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Sommario del 27/12/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Festa di San Giovanni apostolo. Il Papa: l'essenziale di Dio è l'amore
  • Domani a Roma l'incontro europeo dei giovani di Taizé. Sabato la preghiera con il Papa
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Brahimi: governo di transizione in Siria. Interrogativi sull'uso di armi chimiche
  • Gli Usa verso il baratro fiscale. Obama torna a Washington per trovare l'accordo
  • Pakistan: aumentano le conversioni forzate di ragazze all'Islam. Campagna per la liberazione di Asia Bibi
  • Edo Patriarca sull'agenda Monti: cerca di lavorare per il bene comune
  • Femminicidio. Mons. Paglia: società violenta, a farne le spese sono le donne
  • Crisi della famiglia: in crescita i figli privati dell’affetto del papà o della mamma
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • I vescovi asiatici: lanciare la Nuova Evangelizzazione senza paura e con rinnovata passione
  • Centrafrica: ribelli Seleka lanciano ultimatum al potere. Tensioni a Bangui
  • Il cardinale Gracias: violenze sulle donne, terribile malessere dell'India
  • Russia. L'arcivescovo di Mosca: Dio può tutto, permettiamogli di rinnovare le nostre vite
  • Russia: il doppio Natale cattolico e ortodosso
  • Hong Kong. Messaggio di Natale del card. Tong: suffragio universale e difesa della famiglia
  • Myanmar. L'arcivescovo di Yangon: Natale di riconciliazione e libertà per i cattolici
  • Pakistan: anche per Natale le ombre del terrorismo
  • Filippine: a Mindanao i cattolici dedicano il Natale alle vittime dei tifoni
  • Sri Lanka: Natale in carcere per centinaia di migranti cattolici
  • Unicef Italia: il presidente Guerrera sulla situazione dei bambini in Siria
  • Brasile. Mons. Krautler: la diga di Belo Monte è illegale e inaccettabile
  • Sudan: nuove tensioni di frontiera con il Sud Sudan
  • Italia: 45ª Marcia per la pace a Lecce il 31 dicembre
  • Il Papa e la Santa Sede



    Festa di San Giovanni apostolo. Il Papa: l'essenziale di Dio è l'amore

    ◊   La Chiesa celebra oggi la festa di San Giovanni apostolo ed evangelista: il Papa gli ha dedicato tre udienze generali nell’estate del 2006. Centro dell’annuncio del “discepolo prediletto” di Gesù è che “Dio è amore”. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    Quello che muove San Giovanni – spiega il Papa - è il “paradossale intento di far vedere l’invisibile”. Lui è un testimone d’eccezione: era presente sul Tabor, durante la Trasfigurazione. E’ l’unico tra gli apostoli a non essere fuggito durante la Passione di Gesù: era con Maria ai piedi della Croce. E’ entrato nel sepolcro vuoto e, prima di averlo visto, ha creduto nella Risurrezione del Maestro. L’unico modo per vedere Dio, nella morte o nella gloria, è avere gli occhi dell’amore perché “Dio è amore”:

    “Con ciò Giovanni vuol dire che il costitutivo essenziale di Dio è l’amore e quindi tutta l'attività di Dio nasce dall’amore ed è improntata all'amore: tutto ciò che Dio fa, lo fa per amore e con amore. Anche se non sempre possiamo subito capire che questo è l’amore, ma è l’amore vero”. (9 agosto 2006)

    Ma nel mondo c’è il male e c’è tanto odio. La Chiesa è perseguitata in tutti i tempi. E “la storia rimane indecifrabile, incomprensibile. Nessuno può leggerla”. E’ un libro chiuso con sette sigilli. Solo Gesù, Agnello immolato – dice Giovanni in una sua visione nell’Apocalisse – “è in grado di aprire il libro sigillato” e “dare senso a questa storia apparentemente così spesso assurda”:

    “Gesù, il Figlio di Dio, in questa terra è un Agnello indifeso, ferito, morto. E tuttavia sta dritto, sta in piedi, sta davanti al trono di Dio ed è partecipe del potere divino. Egli ha nelle sue mani la storia del mondo. E così il Veggente vuol dirci: abbiate fiducia in Gesù, non abbiate paura dei poteri contrastanti, della persecuzione! L'Agnello ferito e morto vince! Seguite l'Agnello Gesù, affidatevi a Gesù, prendete la sua strada! Anche se in questo mondo è solo un Agnello che appare debole, è Lui il vincitore”. (23 agosto 2006)

    Solo l’amore dà senso alla storia, solo l’amore fa vedere Dio. Per questo San Giovanni ricorda con forza le parole di Gesù: “Come io vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri”:

    “Quelle parole di Gesù, ‘come io vi ho amati’, ci invitano e insieme ci inquietano; sono una meta cristologica che può apparire irraggiungibile, ma al tempo stesso sono uno stimolo che non ci permette di adagiarci su quanto abbiamo potuto realizzare. Non ci consente di essere contenti di come siamo, ma ci spinge a rimanere in cammino verso questa meta”. (9 agosto 2006)

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    Domani a Roma l'incontro europeo dei giovani di Taizé. Sabato la preghiera con il Papa

    ◊   Sono almeno 40mila i giovani che stanno arrivando a Roma per l’inizio, domani, del 35.mo Incontro europeo della Comunità di Taizé. Fino al 2 gennaio sono in programma incontri di preghiera, riflessione e vita comune nelle parrocchie dove saranno ospitati e nelle famiglie che li accoglieranno. Sabato pomeriggio è prevista la preghiera con il Papa in Piazza San Pietro. Al microfono di Benedetta Capelli, ascoltiamo Frère Alois, priore di Taizé:

    R. – Siamo molto felici di poter vivere questo incontro qui a Roma. Aspettiamo i giovani che già sono partiti dai loro Paesi e che stanno attraversando adesso tutta l’Europa per arrivare qui domani per poi essere mandati nelle parrocchie. I volontari sono già arrivati due giorni fa e stanno aiutando nelle parrocchie e nei luoghi di accoglienza; aiutano anche a preparare canti e preghiere e organizzare l’allestimento per le sette Chiese, le quattro Basiliche ed altre grandi Chiese nel centro di Roma, dove ci incontreremo per le preghiere comuni.

    D. – Che cosa significa venire a fare un pellegrinaggio proprio a Roma, nel cuore della cristianità?

    R. – I giovani provengono da diversi Paesi ma anche da diverse Chiese, sono cattolici ma pure ortodossi e protestanti. Vogliamo vivere nel segno di Cristo che ci riunisce, Cristo già ci ha donato una certa unità, che è reale anche se non è completamente compiuta, per questo motivo vogliamo celebrare insieme qui a Roma e specialmente partecipare alla preghiera comune con il Santo Padre - sabato sera alle 18, in Piazza San Pietro - tutti i romani sono invitati ad unirsi a tutti i giovani pellegrini di altri Paesi.

    D. – Già il Papa, tempo fa all’Angelus, aveva rivolto un appello alle famiglie romane per accogliere i tanti giovani di Taizé che stanno arrivando nella capitale. Dopo quell’annuncio è cambiato qualcosa?

    R. – Sì, tante parrocchie hanno fatto un grande sforzo per accogliere tutti - nelle famiglie, ma anche nelle parrocchie - così adesso possiamo accogliere i giovani che verranno. Domani, quando arriveranno tutti, vedremo se abbiamo abbastanza posti, ma cercheremo fino all’ultimo momento – anche domani stesso – famiglie che possano dare ospitalità. Abbiamo bisogno ancora di mille posti circa e speriamo che le parrocchie ne possano trovare altri.

    D. – Cosa vi attendete dall’incontro con Benedetto XVI?

    R. – Sarà un momento di gioia del Vangelo. Oggi molti giovani vivono un momento difficile economicamente, per questo è ancora più importante andare alla sorgente della fede che dà gioia ed è un incoraggiamento per l’avvenire dei giovani.

    D. – La fine dell’anno la passerete, ovviamente, insieme in questa veglia di preghiera per la pace, seguita da una Festa dei Popoli. Cosa chiedono i giovani di Taizé al nuovo anno che arriva e con quale spirito lo affronteranno?

    R. – Loro saranno insieme per la preghiera comune e poi andranno tutti nelle parrocchie e lì vivranno la veglia di preghiera per la pace ed una festa per il nuovo anno. Speriamo che il nuovo anno sia un anno nel quale cercare nuovi cammini di solidarietà perché adesso con le difficoltà economiche, ed altre difficoltà più grandi ancora, dobbiamo cercare una più grande solidarietà e anche la pace. Speriamo sia un anno di pace in molti luoghi del mondo, come la Siria ed in quei luoghi dove c’è la guerra e la violenza. Preghiamo per questo.

    D. – Un anno per la pace, ma anche un anno che si vive nella fede…

    R. – Papa Benedetto ha aperto l’Anno della fede e noi abbiamo scelto per questo anno di andare alla sorgente della fede per scoprire una fede più personale. Oggi non si può credere soltanto per tradizione, ma dobbiamo cercare una fede personale e a Taizé, per tutto quest’anno che viene, faremo uno sforzo in questa direzione. Infine voglio ringraziare per l’accoglienza qui a Roma e voglio invitare tutti i romani a partecipare alle preghiere nelle Basiliche, specialmente alla preghiera che si svolgerà sabato sera alle 18, in Piazza San Pietro, insieme con il Santo Padre.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Ritorno alla pace: l'augurio del Papa nel tradizionale messaggio natalizio.

