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Sommario del 25/12/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all'"Urbi et Orbi": Cristo porti pace in Siria, Terra Santa e Africa. "C'è speranza nel mondo"
  • Il card. Sarah: in Siria la gente patisce sofferenze atroci. La Chiesa è in mezzo ai profughi
  • Messa di Natale. Il Papa ricorda profughi e immigrati: aiuto a chi soffre prevalga su armi e guerre in nome di Dio
  • Inaugurato il presepe in Piazza S. Pietro. Il Papa accende il "lume della pace"
  • Tweet natalizio del Papa: ricordo il presepe che facevamo in casa, mi dava grande gioia
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria. Mons. Zenari: Natale di speranza e solidarietà nonostante tutto
  • Natale in Afghanistan. Il parroco di Kabul: ci sono segni di rinascita
  • Grecia. Natale di povertà per una famiglia su tre. Mons. Foskolos: c'è uno spirito solidale
  • Costa d'Avorio. Padre Torres: Natale è incontro col fratello musulmano
  • Colombia. il card. Salazar Gómez: dal Natale l'auspicio di stabilità e democrazia
  • Natale in Australia, occasione per annunciare il Vangelo in contesti secolarizzati
  • Natale. Il cardinale Caffarra tra i terremotati dell'Emilia
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Messa di Natale a Betlemme. Mons. Twal: Medio Oriente soffre, si lavori per la pace
  • Ciad. Dopo l'espulsione, governo concede a mons. Russo di rientrare a Doba
  • La Chiesa celebra il Natale con i detenuti delle carceri italiane
  • Monarchie del Golfo Persico dicono sì a un comando militare unificato
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all'"Urbi et Orbi": Cristo porti pace in Siria, Terra Santa e Africa. "C'è speranza nel mondo"

    ◊   La nascita di Cristo ha fatto germogliare una “terra buona, libera da ogni egoismo e chiusura”, nonostante i conflitti e le urgenze che ancora la colpiscono. Lo ha affermato questa mattina Benedetto XVI nel suo Messaggio Urbi et Orbi, pronunciato a mezzogiorno – come da tradizione nel giorno di Natale – dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana. Il Papa ha levato in particolare appelli alla pace per la Siria, la Terra Santa e l’Africa, terminando con gli auguri natalizi pronunciati in 65 lingue. La cronaca della celebrazione nel servizio di Alessandro De Carolis:

    Né la peggiore delle guerre, né le più terribili atrocità sulla faccia della terra, potranno mai distruggere e nemmeno fare ombra alla certezza cristiana che nel mondo la speranza esiste, come esistono la pace e l’amore, perché proprio dalla terra duemila anni fa è “germogliata” la verità di Dio fatto uomo. Benedetto XVI ha introdotto con le parole serene di un antico Salmo i suoi auguri di Natale a un mondo che conta ancora troppe crisi. Conflitti ed emergenze umanitarie che il Papa ha ricordato nel suo Messaggio Urbi et Orbi, facendo arrivare in tutti i continenti la sua voce e il suo sprone, specie ai governi, perché i valori assoluti della pace e del rispetto trovino ovunque diritto di cittadinanza. A cominciare dalla Siria e dalla sua gente, “profondamente ferita e divisa – ha detto – da un conflitto che non risparmia neanche gli inermi e miete vittime innocenti:

    “Ancora una volta faccio appello perché cessi lo spargimento di sangue, si facilitino i soccorsi ai profughi e agli sfollati e, tramite il dialogo, si persegua una soluzione politica al conflitto. La pace germogli nella Terra dove è nato il Redentore, ed Egli doni a Israeliani e Palestinesi il coraggio di porre fine a troppi anni di lotte e di divisioni, e di intraprendere con decisione il cammino del negoziato”.

    Stessi auspici il Pontefice ha espresso per i Paesi del Nord Africa, “che attraversano – ha sottolineato – una profonda transizione alla ricerca di un nuovo futuro”, in particolare l’Egitto, “terra amata e benedetta dall’infanzia di Gesù”. A tutti, il Papa ha augurato la nascita di “società basate sulla giustizia, il rispetto della libertà e della dignità di ogni persona”. E spostando lo sguardo più a sud nel continente, ha soggiunto:

    “Il Natale di Cristo favorisca il ritorno della pace nel Mali e della concordia in Nigeria, dove efferati attentati terroristici continuano a mietere vittime, in particolare tra i Cristiani. Il Redentore rechi aiuto e conforto ai profughi dell’Est della Repubblica Democratica del Congo e doni pace al Kenya, dove sanguinosi attentati hanno colpito la popolazione civile e i luoghi di culto”.

    Quindi, l’Asia. Gesù Bambino, ha affermato Benedetto XVI, “guardi con benevolenza ai numerosi popoli che abitano quelle terre e, in modo speciale, quanti credono in Lui”:

    “Il Re della Pace rivolga inoltre il suo sguardo ai nuovi Dirigenti della Repubblica Popolare Cinese per l’alto compito che li attende. Auspico che esso valorizzi l'apporto delle religioni, nel rispetto di ciascuna, così che queste possano contribuire alla costruzione di una società solidale, a beneficio di quel nobile Popolo e del mondo intero”.

    Anche i “numerosissimi fedeli” latinoamericani sono stati benedetti dal Pontefice, affinché Gesù Bambino sostenga in particolare gli emigrati e l’impegno dei governi allo sviluppo e alla lotta alla criminalità. La presenza sulla terra “dell’uomo nato a Betlemme da Maria”, ha ribadito alla fine, è garanzia che esiste “una terra buona”:

    “Questa terra esiste, e anche oggi, nel 2012, da questa terra è germogliata la verità! Perciò c’è speranza nel mondo, una speranza affidabile, anche nei momenti e nelle situazioni più difficili (…) Buon Natale a tutti!”.

    Questo augurio conclusivo ha preso poi dalle labbra di Benedetto XVI la via delle nazioni più lontane:

    (saluti in varie lingue)

    Per 65 volte – dagli idiomi europei a quelli arabi, dall’aramaico alle lingue dell’Estremo Oriente – il Papa ha fatto volare l’annuncio del Natale sull’orbe, aprendolo con uno speciale augurio all’Urbe e agli abitanti dell’Italia:

    “Questo amore, che l’odierna festa natalizia ci fa contemplare, favorisca lo spirito di collaborazione per il bene comune, induca a riflettere sulla gerarchia di valori con cui attuare le scelte più importanti, ravvivi la volontà di essere solidali e doni a tutti la speranza che viene da Dio”.

