra e del suo sacrificio in tutto il Nepal". È quanto ha affermato mons. Antony Sharma, arcivescovo di Kathmandu, davanti a migliaia di cattolici, indù e buddisti, che hanno partecipato alle messa di mezzanotte celebrata il 25 dicembre nella cattedrale dell'Assunzione. Nella sua omelia il prelato ha invitato i politici nepalesi e i leader di tutte le fedi a vedere nella nascita di Gesù un'occasione "per lavorare insieme al bene del Paese - dal 2008 colpito da una grave crisi economica e politica - senza distinzione di caste, gruppi etnici e comunità di appartenenza". I preparativi per il Natale sono iniziati lo scorso 20 dicembre in tutte le chiese del Paese. Per la prima volta dalla caduta della monarchia indù nel 2006, le celebrazioni sono avvenute in un clima di festa e senza la minaccia di attentati terroristi da parte di gruppi estremisti. Fonti dell'agenzia AsiaNews raccontano che molte comunità cristiane hanno organizzato per il 25 dicembre - da due anni festa nazionale - processioni pubbliche e veglie di preghiera. Nelle parrocchie più importanti anche le autorità hanno partecipato ai festeggiamenti, mettendo a disposizione personale di sicurezza e fanfare. Il 25 dicembre, le principali cariche dello Stato hanno inviato i propri auguri alle comunità cristiane, protestanti e cattoliche. Nel suo messaggio, il presidente Ram Barav Yadav ha sottolineato che "la testimonianza dei cristiani che ha il suo culmine nel giorno di Natale, contribuisce ogni anno alla diffusione dei valori di solidarietà, armonia e fratellanza nel Paese", per decenni diviso dalla guerra civile fra maoisti e sostenitori della monarchia indù. Grazie alla maggiore libertà religiosa, il numero dei cristiani è aumentato rispetto al periodo della monarchia, che per secoli ha proibito qualsiasi religione diversa dall'induismo. Secondo il censimento del 2011 i cristiani, cattolici e protestanti sono circa l'1,5% della popolazione. Nel 2006 erano solo lo 0,5%. In sei anni i cattolici sono passati da 4mila a 10 mila unità. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 363

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.