    L'inviolabile dignità dell'uomo: durante la messa di mezzanotte il Papa ribadisce il senso dell'essere creati a immagine e somiglianza di Dio.

    Per un'umanità secondo il disegno di Dio: Benedetto XVI durante l'Angelus della festa di Santo Stefano.

    Nell'informazione internazionale, le violenze senza fine in Siria.

    L'attesa di Simeone: in cultura, il cardinale Gianfranco Ravasi sul grido della speranza e della fede nell'episodio in cui il neonato Gesù viene presentato ritualmente al tempio di Gerusalemme.

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    Oggi in Primo Piano



    Brahimi: governo di transizione in Siria. Interrogativi sull'uso di armi chimiche

    ◊   In Siria serve "un governo di transizione con pieni poteri": così l'inviato speciale di Onu e Lega araba, Brahimi, in una conferenza stampa a Damasco. Brahimi sottolinea che il cambiamento in Siria "deve essere reale". In queste ore il viceministro degli Esteri di Damasco è arrivato a Mosca per discutere del piano per un governo di transizione con il presidente Assad al potere fino alla scadenza del mandato, nel 2014. Il bilancio dei morti dall’inizio della rivolta è arrivato a 45.000 e, in particolare dopo l’eccidio di 27 bambini di ieri, l'Unicef lancia un appello per la raccolta di fondi per i minori. Oggi, una nuova autobomba nella capitale ha ucciso almeno 4 studenti. Intanto si discute sulle accuse al regime di usare armi chimiche. Di questo Fausta Speranza ha parlato con lo storico Maurizio Simoncelli, dell’Istituto ricerche dell’Archivio Disarmo:

    R. – Bisogna ricordare sempre che in guerra la prima vittima è la verità. Spesso, quindi, queste informazioni che ci giungono sull’uso di determinate armi, sul massacro avvenuto o non avvenuto, vanno sempre prese con estrema cautela: ogni informazione che ci giunge dal teatro di guerra dobbiamo prenderla con estrema cautela. Sappiamo che le armi chimiche sono armi relativamente facili da usare, tanto è vero che vengono chiamate le “armi nucleari dei poveri”. Sappiamo che alcuni Paesi non hanno aderito alla Convenzione internazionale sulle armi chimiche, tra cui mi risulta che fino a pochi anni fa non aderissero né Israele, né la Siria. Altri Paesi hanno aderito e si sono riservati, comunque, la possibilità di detenere queste armi nei loro arsenali: pensiamo agli Stati Uniti, pensiamo alla Gran Bretagna, alla Francia, alla Cina, all’Iran, alla Russia. E poi sono ancora diversi gli Stati che, pur avendo aderito a questa convenzione internazionale sulle armi chimiche, rimangono in possesso di queste armi.

    D. – Cosa vuol dire una guerra condotta con le armi chimiche?

    R. – Chi viene sottoposto all’azione di questo tipo di arma si trova a dover combattere – come dire – contro un nemico invisibile: il gas, una pioggia, una polvere che possono colpirci. L’uso ha quindi un effetto soprattutto propagandistico: le notizie che ci sono giunte parlavano di alcune decine di bambini colpiti e i bambini tra l’altro sono un elemento che ulteriormente ci colpisce. Diciamo che l’arma chimica in realtà ha fatto purtroppo un massacro – se questo è vero – come uno dei tanti che insanguina il Paese mediorientale da un anno e mezzo: non di più né di meno. Ha però un maggiore effetto sull’immaginario collettivo, proprio perché è un’arma che ci spaventa, che da sempre ci ha spaventato, sin da quando è stata usata in modo massiccio nella prima guerra mondiale a Ypres da parte dei tedeschi contro i francesi.

    D. – Professore, c’è anche un piano internazionale: concretamente Obama ha detto che l’uso di armi chimiche da parte del regime potrebbe essere la linea discriminante per pensare un intervento …

    R. – Sì, questo il presidente Obama lo ha già detto varie volte. Questo sinceramente mi lascia ancor più perplesso, perché è difficile pensare che l’esercito siriano di fronte a una minaccia di un intervento internazionale - che non sappiamo in quale misura sia o come sarebbe possibile organizzarlo - decide a questo punto di usare queste armi che poi non sono risolutive, non sono mai state risolutive in nessun conflitto. Le hanno usate in modo massiccio proprio gli Stati Uniti nella guerra del Vietnam e – ricordiamo - a Falluja. Ma non sono armi che sono servite effettivamente a risolvere il conflitto: non è l’arma totale che, se lanciata, sconfigge sicuramente il nemico. Per cui, il fatto che ci sia una possibilità di intervento da parte della Comunità internazionale se vengono usate queste armi e che l’esercito siriano le usi, questo sistema così presentato mi lascia estremamente perplesso. Purtroppo molte guerre vengono combattute non solo sul campo, ma anche nell’ambito dell’Intelligence, dell’informazione e dei mass-media. Su questo sono estremamente cauto.

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    Gli Usa verso il baratro fiscale. Obama torna a Washington per trovare l'accordo

    ◊   Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha lasciato nella notte le Hawaii per rientrare, in anticipo, a Washington dove cercherà di trovare un accordo che eviti il “Fiscal Cliff”, ovvero il "baratro fiscale", il pacchetto di tagli automatici alla spesa e aumenti delle tasse che scatterà dal primo gennaio e che rischia di congelare la ripresa americana. Quali sono i punti su cui si stanno sfidando Repubblicani e Democratici? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Fernando Fasce, docente di Storia americana presso l’Università di Genova:

    R. – Si stanno sfidando sostanzialmente sull’eredità delle politiche fiscali di George W. Bush: se si debba ridefinire il sistema di tassazione in maniera progressiva e quindi si debbano eliminare quelle facilitazioni per le tassazioni per i ceti più elevati, che erano state pesantemente introdotte da George W. Bush; contemporaneamente a questo, anche la logica, che è ora predominante, della destra - del Partito repubblicano - favorevole a tagli pesanti alla spesa pubblica.

    D. – Questo gioco di veti incrociati è rischiosissimo. Si calcola, ad esempio, che in mancanza di un accordo ci sarebbe un aumento medio delle imposte di 2200 dollari a famiglia. Ma c’è la percezione del pericolo da parte dell’opinione pubblica americana in questo momento?

    R. – Questo è difficile da misurare, perché, come sappiamo, l’opinione pubblica è molto polarizzata – l’abbiamo visto anche alle ultime elezioni – con una forte tendenza ad identificarsi nelle rispettive posizioni di partito. Però, non va sottovalutato il fatto che ci sono stati tentativi molteplici da parte del presidente Obama di chiarire alcuni elementi di fondo e chiarire il fatto che qui davvero si va incontro ad un caso come quello che vide protagonista Clinton e i Repubblicani all’inizio del 1996.

    D. – Anche Obama si è trovato più o meno nella stessa situazione l’anno scorso, poi tutto si risolse all’ultimo momento. E’ possibile immaginare una situazione del genere anche in questo caso, cioè che si arrivi ad un accordo nelle ultime ore?

    R. – E’ sperabile, anche se, però, lo schieramento repubblicano sembra fortemente convinto di no. Notizie di un paio di giorni fa avevano visto il fallimento del tentativo di mediazione con il capogruppo alla Camera, repubblicano, Boehner, che è stato in un certo senso scavalcato dai rappresentanti più estremisti all’interno del suo stesso partito.

    D. – Con il sistema dei tagli automatici alla spesa, oltre due milioni di disoccupati dovranno rinunciare al loro sussidio. Questa è un’altra delle gravi conseguenze sociali. Ma come è possibile superare, secondo lei, questa impasse?

    R. – La risposta non potrà che provenire dal livello locale e statale, cioè è sperabile che a livello dei singoli Stati vengano attivate misure, seppure temporanee, di parziale alleviamento di questa drammatica condizione.

    D. – C’è un altro elemento preoccupante, il Tesoro ha comunicato che il tetto del debito sarà raggiunto il 31 dicembre e non nel corso del 2013, come inizialmente era previsto. Geithner ha comunicato che adotterà misure straordinarie per rinviare il default del Paese. Si possono immaginare queste misure?

    R. – La cosa fondamentale sarà, per l’ennesima volta, un tentativo di programma di stimolo e quindi di crescita della liquidità. Non si vede altra strada.