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    Il card. Sarah: in Siria la gente patisce sofferenze atroci. La Chiesa è in mezzo ai profughi

    ◊   "Un conflitto che non risparmia neanche gli inermi e miete vittime innocenti". Così il Papa ha definito, durante la preghiera dell'Urbi et Orbi di questa mattina, il dramma che da troppo tempo sta vivendo la Siria, invocando per essa la possibilità di "una soluzione politica". Sia la Chiesa locale, sia Benedetto XVI in prima persona non hanno fatto mancare alla popolazione della Siria sostegno e solidarietà concreta. Ne parla in questa intervista il cardinale Robert Sarah, presidente del Pontifcio Consiglio Cor Unum, di recente testimone diretto della crisi tra i profughi siriani in Libano:

    R. - Ho visitato gruppi di profughi nella valle della Bekaa il mese scorso e già allora la situazione era estremamente grave. Le loro condizioni di vita erano estremamente precarie, senza acqua, elettricità, servizi sanitari e l’igiene era disastrosa. Nonostante ciò, sono stato profondamente colpito dalla grande dignità di quegli uomini e quelle donne, profughi in un Paese straniero, rifugiati, costretti a lasciare le proprie case, il proprio villaggio, la loro amata madre Patria, la Siria, dopo un pericoloso viaggio di centinaia, talvolta di migliaia di chilometri. Ora, dopo la mia visita, la situazione è ulteriormente peggiorata. L’inverno è ormai cominciato, con le sue inevitabili conseguenze e il conflitto si inasprisce sempre più, con tutto il suo carico di violenze, di sofferenze atroci e di morte. I dati che vengono resi pubblici da varie fonti paiono concordi nel rilevare che si sarebbero superate le 40 mila vittime, senza contare i due milioni di sfollati all’interno della Siria e i 500 mila rifugiati che cercano protezione, sicurezza e una vita decente nei Paesi limitrofi. I nostri continui contatti con le Chiese del Medio Oriente e con varie realtà caritative locali, impegnate soprattutto nell’assistenza ai profughi dentro e al di fuori del Paese, ci trasmettono informazioni allarmanti sui nuovi fronti di guerra, sulle condizioni materiali, psicologiche e spirituali, di insicurezza, igienico-sanitarie in cui è ormai costretta a vivere la gran parte della popolazione, sugli abusi di ogni genere che subiscono, rendendoli in tal modo spesso doppiamente vittime.

    D. - Concretamente, cosa può fare la Chiesa in queste situazioni?

    R. - Benedetto XVI in persona ha visitato il Libano in settembre, mantenendo un’attenzione a tutta la regione e non ha mancato di rinnovare le sue preghiere, i suoi richiami, la sua esplicita richiesta perché la pace torni quanto prima in Siria. In occasione del Santo Natale, con uno sguardo particolare ai bambini, non ha mancato di esprimere tutta la sua vicinanza spirituale e affettiva alle popolazioni e ha manifestato la sua preoccupazione per gli sviluppi e l’aggravamento della crisi siriana. Il rischio peraltro è che questo letale conflitto comprometta pericolosamente tutto il delicato equilibrio di una regione del mondo che gli sta particolarmente a cuore. Durante la mia visita in Libano e successivamente, mi sono convinto sempre più di quanto siano importanti le preghiere, le parole e le azioni. Gli appelli alla pace e alla riconciliazione, rivolti dal Santo Padre alle parti in guerra, alla comunità internazionale perché si attivi più efficacemente, sono stati sufficientemente chiari. La guerra e le distruzioni di vite umane e di infrastrutture non portano a una vera soluzione dei problemi socio-politici. Questo è possibile solo col dialogo e con la volontà di costruire insieme la Nazione nell’amore e nella solidarietà. La Chiesa auspica che azioni militari come quelle che si sono effettuate in Iraq, in Libia, in Costa d’Avorio, non si ripetano. “Mai più la guerra”, ha gridato Paolo VI nel 1965 a New York. Benedetto XVI lancia oggi lo stesso grido. La Chiesa persegue le sue azioni umanitarie a favore delle vittime di questo conflitto attraverso l’attività eroica e generosa di numerosi organismi caritativi cattolici impegnati sul posto sin dal primo momento in cui il conflitto ha cominciato a mietere vittime innocenti. In qualche modo traducono la triplice missione della Chiesa in concretezza. Tutto quello che possiamo fare adesso concretamente per queste persone, dobbiamo farlo. Sia per il loro bene materiale, sia per il loro bene spirituale. Un aiuto aperto a tutti. Come ci insegna Papa Benedetto, nell’Enciclica Deus Caritas Est, l’amore del prossimo si estende alle persone che neppure conosciamo e questo può realizzarsi solo a partire dal nostro intimo incontro con Dio.

    D. - Secondo lei, questa crisi è la punta di un iceberg molto più grande o è un caso a sé?

    R. - Ogni guerra è diversa dalle altre e ha una storia, delle dinamiche specifiche di quella situazione. Anche gli attori che si mobilitano, locali e internazionali, hanno interessi propri. In questo senso anche la Siria è un caso unico, molto complesso, le cui cause e peculiarità vanno studiate e analizzate; e le azioni che mirano a ricostruire la pace, vanno condotte con la massima prudenza e attenzione. D’altro canto, non si può negare che in genere abbiamo raggiunto un livello di crisi umanitarie in tutto il mondo senza precedenti nella storia recente, sia per quanto riguarda il numero delle guerre e delle situazioni di conflittualità armata, sia per ciò che attiene alle calamità naturali. Sono circa 70 le crisi umanitarie in atto, un picco mai raggiunto dalla fine della Seconda Guerra mondiale fino ad oggi. Questo dato, confermato dalla testimonianza delle Chiese locali e dalle organizzazioni caritative cattoliche che quotidianamente si rivolgono a Cor Unum, con tutto il loro carico di sofferenze vissute accanto alle vittime di tali situazioni, risulta essere ancor più doloroso in un momento in cui il mondo dovrebbe invece gioire per la venuta del Signore Gesù, il “Dio-con-noi”. Lui è “la nostra pace”, distrugge le barriere che ci separano, e “sopprime nella sua carne l’odio”, come dice S. Paolo. Questa è la “bella notizia” che ci porta il Signore e che noi vorremmo offrire al mondo intero. Questo è il motivo per cui occorre alzare la nostra voce verso Dio, lanciarci, corpo e anima, in un impegno d’amore attivo e concreto verso ogni essere umano. E’ l’ora di una nuova “fantasia della carità” che si realizzi non solo con azioni pratiche ed efficaci, ma anche con la capacità di farsi prossimi, di essere solidali con chi soffre, è povero e debole, in modo tale che il gesto d’aiuto non umili, ma sia frutto di vera condivisione fraterna (Novo Millennio Ineunte, n. 50).

    D. - Anche perché sono proprio i bambini le vittime più innocenti… Quali casi sono i più nuovi e allarmanti?

    R. - Certamente, questo è lo scandalo più grave. Nelle guerre, i civili inermi vengono sempre più strumentalizzati per perseguire fini militari, su di loro viene perpetrato ogni sorta di abuso e i bambini sono proprio le vittime più indifese e meno tutelate, più facili da utilizzare e conoscono tragicamente la fame e la malnutrizione. Gli esempi si moltiplicano: ci sono conflitti ciclici, guerre “infinite”, mentre altri sono nuovi e si aggiungono ai primi. Un esempio particolarmente grave di crisi umanitaria complessa, che coinvolge più Nazioni, è quello del Sahel dove sarebbero circa 18 milioni le persone colpite dalla crisi alimentare, conseguenza della gravissima siccità che ha investito nove Paesi nella regione africana del Sahel: interi territori di Ciad, Burkina Faso, Gambia, Mauritania, Mali e Niger e le regioni settentrionali di Nigeria, Camerun e Senegal. Quattro milioni di bambini tra 0 e 5 anni sono stimati essere a rischio di qualche forma di malnutrizione e 1,1 milioni di loro sono esposti al rischio di morte per malnutrizione acuta, cioè lo stato più pericoloso delle diverse forme di carenza alimentare. Ormai, la loro sopravvivenza dipende quasi esclusivamente dagli aiuti umanitari, portata anche da vari organismi caritativi cattolici. Nel Mali la situazione è aggravata dalla crisi militare che ha provocato circa 450 mila tra sfollati e profughi. Nei Paesi colpiti, la malnutrizione dei bambini e dei decessi infantili è effetto non solo della quantità e qualità del cibo disponibile, ma anche della mancanza di adeguati servizi sanitari e al carente accesso della popolazione all'acqua potabile e ai servizi igienici di base. Ecco perché la nostra carità si deve fare più attenta, più concreta e più profonda: nello sguardo di questi bambini troveremo quello di Gesù. In questa grande festa di Natale, a nome delle migliaia di bambini, donne, anziani che muoiono di fame e di freddo in Siria e nei Paesi del Sahel, vengo a sollecitare tutti governi e le istituzioni che hanno possibilità finanziarie, affinché offrano un sostegno generoso per salvare intere popolazioni dal disastro della guerra e delle catastrofi naturali. Così, in occasione della festa del Natale e in vista del nuovo anno, la carità delle opere darà una forza incomparabile alla carità delle parole. Buon Santo Natale e felice anno nuovo a tutti!

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    Messa di Natale. Il Papa ricorda profughi e immigrati: aiuto a chi soffre prevalga su armi e guerre in nome di Dio

    ◊   Ieri sera, nella Basilica Vaticana, Benedetto XVI ha presieduto la Santa Messa della notte di Natale. Nella sua omelia, il Papa ha ribadito l’importanza dell’accoglienza per i profughi, i migranti, i rifugiati ed ha invitato i fedeli ad essere “vigilanti” contro “l’uso indebito della religione”. Infine, Benedetto XVI ha invocato la pace per il Medio Oriente ed ha auspicato aiuti per i sofferenti, al posto degli armamenti. Il servizio di Isabella Piro:

    (musica)

    “Sempre di nuovo”: l’omelia del Papa si apre con queste parole che richiamano la bellezza infinita del Natale, la bellezza che è “splendore della verità”, quella verità di un Dio che si fa bambino e “si mette fiduciosamente nelle nostre mani affinché possiamo accoglierlo ed amarlo”. Ma davvero, chiede Benedetto XVI, siamo pronti ad accogliere Dio?:

    "Così la grande questione morale su come stiano le cose da noi riguardo ai profughi, ai rifugiati, ai migranti ottiene un senso ancora più fondamentale: abbiamo veramente posto per Dio, quando Egli cerca di entrare da noi? Abbiamo tempo e spazio per Lui? Non è forse proprio Dio stesso ad essere respinto da noi?".

    L’uomo di oggi non ha tempo per Dio, continua il Papa, anzi: tanto più velocemente si muove, tanto meno tempo ha a disposizione. E la questione che riguarda Dio “non sembra mai urgente”:

    "La metodologia del nostro pensare è impostata in modo che Egli, in fondo, non debba esistere. Anche se sembra bussare alla porta del nostro pensiero, Egli deve essere allontanato con qualche ragionamento. Per essere ritenuto serio, il pensiero deve essere impostato in modo da rendere superflua l’'ipotesi Dio'. Non c’è posto per Lui".

    Così, riempiti da noi stessi, non lasciamo spazio agli altri, ai bambini, ai poveri, ai sofferenti, agli stranieri, agli emarginati. Eppure, dice Benedetto XVI, Dio è buono, è il bene per eccellenza e “dove non si dà gloria a Dio, dove Egli viene dimenticato o addirittura negato, non c’è neppure pace”. E sbagliano, dice il Papa, quelle correnti di pensiero che ritengono le religioni cause di violenza, guerre, intolleranza:

    "È vero che una religione può ammalarsi e giungere così ad opporsi alla sua natura più profonda, quando l’uomo pensa di dover egli stesso prendere in mano la causa di Dio, facendo così di Dio una sua proprietà privata. Contro questi travisamenti del sacro dobbiamo essere vigilanti. Se un qualche uso indebito della religione nella storia è incontestabile, non è tuttavia vero che il 'no' a Dio ristabilirebbe la pace. Se la luce di Dio si spegne, si spegne anche la dignità divina dell’uomo".

    Perché nel buio del peccato e della violenza, afferma il Santo Padre, la fede “ha inserito un raggio luminoso di pace e di bontà che continua a brillare”. Ed è allora che l’omelia di Benedetto XVI diventa preghiera:

    "Signore, fa’ che anche oggi le spade siano forgiate in falci (cfr Is 2,4), che al posto degli armamenti per la guerra subentrino aiuti per i sofferenti. Illumina le persone che credono di dover esercitare violenza nel tuo nome, affinché imparino a capire l’assurdità della violenza e a riconoscere il tuo vero volto. Aiutaci a diventare uomini secondo la tua immagine e così uomini di pace".

    Sulle orme dei pastori che con “santa curiosità e santa gioia” si recarono a Betlemme, dunque, l’uomo deve andare incontro a Signore, oltrepassando i propri limiti materiali per giungere all’essenziale.

    Infine, il Papa innalza una preghiera per la pace in Medio Oriente:

    "Preghiamo perché lì ci sia pace. Preghiamo perché Israeliani e Palestinesi possano sviluppare la loro vita nella pace dell’unico Dio e nella libertà. Preghiamo anche per i Paesi circostanti, per il Libano, per la Siria, per l’Iraq e così via: affinché lì si affermi la pace. Che i cristiani in quei Paesi dove la nostra fede ha avuto origine possano conservare la loro dimora; che cristiani e musulmani costruiscano insieme i loro Paesi nella pace di Dio".