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    Pakistan: aumentano le conversioni forzate di ragazze all'Islam. Campagna per la liberazione di Asia Bibi

    ◊   Ieri, nella festa di Santo Stefano, primo martire, il Papa ha rivolto un pensiero ai cristiani perseguitati. “L'intercessione di Santo Stefano, fedele fino all'ultimo al Signore – ha detto Benedetto XVI - sostenga i cristiani perseguitati e la nostra preghiera li incoraggi''. Un problema, quello della persecuzione, quanto mai vivo in Pakistan, come tesimonia il caso di Adia Bibi. Ieri, tra l'altro, una giovane cristiana è stata uccisa a colpi di pistola a Quetta, anche se non si conosce ancora il movente, e la polizia sta indagando. Ma sono diversi i casi di violenza come ci conferma Mobeen Shahid, fondatore dell’Associazione dei Pakistani Cristiani in Italia, nell’intervista di Debora Donnini:

    R. – Ringrazio il Santo Padre per aver ricordato tutti i martiri. In Pakistan, tutte le minoranze religiose della Nazione stanno subendo, insieme ad alcuni casi di musulmani, le conseguenze dell’abuso della legge della blasfemia. In particolare, finché Shahbaz Bhatti era vivo, c’erano 700 casi annui di conversioni forzate di ragazze appartenenti a minoranze religiose, ma oggi, dopo la sua morte, non si riesce più a controllare questo fenomeno, visto che il numero è raddoppiato solo nell’anno scorso…

    D. – In Pakistan ci sono molti casi di conversioni forzate attraverso violenze, specialmente di ragazze, giovani donne?

    R. – Sì, la strategia che viene adottata da alcuni ragazzi musulmani è quella di rapire per strada una ragazza cristiana o indù, violentarla e costringerla ad accettare la fede islamica per farsi “belli” davanti ai fondamentalisti. Le nostre ragazze, purtroppo, oggi, sono una facile preda. Già la donna in Pakistan ha molte difficoltà, ma la donna che appartiene ad un gruppo religioso di minoranza ne ha di maggiori. La verità è che le nostre ragazze vengono rapite, violentate e convertite con forza all’islam. Teniamo presente che il ministro Akram ha presentato una risoluzione al Parlamento nazionale contro le conversioni forzate, per prendere provvedimenti importanti, ma ancora non abbiamo nessuna approvazione da parte della Camera dei deputati e neanche dal Senato pakistano.

    D. – Asia Bibi, la donna cristiana madre di cinque figli, è in carcere dal giugno 2009, cioè da tre anni e mezzo. E’ stata condannata a morte. Per ora non è stata eseguita la sentenza. Si moltiplicano gli appelli a suo favore, tra cui quello del quotidiano “Avvenire”, che ha fatto una campagna di raccolte firme. Come sta andando la situazione?

    R. – “Avvenire”, insieme con altri organi di stampa della Conferenza episcopale pakistana, si è impegnato molto per chiedere la liberazione di Asia Bibi. La comunità internazionale si è mossa, insieme con me e Shahbaz Bhatti, quando abbiamo reso visibile questo caso a livello internazionale. Purtroppo la situazione di Asia Bibi oggi non è per niente serena e non c’è speranza per la sua liberazione, essendo diventata un simbolo per gli integralisti per tenere vivo questo discorso sulla legge della blasfemia. I gruppi fondamentalisti si sono uniti e oggi c’è proprio un movimento per la difesa del Pakistan, di cui fanno parte 40 gruppi appartenenti a movimenti religiosi, ma anche a partiti politici, che chiedono che la legge della blasfemia non venga cancellata e che non venga modificata. Oggi è difficile liberare Asia Bibi, perché sarà quasi impossibile affrontare il fondamentalismo presente sul territorio nazionale.

    D. – Come sta Asia Bibi?

    R. – Asia Bibi oggi sta molto male - continuo a seguire il suo caso, insieme ad altre organizzazioni - per il semplice fatto che non si trova assieme alla sua famiglia. E’ una donna semplice, di una famiglia molto semplice e povera. Il suo mondo era quello del suo villaggio, con le sue figlie. Oggi è sorvegliata 24 ore su 24. Lei vorrebbe stare insieme alle sue figlie, in particolare con quella disabile, perché ha bisogno di lei. In Pakistan, il sistema giuridico attuale non permette questo incontro con i suoi figli, anche se su basi regolari. Questa cosa le fa molto male e Asia Bibi comincia a perdere l’equilibrio mentale. Nel sistema giudiziario purtroppo, però, nessun giudice ha il coraggio di fare la prima udienza dell’Alta Corte: l’appello all’Alta Corte è stato fatto, ma nessun giudice ha il coraggio di dare luogo a questa prima udienza.


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    Edo Patriarca sull'agenda Monti: cerca di lavorare per il bene comune

    ◊   Il mondo politico discute dell’agenda Monti. Berlusconi invita gli italiani a non votare i piccoli partiti, perché, secondo il cavaliere, non seguono “mai l'interesse generale”. Intanto il segretario del Pd Bersani auspica che l’Europa adesso si concentri su “crescita” e “ lotta alla recessione”. Alessandro Guarasci.

    Berlusconi usa l’ironia quando parla di Monti: “ha ragione” di dire che “sale” in politica “perché aveva un rango inferiore a quello di presidente del Consiglio – dice il cavaliere - Io ho detto ‘sceso in campo’ perché avevo un rango superiore”. Berlusconi è comunque consapevole che Monti potrebbe essere un serio concorrente sul fronte moderato. Ancora comunque non è chiaro se ci saranno una o più liste in appoggio al presidente del Consiglio. Per il Pd parla Stefano Fassina, responsabile economico, convinto che quello di Monti non sia più un ruolo super partes, visto che ha “definito arcaica la sinistra, attaccando la Cgil e Vendola”. Ma il senatore del Pd Pietro Ichino, in avvicinamento a Verso la Terza Repubblica di Montezemolo, afferma che la lista Monti “ha una sua vocazione maggioritaria e il programma del professore su molte cose è più di sinistra di quello di Bersani”. Intanto le organizzazioni del Forum di Todi tornano a rivedersi il 10 gennaio per analizzare la situazione politica.

    E sull’agenda di Mario Monti abbiamo sentito Edoardo Patriarca, segretario della Comitato organizzatore delle Settimane Sociali:

    R. - Nasce una realtà che fa riferimento all’Europa, e che soprattutto fa riferimento al Partito popolare europeo. In questi anni abbiamo sentito la mancanza, in questo strano bipolarismo, di una forza politica liberale. Credo che questo sia un passo in avanti, così che finalmente si abbia un partito popolare europeo non populista, non demagogico e che non rincorra gli spiriti animali e i mal di pancia degli italiani; ecco, che non coltivi quei mal di pancia ma che piuttosto li risolva.

    D. - Secondo lei, è più alternativo al Pd o al Pdl? Insomma con chi è la competizione?

    R. - Sembra che in questo caso Monti sia dentro il contenitore del Partito popolare europeo e quindi stia cercando di ricomporre quell’area. Il partito che lo stesso Monti andrà a costruire, semmai lo farà, sarà chiaramente alternativo ai partiti socialisti e democratici che sono collocati in Europa in un altro contesto; quindi penso anche al Partito democratico. Credo che nella stagione che verrà, forse troveremo finalmente due forze politiche che sono finalmente europee e che gareggeranno nella capacità di rinnovare questo Paese in una prospettiva liberale. Magari sarà un liberal conservatore, un liberal riformista… Vedremo poi come queste parole acquisteranno un significato nuovo nella stagione che verrà e spero che arrivi presto.

    D. - Lei come vede il ruolo di coloro che si ispirano alla dottrina sociale della Chiesa in questa nuova formazione?

    R. - Se in questa nuova formazione i cattolici potranno essere protagonisti - come non lo sono stati in questi anni di fatto, sempre un po’ marginali nelle varie formazioni - credo che porterà del bene a questo Paese. Noi abbiamo svolto una Settimana Sociale di Reggio Calabria sotto il segno di un’agenda per il Paese, un’agenda di speranza per il futuro… Credo che già in quell’agenda, ci fossero dei semi perché appunto questa presenza dei cattolici nella politica sia finalmente efficace e sia finalmente anche generativa di qualcosa di nuovo.

    D. - Possiamo parlare, secondo lei, di una nuova stagione di riproposta di contenuti al di là delle ideologie?

    R. - Credo che Monti, in questa sua agenda, recuperi il senso di una politica che cerca di risolvere i problemi delle persone, delle famiglie, delle imprese sotto il segno del bene comune. Finalmente parliamo di bene comune, di Paese, di questioni da affrontare perché questo Paese torni a crescere. In fondo, il metodo Monti è stato già sperimentato dai cattolici a Reggio Calabria. Quel metodo, è il metodo di Reggio Calabria, quando noi decidemmo insieme a 1200 delegati e scegliemmo quattro - cinque grandi priorità per questo nostro Paese. Credo che questo sia lo stile che Monti abbia scelto e credo che sia lo stile giusto per fare politica.

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    Femminicidio. Mons. Paglia: società violenta, a farne le spese sono le donne

    ◊   Non lascia l’abito talare ma sembra aver espresso rimorso per quanto ha provocato, Don Piero Corsi parroco di San Terenzio, frazione di Lerici, nella diocesi della Spezia, autore nei giorni scorsi di un volantino in cui richiamava le donne all’autocritica sul femminicidio. La Curia, che ha convocato il sacerdote per chiarimenti, ha voluto la rimozione immediata del volantino. “Non si può parlare senza considerare le conseguenze di quanto si afferma e un sacerdote ha una responsabilità in più, come padre e pastore”: è quanto afferma mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, al microfono di Gabriella Ceraso:

    R. - Tutti dobbiamo essere responsabili delle parole che diciamo. E le parole pesano. Poi per quanto riguarda un sacerdote, diceva Papa Giovanni Paolo II, è indispensabile che un pastore abbia la responsabilità di conoscere le reazioni che le sue parole provocano.