    (musica)

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    Inaugurato il presepe in Piazza S. Pietro. Il Papa accende il "lume della pace"

    ◊   Un grande applauso all'indirizzo di Benedetto XVI ha suggellato ieri pomeriggio l'inaugurazione del presepe in Piazza San Pietro, donato quest’anno dalla Basilicata. Momenti di musica si sono alternati a meditazioni, fino alla preghiera conclusiva guidata dal cardinale Angelo Comastri, arciprete Basilica di San Pietro, che ha parlato del Natale come mistero di puro e gratuito amore, lezione di umiltà di Dio per tutti noi. Quindi, come consuetudine, verso le 18 il Papa dalla finestra del suo studio privato ha acceso il "lume della pace" posto sul davanzale, la cui fiammella è stata attinta da una lanterna già accesa con la fiamma della “Luce di Betlemme”, proveniente dalla grotta della Natività e diffusa in tanti Paesi e località d’Europa. Ambientato nel paesaggio dei Sassi di Matera, patrimonio dell’Unesco, il presepe presenta scene di vita quotidiana, animate da oltre 100 statuine di terracotta, alte fra i 28 e i 22 cm. A realizzare l’opera, il maestro Francesco Artese, famoso in tutto il mondo per i suoi presepi. Luca Collodi lo ha intervistato:

    R. – Il presepe ha una dimensione di circa 160 metri quadri ed è la rappresentazione del Mistero in un ambiente tipico lucano: i Sassi di Matera. La natività è una grotta, una chiesa rupestre, di cui a Matera ce ne sono 154. Ho realizzato la Grotta in una chiesa rupestre, con gli affreschi in stile bizantino del 1300. Quindi i Sassi di Matera diventano la culla della Natività, del mistero che ha cambiato la storia dell’Uomo. Cristo che nasce in mezzo ai nostri contadini, in mezzo alla gente semplice, umile.

    D. – Un presepe impegnativo, anche per dimensioni e numero di personaggi e soprattutto anche per l’ambientazione, quindi per la costruzione delle case, del paesaggio …

    R. – Ho iniziato a giugno la realizzazione del progetto. Poi, l’esecuzione dalla fine di luglio: ha richiesto diversi mesi di lavoro. Ci sono circa 100 personaggi. E' bello: a fare il presepe si cresce, e quindi si matura. Anche il presepe fa maturare le persone…

    Un grande onore, oltre che una straordinaria occasione promozionale per una regione, la Basilicata, sconosciuta ai più, ma scrigno di bellezze artistiche e ambientali uniche al mondo. Di incoraggiamento per il popolo lucano e rilancio di speranza e di fede, parla Vito De Filippo, presidente della Regione Basilicata. Luca Collodi lo ha intervistato:

    R. – Per noi, è un grande onore e un momento di grandissima gratitudine per il Santo Padre che ha voluto accogliere questa nostra offerta. Noi conosciamo ed abbiamo provato in tanti momenti nella storia regionale, non solo nazionale, a promuovere artisti e persone creative; tra questi, sicuramente il maestro Artese che è una delle nostre risorse regionali. Avendo questa possibilità, nel mese di luglio io ho scritto al Governatorato della Città del Vaticano che ha voluto accogliere questa nostra proposta che – confermo ancora in questa circostanza – non è solo una proposta della Regione-Ente. Noi abbiamo avviato l’iniziativa, io ho chiamato a raccolta tutta la comunità regionale nelle sue rappresentanze e anche nelle sue attività produttive che, devo dire, ha risposto immediatamente con formidabile partecipazione. E’ sicuramente un grande momento per noi.

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    Tweet natalizio del Papa: ricordo il presepe che facevamo in casa, mi dava grande gioia

    ◊   Un piccolo squarcio sulla giovinezza del Papa legato alla festa del Natale emerge dalle parole dell’ultimo tweet, pubblicato ieri sera, dopo la Messa in San Pietro, dall’account @Pontifex. In risposta alla domanda che chiedeva “quale tradizione familiare natalizia della sua infanzia” ricordasse ancora, Benedetto XVI ha risposto: “Il presepe che si faceva insieme nella nostra casa mi dava grande gioia. Aggiungevamo figure ogni anno e usavamo muschio per decorarlo”.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria. Mons. Zenari: Natale di speranza e solidarietà nonostante tutto

    ◊   Un Natale segnato dalla guerra e dalla violenza è quello che sta vivendo la Siria, come ha ricordato anche il Papa nel suo messaggio "Urbi et Orbi" auspicando che cessi finalmente lo spargimento di sangue. Nonostante la sofferenza, i cristiani sentono comunque speranza per la Nascita di Gesù, come conferma al microfono di Debora Donnini, il nunzio apostolico in Siria, mons. Mario Zenari:

    R. - Come si può immaginare, è un Natale tutto particolare, ma nonostante ciò si celebra questo mistero, il mistero della gioia e della solidarietà di Dio in Gesù con gli uomini. Questo pensiero è presente anche qui, così come questa atmosfera di gioia, anche se magari non è espressa tanto in segni esterni, perché non si possono celebrare le Messe a mezzanotte come negli anni precedenti. Le Messe sono anticipate alle cinque della sera per questioni di sicurezza. Già alle cinque della sera qui è notte e basti pensare a certi luoghi come Aleppo, dove manca completamente l’energia elettrica e quindi la città è buia.

    D. - Per la Siria, per i cristiani di Siria quello di quest’anno è un Natale sicuramente più difficile, però la gente ha speranza?

    R. - In fondo è chiaro, si vive anche di speranza, nonostante quello che accade intorno. Nonostante in certi luoghi manchi completamente l’elettricità e il pane si trovi con grande difficoltà o a prezzi esorbitanti. Pensiamo che il pane è passato da 15 lire siriane a 200 lire siriane... Natale ancora porta con sé la speranza, la gioia, sia pure in una maniera forse anche più profonda, che non si esprime in questi festeggiamenti, che gli anni scorsi si aveva la possibilità di fare dopo la Messa di Mezzanotte con la fanfara.

    D. - Proprio in questo Natale, senza tanti segni esteriori in Siria, qual è il suo messaggio per i cristiani di questo Paese?

    R. - Che c’è la solidarietà di Dio con l’umanità in Gesù, dimostrata nel presepe con l’Incarnazione del Figlio di Dio, e che questa solidarietà di Dio con gli uomini suscita anche quella di tante persone. Sto scoprendo sempre di più questo aspetto della solidarietà che non manca, anzi cresce. C’è una bella solidarietà tra famiglie che spesso non hanno grandi possibilità e c’è una solidarietà che viene anche dall’esterno, pensiamo al gesto generoso di solidarietà del Santo Padre e dei Padri sinodali. Ad esempio, in una parrocchia c’è una comunità di religiosi che ha fatto uno sforzo per dare un buono alle famiglie - circa 150 famiglie tra le più povere - per andare in una rosticceria e comprare un pollo per il giorno di Natale. Un’altra comunità di religiosi ogni giorno riesce a distribuire 6.500 pasti caldi: non solo, è riuscita ad avere come volontari un buon numero di giovani sia cristiani sia musulmani, che prestano il loro servizio volontario nella distribuzione di queste razioni quotidiane di cibo. Quindi, direi in questo clima così pesante, fioriscono anche questi bei fiori di solidarietà.

    D. - I cristiani in Siria hanno comunque paura di persecuzioni, oltre alla paura data ovviamente data dai combattimenti, dalla guerra…

    R. - Naturalmente, in questo clima di incertezza è chiaro che qui i gruppi “minoritari” - ce ne sono diversi perché la Siria è finora la composizione di un mosaico - i vari gruppi etnico-religiosi hanno una certa paura non sapendo come andrà a finire questo conflitto. Quindi, c’è nel sottofondo un certo timore. Fino ad oggi, i cristiani hanno sofferto come tutti i siriani: anche loro sono stati alle volte sotto la pioggia delle bombe, tra fuochi incrociati e anche loro sono dovuti fuggire dai loro villaggi, dalle loro case, come tanti sfollati, che sono più di due milioni. Finora, c’è sempre stato un buon clima - direi anche esemplare - di relazioni tra cristiani e musulmani. Si spera che questo non venga rovinato da questo terribile conflitto, ma che queste relazioni tra vari gruppi etnico-religiosi possano continuare.

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    Natale in Afghanistan. Il parroco di Kabul: ci sono segni di rinascita

    ◊   Il Natale in Afghanistan coincide con piccoli segni di rinascita. È quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, padre Giuseppe Moretti, parroco dell’unica chiesa esistente in Afghanistan, quella interna all’ambasciata italiana a Kabul:

    R. – Ci sono segni di rinascita, sia pure molto piccoli, anche perché se non ci fossero sarebbe un enorme fallimento della presenza occidentale in questi dieci anni, ormai undici. Quello che emerge è il desiderio di pace. Con la pace arriva il progresso nel vero senso della parola – non il consumismo – quindi più scuole, più ospedali, più assistenza sociale, più lavoro, più tranquillità, più dignità, più rispetto dei diritti umani, soprattutto delle donne e dei bambini. Vivendo in Afghanistan è chiaro che noi concentriamo la nostra preghiera soprattutto per questo Paese, perché non ci siano più check-point, non ci sia più filo spinato e si viva con una maggiore serenità, con una maggiore tranquillità. È poca cosa la nostra presenza. Ma abbiamo la certezza immensa di essere amati da Dio e che Dio ci vuole qui.

    D. – A proposito di presenze, si stanno riducendo i vari contingenti della coalizione. Si arriverà a un progressivo e completo ritiro nei prossimi anni della coalizione internazionale presente in Afghanistan. Come sta vivendo la popolazione questo momento così cruciale per la storia afghana?

    R. – C’è un duplice sentimento. Il primo, ovviamente, è un sentimento di liberazione, anche perché in qualsiasi Paese la presenza delle forze armate straniere non è mai gradita. La seconda, è una preoccupazione di natura sociale. Quanti giovani e quanti padri di famiglia hanno ora un impiego proprio in questi contingenti internazionali? Sono centinaia, centinaia e centinaia. In un Paese dove la disoccupazione è molto diffusa, la partenza dei contingenti farà aumentare il numero dei disoccupati. Quindi, c’è la prospettiva di un ampliamento della disoccupazione.

    D. – Questa prospettiva fa temere che aumentino economie diverse, traffici illeciti?

    R. – Quando la gente non ha lavoro, cerca di darsi da fare in tutti i modi e sbarcare il lunario in maniera lecita e illecita. Quindi, i grandi problemi che bisognerà affrontare sono proprio questi: garantire una sicurezza sociale e avere la certezza del pane quotidiano.

    D. – Un suo augurio speciale per questo Natale?

    R. – L’augurio in idioma farsi del buon Natale. Dalla lingua dari la traduzione è: “Auguri per il giorno della nascita di Gesù”.

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    Grecia. Natale di povertà per una famiglia su tre. Mons. Foskolos: c'è uno spirito solidale

    ◊   La Grecia è profondamente segnata dalla crisi economica: una famiglia su tre è povera e dopo cinque anni di recessione, sono oltre 20mila le persone senza tetto che vivono con meno di 20 euro al mese. Ma nel Paese si coglie comunque l’autentico valore del Natale. Così, al microfono di Amedeo Lomonaco, l’arcivescovo cattolico di Atene, mons. Nicolas Foskolos:

    R. – Il Natale di quest’anno fa pensare un po’ alle feste natalizie dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ci sono segni di festa, ma non quelli degli anni precedenti. La gente cerca di passare questi giorni con la gioia che le è possibile. Il dramma è soprattutto nelle città. Nelle campagne c’è ancora uno spirito collettivo e di famiglia, mentre nelle città l’anonimato caratterizza gran parte della popolazione.

    D. – Il Natale può essere, però, anche un lievito, un soffio dello Spirito proprio per trovare un minimo di serenità ed anche di speranza nel futuro...

    R. – La speranza non manca mai. Bisogna notare come in questi giorni ci sia molta solidarietà anche nelle nostre diverse parrocchie e anche della Chiesa ortodossa. Dappertutto, c’è uno spirito di fraternità e si cerca di fare il possibile per aiutare le famiglie, che non hanno la possibilità di comprare qualcosa per Natale. Diverse parrocchie, sia ortodosse sia cattoliche, cercano di aiutare ogni giorno tante persone. Spero che questa prova abbia una ripercussione positiva e che faccia pensare quella gente che prima sprecava tanto denaro senza tenere conto delle realtà. Adesso, invece, c’è uno spirito più cristiano. Credo che anche nei diversi messaggi dei vescovi ortodossi e cattolici si noti questo aspetto. Attraveso la prova, saremo più cristiani, più coerenti alla dottrina della Chiesa. Saremo più vicini agli uomini che soffrono.

    D. – Un suo augurio speciale, un “Buon Natale” nella lingua greca...

    R. - Kala Christouyenna!

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    Costa d'Avorio. Padre Torres: Natale è incontro col fratello musulmano

    ◊   È un Natale nel segno della speranza per la comunità cattolica della Costa d’Avorio. A oltre un anno e mezzo dalla fine guerra civile che ha portato alla caduta dell’ex presidente Gbagbo, oggi sotto processo all’Aja, il Paese africano a maggioranza musulmana è ancora in preda all’insicurezza. Marco Guerra ha raccolto la testimonianza del missionario padre Bernardo Torres:

    R. – Il Paese sta cercando di uscire da questa situazione di guerra. Quello che si vive qui, nel Paese, è un problema di insicurezza terribile. Io stesso, il 12 dicembre scorso, sono stato aggredito da uomini armati. Allora, sto aspettando il Natale nella fede: che il Signore venga! In fondo, quando ti trovi davanti le armi che ti spogliano di tutto, alla fine che cosa vedi? L’importante è avere la fede. Sto ringraziando il Signore che mi dà ancora la vita per vivere questa festa di Natale con un altro spirito.