    D. – Dunque, che tipo di riflessione fare su quanto è accaduto?

    R. – C’è una violenza diffusa, che si abbatte – talora in maniera drammatica – sulle donne e non è possibile pensare minimamente che sia colpa delle donne stesse se tutto questo accade. E’ quindi inequivocabile la condanna delle affermazioni di questo parroco. Il vescovo – mi pare – sia stato tempestivo e chiaro!

    D. – Infatti proprio il vescovo ha voluto sottolineare che “non è il comune sentire della Chiesa”…

    R. – Sulla dignità della donna, particolarmente il magistero degli ultimi decenni non solo è chiaro, ma straordinario: semmai è vero che si deve abbassare il clima di violenza, che è indispensabile una moderazione nel costume; semmai è vero che deve crescere molto di più un atteggiamento di rispetto verso i più deboli, perché in una società talora maschilista sono i deboli – quindi le donne – a farne le spese. Tutta questa questione dovrebbe entrare nella riflessione di questo nostro Paese e la Chiesa offre un contributo particolarmente significativo. Senza andare troppo indietro nella storia, abbiamo lo straordinario esempio di don Benzi che ha cercato notte e giorno di liberare le tante donne schiave, travolte dalla violenza; ma poi il magistero di Giovanni Paolo II che nella Mulieris Dignitatem, sembra propendere in maniera quasi partigiana per la donna e per il suo genio. La questione femminile dunque non può essere banalizzata, richiede una riflessione molto, molto profonda.

    Ma cosa c'è all'origine dei casi crescenti di violenza contro le donne? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Michela Pensavalli, psicologa e psicoterapeuta, ricercatrice all'Istituto di terapia cognitiva interpersonale di Roma:

    “Si tratta di disturbi della personalità. Non può semplicemente uno stimolo di una donna provocatrice, mettere in moto il sistema psicologico di una persona che abusa; si tratta in questi casi di una forma di sociopatia o di un istinto di rabbia, di personalità fortemente disturbate. Ovviamente non può essere colpa delle donne, anche se oggi la crisi della relazione interpersonale alla quale assistiamo, e quindi anche il fatto che sia quasi completamente decaduta l’immagine maschile, e ci siano invece in vigore stili di comportamento e modi molto autorevoli e autoritari delle donne, mette in crisi il ruolo dell’uomo all’interno della società. Non di questo, però, si può fare una colpa”.

    Quanto è diffusa e comune oggi in Italia il parere che siano le donne a provocare atteggiamenti violenti? Gabriella Ceraso ha raccolto il parere di Anna Costanza Baldry psicologa e criminologa:

    “E’ abbastanza diffuso. Ancora viviamo in un Paese che, per quanto le leggi siano ovviamente egualitarie - esistono le pari opportunità - ci sono ancora forme, e queste sono una manifestazione, molto radicate di misoginia. E’ come se fosse un problema di uomini contro donne o donne contro uomini. Le differenze esistono, ma sono un valore”.


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    Crisi della famiglia: in crescita i figli privati dell’affetto del papà o della mamma

    ◊   E’ in aumento il numero dei figli con un solo genitore: negli Stati Uniti, 15 milioni di bambini, addirittura uno su tre, cresce senza il padre ed altri 5 milioni senza la madre, ma anche in Italia sono oltre 2 milioni e 800 mila i bambini inseriti in famiglie monogenitoriali: 2 milioni e 400 mila circa vivono senza padre e altri 400 mila senza madre. Roberta Gisotti ha intervistato Francesco Belletti, sociologo, direttore del Centro internazionale di studi sulla famiglia (Cisf):

    D. – Da decenni si sente dire che viviamo un cambio dei modelli tradizionali di famiglia, ma dobbiamo accettare questo cambio o si tratta piuttosto di una deriva da correggere?

    R. – Credo che tutte le grandi tendenze sociali vadano giudicate prima ancora che subite passivamente. In particolare, questa post-modernità, che ha buttato via il matrimonio, sta facendo un gravissimo errore, perché il matrimonio da sempre è stato il principale luogo di custodia, soprattutto per le nuove generazioni e comunque delle parti deboli. Quando si faceva un contratto matrimoniale si proteggeva la donna, si proteggeva la parte fragile. Quindi, oggi, questo tema del pensare di poter fare famiglia senza un progetto di coppia stabile, duraturo, che si faccia anche carico dei figli, è una questione da sollevare dal punto di vista culturale. Poi, le coppie possono anche rompersi, ma qui sta proprio passando un’idea per cui, con o senza matrimonio, con o senza stabilità della coppia, è uguale tutto. Invece, assolutamente no: vivere con una coppia genitoriale stabile per i bambini è il primo fattore di protezione.

    D. - Quindi, sta venendo meno la responsabilità genitoriale, che va al di là della coppia?

    R. – E’ una società che ha reso tutto più labile, più incerto, più temporaneo. Quindi, anche sentimenti così forti, come l’amore tra un uomo e una donna, sono stati travolti da quest’idea del "tutto sùbito", da quest’idea di un presente senza futuro. Manca l’idea del patto, dell’alleanza, del fatto che la storia - e il tempo - poi riuscirà a tenere insieme le persone. E questo è importante soprattutto per il benessere degli uomini e delle donne, che fanno un progetto d’amore. Prima ancora dei figli sono le persone che si separano, che soffrono, anche se la vulgata corrente dice che invece basta separarsi civilmente, perché non succeda nulla. Invece, la ferità c’è, rimane e non è senza conseguenze.

    D. – Sta passando nell’opinione pubblica l’idea che crescere un figlio da soli sia indifferente rispetto a crescerlo in due?

    R. – Questo credo di no. Forse qualcuno lo dice in maniera avventuristica, ma chi lo sperimenta, chi si rende conto di quanto sia faticoso educare un bambino da soli, senza il gioco di coppia, senza l’alleanza tra padre e madre, si rende conto che la questione è sicuramente complicata. E’ chiaro che poi molte persone si organizzano e riescono ad essere buoni genitori anche da soli, ma questo non significa dire che sia una soluzione indifferente. Forse potremmo aggiungere che con i numeri che abbiamo citato prima, in molti casi c’è ancora una bi-genitorialità, cioè se anche il bambino è a casa solo con la madre o solo con il padre, in alcuni casi è possibile essere ancora genitori pur abitando da un’altra parte. Naturalmente, però, è tutto più difficile e dipende molto dal grado di conflittualità che è rimasto nella coppia.

    D. – Allo stato attuale della ricerca sociologica, si può dire quali conseguenze ci sono nei modelli sociali che si stanno affermando?

    R. – La letteratura internazionale è controversa e spesso è carica di ideologia. Moltissimi saggi femministi o comunque favorevoli a questa destrutturazione del matrimonio sostengono che i bambini nati in una famiglia separata hanno gli stessi indicatori, ma la letteratura più seria, più consolidata, le indagini longitudinali, cioè quelle che seguono nel corso del tempo le vicende dei bambini e dei figli di divorziati e delle famiglie spezzate, dicono che certamente quando la coppia genitoriale si spezza gli indicatori di fragilità e di vulnerabilità crescono, crescono i comportamenti a rischio, cresce la devianza, cresce l’esposizione all’uso di sostanze, cresce la difficoltà del diventare adulti, perché di fatto la tenuta di una coppia genitoriale è il principale fattore di protezione del benessere del bambino. Il bambino cresce bene dentro una coppia di genitori che gli vogliono bene, se questa coppia si rompe, tutto diventa più in salita.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    I vescovi asiatici: lanciare la Nuova Evangelizzazione senza paura e con rinnovata passione

    ◊   Rilanciare la Nuova Evangelizzazione in Asia con “rinnovata passione” senza farsi indurre “alla letargia e al pessimismo” dalle grandi sfide che “minacciano il tessuto della nostra società, la stabilità della famiglia e la visione di fede della stessa comunità cristiana”, ma lasciandosi invece guidare dallo “Spirito Santo che agisce nel mondo, nel profondo del nostro essere, nei segni dei tempi e in tutto ciò che è autenticamente umano”. Questa l’indicazione di fondo contenuta nel messaggio finale della recente Assemblea plenaria della Federazione delle Conferenze episcopali d’Asia (Fabc) ospitata quest’anno per la prima volta in Vietnam e dedicata al tema: “I quarant’anni della Fabc e le sfide dell’Asia”. Per sei giorni più di 100 delegati si sono confrontati sulle grandi sfide all’evangelizzazione nei propri Paesi oggi: dalla globalizzazione al rapporto con le culture; dal dialogo interreligioso al tema della libertà religiosa; dalla lotta alla povertà alla difesa delle popolazioni indigene; dalle migrazioni all’ecologia. Ne è emerso un quadro articolato, ma anche una comune convinzione: la necessità di vivere insieme in Asia “una spiritualità della Nuova Evangelizzazione”, cercando le ricchezze dello Spirito Santo nelle tradizioni asiatiche dove sono presenti “i semi di quella nuova umanità che ha sete della pienezza della vita in Gesù”. Il documento finale indica quindi dieci percorsi per la Nuova Evangelizzazione nel Continente: a cominciare dall’incontro personale con Gesù Cristo, “senza il qualche nessuno potrà toccare il cuore dell’Asia” e dalla “passione per la missione” di cui sono un modello esemplare i santi e i martiri che ci spronano a “condividere l’amore unico di Gesù per il mondo intero”. I nuovi evangelizzatori in Asia, prosegue il messaggio, non devono poi perdere mai di vista il Regno di Dio, che va visto non come realtà “separata dal mondo”, “poiché l’annuncio di Gesù tocca ogni aspetto della vita e luogo della società”. Per essere efficaci essi devono poi impegnarsi ad essere “testimoni e promotori della comunione con Dio, con l’altro e con il Creato”: in un continente afflitto da crescenti tensioni e conflitti che aspira all’armonia, “tutti i membri della Chiesa – clero, laici, uomini donne, giovani e bambini – sono chiamati ad essere evangelizzatori, costruttori di pace e di comunione”. In questo senso il dialogo, inteso come “capacità di percepire la presenza nascosta di Dio nei poveri, nella ricchezza delle culture, nella varietà delle religioni, nella profondità di ogni cuore umano” deve diventare “il nostro modo di vita”. Inoltre, nella grande missione evangelizzatrice in Asia, “la silenziosa, ma eloquente testimonianza di un’autentica vita cristiana richiede una presenza umile, un approccio dialogico che comprenda una vita contemplativa e di preghiera”. Ma il nuovo evangelizzatore in Asia non deve perdere di vista la dimensione profetica della sua missione: “Essere profetico – spiega il messaggio – significa essere consapevoli, con la guida dello Spirito Santo, delle contraddizioni del mondo asiatico e denunciare ciò che degrada e spoglia i figli di Dio della loro dignità”. Egli è quindi chiamato a proteggere “la dignità umana di tutti, soprattutto delle donne e dei bambini e di coloro che sono ridotti a vivere come non persone”. Da ciò discende la solidarietà con le vittime della globalizzazione, dell’ingiustizia, dei disastri naturali e nucleari, del terrorismo e del fondamentalismo. Collegato alla spiritualità di comunione è poi la difesa dell’ambiente: l’assemblea condanna l’abuso “egoistico e miope” del Creato finalizzato solo al profitto e che ha contribuito al surriscaldamento globale e ai cambiamenti climatici. Resta, infine, per il nuovo evangelizzatore la fermezza della fede fino all’estremo sacrificio sull’esempio dei martiri cristiani che anche l’Asia ha dato sin dagli arbori del cristianesimo. In conclusione, i vescovi asiatici esortano il “piccolo gregge di Gesù” presente in Asia a non avere paura e ad annunciare con coraggio il Vangelo ai miliardi di abitanti del continente che costituiscono il 60% della popolazione mondiale. “Dalla nostra - affermano - abbiamo la straordinaria ricchezza della nostra fede, Gesù Cristo, dono unico di Dio all’umanità”. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Centrafrica: ribelli Seleka lanciano ultimatum al potere. Tensioni a Bangui

    ◊   La battaglia di Bangui non si farà “perché il governo ha già perso il controllo del Paese”: ad annunciarlo con un comunicato stampa è la coalizione ribelle del Seleka che chiede alle Forze di difesa e sicurezza fedeli al presidente François Bozizé di “deporre le armi immediatamente”. Nel testo pubblicato sul quotidiano locale ‘Journal de Bangui’ e ripreso dall'agenzia Misna, i ribelli motivano la loro decisione come “una misura di sicurezza e di tutela delle popolazioni civili” precisando che “a questo punto, l’ingresso delle nostre truppe nella capitale non è necessario”. Dall’inizio dell’offensiva, cominciata lo scorso 10 dicembre, gli insorti sono riusciti a prendere il controllo, senza incontrare grande resistenza, delle principali città del centro nord. In ordine cronologico l’ultima località caduta è stata Kaga Bandoro (340 chilometri a nord di Bangui): si tratta del quarto capoluogo attaccato e occupato dai ribelli dopo Ndélé (nord), Bria (centro) e Bambari (centro-sud). Alle popolazioni delle città controllate il Seleka ha chiesto di “accettare la situazione e collaborare nella pace e la concordia nazionali”. Nato lo scorso agosto su iniziativa di elementi dissidenti della Convenzione dei patrioti per la giustizia e la pace (Cpjp) e della Convenzione dei patrioti della salvezza e del Kodro (Cpsk), il Seleka (che significa Alleanza in lingua sango) ha assorbito anche l’Unione delle forze democratiche per il raggruppamento (Ufdr). L’obiettivo dichiarato fino a pochi giorni fa è quello di arrivare fino a Bangui per destituire il presidente Bozizé, accusato di non aver attuato gli accordi di pace firmati a partire dal 2007 né le conclusione del processo di dialogo del 2008. Nelle ultime ore il clima di maggiore tensione è stato avvertito a Bangui dove manifestanti presentati dai media come dei “giovani patrioti” che sostengono Bozizé hanno attaccato l’ambasciata di Francia, accusando Parigi di “passività” e di “mancato appoggio al presidente”. Le autorità francesi hanno condannato “l’attacco violento” e rafforzato il proprio dispositivo di sicurezza anche a tutela dei 1200 cittadini residenti in Centrafrica. Il dipartimento di Stato statunitense e le Nazioni Unite hanno invece autorizzato la partenza dei famigliari e del personale non necessario in servizio a Bangui; ieri gli stessi manifestanti hanno tenuto un sit-in davanti alla sede diplomatica di Washington. A scendere in piazza sono stati decine di membri di associazioni vicine al Kwa Na Kwa, il partito di Bozizé, con rami di palma e slogan a favore della pace. A sostegno delle autorità di Bangui, il cui esercito è sotto equipaggiato e numericamente insufficiente, la Forza multinazionale dell’Africa centrale (Fomac) – dispiegata in territorio centrafricano dal 2008 – ha predisposto l’invio di nuove truppe per rafforzare la sicurezza della capitale. Lo ha annunciato alla radio nazionale centrafricana il comandante della Fomac, il generale Jean-Félix Akaga. La Fomac è formata da 500 soldati del Gabon, Ciad, Camerun e Repubblica Democratica del Congo che si sarebbero dovuti ritirare dal Centrafrica entro il 31 dicembre 2013. Inoltre una parte delle truppe ciadiane stabilite a Sibut (100 chilometri dalla capitale) si sta dirigendo verso Kaga Bandoro, presumibilmente per arginare l’avanzata dei ribelli. La scorsa settimana il presidente ciadiano Idriss Deby Itno, storico alleato di Bozizé, ha deciso l’invio di rinforzi nel Paese confinante ma le truppe di N’Djamena sono categorizzate come forza di interposizione non di attacco. Intanto, almeno per ora, la “cessazione immediata delle ostilità”, il ritiro dei ribelli dai centri conquistati e la strada del dialogo suggerita dai capi di Stato della Comunità economica dei paesi dell’Africa centrale (Ceeac) appaiono scenari remoti. Negoziati previsti per oggi tra il Seleka e le autorità centrafricane sono stati rinviati a data da destinarsi per “problemi logistici”, ha annunciato la stessa Ceeac. (R.P.)

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    Il cardinale Gracias: violenze sulle donne, terribile malessere dell'India

    ◊   Lo stupro di gruppo di New Delhi è un "terribile esempio del malessere dell'India" e conseguenza "dell'emarginazione di Dio" dalla propria vita. Così il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai e presidente della Conferenza episcopale indiana, commenta all'agenzia AsiaNews il caso di violenza avvenuto il 16 dicembre scorso, che ha sconvolto la società indiana. Oggi la vittima, una ragazza di 23 anni, è stata trasferita in un ospedale di Singapore per proseguire le cure e la riabilitazione. Nell'omelia tenuta per la messa di Natale, il porporato ha parlato delle varie forme di violenza contro le donne, diffuse in tutto il Paese: gli stupri, come quello della giovane o quello subito da suor Meena Barwa durante i pogrom anticristiani di Kandhamal; i feticidi femminili. Secondo l'arcivescovo, contro il disprezzo per le donne e per affermare la pace di Cristo, bisogna "riportare Dio e i valori cristiani al centro delle nostre vite", soprattutto "nel Natale dell'Anno della Fede. I più grandi nemici del Natale - afferma il porporato - non sono solo quelli che non conoscono o non credono in Cristo, ma anche quei cristiani diventati crudeli, presuntuosi, che hanno chiuso i loro cuori ai bisogni degli altri esseri umani. Questo è conseguenza della "emarginazione di Dio". Stiamo spingendo il Signore dal centro delle nostre vite alla periferia, e a volte Egli non è un fattore di cambiamento. In questi giorni, giovani, studenti universitari e persone di ogni età stanno protestando contro questo terribile e irripetibile stupro di gruppo. Questo caso ha catturato l'attenzione di tutta la nazione per la natura orribile di questo spregevole crimine. Chiediamo giustizia per suor Meena Barwa, violentata durante i massacri anticristiani del Kandhamal nel 2008, perché la giustizia continua a sfuggirci. Tutte queste violazioni contro le donne - continua il card. Gracias - devono essere esaminate nell'interesse della società. La radice è la stessa: il disprezzo di Dio, che si manifesta in queste forme. La donna è diventata una merce, trattata senza rispetto ed eliminata. Le bambine vengono discriminate, in vita e ancora prima di nascere. In questo Anno della Fede, mentre celebriamo il Natale - afferma il porporato - preghiamo per la nostra amata madre terra, le cui figlie soffrono, e preghiamo per la pace del Natale. La pace è tutto ciò che desideriamo. Non è vuoto desiderio. È una speranza, una speranza fondata sulla fede. Non vedremo realizzata la pienezza della pace fino a quando Cristo non tornerà alla fine dei tempi. Ma non possiamo aspettare quel giorno. Dobbiamo pregare e lavorare per la pace adesso. Quando crediamo, mettiamo al mondo Cristo. In questo Natale - conclude il card. Gracias - il vivere in modo coraggioso la nostra fede possa aiutarci a sperimentare la pace, la gioia e l'amore di Gesù bambino. (R.P.)