    D. – C’è voglia di celebrare il Natale? C’è sete di fede da parte della comunità cattolica?

    R. – In questo senso si sente. Natale e Pasqua, queste sono due feste molto, molto importanti e la gente le aspetta; la gente nelle parrocchie sta preparando i canti, nelle case vuole celebrare il Natale. Nelle parrocchie questo si vive molto fortemente, soprattutto con la Messa della sera del 24, e poi ancora il 25, il giorno di Natale. E c’è ancora la festa della Santa Famiglia, la domenica, e poi avanti fino all’Epifania. Certo, per quanto riguarda il lavoro pastorale sappiamo che noi sacerdoti dobbiamo andare molto in profondità. Bisogna entrare in questo mistero, che è così grande e che è quello che ci deve dare la gioia immensa di poter vivere. Io adesso sto pensando a Natale, quando appena l’altro giorno mi sono trovato di fronte alla morte…

    D. – Natale può essere l’occasione per incontrare il fratello musulmano…

    R. – In questo senso, io noto che anche in televisione se ne parla molto: si mette in onda anche per parlarne davanti a tutti, anche con i musulmani, dell’importanza del Natale. I musulmani sono superiori in numero, ma si vede come cambia anche la fisionomia della città. Vedo come stanno abbellendo Abidjan, la capitale: diventa molto più bella, con tante luci… E’ proprio Natale. Qui, in Costa d’Avorio, dobbiamo dire che l’islam non è come altrove. Qui si può parlare. Per noi cristiani è un fatto molto importante che Dio si sia fatto uomo, che sia venuto a cercarci: è una cosa enorme. E’ proprio da annunciare a tutti, così come noi aiutiamo le nostre comunità a prepararsi a vivere questa festa di Natale.

    D. – C’è qualcosa di particolare che vuole ricordare, su come viene celebrato il Natale in Costa d’Avorio… come le famiglie lo sentono? Anche lì si riuniscono con i parenti?

    R. – Questo è tutto un lavoro da fare. Questa non è un’abitudine, un costume, una tradizione. Qui bisogna riscoprire la famiglia cristiana: padre, madre e figli. Perché qui, tanti non hanno esperienza né di padre, né di madre, né di famiglia. Ma questo è un lavoro lento. Riveste grande importanza la festa della Famiglia di Nazareth: con Giuseppe, Maria e il Figlio di Dio.

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    Colombia. il card. Salazar Gómez: dal Natale l'auspicio di stabilità e democrazia

    ◊   In America latina la festa del Natale è molto sentita. E quest’anno in Colombia si vive con speranza per quanto riguarda le trattative di pace con le Forze Armate Rivoluzionarie. Debora Donnini ha intervistato l’arcivescovo di Bogotá, il cardinale Rubén Salazar Gómez:

    R. – Da noi, in Colombia, il Natale è una festa tradizionale molto importante. Si conserva ancora lo spirito della nascita di Cristo Gesù e c’è una religiosità molto forte, ma purtroppo ogni giorno diventa sempre di più una festa commerciale, di vacanze… Si conserva, però, ancora quello spirito che identifica il Natale con Cristo Gesù e con la fede cristiana. È una festa soprattutto di famiglia.

    D. – In quale situazione si vive il Natale 2012 per quanto riguarda il problema della violenza e della povertà, che sono i due grandi problemi in Colombia?

    R. – C’è un po’ di pessimismo di fronte alla situazione del Paese, perché ci sono problemi molto gravi. La povertà è ancora molto grande, c’è la miseria e c’è anche iniquità, la diseguaglianza fra i cittadini è sempre molto grande. C’è comunque anche un po’ di speranza e si fanno sforzi molto grandi perché questa situazione cambi. Soprattutto perché c’è la speranza che il conflitto sociale – che si fa sentire nel conflitto armato con questi gruppi armati – termini presto.

    D. – Alcuni giorni fa, il governo colombiano ha creato un sito Internet per permettere a tutti i cittadini di seguire la trattativa di pace con le Forze armate rivoluzionarie della Colombia, che si svolgono attualmente a Cuba. Sta andando avanti questo tentativo di riportare veramente la pace in Colombia?

    R. – Sì, sta andando avanti e c’è la speranza che arrivi presto a termine. Abbiamo bisogno che non ci sia il conflitto armato e che si possa diventare una vera democrazia dove le questioni vengano discusse con i partiti politici e attraverso mezzi democratici. Purtroppo, a tuttt'oggi la guerriglia ha come mentalità che le sue idee debbano essere imposte con le armi. Credo allora che tutti siamo un po’ convinti che la via per arrivare a un vero sviluppo nel Paese sia la via della democrazia autentica.

    D. – La crisi economica a livello globale quanto influisce in America Latina? Ovviamente ci saranno differenze molto grandi: ma si sente oppure no?

    R. – Da noi, in Colombia, non si sente molto questa crisi economica mondiale perché il Paese negli ultimi anni ha avuto uno sviluppo notevole dal punto di vista economico e ancora non siamo colpiti da questa crisi globale. Ma siamo tutti coscienti che un giorno o un altro la crisi economica arriverà come conseguenza della crisi europea e degli Stati Uniti. Speriamo che il governo possa prendere quelle misure necessarie per garantire una stabilità economica e una stabilità politica.

    D. – Questo è così anche per il resto dell’America Latina, più o meno?

    R. – Sì, più o meno. Ci sono certamente grandi differenze, ma adesso in America Latina c’è un clima favorevole allo sviluppo e alla democrazia.

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    Natale in Australia, occasione per annunciare il Vangelo in contesti secolarizzati

    ◊   Il Natale si vive in Australia in un crescente bisogno di avvicinarsi alla fede: lo affema Daniela Motta, missionaria laica del Cammino neocatecumenale, trasferitasi in Australia con il marito e i suoi cinque figli. L’intervista è di Marco Guerra:

    R. - In Australia, a parte le tradizioni cattoliche e irlandesi, c’è molto paganesimo. Per dare un’idea, normalmente la gente fa il pranzo di Natale anche due settimane prima perché poi parte. Al di là del vuoto apparente di questa società - ovviamente consumistica - ultimamente è iniziato a comparire anche il presepe in alcuni centri commerciali, cosa che prima non si vedeva assolutamente. Il fatto che l’Australia sia oggetto di molta migrazione dall’Europa - ultimamente anche l’Italia ha ripreso una certa migrazione verso il Paese - ha portato un diverso modo di vivere anche le festività.