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    Russia. L'arcivescovo di Mosca: Dio può tutto, permettiamogli di rinnovare le nostre vite

    ◊   Un invito a far entrare Dio nella nostra vita, per darle così un nuovo inizio. E' il messaggio dell'arcivescovo della Madre di Dio, mons. Paolo Pezzi, inviato a tutta la comunità cattolica a Mosca, religiosa e laica in occasione del Natale. "Colui che vi chiama è fedele" (1 Ts 5,23-24). Inizia con le parole dell'apostolo Paolo il messaggio di mons. Pezzi, il quale ricorda che "Dio può tutto", come ha spiegato l'Angelo a Maria nell'Annunciazione. "Anche quando noi non gli siamo fedeli, Egli rimane in attesa, rispettando la nostra libertà - si legge nel testo diffuso dal servizio stampa dell'arcidiocesi, ripreso dall'agenzia Sir - Dio prende l'iniziativa nelle Sue mani e ci viene incontro, invitandoci a rispondergli con la fede". "L'Uomo nuovo che Dio ha risvegliato, venendo al mondo - continua - è un Uomo per il quale questa affermazione rappresenta il centro della sua vita: 'Dio può tutto'". "Questo significa che il Dio di cui parliamo - spiega - non è un Dio dei nostri pensieri, ma un Dio vivente, che è diventato uomo in Gesù". Le parole dell'Angelo dette alla Vergine - aggiunge - diventano l'inizio di una nuova ascesi, di una nuova prospettiva e di un nuovo senso di sé per l'Uomo". "La prima parola, il primo passo, l'iniziativa autentica - spiega il presule - vengono sempre da Dio. Solo accettando questa iniziativa, anche noi possiamo diventare parte autentica e testimoni della comunione con Dio. Solo chi permetterà a Dio di migliorarlo, potrà rispondere alla sfida del mondo, il quale sostiene che si possa vivere senza Dio". L'arcivescovo sottolinea, così, il significato più essenziale del Natale: "Dio è entrato nella storia dell'Uomo nel modo più inatteso e inimmaginabile. Si è fatto bambino ed ha attraversato tutto il percorso dell'essere umano. Egli stesso è diventato via, attraverso cui l'Uomo può arrivare a Dio". Citando poi Benedetto XVI, spiega che "Dio, in Gesù di Nazareth, accetta l'Uomo e tutta la sua storia, e gli dà un nuovo inizio". "Colui che vi ama è fedele - ripete mons. Pezzi, che a Natale ha celebrato la Santa Messa nella cattedrale cattolica di Mosca, alla presenza di centinaia di fedeli - lasciate che questa consolante verità accompagni ognuno di voi, figli prediletti di Dio, nel vostro percorso di vita". L'augurio è che "la pace e l'esultanza della notte di Natale entrino nelle nostre case, riempiendole con la gioia della fede, con l'amore fraterno reciproco e della pace di una profonda speranza".(R.P.)

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    Russia: il doppio Natale cattolico e ortodosso

    ◊   In Russia il Natale si festeggia due volte. La maggior parte dei russi, per i quali in questo periodo la festa principale è il Nuovo Anno, chiamano il 25 dicembre il "Natale cattolico", ma in realtà anche luterani e anglicani (insieme ad alcuni metodisti, battisti e pentecostali) che seguono il calendario gregoriano, festeggiano la nascita di Gesù il 25 dicembre. La Chiesa ortodossa russa, come alcune Chiese protestanti - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha conservato, invece, per le festività religiose il vecchio calendario giuliano, "in ritardo" di 13 giorni su quello gregoriano. Per questo motivo il Natale ortodosso cade il 7 gennaio e l'Epifania il 19. Il direttore del centro informazioni dell'arcidiocesi di Dio a Mosca, padre Kirill Gorbunov, ricorda comunque che la "festa è unica per tutti i cristiani". "Per ogni fedele, l'aspetto principale di questo giorno è la Messa", aggiunge il sacerdote. La Messa di mezzanotte nella cattedrale dell'Immacolata Concezione di Mosca, è stata celebrata in russo, ma il 25 si è tenuta anche in polacco, spagnolo e inglese. La maggior parte dei cattolici di Mosca proviene dai Paesi di tradizione cattolica, ma ci sono anche comunità di fedeli vietnamiti, coreani e armeni. Anche qui il Natale è una festa da passare in famiglia. Secondo le ultime stime ufficiali (2004), l'arcidiocesi della Madre di Dio a Mosca conta 200mila fedeli. (R.P.)

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    Hong Kong. Messaggio di Natale del card. Tong: suffragio universale e difesa della famiglia

    ◊   Nel suo messaggio di Natale alla diocesi di Hong Kong, il card. John Tong ha riaffermato la richiesta della Chiesa cattolica di garantire il suffragio universale al territorio per l'elezione del capo dell'esecutivo e del parlamento. Allo stesso tempo, egli ha sottolineato l'importanza di politiche che aiutino le famiglie nell'affrontare la crisi economica e culturale. Il porporato domanda edilizia popolare, sostegno all'educazione e alla pensione e ribadito l'importanza di comprendere la famiglia come unità di uomo e donna, "indirizzata verso la procreazione e la crescita dei figli". Nel suo messaggio - riferisce l'agenzia AsiaNews - il card. Tong racconta anche la sua esperienza di un anno di cardinalato, dopo la sua nomina avvenuta il 6 gennaio 2012. Il vescovo di Hong Kong, ricorda con gioia la vivacità della comunità del territorio, che quest'anno ha ricevuto 3500 nuovi fedeli, battezzati a Pasqua. Con discreto coraggio, il cardinale spiega di aver conferito due volte con il governo di Hong Kong, in febbraio e in settembre, presentando le richieste della diocesi. "Oltre a domandare l'attuazione del suffragio universale nell'elezione del capo dell'esecutivo e del parlamento - si afferma nel messaggio - abbiamo spinto le autorità a migliorare le attuali politiche sulla casa, la salute, l'educazione e la sicurezza della pensione". Né la Gran Bretagna al tempo della colonia, né la Cina dopo il 1997 hanno mai garantito alla popolazione di Hong Kong la possibilità di eleggere i loro leader e i loro parlamentari. Ancora oggi il capo dell'esecutivo viene scelto da un Comitato ad hoc e solo metà dei parlamentari sono eletti mediate il voto della base. La Cina ha da tempo escluso per Hong Kong il suffragio universale rimandandolo almeno a dopo il 2017. Nel dialogo con il governo, il cardinale sottolinea che egli ha parlato anche di "matrimonio stabile e vita familiare armoniosa, che sono i presupposti per salvaguardare il benessere della società". Richiamando il Catechismo della Chiesa cattolica, il porporato riafferma che la famiglia è composta da una "mutua donazione e un impegno lungo una vita fra un uomo e una donna", che è produce "il bene del marito e della moglie, ed è indirizzato verso la procreazione e la crescita dei figli". Le sottolineature del cardinale sono urgenti perché Hong Kong soffre di una forte crisi demografica. Allo stesso tempo, nelle ultime settimane alcuni gruppi hanno iniziato a spingere il governo perché la legislazione riconosca il matrimonio gay. (R.P.)

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    Myanmar. L'arcivescovo di Yangon: Natale di riconciliazione e libertà per i cattolici

    ◊   I cristiani birmani, e in special modo i giovani, per queste feste di Natale si aspettano "soprattutto pace, gioia, prosperità e riconciliazione". Nel Paese le celebrazioni si sono svolte "senza difficoltà" e "non sono serviti permessi come in passato", ragion per cui si registrano "segnali positivi" in tema di "libertà religiosa". Così mons. Charles Bo, arcivescovo di Yangon, capitale economica e commerciale del Myanmar, racconta all'agenzia AsiaNews come i cattolici vivono il Natale. "Il messaggio - continua il prelato - è racchiuso nel motto 'Il potere delle mani vuote' e testimonia" la forza di grandi persone che, nella storia, hanno "conquistato il cuore del popolo, come il Mahatma Gandhi e Madre Teresa" senza l'uso della forza. "Il Bambino nato in una culla, non aveva nulla nelle proprie mani". Mons. Bo ha partecipato di recente alla 10ma Assemblea generale della Federazione dei vescovi asiatici, che si è svolta in Vietnam dall'11 al 16 dicembre scorso. Egli è quindi tornato in Myanmar, per preparare le celebrazioni di Natale, vissuto con gioia e trepidazione dalla comunità cattolica di Yangon. "É un dono di Dio all'uomo" sottolinea il prelato, parlando della festa, e ciascuno dei fedeli è chiamato a "condividere quanto ha con i poveri e gli emarginati" all'insegna "della speranza e del perdono". Un Dio potente, aggiunge, si è fatto carne "nel corpo di un neonato" e sembra in apparenza "vulnerabile e indifeso", perché tutti noi "potessimo amarlo e amare i nostri fratelli". In queste domeniche di Avvento le Chiese del Myanmar si sono preparate intensificando i momenti di preghiera, le funzioni, il desiderio di riconciliazione. I giovani sono animati da vocazione missionaria e, spiega il prelato, hanno "condiviso la Buona Novella sotto forma di canti natalizi". I fedeli hanno atteso con impazienza la Messa di mezzanotte, che in alcune parrocchie è iniziata prima, affinché chi lo desiderava, potesse partecipare "anche a due o tre diverse Messe in chiese diverse". Le feste di Natale segnano la fine di un anno denso di evoluzioni e cambiamenti per il Paese, che ha lasciato alle spalle decenni di regime militare per aprirsi alla comunità internazionale. E accogliendo in Parlamento anche la storica leader dell'opposizione e Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. "Anche la Chiesa partecipa a questa opera di costruzione della nazione" spiega mons. Bo e si sente "vicino al popolo del Myanmar". Quest'anno non sono serviti particolari permessi per celebrare le Messe e questo "è stato un buon segnale in tema di libertà religiosa". Il prelato ha presieduto la Messa di mezzanotte alla cattedrale di Santa Maria, a Yangon, alla quale ha invitato diversi ambasciatori e rappresentanti diplomatici. Il giorno di Natale, l'arcidiocesi e il Consiglio delle Chiese protestanti si sono unite per una preghiera e il pranzo alla cattedrale anglicana della Santissima Trinità di Yangon. All'evento è stato presente il ministro per gli Affari religiosi e il governatore della regione, anche se la richiesta di partecipazione è stata estesa anche al presidente Thein Sein e ad Aung San Suu Kyi: "ma la Nobel per la pace in questi giorni è in viaggio", ha sottolineato mons. Bo. (R.P.)

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    Pakistan: anche per Natale le ombre del terrorismo

    ◊   Mentre in alcune grandi città del Pakistan il Natale è stato celebrato in armonia fra le comunità religiose, nel Paese si susseguono atti di violenza di matrice confessionale. Dopo l'esecuzione della ragazza cristiana di Quetta, infatti, un attentato suicida ha ucciso uno dei ministri del Partito Awami, Bashir Ahmad Bilour, che ha combattuto per tutta la vita contro il terrorismo islamico. Commentando l'accaduto, il vescovo di Islamabad/Rawalpindi mons. Anthony Rufin ha detto all'agenzia AsiaNews: "La Chiesa cattolica condanna questo attacco. La guerra al terrore non è combattuta solo da un gruppo o da un partito, ma è la guerra di una nazione contro un modo di pensare. Dobbiamo unirci contro questa mentalità violenta che cerca di imporre la sua ideologia sulla popolazione attraverso la forza e la paura". Nel corso dell'attentato, avvenuto a Peshawar due giorni prima di Natale, sono morte altre 8 persone; almeno 18 i feriti. Il fratello del ministro, anche lui in politica, dice: "Era un uomo coraggioso che ha sempre lottato contro gli estremisti. Era stato già colpito in passato, ma non ha mai mollato e non l'avrebbe mai fatto. La sua morte indebolisce l'intero Pakistan nella lotta al terrorismo". Nel frattempo si cerca ancora di fare luce sull'omicidio di una ragazza cristiana a Quetta, che sarebbe stata uccisa con un colpo di pistola alla testa. La notizia è stata lanciata da una televisione locale, che tuttavia non fa il nome della vittima o della famiglia. Inoltre, fino ad ora l'esecuzione non è stata rivendicata, nè si conoscono possibili moventi legati a tensioni interreligiose. In tutto questo, a Faisalabad la comunità cristiana ha accolto in grande stile la nascita del Salvatore. Per le strade, anche nelle zone musulmane, sono state montate decorazioni luminose e alberi addobbati. Inoltre si sono svolti incontri e seminari interreligiosi per spiegare il senso del "Bara Din", il "grande giorno" in urdu e punjabi. Anche qui, però, si sono verificate note stonate. Secondo Aneel Edgar, cristiano nativo di Warispura, "è un peccato che durante il Natale si verifichino sempre dei problemi all'elettricità comunale. Secondo me è una politica discriminatoria, dato che durante le feste islamiche non accade mai". Per Munawar Sahotra, inoltre, "c'è uno spietato aumento dei prezzi che il governo dovrebbe tenere sotto controllo. Non è giusto che i poveri non possano godersi le festività". (R.P.)

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    Filippine: a Mindanao i cattolici dedicano il Natale alle vittime dei tifoni

    ◊   La diocesi di Cagayan de Oro (Mindanao) ha donato per Natale oltre 250 pacchi con viveri e beni di prima necessità e inviato gruppi di volontari e psicologi alle centinaia di famiglie colpite dai tifoni Washi e Bopha, che a distanza di un anno hanno devastato la province settentrionali e sud orientali dell'isola di Mindanao. "Questo è il nostro regalo per le popolazioni che soffrono - racconta all'agenzia AsiaNews mons. Antonio Ledesma, arcivescovo di Cagayan de Oro - la nascita di Gesù è un segno di speranza per la nostra Chiesa e le nostre comunità colpite dalle alluvioni". Il prelato afferma che alla Messa di mezzanotte ciascun fedele ha dato il suo contributo per le vittime della tragedia: "Chi è stato risparmiato dal tifone si è privato dei propri averi per aiutare chi ha perso tutto". Nonostante gli sforzi di Caritas e organizzazioni internazionali, mons. Ledesma sottolinea che al momento solo metà delle famiglie colpite dal tifone Washi nel dicembre 2011 vive in una casa e ha un lavoro. Nella provincia di Cagayan de Oro (zona nord di Mindanao), dove le alluvioni hanno ucciso oltre 1500 persone, centinaia di famiglie sono ancora bloccate nei Centri per gli sfollati e dipendono dagli aiuti umanitari di Onu e Caritas. La situazione è ancora più drammatica nella zona sud-orientale dell'isola devastata dal recente tifone Bopha, che in dicembre si è abbattuto sulle province di Davao e Compostela Valley con venti a oltre 200 chilometri orari, frane e fiumi di fango, che hanno cancellato interi villaggi. Il bilancio delle vittime è ancora parziale con oltre 1000 morti e 800 dispersi. (R.P.)

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    Sri Lanka: Natale in carcere per centinaia di migranti cattolici

    ◊   Un Natale "senza gioia, pace e condivisione" per decine di famiglie cattoliche dello Sri Lanka. I loro uomini - mariti e padri - sono in prigione, alcuni anche da tre mesi, per aver provato a raggiungere in modo illegale Australia e Nuova Zelanda, in cerca di un lavoro. Dal loro arresto - riferisce l'agenzia AsiaNews - solo poche famiglie (anche non cattoliche) hanno raccolto i soldi necessari per pagare la cauzione, perché la maggior parte di loro è troppo povera. Anche la macchina della giustizia non aiuta: molte udienze vengono aggiornate e posticipate, senza spiegare i motivi. È il caso di Anthony Dencil, cattolico di 47 anni, detenuto nella prigione di Negombo da tre mesi. Egli non sapeva di essere su un'imbarcazione illegale: il capitano lo aveva assunto come cuoco. Ora sua moglie Deepa Renuka Kumari, buddista, è l'unica fonte di reddito: ma con 300 rupie al giorno, non sa come sfamare i loro tre figli di 20, 14 e 5 anni, perché "carne e verdure costano troppo". "Prima del 25 dicembre - racconta ad AsiaNews -, gli abbiamo portato vestiti puliti per partecipare alla messa di Natale, e alcune immagini di Gesù". Jude Anthony, 49 anni, è uscito di prigione pochi giorni prima di Natale. È rimasto in carcere per sei mesi. Secondo l'uomo, cattolico e padre di quattro figlie, "questi detenuti sono persone innocenti. Solo la nostra povertà ci ha spinto a correre questo rischio. Se avessimo avuto un lavoro, non avremmo tentato di emigrare". (R.P.)