    D. - Puoi raccontarmi quali celebrazioni fate nel giorno di Natale, se c’è anche qualche iniziativa per avvicinare le persone…

    R. - Gli australiani sono molto sensibili a tutto quello che sono i Canti di Natale, le recite… Quello che noi stiamo facendo, e che è stato fatto ultimamente in molte parrocchie, sono queste recite di Natale con il presepe vivente con i cammelli, i Re Magi… E la risposta in parrocchia è stata veramente incredibile. C’era gente che in chiesa non mette mai piede.

    D. - È possibile che con questo periodo di crisi gli australiani nativi sentano il bisogno di riavvicinarsi a quei valori tradizionali? Il Natale può essere un’occasione?

    R. - Qui, la crisi economica si sente molto meno, mentre troviamo veramente i cosiddetti “poveri di spirito”, persone che soffrono perché non sanno dare risposte al vuoto che hanno dentro, nonostante siano circondate dal benessere.

    D. - Il Natale diventa un’occasione ideale per poter annunciare il Vangelo in Australia...

    R. - Sicuramente, e soprattutto con cose semplici, ad esempio con il fatto di fare il presepe… Personalmente, lo allestisco fuori in giardino perché tutti lo possano vederlo dalla strada. Quello che cerchiamo di fare è anche chiamare, la sera prima di Natale, i vicini di casa a fare una preghiera davanti al Bambinello del presepe. Anche il fatto di illuminare le case è molto importante. Ad esempio, l’altro giorno mentre montavamo il presepe, una signora passando ci ha chiesto: “Ma che cos’è?”. Erano tutti segni del Natale: l’albero, il presepe, lo stare insieme, cantare insieme i canti di Natale, il mangiare insieme… Qui, loro non hanno l’abitudine di riunirsi come famiglie. E anche il fatto di aprire le porte della propria casa colpisce… Anche questo diventa un modo di catechizzare.

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    Natale. Il cardinale Caffarra tra i terremotati dell'Emilia

    ◊   "Nelle difficoltà della ricostruzione c’è la sicurezza che Dio è vicino, fino al punto di farsi bambino". Con queste parole, il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, si è rivolto nell’odierna giornata di Natale alle comunità dell'Emilia maggiormente colpite dal sisma dello scorso maggio. La notte scorsa e in mattinata, il porporato ha voluto presiedere tra loro le solenni celebrazioni natalizie. Il servizio di Luca Tentori:

    (suono campane)

    I rintocchi dell’orologio civico di Crevalcore a mezzanotte. I primi dopo che il sisma lo aveva fermato il 29 maggio scorso. Un paese intero lo ha accompagnato commosso prima di recarsi alla Messa della notte di Natale presieduta dall’arcivescovo di Bologna. Il cardinale Caffarra ha voluto celebrare il Natale tra le tende del terremoto, a Crevalcore e Mirabello, due delle parrocchie più colpite della sua diocesi. In questa fetta d’Emilia profonda, un popolo ancora paga nel cuore, nelle case, nelle fabbriche e nelle chiese le conseguenze del terremoto. Il mistero del Natale narrato dai Vangeli e quello vissuto oggi tra le tende del sisma emiliano. Dice l’evangelista Giovanni a proposito dell’Incarnazione: "Ha posto la sua tenda fra noi". E il cardinale Caffarra ha così commentato questo passo nell’omelia della Messa celebrata sotto un tendone sportivo:

    “Anche voi avete vissuto sotto le tende e sapete come si vive sotto di esse, sperimentando il senso dell’insicurezza, della fragilità e di una mancanza di beni umani essenziali. Questa notte Dio è venuto a vivere la nostra condizione, nascendo fuori da una casa”.

    Mirabello, tremila anime alle porte di Ferrara, ha invece ospitato la Messa di questa mattina del cardinale Caffarra. La chiesa parrocchiale di San Paolo Maggiore non c’è più. Una facciata smozzata e brandelli di navate ricordano l’impresa di un piccolo paese che costruì una chiesa maestosa. Nell’Emilia di Guareschi, una tenda è condivisa da don Camillo e Peppone: lì sotto si alternano catechismo e Messe, consigli comunali e attività culturali. In attesa della chiesa provvisoria, forse pronta per Pasqua, i parrocchiani hanno ampliato il tendone per accogliere i tanti fedeli accorsi questa mattina. La gioia di tutti nelle parole del parroco don Ferdinando Gallerani:

    “L’abbiamo sentito proprio come un padre che fa festa. 'Natale con i tuoi' ci siamo detti. E siamo molto contenti per questa visita. Finalmente, qualcuno ci stimola ancor più, perché abbiamo bisogno di ricevere fiducia e speranza. Ne abbiamo tanta, ma ce ne vuole ancora di più. Poi, sua eminenza è venuto varie volte qui a trovarci e continua così il suo apostolato”.

    Nella zona c’è apprensione per le imprese distrutte o danneggiate e per il lavoro di tante famiglie. Così, nel cuore del terremoto le parole del cardinale Caffarra, in questo Natale, risuonano ancora più vive: "Tornerete ora tra le vostre difficoltà, ma possedete la ricchezza più grande se siete consapevoli che Dio si prende cura di voi".

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Messa di Natale a Betlemme. Mons. Twal: Medio Oriente soffre, si lavori per la pace