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    Unicef Italia: il presidente Guerrera sulla situazione dei bambini in Siria

    ◊   “La situazione in Siria si fa sempre più drammatica. A farne le spese sono soprattutto i bambini che da più di un anno soffrono per un conflitto di cui non hanno colpe". L'Unicef Italia condanna senza riserve le ultime “stragi di Natale” che ancora una volta hanno mietuto vittime proprio tra i bambini che sono i più esposti in questo interminabile conflitto. Fin dall'inizio delle ostilità l'Unicef è impegnato all'interno ed all'esterno della Siria con iniziative volte a proteggere la vita dei bambini siriani. Grazie al lavoro dei nostri operatori e delle Ong coinvolte siamo riusciti a raggiungere 1 milione e 350 mila bambini con vaccinazioni antipolio e circa 1 milione 100 mila sono quelli già vaccinati contro il morbillo. Ma non finisce qui. L'Unicef - spiega l'Organizzazione - da settimane ha avviato un programma volto a sostenere i bambini e le loro famiglie durante il periodo invernale denominato "Winterisation" attraverso forniture di abiti, vestiti, materiale per riscaldarsi, coperte. Misure fondamentali rivolte specialmente ai bambini rifugiati nei campi profughi che sono oltre 230 mila (regolarmente registrati) che soffrono a causa di indumenti non adeguati a questa stagione ed alle temperature sempre più basse". L'Unicef infine sta lavorando ad un piano di sostegno immediato della popolazione nella previsione di uno scenario futuro che vede 7 milioni di persone colpite dal conflitto nei prossimi mesi ed oltre 1 milione e 700 mila sfollati. Ecco perchè rivolge un appello a tutti gli italiani affinchè sostengano l'azione in favore dei bambini siriani "con il fine di raccogliere 16,1 milioni di dollari per i prossimi 60 giorni ed aiutare così una popolazione distrutta, mortificata e stanca di una guerra che sembra non trovare soluzione alcuna”. (R.P.)

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    Brasile. Mons. Krautler: la diga di Belo Monte è illegale e inaccettabile

    ◊   “La gioia di essere chiamato a servire Dio, portando il Suo amore alle persone e a tutti i popoli, nessuno potrà mai togliere dal cuore di chi ha una missione basata e motivata nel Vangelo”. Così, mons. Erwin Krautler, vescovo della Prelatura del Xingu, sintetizza la sua esperienza in questi 40 anni di evangelizzazione lontano dalla Germania, nel cuore dell’Amazzonia. Tra tante storie vissute in queste quattro decadi in Brasile, mons. Krautler adesso è entrato con il cuore e l’anima nella lotta contro la costruzione della diga di Belo Monte. “Come vescovo devo convivere con diversi punti di vista ed essere tollerante, nonostante alcune volte sia contro ciò che penso. Tuttavia, non lascio indietro mai ciò che professo né la mia posizione contraria alla costruzione della diga che considero essere una follia. Purtroppo, non esiste un’altra parola. Belo Monte è inaccettabile e illegale e non sarà mai diversa”. I popoli indigeni che vivono vicini ai cantieri hanno assunto un atteggiamento pericoloso. “Il governo, tramite la ditta governativa Norte Energia vuole mettere a tacere gli indios e bloccare qualsiasi manifestazione. Gli indios ricevono cibo, imbarcazioni, carburante ecc. Benefici che non hanno mai pensato di avere. Ma come possiamo spiegare loro che tutto ciò è un cavallo di Troia e che quando prendono questi “regali” stanno in realtà gambizzando loro stessi?”. Mons. Krautler racconta che dopo l’elezione aveva richiesto una riunione con la presidente Dilma Rousseff. Ma quando ha sentito un intervento del segretario generale della presidenza in favore della costruzione della diga, ha cancellato l’incontro. “A cosa servirebbe l’incontro? Fare delle chiacchiere e posare per i fotografi? Il discorso del ministro ha svelato tutta l’intransigenza del governo quindi ho cancellato io l’udienza”, si rammarica mons. Krautler. Mancano soltanto due anni perché Mons. Krautler diventi vescovo emerito però secondo lui ciò non deve cambiare i suoi impegni in favore della dignità e dei diritti dei popoli indigeni, delle persone che vivono in riva ai fiumi amazzonici, delle donne, dei bambini, dei giovani, di chi non ha casa né terra. “La mia lotta continuerà in favore di quelli che sono stati esclusi dal ‘banchetto della vita’ e anche nella difesa dell’ambiente, la dimora che Dio ha creato per noi, finché Lui mi darà le forze per continuare”. (R.B.)

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    Sudan: nuove tensioni di frontiera con il Sud Sudan

    ◊   “Gruppi armati” non meglio identificati provenienti dal Sud Sudan si sarebbero scontrati due giorni fa con nomadi arabi nella zona di frontiera di Samaha, una delle aree contese tra il governo di Khartoum e quello di Juba: a riferirlo – riporta oggi l’agenzia di notizie sudafricana ripresa dalla Misna – è stato il portavoce dell’esercito sudanese, Sawarmi Khaled Saad. “I combattimenti non sono avvenuti tra forze armate sudanesi e sud sudanesi” ha precisato la fonte che, tuttavia, non ha fornito bilanci di eventuali vittime o altri particolari. “Stiamo cercando di trovare una soluzione politica al problema” ha aggiunto Saad riferendosi alle aree oggetto di disputa con Juba: malgrado la firma a settembre di nuovi accordi per la sicurezza, che prevedono la creazione di una zona ‘cuscinetto’ smilitarizzata, i due Sudan infatti non sono ancora riusciti a risolvere il contenzioso frontaliero. A novembre, l’esercito sudanese aveva riferito di aver attaccato un’area situata ad alcuni km a nord di Samaha, diventata base di presunti ribelli del Darfur. Juba aveva replicato affermando che alcuni ordigni sarebbero invece caduti in territorio sud sudanese uccidendo dei civili. Gli ultimi scontri giungono mentre, almeno sulla carta, i due Sudan stanno lavorando per applicare gli accordi raggiunti a settembre. Mercoledì il presidente sudanese Omar al-Bashir e il primo ministro etiopico Hailemariam Desalegn hanno “discusso gli strumenti per implementare le intese siglate ad Addis Abeba e rimuovere gli ostacoli” secondo l’agenzia ufficiale sudanese Suna. Sempre secondo la Suna, Bashir ha ribadito la disponibilità a incontrare il collega sud sudanese, Salva Kiir “in qualsiasi momento” per accelerare la messa in atto degli accordi bilaterali. (R.P.)

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    Italia: 45ª Marcia per la pace a Lecce il 31 dicembre

    ◊   La 45ª Marcia nazionale per la pace “Beati gli operatori di pace” si svolgerà a Lecce il 31 dicembre 2012. Come ogni anno - riferisce l'agenzia Zenit - la Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, la Caritas Italiana e Pax Christi Italia organizzano – coinvolgendo quest’anno anche l’Azione Cattolica Italiana – una Marcia che approfondisce nella preghiera, nella riflessione e nella condivisione il tema della Giornata mondiale della pace, celebrata il 1° gennaio. Dal tema “Beati gli operatori di pace”, che il Santo Padre Benedetto XVI ha scelto per la 46a Giornata mondiale della pace (1° gennaio 2013), scaturisce il programma della 45ª Marcia, composto da sette momenti. Accoglienza, saluti e preghiera ecumenica: “Vivere la fede nella pace”; Annuncio: “Il Vangelo della pace”, con testimonianza su don Tonino Bello; Denuncia: “Stili di vita, sobrietà e carità”, con riflessione sui conflitti dimenticati; Rinuncia: “Educare alla pace”, con testimonianza sulla partecipazione dei laici; Tavola rotonda: “Tra diluvio e arcobaleno… Primavera araba e Mezzogiorno”; Celebrazione eucaristica nella Cattedrale, trasmessa in diretta su TV 2000; Auguri e momento conviviale. Per sottolineare la profonda ecclesialità della Marcia, intervengono nei vari momenti i vescovi: mons. Domenico D’Ambrosio, arcivescovo Metropolita di Lecce; mons. Giancarlo Maria Bregantini, presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace; mons. Giovanni Giudici, Presidente di Pax Christi Italia; mons. Giuseppe Merisi, presidente della Caritas Italiana; mons. Domenico Sigalini, Assistente ecclesiastico generale di A.C.I. Fanno da sfondo alla Marcia, e soprattutto alla tavola rotonda, che avrà un’attenzione particolare al contesto della crisi in Siria e al rilancio del Mezzogiorno d’Italia, le parole di Don Tonino Bello: «Siamo un po’ come Noè sull’arca, come quando c’è stato il diluvio universale. Anche noi siamo su una zattera che ondeggia sotto gli urti della storia. E anche noi come Noè, ogni tanto usciamo sulla tolda per misurare con lo scandaglio la profondità delle acque: a che punto saranno arrivate? Però anche noi, come Noè, leviamo lo sguardo verso il cielo per vedere se, da qualche parte, compare la calotta dell’arcobaleno. Ecco: tra diluvio e arcobaleno. Attenzione però amici miei, dovremo essere i cantori dell’arcobaleno, coloro che scrutano l’arrivo della colomba mandata da Noè. Il mondo è stato sempre un po’ triste! Però ha avuto sempre anche i profeti, i cantori della speranza, ed il nostro compito di credenti, oggi, non è di macerarci negli eventi della perversità del mondo - affermava Don Tonino Bello - ma di salire sulla tolda per scrutare l’arrivo della colomba, per scorgere nel firmamento questo allargarsi dell’arcobaleno». (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 362

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