    ◊   Note natalizie riecheggiano nel cuore della notte di Betlemme, e nella Chiesa che si trova proprio accanto alla Grotta della Natività si vive un’emozione intensa. La Basilica di Santa Caterina è gremita per la Messa di Mezzanotte, il momento culmine delle celebrazioni del Natale, avvenute proprio nel luogo che vide la nascita del Dio Bambino che è “nato per i poveri, per gli oppressi e i sofferenti, per la gente semplice, ordinaria, e per i peccatori” - dice il patriarca Latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, che presiede la Messa. “E questo fanciullo - prosegue nella sua omelia - ha un sogno: che tutti gli esseri umani siano fratelli, perché hanno un solo Signore e Dio, che è il Padre di tutti". Forte l’appello “ai politici affinché lavorino risolutamente per un progetto di pace e di riconciliazione che abbracci la Palestina e Israele e questo Medio Oriente sofferente”. Non manca la preghiera del Patriarca in particolare per fratelli della Siria, “che muoiono inesorabilmente senza pietà!”, “e per quelli di Gaza e del sud di Israele, usciti da una guerra le cui conseguenze sono ancora visibili sul terreno e negli animi". "La nostra preghiera - aggiunge - abbraccia tutte le famiglie, arabe ed ebree, colpite dal conflitto”. Accanto a numerose autorità, in prima fila c’è anche il presidente Abu Mazen, nel primo Natale dopo il riconoscimento della Palestina come Stato osservatore all'Onu: “Questo riconoscimento - afferma mons. Twal - deve essere un passo decisivo verso la pace e la sicurezza per tutti”. Tanti i fedeli e moltissimi i sacerdoti provenienti da tutto il mondo per una celebrazione solenne, magistralmente accompagnata dal coro Magnificat della Custodia di Terra Santa che ha eseguito canti in latino e in arabo, assieme alle voci bianche del Coro Clariere, giunto dalla Svizzera italiana. È l’1.30 quando inizia la processione che – al canto del Gloria e al suono festoso di tutte le campane – conduce mons. Twal con il Bambino Gesù in grotta, dove viene proclamato il Vangelo del Natale, e dove, subito dopo, presso l’altare della mangiatoia, si susseguono le Sante Messe per tutta la notte. Nella grotta, cuore della Basilica, momenti toccanti di celebrazioni e di raccoglimento. Fuori, un clima di festa e di gioia: ieri, in particolare, i cortei e i canti della comunità cristiana locale avevano rallegrato la grande vigilia, accogliendo l’ingresso solenne del patriarca in una piazza affollata di pellegrini provenienti da ogni parte del mondo. Nessuno ci avrebbe scommesso un mese fa, durante la crisi di Gaza, quando le cancellazioni dei pellegrinaggi erano all’ordine del giorno, e invece i pellegrini sono arrivati a Betlemme per il Natale: oggi, fonti palestinesi parlano di 30-35 mila presenze in città nei due giorni del 24 e del 25 dicembre. Nessun timore, dunque, piuttosto l’emozione indimenticabile, di essere qui il giorno di Natale: “Una cosa magnifica, mi sento commossa fino al midollo delle mie ossa”; “è commovente, mi ha fatto piangere”, sono alcuni dei commenti raccolti. Ed è Natale anche per i cristiani betlemiti, e per tutti gli altri cristiani palestinesi: molti di loro, in via eccezionale, hanno ottenuto il permesso di festeggiarlo qui: 14mila i permessi rilasciati, 500 anche ai cristiani di Gaza, che - sia pure con qualche difficoltà - sono riusciti a raggiungere Betlemme. “Mentre celebriamo il Natale di Gesù - dice Rocco, betlemita - vogliamo rinascere anche nei nostri cuori per dare pace a questa terra, far finire il conflitto e garantire i diritti dei palestinesi, cosi la pace nascerà a Betlemme e si diffonderà in tutta la Palestina”. Questa mattina, alle 10, mons. Twal ha presieduto un’altra solenne celebrazione in Santa Caterina, in arabo, per tutti i cristiani locali, mentre il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, ha celebrato la Santa Messa di Natale in diretta televisiva nella più raccolta Grotta del Latte, il luogo che, secondo la tradizione, ospitò la Sacra famiglia prima della fuga in Egitto. (Da Betlemme, Stefania Sboarina)

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    Ciad. Dopo l'espulsione, governo concede a mons. Russo di rientrare a Doba

    ◊   Mons. Michele Russo può rientrare in Ciad e riprendere il suo posto alla guida della diocesi di Doba. Ad annunciarlo alla radio nazionale è stato, ieri, il ministro delle Comunicazioni del Paese africano, Hassan Sylla Bakari. Il vescovo cattolico, in Ciad da 23 anni, era stato espulso dal governo in seguito alla sua omelia del 30 settembre scorso in cui criticava la gestione dei proventi del petrolio locale, denunciandone l’iniqua distribuzione ai danni della popolazione che continua a vivere nell’indigenza: “Da anni le ricchezze naturali dell’Africa sono malgestite a causa dell’avidità umana – aveva detto – per questo la ricchezza è diventata una maledizione per la popolazione locale”. Mons. Russo aveva anche espresso l’auspicio secondo il quale la ricchezza venisse finalmente “utilizzata per costruire il futuro dei figli del continente”. Secondo le stime ufficiali, il Ciad produce circa 120 mila barili di petrolio al giorno. Il presule, che era rientrato a Roma il 14 ottobre, ora potrà tornare a Doba, diocesi che comprende una dozzina di parrocchie e 400 mila abitanti, di cui il 20% circa di fede cattolica. (R.B.)

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    La Chiesa celebra il Natale con i detenuti delle carceri italiane

    ◊   La Chiesa italiana è molto vicina alle problematiche dei detenuti anche a Natale, come testimoniano le diverse Messe celebrate all’interno delle principali carceri del Paese in questi giorni. L’auspicio che il carcere sia un ambiente “sempre meglio adeguato” e che possa aiutare di più “il reintegro di ciascuno” è stato espresso dal presidente della Conferenza episcopale italiana e arcivescovo di Genova, il cardinale Angelo Bagnasco, nel corso dell’omelia della celebrazione natalizia che ha presieduto con i reclusi del Marassi. “Nei vostri cuori c’è il giusto desiderio di libertà e di essere a pieno titolo cittadini del mondo con le proprie responsabilità, i propri diritti e i propri doveri – ha detto rivolgendosi a loro – libertà insieme agli altri per creare un bene più grande dove tutti possano vivere in pace nella sicurezza e nella gioia”. Di condizioni inaccettabili delle carceri italiane dovute al sovraffollamento, invece, ha parlato l’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, che ha celebrato il Natale tra i detenuti di San Vittore: “A coloro che hanno la responsabilità del Paese – ha detto – dobbiamo chiedere che esplicitino nei programmi cosa intendono fare”. (R.B.)

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    Monarchie del Golfo Persico dicono sì a un comando militare unificato

    ◊   I sei Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo Persico (Ccg) hanno raggiunto l’intesa sulla creazione di un comando militare unificato, anche alla luce degli ultimi sviluppi in Medio Oriente. Si tratta di un nuovo passo verso l’unione per i sei (Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti), riuniti da ieri a Manama, capitale del Bahrein, per il consueto vertice annuale. Nel documento finale, diffuso al termine dell’incontro, i sei hanno lanciato un monito all’Iran affinché “smetta di interferire negli affari del Golfo” e un appello al governo siriano affinché fermi il massacro nel Paese. Il Ccg ha inoltre sottolineato la necessità di accelerare il processo di transizione politica in Siria e ha invitato la comunità internazionale ad “agire rapidamente” e a fornire assistenza umanitaria ai civili. In questa direzione, è stato annunciato che il 30 gennaio prossimo si svolgerà in Kuwait una conferenza internazionale dei donatori per mobilitare proprio l’assistenza umanitaria diretta in Siria. Infine, i Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo Persico hanno espresso il loro sostegno all’inviato delle Nazioni Unite nel Paese, Lakhdar Brahimi. (R.B.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 360

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.